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Dante Alighieri
Dante Alighieri
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È considerato il padre della lingua italiana; la sua fama è dovuta alla paternità
della Comedìa, divenuta celebre come Divina Commedia e universalmente considerata
la più grande opera scritta in lingua italiana e uno dei maggiori capolavori della
letteratura mondiale[5]. Espressione della cultura medievale, filtrata attraverso
la lirica del Dolce stil novo, la Commedia è anche veicolo allegorico della
salvezza umana, che si concretizza nel toccare i drammi dei dannati, le pene
purgatoriali e le glorie celesti, permettendo a Dante di offrire al lettore uno
spaccato di morale ed etica.
Indice
1 Biografia
1.1 Le origini
1.1.1 La data di nascita e il mito di Boccaccio
1.1.2 La famiglia paterna e materna
1.2 La formazione intellettuale
1.2.1 I primi studi e Brunetto Latini
1.2.2 Lo studio della filosofia
1.2.3 I presunti legami con Bologna e Parigi
1.2.4 La lirica volgare. Dante e l'incontro con Cavalcanti
1.3 Il matrimonio con Gemma Donati
1.4 Impegni politici e militari
1.4.1 Lo scontro con Bonifacio VIII (1300)
1.5 L'inizio dell'esilio (1301-1304)
1.5.1 Carlo di Valois e la caduta dei bianchi
1.5.2 I tentativi di rientro e la battaglia di Lastra (1304)
1.6 La prima fase dell'esilio (1304-1310)
1.6.1 Tra Forlì e la Lunigiana dei Malaspina
1.7 La discesa di Arrigo VII (1310-1313)
1.7.1 Il Ghibellin fuggiasco
1.8 Gli ultimi anni
1.8.1 Il soggiorno veronese (1313-1318)
1.8.2 Il soggiorno ravennate (1318-1321)
1.9 La morte e i funerali
2 Le spoglie mortali
2.1 Le "tombe" di Dante
2.2 Le travagliate vicende dei resti
2.3 Il vero volto di Dante
3 Il pensiero
3.1 Il ruolo del volgare e l'ottica "civile" della letteratura
3.2 La poetica
3.2.1 Il «plurilinguismo» dantesco
3.2.2 Lo Stilnovismo dantesco: tra biografismo e spiritualizzazione
3.2.3 Beatrice e la «donna angelo»
3.2.4 Dalle rime «amorose» a quelle «petrose»
3.3 Le fonti e i modelli letterari
3.3.1 Dante e il mondo classico
3.3.2 L'iconografia medievale
3.3.3 Dante tra cristianesimo e Islam
3.4 Il ruolo della filosofia nella produzione dantesca
3.4.1 Aristotele nella produzione poetica
3.4.2 Aristotele nella produzione sociopolitica
3.4.3 L'esoterismo dantesco
3.4.4 L'eresia dantesca
4 Opere
4.1 Il Fiore e Detto d'Amore
4.2 Le Rime
4.3 Vita Nova
4.4 Convivio
4.5 De vulgari eloquentia
4.6 De Monarchia
4.7 Commedia
4.8 Le Epistole e l'Epistola XIII a Cangrande della Scala
4.9 Egloghe
4.10 La Quaestio de aqua et terra
5 La fortuna in Italia e nel mondo
5.1 In Italia
5.2 Nel mondo
6 Dante nella cultura di massa
7 Discografia
8 Note
9 Bibliografia
10 Voci correlate
11 Altri progetti
12 Collegamenti esterni
Biografia
Le origini
La data di nascita e il mito di Boccaccio
Tuttavia, se sconosciuto è il giorno della sua nascita, certo invece è quello del
battesimo: il 27 marzo 1266, di Sabato santo.[12] Quel giorno vennero portati al
sacro fonte tutti i nati dell'anno per una solenne cerimonia collettiva. Dante
venne battezzato con il nome di Durante, poi sincopato in Dante, in ricordo di un
parente ghibellino[13]. Pregna di rimandi classici è la leggenda narrata da
Giovanni Boccaccio in Il Trattatello in laude di Dante riguardo alla nascita del
poeta: secondo Boccaccio, la madre di Dante, poco prima di darlo alla luce, ebbe
una visione e sognò di trovarsi sotto un alloro altissimo, in mezzo a un vasto
prato con una sorgente zampillante insieme al piccolo Dante appena partorito e di
vedere il bimbo tendere la piccola mano verso le fronde, mangiare le bacche e
trasformarsi in un magnifico pavone[14][15].
Luca Signorelli, Dante, affresco, 1499-1502, particolare tratto dalle Storie degli
ultimi giorni, cappella di San Brizio, Duomo di Orvieto
Dante apparteneva agli Alighieri, una famiglia di secondaria importanza all'interno
dell'élite sociale fiorentina che, negli ultimi due secoli, aveva raggiunto una
certa agiatezza economica. Benché Dante affermi che la sua famiglia discendesse
dagli antichi Romani[16], il parente più lontano di cui egli fa nome è il trisavolo
Cacciaguida degli Elisei[17], fiorentino vissuto intorno al 1100 e cavaliere nella
seconda crociata al seguito dell'imperatore Corrado III[18].
La formazione intellettuale
I primi studi e Brunetto Latini
L'educazione ufficiale era poi accompagnata dai contatti "informali" con gli
stimoli culturali provenienti ora da altolocati ambienti cittadini, ora dal
contatto diretto con viaggiatori e mercanti stranieri che importavano, in Toscana,
le novità filosofiche e letterarie dei rispettivi Paesi d'origine[30]. Dante ebbe
la fortuna di incontrare, negli anni ottanta, il politico ed erudito fiorentino Ser
Brunetto Latini, reduce da un lungo soggiorno in Francia sia come ambasciatore
della Repubblica, sia come esiliato politico[31]. L'effettiva influenza di Ser
Brunetto sul giovane Dante è stata oggetto di studio da parte di Francesco
Mazzoni[32] prima, e di Giorgio Inglese poi[33]. Entrambi i filologi, nei loro
studi, cercarono di inquadrare l'eredità dell'autore del Tresor sulla formazione
intellettuale del giovane concittadino. Dante, da parte sua, ricordò commosso la
figura del Latini nella Commedia, rimarcandone l'umanità e l'affetto ricevuto:
«[...] e or m'accora,
la cara e buona imagine paterna
di voi quando nel mondo ad ora ad ora
m'insegnavate come l'uom s'etterna [...]»
(Convivio, 12 7)
Dante, all'indomani della morte dell'amata Beatrice (in un periodo oscillante tra
il 1291 e il 1294/1295)[36], cominciò a raffinare la propria cultura filosofica
frequentando le scuole organizzate dai domenicani di Santa Maria Novella e dai
francescani di Santa Croce; se gli ultimi erano ereditari del pensiero di
Bonaventura da Bagnoregio, i primi erano ereditari della lezione aristotelico-
tomista di Tommaso d'Aquino, permettendo a Dante di approfondire (forse grazie
all'ascolto diretto del celebre studioso Fra' Remigio de' Girolami)[37] il Filosofo
per eccellenza della cultura medievale[38]. Inoltre, la lettura dei commenti di
intellettuali che si opponevano all'interpretazione tomista (quali l'arabo
Averroè), permise a Dante di adottare una sensibilità «polifonica
dell'aristotelismo»[39].
Giorgio Vasari, Sei poeti toscani (da destra: Cavalcanti, Dante, Boccaccio,
Petrarca, Cino da Pistoia e Guittone d'Arezzo), pittura a olio, 1544, conservata
presso il Minneapolis Institute of Art, Minneapolis. Considerato uno dei maggiori
lirici volgari del XIII secolo, Cavalcanti fu la guida e il primo interlocutore
poetico di Dante, quest'ultimo poco più giovane di lui.
Alcuni critici ritengono che Dante abbia soggiornato a Bologna[40]. Anche Giulio
Ferroni ritiene certa la presenza di Dante nella città felsinea: «Un memoriale
bolognese del notaio Enrichetto delle Querce attesta (in una forma linguistica
locale) il sonetto Non mi poriano già mai fare ammenda: la circostanza viene
considerata indizio pressoché certo di una presenza di Dante a Bologna anteriore a
questa data»[41]. Entrambi ritengono che Dante abbia studiato presso l'Università
di Bologna, ma non vi sono prove in proposito[42].
Invece è molto probabile che Dante soggiornasse a Bologna tra l'estate del 1286 e
quella del 1287, dove conobbe Bartolomeo da Bologna[43], alla cui interpretazione
teologica dell'Empireo Dante in parte aderisce. Riguardo al soggiorno parigino, ci
sono invece parecchi dubbi: in un passo del Paradiso, (Che, leggendo nel Vico de li
Strami, silogizzò invidïosi veri)[44], Dante alluderebbe alla Rue du Fouarre, dove
si svolgevano le lezioni della Sorbona. Questo ha fatto pensare a qualche
commentatore, in modo puramente congetturale, che Dante possa essersi realmente
recato a Parigi tra il 1309 e il 1310[45][46].
Dante si trovò nel pieno di questo dibattito letterario: nelle sue prime opere è
evidente il legame (seppur tenue)[48] sia con la poesia toscana di Guittone e di
Bonagiunta[49], sia con quella più schiettamente occitana[50]. Presto, però, il
giovane si legò ai dettami della poetica stilnovista, cambiamento favorito
dall'amicizia che lo legava al più anziano Cavalcanti[51].
Il matrimonio tra i due non dovette essere molto felice, secondo la tradizione
raccolta dal Boccaccio e fatta propria poi nell'Ottocento da Vittorio Imbriani[53].
Dante non scrisse infatti un solo verso alla moglie, mentre di costei non ci sono
pervenute notizie sull'effettiva presenza al fianco del marito durante l'esilio.
Comunque sia, l'unione generò due figli e una figlia: Jacopo, Pietro, Antonia e un
possibile quarto, Giovanni[52][54]. Dei tre certi, Pietro fu giudice a Verona e
l'unico che continuò la stirpe degli Alighieri, in quanto Jacopo scelse di seguire
la carriera ecclesiastica, mentre Antonia divenne monaca con il nome di Sorella
Beatrice, sembra nel convento delle Olivetane a Ravenna[52].
Giovanni Villani, Corso Donati fa liberare dei prigionieri, in Cronaca, XIV secolo.
Corso Donati, esponente di punta dei Neri, fu acerrimo nemico di Dante, il quale
lancerà contro di lui violenti attacchi nei suoi scritti[55].
Poco dopo il matrimonio, Dante cominciò a partecipare come cavaliere ad alcune
campagne militari che Firenze stava conducendo contro i suoi nemici esterni, tra
cui Arezzo (battaglia di Campaldino dell'11 giugno 1289) e Pisa (presa di Caprona,
16 agosto 1289)[28]. Successivamente, nel 1294, avrebbe fatto parte della
delegazione di cavalieri che scortò Carlo Martello d'Angiò (figlio di Carlo II
d'Angiò) che nel frattempo si trovava a Firenze[56]. L'attività politica prese
Dante a partire dai primi anni 1290, in un periodo quanto mai convulso per la
Repubblica. Nel 1293 entrarono in vigore gli Ordinamenti di Giustizia di Giano
Della Bella, che escludevano l'antica nobiltà dalla politica e permettevano al ceto
borghese di ottenere ruoli nella Repubblica, purché iscritti a un'Arte. Dante, in
quanto nobile, fu escluso dalla politica cittadina fino al 6 luglio del 1295,
quando furono promulgati i Temperamenti, leggi che ridiedero diritto ai nobili di
rivestire ruoli istituzionali, purché si immatricolassero alle Arti[28]. Dante,
pertanto, si iscrisse all'Arte dei Medici e Speziali[57].
L'esatta serie dei suoi incarichi politici non è conosciuta, poiché i verbali delle
assemblee sono andati perduti. Comunque, attraverso altre fonti, si è potuta
ricostruire buona parte della sua attività: fu nel Consiglio del popolo dal
novembre 1295 all'aprile 1296[58]; fu nel gruppo dei "Savi", che nel dicembre 1296
rinnovarono le norme per l'elezione dei priori, i massimi rappresentanti di
ciascuna Arte che avrebbero occupato, per un bimestre, il ruolo istituzionale più
importante della Repubblica; dal maggio al dicembre del 1296 fece parte del
Consiglio dei Cento[58]. Fu inviato talvolta nella veste di ambasciatore, come nel
maggio del 1300 a San Gimignano[59]. Nel frattempo, all'interno del partito guelfo
fiorentino si produsse una frattura gravissima tra il gruppo capeggiato dai Donati,
fautori di una politica conservatrice e aristocratica (guelfi neri), e quello
invece fautore di una politica moderatamente popolare (guelfi bianchi), capeggiato
dalla famiglia Cerchi[60]. La scissione, dovuta anche a motivi di carattere
politico ed economico (i Donati, esponenti dell'antica nobiltà, erano stati
surclassati in potenza dai Cerchi, considerati dai primi dei parvenu)[60], generò
una guerra intestina cui Dante non si sottrasse schierandosi, moderatamente, dalla
parte dei guelfi bianchi[58].
Arnolfo di Cambio, statua di Bonifacio VIII, 1298 ca, conservato presso il Museo
dell'Opera del Duomo, Firenze
Nell'anno 1300, Dante fu eletto uno dei sette priori per il bimestre 15 giugno-15
agosto[58][61]. Nonostante l'appartenenza al partito guelfo, egli cercò sempre di
osteggiare le ingerenze del suo acerrimo nemico papa Bonifacio VIII, dal poeta
intravisto come supremo emblema della decadenza morale della Chiesa. Con l'arrivo
del cardinale Matteo d'Acquasparta, inviato dal pontefice in qualità di paciere (ma
in realtà spedito per ridimensionare la potenza dei guelfi bianchi, in quel periodo
in piena ascesa sui neri)[62], Dante riuscì ad ostacolare il suo operato. Sempre
durante il suo priorato, Dante approvò il grave provvedimento con cui furono
esiliati, nel tentativo di riportare la pace all'interno dello Stato, otto
esponenti dei guelfi neri e sette di quelli bianchi, compreso Guido Cavalcanti[63]
che di lì a poco morirà in Sarzana. Questo provvedimento ebbe serie ripercussioni
sugli sviluppi degli eventi futuri: non solo si rivelò una disposizione inutile (i
guelfi neri temporeggiarono prima di partire per l'Umbria, il posto destinato al
loro confino)[64], ma fece rischiare un colpo di Stato da parte dei guelfi neri
stessi, grazie al segreto supporto del cardinale d'Acquasparta[64]. Inoltre, il
provvedimento attirò sui suoi fautori (incluso Dante stesso) sia l'odio della parte
nera che la diffidenza degli "amici" bianchi: i primi, ovviamente, per la ferita
inferta; i secondi, per il colpo dato al loro partito da parte di un suo stesso
membro. Nel frattempo, le relazioni tra Bonifacio e il governo dei bianchi
peggiorarono ulteriormente a partire dal mese di settembre, allorché i nuovi priori
(succeduti al collegio di cui fece parte Dante) revocarono immediatamente il bando
per i bianchi[64], mostrando la loro partigianeria e dando così al legato papale
cardinale d'Acquasparta modo di scagliare l'anatema su Firenze[64]. Con l'invio di
Carlo di Valois a Firenze, mandato dal papa come nuovo paciere (ma di fatto
conquistatore) al posto del cardinale d'Acquasparta, la Repubblica spedì a Roma,
nel tentativo di distogliere il papa dalle sue mire egemoniche, un'ambasceria di
cui faceva parte essenziale anche Dante, accompagnato da Maso Minerbetti e da
Corazza da Signa[62].
Tommaso da Modena, Benedetto XI, affresco, anni '50 del XIV secolo, Sala del
Capitolo, Seminario di Treviso. Il beato papa Boccasini, trevigiano, nel suo breve
pontificato cercò di riportare la pace all'interno di Firenze, inviando il
cardinale Niccolò da Prato come paciere. È l'unico pontefice su cui Dante non
proferì alcuna condanna, ma neanche verso il quale manifestò pieno apprezzamento,
tanto da non comparire nella Commedia[65].
Dante si trovava quindi a Roma[66], sembra trattenuto oltre misura da Bonifacio
VIII, quando Carlo di Valois, al primo subbuglio cittadino, prese pretesto per
mettere a ferro e fuoco Firenze con un colpo di mano. Il 9 novembre 1301 i
conquistatori imposero come podestà Cante Gabrielli da Gubbio[67], il quale
apparteneva alla fazione dei guelfi neri della sua città natia e quindi diede
inizio a una politica di sistematica persecuzione degli esponenti politici di parte
bianca ostili al papa, fatto che si risolse alla fine nella loro uccisione o
nell'espulsione da Firenze. Con due condanne successive, quella del 27 gennaio e
quella del 10 marzo 1302[58], che colpirono inoltre numerosi esponenti delle
famiglie dei Cerchi, il poeta fu condannato, in contumacia, al rogo e alla
distruzione delle case. Da quel momento, Dante non rivide più la sua patria.
«Alighieri Dante è condannato per baratteria, frode, falsità, dolo, malizia, inique
pratiche estortive, proventi illeciti, pederastia, e lo si condanna a 5000 fiorini
di multa, interdizione perpetua dai pubblici uffici, esilio perpetuo (in
contumacia), e se lo si prende, al rogo, così che muoia”»
Nel 1307[78], dopo aver lasciato la Lunigiana, Dante si trasferì nel Casentino,
dove fu ospite dei conti Guidi, conti di Battifolle e signori di Poppi, presso i
quali iniziò a stendere la cantica dell'Inferno[46].
[...]
Andrea Pierini, Dante legge la Divina Commedia alla corte di Guido Novello, 1850,
dipinto a olio, Palazzo Pitti-Galleria D'Arte Moderna, Firenze
Dante, per motivi ancora sconosciuti, si allontanò da Verona per approdare, nel
1318, a Ravenna, presso la corte di Guido Novello da Polenta. I critici hanno
cercato di comprendere le cause dell'allontanamento di Dante dalla città scaligera,
visti gli ottimi rapporti che intercorrevano tra Dante e Cangrande. Augusto Torre
ipotizzò una missione politica a Ravenna, affidatagli dallo stesso suo
protettore[88]; altri pongono le cause in una crisi momentanea tra Dante e
Cangrande, oppure nell'attrattiva di far parte di una corte di letterati tra i
quali il signore stesso (cioè Guido Novello), che si professava tale[89]. Tuttavia,
i rapporti con Verona non cessarono del tutto, come testimoniato dalla presenza di
Dante nella città veneta il 20 gennaio 1320, per discutere la Quaestio de aqua et
terra, l'ultima sua opera latina[90].
Gli ultimi tre anni di vita trascorsero relativamente tranquilli nella città
romagnola, durante i quali Dante creò un cenacolo letterario frequentato dai figli
Pietro e Jacopo[91][92] e da alcuni giovani letterati locali, tra i quali Pieraccio
Tedaldi e Giovanni Quirini[93]. Per conto del signore di Ravenna svolse occasionali
ambascerie politiche[94], come quella che lo condusse a Venezia. All'epoca, la
città lagunare era in attrito con Guido Novello a causa di attacchi continui alle
sue navi da parte delle galee ravennati[95] e il doge, infuriato, si alleò con
Forlì per muovere guerra a Guido Novello; questi, ben sapendo di non disporre dei
mezzi necessari per fronteggiare tale invasione, chiese a Dante di intercedere per
lui davanti al Senato veneziano. Gli studiosi si sono domandati perché Guido
Novello avesse pensato proprio all'ultracinquantenne poeta come suo rappresentante:
alcuni ritengono che sia stato scelto Dante per quella missione in quanto amico
degli Ordelaffi, signori di Forlì, e quindi in grado di trovare più facilmente una
via per comporre le divergenze in campo[96].
La morte e i funerali
L'ambasceria di Dante sortì un buon effetto per la sicurezza di Ravenna, ma fu
fatale al poeta che, di ritorno dalla città lagunare, contrasse la malaria mentre
passava dalle paludose Valli di Comacchio[78]. Le febbri portarono velocemente il
poeta cinquantaseienne alla morte, che avvenne a Ravenna nella notte tra il 13 e il
14 settembre 1321[78][97]. I funerali, in pompa magna, furono officiati nella
chiesa di San Pier Maggiore (oggi San Francesco) a Ravenna, alla presenza delle
massime autorità cittadine e dei figli[98]. La morte improvvisa di Dante suscitò
ampio rammarico nel mondo letterario, come dimostrato da Cino da Pistoia nella sua
canzone Su per la costa, Amor, de l'alto monte[99].
Le spoglie mortali
Le "tombe" di Dante
(IT)
«I diritti della monarchia, gli dei superni e le paludi del Flegetonte visitando
cantai, finché volle il destino. Poiché però l'anima andò ospite in luoghi migliori
e più beata raggiunse tra le stelle il suo Creatore, qui sono racchiuso io Dante,
esule dalla patria terra, che generò Firenze, madre di poco amore.»
Gli studi compiuti dagli antropologi, però, smentirono gran parte della letteratura
artistica dantesca nel corso dei secoli. Nel 1921, in occasione del seicentenario
della morte di Dante, l'antropologo dell'Università di Bologna Fabio Frassetto fu
autorizzato dalle autorità a studiare il cranio del poeta, risultato mancante della
mandibola[111]. Nonostante i mezzi dell'epoca e un risultato di indagine non
pienamente soddisfacente, Frassetto può già dedurre che il volto "psicologico"
tramandatoci nel corso dei secoli non corrisponde a quello "fisico". Difatti, nel
2007, grazie a una squadra guidata da Giorgio Gruppioni, antropologo sempre
dell'Università di Bologna, si riuscì a realizzare un volto i cui tratti somatici
corrisponderebbero al 95% a quello reale[111]. Partendo dal cranio ricostruito da
Frassetto, il volto reale di Dante è risultato (grazie al contributo del biologo
dell'Università di Pisa Francesco Mallegni e dello scultore Gabriele Mallegni)[112]
sicuramente non bello, ma privo di quel naso aquilino così accentuato dagli artisti
di età rinascimentale e molto più vicino a quello, risalente pochi anni dopo la
morte del poeta, di scuola giottesca.
Il pensiero
Andrea del Castagno, Dante Alighieri, ne Ciclo degli uomini e donne illustri,
affresco, tra il 1448 e il 1451, Galleria degli Uffizi, Firenze
Il ruolo del volgare e l'ottica "civile" della letteratura
Il ruolo della lingua volgare, definita da Dante nel De Vulgari come Hec est nostra
vera prima locutio[113] («il nostro primo vero linguaggio», nella traduzione
italiana)[114], fu fondamentale per lo sviluppo del suo programma letterario. Con
Dante, infatti, il volgare assunse lo stato di lingua colta e letteraria, grazie
alla ferrea volontà, da parte del poeta fiorentino, di trovare un veicolo
linguistico comune tra gli italiani, perlomeno tra i governanti[115]. Egli, nei
primi passi del De Vulgari, esporrà chiaramente la sua predilezione per la lingua
colloquiale e materna rispetto a quella latina, finta e artificiale:
(LA)
«Harum quoque duarum nobilior est vulgaris: tum quia prima fuit humano generi
usitata; tum quia totus orbis ipsa perfruitur, licet in diversas prolationes et
vocabula sit divisa; tum quia naturalis est nobis, cum illa potius artificialis
existat.»
(IT)
«La più nobile di queste due lingue è il volgare, sia perché fu la prima a essere
usata dal genere umano, sia perché tutto il mondo ne fruisce (pur nelle diversità
di pronuncia e di vocabolario che la dividono), sia perché ci è naturale, mentre
l’altra è piuttosto artificiale.»
(Convivio, I, 10)
Alla scelta di Dante di utilizzare la lingua volgare per scrivere alcune delle sue
opere possono avere influito notevolmente le opere di Andrea da Grosseto, letterato
del Duecento che utilizzava la lingua volgare da lui parlata, il dialetto
grossetano dell'epoca, per la traduzione di opere prosaiche in latino, come i
trattati di Albertano da Brescia[116].
La poetica
Il «plurilinguismo» dantesco
(Ferroni, p. 28)
Henry Holiday, Dante incontra Beatrice al ponte Santa Trinita, dipinto a olio,
1883, Walker Art Gallery, Liverpool
«L'amore per la bella fanciulla involta di drappo sanguigno, ch'egli chiama
Beatrice, ha tutt'i caratteri di un primo amore giovanile, nella sua purezza e
verginità, più nell'immaginazione che nel cuore. Beatrice è più simile a sogno, a
fantasma, a ideale celeste che a realtà distinta e che procura effetti proprii. Uno
sguardo, un saluto è tutta la storia di questo amore. Beatrice morì angiolo, prima
che fosse donna, e l'amore non ebbe tempo di divenire una passione, come si direbbe
oggi, rimase un sogno ed un sospiro.»
Così De Sanctis, padre della storiografia letteraria italiana, scrisse sulla donna
amata dal poeta, Beatrice. Benché si cerchi tutt'oggi di comprendere in che cosa
consistesse realmente, per Dante, l'amore nei confronti di Beatrice Portinari
(presunta identificazione storica della Beatrice della Vita Nova), si può solo
concludere con certezza l'importanza che tale amore ebbe per la cultura letteraria
italiana. È nel nome di questo amore che Dante ha dato la sua impronta al Dolce
stil novo, aprendo la sua "seconda fase poetica" (in cui manifesta la sua piena
originalità rispetto ai modelli passati)[125] e conducendo i poeti e gli scrittori
a scoprire i temi dell'amore in un modo mai così enfatizzato prima. L'amore per
Beatrice (come in modo differente Francesco Petrarca mostrerà per la sua Laura)
sarà il punto di partenza per la formulazione del suo manifesto poetico, nuova
concezione dell'amor cortese sublimato dalla sua intensa sensibilità religiosa (il
culto mariano con le laudi arrivato a Dante attraverso le correnti pauperistiche
del Duecento, dai Francescani in poi) e, pertanto, privata degli elementi sensuali
e carnali tipici della lirica provenzale. Tale formulazione poetica, culminata con
la poesia della lode[126], approderà, dopo la morte della Beatrice "terrena", alla
ricerca filosofica prima (la Donna pietosa) e a quella teologica poi (l'apparizione
in sogno di Beatrice che spinge Dante a ritornare a lei dopo il traviamento
filosofico, critica che si farà più dura in Purgatorio, XXX)[127]. Tale
allegorizzazione dell'amata, intesa come veicolo di salvezza, segna definitivamente
il distacco dalla tematica amorosa e spinge Dante verso la vera sapienza, cioè luce
abbacinante e impenetrabile che avvolge Dio nel Paradiso. Beatrice si conferma,
pertanto, in quel ruolo salvifico tipico degli angeli, che reca non solo all'amato,
ma a tutti gli uomini quella beatitudine di cui si accennava prima[128].
(Guglielmino-Grosser, p. 151)
Rafael Flores, Dante y Virgilio visitando el Infierno, pittura a olio, 1855, Museo
nacional de arte, Città del Messico
Dante e il mondo classico
(Inferno, If I, 82-87)
L'iconografia medievale
Dante fu influenzato moltissimo dal mondo che lo circondava, traendo spunto sia
dalla dimensione artistica in senso stretto (busti, bassorilievi e affreschi
presenti nelle chiese), sia da quanto poteva vedere nella sua vita quotidiana.
Barbara Reynolds riporta di come
Un esempio concreto lo troviamo nel concetto islamico di spirito della vita (rūh al
hayāh) che è considerato come "aria" che esce dalla cavità del cuore. Dante a tal
proposito scrive: «...spirito della vita, lo quale dimora nella secretissima camera
de lo cuore»[142].
L'esoterismo dantesco
Diversi autori hanno trattato gli aspetti esoterici delle opere di Dante forse
determinati dall'ormai accertata adesione alla setta dei Fedeli d'Amore. Lo schema
e i contenuti stessi della Divina Commedia farebbero emergere chiari riferimenti.
Sotto questo aspetto sono di notevole importanza il lavoro di Guenon, L'esoterismo
di Dante e il testo di Luigi Valli, Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli
d'Amore[150][151].
L'eresia dantesca
A partire dal XIX secolo diversi autori hanno sostenuto la tesi che Dante potesse
essere stato un cristiano eretico. Tra questi Ugo Foscolo[152], Gabriele
Rossetti[153] e Eugène Aroux[154]. Più recentemente Maria Soresina ha avanzato
l'ipotesi che fosse il catarismo l'eresia dantesca[155].
Opere
Il Fiore e Detto d'Amore
Le Rime
Dante Gabriel Rossetti, Beata Beatrix, dipinto a olio, 1872, Chicago Art Institute
Le Rime sono una raccolta messa insieme e ordinata da moderni editori, che riunisce
il complesso della produzione lirica dantesca dalle prove giovanili a quelle
dell'età matura (le prime sono datate intorno al 1284)[92] divise tra Rime
giovanili e Rime dell'esilio per distinguere due gruppi di liriche assai distanti
per il tono e gli argomenti affrontati. Le Rime giovanili comprendono componimenti
che riflettono le varie tendenze della lirica cortese del tempo, quella
guittoniana, quella guinizelliana e quella cavalcantiana, passando da tematiche
amorose a giocose tenzoni dallo sfondo velatamente erotico-giocoso con Forese
Donati e con Dante da Maiano.
Vita Nova
Convivio
De vulgari eloquentia
illustre (in quanto luminoso e quindi capace di dare lustro a chi ne fa uso nello
scritto);
cardinale (tale che intorno a esso ruotassero come una porta intorno al cardine, i
volgari regionali);
aulico (reso nobile dal suo uso dotto, tale da esser parlato nella reggia);
curiale (come linguaggio delle corti italiane, e da essere adoperato negli atti
politici di un sovrano).
Con tali termini intendeva l'assoluta dignità del volgare anche come lingua
letteraria, non più come lingua esclusivamente popolare. Dopo avere ammesso la
grande dignità del siciliano illustre, la prima lingua letteraria assunta a dignità
nazionale, passa in rassegna tutti gli altri volgari italiani trovando nell'uno
alcune, nell'altro altre delle qualità che sommate dovrebbero costituire la lingua
italiana. Dante vede nell'italiano la panthera redolens dei bestiari medievali,
animale che attrae la sua preda (qui lo scrittore) con il suo irresistibile
profumo, che Dante sente in tutti i volgari regionali, e in particolare nel
siciliano, senza però riuscire mai a vederla materializzarsi[163]: manca in effetti
ancora una lingua italiana utilizzabile in tutti i suoi registri, da tutti gli
strati della popolazione della penisola italica. Per farla riapparire era dunque
necessario attingere alle opere dei letterati italiani finora apparsi, cercando
così di delineare un canone linguistico e letterario comune[164].
De Monarchia
Commedia
Domenico di Michelino, Dante ed i tre regni, 1465, Firenze, Santa Maria del Fiore
La Comedìa — titolo originale dell'opera: successivamente Giovanni Boccaccio
attribuì l'aggettivo "Divina" al poema dantesco[167] — è il capolavoro del poeta
fiorentino ed è considerata la più importante testimonianza letteraria della
civiltà medievale nonché una delle più grandi opere della letteratura
universale[168]. Viene definita "comedia" in quanto scritta in stile "comico",
ovvero non aulico. Un'altra interpretazione si fonda sul fatto che il poema inizia
da situazioni piene di dolore e paura e finisce con la pace e la sublimità della
visione di Dio. Dante iniziò a lavorare all'opera intorno al 1300 (anno giubilare,
tanto che egli data al 7 aprile di quell'anno il suo viaggio nella selva oscura) e
la continuò nel resto della vita, pubblicando le cantiche man mano che le
completava[169]. Si hanno notizie di copie manoscritte dell'Inferno intorno al
1313, mentre il Purgatorio fu pubblicato nei due anni successivi. Il Paradiso,
iniziato forse nel 1316, fu pubblicato man mano che si completavano i canti negli
ultimi anni di vita del poeta. Il poema è diviso in tre libri o cantiche, ciascuno
formato da 33 canti (tranne l'Inferno che ne presenta 34, poiché il primo funge da
proemio all'intero poema) e a cui corrispondono i tre stili della Rota
Vergilii[170]; ogni canto si compone di terzine di endecasillabi (la terzina
dantesca).
Egloghe
Jacopo da Ponte, Ritratto del cardinale Pietro Bembo. La posizione bembiana segnò
un punto di svolta negativo per la produzione dantesca
Dante ebbe una risonanza e una fama pressoché immediata in Italia. Già a partire
dalla seconda metà del XIV secolo, il Boccaccio iniziò una vera e propria
diffusione del culto dantesco, culminata prima nella composizione del Trattatello
in laude di Dante e poi nelle Esposizioni sopra la commedia[177]. L'eredità del
Boccaccio fu raccolta, durante la fase del primo umanesimo, dal cancelliere della
Repubblica Fiorentina Leonardo Bruni, che compose la Vita di Dante Alighieri (1436)
e che contribuì al perdurare del mito dantesco nelle generazioni dei letterati
(Agnolo Poliziano, Lorenzo de' Medici e Luigi Pulci) e degli artisti (Sandro
Botticelli) fiorentini della seconda metà del Quattrocento[178]. La parabola
dantesca cominciò tuttavia a scemare a partire dal 1525, allorché il cardinale
Pietro Bembo, nelle Prose della volgar lingua, stabilì la superiorità del Petrarca
in campo poetico e del Boccaccio per la prosa. Tale canone escluderà il Dante della
Commedia in quanto difficile imitatore, determinandone un declino (nonostante le
appassionate difese di Michelangelo prima e di Giambattista Vico poi) che perdurerà
per tutto il Seicento e il Settecento, a causa anche della messa all'Indice del De
Monarchia. Solamente con l'età romantica e risorgimentale[179] Dante riacquisì un
ruolo di primo piano in quanto simbolo dell'italianità e della solitudine propria
dell'eroe romantico. L'alto valore letterario della Commedia, consacrato da De
Sanctis nella sua Storia della letteratura italiana e riconfermato poi da Carducci,
Pascoli e Benedetto Croce, troverà nel XX secolo[180] appassionati studiosi e
cultori in Gianfranco Contini, Umberto Bosco, Natalino Sapegno, Giorgio Petrocchi,
Maria Corti e, negli ultimi anni, in Marco Santagata.
Sempre nel Novecento e nel Duemila, vari pontefici hanno dedicato pensieri di stima
per l'Alighieri: Benedetto XV, Paolo VI, Giovanni Paolo II l'hanno ricordato per il
suo altissimo valore artistico morale; Benedetto XVI per la finezza teologica; papa
Francesco per il valore soteriologico della Commedia[181][182][183][184][185][186].
Nel mondo
Eugène Delacroix, La barca di Dante, olio su tela, 1822, Museo del Louvre, Parigi
Tra il Quattrocento e il XXI secolo, Dante conobbe fasi alterne nei restanti Paesi
del mondo, influenzati da fattori storici e culturali a seconda delle regioni
geografiche di appartenenza:
Estimatore della Vita Nova, Ralph Waldo Emerson fece conoscere il nome di Dante
negli Stati Uniti d'America
Francia[189]: a parte alcuni codici di Christine de Pizan, Dante non fu conosciuto
approfonditamente in Francia fino alla discesa, nel 1494, di Carlo VIII. Sotto
Francesco I, Dante si diffuse grazie anche alla cosiddetta Scuola lionese, fondata
da mercanti italiani che esportarono d'oltralpe la Commedia. Le successive critiche
bembiane e il diffondersi del petrarchismo oscurarono la fama di Dante in terra di
Francia, cosa che fu favorita dai poeti de La Pléiade e dal classicismo francese
sotto Luigi XIV. Aspramente criticato poi da Voltaire, Dante riconobbe un certo
successo nel XIX secolo grazie alle lezioni tenute da Claude Fauriel e da Abel-
François Villemain.
Germania[190]: la Germania conobbe, come la Francia, relativamente tardi Dante.
L'interesse per il Sommo Poeta, al contrario delle altre nazioni europee, toccò
però un vero e proprio culmine nel corso della riforma protestante, per via dei
contenuti polemici anticlericali presenti nel De Monarchia. Il Dante della Commedia
fu scoperto solo in età Romantica grazie a August Wilhelm von Schlegel, ai filosofi
Friedrich Schelling e Hegel e al filologo Karl Witte.
Spagna[191]: precoce fu invece la conoscenza di Dante in Spagna grazie a opere,
datate tra il XIV e il XV secolo, quali il Cancionero de Baena e Enrique de Aragón.
La Spagna, esponente di spicco della controriforma, condannò violentemente
l'anticlericalismo dantesco, determinandone un vero e proprio eclissamento che
perdurò fino al 1829, con l'arrivo del Romanticismo. Fondamentali risultarono le
traduzioni della Commedia in prosa ad opera di Miguel Aranda y Sanjuán (1868) e in
versi del Conde de Cheste (1879).
Americhe[192]: già nel corso del XIX secolo, lo statunitense Ralph Waldo Emerson
importò sul suolo americano la Vita Nova, decretando un interesse sempre maggiore
nella letteratura americana grazie a Ezra Pound ed Henry Miller. Nel mondo
ispanofono, invece, si segnala il culto che l'argentino Jorge Luis Borges ha
manifestato per la Commedia.
Dante nella cultura di massa
Nel 2020 la Repubblica Italiana ha stabilito il 25 marzo quale data per commemorare
annualmente la figura di Dante; tale giornata nazionale è stata denominata
Dantedì[202]. Nel 2022 è uscito nelle sale italiane invece Dante di Pupi Avati,
film in cui Giovanni Boccaccio, in viaggio verso Ravenna per donare 10 fiorini
d'oro alla figlia del Sommo Poeta suor Beatrice, incontra gli ultimi sopravvissuti
che hanno conosciuto di persona Dante. Il film, strutturalmente, si basa su due
filoni narrativi: il viaggio di Boccaccio da un lato e la rievocazione di episodi
della vita di Dante dall'altra[203]. Tra il 2021 e il 2023 l'Istituto Poligrafico e
Zecca di Stato ha emesso tre monete dedicate a Dante, raffiguranti simbolicamente i
tre canti della Divina Commedia.
Discografia
La musica della Commedia Ensemble San Felice direttore Federico Bardazzi Classic
Voice - Antiqua 2015
Note
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dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 5 aprile 2016.
^ Guglielmo Gorni, Dante: Storia di un visionario, Laterza, 2011.
^ Alessandro Barbero, Alighieri Durante, detto Dante, Rai Storia, a 9 min 04 s. URL
consultato il 14 settembre 2021.
Contini 1970, pp. 895-901
«l'Alighieri era per solito designato con l'ipocorismo 'Dante' (unicamente in un
atto del 1343, rogato in favore del figlio Iacopo, il defunto padre è denominato
"Durante, ol. vocatus Dante, cd. Alagherii")»
^ D'Addario 1960.
^ Andrea Mazzucchi, I genitori, su internetculturale.it, Internet culturale, 2012.
URL consultato il 3 giugno 2015 (archiviato dall'url originale il 24 settembre
2015).
^ LXXIV, su it.wikisource.org.
^ Dante, "il padre Alighiero di Bellincione era un usuraio: la prova in due
pergamene", su Il Fatto Quotidiano, 1º febbraio 2017. URL consultato il 2 febbraio
2017.
^ Reynolds, p. 15.
^ Bella è diminutivo per Gabriella.
Petrocchi, p. 12.
Ferroni, p. 4.
^ Di Marco, p. 56.
Petrocchi, p. 13.
^ Andrea Mazzucchi, Brunetto Latini, su internetculturale.it, Internet culturale,
2012. URL consultato il 3 giugno 2015 (archiviato dall'url originale il 24
settembre 2015).
^ Mazzoni.
^ Inglese.
^ L'ultimo verso, infatti, ricorda molto il Somnium Scipionis di Cicerone, ove gli
uomini resisi illustri per i loro meriti civili trovano finalmente pace in una
sorta di "paradiso", eternandosi (come dice appunto Dante).
^ Bosco-Reggio, p. 248, nota 85
«Gloria dona al prode uomo una seconda vita, cioè a dir che, dopo la sua morte, la
nominanza che riman di sue opere buone mostra che egli sia ancora in vita»
^ «Ma quale giorno? Il Boccaccio e i codici del cosiddetto "gruppo del Cento" non
esitano al riguardo: il 14 settembre: "nel dì che la esaltazione della Santa Croce
si celebra dalla Chiesa", dice il Boccaccio. Invece gli epitafi [sic] di Giovanni
del Virgilio (Theologus Dantes) e di Meneghino Mezzani (Inclita fama) danno la data
del 13 settembre». (Petrocchi, p. 222).
^ VI centenario dantesco, p. 6.
^ Andrea Mazzucchelli, La morte e le celebrazioni funebri, su internetculturale.it,
Internet Culturale. URL consultato il 20 maggio 2015 (archiviato dall'url originale
il 13 maggio 2015).
VI centenario dantesco, p. 7.
^ Bencivenni Pelli, p. 148.
^ «La diffusione della biografia di Boccaccio sortì i suoi effetti. Nel 1373 i
cittadini di Firenze avanzarono istanza ai priori per l'organizzazione di una serie
di pubbliche lezioni sulla Commedia» (Reynolds, p. 430).
^ Tettoni-Saladini, Allighieri.
Toni di Rossi, Ravenna - Tomba di Dante, su tonidirossi.it. URL consultato il 18
maggio 2015.
^ Basilica di San Francesco, su turismo.ra.it, Ravenna. Turismo e cultura, 3 giugno
2015. URL consultato il 4 giugno 2015.
«L'attuale denominazione si deve ai frati minori francescani che, tra il 1261 e il
1810, e poi di nuovo tra il 1949 sino a oggi, la scelsero come loro sede.»
^ La morte di Dante e il giallo delle sue spoglie, su foliamagazine.it, Folia. URL
consultato il 4 giugno 2015.
«Al suo interno si trovavano ossa “ben conservate, consistenti, non rose da tarli
di colore rosso scuro, e quasi in numero da completare uno scheletro” (secondo le
parole di Primo Uccellini, autore della Relazione storica sulla avventurosa
scoperta delle ossa di Dante Alighieri, 1865)»
La morte di Dante e il giallo delle sue spoglie, su foliamagazine.it, Folia. URL
consultato il 4 giugno 2015.
^ Marconi: «Giovanni Boccaccio, nella vita di Dante, racconta che Guido Novello
aveva bandito un concorso per l'epigrafe sulla nuova tomba di Dante che egli aveva
intenzione di far erigere; in questa occasione appunto il C. avrebbe composto
l'esastico "Iura monarchiae" fatto incidere da lui intorno al 1357, dopo la morte
di Guido Novello, sul vecchio sepolcro».
^ Ludovico Frati e Corrado Ricci, Il sepolcro di Dante. Documenti raccolti,
Bologna, Stab. tip. succ. Monti, 1889, p. 4.
^ Mara Amorevoli, Ma quale naso aquilino ecco il vero viso di Dante, in la
Repubblica.it, 8 marzo 2005. URL consultato il 24 maggio 2015 (archiviato dall'url
originale il 24 maggio 2015).
Cinzia dal Maso, Più dolce, ecco il vero volto di Dante. Via il profilo spigoloso
del Sommo Poeta, in La Repubblica.it, 11 gennaio 2007. URL consultato il 24 maggio
2015.
^ Giorgio Grupponi, Ricostruzione del volto di Dante, su ilgiornale.it,
fenici.unibo. URL consultato il 24 maggio 2015.
^ De Vulgari Eloquentia I, II 1.
^ Cecchin.
^ Marco Santagata, La promozione del volgare, su lavitadidante.it, Mondadori, 2012.
URL consultato il 19 maggio 2015 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016).
«Dante si rende conto che i ceti dirigenti italiani mancano di una lingua comune»
^ Selmi, p. 389.
^ Contini 1992
«Dei più visibili e sommari attributi che pertengono a Dante, il primo è il
plurilinguismo.»
^ Guglielmino-Grosser, p. 170.
Ferroni, p. 8.
^ . L'ambientazione della Vita nova, per quanto infarcita di visioni oniriche e di
stilemi simbolici, è contornata dal paesaggio della Firenze medievale, in cui
vengono rievocate le figure non solo di Beatrice, ma anche di Guido Cavalcanti
(Vita nova III, 14: «... io chiamo primo de li miei amici...»), la probabile
allusione alle operazioni militari del 1289 (Vita Nova IX,1: «Appresso la morte di
questa donna alquanti die avvenne cosa per la quale me convenne partire de la
sopradetta cittade e ire verso quelle parti dov'era la gentile donna ch'era stata
mia difesa...»), la morte di Folco Portinari, padre di Beatrice (Vita nova XXII, 1:
«Appresso ciò non molti dì passati, sì come piacque al glorioso sire lo quale non
negoe la morte a sé, colui che era stato genitore di tanta maraviglia quanta si
vedea ch'era questa nobilissima Beatrice, di questa vita uscendo, a la gloria
etternale se ne gio veracemente») e via dicendo.
^ Il nome Beatrice assumerà soprattutto nella Divina Commedia la sua reale
importanza, in quanto, etimologicamente parlando, significa Portatrice di
Beatitudine, tanto che solo questa figura potrà condurre Dante lungo il percorso
del Paradiso.
^ Matilde Quarti, Guido Cavalcanti: la poetica e lo Stilnovo, su oilproject.org,
oilproject. URL consultato il 19 maggio 2015.
«Se quindi Cavalcanti getta le basi per la spiritualizzazione dell’amore degli
stilnovisti, egli tuttavia non giunge mai a teorizzare la donna-angelo (e quindi
l’idea che la bellezza terrena sia tramite per la salvezza ultraterrena, come nel
caso di Beatrice nella Vita Nova). Anzi, come detto nella canzone dottrinale Donna
me prega, Amore allontana sempre l’uomo dal perfezionamento di sé»
^ Guglielmino-Grosser, p. 147.
^ La “Vita Nova” di Dante: il capitolo 26 e la poesia della lode, su
oilproject.org, Oilproject. URL consultato il 21 maggio 2015.
^ Andrea Cortellessa, "Purgatorio", Canto 30: commento critico, su oilproject.org,
Oilproject. URL consultato il 21 maggio 2015.
«Quando Beatrice “passa a seconda vita”, cioè muore, Dante commise la sua colpa:
mutò vita; perse la diritta via, la retta via; “si tolse a me e diessi altrui”.
Questa non è gelosia di donna viva, ma è allegoria di una perdita di ruolo, di
significato dell’esistenza che Dante evidentemente aveva sofferto»
^ Come manifestato nel sonetto programmatico Tanto gentile e tanto onesta pare
(Vita Nova XXVI), Dante estende a tutti gli uomini i benefici della vista di
Beatrice («Mostrasi sì piacente a chi la mira,/che dà per li occhi una dolcezza al
core,/che 'ntender no la può chi no la prova»).
^ Julius Evola, Metafisica del sesso, Edizioni Mediterranee, 1994, p. 231., ISBN
88-272-0435-0.
^ Luca Ghirimoldi, Dante, "Così nel mio parlar voglio esser aspro": analisi e
commento, su oilproject.org, Oilproject. URL consultato il 4 giugno 2015.
^ «Tutto questo consesso di filosofi, poeti, moralisti e scienziati rappresenta le
credenziali scientifiche di Dante, la sua "bibliografia" di riferimento, le fonti
autorevoli di quanto si accingeva a scrivere su inferno, purgatorio e paradiso»
(Reynolds, p. 150)
^ «Quivi, secondo che per ascoltare,/non avea pianto mai che di sospiri/che l'aura
etterna facevan tremare» (Inferno IV, vv. 25-27); «... s'elli hanno mercedi,/non
basta, perché non ebber battesmo,/ch'è porta de la fede che tu credi;/e s'e’ furon
dinanzi al cristianesmo,/non adorar debitamente a Dio:/e di questi cotai son io
medesmo./Per tai difetti, non per altro rio,/semo perduti, e sol di tanto
offesi/che sanza speme vivemo in disio». (Inferno IV, vv. 34-42)
^ Lisa Pericoli, La "Commedia" di Dante: fonti e modelli, su oilproject.org,
oilproject. URL consultato il 21 maggio 2015.
«Né si può dimenticare che alla base della rilettura dei “classici” c’è sempre,
nella mentalità medievale, la teoria dei “quattro sensi” dell’interpretazione: il
senso letterale (che trasmette la “lettera” del testo, ovvero il suo riferirsi al
mondo reale), quello allegorico (in cui dietro la storia fittizia c’è un senso
recondito da scoprire), quello morale (relativo all’insegnamento etico che si può
desumere dalle pagine scritte) e quello anagogico (che reinterpreta il contenuto
dell’opera in ottica spiritual-salvifica).»
^ Francesco Lamendola, Il culto di Virgilio nel medioevo, su centrostudilaruna.it,
Centro Studi La Runa, 2 aprile 2010. URL consultato il 21 maggio 2015.
^ Cova, p. 66
«I medioevali vollero vedervi una profezia del Cristo redentore, cantata da un
pagano che sentiva la pienezza dei tempi; l’accenno a una Vergine, al Bimbo
nascente e al serpente che muore erano elementi letterali più che sufficienti a
giustificare questa interpretazione.»
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Voci correlate
Alighieri
Lapidi della Divina Commedia di Firenze
Lapidi della Divina Commedia di Siena
Firenze medievale
Casa di Dante
Ravenna
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Giovanni Boccaccio
Francesco Petrarca
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Studi danteschi
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Dante Alighieri
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Le tre corone fiorentine della lingua italiana Italia
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