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Divina Commedia
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significati, vedi La Divina Commedia (disambigua).
Divina Commedia
Titolo originale Comedìa
Altri titoli Commedia
Frontespizio dell'edizione giolitina, la prima intitolata La Divina Comedia (1555)
Autore Dante Alighieri
1ª ed. originale 1321
Editio princeps 11 aprile 1472
Genere poema
Sottogenere allegorico-didascalico
Lingua originale italiano
Protagonisti Dante Alighieri
Altri personaggi Virgilio, Beatrice, san Bernardo, Stazio, santa Lucia, Lucifero
Modifica dati su Wikidata · Manuale

Dante e Beatrice sulle rive del Lete (1889), opera del pittore venezuelano
Cristóbal Rojas
La Comedìa, o Commedia, conosciuta soprattutto come Divina Commedia,[1] è un poema
allegorico-didascalico[2] di Dante Alighieri, scritto in terzine incatenate di
endecasillabi (poi chiamate per antonomasia terzine dantesche) in lingua volgare
fiorentina.[3]

Il titolo originale, con cui lo stesso autore designa il suo poema, fu Comedia
(probabilmente pronunciata con accento tonico sulla i); e così è intitolata anche
l'editio princeps del 1472. L'aggettivo «Divina» le fu attribuito dal Boccaccio nel
Trattatello in laude di Dante, scritto fra il 1357 e il 1362 e stampato nel 1477.
Ma è nella prestigiosa edizione giolitina, a cura di Ludovico Dolce e stampata da
Gabriele Giolito de' Ferrari nel 1555, che la Commedia di Dante viene per la prima
volta intitolata come da allora fu sempre conosciuta, ovvero "La Divina Comedia".

Composta secondo i critici tra il 1304/07 e il 1321, anni del suo esilio in
Lunigiana e Romagna,[4] la Commedia è il capolavoro di Dante ed è universalmente
ritenuta una delle più grandi opere della letteratura di tutti i tempi,[5] nonché
una delle più importanti testimonianze della civiltà medievale, tanto da essere
conosciuta e studiata in tutto il mondo.

Il poema è diviso in tre parti, chiamate «cantiche» (Inferno, Purgatorio e


Paradiso), ognuna delle quali composta da 33 canti (tranne l'Inferno, che contiene
un ulteriore canto proemiale) formati da un numero variabile di versi, fra 115 e
160, strutturati in terzine. Il poeta narra di un viaggio immaginario, ovvero di un
Itinerarium mentis in Deum,[6] attraverso i tre regni ultraterreni che lo condurrà
fino alla visione della Trinità. La sua rappresentazione immaginaria e allegorica
dell'oltretomba cristiano è un culmine della visione medievale del mondo
sviluppatasi nella Chiesa cattolica. È stato notato come tutte e tre le cantiche
terminino con la parola «stelle» (Inferno: "E quindi uscimmo a riveder le stelle";
Purgatorio: "Puro e disposto a salir a le stelle"; Paradiso: "L'amor che move il
sole e l'altre stelle").
L'opera ebbe subito uno straordinario successo e contribuì in maniera determinante
al processo di consolidamento del dialetto toscano come lingua italiana. Il testo,
del quale non si possiede l'autografo, fu infatti copiato sin dai primissimi anni
della sua diffusione e fino all'avvento della stampa in un ampio numero di
manoscritti. Parallelamente si diffuse la pratica della chiosa e del commento al
testo (si calcolano circa sessanta commenti e tra le 100 000 e le 200 000 pagine),
[7] dando vita a una tradizione di letture e di studi danteschi mai interrotta: si
parla così di "secolare commento". La vastità delle testimonianze manoscritte della
Commedia ha comportato un'oggettiva difficoltà nella definizione del testo: nella
seconda metà del Novecento l'edizione di riferimento è stata quella realizzata da
Giorgio Petrocchi per la Società Dantesca Italiana.[8] Più di recente due diverse
edizioni critiche sono state curate da Antonio Lanza[9] e Federico Sanguineti.[10]
A partire dal 2018, una nuova edizione critica basata sul codice Laurenziano Pluteo
XL 12, definito «il più antico codice di sicura fiorentinità», è stata curata da
Federico Sanguineti ed Eloisia Mandola.[11]

La Commedia, pur proseguendo molti dei modi caratteristici della letteratura e


dello stile medievali (ispirazione religiosa, scopo didascalico e morale,
linguaggio e stile basati sulla percezione visiva e immediata delle cose), è
profondamente innovativa poiché, come è stato rilevato in particolare negli studi
di Erich Auerbach, tende a una rappresentazione ampia e drammatica della realtà,
espressa anche con l'uso di neologismi creati da Dante come «insusarsi»,
«inluiarsi» e «inleiarsi».[12]

Indice
1 Titolo
2 Argomento
2.1 Inferno
2.2 Purgatorio
2.3 Paradiso
3 Data di composizione
4 Struttura
4.1 Struttura cosmologica
4.2 Struttura dottrinale
4.3 Cronologia
5 Tematiche e contenuti
5.1 Scienza e tecnologia nella Divina Commedia
5.2 Le tre guide
6 Modelli, fonti e lingua
6.1 Lingua
6.2 Stile
6.3 Studi e fonti
6.4 Filosofia islamica
6.5 Attualità della Divina Commedia
7 Storia della critica
7.1 Tradizione manoscritta e proposte di edizioni critiche
8 Prime edizioni a stampa
8.1 Le edizioni a stampa del Quattrocento (incunaboli)
8.2 Le edizioni a stampa del Cinquecento (cinquecentine)
9 Edizioni moderne
9.1 L'edizione Petrocchi
9.2 Le ultime edizioni
10 Traduzioni
10.1 Traduzioni in latino
10.2 Traduzioni in inglese
10.3 Traduzioni in francese
10.4 Traduzioni in spagnolo
10.5 Traduzioni in tedesco
10.6 Traduzioni in altre lingue
11 La Divina Commedia nell'arte
11.1 Trasposizioni cinematografiche (lista parziale)
11.2 Musica
11.3 Pittura
11.4 Scultura
11.5 Altro
11.6 Televisione
11.7 Teatro
11.8 Videogiochi
11.9 Nel fumetto
12 Note
13 Bibliografia
14 Voci correlate
15 Altri progetti
16 Collegamenti esterni
Titolo
Probabilmente il titolo originale dell'opera fu Commedia, o Comedìa, dal greco
κωμῳδία (kōmōdía, composto di κώμη, villaggio, e ᾠδή, canto; letteralmente canto
del villaggio). È infatti così che Dante stesso chiama la sua opera (Inferno XVI,
128; XXI, 2). Nell'Epistola XIII (la cui paternità dantesca non è del tutto certa),
indirizzata a Cangrande della Scala, Dante ribadisce in latino il titolo
dell'opera: Incipit Comedia Dantis Alagherii, Florentini natione, non moribus
("Incomincia la Commedia di Dante Alighieri, fiorentino di nascita, non di
costumi").[13]

Esemplare dell'edizione giolitina de La Divina Comedia del 1555 appartenuto a


Galileo Galilei, donatogli da don Orazio Morandi (1570-1630) abate di Santa
Prassede, con dedica ms. al verso della carta bianca di guardia: «Al molto Ill.re
S.r mio oss.mo / Il Sig.r Galileo Galilei // di s.ta Prassedia 1624 / Obbligatiss.o
Serv.re / Don Orazio Morandi» (Collezione Livio Ambrogio).
In essa vengono addotti due motivi per spiegare il titolo conferito: uno di
carattere letterario, secondo cui col nome di commedia era usanza definire un
genere letterario che, da un inizio difficoltoso per il protagonista, si conclude
con un lieto fine, e uno stilistico. Infatti lo stile nonostante sia sublime,
tratta anche tematiche turpi tipiche di uno stile umile, secondo l'ottica cristiana
di accogliere anche gli aspetti più bassi del reale, pur di raggiungere il cuore di
tutta l'umanità. Nel poema infatti si ritrovano entrambi questi aspetti: dalla
"selva oscura", allegoria dello smarrimento del poeta, si passa alla redenzione
finale, alla visione di Dio nel Paradiso; e in secondo luogo, i versi sono scritti
in volgare e non in latino che, sebbene esistesse già una ricca tradizione
letteraria in lingua del sì, continuava ad essere considerata la lingua per
eccellenza della cultura.

L'aggettivo "divina", riferito alla Commedia per via dei temi riguardanti il
divino, fu usato per la prima volta da Giovanni Boccaccio nel Trattatello in laude
di Dante, scritto circa quarant'anni dopo il periodo in cui si pensa sia stato
terminato il poema dantesco. La locuzione Divina Commedia, però, divenne comune
solo dalla metà del Cinquecento in poi, da quando Ludovico Dolce, nella sua
edizione del 1555, stampata a Venezia da Gabriel Giolito de' Ferrari, riprese nel
titolo l'attributo datole dal Boccaccio.

Il nome "Commedia" (nella forma comedìa) appare solo due volte all'interno del
poema, mentre nel Paradiso Dante lo definisce "poema sacro". Dante non rinnega il
titolo Commedia, anche perché, data la lunghezza dell'opera, le cantiche o i
singoli canti vennero pubblicati volta per volta, e l'autore non aveva la
possibilità di revisionare ciò che già era stato reso pubblico. Il termine
"Commedia" dovette sembrare riduttivo a Dante nel momento in cui componeva il
Paradiso, in cui lo stile, ma anche la sintassi, sono profondamente cambiati
rispetto ai canti che compongono l'Inferno; infatti nell'ultimo canto, il
sostantivo Commedia viene sostituito da poema sacro. Il discorso sulle palinodie,
ovvero le correzioni che Dante fa all'interno della sua opera, contraddicendo se
stesso ma anche le sue fonti, è molto più vasto ed esteso.

Nelle ultime edizioni, a partire da quella di Petrocchi (1966-67) fino a quelle di


Lanza (1995), di Sanguineti (2001) e di Inglese (2016), si assiste all'abbandono
dell'attributo Divina nel titolo, dopo quattro secoli di tradizione editoriale.

Argomento

Dante e il suo poema, affresco di Domenico di Michelino nella Cattedrale di Santa


Maria del Fiore, Firenze (1465)
«Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura,


esta selva selvaggia e aspra e forte,
che nel pensier rinova la paura!

Tant'è amara che poco è più morte;


ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,
dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.

Io non so ben ridir com'i' v'intrai,


tant'era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai.

Dante Alighieri, Inferno, I, vv. 1-12»

L'Inferno, la prima delle tre cantiche, si apre con un Canto introduttivo (che
serve da proemio all'intera opera), nel quale il poeta Dante Alighieri racconta in
prima persona del suo smarrimento spirituale e dell’incontro con Virgilio, che lo
condurrà poi ad intraprendere il viaggio ultraterreno raccontato magistralmente
nelle tre cantiche. Dante si ritrae, infatti, "in una selva oscura", allegoria del
peccato, nella quale era giunto avendo smarrito la "retta via", la via della virtù,
e giunto alla fine della valle (“valle” come “selva oscura” sono allegorie entrambe
dell’abisso della perdizione morale ed intellettuale) scorge un colle illuminato
dal sole "vestito già dei raggi del pianeta/che mena dritto altrui per ogne calle".

Dante descrive con una similitudine il suo stato d’animo, come quello di chi
salvatosi dai flutti giunge a riva e si volge indietro a scrutare le acque
pericolose alle quali è appena scampato, così l’animo del poeta si volge a “rimirar
lo passo” che non può essere superato da persona vivente. Ma ecco che, dopo essersi
riposato e poi incamminato lungo la spiaggia deserta verso il colle, mentre si
appresta ad affrontare la salita "quasi al cominciar de l'erta" gli si parano
davanti, in sequenza, una lince (lonza) dal pelo maculato, un leone e una lupa. Le
tre fiere sono il simbolo, rispettivamente, di lussuria, superbia e cupidigia. La
lince gli sbarra il cammino, impedendogli di avanzare e quasi forzandolo a tornare
sui suoi passi "‘mpediva tanto il mio cammino/ch'i' fui per ritornar più volte
vòlto", il leone pareva andargli incontro fiero, affamato e ruggente, mentre la
lupa, ultima delle tre fiere a pararglisi davanti, incede verso il poeta,
respingendolo indietro, verso l’abisso dal quale Dante sta tentando di
allontanarsi. Ed ecco che, mentre Dante rovina indietro in “basso loco”, gli appare
alla vista “chi per lungo silenzio parea fioco”, qualcuno la cui immagine era resa
più flebile dal lungo silenzio, cioè morto da lunghissimo tempo. Dante invoca aiuto
"«Miserere di me», gridai a lui" pur non riuscendo a distinguere se ciò che scorge
è una persona o un’ombra.

L’anima di Virgilio risponde "non omo, omo già fui" e si presenta dichiarando le
sue origini mantovane, il tempo in cui visse e le sue opere, si che Dante lo
riconosce. Trovandosi di fronte a cotanto personaggio Dante, con una punta di
vergogna, dichiarandosi suo discepolo e dichiarando l’opera sua figlia dell’opera
Virgiliana chiede aiuto per sfuggire alla lupa "la bestia per cu’ io mi volsi".
Importante sottolineare che l’atteggiamento di Dante nei confronti di Virgilio non
è di deferenza ma di ammirazione vera, Dante ha esplorato e conosce a menadito
l’opera Virgiliana e la stessa Divina Commedia vi si ispira e ne attinge
direttamente. Virgilio redarguisce Dante riguardo alla strada che ha imboccato, che
non è quella giusta "a te convien tenere altro viaggio", si sofferma sulla natura
mortifera e malvagia della "bestia" che gli sbarra il cammino e accenna una
profezia sibillina circa il "Veltro" che ricaccerà la lupa nell'inferno dal quale
proviene. Profezia che trova riscontro in altre profezie complementari molto più
avanti nell'opera enunciate da Beatrice (Purgatorio XXXIII 34-45) e da San Pietro
(Paradiso XXVII 55-63), mentre sul Veltro, indubbiamente figura della provvidenza,
innumerevoli teorie sono state proposte per identificarlo con un personaggio
storico definito (Cristo, Cangrande, Dante stesso, ecc.).

Infine Virgilio comunica al poeta smarrito che per il suo bene ("per lo tuo me’ " –
dove “me’” sta per meglio) Dante dovrà seguirlo e Virgilio gli farà da guida “per
loco eterno”, prima nell’inferno "ove udirai le disperate strida", poi in
purgatorio "e vederai color che son contenti/nel foco, perché speran di
venire/quando che sia alle beate genti", ma non in paradiso. Essendo un’anima del
limbo a Virgilio non è permesso di ascendere fino a quelle altezze, un’anima più
pura lo condurrà nell'ultima parte del viaggio "anima fia a ciò più di me
degna:/con lei ti lascerò nel mio partire" e quell’anima pura è, ovviamente,
Beatrice, sostituita da San Bernardo al termine del viaggio, in paradiso (Paradiso
XXXI 105). Il gioco è fatto, Dante in nome di Dio e per salvarsi dalla misera
condizione morale e intellettuale nella quale si trova "a ciò ch'io fugga questo
male e peggio" prega Virgilio di condurlo nei luoghi ultraterreni che gli ha appena
descritto "che tu mi meni là dov' or dicesti". L’ultimo verso non ha bisogno di
commenti, è chiarissimo, e ci spalanca le porte dell’opera intera: Allor si mosse,
e io li tenni dietro.

Inferno

Lo stesso argomento in dettaglio: Inferno (Divina Commedia).

Sandro Botticelli, La voragine infernale - Disegni per la Divina Commedia


Il vero e proprio viaggio attraverso l'Inferno ha inizio nel Canto III (nel
precedente Dante esprime i suoi dubbi e le sue paure a Virgilio riguardo al viaggio
che stanno per compiere e l'azione si svolge sulla Terra presso la selva). Dante e
Virgilio si trovano sotto la città di Gerusalemme, davanti alla grande porta su cui
sono impressi i versi celeberrimi che aprono questo canto. L'ultimo di quei versi:
"Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate", incute nuovi dubbi e nuovo timore in
Dante, ma il suo maestro e guida gli sorride e lo prende per mano perché ormai
bisogna andare avanti. In questo luogo senza tempo e senza luce, l'Antinferno,
stazionano per sempre gli ignavi, ossia quelli che in vita non vollero prendere
posizioni, ed ora sono ritenuti indegni sia di premio (Paradiso) che di castigo
(Inferno) perché il primo sarebbe macchiato della loro presenza e nel secondo
sarebbero un motivo di possibile vanto. La loro punizione consiste nel correre nudi
dietro a una bandiera senza stemma ed essere perennemente punti da vespe e da
mosconi; poco più in là, sulla riva dell'Acheronte (il primo fiume infernale),
stanno provvisoriamente le anime che devono raggiungere l'altra riva, in attesa che
Caronte, il primo guardiano infernale, le spinga nella sua barca e le traghetti di
là.
Giovanni Stradano (1523-1605): Inferno, mappa
L'inferno dantesco è immaginato come una serie di anelli numerati, sempre più
stretti, che si succedono in sequenza e formano un tronco di cono rovesciato;
l'estremità più stretta si trova in corrispondenza del centro della Terra ed è
interamente occupata da Lucifero che, muovendo le sue enormi ali, produce un vento
gelido: è il ghiaccio la massima pena. In questo Inferno, ad ogni peccato
corrisponde un cerchio, ed ogni cerchio successivo è più profondo del precedente e
più vicino a Lucifero; più grave è il peccato, maggiore sarà il numero del cerchio.

Al di là dell'Acheronte si trova il primo cerchio, il Limbo. Qui stanno le anime


dei puri che non ricevettero il battesimo e che però vissero nel bene; vi si
trovano anche — in un luogo a parte dominato da un "nobile castello" — gli antichi
"spiriti magni" che compirono grandi opere a vantaggio del genere umano (Virgilio
stesso è tra loro). Oltre il Limbo, Dante e il suo maestro entrano nell'Inferno
vero e proprio. All'ingresso sta Minosse, il secondo guardiano infernale che, da
giudice giusto quale fu, indica in quale cerchio infernale ogni anima dovrà
scontare la sua pena, avvolgendo la coda tante volte quanti cerchi l'anima dovrà
scendere. Superato Minosse, i due si ritrovano nel secondo cerchio, dove sono
puniti i lussuriosi: tra essi le anime di Semiramide, Cleopatra, Elena di Troia ed
Achille. Celebri i versi del quinto canto su Paolo e Francesca[14] che raccontano
la loro storia e passione amorosa. Ai lussuriosi, travolti dal vento, succedono nel
terzo cerchio i golosi; questi sono immersi in un fango puzzolente, sotto una
pioggia senza tregua, e vengono morsi e graffiati da Cerbero, terzo guardiano
infernale; dopo di loro, nel quarto cerchio, presidiato da Plutone, stanno gli
avari e i prodighi, divisi in due schiere destinate a scontrarsi per l'eternità
mentre fanno rotolare massi di pietra lungo la circonferenza del cerchio.

Dante e Virgilio giungono poi al quinto cerchio, davanti allo Stige (il secondo
fiume infernale), nelle fangose acque del quale sono puniti iracondi e accidiosi, e
qui i protagonisti hanno un alterco con Filippo Argenti; i due Poeti vengono
traghettati sulla riva opposta dalla barca di Flegias, quinto guardiano infernale.
Lì, sull'altra sponda, sorge la Città di Dite, in cui sono puniti i peccatori
consapevoli del loro peccare. Davanti alla porta chiusa della città, i due sono
bloccati dai demoni e dalle Erinni; entreranno solo grazie all'intervento
dell'Arcangelo Michele, e vedranno come sono puniti coloro "che l'anima col corpo
morta fanno", cioè gli epicurei e gli eretici in generale: essi si trovano
all'interno di grandi sarcofaghi infuocati; tra gli eretici incontrano il
ghibellino Farinata degli Uberti, uno dei più famosi personaggi dell'Inferno
dantesco. Assieme a lui è presente Cavalcante dei Cavalcanti, padre di Guido, amico
di Dante.

Oltre la città, il poeta e la sua guida scendono verso il settimo cerchio lungo uno
scosceso burrone (burrato), alla fine del quale si trova il terzo fiume infernale,
il Flegetonte, un fiume di sangue bollente presidiato dai Centauri. Questo fiume
costituisce il primo dei tre gironi in cui è diviso il VII cerchio. Vi sono puniti
i violenti contro il prossimo; tra essi il Minotauro, ucciso da Teseo con l'aiuto
di Arianna. Oltre il fiume, sull'altra sponda è il secondo girone, (che Dante e
Virgilio raggiungono grazie all'aiuto del centauro Nesso); qui stanno i violenti
contro sé stessi, i suicidi, trasformati in arbusti secchi, feriti e straziati per
l'eternità dalle Arpie (tra loro troviamo Pier della Vigna); nel secondo girone
stanno anche gli scialacquatori, inseguiti e sbranati da cagne. L'ultimo girone, il
terzo, è una landa infuocata, ed ospita i violenti contro Dio nella Parola, nella
Natura e nell'Arte, ossia i bestemmiatori (Capaneo), i sodomiti (tra cui Brunetto
Latini, maestro di Dante, quando il poeta era giovane) e gli usurai. A quest'ultimo
girone Dante dedicherà molti versi dal Canto XIV al Canto XVII.

Alla fine del VII cerchio, Dante e Virgilio scendono per un burrone (ripa
discoscesa) in groppa a Gerione, il mostro infernale dal volto umano, zampe
leonine, corpo di serpente e coda di scorpione. Così raggiungono l'VIII cerchio
chiamato Malebolge, dove sono puniti i traditori in chi non si fida. L'ottavo
cerchio è diviso in dieci bolge; ogni bolgia è un fossato a forma di cerchio. I
cerchi sono concentrici, scavati nella roccia e digradanti verso il basso, alla
base di essi si apre il Pozzo dei Giganti. Nelle bolge sono puniti, nell'ordine,
ruffiani e seduttori, adulatori, simoniaci, indovini, barattieri, ipocriti, ladri,
consiglieri fraudolenti — tra cui Ulisse e Diomede, i seminatori di discordia
(Maometto) e i falsari. Infine i due accedono al IX ed ultimo cerchio, dove sono
puniti i traditori in chi si fida.

Questo cerchio è diviso in quattro zone, coperte dalle acque gelate di Cocito.
Nella prima zona, chiamata Caina (dal nome di Caino, che uccise il fratello Abele),
sono puniti i traditori dei parenti; nella seconda, Antenora (dal nome Antenore, il
troiano che consegnò il Palladio ai nemici greci), stanno i peccatori come lui,
traditori della patria; nella terza, Tolomea (dal nome del re Tolomeo XIII, che al
tempo di Cesare fece uccidere il suo ospite Pompeo), si trovano i traditori degli
ospiti; infine nella quarta, Giudecca (dal nome di Giuda Iscariota, che tradì
Gesù), sono puniti i traditori dei benefattori. Nell'Antenora Dante incontra il
Conte Ugolino della Gherardesca che narra della sua segregazione nella Torre della
Muda con i figli e la loro morte per fame voluta dall'Arcivescovo Ruggieri. Ugolino
appare nell'Inferno sia come un dannato che come un demone vendicatore, che rode
per l'eternità il capo del suo aguzzino. Nell'ultima zona si trovano i tre grandi
traditori: Cassio, Bruto (che complottarono contro Cesare) e Giuda Iscariota; la
loro pena consiste nell'essere maciullati dalle tre bocche di Lucifero, che qui ha
la sua dimora. Giuda si trova nella bocca centrale, a suggello della maggiore
gravità del proprio tradimento.

Scendendo lungo il suo corpo peloso, Dante e Virgilio raggiungono una grotta e
scendono alcune scale. Dante è stupito: non vede più la schiena di Lucifero e
Virgilio gli spiega che ora si trovano nell'Emisfero Australe. Attraversano quindi
la natural burella, il canale che li condurrà alla spiaggia del Purgatorio, alla
base della quale usciranno poco dopo "a riveder le stelle".

Purgatorio

Lo stesso argomento in dettaglio: Purgatorio (Divina Commedia).

Il primo canto del Purgatorio illustrato da Gustave Doré


Usciti dall'Inferno attraverso la natural burella, Dante e Virgilio si ritrovano
nell'emisfero australe terrestre (che si credeva interamente ricoperto d'acqua),
dove, in mezzo al mare, s'innalza la montagna del Purgatorio, creata con la terra
che avanzò dallo scavo del baratro dell'Inferno, quando Lucifero fu buttato fuori
dal Paradiso dopo la rivolta contro Dio. Usciti dal cunicolo, i due giungono su una
spiaggia, dove incontrano Catone Uticense, che svolge il compito di guardiano del
Purgatorio. Dovendo cominciare a salire la ripida montagna, che si dimostra
impossibile da scalare, tanto è ripida, Dante chiede ad alcune anime quale sia il
varco più vicino; sono questi la prima schiera dei negligenti, i morti scomunicati,
che hanno dimora nell'antipurgatorio. Nella I schiera di negligenti
dell'antipurgatorio Dante incontra Manfredi di Sicilia. Assieme a coloro che
tardarono a pentirsi per pigrizia, ai morti per violenza e ai principi negligenti,
infatti, essi attendono il tempo di purificazione necessario a permettere loro di
accedere al Purgatorio vero e proprio. All'ingresso della valletta dove si trovano
i principi negligenti, Dante, su indicazione di Virgilio, chiede indicazioni ad
un'anima che si rivela essere una sorta di guardiano della valletta, il
concittadino di Virgilio Sordello, che sarà la guida dei due fino alla porta del
Purgatorio.

Giunti alla fine dell'Antipurgatorio, superata una valletta fiorita, i due varcano
la porta del Purgatorio; questa è custodita da un angelo recante in mano una spada
fiammeggiante, che sembra avere vita propria, e preceduta da tre gradini, il primo
di marmo bianco, il secondo di una pietra scura e il terzo in porfido rosso.
L'angelo, seduto sulla soglia di diamante e appoggiando i piedi sul gradino rosso,
incide sette "P" sulla fronte di Dante, poi apre loro la porta tramite due chiavi
(una d'argento e una d'oro) che aveva ricevuto da San Pietro; quindi i due poeti si
addentrano nel secondo regno.

Il Purgatorio è diviso in sette 'cornici', dove le anime scontano la loro


inclinazione al peccato per purificarsi prima di accedere al Paradiso. Al contrario
dell'Inferno, dove i peccati si aggravavano maggiore era il numero del cerchio, qui
alla base della montagna, nella prima cornice, stanno coloro che si sono macchiati
delle colpe più gravi, mentre alla sommità, vicino al Paradiso terrestre, i
peccatori più lievi. Le anime non vengono punite in eterno, e per una sola colpa,
come nel primo regno, ma scontano una pena pari ai peccati commessi durante la
vita.

Nella prima cornice, Dante e Virgilio incontrano i superbi, nella seconda gli
invidiosi, nella terza gli iracondi, nella quarta gli accidiosi, nella quinta gli
avari e i prodighi. In questa cornice ai due viaggiatori si unisce l'anima di
Stazio dopo un terremoto e un canto Gloria in excelsis Deo (Dante riteneva Stazio
convertito al cristianesimo); questi si era macchiato in vita di eccessiva
prodigalità: proprio in quel momento egli, che dopo cinquecento anni di espiazione
in quella cornice aveva sentito il desiderio di assurgere al Paradiso, si offre di
accompagnare i due fino alla sommità del monte, attraverso le cornici sesta, dove
espiano le loro colpe i golosi che appaiono magrissimi, e settima, dove stanno i
lussuriosi avvolti dalle fiamme. Dante ritiene che Stazio si sia convertito grazie
a Virgilio e alle sue opere, che hanno aperto gli occhi al poeta latino: egli,
infatti, grazie all'Eneide e alle Bucoliche ha capito l'importanza della fede
cristiana e l'errore del vizio della prodigalità: come un lampadoforo, Virgilio ha
fatto luce a Stazio rimanendo però al buio; fuor di metafora, Virgilio è stato un
profeta inconsapevole: ha portato Stazio alla fede ma lui, avendo fatto in tempo
solo ad intravederla, non ha potuto salvarsi, ed è costretto a soggiornare per
l'eternità nel Limbo. Ascesi alla settima cornice, i tre devono attraversare un
muro di fuoco, oltre il quale si diparte una scala, che dà accesso al Paradiso
terrestre. Paura di Dante e conforto da parte di Virgilio. Giunti qui, il luogo
dove per poco dimorarono Adamo ed Eva prima del peccato, Virgilio e Dante si devono
congedare, poiché il poeta latino non è degno di guidare il toscano fin nel
Paradiso, e sarà Beatrice a farlo.

Quindi Dante s'imbatte in Matelda, la personificazione della felicità perfetta,


precedente al peccato originale, che gli mostra i due fiumi Lete, che fa
dimenticare i peccati, ed Eunoè, che restituisce la memoria del bene compiuto, e si
offre di condurlo all'incontro con Beatrice, che avverrà poco dopo. Beatrice
rimprovera duramente Dante e dopo si offre di farsi vedere senza il velo: Dante
durante i rimproveri cerca di scorgere il suo vecchio maestro Virgilio che ormai
non c'è più. Dopo avere bevuto prima le acque del Lete e poi dell'Eunoè, infine,
Dante segue Beatrice verso il terzo ed ultimo regno: il Paradiso.

Paradiso

Lo stesso argomento in dettaglio: Paradiso (Divina Commedia) e Cieli del Paradiso.


Libero da tutti i peccati, adesso Dante può ascendere al Paradiso e, accanto a
Beatrice, vi accede volando ad altissima velocità. Egli sente tutta la difficoltà
di raccontare questo trasumanare, andare cioè al di là delle proprie condizioni
terrene, ma confida nell'aiuto dello Spirito Santo (il buon Apollo) e nel fatto che
il suo sforzo descrittivo sarà continuato da altri nel tempo (Poca favilla gran
fiamma seconda... canto I, 34).
Philipp Veit (1793-1887): San Bernardo di Chiaravalle
Il Paradiso è composto da nove cieli concentrici, al cui centro sta la Terra; in
ognuno di questi cieli, dove risiede un pianeta diverso, stanno i beati, più vicini
a Dio a seconda del loro grado di beatitudine. In verità, Dante capirà in seguito
che le anime del Paradiso si trovano tutte nell'Empireo, a contemplare Dio, e
vengono incontro a lui nei vari cieli secondo il loro grado di beatitudine, per
l'amore che nutrono per lui e spiegare i vari misteri sacri. Inoltre, nessun'anima
desidera una condizione migliore di quella che già ha, poiché la carità non
permette di desiderare altro se non quello che si ha, e non possono far altro che
volere ciò che Dio vuole ("in sua volontade è nostra pace", dice Piccarda); Dio, al
momento della nascita, ha donato secondo criteri inconoscibili ad ogni anima una
certa quantità di grazia, ed è in proporzione a questa che esse godono diversi
livelli di beatitudine. Prima di raggiungere il primo cielo i due attraversano la
Sfera di Fuoco.

Nel primo cielo, quello della Luna, stanno coloro che mancarono ai voti fatti
(Angeli); nel secondo, il cielo di Mercurio, risiedono coloro che in Terra fecero
del bene per ottenere gloria e fama, non indirizzandosi al bene divino (Arcangeli);
nel terzo cielo, quello di Venere, stanno le anime degli spiriti amanti
(Principati); nel quarto, il cielo del Sole, gli spiriti sapienti (Potestà); nel
quinto, il cielo di Marte, gli spiriti militanti dei combattenti per la fede
(Virtù); e nel sesto, il cielo di Giove, gli spiriti governanti giusti
(Dominazioni)

Dante e Beatrice rivolti verso l'Empireo (Gustave Doré)


Giunti al settimo cielo, quello di Saturno dove risiedono gli "spiriti
contemplativi" (Troni), Beatrice non sorride più, come invece aveva fatto finora;
il suo sorriso, infatti, da qui in poi, a causa della vicinanza a Dio, sarebbe per
Dante insopportabile alla vista, tanto luminoso risulterebbe. In questo cielo
risiedono gli spiriti contemplativi, e da qui Beatrice innalza Dante fino al cielo
delle Stelle fisse, dove non sono più ripartiti i beati, ma nel quale si trovano le
anime trionfanti, che cantano le lodi di Cristo e della Vergine Maria, che qui
Dante riesce a vedere; da questo cielo, inoltre, il poeta osserva il mondo sotto di
sé, i sette pianeti e i loro moti e la Terra, piccola e misera in confronto alla
grandezza di Dio (Cherubini). Prima di proseguire Dante deve sostenere una sorta di
"esame" in Fede, Speranza, Carità, da parte di tre esaminatori particolari: San
Pietro, San Giacomo e San Giovanni. Quindi, dopo un ultimo sguardo al pianeta,
Dante e Beatrice assurgono al nono cielo, il Primo mobile o Cristallino, il cielo
più esterno, origine del movimento e del tempo universale (Serafini).

In questo luogo, sollevato lo sguardo, Dante vede un punto luminosissimo,


contornato da nove cerchi di fuoco, vorticanti attorno ad esso; il punto, spiega
Beatrice, è Dio, e attorno a lui stanno i nove cori angelici, divisi per quantità
di virtù. Superato l'ultimo cielo, i due accedono all'Empireo, dove si trova la
rosa dei beati, una struttura a forma di anfiteatro, sul gradino più alto della
quale sta la Vergine Maria. Qui, nell'immensa moltitudine dei beati, risiedono i
più grandi santi e le più importanti figure delle Sacre Scritture, come
Sant'Agostino, San Benedetto, San Francesco, e inoltre Eva, Rachele, Sara e
Rebecca.

Da qui Dante osserva finalmente la luce di Dio, grazie all'intercessione di Maria


alla quale San Bernardo (guida di Dante per l'ultima parte del viaggio) aveva
chiesto aiuto perché Dante potesse vedere Dio e sostenere la visione del divino,
penetrandola con lo sguardo fino a congiungersi con Lui, e vedendo così la perfetta
unione di tutte le realtà, la spiegazione del tutto nella sua grandezza. Nel punto
più centrale di questa grande luce, Dante vede tre cerchi, le tre persone della
Trinità, il secondo del quale ha immagine umana, segno della natura umana, e divina
allo stesso tempo, di Cristo. Quando egli tenta di penetrare ancor più quel mistero
il suo intelletto viene meno, ma in un excessus mentis[15] la sua anima è presa da
un'illuminazione e si placa, realizzata dall'armonia che gli dona la visione di
Dio, de L'amor che move il sole e l'altre stelle.

Data di composizione

Caronte, illustrazione di Gustave Doré.


«[...] Caron, non ti crucciare:
Vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare.»

(Inf. III 95-96)

Non conosciamo con esattezza in che periodo Dante scrisse ciascuna delle cantiche
della Commedia: gli studiosi hanno formulato ipotesi anche contrastanti in base a
prove e indizi talvolta discordanti. In linea di massima la critica odierna
colloca:

L'inizio della stesura dell'Inferno nel biennio 1304-05 oppure in quello 1306-07,
in ogni caso dopo l'esilio (1302) mentre il poeta si trovava in Lunigiana. Salvo
l'eccezione del riferimento al papato di Clemente V (1305-14), spesso indicato come
un possibile ritocco post-conclusione, non vi si trovano accenni a fatti successi
dopo il 1309. Al 1317 risale la prima menzione in un documento (un registro di atti
bolognese, sulla cui copertina era trascritta un'intera terzina dell'Inferno, i
versi 95-96 del Canto III, con il celebre "Vuolsi così colà dove si puote..."),
mentre i manoscritti più antichi che ci sono pervenuti risalgono al 1330 circa, una
decina di anni dopo la morte di Dante.
La scrittura del Purgatorio secondo alcuni si accavallò con l'ultima parte
dell'Inferno e in ogni caso non contiene riferimenti a fatti accaduti dopo il 1313.
Tracce della sua diffusione si riscontrano già nel 1315-16.
Il Paradiso viene collocato tra il 1316 e il 1321, data della morte del poeta.
Non ci è pervenuta alcuna firma autografa di Dante, ma sono conservati tre
manoscritti della Commedia copiati integralmente da Giovanni Boccaccio, il quale
non si servì di una fonte originaria, ma di manoscritti a loro volta copiati. Si
deve anche immaginare che Dante si spostò molto in vita per via dell'esilio, quindi
non poté portarsi dietro molte carte: probabilmente, pertanto, i manoscritti
originali si dispersero sin dalle prime diffusioni.

Struttura
La Divina Commedia è composta da tre cantiche che comprendono un totale di cento
canti: la prima cantica (Inferno) è di 34 canti (33 hanno argomento l'Inferno; uno,
il primo, è proemio all'opera intera), le altre due cantiche, Purgatorio e
Paradiso, sono di 33 canti ciascuna. Il primo canto dell'Inferno viene considerato
un prologo a tutta l'opera: in questo modo si ha un canto iniziale più 33 canti per
ciascuna cantica. Come si può notare, l'opera è impostata sulla simbologia
cristiana del numero 3 (Padre, Figlio e Spirito Santo, ovvero la Trinità) e dei
suoi multipli, dell'1 (Dio unico) e del 100 (totalità di Dio).

Tutti i canti sono scritti in terzine incatenate[16] di versi endecasillabi. La


lunghezza di ogni canto va da un minimo di 115 versi ad un massimo di 160; l'intera
opera conta complessivamente 14 233 versi. La Divina Commedia è dunque superiore in
lunghezza sia all'Eneide virgiliana (9 896 esametri), sia all'Odissea omerica (12
100 esametri), ma più breve dell'Iliade omerica (15 683 esametri). In ogni caso, se
altre opere, anche molto più lunghe, sono state composte dalla tradizione e dai
vari poeti che nel tempo le hanno ampliate ed arricchite, la Divina Commedia è
frutto dell'intelletto di un solo uomo, autore di tutti e 14 233 i versi.

La Commedia è anche una drammatizzazione della teologia cristiana medievale,


arricchita da una grande creatività immaginativa. La struttura ha tra i suoi
modelli un resoconto arabo del mi'raj, l'ascensione al cielo di Maometto, la cui
traduzione latina nota in Europa come Liber Scalae Machometi venne fatta nel 1264
da Bonaventura da Siena, un dotto con cui collaborò per un certo tempo Brunetto
Latini, uno dei maestri di Dante.[17][18]

Struttura cosmologica
La struttura testuale della Commedia coincide esattamente con la rappresentazione
cosmologica dell'immaginario medievale.[19] Il viaggio all'Inferno e nel monte del
Purgatorio rappresentano infatti l'attraversamento dell'intero pianeta, concepito
come una sfera, dalle sue profondità alle regioni più elevate; mentre il Paradiso è
una rappresentazione simbolico-visuale del cosmo tolemaico.

L'Inferno era rappresentato all'epoca di Dante come una cavità di forma conica
interna alla Terra, allora concepita come divisa in due emisferi, uno di terre e
l'altro di acque. La caverna infernale era nata dal ritrarsi delle terre inorridite
al contatto con il corpo maledetto di Lucifero e delle sue schiere, cadute dal
cielo dopo la ribellione a Dio. La voragine infernale aveva il suo ingresso
esattamente sotto Gerusalemme, collocata al centro della semisfera occupata dalle
terre emerse, ovvero dal continente euroasiatico. Agli antipodi di Gerusalemme, e
quindi al centro della semisfera acquea, si ergeva l'isola montagnosa del
Purgatorio, composta appunto dalle terre fuoriuscite dal cuore del mondo all'epoca
della ribellione degli angeli. In cima al Purgatorio, Dante colloca il Paradiso
terrestre del racconto biblico, il luogo terrestre più vicino al cielo. Come si
vede, Dante riprende dalla concezione tolemaica l'idea di una Terra sferica, ma le
sovrappone un universo sostanzialmente pre-tolemaico, privo di simmetria sferica.
Alla sfericità della Terra, infatti, non corrisponde una simmetria generale nella
distribuzione delle terre emerse e della presenza umana; le direzioni passanti per
il centro della Terra non sono equivalenti: quella che passa per Gerusalemme e per
la montagna del Purgatorio ha un ruolo privilegiato, il che richiama le concezioni
della Grecia arcaica, ad esempio di Anassimandro.

Il Paradiso è strutturato secondo la rappresentazione cosmologica nata all'epoca


ellenistica con gli scritti di Tolomeo, e risistemata dai teologici cristiani
secondo le esigenze della nuova religione. Nel suo rapimento celeste dietro l'anima
di Beatrice, Dante attraversa dunque i nove cieli del cosmo astronomico-teologico,
al di sopra dei quali si distende il Pleroma infinito (Empireo) in cui ha sede la
Rosa dei Beati, posti a diretto contatto con la visione di Dio. Ai nove cieli
corrispondono nell'Empireo i nove cori angelici che, col loro movimento circolare
intorno all'immagine di Dio, provocano il relativo movimento rotatorio del cielo a
cui ciascuno di essi è preposto - questo secondo la dottrina dell'Atto Puro o Primo
Mobile desunta dalla Metafisica di Aristotele.

La struttura cosmologica della Commedia è strettamente connessa alla struttura


dottrinale del poema, per cui la collocazione dei tre regni, e, al loro interno,
l'ordine delle anime (ovvero delle pene e delle grazie), corrisponde a precisi
intendimenti di ordine morale e teologico.

Dante e Virgilio all'Inferno, dipinto di William-Adolphe Bouguereau (1850)


In particolare, la topografia dell'Inferno comprende i seguenti luoghi:

Un ampio vestibolo o Antinferno, dove vengono puniti coloro che nessuno vuole, né
Dio né il demonio: gli ignavi.
Il fiume Acheronte, che separa il vestibolo dall'Inferno vero e proprio.
Una prima sezione costituita dal Limbo, immerso in una tenebra perenne.
Una serie di cerchi meno scoscesi in cui patiscono i peccatori incontinenti.
La città infuocata di Dite, le cui mura circondano la voragine finale.
Il cerchio dei violenti in cui scorre il fiume sanguigno del Flegetonte.
Un burrone scosceso, che dà all'ottavo cerchio, chiamato Malebolge: il cerchio dei
fraudolenti.
Il pozzo dei Giganti.
Il lago ghiacciato di Cocito, dove sono immersi i traditori.
La topografia del Purgatorio è invece così strutturata: un Antipurgatorio,
costituito da una spiaggia, su cui vengono traghettate le anime dall'angelo
nocchiero che le preleva alla foce del Tevere, e da una valletta fiorita;
specularmente all'Inferno, in essa attendono di iniziare la loro purificazione i
negligenti, i tardi cioè a pentirsi. Il Purgatorio vero e proprio è un monte
scosceso, formato da ampi dirupi e cerchi rocciosi, a ciascuno dei quali è preposto
un angelo guardiano. Sulla cima del monte c'è il Paradiso terrestre, che ha
l'aspetto di una foresta rigogliosa, popolata di figure allegoriche.

I nove cieli del Paradiso sono i sette del sistema tolemaico - Luna, Mercurio,
Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno - più il cielo delle Stelle fisse e del Primo
Mobile.

Struttura dottrinale
La struttura dottrinale coincide con l'impianto teologico-filosofico proprio della
poetica di Dante. La complessità degli schemi adottati dal poeta richiede che la
materia venga trattata in apposite voci di approfondimento.

Struttura dell'Inferno
Struttura del Purgatorio
Struttura del Paradiso
Cronologia
Le date in cui Dante fa svolgere l'azione della Commedia si ricavano dalle
indicazioni disseminate in diversi passi del poema.

Il riferimento principale è Inferno XXI, 112-114: in quel momento sono le sette del
mattino del sabato santo del 1300, 9 aprile[20] o, secondo altri commentatori, del
26 marzo del 1300.[21] L'anno è confermato da Purgatorio II, 98-99, che fa
riferimento al Giubileo in corso. Tenendo questo punto fermo, in base agli altri
riferimenti si ottiene che:

alla mattina dell'8 aprile (venerdì santo) o del 25 marzo, Dante esce dalla "selva
oscura" e inizia la salita del colle, ma viene messo in fuga dalle tre fiere e
incontra Virgilio.
Al tramonto, Dante e Virgilio iniziano la visita dell'Inferno, che dura circa 24
ore[22] e termina quindi al tramonto del 9 aprile o del 26 marzo. Nel superare il
centro della Terra, però, i due poeti passano al "fuso orario" del Purgatorio (12
ore di differenza da Gerusalemme[23] e 9 ore dall'Italia), per cui è mattina quando
essi intraprendono la risalita, che occupa tutto il giorno successivo.
All'alba del 10 aprile (domenica di Pasqua) o del 27 marzo, Dante e Virgilio
iniziano la visita del Purgatorio, che dura tre giorni e tre notti:[24] all'alba
del quarto giorno, 13 aprile o 30 marzo, Dante entra nel Paradiso Terrestre e vi
trascorre la mattina, durante la quale lo raggiunge Beatrice.
A mezzogiorno, Dante e Beatrice salgono in cielo. Da qui in avanti non vi sono più
indicazioni di tempo, salvo che nel cielo delle stelle fisse trascorrono circa sei
ore (Paradiso XXVII, 79-81). Considerando un tempo simile anche per gli altri
cieli, si ottiene che la visita del Paradiso duri due-tre giorni. L'azione
terminerebbe di conseguenza il 15 aprile o il 1º aprile.
Quindi con un tempo totale stimato in sette giorni di viaggio.

Tematiche e contenuti
Personale universale (redenzione dell'umanità).
Autobiografico: redenzione dell'anima del poeta dopo il periodo di traviamento
(selva oscura).
Redenzione politica: l'umanità con la guida della ragione (Virgilio) e dell'impero
raggiunge la felicità naturale (Paradiso terrestre = giustizia e pace).
Redenzione religiosa: con la guida della Teologia (Beatrice) e della fede (San
Bernardo) si arriva alla felicità ultraterrena (Paradiso).
Nella Divina Commedia, Dante si prefigge il ruolo di poeta vate in quanto
universalizza il proprio viaggio verso la purificazione, per tutti gli uomini.
Leggendo, infatti, la Divina Commedia ogni uomo ripercorre il viaggio dantesco
purificandosi anch'esso dai sette vizi capitali.

Dante rappresenta cielo e terra, ma la terra trova nel poema una rappresentazione
nuova, una profonda comprensione della realtà umana. In Dante è presente un modo
nuovo e disincantato di percepire la storia: il racconto storico abbraccia il corso
dei secoli con la storia dell'Impero romano e cristiano, delle lotte fiorentine tra
guelfi bianchi e neri, una larga considerazione prospettica della storia della
Chiesa e della storia contemporanea del papato.

L'osservazione della natura è accurata e armoniosa, accentuata nel suo valore


prospettico, ricca e determinata. Le note geografiche[25] e visive si succedono.

Il paragone è lo strumento con cui il poeta ritrae il reale mediante un intreccio


di notazioni varie e reali. La natura dantesca scaturisce sempre da un riferimento
personale ed è, non di rado, attratta nell'orbita drammatica della
rappresentazione. Tutto in Dante ha un valore soggettivo, il poema non è solo la
storia dell'anima cristiana che si volge a Dio, ma anche la vicenda personale di
Dante, inestricabilmente intrecciata agli avvenimenti che narra. Dante è sempre
attore e giudice.

Il poeta ci presenta l'uomo nella sua complessità e ne mostra il rapporto con Dio,
alla luce della tradizione ebraico-cristiana la quale si innestava su quella
classica, greca e latina.[26]

La profezia religiosa e politica si sviluppa su un terreno di esperienze personali,


dichiaratamente espresse, e di aspirazioni precise. Dante sovrappone la profezia ai
fatti concreti e non li dimentica, né insegue sogni vaghi e irrealizzabili di
rinnovamento come i profeti medievali, infatti il suo vagheggiamento di un
rinnovamento religioso, morale e politico ha obiettivi ben precisi: una ritrovata
moralità della Chiesa, la restaurazione dell'Impero, la fine delle lotte civili
nelle città.

L'allegoria e la concezione figurale sono il fondamento del poema ed il segno più


scoperto del suo medievalismo; il mondo è raffigurato suddiviso: da un lato la
realtà storica e concreta, dall'altro il sopramondo, ossia il significato della
realtà storica trasferita sul piano morale e su quello ultraterreno. Il costante
riferimento al sopramondo attesta la subordinazione medievale di ogni realtà a un
fine morale e religioso. Siffatta subordinazione è rigida e imperante e
nell'assoluto valore dell'allegoria, nella fedeltà ai modi e allo stile ereditati
dalla letteratura precedente è il medievalismo di Dante.

I sesti canti del poema sono di contenuto politico, secondo una visione che si
amplia da Firenze (Ciacco, Inferno), all'Italia (Sordello da Goito, Purgatorio),
all'impero (Giustiniano I, Paradiso). Nell'Inferno è presente un dialogo fra Dante
e Ciacco in cui viene condannata la decadenza morale e civile di Firenze
("superbia, invidia e avarizia sono/ le tre faville c'hanno i cuori accesi"; Inf.
VI, vv. 74-75). Nel Purgatorio è Dante stesso che affronta la tematica politica. Il
poeta, in veste di autore, in una digressione deplora gli imperatori germanici suoi
contemporanei poiché non si occupano più del "giardino dell'impero" ("giardin de lo
imperio"; Purg. VI, v. 105), cioè dell'Italia ("Che val perché ti racconciasse il
freno / Iustinïano, se la sella è vòta?"; Purg. VI, vv. 88-89). La scelta del
numero 6 non è casuale, perché 6 è multiplo del 3, numero centrale nella Commedia.
I tre testi contengono una profezia (VI Inferno), un compianto (VI Purgatorio) e
una narrazione (VI Paradiso). In tutti e tre i canti l'intento del poeta è sempre
lo stesso: criticare le divisioni politiche che minano la solidità dell'Impero
creato da Dio unico ed indivisibile.

Nel Paradiso la tematica è quella della legittimità dell'impero universale,


istituzione voluta dalla Provvidenza, garante di pace e di giustizia, ed è affidata
all'imperatore bizantino Giustiniano, personaggio fondamentale della storia antica,
colui che aveva riordinato le leggi romane (Corpus iuris civilis) consentendo la
loro trasmissione alle epoche successive. Quindi sia i guelfi, simpatizzanti per la
monarchia francese (i gigli gialli; Par. VI, v. 100), opponendosi all'impero, sia i
ghibellini, che strumentalizzano il pubblico segno per interessi privati e
particolari, sono in errore ed ostacolano i disegni della Provvidenza. Il pensiero
politico del poeta ruota perciò attorno alle istituzioni del Papato e dell'Impero e
alle loro funzioni, motivi già trattati nel Convivio e nel De Monarchia.[27]

Dal punto di vista filosofico Aristotele è "il maestro di color che sanno"
(Inferno, IV,131), il cui pensiero, ripreso e interpretato in chiave cristiana da
Alberto Magno e Tommaso d'Aquino, è fondamentale nella filosofia dantesca. "Un peso
maggiore sulla base dottrinale della Commedia lo assume il neoplatonismo,
soprattutto perché in esso, soprattutto ad opera dei Padri della Chiesa
alessandrini (per esempio Origene, III secolo) e dello stesso Pseudo-Dionigi
l'Areopagita (V secolo) si fusero concezioni cristiane e platoniche sulla base di
un criterio sincretistico. A questo proposito va notato che la disposizione e la
struttura stessa di Inferno e Paradiso risentono in modo determinante delle
dottrine neoplatoniche: Satana è collocato nel punto del cosmo più lontano da Dio
ed è caratterizzato dalla brutalità meccanica tipica delle creature che
costituiscono l'ultimo gradino della scala degli esseri, in cui prevale la materia.

Quanto al criterio complementare, fatto proprio da figure fondamentali come


sant'Agostino che considera l'influsso divino in termini di irradiazione di luce,
esso è assunto da Dante come grande sistema di collegamento della terza cantica,
accogliendo le suggestioni che erano venute dalla metafisica della luce, elaborata
in particolare dalla Scuola di Chartres (XII secolo) e dal teologo inglese Roberto
Grossatesta (XIII secolo) nonché da san Tommaso e san Bonaventura.

Per quanto riguarda l'ordine delle gerarchie angeliche, Dante abbandona la proposta
di Gregorio Magno (VI secolo), le cui dottrine aveva utilizzato nella sistemazione
delle pene purgatoriali, per passare alla Gerarchia celeste dello Pseudo-Dionigi a
conferma dell'importanza strutturale della cultura neoplatonica della Commedia.[28]
[29][30]

Un tema ricorrente nella Commedia è la profezia post eventum.[31][32] Il profetismo


era largamente diffuso ai tempi del poeta, come del resto lo fu durante tutto il
Medioevo ed era caratterizzato da un'attesa escatologica. Inoltre nel 1300 papa
Bonifacio VIII indisse il primo Giubileo, segno di una volontà di rinnovamento
spirituale. Nel XII secolo, in un clima di rinnovamento spirituale, il profetismo
si sviluppò in due principali direzioni: una, legata ad un diretto contatto con Dio
da ricondurre alla monaca benedettina Ildegarda di Bingen ed alle sue "visioni";
l'altra, che ebbe il suo maggior esponente in san Bernardo di Chiaravalle, avente
come base l'esame della complessa realtà del proprio tempo con il fine di
apportarvi miglioramenti dettati dalla carità.[33] "Ad alimentare questo clima di
attesa e di speranze contribuì inoltre il commento all' Apocalisse di Giovanni del
francescano Pietro di Giovanni Olivi (Pierre Olieu, 1248-1298), le cui idee Dante
conobbe frequentando a Firenze la scuola conventuale francescana di Santa Croce,
dove conobbe anche uno dei suoi più ferventi discepoli, Ubertino da Casale (1259 -
1330 circa). Proprio nel 1300 Dante colloca il suo viaggio nell'oltretomba, non a
caso strutturato in forma di visione, attraverso cui denunciare agli uomini i mali
del mondo e della Chiesa e indicandone allo stesso tempo i correttivi, mostrando a
tutti gli uomini quale fosse la giusta strada da percorrere per il rinnovamento
dello spirito.
Il profetismo della Commedia, oltre che richiamarsi in generale alla Bibbia ha
radici nel gioachimismo, col quale condivide la visione di una profonda decadenza
dei valori e della corruzione della Chiesa, identificata con la prostituta
dell'Apocalisse di Giovanni (Purg. XXXII, 160), e l'esigenza di combatterle nella
speranza di un rinnovamento. Garanzia di tale speranza sono la gravità del dolore
sopportato da coloro che sono rimasti fedeli a Cristo e la promessa di Cristo
stesso di non abbandonarli, nonché la certezza, basata sull'Apocalisse di Giovanni,
della sconfitta finale dei malvagi. Dante ritiene infatti non lontana la fine dei
tempi: Vedi nostra città quant'ella gira;/vedi li nostri scanni sì ripieni,/che
poca gente più ci si disira (Par. XXX 130 - 132). Come Gioacchino da Fiore e la
linea spirituale del francescanesimo, anche Dante, nel suo messaggio profetico,
prospetta "l'ideale di una Chiesa povera e aderente ai princìpi evangelici, che
dopo Cristo è stato sostenuto solo da San Francesco, ritenuto per questo da Dante
un secondo Cristo (v. Paradiso XI), iniziatore di una svolta decisiva nella storia
cristiana. Mentre però il gioachimismo identificava nell'Ordine francescano
l'artefice del processo di redenzione, Dante se ne distacca, escludendo che il
rinnovamento potesse scaturire dall'interno della Chiesa. Egli basa invece il
proprio messaggio profetico sul veltro (Inferno I, 101), ossia un riformatore laico
voluto da Dio (identificabile con l'imperatore), unica forza in grado di realizzare
il piano provvidenziale svelato a Dante nell'oltretomba".[34] In varie occasioni
alcuni personaggi incontrati da Dante durante il suo viaggio oltremondano, grazie
alla loro capacità di prevedere il futuro, preannunciano al poeta il suo esilio.
Dopo Ciacco (Inferno, VI, vv. 58-75), il primo che pronuncia contro Dante "parole
gravi" è Farinata degli Uberti (Inferno X, 79 e ss.); seguono Brunetto Latini
(Inferno XV, 61-72); Vanni Fucci (Inferno XXIV, 140-151);Corrado Malaspina
(Purgatorio VIII, 133-139); Oderisi da Gubbio (Purgatorio XI, 139-141); Bonagiunta
Orbicciani (Purgatorio, XXIV, 43-48); Forese Donati (Purgatorio XXIV, 88-90) e
infine Cacciaguida nel Paradiso (canto XVII).

Il ricorso alla profezia consente a Dante-personaggio (agens) anche di anticipare


narrativamente la drammatica evoluzione che il Dante scrittore (auctor) vede
dispiegarsi sotto i suoi occhi. Nella Commedia sono dunque disseminate molte
profezie post-eventum, che riguardano fatti della biografia dell'autore (l'esilio)
o collettivi (per esempio il trasferimento della sede papale ad Avignone ad opera
di Papa Clemente V sotto la pressione dei sovrani di Francia). Tuttavia il
messaggio di Dante riguarda anche un misterioso piano provvidenziale, personificato
dall'enigmatico veltro, che interverrebbe a punire i responsabili della corruzione
morale, come la curia papale e il re di Francia.[35][36] I vari commenti
sull'Apocalisse fioriti nel Medioevo influirono notevolmente sull'atteggiamento
profetico di Dante nel suo poema. La prima linea di sviluppo di tali commenti è
molto attenta all'interpretazione letterale del testo e mira ad un'interpretazione
in senso morale (san Girolamo, Beda il Venerabile, Riccardo di San Vittore, Alberto
Magno). La seconda linea si basa su un'interpretazione allegorica e tende a vedere
rappresentata nel testo apocalittico una successione storica delle vicende della
Chiesa. Questa linea interpretativa ha i suoi maggiori esponenti in Gioacchino da
Fiore e Pietro di Giovanni Olivi, i cui commenti probabilmente influenzarono molto
Dante. Dante si riferisce a san Giovanni e all'Apocalisse di Giovanni nell'Inferno
(XIX, 106-111) e nel Paradiso (XXXII, 127-128). Nella processione mistica del
Paradiso terrestre (Purgatorio, XXIX) vari elementi sono ripresi dal testo di san
Giovanni (i sette candelabri, i ventiquattro seniori, i quattro animali, il drago,
ecc.) ed il libro dell'Apocalisse di Giovanni viene rappresentato simbolicamente
come un vecchio solo, che avanza dormendo, con la faccia arguta (Purgatorio, XXIX,
143-144).[37]

Un'altra tematica frequentemente rintracciabile nel poema è il valore-simbolo del


numero. Secondo la Bibbia, Dio ha organizzato il cosmo secondo criteri armonici:
"tu hai tutto disposto con misura, calcolo e peso" (Sapienza 11, 21). I Padri della
Chiesa avevano dedicato grande attenzione alla numerologia, come attestano le opere
Libro dei numeri di Isidoro di Siviglia e il libro XV (De Numero) dell'enciclopedia
di Rabano Mauro. Dante aveva già sperimentato il simbolismo del nove, multiplo del
tre simbolo della Trinità, nella Vita Nuova, dove lo applica a Beatrice: i due si
incontrano la prima volta a nove anni, Beatrice rivolgerà il suo primo saluto
all'ora nona, ecc.
Nella Commedia i canti sono 100 numero perfetto poiché rappresenta il 10
(moltiplicato per se stesso) denotante compiutezza. Dieci sono Le zone dell'Inferno
(nove più l'antinferno); dieci le zone del Purgatorio (antipurgatorio, formato da
spiaggia più primi due balzi, poi le sette cornici ed infine il paradiso
terrestre); dieci sono le zone del Paradiso (sette cieli planetari, cielo delle
stelle fisse, Primo Mobile, Empireo). Il numero simbolico trinitario 3 si trova nel
numero delle cantiche, nei versi in terzine, nelle tre guide (Publio Virgilio
Marone, Beatrice, San Bernardo) oltre che nelle tre facce di Lucifero, nelle tre
fiere del primo canto dell'Inferno, nei tre gradini della porta del Purgatorio. Tre
sono i gruppi di peccatori nell'Inferno (incontinenti, violenti, fraudolenti); nel
Purgatorio le anime sono divise fra coloro che indirizzarono il loro amore su un
oggetto sbagliato, quelli che furono poco solleciti al bene e quelli che amarono
troppo i beni mondani; nel Paradiso i beati sono divisi fra gli spiriti che furono
dediti alla ricerca della gloria terrena, gli spiriti attivi e gli spiriti
contemplativi. Per quanto concerne il 9, i cerchi dell'Inferno sono nove, le
cornici del Purgatorio 7 a cui si devono aggiungere Antipurgatorio e Paradiso
Terrestre; 9 sono poi le sfere dei cieli (il decimo, l'Empireo, non è un luogo
fisico).

La musica è un altro motivo ricorrente nel poema ed è quindi una presenza frequente
nella Commedia. Nel Medioevo le teorie musicali furono influenzate dal trattato De
Musica di Severino Boezio che si rifaceva alla dottrina di Pitagora e al principio
di proporzione basato sul numero. L'atmosfera terrifica e dolente dell'Inferno è
caratterizzata dalla disarmonia (III, 22-28; V, 46; XX, 8-9; XXXII, 36). Nel
Purgatorio il canto delle anime ha effetto catartico (purificatorio), creando
effetti di rasserenamento e i riferimenti musicali hanno valore etico. Lo si vede
in vari canti: la canzone intonata dal musico Casella (II, 107-108); poi in II, 47;
V, 24; VIII, 13-18; X, 58-60; XII, 110-111; XXIII, 11-12. Nel Paradiso Terrestre la
musica è frequente con le sue melodie (lo stormire delle foglie XXVIII, 13-18;
l'apparizione di Matelda XXVIII 40-42; XXVIII 85; la melodia XXIX, 22-23; XXXI, 97-
99; XXXII, 61-63). Il Paradiso è la cantica in cui la musica, intrecciandosi con le
immagini luminose, costituisce la sostanza della cantica stessa. Numerosi sono gli
esempi di una celeste musica polifonica: XXVII, 1-6, VI, 124-126; VIII, 16-20; X,
139-148; XIV, 28-32 e 118-123; XVII, 43-44; XXVIII, 118-120; XXIII, 97-102 e 109-
111; XXVIII, 118-120; XXXII, 95-98; XXXIII, 68-75.[38][39]

La rappresentazione della luce è frequente nel poema e ad essa si contrappongono le


tenebre. Tutte le divinità dell'antichità si identificavano con la luce ed il Bene:
il Bel semitico, il Ra egizio, l'Ahura Mazdā iranico, il Bene di Platone.
Attraverso il neoplatonismo la luce entra nella tradizione cristiana soprattutto
grazie a Sant'Agostino e a Dionigi l'Areopagita in cui sono frequenti le immagini
di Dio come luce, fuoco, fontana luminosa. Nella filosofia Scolastica fu elaborata
la "teologia della luce" da Roberto Grossatesta e san Bonaventura da Bagnoregio nel
XIII secolo. L'Inferno è invece il regno delle tenebre. Dante si smarrisce nella
selva oscura (I, 2) e cerca di salire su un colle illuminato dal sole (I, 13-18,
37-43). La prima cantica è il regno che scaturisce dalla privazione di Dio e quindi
è senza luce. L'Inferno è cieco mondo (IV, 13; XXVII, 25), cieco / carcere (X, 58-
59; XXII, 103), valle buia (XII, 86), "loco d'ogne luce muto" (V, 28). I cerchi
infernali sono scuri (XXV, 13), l'aria è morta (I, 17), nera (V, 51), sanza tempo
tinta (III, 29); l'acqua dell'Acheronte è bruna (III, 118) e quella dello Stige
"buia assai più che persa" (VII, 103); la vegetazione della selva dei suicidi è di
color fosco (XIII, 4). Attraverso la scura natural burella (Inf. XXXIV, 98) Dante e
Virgilio giungono nel Purgatorio dove la luce riconquista lo spazio. Il sole è
simbolo di Dio, l'alto Sol (Purg. VII, 26), l'alto lume (Purg. XIII, 85). Dante
giunge sull'Antipurgatorio alle prime ore del mattino (I, 13-30; 107, 115),
l'ascesa alla montagna avviene al sorgere del sole (II, 1) e l'arrivo sul Paradiso
Terrestre al momento dello splendere della luce (XXVII, 112, 133). Il sole concede
ai due poeti di vedere l'accesso alla montagna (I, 107-108). La luce solare è
presente in vari passi (XIII, 16-18; XVII, 70-75). Ovviamente è il Paradiso il
regno della luce che è la sostanza stessa del regno celeste. Dante guidato da
Beatrice, allegoria della grazia e della teologia, sale per lo ciel di lume in lume
(XVII, 115) attraverso la materia eterea dei cieli: Luna (II, 34-36), Mercurio (V,
94-96), Venere (VIII, 13-15), Sole (X, 41), Marte (XIV, 85-86), Giove (XVIII; 68-
69), Saturno (XXI, 13). I cieli sono fatti di materia eterea e pertanto riflettono
all'esterno la luce che ricevono dal sole (III, 109-111; VIII, 19; X, 40-42). Gli
angeli vengono rappresentati come fuochi (IX, 77), facelle (XXIII, 94), scintille
(XXVIII, 91), splendori (XXIX, 138). I beati hanno un corpo etereo e sono luci,
lumi, faville (VIII, 8; XVIII, 101), stelle cadenti (XV, 16), rubini (XIX, 4-6),
gioie (IX, 37), lapilli (XX, 16), fuochi (XX, 34; XXII, 119), fiammelle (XXI, 136),
lucerne (VIII, 19; XXIII, 28), lampe (XVII, 5). Dio è etterna luce (V, 7-8), viva
luce (XIII, 55-57). Dio è definito "lume" (XXXIII, 43, 110), "Sol dei beati" (IX,
8; XV, 76; XVIII, 105; XXX, 126) e nell'Empireo appare a Dante come "stella", punto
luminoso molto acuto (XXVIII, 16-18; XXX, 11), "favilla pura" che illumina i cori
angelici (XXVIII, 37-39). Nell'Empireo Dante può contemplarlo come "trina
luce....'n unica stella" (XXXI, 28). La Candida rosa dei beati è fatta di luci e
fiamme splendenti (XXXI, 1-24) e, alla fine del poema, all'arcobaleno è associata
la sostanza stessa della luce divina (XXXIII, 116-120).[40]

Nel poema dantesco frequente è l'invettiva. Le più famose sono le seguenti: Ciacco
contro Firenze (Inferno - Canto sesto); contro i papi simoniaci (Inferno - Canto
diciannovesimo); contro Pistoia (Inferno - Canto venticinquesimo); contro Firenze
(Inferno - Canto ventiseiesimo); contro Pisa e contro Genova nel canto del conte
Ugolino (Inferno - Canto trentatreesimo); Sordello da Goito contro l'Italia ed
invettiva contro l'imperatore tedesco Alberto d'Asburgo (Purgatorio - Canto sesto);
Marco Lombardo contro la corruzione umana, contro Papato e Impero (Purgatorio -
Canto sedicesimo); contro la cupidigia (Purgatorio - Canto ventesimo); Giustiniano
contro guelfi e ghibellini (Paradiso - Canto sesto); San Tommaso d'Aquino contro la
corruzione fra i domenicani (Paradiso - Canto undicesimo); San Pietro contro la
corruzione nella Chiesa (Paradiso - Canto ventisettesimo).

Il poema dantesco riprende quindi i seguenti motivi: il topos del viaggio


nell'oltretomba presente nella poesia epica greco-latina; il topos del viaggio-
percorso di formazione presente nel romanzo cortese-cavalleresco; il tema della
fine del mondo presente nel francescanesimo e nei movimenti ereticali medievali. La
Divina Commedia contiene inoltre la sintesi della poetica dantesca espressa
attraverso il valore profetico dell'opera confermato dalla guida e presenza di
Beatrice, attinto dalla forza trascendente di Dio che conduce ad un rinnovamento
morale. La sintesi della poetica dantesca è espressa anche da una nuova teoria
dell'amore secondo una prospettiva di itinerario verso Dio che porta ad un
rinnovamento morale e spirituale.

Scienza e tecnologia nella Divina Commedia


Nel poema dantesco vi sono diversi riferimenti alla scienza ed alla tecnologia. I
temi affrontati nell'ambito della fisica sono: la gravità (Inferno - Canto
trentaduesimo, vv. 73-74 e Inferno - Canto trentaquattresimo, vv. 110-111); la
precessione degli equinozi (Inferno - Canto trentunesimo, vv. 78-84); le luci
telluriche (Inferno - Canto terzo, vv. 130-135 e Purgatorio - Canto ventunesimo, v.
57); le grandi frane (Inferno - Canto dodicesimo, vv. 1-10); la formazione dei
cicloni (Inferno - Canto nono, vv. 67-72); la Croce del Sud (Purgatorio - Canto
primo, vv. 22-27); l'arcobaleno (Purgatorio - Canto venticinquesimo, vv. 91-93); il
ciclo dell'acqua (Purgatorio - Canto quinto, vv. 109-111 e Purgatorio - Canto
ventottesimo, vv. 121-123); la relatività del moto (Inferno - Canto trentunesimo,
vv. 136-141 e Paradiso - Canto ventinovesimo, vv. 25-27); la propagazione della
luce (Purgatorio - Canto secondo, vv. 99-107); le due velocità di rotazione
(Purgatorio - Canto ottavo, vv. 85-87); gli specchi al piombo (Inferno - Canto
ventitreesimo, vv. 25-27); la riflessione della luce (Purgatorio - Canto
quindicesimo, vv. 16-24). Sono presenti riferimenti ai dispositivi militari
(Inferno - Canto ottavo, vv. 85-87); all'accensione del fuoco con esca e acciarino
(Inferno - Canto quattordicesimo, vv. 34-42), al mimetismo (Paradiso - Canto terzo,
vv. 12-17). Nel settore tecnologico ci sono riferimenti alla cantieristica navale
(Inferno - Canto ventunesimo, vv. 7-19); alle dighe degli olandesi (Inferno - Canto
quindicesimo, vv. 4-9). Vi sono inoltre riferimenti ai mulini (Inferno - Canto
ventitreesimo, vv. 46-49); agli occhiali (Inferno - Canto trentatreesimo, vv. 99-
101); agli orologi (Paradiso - Canto decimo, v. 139-146 e Paradiso - Canto
ventiquattresimo, vv. 13-15) nonché alla bussola magnetica (Paradiso - Canto
dodicesimo, vv. 29-31).[41]

Le tre guide
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Le tre guide ultraterrene di Dante: Virgilio, Beatrice e San Bernardo
Il viaggio ultraterreno di Dante richiede l'appoggio di una guida, in quanto il
protagonista rappresenta l'uomo smarrito in conseguenza del peccato e pertanto
incapace di recuperare da solo la retta via. Per l'intero cammino che si svolge
attraverso il baratro dell'Inferno e su per la montagna del Purgatorio la guida
prescelta è Virgilio, l'antico poeta latino autore dell'Eneide. Egli, sebbene
pagano, per l'alto valore morale della sua poesia, rappresenta la saggezza
naturale, la ragione della cui luce l'uomo ha bisogno per riscattarsi e rendersi
disponibile a comprendere la Rivelazione.

Comunque la figura di Virgilio non rimane chiusa in una schematica funzione


allegorica; essa, in virtù della capacità poetica di Dante, assume il ruolo di un
personaggio di grande rilievo: ora egli si anima di sollecitudine paterna e riesce
a rassicurare con la sua rasserenante protezione Dante sbigottito dagli orrori
dell'Inferno, ora, specialmente nel Purgatorio, resta soggetto all'incertezza, al
timore e vive un suo dramma personale, in quanto diversamente da Dante egli è
escluso dalla salvezza. Il suo compito si conclude nel Paradiso terrestre in quanto
Virgilio, estraneo al mondo della fede, non può guidare Dante a comprendere il
mistero divino che gli si svelerà nel Paradiso. Per questo occorre l'intervento
della Grazia, della scienza teologica, che viene rappresentata dalla nuova guida,
Beatrice, la quale condurrà Dante dalla cima del Purgatorio alle soglie
dell'Empireo.

Anche nel caso di Beatrice il significato allegorico si arricchisce di componenti


che fanno della sua figura un personaggio altamente poetico. Beatrice è pur sempre
la donna angelica che ha illuminato la giovinezza del poeta: adesso, divenuta
beata, risplende di una luce che si esprime nel suo sguardo e nel suo sorriso,
rendendola bella in modo indicibile. Beatrice spiega al poeta con un linguaggio
dotto ardui problemi teologici, ma lo fa salire attraverso i cieli con la forza del
suo sorriso, cioè con la forza di un amore che è il riflesso di quello divino.

Dopo aver condotto Dante all'interno dell'anfiteatro occupato dai beati, Beatrice
ritorna al suo seggio da dove appare al poeta cinta di un'aureola luminosa e il
ruolo di guida viene assunto nel momento conclusivo del viaggio da San Bernardo, il
quale per la sua vita dedita, già in Terra, alla contemplazione, appare
singolarmente adatto a sostenere Dante nel momento in cui, con l'aiuto della
preghiera di tutti i beati, e in particolare della Vergine, riuscirà ad entrare in
diretta comunione con la viva presenza di Dio.

Modelli, fonti e lingua


Lingua
Uno dei problemi più ardui della filologia italiana è lo studio della lingua dei
principali autori della nostra tradizione letteraria. Tale problema è connesso
strettamente allo studio della tradizione manoscritta delle opere. Nel caso di
Dante, la questione è molto più complessa e delicata in quanto nel poema dantesco
si è tradizionalmente identificata l'origine stessa della lingua italiana. La
definizione di "padre della lingua italiana", spesso utilizzata per Dante, non è
solo una teoria della critica contemporanea; generazioni di lettori, a partire dai
primi commentatori fino ai moderni esegeti, non hanno potuto fare a meno di
confrontarsi, anche quando hanno anteposto alla Commedia altri modelli linguistici
e letterari, con il poema sacro. Ad esempio, la teorizzazione del Bembo nelle Prose
della volgar lingua, in quanto fondamentalmente normativa, tendeva a canonizzare un
modello linguistico più vicino a Petrarca che a Dante. Ciononostante, nelle Prose,
il poema è comunque il testo più importante cui fare riferimento, anche e
soprattutto in prospettiva critica, per la sua ricchezza linguistica e lessicale.

Tuttavia, l'importanza irrinunciabile della Commedia è dimostrata dal peso


attribuito al poema dantesco nella compilazione del primo Vocabolario degli
Accademici della Crusca. Poiché il numero di citazioni della Commedia supera di
gran lunga quello di qualsiasi altra opera e poiché è evidente che l'influenza di
un vocabolario sullo sviluppo storico di una lingua è senz'altro superiore a quello
di ciascuna singola opera, ne risulta dimostrata la centralità del poema per la
coscienza linguistica e letteraria italiana.

La storia della tradizione manoscritta dimostra d'altronde quanto il processo di


copia del poema abbia contribuito fin dalle origini alla formazione di un volgare
letterario italiano. Però l'esatta forma della lingua dantesca è ancora oggetto di
studio e di dibattito, così come accade per le maggiori opere della letteratura
antica. Solitamente, viene considerata una soluzione efficace basarsi sulla lingua
del testimone più antico di un'opera.

Nel caso della Commedia, si tratta del manoscritto Trivulziano 1080.[42]

Nella Commedia notiamo un plurilinguismo ed un pluristilismo in cui convergono le


più diverse risorse linguistiche e letterarie dando contemporaneamente dignità
letteraria a termini caratteristici del parlato popolare. Si tratta dunque di un
crocevia di vari idiomi, con una straordinaria inventiva nelle scelte. Dante, ad
esempio, coglie schietti dialettismi (pisano andonno, settentrionale brolo e
burlare, meridionale sorpriso ecc.) e molti fiorentinismi. Voci nuove e locuzioni
caratteristiche sono poi divenute parti integranti della lingua italiana (fiero
pasto, vendetta allegra, morta gora, mondan romore, volgare schiera, il velen de
l'argomento, far tremare le vene e i polsi, ecc.). Sono presenti anche paralleli
termini transalpini (frale / fragile; gioire / godere, sire / signore, augello /
uccello, veglio / vecchio, disio o disire / desiderio, ecc.), oscillazioni fra
forme latineggianti e volgari (radiare / raggiare, vigilare / vegliare / vegghiare,
ecc.). Il poeta evoca spesso il valore semantico originario della parola
(claustro / chiostro, nervo / nerbo, labore / lavoro, Mantua / Mantova, ecc.).
Dante creò inoltre molti neologismi come trasumanare, indovarsi, bolgia, ecc.[43]

Stile
Dante non si può scindere dalla tradizione poetica provenzale, come dalla poesia
provenzale non si può separare lo Stil Novo di cui Dante fu insigne rappresentante.
Stile e linguaggio danteschi derivano da modi caratteristici della letteratura
latina medievale: giustapposizione sintattica (brevi elementi successivi) cesure,
stacchi, uno stile che non conosce la fluidità e il modo mediato e legato dei
moderni. Dante ama l'espressione concentrata, il rilievo visivo e rifugge dai
legami logici, il suo linguaggio è essenziale.

A differenza di Petrarca che utilizzava un linguaggio semplice e puro,


caratterizzato da un ristrettissimo numero di parole, secondo un criterio
unilinguistico, Dante nella Commedia adotta una grande ampiezza di lessico e di
registri stilistici, dal più basso e "comico" nel senso medioevale del termine, al
più alto e "sublime". Si parla dunque di plurilinguismo dantesco.

Studi e fonti
Sull'istruzione di Dante la ricerca è tuttora aperta; quasi sicuramente non
frequentò regolarmente un'istituzione di studi superiori, e tuttavia la sua opera
dimostra perfetta conoscenza delle discipline delle Arti, insegnate come base
comune a tutte le facoltà universitarie. È stata avanzata l'ipotesi di suoi
contatti con un gruppo di filosofi averroisti bolognesi. Quasi sicuramente studiò
la poesia toscana, nel momento in cui la Scuola poetica siciliana, un gruppo
culturale originario della Sicilia, stava cominciando ad essere conosciuta in
Toscana. I suoi interessi lo portarono a scoprire i menestrelli e i poeti
provenzali e la cultura latina.

Evidente è la sua devozione per Virgilio (Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore, /
tu se' solo colui da cu'io tolsi / lo bello stilo che m'ha fatto onore, Inferno v.
85 canto I), anche se la Divina Commedia mette in gioco una complessa tradizione
classica e cristiana esaltando la cultura del Nostro; volendo ricordare alcune
fonti si può iniziare dal verso 32 dell'Inferno "Io non Enea, io non Paulo sono" in
cui sono presentati i due testi chiave sui quali si basa la sua opera: l'Eneide,
(in particolare il canto VI) e la Seconda lettera ai Corinzi di san Paolo, là dove
racconta del suo rapimento estatico.

Numerosi altri testi agiscono sulla fantasia di Dante, dal Commentario di Macrobio
al Somnium Scipionis (su una parte del libro VI della Repubblica di Cicerone), in
cui viene narrata la visione delle sfere celesti e la dimora delle grandi anime,
all'Apocalisse di S. Giovanni, come la meno nota Apocalisse apocrifa di S. Paolo
(condannata da sant'Agostino, ma molto diffusa nel basso Medioevo), che contiene
alcune descrizioni delle pene infernali e la prima generica definizione
dell'esistenza del Purgatorio. Il tema della visione ebbe grande fortuna nel
Medioevo, e molti di questi racconti d'esperienze mistiche erano noti a Dante, come
la Navigatio sancti Brendani, la Visio Tnugdali, il Purgatorio di san Patrizio e i
Dialoghi di san Gregorio Magno. Vanno pure menzionate le seguenti "visioni"
medievali: la Visione di Ansello (secolo XII) e la Visione di Eynsham (secolo XII).
Bisogna ricordare altresì il viaggio oltremondano (catabasi) di Drythelm nella
Storia ecclesiastica d'Inghilterra scritta da Beda il Venerabile nel secolo VIII.
In essa l'anima del protagonista, guidata da uno spirito luminoso, visita i luoghi
infernali dei dannati dove teme di essere presa dai diavoli ma viene salvata dallo
spirito-guida e condotta ad ammirare i prati luminosi e profumati delle anime
elette che cantano cori celestiali. Dopo questa esperienza oltremondana l'anima
rientra nel corpo e il protagonista vive una vita santa per meritarsi la
beatitudine celeste.[44][45] Nella Leggenda del viaggio di tre santi monaci al
Paradiso terrestre (X secolo) si racconta invece di tre monaci di enorme bontà che
dal fiume di Sion arrivano al Paradiso terrestre la cui porta è custodita da un
cherubino. All'interno incontrano i profeti Enoch ed Elia. Poi ripartono credendo
di essere vissuti all'interno del Paradiso terrestre tre giorni mentre in realtà vi
hanno trascorso tre anni.[46]

Anche la coeva escatologia ebraica sembra essere stata presente a Dante: in


particolare, si pensa abbia potuto leggere le opere di Hillel da Verona, che
trascorse gli ultimi anni della sua vita a Forlì, morendovi poco prima dell'arrivo
di Dante in quella città.

Molto spesso è Dante, presentando i vari autori nella sua opera, a lasciare una
visione superficiale della sua biblioteca; ad esempio, nel cielo del Sole (canti X
e XII) del Paradiso incontra due corone di spiriti sapienti, e tra questi mistici,
teologi, canonisti e filosofi si trovano Ugo di San Vittore, Graziano, Pietro
Lombardo, Gioacchino da Fiore ecc.
Altre fonti più recenti e di più superficiale incidenza nella Commedia vanno
considerati i rozzi poemetti di Giacomino da Verona (De Ierusalem coelesti e De
Babilonia civitate infernali) il Libro delle tre scritture di Bonvesin de la Riva,
con la descrizione dei regni dell'Aldilà, e la Visione del monaco cassinese
Alberico. Da ricordare anche il poemetto allegorico-didascalico Detto del Gatto
lupesco (XII secolo), viaggio allegorico di un cavaliere-eroe che deve superare tre
ostacoli, simbolo del male, per raggiungere la beatitudine eterna.[47]

Sulla biblioteca classica di Dante ci si deve accontentare di deduzioni interne ai


suoi testi, delle citazioni dirette e indirette che essi contengono; si può
affermare che accanto al nome di Virgilio compaiono Ovidio, Stazio e Lucano, cui
seguono i nomi di Tito Livio, Plinio, Frontino, Paolo Orosio, che già erano
presenti, con l'aggiunta di Orazio e l'esclusione di Stazio, nella Vita Nuova (XXV,
9-10), così ci si accorge che questi erano i poeti più diffusi e più letti nelle
scholae medievali lasciando aperta l'ipotesi di una loro frequentazione da parte di
Dante.

Filosofia islamica

Lo stesso argomento in dettaglio: Libri della Scala e Isrāʾ e Miʿrāj.


Nel 1919 il professor Miguel Asín Palacios, studioso e prete cattolico spagnolo,
pubblica La Escatología musulmana en la Divina Comedia, un saggio sui parallelismi
fra i contenuti dell'antica filosofia islamica e il testo di Dante. Secondo
Palacios, Dante si sarebbe ispirato ai trattati spirituali del celebre mistico Ibn
Arabi e ai contenuti dell'Isrāʾ e Miʿrāj, narrante l'ascesa notturna di Maometto al
Cielo (miʿrāj). Il Kitab al-Miraj (Libro dell'Ascensione), tradotto in latino
dall'arabo nel 1264 con il titolo di Liber Scalae Machometi ("Il Libro della Scala
di Maometto", in arabo Isrāʾ e Miʿrāj) conterrebbe significative similitudini con
l'opera di Dante.[48]

Secondo il filosofo Frederick Copleston, il rispetto nutrito da Dante nei confronti


di Averroè ("Averrois, che'l gran comento feo" Commedia, Inferno, IV, 144),
Avicenna e Sigieri da Brabante sarebbe il frutto di un "notevole debito" del poeta
nei confronti della filosofia islamica.[49]

Secondo la filologa Maria Corti, Brunetto Latini, mentore di Dante, potrebbe aver
incontrato Bonaventura da Siena, traduttore in latino del Kitab al Miraj, durante
un suo soggiorno alla corte di Alfonso X. Secondo la Corti, Latini avrebbe potuto
fornire a Dante una copia del Miraj.[50]

Attualità della Divina Commedia


Il poema dantesco è un'altissima testimonianza della civiltà medievale, sintesi di
modelli culturali, cosmologici, storico - filosofici e teologici di quella civiltà.
L'opera però possiede anche una sua perenne validità e ha una fondamentale funzione
storica e civile. Scrive lo storico Giuliano Procacci:[51] "Attraverso Dante venne
per la prima volta posta in evidenza e resa esemplare la particolare funzione
pedagogica e civile assolta dagli intellettuali nella formazione di una koiné
italiana (la lingua italiana, ovvero il volgare illustre) e, leggendo la Divina
Commedia, il pubblico colto italiano ebbe per la prima volta la netta sensazione di
appartenere a una civiltà che, pur nella sua varietà e nel suo policentrismo,
possedeva dei fondamenti comuni". Dante concepì poi l'opera come una missione
morale che trasmettesse valori quali l'ordine, la giustizia, la pace, la libertà,
la razionalità, la dignità morale. Si tratta di un sistema di valori contrapposto
alle logiche di molti poteri politici e religiosi nonché alla logica del profitto
della borghesia mercantile. Il poema dantesco contiene inoltre l'analisi di
problemi eterni per l'uomo quali il Bene e il Male, la vita e la morte, la vita
ultraterrena.
Storia della critica

Lo stesso argomento in dettaglio: B:Divina Commedia/Storia critica.


L'opera ebbe grande fortuna già nei primi anni in cui venne diffusa: a parte il
fiorire di manoscritti e citazioni, alcune ancora precedenti alla morte di Dante,
già nel XIV secolo vengono composti commenti all'intera opera o solo all'Inferno.
Fra i primi commentatori annoveriamo anche i figli di Dante, Jacopo e Pietro
Alighieri, ma anche Giovanni Boccaccio che negli ultimi anni della sua vita tenne
delle letture pubbliche, le Esposizioni sopra la Comedia.

Tradizione manoscritta e proposte di edizioni critiche


Dal punto di vista filologico, il caso della Commedia è tra i più complessi nel
panorama delle lingue romanze e delle letterature occidentali più in generale, a
causa della vastità delle testimonianze e per la conseguente difficoltà di
stabilire con certezza i rapporti tra i manoscritti. I testimoni oggi noti sono
infatti circa ottocento.[52] Per i manoscritti più antichi del poema (1330-1350) si
possono quindi distinguere, secondo lo stemma codicum approntato da Giorgio
Petrocchi per la sua edizione del 1966-7, una tradizione fiorentina molto antica,
rappresentata sostanzialmente dal manoscritto Trivulziano 1080, datato 1337, e
dalle postille collazionate dall'umanista Luca Martini su una stampa cinquecentesca
e da un codice approntato da un pievano, Forese Donati, databile al 1330 circa; una
tradizione toscana occidentale; una tradizione emiliana; infine, un'ulteriore
tradizione fiorentina, alla quale si può ricondurre la maggioranza dei manoscritti
trecenteschi e quattrocenteschi.[53]

Dopo l'edizione a cura di Giorgio Petrocchi, il dibattito sulla tradizione


manoscritta si è ravvivato in reazione all'edizione di Federico Sanguineti, che
suscitò vivaci critiche e adesioni. Quindi una nuova edizione, con una rinnovata
indagine dei rapporti genetici tra i manoscritti, è stata annunciata da Paolo
Trovato.[54]

È probabile tuttavia che la Commedia sia stata inizialmente diffusa per cantiche o
gruppi di canti; non sarebbe quindi mai esistito un originale esplicitamente
pubblicato dall'autore; in questo senso vanno citati gli studi di Riccardo Viel,
[55] che ritiene impossibile disegnare un unico stemma codicum dell'opera,
dovendosi procedere per singole cantiche o addirittura per gruppi di canti.

Alla tradizione toscana derivata dal codice Trivulziano 1080 si ispira l'edizione
curata da Antonio Lanza.[9] Negli ultimi anni, infine, in prospettiva del 2021,
data del settecentenario della morte del poeta (1321-2021), sono state avanzate
ulteriori tre proposte per una nuova edizione critica del poema dantesco, su basi
molto diverse fra di loro, se non opposte:

la prima, di Enrico Malato, è una proposta 'vandelliana' (da Giuseppe Vandelli,


curatore dell'edizione del 1921 della Commedia) o empirica: denuncia una profonda
sfiducia nei confronti di qualsiasi tentativo di razionalizzazione stemmatica dei
manoscritti a causa della diffusissima contaminazione; lo studioso propone pertanto
di basarsi sul testo di Petrocchi, corretto di volta in volta - in base al senso
del passo o alle fonti sottese ad esso - a seconda delle esigenze esegetiche e
testuali;[56]
una proposta 'bedieriana' (dal filologo francese Joseph Bédier) invece è quella di
Luigi Spagnolo, il quale propone di basarsi su un codex optimus (precisamente il
Fior. Pal. 319), ossia un manoscritto ritenuto il migliore o comunque
rappresentativo di una tradizione indipendente e di qualità più elevata rispetto
alle tradizioni concorrenziali;[57]
da ultimo è stata avanzata, da parte di Angelo Eugenio Mecca, una proposta
lachmanniana (come quella di Trovato) ma su basi 'barbiane' (ispirata cioè agli
studi di Michele Barbi, che propose l'utilizzo di loci selecti, ossia passi scelti,
per sistemare in gruppi e famiglie tutti i manoscritti noti della Commedia):[58]
Mecca sostiene innanzitutto l'accantonamento dell'idea dell'esistenza di un
archetipo per la Commedia, che resta non dimostrabile né storicamente probabile;
poi la diffusione della Commedia per cantiche separate (se non per blocchi di
canti), cosa che deve indurre il critico a tracciare prudenzialmente almeno tre
stemmata, uno per cantica; l'articolazione della tradizione della Commedia in tre
subarchetipi, al posto dei due finora riconosciuti (α e β, rispettivamente
tradizione toscana e settentrionale), ossia: tradizione toscana (α), tradizione
emiliano-romagnola (Urb e affini: ε), tradizione lombardo-veneta (Mad Rb e affini:
σ); infine, la selezione come testimoni-base della futura edizione critica della
Commedia di un numero congruo di testimoni, rappresentativi di tutti e tre i
subarchetipi riconosciuti e l'adozione della lezione genuina secondo il criterio
della maggioranza (due subarchetipi contro uno).[59]
Prime edizioni a stampa

Frontespizio dell'editio princeps della Divina Commedia (11 aprile 1472)


L'editio princeps della Divina Commedia fu finita di stampare a Foligno l'11 aprile
1472 dal tedesco Johannes Numeister e dal «fulginato Evangelista mei» (come risulta
dal colophon), che alcuni identificano con il mecenate folignate Emiliano Orfini,
altri con il tipografo Evangelista Angelini.[60] Tuttavia, a breve distanza
dall'editio princeps di Foligno, sempre nello stesso anno, escono altre due
edizioni della Divina Commedia: a Jesi (o a Venezia, il luogo è dubbio) per le
stampe di Federigo de' Conti da Verona; e infine a Mantova, dai tipografi tedeschi
Georg e Paul Butzbach, curata dall'umanista Colombino Veronese.[61]

Le edizioni a stampa del Quattrocento (incunaboli)


Nel corso del Quattrocento vengono stampate in tutto 15 edizioni della Divina
Commedia (quattrocentine o, più comunemente, incunaboli, da un termine latino che
significa "in culla" e con cui convenzionalmente si indicano tutte le stampe
realizzate da metà Quattrocento all'anno 1500 compreso). Da un punto di vista
filologico le edizioni si dividono in due gruppi: quelle derivate dall'edizione di
Foligno, ma più o meno corretta o modificata (in tutto quattro edizioni), e quelle
derivate dall'edizione di Mantova (undici in tutto); nel secondo gruppo rientra
anche la più famosa edizione del secolo, destinata ad avere molte ristampe e grande
successo anche nei secoli successivi, soprattutto nel Cinquecento: si tratta della
stampa curata dall'umanista fiorentino Cristoforo Landino (Firenze, 1481).[62] Va
ricordata anche l'edizione stampata da Vindelino da Spira (Venezia, 1477), che
contiene la Vita di Dante, ossia il Trattatello in laude di Dante, del Boccaccio,
all'interno del quale compare per la prima volta l'espressione "divina commedia".

Le edizioni a stampa del Cinquecento (cinquecentine)

Frontespizio a occhiello dell'aldina (agosto 1502)

Gabriele Giolito de' Ferrari (ritratto eseguito da Tiziano, 1554) pubblicò nel 1555
la prima edizione a portare il titolo "Divina Comedia".[63]
Il Cinquecento si apre con un'edizione famosissima, destinata ad imporsi su tutte
le altre e a diventare il modello di tutte le edizioni della Divina Commedia dei
secoli successivi, fino al XIX secolo compreso: Le terze rime di Dante, a cura di
Pietro Bembo per la tipografia di Aldo Manuzio (Venezia, agosto 1502), ristampata
poi tale e quale nel 1515. In tutto furono 30 le edizioni dantesche del secolo (il
doppio del secolo precedente), la maggior parte delle quali stampate a Venezia. Fra
esse si ricordano l'edizione di Lodovico Dolce, stampata a Venezia da Gabriele
Giolito de' Ferrari nel 1555, che fu la prima ad attribuire l'aggettivo "Divina" a
"Commedia" (tra i possessori più illustri di questa edizione troviamo Galileo
Galilei, la cui copia ci è pervenuta fino ad oggi); l'edizione curata da Antonio
Manetti (Firenze, Giunta, 1506); quella con il commento di Alessandro Vellutello
(Venezia, Francesco Marcolini, 1544); e infine l'edizione curata dall'Accademia
della Crusca (Firenze, 1595).[64]
Edizioni moderne
Il Seicento fu il secolo della grande crisi per Dante e la Divina Commedia, che non
venne molto letta né apprezzata: sono solo tre le edizioni della Divina Commedia
stampate nell'intero secolo. Nel Settecento rinascono gli studi danteschi che
raggiungono il loro apice nel secolo successivo, in particolare con una nuova
edizione della Crusca (Firenze, Le Monnier 1837-1839); e con l'edizione critica
curata dal tedesco Karl Witte nel 1862.[65] Fra Ottocento e Novecento le figure più
importanti per gli studi relativi all'edizione critica della Divina Commedia furono
l'inglese Edward Moore (1835-1916); e gli italiani Michele Barbi, Giuseppe Vandelli
e Mario Casella. Degli ultimi due si ricordano le rispettive edizioni della Divina
Commedia, le più importanti prima di quella realizzata da Giorgio Petrocchi.[66]

L'edizione Petrocchi
L'edizione critica ancor oggi di riferimento è quella di Giorgio Petrocchi;[67]
tale edizione non segue precipuamente i canoni lachmanniani: Petrocchi ritiene
impossibile tracciare uno stemma codicum viste la diffusa contaminazione, già
frequente in testimoni molto alti, e la perdita di tutta la prima tradizione
manoscritta, dalla morte di Dante (1321) al primo testimone rimastoci, Triv, datato
1337. Pertanto Petrocchi, dopo aver eliminato tutti i codici successivi al 1355
come codices descripti nonché corrotti dall'intervento destabilizzante di Giovanni
Boccaccio come copista, ritiene di poter risalire non tanto al testo originale,
quanto alla vulgata, ossia al testo conosciuto all'altezza di quel periodo.
Tuttavia, negli ultimi anni, l'esistenza di questo "sbarramento cronologico del
Boccaccio" è stata contestata, con il risultato che l'edizione di Petrocchi è stata
giudicata infondata dal punto di vista filologico.[68]

Le ultime edizioni
Oltre l'edizione critica a cura di Giorgio Petrocchi, esiste un'edizione a cura da
Antonio Lanza,[9] di tipo bédieriano, basata sostanzialmente sul manoscritto
Trivulziano, scelto in base allo stemma disegnato da Petrocchi stesso.

Successivamente è apparsa l'edizione curata da Federico Sanguineti,[10][69] che


invece si basa su un impianto di tipo lachmanniano, ovvero su un procedimento teso
all'esame esaustivo della tradizione manoscritta e alla decifrazione dei rapporti
tra i codici. In pratica, come è stato sottolineato da più parti,[70] l'edizione
giunge essenzialmente alla pubblicazione di un unico manoscritto (l'Urbinate lat.
366). Infatti Sanguineti, dopo aver scartato i testimoni recentiores in base ad
errori comuni, senza tuttavia averne scientificamente dimostrato l'apografia,
traccia uno stemma bipartito, di cui il ramo beta è rappresentato praticamente solo
dal manoscritto Urbinate Urb, che pertanto conta da solo per il 50% per
l'accertamento della lezione da mettere a testo.

Ultima in ordine di tempo è l'edizione di Giorgio Inglese.[71] Sostenendo


l'impossibilità di un'edizione bedieriana per la Commedia, e vista la precoce
contaminazione, egli ha pertanto concentrato la propria attenzione sulla revisione
dello stemma Petrocchi, di cui risulta, a parte alcune modifiche (quali l'ipotesi
di una contaminazione extrastemmatica), la sostanziale validità, pur nella maggiore
attenzione dedicata alla famiglia settentrionale. È netto il favore concesso al
ramo fiorentino che deriverebbe in ultima analisi dal codice migrato nel 1322 a
Firenze nella bisaccia di Jacopo Alighieri. Per quanto riguarda il testo, Inglese
si affida ancora a più antichi testimoni.[72]

Traduzioni

Lo stesso argomento in dettaglio: Traduzioni della Divina Commedia.


La Divina Commedia ha avuto innumerevoli traduzioni in lingue ed epoche diverse:
qui se ne ricordano alcune.

Traduzioni in latino
Fratris Johannis de Serravalle translatio et comentum totius libri Dantis
Aldigherii cum textu italico fratris Bartholomæi a Colle eiusdem ordinis nunc
primum edita, a cura di Marcellino da Civezza M.O. e Teofilo Domenichelli M.O., 3
voll., Prati, ex officina libraria Giachetti, 1891.[73]
Traduzioni in inglese
The Divina Commedia, consisting of the Inferno, Purgatorio and Paradiso, translated
into English verse, with preliminary essays, notes, and illustrations, by the rev.
Henry Boyd, 3 voll., London, Cadell, Davies, 1802.
The Vision, or Hell, Purgatory and Paradise, translated by the rev. H.F. Cary,
London, Frederick Warne, 1814.
The Divine Comedy, translated by Henry Wadsworth Longfellow, 3 voll., Boston,
Ticknor and Fields, 1867.
Traduzioni in francese
L'Enfer, poème, Traduction nouvelle par Antoine de Rivarol, A Londres, et se trouve
a Paris, chez Mérigot le jeune, 1783.
La Divine Comédie, Traduction nouvelle, accompagnée de notes, par Pier Angelo
Fiorentino, Paris, Librairie de Charles Gosselin, 1840.
La Divine Comédie, precedée d'une introduction sur la vie, les doctrines et les
oeuvres du Dante, par F. Lamennais, 3 voll., Paris, Paulin et le Chevalier, 1855.
Traduzioni in spagnolo
La Divina Comedia, Traducción en verso ajustada al original con nuevos comentarios
por Bartolomé Mitre, Buenos Aires, Jacobo Peuser, 1894.
La Divina Comedia, Traducción, prólogos y notas de Angel J. Battistessa, 2 voll.,
Buenos Aires, Carlos Lohlé, 1972.
Comedia, Texto original y traducción, prólogo y notas por Ángel Crespo, Barcelona,
Seix Barral, 1973.
La Divina Comedia, Prologo de Angel Chiclana Cardona, Madrid, Espasa-Calpe. 1979.
Traduzioni in tedesco
Die Göttliche Komödie, übersezt und erklärt von Karl Ludwig Kannegiesser, 3 voll.,
Leipzig, F. A. Brockhaus, 1832.
Göttliche Komödie, übersetzt von Otto Gildemeister, Stuttgart, Berlin, Cotta, 1905.
Die Göttliche Komödie, Deutsch von Karl Vossler, München, Wilhelm Goldmann, 1962.
Traduzioni in altre lingue
La prima traduzione in versi in qualsiasi lingua è quella in catalano di Andreu
Febrer, in terzine rigorosamente rimate, terminata a Barcellona nel 1429[74]
La prima traduzione in prosa fu quella di Enrique de Villena, in castigliano, nel
1428. Giovanni Peterlongo (1856-1941) l'ha tradotta in esperanto.[75] Mons. Pádraig
de Brún (1889-1960) ne ha fatto una traduzione in gaelico irlandese, che venne
pubblicata postuma.[76]
A Divina Comédia, tradûta in léngua zeneyze cu 'i segni da pronúnçia [da Angelico
Federico Gazzo], Zena, Stampaya da zuventù, 1909.
La Divina Commedia nell'arte

Giuseppe de Liguoro e Giovanni Pastrone, due registi che hanno realizzato una
trasposizione cinematografica della Commedia.
Trasposizioni cinematografiche (lista parziale)
Francesca da Rimini (The Two Brothers), regia di William V. Ranous (1907).
Il conte Ugolino, regia di Giuseppe De Liguoro (1908).
Il conte Ugolino, regia di Giovanni Pastrone (1909).
Pia de' Tolomei, regia di Mario Caserini (1910).
Francesca di Rimini, regia di Ugo Falena (1910).
Guelfi e ghibellini (Wanda Soldanieri), regia di Mario Caserini (1910).
L'Inferno, regia di Giuseppe Berardi e Arturo Busnengo (1911).
L'Inferno, regia di Giuseppe De Liguoro, Adolfo Padovani, Francesco Bertolini
(1911).
Dante e Beatrice, regia di Mario Caserini (1913).
Beatrice (1919).
Dante nella vita e nei tempi suoi, regia di Domenico Gaido (1921).
Dante's Inferno (1924).
Maciste all'Inferno, regia di Amleto Palermi (1926).
La nave di Satana (Dante's Inferno), regia di Harry Lachman (1935).
Pia de' Tolomei, regia di Esodo Pratelli (1941).
Il conte Ugolino, regia di Riccardo Freda (1949).
Paolo e Francesca (Francesca da Rimini), regia di Raffaello Matarazzo (1950).
47 morto che parla, regia di Carlo Ludovico Bragaglia - con Totò e Silvana
Pampanini (1950).
Totò all'inferno, regia di Camillo Mastrocinque (1955).
Maciste all'Inferno, regia di Riccardo Freda (1962).
Vita di Dante, regia di Vittorio Cottafavi (1965).
Paolo e Francesca, regia di Gianni Vernuccio (1971).
La divina commedia (A Divina Comédia), regia di Manoel de Oliveira (1991).
Al di là dei sogni (1998), diretto da Vincent Ward.
Inferno, regia di Ron Howard (2016), tratto dall'omonimo romanzo di Dan Brown.
Nell'estate 2017 la casa di produzioni cinematografiche Palomar, di Carlo Degli
Esposti, acquista il primo soggetto originale del duo di romanzieri Monaldi &
Sorti: una fiction tv sulla vita di Dante Alighieri e la Divina Commedia con
sceneggiatura degli stessi Monaldi & Sorti e la partecipazione di Roberto Benigni,
prevista per il 2021 nel 700º anniversario della morte di Dante.[77]
Musica
Belisario (1835-1836), opera lirica di Gaetano Donizetti. Il generale Belisario,
protagonista dell'opera, fu descritto da Dante come perfetto esempio del guerriero
di Dio nel sesto canto del Paradiso.
Après une Lecture de Dante: Fantasia quasi Sonata (1849) di Franz Liszt.
Dante-Symphonie (1855-1856), poema sinfonico di Franz Liszt.
Francesca da Rimini (1876) fantasia sinfonica di Pëtr Il'ič Čajkovskij.
Francesca da Rimini (1906) opera lirica di Sergej Vasil'evič Rachmaninov su
libretto di Modest Il'ič Čajkovskij.
Francesca da Rimini (1914), opera in quattro atti di Riccardo Zandonai su libretto
di Tito Ricordi II liberamente adattato dall'omonima tragedia di Gabriele
D'Annunzio. Come nei due componimenti precedenti, anche qui si fa riferimento al
noto personaggio dell'Inferno dantesco.
Gianni Schicchi, (1917-1918), opera comica di Giacomo Puccini.
Inferno (1973), album dei Metamorfosi.
La Divina Commedia (1992), album dei Il Giro Strano.
Paradiso (2004), album dei Metamorfosi.
La canzone Dante's Inferno del gruppo heavy metal americano Iced Earth è
chiaramente ispirata alla divina commedia. La canzone è presente nell'album Burnt
Offerings, la cui copertina è un'incisione di Gustave Doré, tratta dall'edizione da
lui illustrata della Commedia nel 1857.
From Hell to Heaven (2008) è un'opera rock-sinfonica ispirata alla Divina Commedia.
Composta da Andrea Bezzon con gli arrangiamenti di Andrea 'Urpilo' Guarnieri e le
orchestrazioni di Fabrizio Castania.
Argenti vive di Caparezza del 2014
La musica della Commedia, Ensemble San Felice direttore Federico Bardazzi, Classic
Voice - Antiqua 2015
Una commedia divina, 58º Zecchino d'Oro.
Anche singoli versi della Commedia hanno ispirato versi di canzoni dell'età
contemporanea. In Ricominciamo (1979) di Adriano Pappalardo si canta: "... non sono
capace di stare a guardare questi occhi di brace", con riferimento al verso
dantesco dell'Inferno "Caron dimonio, con occhi di bragia".
Pittura

La barca di Dante (E. Delacroix) (1798-1863). Iracondi e accidiosi nella palude


stigia
Il Parco della Divina Commedia (conosciuto anche come Valle delle Pietre Dipinte) a
Campobello di Licata è un grande parco letterario, realizzato negli anni '90 nella
sede di una vecchia cava di pietra dall'artista italo-argentino Silvio Benedetto.
Qui sono presenti 110 monoliti di travertino dalle dimensioni di 1,50 per 2,50
metri su cui sono stati dipinti vari episodi del poema che, complessivamente,
consentono al visitatore di vivere in prima persona il viaggio dantesco.[78]
Disegni per la Divina Commedia (Botticelli)
Divina Commedia illustrazioni di William Blake.
Divina Commedia illustrazioni di Gustave Doré.
Scultura
Monumento a Dante a Trento di Cesare Zocchi (1896): oltre a Dante sono
rappresentate immagini da Inferno, Purgatorio e Paradiso.
Altro
Celebre fu la famosa Lectura Dantis di Carmelo Bene (1981); Bene si cimentò molte
volte con la lettura pubblica della Commedia.
Il romanzo-saggio PHI del neuroscienziato Giulio Tononi è ampiamente ispirato alla
Divina Commedia, tanto da rivisitare l'intero viaggio e universo dantesco in chiave
neuroscientifica.
Magic: The Gathering dedica una ristampa della carta Sogni del mondo sotterraneo a
Dante e Virgilio.[79]
La DIVINA COMMEDIA, Memory of the World- UNESCO. CALL for support : THE DIVINE
COMEDY in: "The Memory of the World Register lists".
La città di Ravenna in occasione delle celebrazioni per il settimo centenario della
morte del Poeta (2021), ha dato il via ad una quotidiana lettura della Commedia in
prossimità del sepolcro.[80]
Televisione
Nel 1987 la RAI affidò a Vittorio Sermonti la registrazione radiofonica di tutti i
cento canti della Commedia di Dante, introdotti e glossati dallo stesso Sermonti,
grazie anche alla collaborazione di Gianfranco Contini. La registrazione venne
portata a termine nel 1992. Nel '95 iniziò le letture pubbliche presso la Basilica
di San Francesco, a Ravenna, con il tributo di migliaia di spettatori. Il ciclo di
letture venne replicato altre volte a Roma, Firenze, e in diversi Paesi esteri.

Roberto Benigni sul palco a Padova per Tutto Dante, 23 giugno 2008
Tutto Dante; è una tournée teatrale curata dal Premio Oscar Roberto Benigni,
iniziata nel 2006 con letture e commenti dei canti più famosi della Divina
Commedia. Per questa opera di divulgazione della Commedia, nel 2007 Benigni era
stato indicato come candidato al Premio Nobel per la Letteratura.[81] La tournée è
stata riadattata per la televisione: la serie "Tutto Dante-La Divina Commedia in
TV" ha debuttato su Rai 1 il 29 novembre 2007 con la lettura del Quinto Canto
dell'Inferno con un share di oltre dieci milioni di telespettatori. Le altre
letture si sono tenute invece in seconda serata sempre su Rai Uno.
Teatro
Fra i molti adattamenti teatrali, il più degno di nota è probabilmente La Divina
Commedia (opera) Musical, realizzato nel 2007 dal compositore Marco Frisina e
rappresentato dalla data della sua uscita nei più prestigiosi teatri italiani.
Dal 2011 varie edizioni notturne sulle sponde del fiume Alcantara si è interpretato
l'Inferno Dantesco.[82]
Videogiochi
Dante's Inferno (Beyond 1986) per Commodore 64
Tamashii no Mon - Dante no Shinkyoku yori (魂の門 ダンテ「神曲」より, letteralmente:
Cancello delle anime ~ Dante Divina Commedia) Koei 1993.
Devil May Cry serie della Capcom si ispira alla tematica della Divina Commedia.
Bayonetta della SEGA 2009.
Dante's Inferno (EA). videogioco del 2011 liberamente ispirato alla prima cantica
della Divina Commedia. Il genere di questo videogioco è azione, avventura dinamica.
Agony di Madmind Studio 2017 e da Tomasz Dutkiewicz
Sinner: Sacrifice for Redemption di Another Indie 2018, si distacca molto dal
personaggio Dante ma resta saldo ai peccati e all'Inferno.
Nel fumetto
L'Inferno è stato oggetto di due parodie disneyane.
La prima, probabilmente la più fedele all'originale, è uscita in sei puntate su
Topolino nº 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 dell'ottobre, novembre e dicembre 1949,
gennaio, febbraio e marzo 1950. La storia, ad opera completa, di Guido Martina, si
intitola L'inferno di Topolino. È anche famosa poiché si tratta della prima storia
della rivista interamente scritta e disegnata da un autore italiano.
L'inferno di Paperino, testo e disegni di Giulio Chierchini originariamente
pubblicato su Topolino numero 1654 del 9 agosto 1987 è una libera trasposizione di
parte dell'Inferno dantesco in cui l'autore nonché disegnatore traspone nei vari
gironi figure di peccatori quali: burocrati, persone che hanno inquinato
l'ambiente, automobilisti non rispettosi delle norme, piromani, disturbatori della
quiete altrui ecc. Il protagonista è Paperino che impersona un ipotetico Dante
Alighieri accompagnato nel suo percorso da Arkimedio Poeta, trasposizione di
Virgilio. Parte del testo è scritto richiamando lo stile Dantesco delle terzine
incatenate di versi endecasillabi, proposte in simil lingua volgare fiorentina. Pur
essendo gran parte dei personaggi di pura fantasia, l'autore cita alcune figure
chiave quali Caron Dimonio, le Erinni, e la figura di Lucifero che però viene
rinominato Belzebù. Così come la frase lasciate ogni speranza o voi che entrate...
diventa scordatevi del tempo o voi ch'entrate posta all'ingresso del girone dove
scontano la pena coloro hanno abusato di timbri e carte bollate a danno altrui.
L'aspetto forse più curioso e interessante è che probabilmente si tratta di una
delle pochissime storie a fumetti di casa Disney in cui si cita l'Aldilà e vengono
rappresentati personaggi trapassati.
Il numero 153 di Martin Mystère, intitolato appunto "Diavoli dell'inferno!", ruota
attorno ai Fedeli d'amore che sarebbe stato un gruppo iniziatico al quale avrebbe
preso parte lo stesso Dante. Nel racconto si descrive anche l'apertura della porta
dell'Inferno attraverso un oggetto che raffigura Bafometto e che sfrutta alcune
proprietà di meccanica quantistica ("emana un tipo di energia che permette di
comunicare con l'orizzonte degli eventi del buco nero..."); inoltre si dice che
ognuno vede l'Aldilà in modo differente (Dante aveva una spiccata fantasia in
questo) e che il "primo passaggio" corrisponderebbe a una particolare frequenza
(non citata nel racconto).

L'autore giapponese Gō Nagai, per il suo capolavoro Devilman, ha dichiarato più


volte di essere stato ispirato dalla Divina Commedia di Dante. Non a caso, Go Nagai
intitolò Mao Dante il manga che divenne poi il prototipo di Devilman. Inoltre, in
Devilman vengono esplicitamente citati il Sommo Poeta e il suo immortale
capolavoro. Go Nagai ha anche scritto una trasposizione fumettistica della stessa
opera intitolata "La Divina Commedia" in cui si ripercorrono tutte le vicende di
dante dall'inferno al paradiso, l'opera è suddivisa in 3 volumi.

Infine Marcello Toninelli, che iniziò la sua esperienza fumettistica con una sua
versione di Dante, ha realizzato negli anni novanta una parodia della Commedia.

L'annual pubblicato nel 1980 degli X-Men vede una parte degli stessi attraversare
l'inferno dantesco per salvare la vita di Nightcrawler. Ci sono alcune piccole
differenze però con l'originale, non si cita il Limbo, Minosse viene mostrato
all'interno di una specie di nightclub e con abiti moderni, Tempesta viene
attaccata dalle Arpie nel Secondo Cerchio mentre in realtà sono nel Settimo (nel
girone dei suicidi) e Nightcrawler, che avendo ucciso un fratello, anche se
adottivo, dovrebbe stare nella Caina, in realtà viene imprigionato nella Giudecca,
e il finto Satana ha tre teste mentre nell'originale ha una testa sola ma tre
volti.

Note
^ Nel Medioevo le opere non avevano un vero e proprio "titolo" ed erano spesso
indicate dal loro «incipit» nei manoscritti. Uno dei più comuni per quest'opera era
Incipit Comoedia Dantis Alagherii, Florentini natione, non moribus ("Qui comincia
la commedia di Dante Alighieri, fiorentino di stirpe, ma non di costumi"). Dante
volle designare il suo poema come «Comedia» per il fatto che in esso vi è una
progressione "dal male al bene": l'opera inizia in un contesto segnato da
negatività e con linguaggio e contenuti "bassi" (l'Inferno) e termina con
linguaggio e contenuti "alti" e con la soluzione del dramma iniziale dell'autore
(nel Paradiso).
^ didascàlico in Vocabolario, su treccani.it. URL consultato il 1º giugno 2019
(archiviato dall'url originale il 27 marzo 2019).
^ Dante appare nella triplice veste di personaggio, narratore e autore. Egli fa
considerazioni di carattere etico, storico, politico e religioso sulle visioni che
descrive e sui fatti che racconta. Da qui deriva il valore didascalico e morale
della Commedia.
^ sulla discussa cronologia della composizione si veda: E. Cecchi, N. Sapegno,
Storia della Letteratura italiana, vol. II, Il Trecento, Garzanti, Milano, 1965, p.
69
^ v. Harold Bloom, Il canone occidentale, Bompiani, Milano, 1996; Erich Auerbach,
Studi su Dante, Feltrinelli, Milano 1964; ecc. È inclusa ad esempio fra i Grandi
Libri del Mondo Occidentale e nel 2002 è stata inserita nella lista de I 100 libri
migliori di sempre secondo Norwegian Book Club.
^ Secondo il teologo francescano Bonaventura da Bagnoregio nella sua opera più
famosa L'itinerario della mente verso Dio (1259) il «viaggio» spirituale verso Dio
è frutto di un'illuminazione divina, che proviene dalla «ragione suprema» di Dio
stesso. Per giungere a Dio quindi l'uomo deve passare attraverso tre gradi, che
tuttavia devono essere preceduti dall'intensa e umile preghiera.
^ Gaetano Manca, I commenti di Jacopo Alighieri, Jacopo della Lana e Boccaccio alla
'Divina Commedia' di Dante e il Dartmouth Dante Project. Comunicazione tenuta alla
19ª Conferenza annuale dell'American Association of Italian Studies, Eugene,
Oregon, 15-17 aprile 1999, p. 2.
^ La Commedia secondo l'antica vulgata, a cura di Giorgio Petrocchi, 4 voll.,
Milano, A. Mondadori, 1966-67.
La Commedìa, Nuovo testo critico secondo i più antichi manoscritti fiorentini a
cura di Antonio Lanza, Anzio, De Rubeis, 1995.
Dantis Alagherii Comedia, Edizione critica per cura di Federico Sanguineti,
Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2001.
^ Dante Alighieri, Commedia. Paradiso (I-XVII), a cura di Eloisia Mandola, premessa
di Federico Sanguineti, Genova, il melangolo, 2018, ISBN 9788869831478. Dante
Alighieri, Commedia. Paradiso (XVIII-XXXIII), a cura di Eloisia Mandola, premessa
di Federico Sanguineti, Genova, il melangolo, 2019, ISBN 9788869831805. Dante
Alighieri, Commedia. Inferno, a cura di Federico Sanguineti, premessa di Eloisia
Mandola, Genova, il melangolo, 2020, ISBN 9788869832413.
^ neologismi in "Enciclopedia Dantesca", su treccani.it. URL consultato il 15
gennaio 2020 (archiviato dall'url originale il 24 aprile 2019).
^ Le Epistulae di Dante su Liber Liber, su liberliber.it. URL consultato il 3
aprile 2008 (archiviato dall'url originale il 27 aprile 2008).
^ Paolo Malatesta e Francesca da Rimini
^ «... estasi per cui la mente esce di sé e perviene a un potenziamento di sé» (T.
Di Salvo, Paradiso, Zanichelli, 1988, p. 622)
^ Per un approfondimento sulla rima dantesca risulta utile il Rimario di Luigi
Polacco ne La Divina Commedia della Società Dantesca Italiana col commento
scartazziniano, Ed. Ulrico Hoepli, Milano.
^ Giorgio Vercellin, Il profeta dell'islam e la parola di Dio, Giunti editore 2000,
p. 28.
^ don Miguel Asin-Palacios, La Escatologia Musulmana en la Divina Commedia, Madrid,
1919.
^ La cosmologia di Dante, su conoscenza.rai.it. URL consultato il 15 gennaio 2020
(archiviato dall'url originale il 23 ottobre 2017).
^ Natalino Sapegno (a cura di), La Divina Commedia - Vol. I. Inferno, Firenze, La
Nuova Italia, p.4, ISBN non esistente.
^ p. 286, La Divina Commedia - Inferno,, a cura di Vittorio Sermonti, Milano, Bruno
Mondadori, 1996, ISBN 88-424-3077-3. e Manfredi Porena (commentata da), Canto I,
nota finale 1, in La Divina Commedia di Dante Alighieri - Vol. I. Inferno, Nuova
edizione riveduta e ampliata, Bologna, Zanichelli, ristampa maggio 1968, pp. 14-16,
ISBN non esistente.
^ Si desume da Inferno XXXIV, vv. 68-69, cfr. M. Porena, Inferno Canto XXXIV, nota
al v. 68, p.312
^ Le date successive sono riferite alle 12 ore di fuso orario contate all'indietro;
se si contano in avanti si deve passare al giorno successivo.
^ Purgatorio, canto IX, vv.1-12; Canto XIX, vv.1-9; canto XXVII, vv.88-93
^ Importante per la geografia dantesca l'opera di Alfred Bassermann
^ Dio e l'uomo nella Divina Commedia - Treccani Portale Archiviato il 16 febbraio
2013 in Internet Archive.
^ Il pensiero politico di Dante nei versi della Commedia - Treccani Portale
Archiviato il 4 luglio 2013 in Internet Archive.
^ Riccardo Merlante, Stefano Prandi, Percorsi danteschi, ed. La Scuola, Brescia,
1997, p. 21.
^ Bruno Nardi, Dante e la cultura medievale, Bari, Laterza, 1985
^ Étienne Gilson, La filosofia nel Medio Evo, Firenze, La Nuova Italia, 1983
^ Bruno Nardi, Dante profeta, in «Dante e la cultura medievale», Bari, Laterza,
1983.
^ N. Mineo, Profetismo e Apocalittica in «Dante», Catania, Facoltà Lettere e
Filosofia, 1968
^ Riccardo Merlante, Stefano Prandi, Percorsi danteschi, p. 189, Editrice La
Scuola, 1997.
^ Da Percorsi danteschi, cit., p. 190.
^ Corrado Bologna, Paola Rocchi, Rosa fresca aulentissima, Antologia della
Commedia, edizione rossa, ed. Loescher, p. 15
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^ Riccardo Merlante, Stefano Prandi, Percorsi danteschi, p. 20, Editrice La Scuola,
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^ R. Monterosso, Musica, in Enciclopedia dantesca
^ Bruno Nardi, "La novità del suono e 'l grande lume", in "Saggi di filosofia
dantesca", Firenze, La Nuova Italia, 1967
^ Percorsi danteschi, Riccardo Merlante, Stefano Prandi, ed. La Scuola, 1997, pagg.
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Problemi di Critica testuale», 81 (2010), pp. 17-46. Obbiezioni alla proposta dello
studioso si possono però trovare in A. E. Mecca, Un nuovo canone di loci per la
tradizione della Commedia? A proposito di uno studio di Luigi Spagnolo, «Studi
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Bartoli, A. D'Ancona e I. Del Lungo, Per l'edizione critica della «Divina
Commedia», in ibid., pp. 25-38.
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Nuova Rivista di Letteratura Italiana, vol. 16, 2013, pp. 9-59. (elenco di tutte le
stampe e analisi di ognuna dal punto di vista filologico).
^ La Divina Commedia di Dante Allighieri ricorretta sopra quattro dei più
autorevoli testi a penna, a c. di K. Witte, Berlino, Decker 1862.
^ Rispettivamente La Divina Commedia, a cura di G. Vandelli, Firenze, Società
Dantesca Italiana 1921; e La Divina Commedia, Testo critico a cura di M. Casella,
Bologna, Zanichelli 1923.
^ La Commedia secondo l'antica vulgata, Milano, A. Mondadori, 4 voll., 1966-67.
^ Si veda in particolare A. E. Mecca, Il canone editoriale dell'antica vulgata di
Giorgio Petrocchi e le edizioni dantesche del Boccaccio, in Nuove Prospettive sulla
tradizione della Commedia. Seconda Serie (2008-2013), a c. di E. Tonello e P.
Trovato, Monterotondo (RM), Libreriauniversitaria.it Edizioni 2013, pp. 119-182;
Idem, L'influenza del Boccaccio nella tradizione recenziore della Commedia.
Postilla critica, in Boccaccio editore e interprete di Dante, Atti del Convegno
internazionale, Roma 28-30 ottobre 2013, Roma, Salerno Editrice 2014, pp. 222-254.
^ Il curatore ha poi apportato correzioni al testo critico in Dantis Alagherii
Comedia. Appendice bibliografica 1988-2000, per cura di Federico Sanguineti,
Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2005.
^ Cfr. ad esempio M. Veglia, Sul testo della Commedia (da Casella a Sanguineti), in
«Studi e problemi di critica testuale», a. LXVI 2003, pp. 65-119; P. V. Mengaldo,
Una nuova edizione della Commedia, in «La parola del testo», a. V 2001, fasc. 2 pp.
279-289.
^ Commedia: Inferno, revisione del testo e commento di Giorgio Inglese, Roma,
Carocci, 2007; Commedia: Purgatorio, revisione del testo e commento di Giorgio
Inglese, Roma, Carocci, 2011; Commedia. Opera completa. Revisione del testo e
commento di Giorgio Inglese, Roma, Carocci, 2016.
^ Paolo Pellegrini, «Inglese. Il testo offerto da Giorgio Inglese nell'edizione
commentata del poema di Dante per Carocci, ha passato il vaglio di buona parte
della tradizione manoscritta, sulla base di Petrocchi: il «ramo» fiorentino è
prevalente», Alias Domenica, Il Manifesto, 26 marzo 2017, p.8
^ La traduzione latina con commento fu portata a termine nel 1417 durante il
Concilio di Costanza su richiesta di alcuni prelati o addirittura dall'allora Re
Sigismundo di Lussemburgo.
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^ Dante Alighieri, La Divina Commedia-La dia komedio. Testo esperanto a fronte
(traduzione di Giovanni Peterlongo), SIEI, 1980.
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Dublino, An Clóchomhar, 1997, pp. 380 p..
^ Forse in arrivo una fiction su Dante e la Divina Commedia! (Dante), in diggita.
URL consultato il 9 novembre 2017.
^ “...Un luogo, La Valle delle Pietre Dipinte, dove il pittore, scultore e uomo di
teatro Silvio Benedetto, argentino che vive in Italia da molto tempo, ha realizzato
dal 1992 ad oggi un progetto straordinario, coraggioso e apparentemente
impossibile: illustrare su centodieci blocchi di marmo, ciascuno con due facce
spianate e un peso di parecchie tonnellate, tutta la Divina Commedia nell'ordine in
cui l'ha scritta Dante Alighieri. Dopo sette anni l'opera è finita, s'inaugura oggi
e manca solo l'ultimo tocco che verrà completato in agosto: un tunnel che segnerà
la fine del viaggio e nel quale i visitatori entreranno per poi riaffiorare sulla
superficie davanti all'ultima grande pietra con il famoso distico... " e quindi
uscimmo a riveder le stelle". L'itinerario comincia dall'Inferno, continua con il
Purgatorio e finisce con il Paradiso, lungo una strada in cui cambia anche il
terreno sul quale il viaggiatore cammina: prima è una distesa di lava nera
sbriciolata, poi diventa ciottoli, quindi ghiaia e infine erba, con lo sfondo della
campagna siciliana, fra campi di grano e macchie di fichi d'India...” Fabrizio
Zampa, Il Messaggero/Cultura & spettacoli, 31 luglio 1999.
^ (EN) Sogni del Mondo Sotterraneo, su Scryfall Magic Card Search. URL consultato
il 4 novembre 2018.
^ L'ora che volge al disìo, su vivadante.it.
^ Nobel, Benigni e Dylan tra i candidati, La Repubblica, 21 settembre 2007. URL
consultato il 25 maggio 2015.
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da Giovanni Anfuso. URL consultato il 1º ottobre 2018.
Bibliografia
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Firenze, La Nuova Italia, 1967²
Antonino Pagliaro, Ulisse. Ricerche semantiche sulla Divina Commedia, 1967, D'Anna,
(due volumi)
Ernesto Giacomo Parodi, Poesia e storia nella «Divina Commedia» (a cura di
Gianfranco Folena e Pier Vincenzo Mengaldo), Venezia, Neri Pozza, 1965
D'Arco Silvio Avalle, Modelli semiologici nella «Commedia» di Dante, Milano,
Bompiani, 1975
Charles S. Singleton, La poesia della «Divina Commedia», Bologna, il Mulino, 1978
Arnaldo Di Benedetto, Dante e Manzoni. Studi e letture, Salerno, Laveglia, 1999
(seconda edizione), pp. 9–66
Carlo Ossola, Introduzione alla Divina Commedia, Venezia, Marsilio, 2012
Stefano Carrai, “Dante e l'antico. L'emulazione dei classici nella «Commedia»”,
Firenze, Sismel - Edizioni del Galluzzo, 2012 (Società internazionale per lo studio
del Medioevo latino)
Voci correlate
Viaggio immaginario
Lapidi della Divina Commedia di Siena
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Collegamenti esterni
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(EN) Divina Commedia, su Goodreads. Modifica su Wikidata
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Foundation. Modifica su Wikidata
Quadro generale
Divina-commedia.it Riassunto, introduzione critica e parafrasi di tutti i canti
della Divina Commedia
Codice dantesco miniato su pergamena. Manoscritto n.2 conosciuto come Phillipps
9589, conservato presso la Biblioteca del Centro Dantesco dei Frati Minori
Conventuali di Ravenna.
Salvatore Lorusso, Mariangela Vandini, Chiara Matteucci, Il codice dantesco
“Phillipps 9589”: indagine sullo stato di conservazione e monitoraggio
microclimatico dell'ambiente di collocazione, Quaderni di Scienze della
Conservazione (ora Conservation Science in Cultural Heritage, Vol.6, 2006, Bologna.
Testo della Divina Commedia scaricabile in diversi formati dal sito di Liber Liber
Sito su Dante a cura della Società Dantesca Italiana, contiene un'estesa
bibliografia e l'elenco dei manoscritti esistenti, (alcuni dei quali sono visibili
on-line in riproduzioni facsimili)
La Divina Commedia nell'interpretazione epistemica Tratta dal sito dell'episteme
World of Dante contiene il testo italiano e la traduzione inglese di Allen
Mandelbaum, una galleria, mappe dal Museo Casa di Dante, un timeline, music, e
materiali per l'insegnamento della Divina Commedia
Mapping Dante Una mappa digitale interattiva con i luoghi menzionati nella
Commedia.
iGoogle Gadget Divina Commedia gadget da aggiungere alla tua pagina di iGoogle che
mostra una terzina casuale del poema.
La Divina Commedia di Aligi Sassu, su archivioaligisassu.eu.
Browse By Language: Friulian - Project Gutenberg, su gutenberg.org.
La Divina Commedia illustrata dal Botticelli, su scrinium.org.
Dante's Inferno, translated by the Rev. Henry Francis Cary, M. A., and illustrated
with the designs of M. Gustave Doré, Cassell, Petter, Galpin & Co., New York,
London and Paris, s. d.
Purgatory and Paradise, translated by the Rev. Henry Francis Cary, M. A., and
illustrated with the designs of M. Gustave Doré, Thompson & Thomas, Chicago, 1901.
Testo e sintesi dei canti, con schede dei protagonisti e dei personaggi citati, su
ladante.it. URL consultato il 29 novembre 2018 (archiviato dall'url originale il 9
maggio 2006).
Relativamente ai commenti alla Divina Commedia
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attribuite a Iacopo suo figlio ora per la prima volta date in luce, Firenze,
tipografia di Tommaso Baracchi, 1848.
(1324 - Graziolo Bambaglioli) Il commento all'Inferno di Graziolo de Bambaglioli
dal codice sandanielese con le aggiunte e varianti del senese, Udine, Doretti,
1892.
(1324-28 - Jacopo della Lana) Comedia di Dante degli Allagherii col commento di
Jacopo della Lana bolognese, 3 voll., Bologna, Tipografia Regia, 1866: vol. 1, vol.
2, vol. 3.
(1325[?] - Anonimo lombardo) Diego Parisi, Le chiose dell'Anonimo Lombardo al
Purgatorio. Edizione critica secondo il ms. Canonici Miscellanei 449. Tesi di
dottorato di ricerca in Filologia, Linguistica e Letteratura, Università degli
studi di Roma "Sapienza", 2011-12.
(1327-28[?] - Guido da Pisa) Michele Rinaldi, Le Expositiones et glose super
Comediam Dantis di Guido da Pisa. Edizione critica. Dottorato di ricerca in
Filologia moderna, Università degli Studi di Napoli Federico II, 2011.
(1333 - L'ottimo commento, prima stesura) L'ottimo commento della Divina Commedia.
Testo inedito d'un contemporaneo di Dante citato dagli Accademici della Crusca, 3
voll., Pisa presso Niccolò Capurro, 1827-29: vol. 1, vol. 2, vol. 3.
(1338 - L'ottimo commento, ultima stesura) L'ultima forma dell'«Ottimo commento».
Chiose sopra la Comedia di Dante Allegieri fiorentino tracte da diversi ghiosatori.
Edizione critica a cura di C. Di Fonzo, Inferno, Ravenna, Longo, 2008.
(1337[?] - Anonimo selmiano) Chiose anonime alla prima cantica della Divina
Commedia di un contemporaneo del poeta pubblicate per la prima volta (...) da
Francesco Selmi con riscontri di altri antichi commenti editi ed inediti e note
filologiche, Torino, Stamperia Reale, 1865.
(1340-42 - Pietro Alighieri, prima stesura) Petri Allegherii super Dantis ipsius
genitoris comoediam commentarium. Nunc primum in lucem editum, Vincenzo Nannucci (a
cura di), Florentiae apud Guilielmum Piatti, 1845.
(1344-55[?]) - Pietro Alighieri, seconda stesura) Silvana Pagano, Petri Allegherii
super Dantis ipsius genitoris Comoediam Commentarium. Tesi di Laurea, Facoltà di
Lettere, Università di Firenze.
(1359-64 - Pietro Alighieri, terza e ultima stesura) Comentum super poema Comedie
Dantis: A Critical Edition of the Third and Final Draft of Pietro Alighieri's
“Commentary on Dante's 'Divine Comedy,'”, Massimiliano Chiamenti (a cura di),
Tempe, Arizona, Arizona Center for Medieval and Renaissance Studies, 2002.
(1350-75[?] - Codice cassinese) Il codice cassinese della Divina Commedia per la
prima volta letteralmente messo a stampa per cura dei Monaci Benedettini della
badia di Monte Cassino, Tipografia di Monte Cassino, Monte Cassino, 1865.
(1355[?] - Chiose ambrosiane) Le Chiose Ambrosiane alla “Commedia,”, Luca Carlo
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(1369-73 - Guglielmo Maramauro) Expositione sopra l'“Inferno” di Dante Alighieri,
Giacomo Pisoni e Saverio Bellomo (a cura di), Padova, Antenore, 1998.
(1370[?] - Chiose Cagliaritane) Le Chiose Cagliaritane, scelte ed annotate da
Enrico Carrara, Città di Castello, S. Lapi Tipografo-Editore, 1902.
(1373-75 - Giovanni Boccaccio) Il comento alla Divina Commedia e gli altri scritti
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(1375-80 - Benvenuto da Imola) Comentum super Dantis Aldigherij Comoediam, nunc
primum integre in lucem editum, 5 voll., Jacobus Philippus Lacaita (a cura di),
Florentiae, typis G. Barbera, 1887: vol. 1, vol. 2, vol. 3, vol. 4, vol. 5. Si veda
anche Luca Fiorentini, Il commento dantesco di Benvenuto da Imola. L'elaborazione
letteraria delle fonti storiografiche e cronistiche. Tesi di dottorato di ricerca
in Filologia, Linguista e Letteratura, Università degli Studi di Roma "Sapienza",
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di dottorato di ricerca, culture letterarie, filologiche, storiche, Università di
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(1385-95 - Franscesco da Buti) Commento di Francesco da Buti sopra La Divina
Commedia di Dante Allighieri, 3 voll., Crescentino Giannini (a cura di), in Pisa
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(1390[?] - Chiose Vernon) Chiose sopra Dante. Testo inedito ora per la prima volta
pubblicato, Firenze nella tipografia Piatti, 1846.
(1400[?] - Anonimo fiorentino) Commento alla Divina Commedia d'Anonimo Fiorentino
del secolo XIV, ora per la prima volta stampato, 3 voll., Pietro Fanfani (a cura
di), Bologna, G. Romagnoli, 1866-74: vol. 1, vol. 2, vol. 3.
(1405 - Filippo Villani) Expositio seu comentum super “Comedia” Dantis Allegherii,
Saverio Bellomo (a cura di), Firenze, Le Lettere, 1989.
(1416-17 - Giovanni Bertoldi) Translatio et Comentum totius libri Dantis
Aldigherii, cum textu italico Fratris Bartholomaei a Colle eiusdem Ordinis, nunc
primum edita, Fr. Marcellino da Civezza & Fr. Teofilo Domenichelli (a cura di),
Prati, Giachetti, 1891.
(1440 - Guiniforto delli Bargigi) Inferno della Commedia di Dante Alighieri col
comento di Guiniforto delli Bargigi, tratto da due manoscritti inediti del secolo
decimo quinto, G. Za[c]cheroni (a cura di), Marsilia, L. Mossy & Firenze, G.
Molini, 1838.
(1555-68 - Torquato Tasso) Postille di Torquato Tasso alla Divina Commedia di Dante
Alighieri, Pisa presso Niccolò Capurro, 1831. Vedi anche La Divina Commedia di
Dante Alighieri postillata da Torquato Tasso, 3 voll., Pisa co' caratteri di F.
Didot, 1830: vol. 1, [vol. 2], [vol. 3]; Postille alla Divina Commedia, edite
sull'autografo della R. Biblioteca Angelica, Enrico Celani (a cura di), Città di
Castello, Lapi, 1895.
(1825 - Ugo Foscolo) Discorso sul testo e su le opinioni diverse prevalenti intorno
alla storia e alla emendazione critica della Commedia di Dante, Londra, Guglielmo
Pickering, 1825.
(1837 - Niccolò Tommaseo) Commedia di Dante Alighieri con ragionamenti e note di
Niccolò Tommaseo, 3 voll., Milano, Francesco Pagnoni tipografo editore, 1865: vol.
1, vol. 2, vol. 3.
Luigi Rocca, Di alcuni commenti della Divina Commedia composti nei primi vent'anni
dopo la morte di Dante, Firenze, Sansoni, 1891.
Dartmouth Dante Project , 70 commentari dal 14º secolo
Princeton Dante Project Archiviato il 29 aprile 2019 in Internet Archive.
Audio
Iacopo Vettori Lettura integrale della Divina Commedia in MP3 (licenza Creative
Commons)
LibriVox Lettura integrale della Divina Commedia in MP3 (licenza Creative Commons)
Lettura di Lino Pertile Archiviato il 16 giugno 2020 in Internet Archive.,
Professore di Lingue e Letterature Romanze, Harvard University.
Liber Liber Lettura integrale di Veniero Jenna della "Commedia" Dantesca.
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Dante Alighieri
V · D · M
Le tre corone fiorentine della lingua italiana Italia
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