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La fantasia e il potere. Stefano Righetti Millepiani n.

35, ottobre 2009 Recensione di Gianluca Seramondi Non affatto errato affermare che, se mai esistesse, lattuale elogio della follia coinciderebbe innanzitutto e perlopi con lelogio della fantasia, intesa come concetto-contenitore di imprevedibilit e di imprevedibile individualit, di stupore enciclopedico di fronte alla corrusca variet del mondo, alle molte pi cose che Vi sono in cielo e in terra, Orazio, di quante non ne sogni la tua filosofia (Amleto, Shakespeare). In questo senso la fantasia si pone senzaltro come contraltare allansia costrittiva, normativa e classificatoria di una societ che pensata ridurre la ricchezza del singolare, la complessit del reale, lesplosiva vivacit del soggettivo e delle soggettivit che si rincorrono nel mondo ad affermare la propria irriducibile identit. La fantasia pare cos essere il bastione da cui far partire il tiro incrociato nei confronti dellassalto del potere definito innanzitutto e perlopi come, scrive Righetti, ogni forma di organizzazione del negativo secondo un ordine unitario e soprattutto gerarchico. in fondo grazie a questa valenza che il Sessantotto poteva infine innalzare a viva voce la propria giaculatoria per una fantasia al potere, per una fantasia che esercitasse essa stessa il potere sovvertendo lordine esistente e supposto naturale. Eppure, costata Stefano Righetti nel saggio La fantasia e il potere, uscito per i tipi Mucchi, la fantasia non ha avuto sempre lo stesso valore eminentemente positivo di liberazione e di emancipazione. E gi una ricognizione (logica) del campo di forze aperto da quella parola dordine permette di individuare pi versi, oltre a quello oppositivo, in cui si estrinseca la relazione tra la fantasia e il potere. Vi innanzitutto un potere precipuo della fantasia, come vi una fantasia propria del potere, che il potere escogita per mantenere il proprio controllo e la propria sovranit. Vi inoltre una fantasia di (andare o essere al) potere.

In un certo senso, il pensiero sessantottesco che la fantasia POTESSE ASSUMERE IL POTERE ripercorreva, anzi, meglio, superava e manteneva (lAufheben hegeliano, verrebbe da dire) la complessit che tra quei due opposti si era andata a stratificare nel corso dei secoli. Laudace innocenza di quello slogan operava, allora, un rimescolamento delle carte che chiama, oggi, ad una ricognizione che permetta di fondare la sincronia della mappa logica delle relazioni tra potere e fantasia sulla diacronia della storia del pensiero intorno alla fantasia dalla prospettiva del suo occhieggiare al potere. Un attraversamento della parola fantasia che giunge alle sue origini greche e precisamente aristoteliche, mostra, che il suo primo potere il potere che ha il fantasma di apparire e di manifestarsi in noi come immagine: potere di rendersi visibile nonostante il fatto che la forma della sua presenza non abbia nulla di oggettivo, e possa persino ingannare i nostri sensi. Da allora la fantasia rimane legata innanzitutto al suo strutturale sganciamento dalla realt sensoriale, giacch pu operare anche in sua assenza; in secondo luogo al giudizio che abbiamo di essa, alla possibilit di discernere tra immagini vere e immagini false; poi allarte; infine al suo porsi come termine medio tra il senso e lintelletto, per cui limmagine che in noi deve essere considerata un oggetto di per se stessa, e al tempo stesso rappresentazione di qualche altra cosa (Aristotele, De memoria, 450 b 21 ss., citato da Righetti). Da quel momento per certi aspetti inaugurale della storia della filosofia e, per estensione, della storia delle idee, la fantasia inquadrata allinterno della contrapposizione di verit a falsit, che ne decreta le vicissitudini a seconda del maggior peso accordato alluna o allaltra. Cos, la sostituzione donchisciottesca dellordinario del mondo con lo straordinario del cavalleresco, si imparenta con lipotesi cartesiana del Genio Maligno, quella fantasia iperbolica tramite cui il filosofo francese riusciva a raggiungere il fondativo perch evidente cogito ergo sum, potendolo porre come il principio primo della filosofia.

Ci si accorga del fatto che da un lato la fantasia del Genio maligno mette in scena il pericolo stesso dellillusione e della sragione; [in questa prospettiva] il genio maligno [, con Foucault,] la possibilit della sragione e la totalit dei suoi poteri, il pieno dispiegamento della fantasia marchiata dalla falsit. Ma dallaltro lato il Genio maligno, chiosa Righetti, permette di risolvere in modo definitivo il dubbio che le immagini e i segnali percepiti dai nostri sensi siano soltanto illusioni [Cos] per Descartes la fantasia anche in grado di agire a favore della ragione reclamata dalla ragione (e dal suo metodo conoscitivo) per respingere una volta per tutte il potere delle illusioni dallo spazio della conoscenza razionale. Qui si rivela tutto il carattere ancipite della fantasia che si riverbera anche dallIlluminismo, quando accanto ad un progetto di riduzione della fantasia a un fenomeno psichico che deriva da un funzionamento biologico, la cui degenerazione nervosa produrrebbe una fantasia eccessiva e patologica, vede maturare la riflessione estetica dellabate DuBos. Nelle sue Rflexions critiques sur la posie et sur la peinture, DuBos vede nel linguaggio dellarte una strada diversa per portare a espressionelautentica natura delluomo [cio] la sua capacit di comprensione (se non di compassione) a livello emotivo e sentimentale dellintera realt, un sentimento sul quale si fonda anche listinto di socialit che proprio di ogni essere umano. La fantasia nella forma del linguaggio artistico non pi la manovra infida del Genio maligno presa per se stessa e non solo una facolt mentale. un linguaggio dunque una codificazione - cui riconosciuta la capacit di comprendere il mondo seppure non a livello razionale. E soprattutto un linguaggio cui riconosciuto di essere intenzionale e perfino controllabile nei suoi effetti al punto che uno Stato o un Regno potrebbe utilizzarne il potere di commuovere, di turbare, di afferrare lanimo umano al fine di non contravvenire e confermare le regole sociali e morali (dominanti). Si pensi, per fare un esempio noto, alluso gesuitico dellarte teatrale per educare i figli delle lite seisettecentesche (e oltre) ai rigori e ai gusti introdotti dal concilio tridentino.

In un certo senso, la riflessione di Du Bos trova un suo naturale approdo nella riflessione di Kant. Il filosofo di Knigsberg distingue il sentimento assolutamente individuale di piacere che si prova di fronte ad una opera darte, dal valore della forma e della composizione che fonda il bello al di l del puro sentimentodel piacevole per affermare invece il valore soprasensibile, attraverso cui larte partecipa della legge morale stessa. Con Kant, dunque, la fantasia posta sotto la tutela della ragione. Non perde la sua la sua carica eversiva, ma viene in qualche modo ammansita e asservita ai dettami della ragione/legge morale. In questo primo scorcio di modernit, dunque, la fantasia non il termine positivo di una relazione il cui secondo termine negativo il potere. essa stessa alcunch di negativo che si riscatta solo per lintervento provvidenziale della ragione in una delle sue forme di espressione. Ma gi qui fa capolino una virt della fantasia che solo la sua sospetta irruenza confinava in secondo piano e che solo la ragione poteva far rilucere. Condizione per il raggiungimento della verit prima di Descartes, comprensione sentimentale del mondo in Du Bos, veicolo della legge morale in Kant, la fantasia, complice la ragione, arriva in qualche modo a stanare la verit, a far flettere la falsit verso la verit fino a che sulla superficie della prima non inizia a prendere forma la seconda. il Romanticismo, per, a fare cambiare inequivocabilmente segno alla fantasia nello stesso momento in cui la libera dalla sudditanza alla ragione. E, sulla scorta di quello, Hegel a riformulare, in termini di verit, la positivit della fantasia/arte riconoscendole un posto di primo piano nel dispiegarsi dello spirito assoluto, riconoscendole dunque la possibilit di cogliere lo spirito assoluto insieme a religione e filosofia, anche se non con la compiutezza di queste ultime e della filosofia in particolare. Va da s allora Che la fantasia come oggi la veneriamo [ e che riconosciamo] come potenza positiva una facolt espressamente moderna, la quale ha arricchito la propria fenomenologia anche con limmaginario codificato dalla Rivoluzione, e dunque dalla

eversione di ogni sistema sociale dancien rgime prima e capitalistico-borghese poi, e dalla psicoanalisi, e quindi della profonda intima alterit che nel soggetto dice la verit in luogo del soggetto stesso. Ecco, allora, limpeto delle avanguardie artistiche di inizio novecento. Con i manifesti di Filippo Tommaso Martinetti, di Tristan Tzara e di Andr Breton larte diventa progetto politico e la fantasia afferma la propria rivendicazione del potere contro una modernizzazione, percepita come una forma di mediocrit che la borghesia impone alla societ intera, contro una societ il cui sistema produttivo, i cui rapporti di produzione capitalistici, creano omologazione, massificazione, soffocamento degli individui; e il cui ragionamento logico occulta la verit del soggetto che lautomatismo delle libere associazioni rivelerebbe invece senzaltro. Le forme pi estreme della fantasia, quelle che avevano inquietato Cervantes e Descartes sono qui rivalutate come potenzialit espressive dellarte, nel loro valore eversivo del potere. Il motto attraverso cui giunto a noi il Sessantotto ha qui le sue radici, salvo che in quellanno la fantasia si nutriva anche della prassi del processo rivoluzionario di impostazione marxista come del resto si era alimentata delle passioni della rivoluzione francese e impegnava larte, teatrale, per esempio, ad agire sulla coscienza degli spettatori perch operassero criticamente per cambiare la societ. Ma la societ borghese contro cui la fantasia del Sessantotto si scagliava gioiosamente aveva nel frattempo sviluppato una grande forza di assimilazione delle istanze che di volta in volta le si opponevano, e oggi ha cooptato nella propria organizzazione la fantasia stessa che di quella societ divenuta [cos] lelemento primo e indispensabile del suo funzionamento. Oggi la fantasia non pi lestrinsecazione dellinquieto che si agita nel profondo dellumano, non nemmeno pi una via di accesso alla verit dellumano o del mondo. Leggendo la storia della fantasia tratteggiata da Righetti, si arguisce che la fantasia si infine

emancipata dal paradigma aristotelico che la legava indissolubilmente alla coppia verit/falsit, perch si portata dal lato della costruzione del reale quindi dal lato della pienezza della verit. Ha compiuto quindi il processo non gi di rovesciamento dellordine costituito ma di identificazione con esso e ha raggiunto lagognato domino della realt che in verit un pi efficace controllo dellindividuo, un pi sottile effetto di omologazione e massificazione. In questo paradigma nel senso proprio di Kuhn la trasgressione della fantasia e la sua capacit di ergersi a marchio di distinzione dellindividuo, sono imposti, dettati, suggeriti e consigliati dalla stessa societ che pretendevano di sovvertire. Elenca Righetti: oggi Ci comandata una fantasia nel vestire, una fantasia nel mangiare; e sempre pi dobbiamo avere fantasia in amore e nel sesso, nel lavoro e nel divertimento, nellinvestimento del denaro [sic!] e nellarredamento della casaIl suo potere divenuto cos onnipresente [] la fantasia divenuta oggi un flusso continuo di immagini esterne, che ha il potere di suscitare in noi il phantasma interiore di un desiderio divenuto estraneo perch anchesso posto in essere e gestito dalla organizzazione sociale post-moderna. Cos lauspicio del Sessantotto si infine compiuto ma in maniera affatto beffarda e per nulla liberatoria. Tuttavia di quel sogno sarebbe forse ancora oggi possibile, e oserei dire auspicabile, rivalutare unaltra fantasia del potere: la libera espressione di una collettivit che rifiuta i compromessi del sistema produttivo, per costituirsi invece come una nuova espressione di socialit. Gianluca Seramondi

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