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12/01/23

Dante Alighieri
letteratura

Introduzione
∙ Nasce nel 1265 a Firenze ed è figlio di un piccolo
proprietario terriero, (quindi faceva parte della
media borghesia).
La sua era una famiglia guelfa che è stata esiliata
ben due volte per delle vittorie ghibelline.

∙ A dodici anni, nel 1277, viene promesso a


Gemma Dorati con cui avrà ben tre figli.
Nella Vita Nuova si scopre però che Dante si era
innamorato a nove anni di Beatrice (Bice
Portinari), nel 1274.
Grazie a questo suo innamoramento scrive la Vita
Nuova e la Divina Commedia, entrambe dedicate
a Beatrice.

∙ Non si sa molto degli studi: si sa però che aveva frequentato le “scuole


religiose”, cioè quelle scuole situate nelle varie Chiese di Firenze gestite
da vari frati di diversi ordini.
Si presume sia andato all’università di Bologna, una delle più antiche e
importanti di quel tempo: grazie a Boccaccio si ottengono delle
testimonianze, sfortunatamente sono incerte.

L’incontro più importante per la sua formazione è stata con quella di


Brunetto Latini, un uomo politico e letterario che viene ricordato anche nel
XV canto. Grazie ad esso apprende e si appassiona agli studi umanistici
che garantirono il futuro successo di Dante.
Anche il contatto che ebbe con altri intellettuali lo aiutano nettamente, in
particolare Guido Cavalcanti e Cino da Pistola.
∙ Verso gli Anni Novanta del duecento Firenze è divisa in due fazioni: da un
lato ci sono i guelfi Bianchi, raccolti dalla Famiglia dei Cerchi, e dai guelfi
Neri, che fanno capo alla famiglia dei
Donati.
Dante stava dalla parte dei bianchi,
nonostante sua moglie appartenesse a
quella dei neri, e col tempo accresce il
suo potere e popolarità fino a diventare
priore nel 1300, che era la massima
carica politica.

Insieme devono risolvere la grave


situazione politica di Firenze e nel 1301 cerca di riottenere questo potere
grazie al Papa Bonifacio VIII, solo che nel processo la città viene presa
sotto il controllo dei guelfi neri e Dante viene accusato di corruzione nel
suo ruolo e condannato all’esilio, e non solo, è stato condannato a morte e
gli vennero confiscati tutti beni.
Nonostante esiliato cerca ancora di poter riconquistare Firenze insieme
ad altri guelfi bianchi ma anche dopo delle vincite non ci riesce visto che i
guelfi neri li sconfiggono definitivamente il 20 luglio del 1304, a Lastra.

∙ Dante ormai esiliato continua a soggiornare in varie città, tra cui


Casentino, Verona, Lunigiana (Lucca) ecc…
In particolare quando alloggia a Lucca,
Dante aspetta la conquista di Firenze da
parte dell’imperatore tedesco Arrigo VII,
pensando di poter ritornare in patria e
finire il proprio esilio.
Sfortunatamente però il piano non è
riuscito, visto che nel 1313 muore Arrigo,
ancor prima di poter conquistare la città di
Firenze.
Sarebbe potuto entrare nel 1315 ma non accetta le condizioni che gli
vengono date con l’offerta di ritornare in patria.
∙ Nel 1320 resta a Ravenna e tra il 13 e il 14 settembre muore
probabilmente di una malaria contratta a Venezia.
In questi trentacinque anni di esilio Dante scrive le opere più famose di
tutta la sua carriera e le grandi opere teoriche in prosa: un trattato
sulla lingua volgare, un trattato sul filosofo Convivio, un saggio sulla
Monarchia e inizia a scrivere la Divina Commedia che concluderà poco
prima della sua morte.

Grande innovatore
∙ Dante è considerato uno dei più grandi scrittori
di tutti i tempi ma è anche un autore
sperimentale, capace di passare in poco tempo
nell’arco della sua vita da uno stile all’altro,
rivoluzionando quest’ultimi.
Inventa l’autobiografia letteraria (Vita Nuova),
scrive il primo trattato sulla lingua italiana (De 7
vulgari Eloquentia), scrive il primo trattato
filosofico in volgare (Convivio /diviso in tre
parti), un trattato sulla politica (Monarchia), una
poesia in latino (Egloghe) e la sua opera più
importante cioè la Divina Commedia.

∙ Dante scrive con l'obiettivo di poter insegnare ed educare i suoi lettori,


la cosa è evidente nei trattati scritti prima del suo esilio, ad esempio in De
vulgari eloquentia vuole insegnare la lingua materna mentre nel Convivio
insegna le norme etiche e civili, associate alla vita stessa.

Per Dante la filosofia è molto importante, ha una cultura ampia rispetto ai


suoi contemporanei laici, essendo generalmente studiata solo da
ecclesiastici.
Risulta essere il primo scrittore europeo che riflette sulla poesia in
volgare, dando anche delle dritte su come utilizzarla per bene e su chi
prendere spunto: vengono nominati in particolare nelle sue opere Guido
Guinizzelli e Cavalcanti.
Quindi Dante è stato il primo critico e storiografo della lingua romanza e
italiana.
Il personaggio più negativo e odiato è la città di Firenze, anche se dopo il
suo esilio si considera fiorentino.
La Vita Nuova e la Divina Commedia sono fondate da Beatrice, una donna
che porterà Dante ad amarla incondizionatamente, anche dopo essersi
sposata e dopo la sua morte.
Dante non vede quindi Beatrice come una donna in carne ed ossa ma come
una donna-angelo.

∙ La Divina Commedia è paragonabile all’opera letteraria più famosa del


periodo medievale, in qualsiasi lingua.
Furono probabilmente i figli a pubblicare la sua opera, poco dopo la sua
morte.
Grazie a Boccaccio che aveva letto pubblicamente davanti alla piazze
l’opera divenne sempre più popolare, così tanto che molti del suo tempo
iniziarono a commentare l’opera stessa.
Dante però non venne apprezzato fin da subito per la sua opera, anzi
Pietro Bembo considerava Petrarca nettamente superiore, considerando
d’altro canto Dante come uno rozzo e volgare.
Poi verso il Settecento Giambattista testimonia l’importanza dell’opera, in
particolare dei temi trattati, che verranno apprezzati ancora di più
nell’Ottocento, anche perché si richiamano Ugo Foscolo, Giovanni Pascoli e
Giacomo Leopardi.
La Divina Commedia diventa un mito di fondazione dello Stato Italiano,
(formazione Italia: 1861).
Nel Novecento danno finalmente importanza all’opera, considerando Dante
come lo scrittore di maggiore importanza se non il più importante fra tutti.

La Vita nuova
∙ E’ un testo che racconta il percorso autobiografico che ha Dante per
Beatrice, anche dopo la sua morte (1290) scritto in lingua volgare.
E’ un prosimetro, composto da parti in prosa e parti in poesia, le parti in
prosa servono per introdurre o commentare le poesie.

∙ All'inizio della Vita Nuova viene descritto il primo incontro tra Beatrice e
Dante che avviene all’età di nove anni, dove Dante descrive le emozioni che
prova per la giovane fanciulla.
Appare come un miracolo, lui da quel momento cerca di trovare qualsiasi
occasione per incontrarla.

∙ Beatrice non viene descritta con delle caratteristiche fisiche, ma solo con
degli aggettivi;

∙ INIZIO DELLA VITA NUOVA (suddiviso in capitoli):


I) In quella parte del libro de la mia memoria dinanzi a la quale poco si
potrebbe leggere, si trova una rubrica la quale dice: «Incipit vita nova».
Sotto la quale rubrica io trovo scritte le parole le quali è mio intendimento
di esemplare in questo libello; e se non tutte, almeno la loro sentenzia.

I) In quella parte del libro della mia memoria (metafora per indicare i
ricordi della fanciullezza), prima della quale si potrebbe leggere ben poco
(proprio perché si tratta dei primi ricordi dell’autore), si trova una rubrica
(capitolo e titolo scritto in rosso, dal latino ruber = rosso), che recita:
“Incipit Vita Nova” (ovvero: “Qui comincia la vita nuova”).
Sotto questa rubrica io trovo scritte le parole che ho intenzione di copiare
(assemblare) in questo breve libro, e se non tutte, per lo meno la parte
fondamentale di esse (sentenza = il sunto, oppure il significato sostanziale).
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II) Nove fiate già appresso lo mio nascimento era tornato lo cielo de la luce
quasi a uno medesimo punto, quanto a la sua propria girazione, quando a li
miei occhi apparve prima la gloriosa donna de la mia mente, la quale fu
chiamata da molti Beatrice li quali non sapeano che si chiamare.

II) Già quasi per nove volte (fiate), dopo la mia nascita, il sole era
ritornato al medesimo punto della sua orbita (ovvero “erano passati nove
anni dalla mia nascita”,si pensava ci fossero nove cieli), quando apparve
per la prima volta (prima) davanti ai miei occhi la signora (donna, dal lat.
Domina = signora, padrona della mia mente) gloriosa della mia mente, la
quale fu chiamata da molti Beatrice (ovvero “portatrice di beatitudine”),
senza che sapessero che si chiamasse realmente così.
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III) Ella era in questa vita già stata tanto, che ne lo suo tempo lo cielo
stellato era mosso verso la parte d’oriente de le dodici parti l’una d’un
grado, sì che quasi dal principio del suo anno nono apparve a me, ed io la
vidi quasi da la fine del mio nono.

III) Lei aveva vissuto un tempo pari allo spostamento di un dodicesimo di


grado del Cielo delle Stelle Fisse (ovvero “aveva 8 anni e quattro mesi di
vita”, poiché il Cielo delle Stelle Fisse, nell’astronomia medievale, ruota di
un grado ogni secolo); per cui mi apparve al principio del suo nono anno di
vita e io la vidi che stavo per terminare il mio nono anno di vita.
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IV) Apparve vestita di nobilissimo colore, umile e onesto, sanguigno, cinta e
ornata a la guisa che a la sua giovanissima etade si convenia. In quello
punto dico veracemente che lo spirito de la vita, lo quale dimora ne la
secretissima camera de lo cuore, cominciò a tremare sì fortemente, che
apparia ne li menimi polsi orribilmente; e tremando disse queste parole:
«Ecce deus fortior me, qui veniens dominabitur michi».

IV) Mi si presentò vestita di un colore nobilissimo, umile e casto, decoroso


rosso scuro, con una cintura ( la veste rosso scuro = purezza animo) e
ornata in maniera adatta alla sua giovanissima età.
In quel preciso istante, dico sinceramente, il soffio vitale, che si trova nel
luogo più intimo del cuore, (spiriti controllano funzioni del corpo), cominciò
a tremare con una tale intensità che si manifestava in modo spaventoso
anche nei polsi, e tremando (il soffio vitale) disse queste parole: “Ecco un
Dio più forte di me, che venendo mi dominerà” (l’espressione viene dai
Vangeli, dove è riferita a Gesù Cristo, Dante invece vuole intendere
l’Amore, lo spirito più forte che sottometterà il suo spirito vitale).
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V) In quello punto lo spirito animale, lo quale dimora ne l’alta camera ne la
quale tutti li spiriti sensitivi portano le loro percezioni, si cominciò a
meravigliare molto, e parlando spezialmente a li spiriti del viso, sì disse
queste parole: «Apparuit iam beatitudo vestra».

V) In quell’istante lo spirito animale (lo spirito animale, nella teoria di


Alberto Magno, è la parte dell’anima deputata alle funzioni sensoriali), che
si trova in quel luogo posto in alto (nel cervello), dove tutti i sensi portano
le loro percezioni, cominciò a stupirsi fortemente e rivolgendosi in
particolar modo agli spiriti degli occhi disse queste parole: “È appena
apparsa la fonte della vostra beatitudine”.
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VI) In quello punto lo spirito animale, lo quale dimora ne l’alta camera nella
quale tutti li spiriti sensitivi portano le loro percezioni, si cominciò a
meravigliare molto, e parlando spezialmente a li spiriti del viso, sì disse
queste parole: «Apparuit iam beatitudo vestra».

VI) In quell’istante lo spirito animale (lo spirito animale, nella teoria di


funzioni sensoriali), che si trova in quel luogo posto in alto (nel cervello),
dove tutti i sensi portano le loro sensazioni, cominciò a stupirsi fortemente
e rivolgendosi in particolar modo agli spiriti della vista disse queste
parole: “Già è apparsa la vostra beatitudine”, (ciò che renderà beati i suoi
occhi).
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VII) In quello punto lo spirito naturale, lo quale dimora in quella parte ove
si ministra lo nutrimento nostro, cominciò a piangere, e piangendo disse
queste parole: «Heu miser, quia frequenter impeditus ero deinceps!».

VII) E in quel momento, lo spirito naturale, che si trova in quella parte del
corpo controlla il nostro nutrimento, cominciò a piangere, e mentre
piangeva disse queste parole: “Ah povero me, che d’ora in poi sarò spesso
ostacolato” (il riferimento è alla perdita dell’appetito che sopraggiunge
quando ci si innamora).
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VIII) D’allora innanzi dico che Amore segnoreggiò la mia anima, la quale fu
sì tosto a lui desponsata, e cominciò a prendere sopra me tanta sicurtade
e tanta signoria per la vertù che li Dante Alighieri - Vita nuova dava la mia
immaginazione, che me convenia fare tutti li suoi piaceri compiutamente.

VIII) Da allora in avanti dico l'Amore divenne padrone della sua anima, la
quale, in questo modo, fu subito e per sempre legata a lui (desponsata), e
(Amore) cominciò ad avere su di me un tale sicurezza e una tale potere,
per la virtù che gli dava la mia immaginazione, che mi obbligava ad essere
a suo servizio, (il pensiero continuo di Beatrice).
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IX) Elli mi comandava molte volte che io cercasse per vedere questa
angiola giovanissima; onde io ne la mia puerizia molte volte l’andai
cercando, e vederla di sì nobili e laudabili portamenti, che certo di lei si
potea dire quella parola del poeta Omero: «Ella non parea figliuola d’uomo
mortale, ma di deo».

IX) Essa mi comandava a vedere questo angelo giovanissimo, dopo


quell’incontro l’andai cercando molte volte, con i portamenti nobili, che per
lei si potevano usare quelle parole già state usate da Omero: “Ella non
pare la figlia di un uomo, ma di un Dio” (viene usata nell’ Iliade, riferendosi
ad Ettore)
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X) E avvegna che la sua imagine, la quale continuamente meco stava, fosse
baldanza d’Amore a signoreggiare me, tuttavia era di sì nobilissima vertù,
che nulla volta sofferse che Amore mi reggesse sanza lo fedele consiglio de
la ragione in quelle cose là ove cotale consiglio fosse utile a udire.
X) E benché la sua immagine dava forza all’amore che era padrone di me,
ma non al tal punto da non farmi ragionare, (razionalità è importante,
modera la passione).
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∙ Capitolo 26 della Vita Nuova:


TANTO GENTILE E TANTO ONESTA PARE:
∙ Poesia in lode, dedicata a Beatrice ed è una delle poesie più famose e
riconosciute di Dante.

Tanto gentile e tanto onesta pare


la donna mia, quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven, tremando, muta,
e gli occhi non l'ardisce di guardare.
Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente e d’umiltà vestuta,
e par che sia una cosa venuta
dal cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ’ntender no la può chi no la prova;
e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d’amore,
che va dicendo a l’anima: Sospira.

∙ Parafrasi della poesia:


È talmente nobile d’animo e tanto piena di decoro la mia signora, che
quando rivolge ad altri il saluto,ecco che tutti ammutoliscono e abbassano
lo sguardo, perché non hanno il coraggio di guardarla.
Ella procede, sentendosi lodare, benevola e mite nel comportarsi, e
sembra che sia una creatura discesa sulla terra per compiere un miracolo.
Si dimostra così affascinante a chi la guarda che trasmette, tramite gli
occhi, una dolcezza al cuore, tale che non la può capire chi non l’ha
provata; sembra che dalla sua fisionomia esca uno spirito dolce ricolmo
d’amore che va dicendo all’anima: Sospira (è impossibile non sospirare al
vederla e al contemplare la sua grazia).
Poesie amore e “petrose”
∙ Non tutte le poesie furono scritte
per Beatrice e non tutte si trovavano nella Vita Nuova, infatti una trentina di
poesie furono dedicate ad altre donne e consistevano di sonetti, canzoni e
ballate.
Alcune Poesie vennero definite “petrose” perché furono dedicate a Petra
(senhal), che era una donna con il cuore di pietra.
La poesia venne però sfruttata anche come strumento di dialogo tra poeti e
veniva usata anche per i tenzoni poetici, che sarebbero delle gare fra i poeti.

Guido i'vorrei che tu lapo ed io (diviso in parti)


∙ E’ un sonetto dedicato a Guido come augurio.
In esso, viene descritto un viaggio fiabesco assieme all’Amore: Dante pensa
difatti che l’Amore può essere condivisibile.
In esso c’è un topos letterario che è il tema del viaggio/nave, che
rappresenta l’esperienza di vita.

I) Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io


fossimo presi per incantamento,
e messi in un vasel ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio,

I) Guido io vorrei che io, Lapo e tu


fossimo trasportati attraverso un incantesimo,
e messi in una barca che in qualsiasi condizione metereologica
andasse attraverso il mio e il tuo desiderio.
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II) sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse ’l disio.

II) Che il vento fortunale (vento che porta tempesta) o d’altro tempo
avverso non possa impedirci il viaggio,
anzi vivendo in questa barca, (secondo lo stesso desiderio),
crescesse in noi il desiderio di star insieme.
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III) E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch’è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:
III) E donna Giovanna (amata da Cavalcanti) e donna Lagia (amata da
Lapo)
e la trentesima donna (amata da Dante),
e il benevolo mago le collocasse con noi:
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IV) e quivi ragionar sempre d’amore,


e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i’ credo che saremmo noi.

IV) e qui ragionar l’amore,


e ognuna di loro contenta
così credo che saremo anche noi.

De Vulgari Eloquienta
∙ E’ un saggio scritto in latino, creato tra il 1304 e il 1305, una delle tante
opere incompiute di Dante.
Questo saggio era sulla lingua volgare e sulla sua importanza.
Esso è diviso in due libri: il primo tratta della storia del linguaggio e fa
un'analisi dei principali volgari, nel secondo invece, tratta degli stili, dei
metri e degli argomenti più adatti, in particolare la canzone.

∙ Dante ritiene che la lingua volgare dovrebbe essere usata a scopo di


occultare e che dovrebbe essere usata per prestigiose discipline, invece
pensa che il latino sia una “seconda lingua”.
In questo saggio cerca anche di trovare un “volgare illustre” che presenta
delle caratteristiche particolari che lo presentino superiore agli altri,
sfortunatamente non trova un volgare italiano che presenti tutte queste
caratteristiche. Decide alla fine di non basarsi su delle caratteristiche
generali del volgare ma decide di dare il nome di illustre ai vari volgari su
cui si sono basati poeti famosi (scuola siciliana,volgare toscano e
bolognese).

∙ In uno di questi capitoli descrive il volgare illustre, definendolo anche


cardinale aulico e curiale:
- illustre: illumina e risplende, usato da uomini di potere (esercitano
giustizia o sono istruiti);
- cardinale: “come una porta segue il cardine/perno, un paragone in
cui grazie a questo perno ci si riesce ad aprire la porta, fungendo da
guida e permettendo dei movimenti;
- aulico: ha un valore politico e culturale, un linguaggio che viene
parlato in una reggia;
- curiale: cioè tutto ciò che è razionale e saggio, una lingua parlata
nelle corti virtuose;

Il Convivio
∙ Il Convivio è stato scritto tra il 1304 e il 1307, è un trattato in volgare che
però trattava di temi elevatissimi, (filosofia, etologia ecc.).
E’ un’opera incompiuta, composta da quattro capitoli: il primo è
un'introduzione o un proemio mentre nel terzo commenta dei vari
componimenti che aveva scritto come spunto per iniziare a parlare di vari
argomenti.

∙ Il “Convivio” è un banchetto, che aveva lo scopo di far conoscere vari


temi alle persone più ignoranti, il che era una cosa rivoluzionaria, visto che
adesso anche le persone non colte avevano la possibilità di conoscere
questi temi;

∙ L’introduzione parla brevemente della conoscenza e di quanto sia


importante, menzionando anche i motivi per cui l’uomo potrebbe non voler
conoscere (interno = nel torto; esterno= perdonabili da Dante);

∙ TESTO CONVIVIO (diviso in capitoli):


I) Sì come dice lo Filosofo nel principio de la Prima Filosofia, tutti li uomini
naturalmente desiderano di sapere. La ragione di che puote essere ed è
che ciascuna cosa, da providenza di prima natura impinta, è inclinabile a la
sua propria perfezione; onde, acciò che la scienza è ultima perfezione de
la nostra anima, ne la quale sta la nostra ultima felicitade, tutti
naturalmente al suo desiderio semo subietti.

I) Come dice il primo filosofo dell’antica filosofia, tutti gli uomini


naturalmente desiderano conoscere. La ragione può essere che di fatto
ciascuna creatura è spinta dalla propria natura stabilita, (provvidenza
divina), e tende alla sua completezza, (piena realizzazione di sé stessi);
poiché la conoscenza è ultima perfezione della nostra anima, nella quale
sta la nostra completa e definitiva felicità, tutti siamo soggetti a questo
desiderio di conoscenza.
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II) Veramente da questa nobilissima perfezione molti sono privati per
diverse cagioni, che dentro a l’uomo e di fuori da esso lui rimovono da
l’abito di scienza. Dentro da l’uomo possono essere due difetti e
impedi[men]ti: l’uno da la parte del corpo, l’altro da la parte de l’anima.
II) Tuttavia da questa nobilissima perfezione molti sono privati per diversi
motivi, dentro e all’interno dell’uomo allontanando ad esso l’abitudine a
conoscere.
All’interno ci possono essere due cause e impedimenti: una fisica e una
etica/morale.
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III) Da la parte del corpo è quando le parti sono indebitamente disposte,
sì che nulla ricevere può, sì come sono sordi e muti e loro simili. Da la parte
de l’anima è quando la malizia vince in essa, sì che si fa seguitatrice di
viziose delettazioni, ne le quali riceve tanto inganno che per quelle ogni
cosa tiene a vile.

III) Quella fisica è quando ci sono degli organi che non funzionano in modo
adeguato, che non permettono di imparare, come i sordi e i muti e simili.
Quella etica è quando l'inclinazione al male tende a prevalere , e segue
peccati del piacere, nei quali si subiscono grandi inganni che disprezzano
ogni altra cosa.
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IV) Di fuori da l’uomo possono essere similemente due cagioni intese, l’una
de le quali è induttrice di necessitade, l’altra di pigrizia. La prima è la cura
familiare e civile, la quale convenevolmente a sé tiene de li uomini lo
maggior numero, sì che in ozio di speculazione esser non possono. L’altra è
lo difetto del luogo dove la persona è nata e nutrita, che tal ora sarà da
ogni studio non solamente privato, ma da gente studiosa lontano.

IV) All’esterno, come all’interno, ci sono due motivi: una ragione sono le/gli
necessità/obblighi e l’altra è la pigrizia. La prima è dedicata alla cura
della famiglia e a impegni lavorativi, che legano a sé la maggior parte degli
uomini, non lasciandogli un momento tranquillo per dedicarsi alla
speculazione filosofica. L’altra è il luogo dove una persona è nata, in un
luogo lontano da luoghi di studio ma anche da gente acculturata.
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V) Le due di queste cagioni, cioè la prima da la parte [di dentro e la prima
da la parte] di fuori, non sono da vituperare, ma da escusare e di perdono
degne; le due altre, avvegna che l’una più, sono degne di biasimo e
d’abominazione.

V) Due di questi motivi, la prima di quelle interne e la prima di quelle


esterne, non sono da rimproverare, ma degna di perdono; le altre due
invece sono degne di biasimo e di ferma condanna, (non ci sono scuse),
sebbene una lo sia di più.
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VI) Manifestamente adunque può vedere chi bene considera, che pochi
rimangono quelli che a l’abito da tutti desiderato possano pervenire, e
innumerabili quasi sono li ’mpediti che di questo cibo sempre vivono
affamati.

VI) Dunque si può vedere chiaramente che pochi sono esclusi a giungere
quella disposizione del sapere e innumerevoli sono le persone che di questo
rimangono affamati.
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VII) Oh beati quelli pochi che seggiono a quella mensa dove lo pane de li
angeli si manuca! e miseri quelli che con le pecore hanno comune cibo!

VII) Oh beati i pochi che siedono là dove si mangia il pane degli angeli, (la
conoscenza), e infelici quelli che come le pecore hanno il cibo di tutti (cibo
basilare ed elementare).
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VIII) Ma però che ciascuno uomo a ciascuno uomo naturalmente è amico, e
ciascuno amico si duole del difetto di colui ch’elli ama, coloro che a così
alta mensa sono cibati non sanza misericordia sono inver di quelli che in
bestiale pastura veggiono erba e ghiande sen gire mangiando.

VIII) [...], fortunatamente qualcuno senza misericordia trasmette il sapere


con altri e per gli ignoranti.
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IX) E acciò che misericordia è madre di beneficio, sempre liberalmente
coloro che sanno porgono de la loro buona ricchezza a li veri poveri, e
sono quasi fonte vivo, de la cui acqua si refrigera la naturale sete che di
sopra è nominata.

IV) E poiché la misericordia genera atti buoni, sempre liberamente


condividono il loro sapere con altri, e sono quasi fonte di vita, dalla quale
l’acqua si rinfresca il desiderio del sapere ( nominata prima).

X) E io adunque, che non seggio a la beata mensa, ma, fuggito de la pastura


del vulgo, a’ piedi di coloro che seggiono ricolgo di quello che da loro cade,
e conosco la misera vita di quelli che dietro m’ho lasciati, per la dolcezza
ch’io sento in quello che a poco a poco ricolgo, misericordievolmente
mosso, non me dimenticando, per li miseri alcuna cosa ho riservata, la
quale a li occhi loro, già è più tempo, ho dimostrata; e in ciò li ho fatti
maggiormente vogliosi.
X) E io dunque, non siedo alla beata mensa, ma fuggito al cibo volgare, ai
piedi dei sapienti raccolgo ciò che cade, e conosco la vita misera di quelli
che mi son lasciato alle spalle, per la dolcezza che sento in quello che a
poco a poco raccolgo, mosso dalla misericordia, non me ne dimentico, [...].

La Monarchia
∙ Un trattato scritto dopo il Convivio e durante la creazione della Divina
Commedia.
E’ stato scritto in latino e in esso Dante esprime la propria posizione sulla
situazione politica tra Chiesa e Papato.
Essendo contro le pretese temporalistiche che la Chiesa stava prendendo
l’opera era stata odiata e considerata eretica, il lato che stava dalla sua
parte invece lo leggeva con tranquillità. L’opera non era più stata
considerata eretica verso il Novecento.

∙ Vengono creati tre libri:


- primo: alla domanda se è necessario per l’impero il “buon
ordinamento del mondo”, cioè la pace universale e Dante a questa
domanda risponde dicendo come sia il sommo bene dell’umanità
ottenerla;
- secondo: alla domanda se è giusto attribuire il potere imperiale al
popolo romano o se hanno ragione quello che glielo negano e Dante
risponde dicendo l’impero romano prevalse grazie a un disegno
provvidenziale e non tanto per la loro forza;
- terzo: alla domanda se l’imperatore è sottomesso dal papa, Dante
risponde dicendo che entrambi i poteri sono sullo stesso livello.

∙ Nel terzo libro Dante descrive i due poteri come il Sole, (potere religioso),
e la Luna, (potere imperiale), facendo questo paragone spiega come
nonostante la Luna prenda luce dal Sole, essa è indipendente e un individuo
separato.
L’imperatore doveva rendere la vita terrena felice, con pace e ordine
mentre il Pontefice si doveva occupare della vita ultraterrena dando degli
strumenti ai fedeli per permettergli una buona vita ultraterrena.
Dante Alighieri: la Commedia
∙ E’ un canone della letteratura italiana e anche un patrimonio dell’umanità.
I versi portano a interrogare il lettore e il proprio tempo, e l’opera in sé
non perde mai il suo significato.

∙ La Commedia è un poema diviso in 3 parti dette ‘cantiche’, per un totale


di 100 canti e di oltre 14.000 versi (ogni canto è costituito da 140 vv. c.ca):
 Inferno, che comprende 1 canto proemiale + 33 canti, (scritto tra il 1306-
14, diffuso dal ‘14);
 Purgatorio, che comprende 33 canti, (scritto tra 1306-15, diffuso prime
del ‘21)
 Paradiso, che comprende 33 canti, (scritto tra 1316-21, diffuso dopo il ‘21)

Dante spese gran parte della sua vita a quest’opera, praticamente dopo il
suo esilio.
Si diffuse velocemente e ottenne sempre più prestigio, e nonostante le
innumerevoli edizioni e stampe non si riuscì a trovare nessun manoscritto
con l’autografo di Dante.

∙ Il metro in cui è scritta la Commedia è la terzina incatenata o anche


chiamata terzina dantesca che è composta da tre endecasillabi che
seguono lo schema di rime ABA BCB CBC ecc., usato per la prima volta da
Dante.

∙ Il numero della Trinità e delle virtù teologali: terzine incatenate, tre


cantiche, tre regni, trentatré canti, tre guide, tre bocche di Lucifero. E
nove cerchi, nove cornici, nove cieli.

∙ Il nome Commedia è attribuito in particolare all’Inferno mentre il


Paradiso viene descritto come “sacrato poema” o “poema sacro”.
L’aggettivo “Divina” è stato dato da Boccaccio solo per il Paradiso, (“gli
mostrò dove fossero li tredici canti, li quali alla divina comedìa
mancavano”).
Il termine Commedia deriva dalla comedìa, un genere letterario greco in
cui l’inizio della storia è triste e il finale è spensierato.
- Nella Commedia, infatti, assistiamo al percorso che Dante (esempio di
uomo comune) fa dalle sofferenze dell’inferno alla beatitudine del
paradiso;
- Nell’opera ci sono più stili, si passa da uno “comico”, con delle
espressioni basse e con un realismo accentuato, ad uno “sublime”,
usato principalmente nel Paradiso.
Viene chiamato pluristilismo, cioè questo utilizzo di vari stili e si
parla anche di plurilinguismo, essendoci in ballo più dialetti o termini
di diverse lingue antiche.
- Ci sono tre Dante:
Dante autore, cioè l’autore in carne ed ossa, Dante narratore, cioè colui
che narra la storia e Dante personaggio colui che vive l’esperienza del
viaggio ultraterreno;

∙ La Commedia è la narrazione di un viaggio ultraterreno che inizia con


l’improvviso smarrimento di Dante in una “selva oscura”.
Egli non sa come uscire da quella situazione, soprattutto dopo che il suo
tentativo di salire su un colle rischiarato dal sole, è interrotto dalla
comparsa di tre fiere, una lonza, un leone e una lupa, che ostacolano il suo
cammino.
In soccorso giunge il poeta latino Virgilio, che convince
Dante a seguirlo attraverso l’Inferno e il Purgatorio per giungere al
Paradiso. Ha così inizio la discesa dei due nell’immensa voragine della
dannazione.

∙ Il viaggio si svolge in 8 giorni durante la primavera del 1300 (settimana


santa/aprile), anno particolare perché coincide con il Giubileo (completa
remissione dei peccati concessa dal papa ai fedeli che si rechino a Roma e
compiano particolari pratiche religiose) indetto da papa Bonifacio VIII per
il rinnovamento della cristianità.
Notte tra giovedì 7 e venerdì 8: Dante si smarrisce nella selva/ attraversa
l’inferno in due giorni/ne esce nella notte tra sabato 9 e domenica 10. Alba
del 10 comincia la salita al monte del Purgatorio e ne esce a mezzogiorno
di mercoledì 13 quando spicca il volo verso il Paradiso.
∙ La struttura dell’Inferno si basa su due
grandi modelli, uno è l’Eneide di Virgilio, l’altro
la Lettera ai Corinzi di San Polo, che dava una
precisa localizzazione.
Difatti l’Inferno si trova sotto Gerusalemme,
essendo il centro delle città abitate.
Ha la forma di un tronco di cono rovesciato,
nei bordi si trovano degli scalini che
permettono la discesa dei 9 cerchi, dove sono
puniti diversi peccati.
L’origine di questa forma è data dalla
battaglia tra Lucifero e Dio, che ha
comportato alla caduta di Lucifero sulla Terra:
quest’ultima si ritrasse essendo inorridita
dalla creatura, creando dalla parte opposta il
Purgatorio, cioè una montagna.

∙ Esso è diviso in tre parti vari gironi e cerchi:


- gli incontinenti, coloro che non furono capaci di frenare le loro
passioni, collocati nella parte alta dell’Inferno (tra il II e il V cerchio).
In ordine ci sono i lussuriosi, i golosi, gli avari e prodighi e infine gli
iracondi e accidiosi;
- i violenti, coloro che sovrastano la ragione con un furore bestiale,
collocati nella parte centrale dell’Inferno, nel VII cerchio che
anch’esso è diviso in tre gironi: ci sono i violenti contro il prossimo
(omicidi e pedoni), i violenti contro se stessi (suicidi e scialacquatori),
e i violenti contro Dio, la Natura e l’Arte (sodomiti, usurai e
bestemmiatori);
- i fraudolenti, coloro che ingannano, considerati malvagi perché usano
la ragione umana come strumento di inganno.
Sono collocati nella parte più bassa dell’Inferno, e sono divisi tra
ingannatori, barattieri, ladri, consiglieri fraudolenti e traditori (della
patria, degli ospiti, dei benefattori);
- Nell’ultimo cerchio c’è Lucifero che mastica Giuda, Bruto e Cassio.

∙ Da questa partizione restano esclusi i seguenti peccatori:


- Gli ignavi (coloro che non agirono mai né nel bene né nel male,
evitando di sostenere le proprie idee), collocati nel vestibolo
dell’Inferno o Antinferno;
- Coloro che furono buoni, ma non ebbero la vera fede e non furono
battezzati, puniti nel I cerchio (Limbo);
- Gli eretici, puniti nel VI cerchio.

∙ Il Purgatorio fu il luogo dove


abitavano Adamo ed Eva, quindi il
Paradiso Terrestre, tuttavia ora
veniva usato come luogo in cui le anime
dovevano “purgarsi” dai loro peccati.
Esso ha la forma di un monte che è
circondato dal mare e si trova
nell’emisfero opposto dell’inferno.

Essa è divisa in tre parti: c’è


l’Antipurgatorio dove espiano le loro
colpe gli scomunicati, coloro che
tardarono a pentirsi, i morti di morte
violenta, e i principi negligenti; le sette
cornici del Purgatorio vero e proprio che corrispondono a peccati capitali
(superbia, invidi, ira, accidia, avarizia e prodigalità, gola lussuria); e infine,
sulla cima del monte, il Paradiso terrestre dove l’umanità ha perduto la sua
innocenza originaria. Qui Dante metterà in scena il suo incontro con
Beatrice.

∙ Al Paradiso Dante attraversa il cielo,


che secondo la concezione medievale, è
diviso in 9 cerchi che ruotano attorno
alla Terra.
Ciascuno di essi è composto di materia
invisibile e rappresenta un Pianeta, che
riesce a ruotare grazie alla forza degli
angeli.
Ai nove cieli corrispondono 9 forme di beatitudine: Luna- mancanti ai voti
per ragioni indipendenti dalla loro volontà; Mercurio – spiriti attivi poiché
si distinsero nella vita attiva come la politica o il governo; Venere – spiriti
amanti che arsero di puro amore; Sole – spiriti sapienti; Marte – spiriti
combattenti per la fede; Giove – spiriti giusti/ che esercitarono la
giustizia; Saturno – spiriti contemplanti/ che si consacrarono alla vita
contemplativa; Stelle fisse – spiriti trionfanti (qui Dante assiste al trionfo
di Cristo e di Maria); primo mobile – gerarchie angeliche (quello da cui
trae origine il movimento dell’universo; qui Dante assiste alla visione dei
cori angelici).

∙ In realtà tutte le anime hanno sede


nell’Empireo ma, per permettere a Dante
di parlare con loro, Dio concede al poeta
i incontrarli nei diversi cieli a seconda
delle caratteristiche peculiari di
ciascuno di loro. Le anime si mostrano
come luci che formano simboli e figure
geometriche.
Il poeta giunge poi al paradiso vero e
proprio è il cielo Empireo, immateriale,
ove in una “candida rosa” vede raccolti
tutti i beati. A questo punto Beatrice
lascia il posto a Bernardo di Chiaravalle,
che guida Dante nell’ultima parte del
viaggio. Sostenuto infine dall’aiuto della
Vergine e dei beati riesce a giungere
alla visione di Dio.

∙ Anche se sono prive di


un corpo vero e proprio, le
anime descritte da Dante
sono in grado di godere e
di soffrire coi sensi, ma
soprattutto di apparire
sensibilmente dinanzi a lui
e dinanzi a noi, oltre che
di ricordare particolari
della loro vita passata (in
alcuni casi sono anzi in
grado di fare profezie
rispetto al futuro, ma
ignorano del tutto il presente). Per questo esse ci appaiono simili a ciò che
erano in vita, nella loro precisa individualità e identità (non sono anonime),
caratteristica che rappresenta una delle maggiori differenze tra la
Commedia e le precedenti visioni letterarie dell’oltretomba.

∙ La punizione dei dannati si suddivide in una punizione morale e in una


punizione fisica:
- la punizione morale, che accomuna tutti i dannati, consiste
nell’impossibilità definitiva di vedere Dio e di nutrire speranza per il
futuro (Virgilio a Dante: «“e trarrotti di qui per loco eterno; / ove
udirai le disperate strida, / vedrai li antichi spiriti dolenti, / che la
seconda morte ciascun grida”», Inf. I, 114-117; «“Lasciate ogne
speranza, voi ch’intrate”», Inf. III, v. 9);
- la punizione fisica è regolata dalla legge del contrappasso (che vale
anche per il Purgatorio; cfr. Inf. XXVIII, 142), cioè da un preciso
rapporto che commisura la “qualità” della colpa alla “qualità del
castigo”: può concretizzarsi nell’imposizione di una pena antitetica al
comportamento che il peccatore ha tenuto in vita (ad esempio gli
ignavi sono costretti a correre per l'eternità dietro ad un vessillo,
simbolo dell’ideale che essi non hanno mai perseguito in vita), oppure
di una pena analoga al suo comportamento (ad esempio, i lussuriosi,
che si sono lasciati travolgere dalla passione amorosa e ora sono
travolti da una bufera).

∙ Da punto di vista del genere letterario la Commedia può essere


considerata un poema didascalico, ovvero un testo in versi in cui l’autore si
propone di trasmettere al lettore un insegnamento (il termine ‘didascalico’
deriva infatti dal verbo greco ‘διδάσκω’ [didàsco] che significa ‘insegnare’).
Nel caso di Dante, egli sembra mosso dalla volontà di insegnare agli uomini
a ravvedersi dal peccato, mostrando con il proprio esempio come si possa
procedere da una condizione di peccato a una condizione di grazia, dal
male al bene, dall’errore al superamento dell’errore.

∙ Ma la Commedia è definita anche poema allegorico. Virgilio è la ragione


non illuminata dalla fede, Beatrice è allegoria della verità rivelata (o della
teologia), San Bernardo è un dottore della Chiesa fervente nella devozione
mariana dunque rappresenta la devozione cristiana, le anime
rappresentano tutta l’umanità.
Nell’epistola indirizzata a Cangrande della Scala, in cui figura la dedica
del paradiso al patrono veronese, vengono esposti il significato del titolo
Comedìa, il fine dell’opera, il genere a cui appartiene. Qui è Dante stesso a
parlare di significato letterale dell’opera (la condizione delle anime dopo
la morte) e quello allegorico (la vita umana, orientata dal libero arbitrio, è
esposta ai premo o ai castighi della giustizia divina).

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