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Dante Alighieri
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Disambiguazione – "Dante" rimanda qui. Se stai cercando altri significati, vedi


Dante (disambigua).
Dante Alighieri
Sandro Botticelli, Ritratto di Dante, tempera su tela, 1495, Ginevra, collezione
privata
Priore del Comune di Firenze
Durata mandato 15 giugno 1300 –
15 agosto 1300
Membro del Consiglio dei Cento
Durata mandato maggio 1296 –
settembre 1296
Dati generali
Professione scrittore, politico
Dante Alighieri, o Alighiero, battezzato Durante di Alighiero degli Alighieri e
anche noto con il solo nome di Dante, della famiglia Alighieri (Firenze, tra il 14
maggio e il 13 giugno 1265 – Ravenna, notte tra il 13 e il 14 settembre[1][2][3]
1321), è stato un poeta, scrittore e politico italiano.

Il nome "Dante", secondo la testimonianza di Jacopo Alighieri, è un ipocoristico di


Durante[4]; nei documenti era seguito dal patronimico Alagherii o dal gentilizio de
Alagheriis, mentre la variante "Alighieri" si affermò solo con l'avvento di
Boccaccio.

È considerato il padre della lingua italiana; la sua fama è dovuta alla paternità
della Comedìa, divenuta celebre come Divina Commedia e universalmente considerata
la più grande opera scritta in lingua italiana e uno dei maggiori capolavori della
letteratura mondiale[5]. Espressione della cultura medievale, filtrata attraverso
la lirica del Dolce stil novo, la Commedia è anche veicolo allegorico della
salvezza umana, che si concretizza nel toccare i drammi dei dannati, le pene
purgatoriali e le glorie celesti, permettendo a Dante di offrire al lettore uno
spaccato di morale ed etica.

Importante linguista, teorico politico e filosofo, Dante spaziò all'interno dello


scibile umano, segnando profondamente la letteratura italiana dei secoli successivi
e la stessa cultura occidentale, tanto da essere soprannominato il "Sommo Poeta" o,
per antonomasia, il "Poeta"[6]. Dante, le cui spoglie si trovano presso la tomba a
Ravenna costruita nel 1780 da Camillo Morigia, è diventato uno dei simboli
dell'Italia nel mondo, grazie al nome del principale ente della diffusione della
lingua italiana, la Società Dante Alighieri[7], mentre gli studi critici e
filologici sono mantenuti vivi dalla Società dantesca.

Indice
1 Biografia
1.1 Le origini
1.1.1 La data di nascita e il mito di Boccaccio
1.1.2 La famiglia paterna e materna
1.2 La formazione intellettuale
1.2.1 I primi studi e Brunetto Latini
1.2.2 Lo studio della filosofia
1.2.3 I presunti legami con Bologna e Parigi
1.2.4 La lirica volgare. Dante e l'incontro con Cavalcanti
1.3 Il matrimonio con Gemma Donati
1.4 Impegni politici e militari
1.4.1 Lo scontro con Bonifacio VIII (1300)
1.5 L'inizio dell'esilio (1301-1304)
1.5.1 Carlo di Valois e la caduta dei bianchi
1.5.2 I tentativi di rientro e la battaglia di Lastra (1304)
1.6 La prima fase dell'esilio (1304-1310)
1.6.1 Tra Forlì e la Lunigiana dei Malaspina
1.7 La discesa di Arrigo VII (1310-1313)
1.7.1 Il Ghibellin fuggiasco
1.8 Gli ultimi anni
1.8.1 Il soggiorno veronese (1313-1318)
1.8.2 Il soggiorno ravennate (1318-1321)
1.9 La morte e i funerali
2 Le spoglie mortali
2.1 Le "tombe" di Dante
2.2 Le travagliate vicende dei resti
2.3 Il vero volto di Dante
3 Il pensiero
3.1 Il ruolo del volgare e l'ottica "civile" della letteratura
3.2 La poetica
3.2.1 Il «plurilinguismo» dantesco
3.2.2 Lo Stilnovismo dantesco: tra biografismo e spiritualizzazione
3.2.3 Beatrice e la «donna angelo»
3.2.4 Dalle rime «amorose» a quelle «petrose»
3.3 Le fonti e i modelli letterari
3.3.1 Dante e il mondo classico
3.3.2 L'iconografia medievale
3.3.3 Dante tra cristianesimo e Islam
3.4 Il ruolo della filosofia nella produzione dantesca
3.4.1 Aristotele nella produzione poetica
3.4.2 Aristotele nella produzione sociopolitica
3.4.3 L'esoterismo dantesco
3.4.4 L'eresia dantesca
4 Opere
4.1 Il Fiore e Detto d'Amore
4.2 Le Rime
4.3 Vita Nova
4.4 Convivio
4.5 De vulgari eloquentia
4.6 De Monarchia
4.7 Commedia
4.8 Le Epistole e l'Epistola XIII a Cangrande della Scala
4.9 Egloghe
4.10 La Quaestio de aqua et terra
5 La fortuna in Italia e nel mondo
5.1 In Italia
5.2 Nel mondo
6 Dante nella cultura di massa
7 Discografia
8 Note
9 Bibliografia
10 Voci correlate
11 Altri progetti
12 Collegamenti esterni
Biografia
Le origini
La data di nascita e il mito di Boccaccio

Casa di Dante a Firenze


La data di nascita di Dante non è conosciuta con esattezza, anche se solitamente
viene indicata attorno al 1265. Tale datazione è ricavata sulla base di alcune
allusioni autobiografiche riportate nella Vita Nova e nella cantica dell'Inferno,
che comincia con il celeberrimo verso Nel mezzo del cammin di nostra vita.
Postulando le ipotesi, infatti, che la metà della vita dell'uomo sia, per Dante, il
trentacinquesimo anno di vita[8][9] e che il viaggio immaginario fosse avvenuto nel
1300, allora si risalirebbe di conseguenza al 1265. Oltre alle elucubrazioni dei
critici, viene in supporto di tale ipotesi un contemporaneo di Dante, lo storico
fiorentino Giovanni Villani il quale, nella sua Nova Cronica, riporta che «questo
Dante morì in esilio del comune di Firenze in età di circa 56 anni»[10]: una prova
che confermerebbe tale idea. Alcuni versi del Paradiso suggeriscono inoltre che
egli nacque sotto il segno dei Gemelli, quindi in un periodo compreso fra il 14
maggio e il 13 giugno.[11]

Tuttavia, se sconosciuto è il giorno della sua nascita, certo invece è quello del
battesimo: il 27 marzo 1266, di Sabato santo.[12] Quel giorno vennero portati al
sacro fonte tutti i nati dell'anno per una solenne cerimonia collettiva. Dante
venne battezzato con il nome di Durante, poi sincopato in Dante, in ricordo di un
parente ghibellino[13]. Pregna di rimandi classici è la leggenda narrata da
Giovanni Boccaccio in Il Trattatello in laude di Dante riguardo alla nascita del
poeta: secondo Boccaccio, la madre di Dante, poco prima di darlo alla luce, ebbe
una visione e sognò di trovarsi sotto un alloro altissimo, in mezzo a un vasto
prato con una sorgente zampillante insieme al piccolo Dante appena partorito e di
vedere il bimbo tendere la piccola mano verso le fronde, mangiare le bacche e
trasformarsi in un magnifico pavone[14][15].

La famiglia paterna e materna

Lo stesso argomento in dettaglio: Alighieri.

Luca Signorelli, Dante, affresco, 1499-1502, particolare tratto dalle Storie degli
ultimi giorni, cappella di San Brizio, Duomo di Orvieto
Dante apparteneva agli Alighieri, una famiglia di secondaria importanza all'interno
dell'élite sociale fiorentina che, negli ultimi due secoli, aveva raggiunto una
certa agiatezza economica. Benché Dante affermi che la sua famiglia discendesse
dagli antichi Romani[16], il parente più lontano di cui egli fa nome è il trisavolo
Cacciaguida degli Elisei[17], fiorentino vissuto intorno al 1100 e cavaliere nella
seconda crociata al seguito dell'imperatore Corrado III[18].

Come sottolinea Arnaldo D'Addario sull'Enciclopedia dantesca, la famiglia degli


Alighieri (che prese tale nominativo dalla famiglia della moglie di Cacciaguida)
[18] passò da uno status nobiliare meritocratico[19] a uno borghese agiato, ma meno
prestigioso sul piano sociale[20]. Il nonno paterno di Dante, Bellincione, era
infatti un popolano e un popolano sposò la sorella di Dante[15]. Il figlio di
Bellincione (e padre di Dante), Aleghiero o Alighiero di Bellincione, svolgeva la
professione di compsor (cambiavalute), con la quale riuscì a procurare un dignitoso
decoro alla numerosa famiglia[21][22]. Grazie alla scoperta di due pergamene
conservate nell’Archivio Diocesano di Lucca, però, si viene a sapere che il padre
di Dante avrebbe fatto anche l'usuraio (dando adito alla tenzone tra l'Alighieri e
l'amico Forese Donati[23]), traendo degli arricchimenti tramite la sua posizione di
procuratore giudiziale presso il tribunale di Firenze[24]. Era inoltre un guelfo,
ma senza ambizioni politiche: per questo i ghibellini non lo esiliarono dopo la
battaglia di Montaperti, come fecero con altri guelfi, giudicandolo un avversario
non pericoloso[15].

La madre di Dante si chiamava Bella degli Abati, figlia di Durante Scolaro[25][26]


e appartenente a un'importante famiglia ghibellina locale[15]. Il figlio Dante non
la citerà mai tra i suoi scritti, col risultato che di lei possediamo pochissime
notizie biografiche. Bella morì quando Dante aveva cinque o sei anni e Alighiero
presto si risposò, forse tra il 1275 e il 1278[27], con Lapa di Chiarissimo
Cialuffi. Da questo matrimonio nacquero Francesco e Tana Alighieri (Gaetana) e
forse anche – ma potrebbe essere stata anche figlia di Bella degli Abati – un'altra
figlia ricordata dal Boccaccio come moglie del banditore fiorentino Leone Poggi e
madre del suo amico Andrea Poggi[27]. Si ritiene che a lei alluda Dante in Vita
nuova (Vita nova) XXIII, 11-12, chiamandola «donna giovane e gentile [...] di
propinquissima sanguinitade congiunta»[27].

La formazione intellettuale
I primi studi e Brunetto Latini

Codice miniato raffigurante Brunetto Latini, Biblioteca Medicea-Laurenziana, Plut.


42.19, Brunetto Latino, Il Tesoro, fol. 72, secoli XIII-XIV
Della formazione di Dante non si conosce molto. Con ogni probabilità seguì l'iter
educativo proprio dell'epoca, che si basava sulla formazione presso un grammatico
(conosciuto anche con il nome di doctor puerorum, probabilmente) con il quale
apprendere prima i rudimenti linguistici, per poi approdare allo studio delle arti
liberali, pilastro dell'educazione medioevale[28][29]: aritmetica, geometria,
musica, astronomia da un lato (quadrivio); dialettica, grammatica e retorica
dall'altro (trivio). Come si può dedurre da Convivio II, 12, 2-4, l'importanza del
latino quale veicolo del sapere era fondamentale per la formazione dello studente,
in quanto la ratio studiorum si basava essenzialmente sulla lettura di Cicerone e
di Virgilio da un lato e del latino medievale dall'altro (Arrigo da Settimello, in
particolare)[30].

L'educazione ufficiale era poi accompagnata dai contatti "informali" con gli
stimoli culturali provenienti ora da altolocati ambienti cittadini, ora dal
contatto diretto con viaggiatori e mercanti stranieri che importavano, in Toscana,
le novità filosofiche e letterarie dei rispettivi Paesi d'origine[30]. Dante ebbe
la fortuna di incontrare, negli anni ottanta, il politico ed erudito fiorentino Ser
Brunetto Latini, reduce da un lungo soggiorno in Francia sia come ambasciatore
della Repubblica, sia come esiliato politico[31]. L'effettiva influenza di Ser
Brunetto sul giovane Dante è stata oggetto di studio da parte di Francesco
Mazzoni[32] prima, e di Giorgio Inglese poi[33]. Entrambi i filologi, nei loro
studi, cercarono di inquadrare l'eredità dell'autore del Tresor sulla formazione
intellettuale del giovane concittadino. Dante, da parte sua, ricordò commosso la
figura del Latini nella Commedia, rimarcandone l'umanità e l'affetto ricevuto:
«[...] e or m'accora,
la cara e buona imagine paterna
di voi quando nel mondo ad ora ad ora
m'insegnavate come l'uom s'etterna [...]»

(Inferno, Canto XV, vv. 82-85)

Da questi versi, Dante espresse chiaramente l'apprezzamento di una letteratura


intesa nel suo senso "civico"[28][34], nell'accezione di utilità civica. La
comunità in cui vive il poeta, infatti, ne serberà il ricordo anche dopo la morte
di quest'ultimo. Umberto Bosco e Giovanni Reggio, inoltre, rimarcano l'analogia tra
il messaggio dantesco e quello manifestato da Brunetto nel Tresor, come si evince
dalla volgarizzazione toscana dell'opera realizzata da Bono Giamboni[35].

Lo studio della filosofia


«E da questo imaginare cominciai ad andare là dov’ella [la Donna Gentile] si
dimostrava veracemente, cioè ne le scuole de li religiosi e a le disputazioni de li
filosofanti. Sì che in picciol tempo, forse di trenta mesi, cominciai tanto a
sentire de la sua dolcezza, che lo suo amore cacciava e distruggeva ogni altro
pensiero.»

(Convivio, 12 7)

Dante, all'indomani della morte dell'amata Beatrice (in un periodo oscillante tra
il 1291 e il 1294/1295)[36], cominciò a raffinare la propria cultura filosofica
frequentando le scuole organizzate dai domenicani di Santa Maria Novella e dai
francescani di Santa Croce; se gli ultimi erano ereditari del pensiero di
Bonaventura da Bagnoregio, i primi erano ereditari della lezione aristotelico-
tomista di Tommaso d'Aquino, permettendo a Dante di approfondire (forse grazie
all'ascolto diretto del celebre studioso Fra' Remigio de' Girolami)[37] il Filosofo
per eccellenza della cultura medievale[38]. Inoltre, la lettura dei commenti di
intellettuali che si opponevano all'interpretazione tomista (quali l'arabo
Averroè), permise a Dante di adottare una sensibilità «polifonica
dell'aristotelismo»[39].

I presunti legami con Bologna e Parigi

Giorgio Vasari, Sei poeti toscani (da destra: Cavalcanti, Dante, Boccaccio,
Petrarca, Cino da Pistoia e Guittone d'Arezzo), pittura a olio, 1544, conservata
presso il Minneapolis Institute of Art, Minneapolis. Considerato uno dei maggiori
lirici volgari del XIII secolo, Cavalcanti fu la guida e il primo interlocutore
poetico di Dante, quest'ultimo poco più giovane di lui.
Alcuni critici ritengono che Dante abbia soggiornato a Bologna[40]. Anche Giulio
Ferroni ritiene certa la presenza di Dante nella città felsinea: «Un memoriale
bolognese del notaio Enrichetto delle Querce attesta (in una forma linguistica
locale) il sonetto Non mi poriano già mai fare ammenda: la circostanza viene
considerata indizio pressoché certo di una presenza di Dante a Bologna anteriore a
questa data»[41]. Entrambi ritengono che Dante abbia studiato presso l'Università
di Bologna, ma non vi sono prove in proposito[42].

Invece è molto probabile che Dante soggiornasse a Bologna tra l'estate del 1286 e
quella del 1287, dove conobbe Bartolomeo da Bologna[43], alla cui interpretazione
teologica dell'Empireo Dante in parte aderisce. Riguardo al soggiorno parigino, ci
sono invece parecchi dubbi: in un passo del Paradiso, (Che, leggendo nel Vico de li
Strami, silogizzò invidïosi veri)[44], Dante alluderebbe alla Rue du Fouarre, dove
si svolgevano le lezioni della Sorbona. Questo ha fatto pensare a qualche
commentatore, in modo puramente congetturale, che Dante possa essersi realmente
recato a Parigi tra il 1309 e il 1310[45][46].

La lirica volgare. Dante e l'incontro con Cavalcanti

Lo stesso argomento in dettaglio: Dolce stil novo.


Dante ebbe inoltre modo di partecipare alla vivace cultura letteraria ruotante
intorno alla lirica volgare. Negli anni sessanta del XIII secolo, in Toscana
giunsero i primi influssi della "Scuola siciliana", movimento poetico sorto intorno
alla corte di Federico II di Svevia e che rielaborò le tematiche amorose della
lirica provenzale. I letterati toscani, subendo gli influssi delle liriche di
Giacomo da Lentini e di Guido delle Colonne, svilupparono una lirica orientata sia
verso l'amor cortese, ma anche verso la politica e l'impegno civile. Guittone
d'Arezzo e Bonaggiunta Orbicciani, vale a dire i principali esponenti della
cosiddetta scuola siculo-toscana, ebbero un seguace nella figura del fiorentino
Chiaro Davanzati[47], il quale importò il nuovo codice poetico all'interno delle
mura della sua città. Fu proprio a Firenze, però, che alcuni giovani poeti
(capeggiati dal nobile Guido Cavalcanti) espressero il loro dissenso nei confronti
della complessità stilistica e linguistica dei siculo-toscani, propugnando al
contrario una lirica più dolce e soave: il dolce stil novo.

Dante si trovò nel pieno di questo dibattito letterario: nelle sue prime opere è
evidente il legame (seppur tenue)[48] sia con la poesia toscana di Guittone e di
Bonagiunta[49], sia con quella più schiettamente occitana[50]. Presto, però, il
giovane si legò ai dettami della poetica stilnovista, cambiamento favorito
dall'amicizia che lo legava al più anziano Cavalcanti[51].

Il matrimonio con Gemma Donati


Quando Dante aveva dodici anni, nel 1277, fu concordato il suo matrimonio con
Gemma, figlia di Messer Manetto Donati, che successivamente sposò all'età di
vent'anni nel 1285[28][52]. Decidere matrimoni in età così precoce era abbastanza
comune a quell'epoca; lo si faceva con una cerimonia importante, che richiedeva
atti formali sottoscritti davanti a un notaio. La famiglia a cui Gemma apparteneva
– i Donati – era una delle più importanti nella Firenze tardo-medievale e in
seguito divenne il punto di riferimento per lo schieramento politico opposto a
quello del poeta, vale a dire i guelfi neri.

Il matrimonio tra i due non dovette essere molto felice, secondo la tradizione
raccolta dal Boccaccio e fatta propria poi nell'Ottocento da Vittorio Imbriani[53].
Dante non scrisse infatti un solo verso alla moglie, mentre di costei non ci sono
pervenute notizie sull'effettiva presenza al fianco del marito durante l'esilio.
Comunque sia, l'unione generò due figli e una figlia: Jacopo, Pietro, Antonia e un
possibile quarto, Giovanni[52][54]. Dei tre certi, Pietro fu giudice a Verona e
l'unico che continuò la stirpe degli Alighieri, in quanto Jacopo scelse di seguire
la carriera ecclesiastica, mentre Antonia divenne monaca con il nome di Sorella
Beatrice, sembra nel convento delle Olivetane a Ravenna[52].

Impegni politici e militari

Lo stesso argomento in dettaglio: Guelfi bianchi e neri e Storia di Firenze § Gli


Ordinamenti di Giustizia.

Giovanni Villani, Corso Donati fa liberare dei prigionieri, in Cronaca, XIV secolo.
Corso Donati, esponente di punta dei Neri, fu acerrimo nemico di Dante, il quale
lancerà contro di lui violenti attacchi nei suoi scritti[55].
Poco dopo il matrimonio, Dante cominciò a partecipare come cavaliere ad alcune
campagne militari che Firenze stava conducendo contro i suoi nemici esterni, tra
cui Arezzo (battaglia di Campaldino dell'11 giugno 1289) e Pisa (presa di Caprona,
16 agosto 1289)[28]. Successivamente, nel 1294, avrebbe fatto parte della
delegazione di cavalieri che scortò Carlo Martello d'Angiò (figlio di Carlo II
d'Angiò) che nel frattempo si trovava a Firenze[56]. L'attività politica prese
Dante a partire dai primi anni 1290, in un periodo quanto mai convulso per la
Repubblica. Nel 1293 entrarono in vigore gli Ordinamenti di Giustizia di Giano
Della Bella, che escludevano l'antica nobiltà dalla politica e permettevano al ceto
borghese di ottenere ruoli nella Repubblica, purché iscritti a un'Arte. Dante, in
quanto nobile, fu escluso dalla politica cittadina fino al 6 luglio del 1295,
quando furono promulgati i Temperamenti, leggi che ridiedero diritto ai nobili di
rivestire ruoli istituzionali, purché si immatricolassero alle Arti[28]. Dante,
pertanto, si iscrisse all'Arte dei Medici e Speziali[57].

L'esatta serie dei suoi incarichi politici non è conosciuta, poiché i verbali delle
assemblee sono andati perduti. Comunque, attraverso altre fonti, si è potuta
ricostruire buona parte della sua attività: fu nel Consiglio del popolo dal
novembre 1295 all'aprile 1296[58]; fu nel gruppo dei "Savi", che nel dicembre 1296
rinnovarono le norme per l'elezione dei priori, i massimi rappresentanti di
ciascuna Arte che avrebbero occupato, per un bimestre, il ruolo istituzionale più
importante della Repubblica; dal maggio al dicembre del 1296 fece parte del
Consiglio dei Cento[58]. Fu inviato talvolta nella veste di ambasciatore, come nel
maggio del 1300 a San Gimignano[59]. Nel frattempo, all'interno del partito guelfo
fiorentino si produsse una frattura gravissima tra il gruppo capeggiato dai Donati,
fautori di una politica conservatrice e aristocratica (guelfi neri), e quello
invece fautore di una politica moderatamente popolare (guelfi bianchi), capeggiato
dalla famiglia Cerchi[60]. La scissione, dovuta anche a motivi di carattere
politico ed economico (i Donati, esponenti dell'antica nobiltà, erano stati
surclassati in potenza dai Cerchi, considerati dai primi dei parvenu)[60], generò
una guerra intestina cui Dante non si sottrasse schierandosi, moderatamente, dalla
parte dei guelfi bianchi[58].

Lo scontro con Bonifacio VIII (1300)

Arnolfo di Cambio, statua di Bonifacio VIII, 1298 ca, conservato presso il Museo
dell'Opera del Duomo, Firenze
Nell'anno 1300, Dante fu eletto uno dei sette priori per il bimestre 15 giugno-15
agosto[58][61]. Nonostante l'appartenenza al partito guelfo, egli cercò sempre di
osteggiare le ingerenze del suo acerrimo nemico papa Bonifacio VIII, dal poeta
intravisto come supremo emblema della decadenza morale della Chiesa. Con l'arrivo
del cardinale Matteo d'Acquasparta, inviato dal pontefice in qualità di paciere (ma
in realtà spedito per ridimensionare la potenza dei guelfi bianchi, in quel periodo
in piena ascesa sui neri)[62], Dante riuscì ad ostacolare il suo operato. Sempre
durante il suo priorato, Dante approvò il grave provvedimento con cui furono
esiliati, nel tentativo di riportare la pace all'interno dello Stato, otto
esponenti dei guelfi neri e sette di quelli bianchi, compreso Guido Cavalcanti[63]
che di lì a poco morirà in Sarzana. Questo provvedimento ebbe serie ripercussioni
sugli sviluppi degli eventi futuri: non solo si rivelò una disposizione inutile (i
guelfi neri temporeggiarono prima di partire per l'Umbria, il posto destinato al
loro confino)[64], ma fece rischiare un colpo di Stato da parte dei guelfi neri
stessi, grazie al segreto supporto del cardinale d'Acquasparta[64]. Inoltre, il
provvedimento attirò sui suoi fautori (incluso Dante stesso) sia l'odio della parte
nera che la diffidenza degli "amici" bianchi: i primi, ovviamente, per la ferita
inferta; i secondi, per il colpo dato al loro partito da parte di un suo stesso
membro. Nel frattempo, le relazioni tra Bonifacio e il governo dei bianchi
peggiorarono ulteriormente a partire dal mese di settembre, allorché i nuovi priori
(succeduti al collegio di cui fece parte Dante) revocarono immediatamente il bando
per i bianchi[64], mostrando la loro partigianeria e dando così al legato papale
cardinale d'Acquasparta modo di scagliare l'anatema su Firenze[64]. Con l'invio di
Carlo di Valois a Firenze, mandato dal papa come nuovo paciere (ma di fatto
conquistatore) al posto del cardinale d'Acquasparta, la Repubblica spedì a Roma,
nel tentativo di distogliere il papa dalle sue mire egemoniche, un'ambasceria di
cui faceva parte essenziale anche Dante, accompagnato da Maso Minerbetti e da
Corazza da Signa[62].

L'inizio dell'esilio (1301-1304)


Carlo di Valois e la caduta dei bianchi

Tommaso da Modena, Benedetto XI, affresco, anni '50 del XIV secolo, Sala del
Capitolo, Seminario di Treviso. Il beato papa Boccasini, trevigiano, nel suo breve
pontificato cercò di riportare la pace all'interno di Firenze, inviando il
cardinale Niccolò da Prato come paciere. È l'unico pontefice su cui Dante non
proferì alcuna condanna, ma neanche verso il quale manifestò pieno apprezzamento,
tanto da non comparire nella Commedia[65].
Dante si trovava quindi a Roma[66], sembra trattenuto oltre misura da Bonifacio
VIII, quando Carlo di Valois, al primo subbuglio cittadino, prese pretesto per
mettere a ferro e fuoco Firenze con un colpo di mano. Il 9 novembre 1301 i
conquistatori imposero come podestà Cante Gabrielli da Gubbio[67], il quale
apparteneva alla fazione dei guelfi neri della sua città natia e quindi diede
inizio a una politica di sistematica persecuzione degli esponenti politici di parte
bianca ostili al papa, fatto che si risolse alla fine nella loro uccisione o
nell'espulsione da Firenze. Con due condanne successive, quella del 27 gennaio e
quella del 10 marzo 1302[58], che colpirono inoltre numerosi esponenti delle
famiglie dei Cerchi, il poeta fu condannato, in contumacia, al rogo e alla
distruzione delle case. Da quel momento, Dante non rivide più la sua patria.

«Alighieri Dante è condannato per baratteria, frode, falsità, dolo, malizia, inique
pratiche estortive, proventi illeciti, pederastia, e lo si condanna a 5000 fiorini
di multa, interdizione perpetua dai pubblici uffici, esilio perpetuo (in
contumacia), e se lo si prende, al rogo, così che muoia”»

(Libro del chiodo - Archivio di Stato di Firenze - 10 marzo 1302[68])

I tentativi di rientro e la battaglia di Lastra (1304)


Dopo i falliti tentati colpi di mano del 1302, Dante, in qualità di capitano
dell'esercito degli esuli, organizzò insieme a Scarpetta Ordelaffi, capo del
partito ghibellino e signore di Forlì (presso il quale Dante si era rifugiato)[69],
un nuovo tentativo di rientrare a Firenze. L'impresa fu però sfortunata: il podestà
di Firenze, Fulcieri da Calboli (un altro forlivese, nemico degli Ordelaffi),
riuscì ad avere la meglio nella battaglia di Castel Pulciano. Fallita anche
l'azione diplomatica, nell'estate del 1304, del cardinale Niccolò da Prato[70],
legato pontificio di papa Benedetto XI (sul quale Dante aveva riposto molte
speranze)[71], il 20 luglio dello stesso anno i bianchi, riuniti alla Lastra, una
località a pochi chilometri da Firenze, decisero di intraprendere un nuovo attacco
militare contro i neri[72]. Dante, ritenendo corretto aspettare un momento
politicamente più favorevole, si schierò contro l'ennesima lotta armata, trovandosi
in minoranza al punto che i più intransigenti formularono su di lui dei sospetti di
tradimento; pertanto decise di non partecipare alla battaglia e di prendere le
distanze dal gruppo. Come preventivato dallo stesso, la battaglia di Lastra fu un
vero e proprio fallimento con la morte di quattrocento uomini fra ghibellini e
bianchi[72]. Il messaggio profetico ci arriva da Cacciaguida:
«Di sua bestialitate il suo processo
farà la prova; sì ch'a te fia bello
averti fatta parte per te stesso.»

(Paradiso XVII, vv. 67-69)

La prima fase dell'esilio (1304-1310)


Tra Forlì e la Lunigiana dei Malaspina

Il castello-palazzo vescovile di Castelnuovo dove Dante nel 1306 pacificò i


rapporti tra i Marchesi Malaspina e i Vescovi-Conti di Luni
Dante fu, dopo la battaglia della Lastra, ospite di diverse corti e famiglie della
Romagna, fra cui gli stessi Ordelaffi. Il soggiorno forlivese non durò a lungo, in
quanto l'esule si spostò prima a Bologna (1305), poi a Padova nel 1306 e infine
nella Marca Trevigiana[45] presso Gherardo III da Camino[73]. Da qui, Dante fu
chiamato in Lunigiana da Moroello Malaspina (quello di Giovagallo, visto che più
membri della famiglia portavano questo nome)[74], col quale il poeta entrò forse in
contatto grazie all'amico comune, il poeta Cino da Pistoia[75]. In Lunigiana
(regione in cui giunse nella primavera del 1306), Dante ebbe l'occasione di
negoziare la missione diplomatica per un'ipotesi di pace tra i Malaspina e il
vescovo-conte di Luni, Antonio Nuvolone da Camilla (1297 – 1307)[76]. In qualità di
procuratore plenipotenziario dei Malaspina, Dante riuscì a far firmare da ambo le
parti la pace di Castelnuovo del 6 ottobre del 1306[46][76], successo che gli fece
guadagnare la stima e la gratitudine dei suoi protettori. L'ospitalità malaspiniana
è celebrata nel Canto VIII del Purgatorio, dove al termine del componimento Dante
formula alla figura di Corrado Malaspina il Giovane l'elogio del casato[77]:
«[...] e io vi giuro.../... che vostra gente onrata.../ sola và dritta e 'l mal
cammin dispregia.»
(Pg VIII, vv. 127-132)

Nel 1307[78], dopo aver lasciato la Lunigiana, Dante si trasferì nel Casentino,
dove fu ospite dei conti Guidi, conti di Battifolle e signori di Poppi, presso i
quali iniziò a stendere la cantica dell'Inferno[46].

La discesa di Arrigo VII (1310-1313)

Monumento a Dante Alighieri a Villafranca in Lunigiana presso la tomba sacello dei


Malaspina

François-Xavier Fabre, Ritratto di Ugo Foscolo, pittura, 1813, Biblioteca Nazionale


Centrale di Firenze
Il Ghibellin fuggiasco
Il soggiorno nel casentino durò pochissimo tempo: tra il 1308 e il 1310 si può
infatti ipotizzare che il poeta risiedesse prima a Lucca e poi a Parigi, anche se
non è possibile valutare con certezza il soggiorno transalpino come già
precedentemente esposto. Dante, molto più probabilmente, si trovava a Forlì nel
1310[79], dove ebbe la notizia, nel mese di ottobre[46], della discesa in Italia
del nuovo imperatore Arrigo VII. Dante guardò a quella spedizione con grande
speranza, in quanto vi intravedeva non soltanto la fine dell'anarchia politica
italiana[80], ma anche la concreta possibilità di rientrare finalmente a
Firenze[46]. Infatti l'imperatore fu salutato dai ghibellini italiani e dai
fuoriusciti politici guelfi, connubio che spinse il poeta ad avvicinarsi alla
fazione imperiale italiana capeggiata dagli Scaligeri di Verona[81]. Dante, che tra
il 1308 e il 1311 stava scrivendo il De Monarchia, manifestò le sue aperte simpatie
imperiali, scagliando una violenta lettera contro i fiorentini il 31 marzo del
1311[46] e giungendo, sulla base di quanto affermato nell'epistola indirizzata ad
Arrigo VII, a incontrare l'imperatore stesso in un colloquio privato[82]. Non
sorprende, pertanto, che Ugo Foscolo giungerà a definire Dante come un ghibellino:
«E tu prima, Firenze, udivi il carme
Che allegrò l’ira al Ghibellin fuggiasco.»

(Ugo Foscolo, Dei sepolcri, vv. 173-174)

Il sogno dantesco di una Renovatio Imperii si infrangerà il 24 agosto del 1313,


quando l'imperatore venne a mancare, improvvisamente, a Buonconvento[83]. Se già la
morte violenta di Corso Donati, avvenuta il 6 ottobre del 1308 per mano di
Rossellino Della Tosa (l'esponente più intransigente dei guelfi neri)[78], aveva
fatto crollare le speranze di Dante, la morte dell'imperatore diede un colpo
mortale ai tentativi del poeta di rientrare definitivamente a Firenze[78].

Gli ultimi anni

Cangrande della Scala, in un ritratto immaginario del XVII secolo. Abilissimo


politico e grande condottiero, Cangrande fu mecenate della cultura e dei letterati
in particolare, stringendo amicizia con Dante.
Il soggiorno veronese (1313-1318)

Lo stesso argomento in dettaglio: Della Scala.


All'indomani della morte improvvisa dell'imperatore, Dante accolse l'invito di
Cangrande della Scala a risiedere presso la sua corte di Verona[46]. Dante aveva
già avuto modo, in passato, di risiedere nella città veneta, in quegli anni nel
pieno della sua potenza. Petrocchi, come delineato prima nel suo saggio Itinerari
danteschi e poi nella Vita di Dante[84] ricorda come Dante fosse già stato ospite,
per pochi mesi tra il 1303 e il 1304, presso Bartolomeo della Scala, fratello
maggiore di Cangrande. Quando poi Bartolomeo morì, nel marzo del 1304, Dante fu
costretto a lasciare Verona in quanto il suo successore, Alboino, non era in buoni
rapporti col poeta[85]. Alla morte di Alboino, nel 1312, divenne suo successore il
fratello Cangrande[86], tra i capi dei ghibellini italiani e protettore (oltreché
amico) di Dante[86]. Fu in virtù di questo legame che Cangrande chiamò a sé l'esule
fiorentino e i suoi figli, dando loro sicurezza e protezione dai vari nemici che si
erano fatti negli anni. L'amicizia e la stima tra i due uomini fu tale che Dante
esaltò, nella cantica del Paradiso – composta per la maggior parte durante il
soggiorno veronese –, il suo generoso patrono in un panegirico per bocca dell'avo
Cacciaguida:
«Lo primo tuo refugio e 'l primo ostello
sarà la cortesia del gran Lombardo
che 'n su la scala porta il santo uccello;
ch'in te avrà sì benigno riguardo,
che del fare e del chieder, tra voi due,
fia primo quel che tra l'altri è più tardo

[...]

Le sue magnificenze conosciute


saranno ancora, sì che' suoi nemici
non ne potran tener le lingue mute.
A lui t’aspetta e a’ suoi benefici;
per lui fia trasmutata molta gente,
cambiando condizion ricchi e mendici;»

(Paradiso XVII, vv. 70-75, 85-90)

Nel 2018 è stata scoperta da Paolo Pellegrini, docente dell'Università di Verona,


una nuova lettera, scritta probabilmente proprio da Dante nel mese di agosto del
1312 e spedita da Cangrande al nuovo imperatore Enrico VII; essa modificherebbe
sostanzialmente la data del soggiorno veronese del poeta, anticipando il suo arrivo
al 1312, ed escluderebbe le ipotesi che volevano Dante a Pisa o in Lunigiana tra il
1312 ed il 1316[87].

Il soggiorno ravennate (1318-1321)

Andrea Pierini, Dante legge la Divina Commedia alla corte di Guido Novello, 1850,
dipinto a olio, Palazzo Pitti-Galleria D'Arte Moderna, Firenze
Dante, per motivi ancora sconosciuti, si allontanò da Verona per approdare, nel
1318, a Ravenna, presso la corte di Guido Novello da Polenta. I critici hanno
cercato di comprendere le cause dell'allontanamento di Dante dalla città scaligera,
visti gli ottimi rapporti che intercorrevano tra Dante e Cangrande. Augusto Torre
ipotizzò una missione politica a Ravenna, affidatagli dallo stesso suo
protettore[88]; altri pongono le cause in una crisi momentanea tra Dante e
Cangrande, oppure nell'attrattiva di far parte di una corte di letterati tra i
quali il signore stesso (cioè Guido Novello), che si professava tale[89]. Tuttavia,
i rapporti con Verona non cessarono del tutto, come testimoniato dalla presenza di
Dante nella città veneta il 20 gennaio 1320, per discutere la Quaestio de aqua et
terra, l'ultima sua opera latina[90].

Gli ultimi tre anni di vita trascorsero relativamente tranquilli nella città
romagnola, durante i quali Dante creò un cenacolo letterario frequentato dai figli
Pietro e Jacopo[91][92] e da alcuni giovani letterati locali, tra i quali Pieraccio
Tedaldi e Giovanni Quirini[93]. Per conto del signore di Ravenna svolse occasionali
ambascerie politiche[94], come quella che lo condusse a Venezia. All'epoca, la
città lagunare era in attrito con Guido Novello a causa di attacchi continui alle
sue navi da parte delle galee ravennati[95] e il doge, infuriato, si alleò con
Forlì per muovere guerra a Guido Novello; questi, ben sapendo di non disporre dei
mezzi necessari per fronteggiare tale invasione, chiese a Dante di intercedere per
lui davanti al Senato veneziano. Gli studiosi si sono domandati perché Guido
Novello avesse pensato proprio all'ultracinquantenne poeta come suo rappresentante:
alcuni ritengono che sia stato scelto Dante per quella missione in quanto amico
degli Ordelaffi, signori di Forlì, e quindi in grado di trovare più facilmente una
via per comporre le divergenze in campo[96].

La morte e i funerali
L'ambasceria di Dante sortì un buon effetto per la sicurezza di Ravenna, ma fu
fatale al poeta che, di ritorno dalla città lagunare, contrasse la malaria mentre
passava dalle paludose Valli di Comacchio[78]. Le febbri portarono velocemente il
poeta cinquantaseienne alla morte, che avvenne a Ravenna nella notte tra il 13 e il
14 settembre 1321[78][97]. I funerali, in pompa magna, furono officiati nella
chiesa di San Pier Maggiore (oggi San Francesco) a Ravenna, alla presenza delle
massime autorità cittadine e dei figli[98]. La morte improvvisa di Dante suscitò
ampio rammarico nel mondo letterario, come dimostrato da Cino da Pistoia nella sua
canzone Su per la costa, Amor, de l'alto monte[99].

Le spoglie mortali
Le "tombe" di Dante

Lo stesso argomento in dettaglio: Tomba di Dante.

La tomba di Dante a Ravenna, realizzata da Camillo Morigia


Dante trovò inizialmente sepoltura in un'urna di marmo posta nella chiesa ove si
tennero i funerali[100]. Quando la città di Ravenna passò poi sotto il controllo
della Serenissima, il podestà Bernardo Bembo (padre del ben più celebre Pietro)
ordinò all'architetto Pietro Lombardi, nel 1483, di realizzare un grande monumento
che ornasse la tomba del poeta[100]. Ritornata la città, al principio del XVI
secolo, agli Stati della Chiesa, i legati pontifici trascurarono le sorti della
tomba di Dante, la quale cadde presto in rovina. Nel corso dei due secoli
successivi furono compiuti solo due tentativi per porre rimedio alle disastrose
condizioni in cui il sepolcro versava: il primo fu nel 1692, quando il cardinale
legato per le Romagne Domenico Maria Corsi e il prolegato Giovanni Salviati,
entrambi di nobili famiglie fiorentine, provvidero a restaurarla[101]. Nonostante
fossero passati pochi decenni, il monumento funebre fu rovinato a causa del
sollevamento del terreno sottostante la chiesa, cosa che spinse il cardinale legato
Luigi Valenti Gonzaga a incaricare l'architetto Camillo Morigia, nel 1780, di
progettare il tempietto neoclassico tuttora visibile[100].

Le travagliate vicende dei resti


I resti mortali di Dante furono oggetto di diatribe tra i ravennati e i fiorentini
già dopo qualche decennio la sua morte, quando l'autore della Commedia fu
"riscoperto" dai suoi concittadini grazie alla propaganda operata da
Boccaccio[102]. Se i fiorentini rivendicavano le spoglie in quanto concittadini
dello scomparso (già nel 1429 il Comune richiese ai Da Polenta la restituzione dei
resti[103]), i ravennati volevano che rimanessero nel luogo dove il poeta
morì[104], ritenendo che i fiorentini non si meritassero i resti di un uomo che
avevano dispregiato in vita. Per sottrarre i resti del poeta a un possibile
trafugamento da parte di Firenze (rischio divenuto concreto sotto i papi medicei
Leone X e Clemente VII)[104], i frati francescani[105] tolsero le ossa dal sepolcro
realizzato da Pietro Lombardi, nascondendole in un luogo segreto[104] e rendendo
poi, di fatto, il monumento del Morigia un cenotafio. Quando nel 1810 Napoleone
ordinò la soppressione degli ordini religiosi, i frati, che di generazione in
generazione si erano tramandati il luogo ove si trovavano i resti, decisero di
nasconderle in una porta murata dell'attiguo oratorio del quadrarco di
Braccioforte[104]. Le spoglie rimasero in quel luogo fino al 1865, allorché un
muratore, intento a restaurare il convento in occasione del VI centenario della
nascita del poeta, scoprì casualmente sotto una porta murata una piccola cassetta
di legno, recante delle iscrizioni in latino a firma di un certo frate Antonio
Santi (1677)[104], le quali riportavano che nella scatola erano contenute le ossa
di Dante. Effettivamente, all'interno della cassetta fu ritrovato uno scheletro
pressoché integro[106]; si provvide allora a riaprire l'urna nel tempietto del
Morigia, che fu trovata vuota, fatte salve tre falangi[107], che risultarono
combaciare con i resti rinvenuti sotto la porta murata, certificandone l'effettiva
autenticità[107]. La salma fu ricomposta, esposta per qualche mese in un'urna di
cristallo e quindi ritumulata all'interno del tempietto del Morigia, in una cassa
di noce protetta da un cofano di piombo. Nel sepolcro di Dante, sotto un piccolo
altare si trova l'epigrafe in versi latini dettati da Bernardo da Canaccio per
volere di Guido Novello, ma incisi soltanto nel 1357[108]:
(LA)
«Iura Monarchiae, Superos, Phlegetonta lacusque
Lustrando cecini, voluerunt fata quousque.
Sed quia pars cessit melioribus hospita castris
Actoremque suum petiit felicior astris,
Hic claudor Dantes, patriis extorris ab oris,
Quem genuit parvi Florentia mater amoris.»

(IT)
«I diritti della monarchia, gli dei superni e le paludi del Flegetonte visitando
cantai, finché volle il destino. Poiché però l'anima andò ospite in luoghi migliori
e più beata raggiunse tra le stelle il suo Creatore, qui sono racchiuso io Dante,
esule dalla patria terra, che generò Firenze, madre di poco amore.»

(Epitaffium ad sepulcrum Dantis[109])

Il più antico ritratto documentato di Dante Alighieri conosciuto, Palazzo dell'Arte


dei Giudici e Notai, Firenze. Databile intorno al 1336-1337, l'affresco è di scuola
giottesca[110] ed è il ritratto iconografico del poeta più vicino a quello
ricostruito nel 2007.
Il vero volto di Dante
Come si può ben vedere dai vari dipinti a lui dedicati, il volto del poeta era
assai spigoloso, con la faccia torva e col celeberrimo naso aquilino, come figura
nel dipinto di Botticelli posto nella sezione introduttiva. Fu Giovanni Boccaccio,
nel suo Trattatello in laude di Dante, a fornire questa descrizione fisica:
«Fu adunque questo nostro poeta di mediocre statura [...] Il suo volto fu lungo, e
il naso aquilino, e gli occhi anzi grossi che piccioli, le mascelle grandi, e dal
labbro di sotto era quel di sopra avanzato; e il colore era bruno, e i capelli e la
barba spessi, neri e crespi, e sempre nella faccia malinconico e pensoso.»

(Trattatello in laude di Dante, XX)

Gli studi compiuti dagli antropologi, però, smentirono gran parte della letteratura
artistica dantesca nel corso dei secoli. Nel 1921, in occasione del seicentenario
della morte di Dante, l'antropologo dell'Università di Bologna Fabio Frassetto fu
autorizzato dalle autorità a studiare il cranio del poeta, risultato mancante della
mandibola[111]. Nonostante i mezzi dell'epoca e un risultato di indagine non
pienamente soddisfacente, Frassetto può già dedurre che il volto "psicologico"
tramandatoci nel corso dei secoli non corrisponde a quello "fisico". Difatti, nel
2007, grazie a una squadra guidata da Giorgio Gruppioni, antropologo sempre
dell'Università di Bologna, si riuscì a realizzare un volto i cui tratti somatici
corrisponderebbero al 95% a quello reale[111]. Partendo dal cranio ricostruito da
Frassetto, il volto reale di Dante è risultato (grazie al contributo del biologo
dell'Università di Pisa Francesco Mallegni e dello scultore Gabriele Mallegni)[112]
sicuramente non bello, ma privo di quel naso aquilino così accentuato dagli artisti
di età rinascimentale e molto più vicino a quello, risalente pochi anni dopo la
morte del poeta, di scuola giottesca.

Il pensiero
Andrea del Castagno, Dante Alighieri, ne Ciclo degli uomini e donne illustri,
affresco, tra il 1448 e il 1451, Galleria degli Uffizi, Firenze
Il ruolo del volgare e l'ottica "civile" della letteratura
Il ruolo della lingua volgare, definita da Dante nel De Vulgari come Hec est nostra
vera prima locutio[113] («il nostro primo vero linguaggio», nella traduzione
italiana)[114], fu fondamentale per lo sviluppo del suo programma letterario. Con
Dante, infatti, il volgare assunse lo stato di lingua colta e letteraria, grazie
alla ferrea volontà, da parte del poeta fiorentino, di trovare un veicolo
linguistico comune tra gli italiani, perlomeno tra i governanti[115]. Egli, nei
primi passi del De Vulgari, esporrà chiaramente la sua predilezione per la lingua
colloquiale e materna rispetto a quella latina, finta e artificiale:
(LA)
«Harum quoque duarum nobilior est vulgaris: tum quia prima fuit humano generi
usitata; tum quia totus orbis ipsa perfruitur, licet in diversas prolationes et
vocabula sit divisa; tum quia naturalis est nobis, cum illa potius artificialis
existat.»

(IT)
«La più nobile di queste due lingue è il volgare, sia perché fu la prima a essere
usata dal genere umano, sia perché tutto il mondo ne fruisce (pur nelle diversità
di pronuncia e di vocabolario che la dividono), sia perché ci è naturale, mentre
l’altra è piuttosto artificiale.»

(De Vulgari Eloquentia I, 1,4)

Proposito della produzione letteraria volgare dantesca è infatti quella di essere


fruibile da parte del pubblico dei lettori, cercando di abbattere il muro tra i
ceti colti (abituati a interagire fra di loro in latino) e quelli più popolari,
affinché anche questi ultimi potessero apprendere contenuti filosofici e morali
fino ad allora relegati nell'ambiente accademico. Si ha quindi una visione della
letteratura intesa come strumento al servizio della società, come verrà esposto
programmaticamente nel Convivio:
«E io adunque... a' piedi di coloro che seggiono [nella mensa dei dotti] ricolgo di
quello che da loro cade, e conosco la misera vita di quelli che dietro m’ho
lasciati, per la dolcezza ch'io sento in quello che a poco a poco ricolgo,
misericordievolmente mosso, non me dimenticando, per li miseri alcuna cosa ho
riservata, la quale a li occhi loro, già è più tempo, ho dimostrata; e in ciò li ho
fatti maggiormente vogliosi.»

(Convivio, I, 10)

Alla scelta di Dante di utilizzare la lingua volgare per scrivere alcune delle sue
opere possono avere influito notevolmente le opere di Andrea da Grosseto, letterato
del Duecento che utilizzava la lingua volgare da lui parlata, il dialetto
grossetano dell'epoca, per la traduzione di opere prosaiche in latino, come i
trattati di Albertano da Brescia[116].

La poetica
Il «plurilinguismo» dantesco

Lo stesso argomento in dettaglio: Rota Vergilii.


Con questa felice espressione, il critico letterario Gianfranco Contini ha
individuato la straordinaria versatilità di Dante, all'interno delle Rime, nel
saper usare più registri linguistici con disinvoltura e grazia armonica[117]. Come
già esposto prima, Dante manifesta un'aperta curiosità per la struttura "genetica"
della lingua materna degli italiani, concentrandosi sulle espressioni dell'eloquio
quotidiano, sui motti e battute più o meno raffinate. Questa tendenza a inquadrare
la ricchezza testuale della lingua materna spinge il letterato fiorentino a
realizzare un affresco variopinto finora mai creato nella lirica volgare italiana,
come esposto lucidamente da Giulio Ferroni:
«Rispetto alla produzione poetica del volgare italiano della seconda metà del
secolo XIII, la Commedia amplia notevolmente gli orizzonti sintattici e lessicali:
la varietà stilistica... crea una variazione di registri, attingendo sia alla
lingua bassa sia a quella nobile. Dante trae spunti dalla letteratura latina... o
da quella in volgare, ma nello stesso tempo ha uno spiccato interesse per il
linguaggio parlato, colloquiale, anche nelle forme più vivaci, aggressive e
popolaresche.»

(Ferroni, p. 28)

Raffaello Sanzio, Disputa del Sacramento, dettaglio raffigurante Dante, 1509-1510


ca, Stanza della Segnatura, Palazzo Pontificio, Vaticano. Raffaello inserisce Dante
tra teologi e dottori della Chiesa, in quanto il poeta fiorentino era ritenuto
filosofo e teologo di chiara fama per le opere da lui lasciate in materia
religiosa.
Come rimarca Guglielmo Barucci: «Non siamo dunque di fronte [nelle Rime] a una
progressiva evoluzione dello stile di Dante, ma alla compresenza – anche nello
stesso periodo – di forme e stili diversi»[118]. La capacità con cui Dante passa,
all'interno delle Rime, dalle tematiche amorose a quelle politiche, da quelle
morali a quelle burlesche, troverà il supremo raffinamento all'interno della
Commedia, riuscendo a calibrare la tripartizione stilistica denominata Rota
Vergilii, secondo la quale a un determinato argomento deve corrispondere un
determinato registro stilistico[119]. Nella Commedia, in cui le tre cantiche
corrispondono ai tre stili "umile", "mezzano" e "sublime", la rigida tripartizione
teorica scema davanti alle esigenze narrative dello scrittore, per cui all'interno
dell'Inferno (che dovrebbe corrispondere allo stile più basso), troviamo passi e
luoghi di altissima levatura stilistica e drammatica, quali l'incontro con
Francesca da Rimini e Ulisse. Il plurilinguismo, secondo un'analisi più
strettamente lessicale, risente anch'esso dei numerosi idiomi di cui era infarcita
la lingua letteraria dell'epoca: vi si trovano infatti latinismi, gallicismi e,
ovviamente, volgare fiorentino[120].

Lo Stilnovismo dantesco: tra biografismo e spiritualizzazione


Dante ebbe un ruolo fondamentale nel far approdare la lirica volgare a nuove
conquiste, non soltanto dal punto di vista tecnico-linguistico, ma anche da quello
prettamente contenutistico. La spiritualizzazione della figura dell'amata Beatrice
e l'impianto vagamente storico in cui la vicenda amorosa è inserita, determinarono
la nascita di tratti del tutto particolari all'interno dello stilnovismo[121]. La
presenza della figura idealizzata della donna amata (la cosiddetta donna angelo) è
un topos ricorrente in Lapo Gianni, Guido Cavalcanti e Cino da Pistoia, ma in Dante
assume una dimensione più storicizzata di quella degli altri rimatori[122]. La
produzione dantesca, per la sua profondità filosofica può essere confrontata
soltanto con quella del maestro Cavalcanti, rispetto alla quale la divergenza
consiste nella differente concezione dell'amore. Se Beatrice è l'angelo che opera
la conversione spirituale di Dante sulla Terra e che gli dona la beatitudine
celeste[123], la donna amata da Cavalcanti è invece foriera di sofferenza, dolore
che allontanerà progressivamente l'uomo da quella catarsi divina teorizzata
dall'Alighieri[124]. Altro traguardo raggiunto da Dante è l'aver saputo far
emergere l'introspezione psicologica e l'autobiografismo: praticamente ignoti al
Medioevo, queste due dimensioni guardano già al Petrarca e, più lontano ancora,
alla letteratura umanistica. Dante così è il primo, tra i letterati italiani, a
"scomporsi" tra il sé inteso come personaggio e l'altro io inteso come narratore
delle proprie vicende. Così Contini, riprendendo il filo tracciato dallo studioso
statunitense Charles Singleton, parla dell'operazione poetica e narrativa dantesca:
«Va citato a titolo d'onor l'italianista americano Charles Singleton, che in un suo
saggio penetrante... ha notato come nell'io di Dante... convergano l'uomo in
generale, soggetto del vivere e dell'agire, e l'individuo storico, titolare di
un'esperienza determinata hic et nunc, in un certo spazio e in un certo tempo; Io
trascendentale (con la maiuscola), diremmo oggi, e io (con la minuscola)
esistenziale.»

(Gianfranco Contini, Un'idea di Dante, pp. 34-35)

Beatrice e la «donna angelo»

Lo stesso argomento in dettaglio: Beatrice Portinari e Vita nuova.

Henry Holiday, Dante incontra Beatrice al ponte Santa Trinita, dipinto a olio,
1883, Walker Art Gallery, Liverpool
«L'amore per la bella fanciulla involta di drappo sanguigno, ch'egli chiama
Beatrice, ha tutt'i caratteri di un primo amore giovanile, nella sua purezza e
verginità, più nell'immaginazione che nel cuore. Beatrice è più simile a sogno, a
fantasma, a ideale celeste che a realtà distinta e che procura effetti proprii. Uno
sguardo, un saluto è tutta la storia di questo amore. Beatrice morì angiolo, prima
che fosse donna, e l'amore non ebbe tempo di divenire una passione, come si direbbe
oggi, rimase un sogno ed un sospiro.»

(Francesco de Sanctis, Storia della letteratura italiana [1870], Morano, Napoli


1890, p. 59.)

Così De Sanctis, padre della storiografia letteraria italiana, scrisse sulla donna
amata dal poeta, Beatrice. Benché si cerchi tutt'oggi di comprendere in che cosa
consistesse realmente, per Dante, l'amore nei confronti di Beatrice Portinari
(presunta identificazione storica della Beatrice della Vita Nova), si può solo
concludere con certezza l'importanza che tale amore ebbe per la cultura letteraria
italiana. È nel nome di questo amore che Dante ha dato la sua impronta al Dolce
stil novo, aprendo la sua "seconda fase poetica" (in cui manifesta la sua piena
originalità rispetto ai modelli passati)[125] e conducendo i poeti e gli scrittori
a scoprire i temi dell'amore in un modo mai così enfatizzato prima. L'amore per
Beatrice (come in modo differente Francesco Petrarca mostrerà per la sua Laura)
sarà il punto di partenza per la formulazione del suo manifesto poetico, nuova
concezione dell'amor cortese sublimato dalla sua intensa sensibilità religiosa (il
culto mariano con le laudi arrivato a Dante attraverso le correnti pauperistiche
del Duecento, dai Francescani in poi) e, pertanto, privata degli elementi sensuali
e carnali tipici della lirica provenzale. Tale formulazione poetica, culminata con
la poesia della lode[126], approderà, dopo la morte della Beatrice "terrena", alla
ricerca filosofica prima (la Donna pietosa) e a quella teologica poi (l'apparizione
in sogno di Beatrice che spinge Dante a ritornare a lei dopo il traviamento
filosofico, critica che si farà più dura in Purgatorio, XXX)[127]. Tale
allegorizzazione dell'amata, intesa come veicolo di salvezza, segna definitivamente
il distacco dalla tematica amorosa e spinge Dante verso la vera sapienza, cioè luce
abbacinante e impenetrabile che avvolge Dio nel Paradiso. Beatrice si conferma,
pertanto, in quel ruolo salvifico tipico degli angeli, che reca non solo all'amato,
ma a tutti gli uomini quella beatitudine di cui si accennava prima[128].

Mantenendo una funzione allegorica, Dante frappone un valore numerologico alla


figura di Beatrice. È infatti all'età di nove anni che la incontra per la prima
volta, poi nell'ora nona avviene un successivo incontro. Di lei dirà pure: «non
soffre di stare in un altro numero se non nel nove». Dante fa morire Beatrice il 9
giugno (pur essendo in realtà l'8) scrivendo su di essa: «lo perfetto numero era
compiuto»[129].

Dalle rime «amorose» a quelle «petrose»


Dopo la fine dell'esperienza amorosa, Dante si concentrò sempre più su una poesia
caratterizzata dalla riflessione filosofico-politica, che assumerà tratti duri e
sofferenti nelle rime della seconda metà degli anni novanta, chiamate anche rime
«petrose», in quanto incentrate sulla figura di una certa «donna petra»,
completamente antitetica alle "donne che avete intelletto d'Amore"[130]. Infatti,
come riportano Salvatore Guglielmino e Hermann Grosser, la poesia dantesca perse
quella dolcezza e leggiadria propria della lirica della Vita nova, per assumere
connotati aspri e difficili:
«... l'esperienza delle rime petrose, che si riallacciano all'esperienza del trobar
clus [poetare difficile] di Arnaut Daniel, costituisce un fondamentale esercizio di
stile aspro (di contro a quello dolce dello stilnovismo).»

(Guglielmino-Grosser, p. 151)

Le fonti e i modelli letterari

Rafael Flores, Dante y Virgilio visitando el Infierno, pittura a olio, 1855, Museo
nacional de arte, Città del Messico
Dante e il mondo classico

Gustave Doré, Lucifero, 1861-1868. L'incisione dell'artista francese riprende la


descrizione fatta dal poeta in If XXXIV, la quale a sua volta era tratta da un
affresco presente nel Battistero di San Giovanni.
Dante ebbe un profondo amore nei confronti dell'antichità classica e della sua
cultura: ne sono prova la devozione per Virgilio, l'altissimo rispetto per Cesare e
per le numerose fonti greche e latine da lui usate per la costruzione del mondo
immaginario della Commedia (e di cui la citazione de «li spiriti magni» in If IV
sono un riferimento esplicito degli autori su cui si poggiava la cultura dantesca)
[131]. Nella Commedia, il poeta glorifica l'élite morale e intellettuale del mondo
antico nel Limbo, luogo piacevole e ameno alle porte dell'Inferno dove i giusti
morti senza battesimo vivono, senza però non provare dolore per la mancata
beatitudine[132]. Al contrario di quanto faranno Petrarca e Boccaccio, Dante si
dimostrò un uomo ancora legato appieno alla visione medievale che l'uomo aveva
della civiltà greca e latina, poiché inquadrava quest'ultima all'interno della
storia della salvezza propugnata dal cristianesimo, certezza basata sulla dottrina
medievale dell'esegesi detta dei quattro sensi (letterale, simbolico, allegorico e
anagogico) con cui si cercava di individuare il messaggio cristiano negli autori
antichi[133]. Virgilio è visto da Dante non nella sua dimensione storica e
culturale di intellettuale latino dell'età augustea, quanto in quella profetico-
soteriologica[134]: fu lui, infatti, a predire la nascita di Gesù Cristo nella IV
Egloga delle Bucoliche e così fu glorificato dai cristiani medievali[135]. Oltre a
questa dimensione mitica della figura di Virgilio, Dante guardò a lui come supremo
modello letterario e morale, come evidenziato nel proemio del Poema:
«O de li altri poeti onore e lume,
vagliami 'l lungo studio e l' grande amore
che m'ha fatto cercar lo tuo volume.
Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore,
tu se' solo colui da cu' io tolsi
lo bello stilo che m'ha fatto onore.»

(Inferno, If I, 82-87)

L'iconografia medievale
Dante fu influenzato moltissimo dal mondo che lo circondava, traendo spunto sia
dalla dimensione artistica in senso stretto (busti, bassorilievi e affreschi
presenti nelle chiese), sia da quanto poteva vedere nella sua vita quotidiana.
Barbara Reynolds riporta di come

«Dante [fosse] aduso a casi di tortura, morte di stenti, omicidio, tradimento,


adulterio, sodomia e bestialità. Immagini del male si trovavano illustrate ovunque.
La cupola del [battistero di San Giovanni Battista], ad esempio, era decorata a
mosaici...ove si trovavano raffigurati l'inferno, il purgatorio, il paradiso, il
giudizio universale e, di particolare rilevanza nella Commedia, una grottesca
immagine di Satana [...] I diavoli e i tormenti dell'Inferno non sono invenzioni
della personale fantasia dantesca. Tali terrificanti moniti...erano recitati in
rima dai cantastorie ambulanti, costituivano temi di prediche e di allestimenti
scenici.»

(Reynolds, pp. 27-28)

Gli episodi di Malacoda, Barbariccia e della masnada comparsi in If XXI, XXII e


XXIII, dunque, non sono ascrivibili soltanto all'immaginario personale del poeta,
ma sono ricavati, nella loro potente e degradante caricatura iconografica, da
quanto il poeta poteva scorgere nelle chiese e/o nelle vie di Firenze attraverso
spettacoli allegorici. Oltre alle fonti iconografiche, c'erano però anche dei testi
che presentavano il demonio con tratti disumani e bestiali: in primo luogo, la
visione di Tundale dell'XI secolo, in cui è descritto il demonio che divora le
anime dei dannati, ma anche le cronache di Giacomino da Verona e di Bonvesin de la
Riva[136]. Gli stessi paesaggi della Commedia ricalcano la descrizione delle città
medievali: la presenza di fortificazioni (il castello del Limbo, le mura della
città di Dite), i ponti presenti sulle Malebolge, gli accenni, nel canto XV, alle
imponenti dighe di Bruges e di Padova[137] e le stesse pene infernali sono una
trasposizione visiva della "cultura" medievale in senso lato.

Dante tra cristianesimo e Islam


Influenza fondamentale fu anche quella esercitata dalla produzione letteraria
appartenente al cristianesimo e, in un certo grado, anche alla religione
islamica[138]. La Bibbia è sicuramente il libro cui Dante attinge maggiormente:
echi ne troviamo, oltre ai tantissimi della Commedia, anche nella Vita nova (per
esempio, l'episodio della morte di Beatrice ricalca quello di Cristo sul Calvario)
[139] e nel De vulgari eloquentia (l'episodio della torre di Babele quale origine
delle lingue, presente nel I libro). Oltre alla produzione strettamente sacra,
Dante attinse anche alla produzione religiosa medievale, prendendo spunto, per
esempio, dalla Visio sancti Pauli del V secolo, opera narrante l'ascesa
dell'apostolo delle genti al terzo cielo del Paradiso[140]. Oltre alle fonti
letterarie cristiane, Dante sarebbe giunto in possesso, sulla base di quanto ha
scritto la filologa Maria Corti, del Libro della Scala, opera escatologica araba
tradotta in castigliano, francese antico e latino per conto del re Alfonso X[140]
[141].

Un esempio concreto lo troviamo nel concetto islamico di spirito della vita (rūh al
hayāh) che è considerato come "aria" che esce dalla cavità del cuore. Dante a tal
proposito scrive: «...spirito della vita, lo quale dimora nella secretissima camera
de lo cuore»[142].

Lo storico spagnolo Asín Palacios ha espresso tutte le posizioni di Dante in merito


alle sue conoscenze islamiche nel testo L’escatologia islamica nella Divina
Commedia[143].

Il ruolo della filosofia nella produzione dantesca

Aristotele, copia romana del 117-138 d.C. circa


Come si è detto già nella parte biografica Dante, dopo la morte di Beatrice, si
immerse nello studio della filosofia. Dal Convivio sappiamo che Dante aveva letto
il De consolatione philosophiae di Boezio e il De amicitia di Cicerone e che poi
cominciò a prender parte alle dispute filosofiche che i due principali ordini
religiosi (Francescani e Domenicani) pubblicamente o indirettamente tennero in
Firenze, gli uni spiegando la dottrina dei mistici e di San Bonaventura, gli altri
presentando le teorie di San Tommaso d'Aquino. Il critico Bruno Nardi[144]
evidenzia i tratti salienti del pensiero filosofico dantesco che, pur avendo una
base nel tomismo, presenta anche altri aspetti tra cui un evidente influsso del
neoplatonismo (ad esempio dallo Pseudo-Dionigi l'Areopagita nelle gerarchie
angeliche del Paradiso)[145]. Nonostante gli influssi di scuola platonica, Dante
subì maggiormente l'influsso di Aristotele, che nella seconda metà del XIII secolo
conobbe l'apogeo nell'Europa medievale.

Aristotele nella produzione poetica


La produzione poetica dantesca risentì di due opere aristoteliche in particolare:
la Fisica e l'Etica Nicomachea. La descrizione del mondo naturale da parte del
filosofo di Stagira, accanto alla tradizione medica risalente a Galeno, fu la fonte
principale cui Dante e Cavalcanti attinsero per l'elaborazione della cosiddetta
«dottrina degli spiriti». Attraverso i commenti redatti da Averroè[146] e da
Alberto Magno[147], Dante affermò che il funzionamento del corpo umano fosse dovuto
alla presenza di vari spiriti in determinati organi, dai quali nascevano poi
sentimenti corrispondenti allo stimolo proveniente dall'esterno. Alla presenza di
Beatrice, tali spiriti entravano in subbuglio, suscitando in Dante violente
reazioni emotive e assumendo, come nel caso sotto riportato, anche una volontà
propria, resa efficace attraverso la figura retorica della prosopopea:
«Apparve vestita di nobilissimo colore, umile e onesto, sanguigno, cinta e ornata a
la guisa che a la sua giovanissima etade si convenia. In quello punto dico
veracemente che lo spirito de la vita, lo quale dimora ne la secretissima camera de
lo cuore, cominciò a tremare sì fortemente, che apparia ne li menimi polsi
orribilmente; e tremando disse queste parole: "Ecce deus fortior me, qui veniens
dominabitur michi". In quello punto lo spirito animale, lo quale dimora ne l’alta
camera ne la quale tutti li spiriti sensitivi portano le loro percezioni, si
cominciò a maravigliare molto, e parlando spezialmente a li spiriti del viso, sì
disse queste parole: "Apparuit iam beatitudo vestra". In quello punto lo spirito
naturale, lo quale dimora in quella parte ove si ministra lo nutrimento nostro,
cominciò a piangere, e piangendo disse queste parole: "Heu miser, quia frequenter
impeditus ero deinceps!".»

(Vita Nova, II, 3-6)

Sandro Botticelli, La mappa dell'Inferno, tra il 1480 e il 1490, Biblioteca


Apostolica Vaticana. La divisione dell'Inferno e degli altri due regni
dell'Oltretomba sono debitori dell'etica aristotelica
Ancor più significativa fu l'influenza di Aristotele all'interno della Commedia,
dove si fece sentire la presenza dell'"Etica Nicomachea", oltreché della Fisica. Da
quest'ultima, Dante accolse la struttura cosmologica del Creato (impianto
profondamente debitore anche dell'astronomo egiziano Tolomeo)[148], adattandola poi
alla fede cristiana[147]; dall'"Etica", invece, prese spunto per l'ordinata e
razionale organizzazione del suo mondo ultraterreno, suddividendolo in varie
sottounità (gironi nell'Inferno, cornici nel Purgatorio e cieli nel Paradiso) dove
porre determinate categorie di anime in base alle colpe/virtù commesse in
vita[149].

Aristotele nella produzione sociopolitica


Nell'ambito politico, Dante crede con Aristotele e san Tommaso d'Aquino che lo
Stato abbia un fondamento razionale e naturale, basato su legami gerarchici in
grado di dare stabilità e ordine interno. Nardi aggiunge poi che «pur riconoscendo
che lo schema generale della sua metafisica è quello della scolastica cristiana, è
certo che egli vi ha inserito taluni particolari caratteristici, come la produzione
mediata del mondo inferiore e quella intorno all'origine dell'anima umana
risultante del concorso dell'atto creatore coll'opera della natura»[144].

L'esoterismo dantesco
Diversi autori hanno trattato gli aspetti esoterici delle opere di Dante forse
determinati dall'ormai accertata adesione alla setta dei Fedeli d'Amore. Lo schema
e i contenuti stessi della Divina Commedia farebbero emergere chiari riferimenti.
Sotto questo aspetto sono di notevole importanza il lavoro di Guenon, L'esoterismo
di Dante e il testo di Luigi Valli, Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli
d'Amore[150][151].

L'eresia dantesca
A partire dal XIX secolo diversi autori hanno sostenuto la tesi che Dante potesse
essere stato un cristiano eretico. Tra questi Ugo Foscolo[152], Gabriele
Rossetti[153] e Eugène Aroux[154]. Più recentemente Maria Soresina ha avanzato
l'ipotesi che fosse il catarismo l'eresia dantesca[155].

Opere
Il Fiore e Detto d'Amore

Lo stesso argomento in dettaglio: Il Fiore (poemetto) e Detto d'Amore.


Due opere poetiche in volgare di argomento, lessico e stile affini e collocate in
un periodo cronologico che va dal 1283 al 1287, sono state attribuite con una certa
sicurezza a Dante dalla critica novecentesca, soprattutto a partire dal lavoro del
filologo dantesco Gianfranco Contini[4].

Le Rime

Lo stesso argomento in dettaglio: Le Rime.

Dante Gabriel Rossetti, Beata Beatrix, dipinto a olio, 1872, Chicago Art Institute
Le Rime sono una raccolta messa insieme e ordinata da moderni editori, che riunisce
il complesso della produzione lirica dantesca dalle prove giovanili a quelle
dell'età matura (le prime sono datate intorno al 1284)[92] divise tra Rime
giovanili e Rime dell'esilio per distinguere due gruppi di liriche assai distanti
per il tono e gli argomenti affrontati. Le Rime giovanili comprendono componimenti
che riflettono le varie tendenze della lirica cortese del tempo, quella
guittoniana, quella guinizelliana e quella cavalcantiana, passando da tematiche
amorose a giocose tenzoni dallo sfondo velatamente erotico-giocoso con Forese
Donati e con Dante da Maiano.

Vita Nova

Lo stesso argomento in dettaglio: Vita nuova.


La Vita Nova può essere considerata il "romanzo" autobiografico di Dante, in cui si
celebra l'amore per Beatrice, presentata con tutte le caratteristiche proprie dello
stilnovismo dantesco. Racconto della vita spirituale e della evoluzione poetica del
Poeta, resa come exemplum, la Vita nova è un prosimetro (brano caratterizzato
dall'alternanza tra prosa e versi) e risulta strutturata in quarantadue (o
trentuno)[156] capitoli in prosa collegati in una storia omogenea, che spiega una
serie di testi poetici composti in tempi differenti, tra cui hanno particolare
rilevanza la canzone-manifesto Donne ch'avete intelletto d'amore e il celebre
sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare. Secondo buona parte degli studiosi, per
la forma del prosimetro, Dante si sarebbe ispirato alle razos provenzali (ovvero le
"ragioni") che servivano a spiegare le ragioni da cui scaturivano le liriche; e
alla De consolatione philosophiae di Severino Boezio[121]. L'opera è consacrata
all'amore per Beatrice e fu composta probabilmente tra il 1292 e il 1293[121]. La
composizione delle rime si può far risalire, secondo la cronologia che Dante
fornisce, tra il 1283 come risulta dal sonetto A ciascun alma presa e dopo il
giugno del 1291, anniversario della morte di Beatrice. Per stabilire con una certa
sicurezza la data della composizione del libro nel suo insieme organico,
ultimamente la critica è propensa ad avvalersi del 1300, data non superabile, che
corrisponde alla morte del destinatario Guido Cavalcanti: "Questo mio primo amico a
cui io ciò scrivo" (Vita nova, XXX, 3). Quest'opera ha avuto una particolare
fortuna negli Stati Uniti, dove fu tradotta dal filosofo e letterato Ralph Waldo
Emerson[157].

Convivio

Lo stesso argomento in dettaglio: Convivio.

Monumento a Dante in Piazza Santa Croce a Firenze (1865)


Il Convivio (scritta tra il 1303 e il 1308)[158] dal latino convivium, ovvero
"banchetto" (di sapienza), è la prima delle opere di Dante scritta subito dopo il
forzato allontanamento di Firenze ed è il grande manifesto del fine "civile" che la
letteratura deve avere nel consorzio umano. L'opera consiste in un commento a varie
canzoni dottrinali poste all'incipit, una vera e propria enciclopedia dei saperi
più importanti per coloro che vogliano dedicarsi all'attività pubblica e civile
senza aver compiuto gli studi regolari[121]. È pertanto scritta in volgare per
essere appunto capita da chi non ha avuto la possibilità in precedenza di studiare
il latino. L'incipit del Convivio fa capire chiaramente che l'autore è un grande
conoscitore e seguace di Aristotele; questi, infatti, viene citato con il termine
"Lo Filosofo"[159]. L'incipit in questo caso spiega a chi è rivolta quest'opera e a
chi non è rivolta: soltanto coloro che non hanno potuto conoscere la scienza
dovrebbero accedervi. Questi sono stati impediti da due tipi di ragioni:

interne: malformazioni fisiche, vizi e malizia;


esterne: cura familiare, civile e difetto di luogo di nascita.
Dante ritiene beati i pochi che possono partecipare alla mensa della scienza, dove
si mangia il "pane degli angeli", e miseri coloro che si accontentano di mangiare
il cibo delle pecore. Dante non siede alla mensa, ma è fuggito da coloro che
mangiano il pastume e ha raccolto quello che cade dalla mensa degli eletti per
crearne un altro banchetto. L'autore allestirà un banchetto e servirà una vivanda
(i componimenti in versi) accompagnata dal pane (la prosa) necessario per
assimilarne l'essenza. Saranno invitati a sedersi solo coloro che erano stati
impediti da cura familiare e civile, mentre i pigri sarebbero stati ai loro piedi
per raccogliere le briciole[160].

De vulgari eloquentia

Lo stesso argomento in dettaglio: De vulgari eloquentia.

Una copia del 1577 del De vulgari eloquentia


Contemporaneo al Convivio, il De vulgari eloquentia è un trattato in latino scritto
da Dante tra il 1303 e il 1304[161]. Composto da un primo libro intero e da 14
capitoli del secondo libro, era inizialmente destinato a comprendere quattro libri.
Pur affrontando il tema della lingua volgare, fu scritto in latino perché gli
interlocutori a cui Dante si rivolse appartenevano all'élite culturale del tempo,
che forte della tradizione della letteratura classica riteneva il latino senz'altro
superiore a qualsiasi volgare, ma anche per conferire alla lingua volgare una
maggior dignità: il latino era infatti usato soltanto per scrivere di legge,
religione e trattati internazionali, cioè argomenti della massima importanza. Dante
si lanciò in un'appassionata difesa del volgare, dicendo che meritava di diventare
una lingua illustre in grado di competere se non uguagliare la lingua di Virgilio,
sostenendo però che per diventare una lingua in grado di trattare argomenti
importanti il volgare doveva essere[162]:

illustre (in quanto luminoso e quindi capace di dare lustro a chi ne fa uso nello
scritto);
cardinale (tale che intorno a esso ruotassero come una porta intorno al cardine, i
volgari regionali);
aulico (reso nobile dal suo uso dotto, tale da esser parlato nella reggia);
curiale (come linguaggio delle corti italiane, e da essere adoperato negli atti
politici di un sovrano).
Con tali termini intendeva l'assoluta dignità del volgare anche come lingua
letteraria, non più come lingua esclusivamente popolare. Dopo avere ammesso la
grande dignità del siciliano illustre, la prima lingua letteraria assunta a dignità
nazionale, passa in rassegna tutti gli altri volgari italiani trovando nell'uno
alcune, nell'altro altre delle qualità che sommate dovrebbero costituire la lingua
italiana. Dante vede nell'italiano la panthera redolens dei bestiari medievali,
animale che attrae la sua preda (qui lo scrittore) con il suo irresistibile
profumo, che Dante sente in tutti i volgari regionali, e in particolare nel
siciliano, senza però riuscire mai a vederla materializzarsi[163]: manca in effetti
ancora una lingua italiana utilizzabile in tutti i suoi registri, da tutti gli
strati della popolazione della penisola italica. Per farla riapparire era dunque
necessario attingere alle opere dei letterati italiani finora apparsi, cercando
così di delineare un canone linguistico e letterario comune[164].

De Monarchia

Lo stesso argomento in dettaglio: Monarchia (Dante).


L'opera venne composta in occasione della discesa in Italia dell'imperatore Enrico
VII di Lussemburgo tra il 1310 e il 1313. Si compone di tre libri ed è la summa del
pensiero politico dantesco[165]. Nel primo Dante afferma la necessità di un impero
universale e autonomo, e riconosce questo impero come unica forma di governo capace
di garantire unità e pace. Nel secondo riconosce la legittimità del diritto
dell'impero da parte dei Romani. Nel terzo libro Dante dimostra che l'autorità del
monarca è una volontà divina, e quindi dipende da Dio: non è soggetta all'autorità
del pontefice; al contempo, però, l'imperatore deve mostrare rispetto nei confronti
del pontefice, Vicario di Dio in Terra. La posizione dantesca è per più aspetti
originale, poiché si oppone decisivamente alla tradizione politica narrata dalla
donazione di Costantino: il De Monarchia è in contrasto tanto con i sostenitori
della concezione ierocratica[166], quanto con i sostenitori dell'autonomia politica
e religiosa dei sovrani nazionali rispetto all'imperatore e al papa.

Commedia

Lo stesso argomento in dettaglio: Divina Commedia.

Domenico di Michelino, Dante ed i tre regni, 1465, Firenze, Santa Maria del Fiore
La Comedìa — titolo originale dell'opera: successivamente Giovanni Boccaccio
attribuì l'aggettivo "Divina" al poema dantesco[167] — è il capolavoro del poeta
fiorentino ed è considerata la più importante testimonianza letteraria della
civiltà medievale nonché una delle più grandi opere della letteratura
universale[168]. Viene definita "comedia" in quanto scritta in stile "comico",
ovvero non aulico. Un'altra interpretazione si fonda sul fatto che il poema inizia
da situazioni piene di dolore e paura e finisce con la pace e la sublimità della
visione di Dio. Dante iniziò a lavorare all'opera intorno al 1300 (anno giubilare,
tanto che egli data al 7 aprile di quell'anno il suo viaggio nella selva oscura) e
la continuò nel resto della vita, pubblicando le cantiche man mano che le
completava[169]. Si hanno notizie di copie manoscritte dell'Inferno intorno al
1313, mentre il Purgatorio fu pubblicato nei due anni successivi. Il Paradiso,
iniziato forse nel 1316, fu pubblicato man mano che si completavano i canti negli
ultimi anni di vita del poeta. Il poema è diviso in tre libri o cantiche, ciascuno
formato da 33 canti (tranne l'Inferno che ne presenta 34, poiché il primo funge da
proemio all'intero poema) e a cui corrispondono i tre stili della Rota
Vergilii[170]; ogni canto si compone di terzine di endecasillabi (la terzina
dantesca).

Incipit della Divina Commedia nell'editio princeps del 1472


La Commedia tende a una rappresentazione ampia e drammatica della realtà, ben
lontana dalla pedante poesia didattica medievale, ma intrisa di una spiritualità
cristiana nuova che si mescola alla passione politica e agli interessi letterari
del poeta. Si narra di un viaggio immaginario nei tre regni dell'aldilà, nei quali
si proiettano il bene e il male del mondo terreno, compiuto dal poeta stesso, quale
"simbolo" dell'umanità[148], sotto la guida della ragione e della fede. Il percorso
tortuoso e arduo di Dante, il cui linguaggio diventa sempre più complesso quanto
più egli sale verso il Paradiso, rappresenta, sotto metafora, anche il difficile
processo di maturazione linguistica del volgare illustre, che si emancipa dai
confini angusti municipali per far assurgere il volgare fiorentino al di sopra
delle altre varianti del volgare italiano, arricchendolo nel contempo con il loro
contatto[171]. Dante è accompagnato sia nell'Inferno che nel Purgatorio dal suo
maestro Virgilio; in Paradiso da Beatrice e, infine, da san Bernardo.

Le Epistole e l'Epistola XIII a Cangrande della Scala

Lo stesso argomento in dettaglio: Epistole (Dante Alighieri) ed Epistola XIII a


Cangrande della Scala.
Ruolo rilevante hanno le 13 Epistole scritte da Dante durante gli anni dell'esilio.
Tra le principali epistole, incentrate principalmente su questioni politiche
(relative alla discesa di Arrigo VII) e religiose (lettera indirizzata ai cardinali
italiani riuniti, nel 1314, per eleggere il successore di Clemente V)[172].
L'Epistola XIII a Cangrande della Scala, risalente agli anni tra il 1316 e
1320[173], è l'ultima e la più rilevante delle epistole attualmente conservate
(benché si dubiti in parte della sua autenticità)[173]. Essa contiene la dedica del
Paradiso al signore di Verona, nonché importanti indicazioni per la lettura della
Commedia: il soggetto (la condizione delle anime dopo la morte), la pluralità dei
sensi, il titolo (che deriva dal fatto che inizia in modo aspro e triste e si
conclude con il lieto fine), la finalità dell'opera che non è solo speculativa, ma
pratica poiché mira a rimuovere i viventi dallo stato di miseria per portarli alla
felicità[174].

Egloghe

Lo stesso argomento in dettaglio: Egloghe (Dante Alighieri).


Le Egloghe sono due componimenti di carattere bucolico scritti in lingua latina tra
il 1319 e il 1321 a Ravenna, facenti parte di una corrispondenza con Giovanni del
Virgilio, intellettuale bolognese, i cui due componimenti finiscono sotto il titolo
di Egloga I e Egloga III, mentre quelli danteschi sono l'Egloga II e Egloga IV. La
corrispondenza/tenzone fra i due nacque quando il del Virgilio rimproverò Dante di
voler conquistare la corona poetica scrivendo in volgare e non in latino, critica
che suscitò la reazione di Dante e la composizione delle Egloghe, visto che
Giovanni del Virgilio aveva inviato a Dante tale componimento latino e che, secondo
la dottrina medievale della responsio, l'interlocutore doveva rispondere con il
genere usato per primo[175].

La Quaestio de aqua et terra

Lo stesso argomento in dettaglio: Quaestio de aqua et terra.

Il sistema dell'Universo secondo l'egiziano Tolomeo, teoria fatta propria da Dante


stesso
La trattazione filosofica continuò fino alla fine della vita del poeta. Il 20
gennaio 1320, Dante si recò nuovamente a Verona per discutere, nella chiesa di
Sant'Elena, la struttura del cosmo secondo i cardini aristotelico-tolemaici che, in
quel periodo, erano già oggetto di studio privilegiato per la composizione del
Paradiso. Dante, qui, sostiene come la Terra si trovasse al centro dell'universo,
circondata dal mondo sublunare (composto da terra, acqua, aria e fuoco) e di come
l'acqua si trovi al di sopra della sfera terrestre. Da qui, la trattazione
filosofica caratterizzata dalla disputatio con gli avversari[176].
La fortuna in Italia e nel mondo

Lo stesso argomento in dettaglio: Influenza culturale di Dante Alighieri.


In Italia

Jacopo da Ponte, Ritratto del cardinale Pietro Bembo. La posizione bembiana segnò
un punto di svolta negativo per la produzione dantesca
Dante ebbe una risonanza e una fama pressoché immediata in Italia. Già a partire
dalla seconda metà del XIV secolo, il Boccaccio iniziò una vera e propria
diffusione del culto dantesco, culminata prima nella composizione del Trattatello
in laude di Dante e poi nelle Esposizioni sopra la commedia[177]. L'eredità del
Boccaccio fu raccolta, durante la fase del primo umanesimo, dal cancelliere della
Repubblica Fiorentina Leonardo Bruni, che compose la Vita di Dante Alighieri (1436)
e che contribuì al perdurare del mito dantesco nelle generazioni dei letterati
(Agnolo Poliziano, Lorenzo de' Medici e Luigi Pulci) e degli artisti (Sandro
Botticelli) fiorentini della seconda metà del Quattrocento[178]. La parabola
dantesca cominciò tuttavia a scemare a partire dal 1525, allorché il cardinale
Pietro Bembo, nelle Prose della volgar lingua, stabilì la superiorità del Petrarca
in campo poetico e del Boccaccio per la prosa. Tale canone escluderà il Dante della
Commedia in quanto difficile imitatore, determinandone un declino (nonostante le
appassionate difese di Michelangelo prima e di Giambattista Vico poi) che perdurerà
per tutto il Seicento e il Settecento, a causa anche della messa all'Indice del De
Monarchia. Solamente con l'età romantica e risorgimentale[179] Dante riacquisì un
ruolo di primo piano in quanto simbolo dell'italianità e della solitudine propria
dell'eroe romantico. L'alto valore letterario della Commedia, consacrato da De
Sanctis nella sua Storia della letteratura italiana e riconfermato poi da Carducci,
Pascoli e Benedetto Croce, troverà nel XX secolo[180] appassionati studiosi e
cultori in Gianfranco Contini, Umberto Bosco, Natalino Sapegno, Giorgio Petrocchi,
Maria Corti e, negli ultimi anni, in Marco Santagata.

Sempre nel Novecento e nel Duemila, vari pontefici hanno dedicato pensieri di stima
per l'Alighieri: Benedetto XV, Paolo VI, Giovanni Paolo II l'hanno ricordato per il
suo altissimo valore artistico morale; Benedetto XVI per la finezza teologica; papa
Francesco per il valore soteriologico della Commedia[181][182][183][184][185][186].

Nel mondo

Eugène Delacroix, La barca di Dante, olio su tela, 1822, Museo del Louvre, Parigi
Tra il Quattrocento e il XXI secolo, Dante conobbe fasi alterne nei restanti Paesi
del mondo, influenzati da fattori storici e culturali a seconda delle regioni
geografiche di appartenenza:

Inghilterra[187]: Geoffrey Chaucer, oltre al modello del Decameron, si ispirò anche


alla Commedia, traendo spunto dalle tragedie dell'Inferno quali quella del Conte
Ugolino. Ignorato pressoché nei secoli XV e XVI secolo, il poeta fiorentino trovò
un grandissimo estimatore in John Milton, che prese spunto dall'immaginario
dantesco per la creazione dell'universo del suo Paradise Lost. Con il Romanticismo,
Dante fu ammirato da letterati (William Blake, William Wordsworth, Samuel Taylor
Coleridge, George Gordon Byron e Alfred Tennyson) e pittori (Dante Gabriel Rossetti
e i preraffaelliti, oltre che da William Bell Scott), che lo considerarono un vero
e proprio maestro di poesia e di arte. Nel XX secolo, Edward Morgan Forster si
ispirò alla selva oscura per l'Omnibus celeste e Thomas Stearns Eliot (poeta di
origine statunitense naturalizzato inglese), grandissimo estimatore della Divina
Commedia, ne sottolinea il profondo ascendente sulla gran parte delle sue opere e
in particolare su The Waste Land (La Terra Desolata, 1922), uno dei suoi saggi
dedicati a Dante ora raccolti nel volume Scritti su Dante[188].

Estimatore della Vita Nova, Ralph Waldo Emerson fece conoscere il nome di Dante
negli Stati Uniti d'America
Francia[189]: a parte alcuni codici di Christine de Pizan, Dante non fu conosciuto
approfonditamente in Francia fino alla discesa, nel 1494, di Carlo VIII. Sotto
Francesco I, Dante si diffuse grazie anche alla cosiddetta Scuola lionese, fondata
da mercanti italiani che esportarono d'oltralpe la Commedia. Le successive critiche
bembiane e il diffondersi del petrarchismo oscurarono la fama di Dante in terra di
Francia, cosa che fu favorita dai poeti de La Pléiade e dal classicismo francese
sotto Luigi XIV. Aspramente criticato poi da Voltaire, Dante riconobbe un certo
successo nel XIX secolo grazie alle lezioni tenute da Claude Fauriel e da Abel-
François Villemain.
Germania[190]: la Germania conobbe, come la Francia, relativamente tardi Dante.
L'interesse per il Sommo Poeta, al contrario delle altre nazioni europee, toccò
però un vero e proprio culmine nel corso della riforma protestante, per via dei
contenuti polemici anticlericali presenti nel De Monarchia. Il Dante della Commedia
fu scoperto solo in età Romantica grazie a August Wilhelm von Schlegel, ai filosofi
Friedrich Schelling e Hegel e al filologo Karl Witte.
Spagna[191]: precoce fu invece la conoscenza di Dante in Spagna grazie a opere,
datate tra il XIV e il XV secolo, quali il Cancionero de Baena e Enrique de Aragón.
La Spagna, esponente di spicco della controriforma, condannò violentemente
l'anticlericalismo dantesco, determinandone un vero e proprio eclissamento che
perdurò fino al 1829, con l'arrivo del Romanticismo. Fondamentali risultarono le
traduzioni della Commedia in prosa ad opera di Miguel Aranda y Sanjuán (1868) e in
versi del Conde de Cheste (1879).
Americhe[192]: già nel corso del XIX secolo, lo statunitense Ralph Waldo Emerson
importò sul suolo americano la Vita Nova, decretando un interesse sempre maggiore
nella letteratura americana grazie a Ezra Pound ed Henry Miller. Nel mondo
ispanofono, invece, si segnala il culto che l'argentino Jorge Luis Borges ha
manifestato per la Commedia.
Dante nella cultura di massa

Lo stesso argomento in dettaglio: Influenza culturale di Dante Alighieri § Dante


nella cultura di massa.

Dante nella faccia nazionale dei 2 euro italiani


Nel corso del XX secolo, la figura di Dante è stata oggetto di numerose iniziative
affinché fosse diffuso presso il grande pubblico. In occasione del cinquantenario
dell'Unità d'Italia, la Milano Films[193] e la Helios Film[194] realizzarono i due
primi lungometraggi dedicati all'Inferno, lavori che suscitarono reazioni sia
positive che negative (queste ultime dovute alla presenza di elementi erotici).

Nei decenni successivi, le celebrazioni nazionali dantesche, come il seicentenario


della morte nel 1921 e il settecentenario della nascita nel 1965, sensibilizzarono
il popolo italiano sull'eredità del Sommo Poeta, anche grazie allo sceneggiato
televisivo Vita di Dante, realizzato nel 1965 in occasione del
settecentenario[195]. Nel corso della seconda metà del Novecento, l'opera di
sensibilizzazione si avvalse inoltre dell'emissione di lire raffiguranti il volto
di Dante[196] (oltre che di fumetti della Disney ispirati all'Inferno)[197][198].

Roberto Benigni in TuttoDante a Padova, 2008


Grazie alla televisione, la diffusione dell'opera di Dante raggiunse un pubblico
sempre più ampio: Vittorio Gassman, Vittorio Sermonti e Roberto Benigni recitarono
i versi della Commedia in manifestazioni pubbliche. Nel resto del mondo, invece,
Dante ha ispirato la realizzazione di alcuni film (quali Seven)[199] e di alcuni
manga (come le opere di Gō Nagai) e videogiochi (tra cui Dante's Inferno)[200].

Personaggi e luoghi dell'Inferno sono stati scelti dall'Unione Astronomica


Internazionale per dare i nomi a formazioni geologiche sulla superficie di Io,
satellite di Giove[201]. Inoltre nel 1998 il ritratto di Dante Alighieri dipinto da
Raffaello Sanzio è stato scelto come faccia nazionale della moneta da 2 euro
italiana e nel 2015, in occasione del 750º anniversario della sua nascita, sono
state coniate due monete da 2 euro commemorativi, un'italiana e l'altra
sammarinese.

Nel 2020 la Repubblica Italiana ha stabilito il 25 marzo quale data per commemorare
annualmente la figura di Dante; tale giornata nazionale è stata denominata
Dantedì[202]. Nel 2022 è uscito nelle sale italiane invece Dante di Pupi Avati,
film in cui Giovanni Boccaccio, in viaggio verso Ravenna per donare 10 fiorini
d'oro alla figlia del Sommo Poeta suor Beatrice, incontra gli ultimi sopravvissuti
che hanno conosciuto di persona Dante. Il film, strutturalmente, si basa su due
filoni narrativi: il viaggio di Boccaccio da un lato e la rievocazione di episodi
della vita di Dante dall'altra[203]. Tra il 2021 e il 2023 l'Istituto Poligrafico e
Zecca di Stato ha emesso tre monete dedicate a Dante, raffiguranti simbolicamente i
tre canti della Divina Commedia.

Discografia
La musica della Commedia Ensemble San Felice direttore Federico Bardazzi Classic
Voice - Antiqua 2015
Note
^ Dante Alighieri, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 5 aprile 2016.
^ Guglielmo Gorni, Dante: Storia di un visionario, Laterza, 2011.
^ Alessandro Barbero, Alighieri Durante, detto Dante, Rai Storia, a 9 min 04 s. URL
consultato il 14 settembre 2021.
Contini 1970, pp. 895-901
«l'Alighieri era per solito designato con l'ipocorismo 'Dante' (unicamente in un
atto del 1343, rogato in favore del figlio Iacopo, il defunto padre è denominato
"Durante, ol. vocatus Dante, cd. Alagherii")»

^ H. Bloom, Il Canone occidentale.


^ Sara Marchesi e Maria Grazia Vasta (a cura di), Dante Alighieri, su
letteratura.it, maggio 2007. URL consultato il 3 giugno 2015 (archiviato dall'url
originale il 13 giugno 2015).
^ Società Dante Alighieri – il Mondo in Italiano, su ladante.it, Società Dante
Alighieri. URL consultato il 3 giugno 2015.
^ Dante espone questa sua convinzione in Convivio IV, XXIII 9: «Là dove sia lo
punto sommo di questo arco, per quella disaguaglianza che detta è di sopra, è forte
da sapere; ma ne li più io credo tra il trentesimo e quarantesimo anno, e io credo
che ne li perfettamente naturati esso ne sia nel trentacinquesimo anno».
^ I critici letterari Umberto Bosco e Giovanni Reggio sostengono che Dante fu
influenzato da un passo estratto dalla Bibbia: «L'opinione era ricalcata d'altronde
su un passo biblico: "Dies annorum nostrorum sunt septuaginta anni" (Psalmus 90
(89), 10).)» (Dante Alighieri, La Divina Commedia, a cura di Umberto Bosco e
Giovanni Reggio, Vol. 1 Inferno, p. 7).
^ Villani, p. 135.
^ Ferroni, p. 3.
^ Moreali, p. 457.
^ Marchi, p. 15.
^ Giovanni Boccaccio, Trattatello in Laude di Dante, Capitolo II – Patria e
maggiori di Dante. URL consultato il 20 maggio 2015.
Marchi, p. 14.
^ Inferno, XV, v. 76.
^ Si veda Paradiso, XV 135.
Cacciaguida, su Dante online, Società dantesca italiana. URL consultato il 6
giugno 2015.
^ Riguardo al dibattito sulla nobiltà della famiglia Alighieri, si consultino:
Carpi; Barbi
^ D'Addario
«Nell'arco di tempo di circa due secoli, le condizioni sociali degli A. avevano
subito un mutamento profondo. Cacciaguida è un cavaliere prode e pio, degno di
stare al seguito dell'imperatore; gli Elisei che ne derivano sono nobili per
dignità personale e per parentela; Alaghiero sposa una donna dei Ravignani; Bello è
detto "dominus" nei documenti, con allusione alla dignità equestre di cui era
investito; Geri di Bello è impegnato nelle contese fra le consorterie e muore nel
corso di una faida tra magnati. Gl'immediati ascendenti di D. appartengono già a un
ceto diverso, di minore importanza sul piano sociale; sono cambiatori, prestatori,
piccoli - per quanto agiati - proprietari di case e di terre. La nobiltà
cittadinesca degli avi, sostanziata di valore militare e di pietà religiosa, è
venuta trasformandosi in anonima condizione borghese e rivive ormai solo
nell'idealizzazione che D. ne fa attraverso le parole di Cacciaguida. La parabola
discendente degli A. è assunta nella Commedia come paradigma della decadenza cui
soggiace l'intera società fiorentina, divisa e corrotta dalla lotta politica,
profondamente mutata nelle sue componenti a causa dell'inurbamento conseguente
all'ampliamento territoriale e alle fortune economiche della città.»

^ D'Addario 1960.
^ Andrea Mazzucchi, I genitori, su internetculturale.it, Internet culturale, 2012.
URL consultato il 3 giugno 2015 (archiviato dall'url originale il 24 settembre
2015).
^ LXXIV, su it.wikisource.org.
^ Dante, "il padre Alighiero di Bellincione era un usuraio: la prova in due
pergamene", su Il Fatto Quotidiano, 1º febbraio 2017. URL consultato il 2 febbraio
2017.
^ Reynolds, p. 15.
^ Bella è diminutivo per Gabriella.
Petrocchi, p. 12.
Ferroni, p. 4.
^ Di Marco, p. 56.
Petrocchi, p. 13.
^ Andrea Mazzucchi, Brunetto Latini, su internetculturale.it, Internet culturale,
2012. URL consultato il 3 giugno 2015 (archiviato dall'url originale il 24
settembre 2015).
^ Mazzoni.
^ Inglese.
^ L'ultimo verso, infatti, ricorda molto il Somnium Scipionis di Cicerone, ove gli
uomini resisi illustri per i loro meriti civili trovano finalmente pace in una
sorta di "paradiso", eternandosi (come dice appunto Dante).
^ Bosco-Reggio, p. 248, nota 85
«Gloria dona al prode uomo una seconda vita, cioè a dir che, dopo la sua morte, la
nominanza che riman di sue opere buone mostra che egli sia ancora in vita»

^ Andrea Mazzucchi, I francescani di Santa Croce e i domenicani di Santa Maria


Novella, su internetculturale.it, Internet Culturale. URL consultato il 18 maggio
2015 (archiviato dall'url originale il 24 settembre 2015).
^ Reynolds, p. 20.
^ «... per Dante, come per quasi tutti i pensatori del suo tempo, Aristotele e
l'autorità filosofica più alta [...] Noi dicevamo di buon grado: il medioevo è il
Papa e l'Imperatore; avvertiti da Dante, diciamo ormai: il Papa, l'Imperatore e
Aristotele».(Gilson, pp. 136-137)
^ Andrea Mazzucchi, Dante Alighieri. Aristotele: 'l maestro di color che sanno, su
internetculturale.it, Internet Culturale. URL consultato il 17 maggio 2015
(archiviato dall'url originale il 24 settembre 2015).
^ Tra questi Giorgio Petrocchi, come si evince dalla sua da quest'affermazione:
Petrocchi, Vita di Dante, p. 22
«L'anno successivo, il 1287, ci consente invece una certezza: il soggiorno a
Bologna, breve ma sicuro»
^ ( Cronologia della vita di Dante - 1287 (archiviato dall'url originale il 1º
aprile 2015).).
^ Carlo Marchesi, Dante Alighieri. Soggiorno a Bologna, su bolognaracconta.com,
Bologna racconta. URL consultato il 16 novembre 2017 (archiviato dall'url originale
il 22 luglio 2014).
^ Guidubaldi.
^ Paradiso, X, 133-138.
Andrea Mazzucchi, I primi anni dell’esilio (1302-1310), su internetculturale.it,
Internet Culturale. URL consultato il 17 maggio 2015 (archiviato dall'url originale
il 24 settembre 2015).
Ferroni, p. 6.
^ Contini 2006, pp. 75-76.
^ «Le primissime rime si legano ancora agli schemi guittoniani e a quelli della
lirica cortese toscana, ma hanno una maggiore leggerezza di tono, dovuta a un
rapporto più diretto con la lirica siciliana». (Ferroni, p. 7)
^ Si veda il rapporto polemico con l'Orbicciani in Purgatorio XXIV, vv. 52-62, ove
viene stesa anche la prima definizione di Stil novo.
^ La conoscenza del provenzale da parte di Dante è ricostruibile sia dalle
citazioni contenute nel De vulgari eloquentia sia dai versi provenzali inseriti nel
Purgatorio (Canto XXVI, vv. 140-147).
^ Si veda, come approfondimento, Petrocchi, pp. 35-48 (Dalle rime guittoniane alla
Vita Nova)
Piattoli.
^ Andrea Mazzucchi, La moglie: Gemma Donati, su internetculturale.it, Internet
culturale. URL consultato il 20 maggio 2015 (archiviato dall'url originale il 24
settembre 2015).
^ Un atto del 21 ottobre 1308 a Lucca testimonia che Giovanni fosse figlio suo, in
quanto vi si trova scritto di un "Iohannes filius Dantis Aligherii de Florentia".
^ Dante accenna alla morte violenta di Corso Donati nel Purgatorio XXIV, vv. 82-84,
mettendo la profezia post eventum in bocca al fratello di lui, Forese: «"Or va",
diss'el; "che quei che più n'ha colpa,/vegg'ïo a coda d'una bestia tratto/inver' la
valle ove mai non si scolpa./La bestia ad ogne passo va più ratto,/crescendo
sempre, fin ch'ella il percuote,/e lascia il corpo vilmente disfatto». La tematica
della cavalcata infernale è un topos letterario ben noto nella letteratura
medievale: verrà ripreso, infatti, sia da Giovanni Boccaccio, sia da Jacopo
Passavanti.
^ Dante stesso citerà Carlo Martello d'Angiò nella Divina Commedia (Paradiso VIII,
v. 31 e IX, v. 1).
^ Andrea Mazzucchi, L’Arte dei Medici e degli Speziali, su internetculturale.it,
Internet culturale, 2012. URL consultato il 3 giugno 2015 (archiviato dall'url
originale il 24 settembre 2015).
Ferroni, p. 5.
^ Bacci.
Pampaloni.
^ Petrocchi, p. 80.
Petrocchi, p. 79.
^ Petrocchi, p. 81.
Petrocchi, p. 82.
^ Pizzinat, p. 323
«... Benedetto XI: l'unico papa di quel periodo che non ebbe giudizi negativi da
parte dell'Alighieri...»

^ Marco Santagata, La condanna a morte, su lavitadidante.it, Mondadori, 2012. URL


consultato il 17 maggio 2015 (archiviato dall'url originale il 19 febbraio 2015).
«Quasi sicuramente si trovava ancora a Roma al momento del colpo di Stato dei primi
di novembre; Leonardo Bruni riferisce che Dante, partito da Roma, a Siena era
venuto a sapere che la situazione di Firenze era irreparabile e che perciò avrebbe
deciso di riunirsi con i compagni di partito...»
^ Ciappelli
«Il 1° nov. 1301 Carlo di Valois entrò in Firenze. Al suo seguito, alla testa dei
cavalieri senesi che lo accompagnavano, si trovava anche il Gabrielli.»

^ Il testo integrale delle sentenze di condanna è stato pubblicato nel volume a


cura di Dante Ricci Il processo di Dante, Firenze, Arnaud editore, 1967 (nuova
edizione con una presentazione di Morris L. Ghezzi, Udine, Mimesi, 2011).
^ Petrocchi, p. 93.
^ «... 10 giugno: Niccolò da Prato lascia Firenze; ultima decade di giugno: i Neri
consolidano il loro potere in città impadronendosi di tutte le cariche pubbliche».
(Petrocchi, p. 97).
^ Petrocchi, p. 95.
Petrocchi, p. 97.
^ Guglielmino-Grosser, p. 145.
^ Saffiotti Bernardi.
^ Andrea Mazzucchi, La Lunigiana, su internetculturale.it, Internet culturale,
2012. URL consultato il 3 giugno 2015 (archiviato dall'url originale il 24
settembre 2015).
Giuseppe Benelli, Il VII centenario della venuta di Dante in Lunigiana (PDF), su
gruppocarige.it, p. 39. URL consultato il 3 giugno 2015.
^ Marco Santagata, Dante in Lunigiana, su lavitadidante.it, Mondadori, 2012. URL
consultato il 17 maggio 2015 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016).
Marco Santagata, Cronologia della vita di Dante, su lavitadidante.it, Mondadori,
2012. URL consultato il 18 maggio 2015 (archiviato dall'url originale il 1º aprile
2015).
^ Marco Santagata, Cronologia della vita di Dante, su lavitadidante.it, Mondadori,
2012. URL consultato il 4 giugno 2015 (archiviato dall'url originale il 1º aprile
2015).
«1310... Secondo la testimonianza di Biondo Flavio Dante, trovandosi a Forlì...»
^ Già da parecchi anni, l'Italia era stravolta da guerre civili tra le fazioni dei
guelfi e ghibellini. Inoltre, dal 1305, papa Clemente V trasferì la sua corte ad
Avignone, mentre l'imperatore Alberto I d'Asburgo preferiva non intromettersi nelle
questioni italiane, suscitando la violenza indignazione dantesca nella celebra
apostrofe politica in Pg VI, 97-99: «O Alberto tedesco ch'abbandoni/costei
[l'Italia] ch'è fatta indomita e selvaggia,/e dovresti inforcar li suoi arcioni...»
^ Petrocchi, p. 148.
^ Marco Santagata, Dante a Milano, su lavitadidante.it, Mondadori, 2012. URL
consultato il 17 maggio 2015 (archiviato dall'url originale il 20 maggio 2015).
«Nella lettera che invierà a Enrico in aprile, Dante afferma di avere avuto l’onore
di essere ricevuto in udienza.»
^ Petrocchi, p. 154.
^ Petrocchi, p. 94.
^ Dante stesso, in Convivio IV, XVI, 6, non ne elogia le qualità umane. Si
veda:Varanini
Andrea Mazzucchi, Cangrande della Scala, su internetculturale.it, Internet
Culturale. URL consultato il 18 maggio 2015 (archiviato dall'url originale il 24
settembre 2015).
^ Scoperta una nuova lettera di Dante che riscrive il suo esilio, in Repubblica.
URL consultato il 17 ottobre 2018.
^ Torre.
^ Marco Santagata, Cronologia della vita di Dante, su lavitadidante.it, Mondadori,
2012. URL consultato il 18 maggio 2015 (archiviato dall'url originale il 1º aprile
2015).
«Le cause della partenza sono ignote: forse un accresciuto disagio per l’ambiente
scaligero (di cui resterebbe testimonianza nell’aneddoto riferito da Petrarca,
Rerum memorandarum libri II 83: Cangrande chiede a Dante come mai non riesce a
rendersi gradito al pari di un buffone di corte, il poeta risponde che gli uomini
apprezzano chi è simile a loro), forse la fama di amico delle lettere goduta dal
nuovo signore o la possibilità di trovare una sistemazione ai figli (in questo
periodo Pietro ottiene il rettorato di due chiese ravennati, S. Maria in
Zenzanigola e S. Simone del Muro).»
^ Giorgio Petrocchi, Vita di Dante, p. 199.
^ Come sottolineato da Petrocchi, pp. 198-199, Dante fu raggiunto dal resto della
famiglia, compresa (forse) la moglie Gemma.
Ferroni, p. 7.
^ Petrocchi, p. 198.
^ «... si può dedurre che il signore di Ravenna volle impegnarlo, e forse più
volte, in ambascerie e relazioni cancelleresche, mai in un servizio continuo e
ufficiale di segretario...» (Petrocchi, p. 198).
^ Petrocchi, p. 221.
^ Dall'Onda, p. 158
«Tale fu la cagione dell'andata di Dante a Venezia che allora parve tanto più
opportuna trattandosi di quistioni con gli Ordelaffi, giacché Dante era stato
notario o segretario di Scarpetta Ordelaffi Signore di Forlì circa il 1307.»

^ «Ma quale giorno? Il Boccaccio e i codici del cosiddetto "gruppo del Cento" non
esitano al riguardo: il 14 settembre: "nel dì che la esaltazione della Santa Croce
si celebra dalla Chiesa", dice il Boccaccio. Invece gli epitafi [sic] di Giovanni
del Virgilio (Theologus Dantes) e di Meneghino Mezzani (Inclita fama) danno la data
del 13 settembre». (Petrocchi, p. 222).
^ VI centenario dantesco, p. 6.
^ Andrea Mazzucchelli, La morte e le celebrazioni funebri, su internetculturale.it,
Internet Culturale. URL consultato il 20 maggio 2015 (archiviato dall'url originale
il 13 maggio 2015).
VI centenario dantesco, p. 7.
^ Bencivenni Pelli, p. 148.
^ «La diffusione della biografia di Boccaccio sortì i suoi effetti. Nel 1373 i
cittadini di Firenze avanzarono istanza ai priori per l'organizzazione di una serie
di pubbliche lezioni sulla Commedia» (Reynolds, p. 430).
^ Tettoni-Saladini, Allighieri.
Toni di Rossi, Ravenna - Tomba di Dante, su tonidirossi.it. URL consultato il 18
maggio 2015.
^ Basilica di San Francesco, su turismo.ra.it, Ravenna. Turismo e cultura, 3 giugno
2015. URL consultato il 4 giugno 2015.
«L'attuale denominazione si deve ai frati minori francescani che, tra il 1261 e il
1810, e poi di nuovo tra il 1949 sino a oggi, la scelsero come loro sede.»
^ La morte di Dante e il giallo delle sue spoglie, su foliamagazine.it, Folia. URL
consultato il 4 giugno 2015.
«Al suo interno si trovavano ossa “ben conservate, consistenti, non rose da tarli
di colore rosso scuro, e quasi in numero da completare uno scheletro” (secondo le
parole di Primo Uccellini, autore della Relazione storica sulla avventurosa
scoperta delle ossa di Dante Alighieri, 1865)»
La morte di Dante e il giallo delle sue spoglie, su foliamagazine.it, Folia. URL
consultato il 4 giugno 2015.
^ Marconi: «Giovanni Boccaccio, nella vita di Dante, racconta che Guido Novello
aveva bandito un concorso per l'epigrafe sulla nuova tomba di Dante che egli aveva
intenzione di far erigere; in questa occasione appunto il C. avrebbe composto
l'esastico "Iura monarchiae" fatto incidere da lui intorno al 1357, dopo la morte
di Guido Novello, sul vecchio sepolcro».
^ Ludovico Frati e Corrado Ricci, Il sepolcro di Dante. Documenti raccolti,
Bologna, Stab. tip. succ. Monti, 1889, p. 4.
^ Mara Amorevoli, Ma quale naso aquilino ecco il vero viso di Dante, in la
Repubblica.it, 8 marzo 2005. URL consultato il 24 maggio 2015 (archiviato dall'url
originale il 24 maggio 2015).
Cinzia dal Maso, Più dolce, ecco il vero volto di Dante. Via il profilo spigoloso
del Sommo Poeta, in La Repubblica.it, 11 gennaio 2007. URL consultato il 24 maggio
2015.
^ Giorgio Grupponi, Ricostruzione del volto di Dante, su ilgiornale.it,
fenici.unibo. URL consultato il 24 maggio 2015.
^ De Vulgari Eloquentia I, II 1.
^ Cecchin.
^ Marco Santagata, La promozione del volgare, su lavitadidante.it, Mondadori, 2012.
URL consultato il 19 maggio 2015 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016).
«Dante si rende conto che i ceti dirigenti italiani mancano di una lingua comune»
^ Selmi, p. 389.
^ Contini 1992
«Dei più visibili e sommari attributi che pertengono a Dante, il primo è il
plurilinguismo.»

^ Guglielmo Barucci, Dante e il pluristilismo delle "Rime", su oilproject.org,


oilproject. URL consultato il 19 maggio 2015.
^ Mengaldo
«... Dante non fa che ereditare una nozione, la tripartizione degli stili, che è un
luogo comune di tutta la retorica medievale, a sua volta derivato da più modelli
della latinità classica e tarda [...] Momento fondamentale nella storia di queste
dottrine è quello in cui, dapprima con Donato e con Servio, lo schema dei tre gradi
di stili è applicato alle tre opere di Virgilio, che ne divengono esempio
paradigmatico, rispettivamente le Bucoliche di stile umile o basso, le Georgiche
del mezzano o mediocre, l'Eneide del grave o sublime o grandiloquus»

^ Guglielmino-Grosser, p. 170.
Ferroni, p. 8.
^ . L'ambientazione della Vita nova, per quanto infarcita di visioni oniriche e di
stilemi simbolici, è contornata dal paesaggio della Firenze medievale, in cui
vengono rievocate le figure non solo di Beatrice, ma anche di Guido Cavalcanti
(Vita nova III, 14: «... io chiamo primo de li miei amici...»), la probabile
allusione alle operazioni militari del 1289 (Vita Nova IX,1: «Appresso la morte di
questa donna alquanti die avvenne cosa per la quale me convenne partire de la
sopradetta cittade e ire verso quelle parti dov'era la gentile donna ch'era stata
mia difesa...»), la morte di Folco Portinari, padre di Beatrice (Vita nova XXII, 1:
«Appresso ciò non molti dì passati, sì come piacque al glorioso sire lo quale non
negoe la morte a sé, colui che era stato genitore di tanta maraviglia quanta si
vedea ch'era questa nobilissima Beatrice, di questa vita uscendo, a la gloria
etternale se ne gio veracemente») e via dicendo.
^ Il nome Beatrice assumerà soprattutto nella Divina Commedia la sua reale
importanza, in quanto, etimologicamente parlando, significa Portatrice di
Beatitudine, tanto che solo questa figura potrà condurre Dante lungo il percorso
del Paradiso.
^ Matilde Quarti, Guido Cavalcanti: la poetica e lo Stilnovo, su oilproject.org,
oilproject. URL consultato il 19 maggio 2015.
«Se quindi Cavalcanti getta le basi per la spiritualizzazione dell’amore degli
stilnovisti, egli tuttavia non giunge mai a teorizzare la donna-angelo (e quindi
l’idea che la bellezza terrena sia tramite per la salvezza ultraterrena, come nel
caso di Beatrice nella Vita Nova). Anzi, come detto nella canzone dottrinale Donna
me prega, Amore allontana sempre l’uomo dal perfezionamento di sé»
^ Guglielmino-Grosser, p. 147.
^ La “Vita Nova” di Dante: il capitolo 26 e la poesia della lode, su
oilproject.org, Oilproject. URL consultato il 21 maggio 2015.
^ Andrea Cortellessa, "Purgatorio", Canto 30: commento critico, su oilproject.org,
Oilproject. URL consultato il 21 maggio 2015.
«Quando Beatrice “passa a seconda vita”, cioè muore, Dante commise la sua colpa:
mutò vita; perse la diritta via, la retta via; “si tolse a me e diessi altrui”.
Questa non è gelosia di donna viva, ma è allegoria di una perdita di ruolo, di
significato dell’esistenza che Dante evidentemente aveva sofferto»
^ Come manifestato nel sonetto programmatico Tanto gentile e tanto onesta pare
(Vita Nova XXVI), Dante estende a tutti gli uomini i benefici della vista di
Beatrice («Mostrasi sì piacente a chi la mira,/che dà per li occhi una dolcezza al
core,/che 'ntender no la può chi no la prova»).
^ Julius Evola, Metafisica del sesso, Edizioni Mediterranee, 1994, p. 231., ISBN
88-272-0435-0.
^ Luca Ghirimoldi, Dante, "Così nel mio parlar voglio esser aspro": analisi e
commento, su oilproject.org, Oilproject. URL consultato il 4 giugno 2015.
^ «Tutto questo consesso di filosofi, poeti, moralisti e scienziati rappresenta le
credenziali scientifiche di Dante, la sua "bibliografia" di riferimento, le fonti
autorevoli di quanto si accingeva a scrivere su inferno, purgatorio e paradiso»
(Reynolds, p. 150)
^ «Quivi, secondo che per ascoltare,/non avea pianto mai che di sospiri/che l'aura
etterna facevan tremare» (Inferno IV, vv. 25-27); «... s'elli hanno mercedi,/non
basta, perché non ebber battesmo,/ch'è porta de la fede che tu credi;/e s'e’ furon
dinanzi al cristianesmo,/non adorar debitamente a Dio:/e di questi cotai son io
medesmo./Per tai difetti, non per altro rio,/semo perduti, e sol di tanto
offesi/che sanza speme vivemo in disio». (Inferno IV, vv. 34-42)
^ Lisa Pericoli, La "Commedia" di Dante: fonti e modelli, su oilproject.org,
oilproject. URL consultato il 21 maggio 2015.
«Né si può dimenticare che alla base della rilettura dei “classici” c’è sempre,
nella mentalità medievale, la teoria dei “quattro sensi” dell’interpretazione: il
senso letterale (che trasmette la “lettera” del testo, ovvero il suo riferirsi al
mondo reale), quello allegorico (in cui dietro la storia fittizia c’è un senso
recondito da scoprire), quello morale (relativo all’insegnamento etico che si può
desumere dalle pagine scritte) e quello anagogico (che reinterpreta il contenuto
dell’opera in ottica spiritual-salvifica).»
^ Francesco Lamendola, Il culto di Virgilio nel medioevo, su centrostudilaruna.it,
Centro Studi La Runa, 2 aprile 2010. URL consultato il 21 maggio 2015.
^ Cova, p. 66
«I medioevali vollero vedervi una profezia del Cristo redentore, cantata da un
pagano che sentiva la pienezza dei tempi; l’accenno a una Vergine, al Bimbo
nascente e al serpente che muore erano elementi letterali più che sufficienti a
giustificare questa interpretazione.»

^ Gabriella Giudici, Il diavolo, ossessione medievale, su gabriellagiudici.it. URL


consultato il 22 maggio 2015.
^ Quali Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia, / temendo 'l fiotto che 'nver' lor
s'avventa, / fanno lo schermo perché 'l mar si fuggia; // e quali Padoan lungo la
Brenta, / per difender lor ville e lor castelli, / anzi che Carentana il caldo
senta (Inferno XV, vv. 4-9)
^ Giuseppe Gabrieli, Dante e l'Oriente, Bologna, Nicola Zanichelli editore, 1910.
Più dibattute le tesi di Miguel Asín Palacios, La escatología musulmana en la
Divina Comedia, Madrid, Real Academia. Española, 1919.
^ Foster.
Lisa Pericoli, La Commedia di Dante: fonti e modelli, su oilproject.org,
Oilproject. URL consultato il 21 maggio 2015.
^ Maria Corti. Dante e l'Islam, su emsf.rai.it, Rai Educational, 20 aprile 2000.
URL consultato il 4 giugno 2015 (archiviato dall'url originale il 25 novembre
2015).
^ Alberto Ventura, Sapienza Sufi, Roma, Edizioni mediterranee, 2016, p. 17, ISBN
978-88-272-2653-7.
^ Miguel Asín Palacios, Dante e l'Islam, EST, 1994. URL consultato il 5 ottobre
2017.
Nardi, pp. 1150-1253.
^ Ferroni, p. 23.
^ Essendo Cavalcanti seguace di Averroè, e avendo usato la dottrina degli spiriti
all'interno della sua poetica, è plausibile l'idea che questi abbia appreso tale
dottrina dai commenti di Averroè, esegesi che Dante conobbe sia per il legame che
lo stringeva a Cavalcanti, sia per il suo raffinamento di nozioni filosofiche
avvenute negli anni '90 a Firenze.
Dendi.
Guglielmino-Grosser, p. 164.
^ Anselmi-Ruozzi, p. 223
«... l'inferno dantesco è fondamentalmente tripartito. Nei primi sei cerchi sono
punti i colpevoli di incontinenza, nel settimo quelli di violenza, nell'ottavo e
nel nono quelli di frode. Questa tripartizione è dovuta in parte all'Etica
Nicomachea di Aristotele, dall'altra al De Officiis di Cicerone, quest'ultimo
mediato dal Corpus iuris civilis di Giustiniano.»

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^ Giulio Ferroni, Dante e il nuovo mondo letterario, p. 12.
^ «Sì come dice lo Filosofo nel principio de la Prima Filosofia, tutti li uomini
naturalmente desiderano di sapere». (Convivio I, 1)
^ «Ma vegna qua qualunque è [per cura] familiare o civile ne la umana fame rimaso,
e ad una mensa con li altri simili impediti s'assetti; e a li loro piedi si pongano
tutti quelli che per pigrizia si sono stati, che non sono degni di più alto sedere:
e quelli e questi prendano la mia vivanda col pane, che la far[à] loro e gustare e
patire.» (Convivio I, 13)
^ Ferroni, p. 14.
^ Ferroni, p. 15.
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^ Guglielmino-Grosser, p. 158.
^ Secondo una notizia tramandata dal Boccaccio, da Benvenuto e dall'anonimo
fiorentino, i primi sette canti sarebbero stati composti a Firenze prima
dell'esilio. Rimasti a Firenze e ritrovati da sua moglie, sarebbero stati
consegnati al poeta durante il suo soggiorno in Lunigiana, dove avrebbe ripreso la
composizione dell'opera. Sulla questione si veda: Ferretti 1935 e Ferretti 1950
^ Si guardi la sezione dedicata allo stile.
^ Leonardo Rossi, La Lingua della Commedia, su treccani.it. URL consultato il 18
giugno 2015 (archiviato dall'url originale il 26 giugno 2015).
«Ebbene, in un quadro tanto eterogeneo Dante sa vedere, profeticamente, ciò che
nessun altro aveva visto: la possibilità stessa di un unitario spazio letterario
italiano [...] E sarà la fama del poema, attestata già mentre Dante era in vita, ad
assicurare al volgare fiorentino il prestigio necessario per travalicare i confini
della Toscana e raggiungere ampi strati sociali, non solo quelli di più alta
cultura.»
^ Pastore Stocchi.
Ferroni, p. 18.
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Bibliografia
Lo stesso argomento in dettaglio: Wikipedia:Bibliografia/Dante Alighieri.
La bibliografia sulla vita e sull'opera di Dante è sterminata; normalmente, il
primo strumento di ricerca è l'Enciclopedia dantesca, dell'Istituto
dell'Enciclopedia italiana Treccani, Roma, 1970-1978, consultabile anche on line.
Si possono utilizzare anche le risorse informatiche, in primo luogo la bibliografia
consultabile sul sito della Società Dantesca Italiana. Per la bibliografia cartacea
si rimanda alla voce bibliografia su Dante. In questo luogo, si segnala la
bibliografia utilizzata per la redazione scientifica della voce:

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Voci correlate
Alighieri
Lapidi della Divina Commedia di Firenze
Lapidi della Divina Commedia di Siena
Firenze medievale
Casa di Dante
Ravenna
Tomba di Dante
Giovanni Boccaccio
Francesco Petrarca
Guido Novello da Polenta
Studi danteschi
Enciclopedia dantesca
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Influenza culturale di Dante Alighieri
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Collegamenti esterni
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Poesia italiana del Duecento
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