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Giacomo Leopardi - Discorso Di Un Italiano Intorno Alla Poesia Romantica
Giacomo Leopardi - Discorso Di Un Italiano Intorno Alla Poesia Romantica
di un italiano intorno
alla poesia romantica
di Giacomo Leopardi
e delle azioni loro ne’ deserti e della vita nelle tende e fra
gli armenti, e quasi tutta quella che si comprende nella
Scrittura e massimamente nel libro della Genesi; e quei
moti che ci suscita e quella beatitudine che ci cagiona la
lettura di qualunque poeta espresse e dipinse meglio il
primitivo, di Omero di Esiodo di Anacreonte, di Calli-
maco singolarmente? E quelle due capitali disposizioni
dell’animo nostro, l’amore della naturalezza e l’odio
dell’affettazione, l’uno e l’altro ingeniti, credo, in tutti
gli uomini, ma gagliardissimi ed efficacissimi in chiun-
que ebbe dalla natura indole veramente accomodata alle
arti belle, provengono parimente dalla nostra inclinazio-
ne al primitivo. E questa medesima fa che qualora ci ab-
battiamo in oggetti non tocchi dall’incivilimento, quivi e
in ogni reliquia e in ogni ombra della prima naturalezza,
quasi soprastando, giocondissimamente ci compiaccia-
mo con indistinto desiderio; perché la natura ci chiama
e c’invita, e se ricusiamo, ci sforza, la natura vergine e in-
tatta, contro la quale non può sperienza né sapere né
scoperte fatte, né costumi cambiati né coltura né artifizi
né ornamenti, ma nessuna né splendida né grande né
antica né forte opera umana soverchierà mai né pareg-
gerà, non che altro, un vestigio dell’opera di Dio. E che
questo che ho detto, sia vero, chi è di noi, non dico poe-
ta non musico non artefice non d’ingegno grande e su-
blime, dico lettore di poeti e uditore di musici e spetta-
tore d’artefici, dico qualunque non è così guasto e
disumanato e snaturato che non senta più la forza di
nessuna fuorché lorda o bassa inclinazione umana e na-
turale, – chi è che non lo sappia e non lo veda e non lo
senta e non lo possa confermare col racconto dell’espe-
rienza propria certissima e frequentissima? E se altri
mancano, chiamo voi, Lettori, in testimonio, chiamo voi
stesso o Cavaliere: non può mancare a voi quell’espe-
rienza ch’io cerco, non può ignorare il cuor vostro quei
moti ch’io dico, non può essere che la natura incorrotta,
de’ greci e non de’ barbari, che siete italiani e non tede-
schi né inglesi. Confesso il vero, che, quanto più riguardo
agl’insegnamenti della nuova scuola e ai frutti che danno,
tanto più mi par dispregevole quello che m’era paruto
notabile, tanto meno temo che questa peste possa pren-
der piede in Italia, tanto più voglia mi viene di ridere, co-
me s’è costumato finora, in cambio di discorrere, tanto
più conosco e lodo il senno di quei gravissimi letterati
che per quanto il silenzio loro dovesse dare alterigia e
baldanza di vittoriosi ai nuovi settari, non hanno stimato
che questi potessero guadagnare contro di loro altra vit-
toria che di condurgli a metter mano alle armi.
Ma per recare in poco quello che fin qui s’è disputato
largamente, abbiamo veduto come s’ingannino coloro i
quali negando che le illusioni poetiche antiche possano
stare colla scienza presente, non pare che avvertano che
il poeta già da tempi remotissimi non inganna l’intellet-
to, ma solamente la immaginazione degli uomini; la qua-
le potendo egli anche oggidì, mantenuta l’osservanza del
verisimile e gli altri dovuti rispetti, ingannare nel modo
che vuole, dee scegliere le illusioni meglio conducenti al
diletto derivato dalla imitazione della natura, ch’è il fine
della poesia; di maniera che non essendo la natura cam-
biata da quella ch’era anticamente, anzi non potendo va-
riare, seguita che la poesia la quale è imitatrice della na-
tura, sia parimente invariabile, e non si possa la poesia
nostra ne’ suoi caratteri principali differenziare dall’an-
tica, atteso eziandio sommamente che la natura, come
non è variata, così né anche ha perduto quella immensa
e divina facoltà di dilettare chiunque la contempli da
spettatore naturale, cioè primitivo, nel quale stato ci ri-
torna il poeta artefice d’illusioni; e che in questo medesi-
mo stato nostro è manifestissimo e potentissimo in noi il
desiderio di questi diletti e la inclinazione alle cose pri-
mitive: né la poesia ci può recare altri diletti così veri né
puri né sodi né grandi, e se qualche diletto è partorito
avvertimento