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DISPENSA DI

-Albrecht Carrié R., Storia


diplomatica d’Europa;
-Varsori A., Storia internazionale.
Dal 1919 ad oggi.
COMUNICATO DI RESPONSABILITÀ

“L’ASSOCIAZIONE VIVIUNINA SCIENZE POLITICHE È DA SEMPRE VICINA ALLE


ESIGENZE DELLA PLATEA STUDENTESCA.
PER TALE MOTIVO L’ASSOCIAZIONE METTE A DISPOSIZIONE IL PROPRIO
MATERIALE DIDATTICO, AFFINCHÉ POSSA FORNIRE UN SUPPORTO
COMPLETO E ADEGUATO AGLI STUDENTI CHE DECIDANO DI USUFRUIRNE.
VIVIUNINA SPECIFICA CHE TALE MATERIALE NON PUÒ SOSTITUIRE I MANUALI
ED I LIBRI DI TESTO ADOTTATI PER GLI SPECIFICI ESAMI CHE RISULTANO
ESSERE, IN QUALSIASI CASO, LO STRUMENTO PIÙ VALIDO PER POTERSI
PREPARARE.
VIVIUNINA RIMANDA ALLO STUDENTE LA SCELTA DELLA FONTE, DA CUI
STUDIARE, PIÙ APPROPRIATA ALLE PROPRIE ESIGENZE.
Testo: Albrecht-Carrié r., Storia
diplomatica d’Europa
Introduzione
Sia come gruppi che, come singoli, gli uomini hanno sempre avuto rapporti tra loro e
quando essi non sono divenuti scontri, si è utilizzata la cosiddetta DIPLOMAZIA tra
quelle entità definite come STATI.
Insieme a questo concetto, vi è quello di sovranità, unito a quello di sviluppo del
sistema moderno degli stati.
L’arte diplomatica moderna fiorisce nel Rinascimento con Machiavelli.
L’assetto alla base dell’istituzione formale del sistema degli stati europei, che si ha nel
1648 con Vestfalia, è:
• La Francia lotta contro gli Asburgo e gli spagnoli
• La Spagna surclassata dalla Francia stessa
Le conseguenze di Vestfalia sono:
• Il dominio papale viene ristretto a seguito della rivolta protestante
• La potenza dell’imperatore si riduce drasticamente e, da allora, esercita il
potere solo su quei territori che possiede a titolo personale
• Il papa è sovrano solo nel territorio dello stato della Chiesa e costui poteva
sfruttare il vantaggio della sua posizione spirituale
• Con la svalutazione del titolo imperiale, in Europa ci sono tante entità sovrane
La Sovranità significa che i sovrani non dovevano obbedienza a nessuno e solo verso il
creatore sono ritenuti responsabili dei loro atti e, nonostante i numerosi mutamenti
avvenuti negli anni, questo è un attributo ancora rivendicato dagli stati.
In un sistema con un certo numero di potenze di grandezza più o meno analoga, vi
deve essere un diritto di eguale esistenza: l’EQUILIBRIO DELLE POTENZE. Ciò
nonostante, gli stati hanno sempre cercato di rafforzare la propria posizione a spese
degli altri, anche se le contese fino a quel momento erano di portata limitata.
Inoltre, nei rapporti tra stati, vengono utilizzati i trattati che sono espressione di
rapporti di potenza prevalenti al momento della loro stipula (non posso bloccare per
sempre lo status quo).
Quando la situazione presente al momento della stipula muta non esiste un ente che
abbia il potere di stabilire in che modo le conseguenze di quel cambiamento si
possano presentare.
Fatto sta che i trattati costituiscono il nucleo fondativo dell’attività diplomatica.
L’andamento delle relazioni internazionali assunse forme precise durante il periodo di
preminenza della potenza francese in Europa.
Inoltre, molto è stato scritto sul comportamento che deve avere il diplomatico
modello che deve essere:
• Onesto
• Cauto
• Discreto
• Di ingegno rapido
• Ligio alla difesa degli interessi
• Bravo nell’usare i trucchi e gli inganni
La lingua francese divenne quella per la transazione degli affari fra stati. A seguito
della parabola napoleonica, vi è la restaurazione dello status quo ante bellum ed il
congresso si riunisce nel settembre 1814 e il protagonista dei lavori fu Metternich,
il più autentico rappresentate dell’Ancient regime.
Tra gli altri partecipanti ci sono:
• Gran Bretagna
• Prussia
• Russia
Tra questi va citato il ministro Talleyrand che rappresenta la Francia restaurata con il
legittimo sovrano; la presenza di questo stato è ragionevole, in quanto, esso vuole
restare una grande potenza europea; va detto, però, che la Francia si unì dopo. Per
ora l’unica cosa che la Francia poteva fare era partecipare alla creazione di una
soluzione giusta per tutti.
Inoltre, il diritto legittimo di tutti all’esistenza costituisce un concetto molto diverso
dall’attuale nozione democratica di eguaglianza.
Alla stipula finale del trattato si uniscono altri stati come:
• Spagna
• Portogallo
• Svezia
Oltre ad essere basata sulla legittimità, questa circostanza non esclude altre
circostanze:
• I numerosi principati tedeschi non vennero riconosciuti
• Si ebbe un consolidamento di territori il cui numero concreto calò
drasticamente
• La restaurazione non impedì ai singoli stati di provare ad ottenere un vantaggio
individuale
Le tre potenze orientali non volevano restaurare la Polonia, ma il timore dell’azione
russa viene avvertita anche dell’Austria e dalla Gran Bretagna; la Prussia non temeva la
Russia a causa del trattato di Kalisch e, per questo, era disposta a lasciare tutta la
Polonia allo zar che, dal canto suo, acconsentiva all’assorbimento della Sassonia da
parte della stessa Prussia.
Questa è passata alla storia come questione polacco-sassone e divise le potenze in
campo anglo-austriaco e russo-prussiano.
Il ministro Talleyrand capisce che la situazione è favorevole alla Francia, in quanto,
entrambi gli schieramenti vogliono l’appoggio francese.
Il delegato prussiano, Hardenberg, è disposto a pagare il prezzo di compensare il re di
Sassonia con i territori sulla riva sinistra del Reno, ma ciò non piaceva a Metternich
(ministro austriaco) e a lord Castelereagh (ministro britannico).
Talleyrand decide di accostarsi allo schieramento anglo-austriaco; viene stipulata
un’alleanza nel gennaio 1815 con alcuni compromessi:
• Lo zar riceve la maggior parte della Polonia ad esclusione della Prussia
occidentale che andò alla Prussia
• La Prussia assorbe la maggior parte della Sassonia e ciò che resta va al legittimo
sovrano
• La perdita della Prussia viene compensata dalla Renania.
Questa soluzione mostra un esempio del principio dei compensi che, insieme ai
principi di legittimità e di restaurazione, dominano il congresso di Vienna. A ciò
va aggiunto il fatto che, nonostante il sacro romano impero non sia stato
restaurato, la confederazione germanica con l’imperatore di Austria sono i loro
successori.
La corona di Hannover ritorna al re di Gran Bretagna e l’Inghilterra avanza pretese solo
su Malta e sulle Ionie; inoltre, conserva le conquiste coloniali come sud africa e Ceylon.
Gli ex Paesi bassi austriaci costituiscono il territorio dell’attuale Belgio; questa è una
perdita per l’Austria, la quale ottiene, in cambio, Venezia.
Anche in Italia si ha la restaurazione di antichi stati come:
• Napoli
• A Roma il papa riottiene la piena sovranità
• La repubblica di Genova cessa di esistere e viene annessa al regno di Sardegna
Anche negli stati scandinavi, ci sono conseguenze della fine dell’era napoleonica: il re
di Danimarca pagò la sua fedeltà al condottiero francese con lo scioglimento
dell’unione del paese con la Norvegia, la quale, viene unita alla Svezia (dove inizia a
regnare Bernadotte) e va detto anche che, nel frattempo, la Svezia stessa cede la
Finlandia allo zar.
Il congresso definisce anche la questione svizzera dove, agli antichi cantoni, vengono
annessi quelli di Ginevra, del Vallese e di Neuchâtel (nonostante questo rimanesse un
possedimento del re di Prussia).
Con questi cambiamenti appena elencati, si ritorna ad una situazione europea pre-
guerra e va notato anche che l’opera del congresso viene limitata alla stessa Europa. I
lavori del congresso vengono chiusi velocemente in quanto Napoleone stava
allestendo un esercito.
L’assetto stabilito nel 1815 funziona per circa un secolo.
Di Metternich si sa che era un conservatore e, ciò che accadde in Francia dopo il 1789,
costituisce per lui un pericolo.
Sappiamo che, dopo il ritorno di Luigi XVIII, il codice napoleonico non viene abrogato
ed il popolo francese ottenne la possibilità di controllare la politica del paese: vengono
create le istituzioni rappresentative (anche se non si tratta di una vera e propria
struttura democratica ed il corpo elettorale è assai ristretto).
Parigi diviene la luce verso cui tutti i liberali europei e questa città sostituisce la Gran
Bretagna che, fino a quel momento, è stato l’esempio di regime costituzionale.
Però, dopo il 1815, Parigi non è più tanto diversa dal contesto inglese:
• L’Inghilterra risulta meno sensibile di Metternich a questione ideologiche
Sul piano di una politica a lungo termine, Francia e Gran Bretagna hanno un qualcosa
in comune: esse rappresentano ciò che può essere definita la TENDENZA LIBERALE in
opposizione alla tendenza CONSERVATRICE di potenze come Austria, Prussia e Russia.
La Gran Bretagna è sostenitrice della quadruplice alleanza, ma considera quest’ultima
come un’associazione con poca potenza.
Se l’Inghilterra, come l’Austria, era contraria ad un aumento della potenza russa, non si
può Parlare già di PERICOLO RUSSO per l’Europa.
Lo zar Alessandro I si fa promotore di quell’associazione chiamata SANTA ALLEANZA
con Russia, appunto, Prussia e Austria.
Una delle critiche mosse al sistema del 1815 è che esso non rispettasse le nazionalità,
ma ciò fu una conseguenza delle azioni di Metternich: per costui il principio di
nazionalità ed autodeterminazione sono un’eresia come la Rivoluzione francese. Per il
ministro austriaco, i sovrani rappresentano i legittimi titolari di determinati territori ed
infatti, la sovranità dei popoli, viene considerata un’altra dottrina pericolosa.
Lo stato austriaco, inoltre, è il più debole dalla rivendicazione di questi principi, in
quanto, è il solo stato privo di fondamento nazionale.
La Russia, infine, nutre una scarsa simpatia per i movimenti nazionalisti in quanto
legata ad un principio conservatrice; a differenza dell’Austria, però, la Russia controlla
una parte di sudditi non russi di cui i polacchi sono il nucleo più cospicuo; nonostante
ciò, nei Balcani, la Russia simpatizza per la popolazione slava, ma ciò viene usato anche
per fini espansionistici.
La Francia, invece, viene considerata simpatizzante per la lotta per l’indipendenza delle
nazionalità oppresse.
La Prussia è in posizione speciale rispetto alla questione della nazionalità: anche essa
conservatrice come l’Austria e condivide quest’ultima le strutture istituzionali, ma a
differenza di quest’ultima, la Prussia è uno stato essenzialmente tedesco ed è lo stato
più esteso della Germania.
Alla fine del XVIII secolo il commercio internazionale subisce un’espansione, ma la
rivoluzione industriale si ha solo nella parte finale del secolo; questo movimento
avrebbe assunto proporzioni giganti prima in Gran Bretagna e poi si sviluppò verso
oriente.
Nella prima parte del secolo XIX la Gran Bretagna si presenta come il paese industriale
dominante in Europa, il movimento si estese in Belgio, nella Francia settentrionale e
di là oltre il Reno.
L’industria si associa alla potenza, non solo nella forma elementare di produzione di
macchine di guerra, ma anche nelle forme più elaborate, ovvero, industria vuol dire
ricchezza (che vuol dire potenza).
Il XIX si apre con un assetto deciso a Vienna.
I due atti che avrebbero regolato i rapporti dopo Viene sono:
• La quadruplice alleanza
• Il secondo trattato di Parigi
A differenza di questi ultimi la Santa alleanza ebbe scarse conseguenze per il futuro
degli eventi: lo stesso Metternich attribuiva poca valenza all'alleanza anche se va detto
che quest’ultima esprime la tendenza propriamente conservatrice degli imperi
orientali.
Le forze che più influenzarono il periodo immediatamente successivo al 1815 sono:
• Metternich (ministro austriaco)
• Castlereagh (ministro britannico)
La Prussia, invece, avrebbe ricoperto solo un ruolo secondario.
Se la Francia avesse minacciato nuovamente la pace sia a causa di disordini interni sia
intervenendo negli affari di altri Stati gli alleati avrebbero intrapreso un'azione
comune.
Ma la conseguenza più importante dell’assetto di Vienna è il fatto che gli alleati si
accordano per incontrarsi in diverse occasioni: si assiste alla nascita del concerto
europeo.
La Francia d'altro canto nonostante non fosse soddisfatta delle clausole del trattato di
Parigi il suo unico compito era essere accettata nuovamente nella comunità europea.
Queste clausole, infatti, sono:
• Il pagamento di un'ingente somma di franchi in cinque anni
• La presenza sul suolo francese di eserciti di occupazione
Nel 1818 ad Aquisgrana si ha il primo incontro tra Le 5 grandi potenze è il risultato di
questo incontro è stata la revisione della situazione francese con conseguente:
• Accordo su resto del pagamento delle indennità
• Nel mese di novembre del 1818 le truppe di occupazione vengono ritirate
Con il trattato di Aquisgrana dell'ottobre 1818 sia la definitiva liquidazione della
questione napoleonica fra i quattro alleati e la Francia; a ciò si aggiungono altre due
conseguenze:
• Il re francese venne invitato ad unirsi alle deliberazioni
• La Francia viene ammessa come membro con pieni diritti al concerto europeo
Nonostante questo, il trattato segreto della quadruplice alleanza viene rinnovato, ma
non fu mai presente un'occasione in cui far valere quel patto.
Bisogna ricordare che il liberalismo viene definito da Metternich un problema e la
situazione italiana e spagnola desta sospetti.
Pur non esistendo ancora propriamente uno stato italiano in quel territorio i liberali
come carbonari cominciarono a pensare a un qualche genere di Unione ma,
nonostante ciò, non vengono ancora minacciati i confini fra gli Stati regionali della
penisola l'unica richiesta che si ha una riforma all'interno di essi (rivolta a Napoli nel
1820 che porta ad avere una costituzione dal re Ferdinando).
A seguito di questo evento venne toccato un concreto interesse austriaco cioè il
controllo dell'impero asburgico nella penisola italiana; mentre Metternich era ansioso
di un voler usare le forze austriache per ristabilire il potere assoluto del re delle due
Sicilie lo zar era più favorevole ad un'azione europea da parte del Concerto.
Il concerto europeo si riunisce a Troppau nell'ottobre 1820 per esaminare la situazione
ma i lavori continuano a Lubiana: l’argomento centrale di questi incontri è la situazione
italiana in primis.
La conseguenza di questo incontro fu un mandato per l'Austria di restaurare l'ordine in
Italia, ma nonostante la riaffermazione del potere austriaco, a seguito del congresso di
Troppau, viene sollevato un problema: quello dell'opportunità e della legittimità
dell'intervento di uno stato negli affari interni di un altro.
Metternich con l'appoggio della Prussia aveva cominciato a sottrarre lo zar Alessandro
alle sue inclinazioni liberali ma la Gran Bretagna si oppone eh con tutta sé stessa al
principio di intervento, mentre la Francia rifiutandosi di adottare un atteggiamento
contrario al liberismo italiano, non vuole compromessi.
Si può dire che ciò che derivò fu una sorta di alleanza fra le corti conservatrici di
Vienna Pietroburgo e Berlino, ma ciò che realmente ha turbato i rapporti fra gli Stati è
stato il problema del principio di intervento.
Più di qualsiasi altro stato l'Inghilterra commerciale ha aderito al principio di non
intervento con la tendenza a riconoscere qualsiasi regime abbia il controllo di un
paese.
Nel momento in cui una nuova ideologia si afferma in uno stato è molto difficile che
questa resta in quei confini per chi avrà adesione anche da abitanti di altri paesi: si avrà
quindi uno sconvolgimento di grandi proporzioni come la Rivoluzione francese. Ne
nascerà una guerra e, anche quando viene restaurata la pace, ci vorrà molto tempo
prima che l’influenza della nuova ideologia perda potenza.
Mentre la conferenza di Aquisgrana si occupa solo della Francia e gli incontri di
Troppau e Lubiana sono solo sulla situazione italiana, disordini rivoluzionari
avvengono anche in altri stati, come in Spagna.
Quest'ultima oltre a combattere per i possedimenti transatlantici viene influenzata
dalle idee francesi e nel 1820 si ha una rivoluzione spagnola dove il re Ferdinando VII
viene costretto a concedere la costituzione
Questa situazione suscita particolare interesse dalla vicina Francia il cui aiuto nel
restaurare il potere assoluto avrebbe potuto accrescere il prestigio francese e avrebbe
compiaciuto i conservatori.
Nell'ottobre 1822 si riunisce un altro Congresso europeo per discutere della situazione
spagnola:
• Lo zar avrebbe voluto intervenire volentieri in Spagna
• Nessuno dei partecipanti nemmeno Metternich vedeva con piacere la marcia
dell'esercito russo nel continente
• Il nuovo ministro inglese Canning è contrario ad un intervento (ma si trovò solo
a sostenere ciò)
La decisione francese di un intervento viene sostenuta dalle tre potenze orientali e
alla Gran Bretagna non resta che separarsi dal concerto.
Nel 1823 una compagine francese entra in Spagna mi assolse il suo compito, ma il fatto
che sta avvenendo una crisi nel concerto europeo, la quale si rivela ancora più grave in
merito alla questione spagnola delle colonie americane.
Mentre la Russia si mostra favorevole a fornire aiuti materiali alla Spagna in parte per
ragioni di rivalità nei confronti dell’Inghilterra quest'ultima sapendo i vantaggi che
sarebbero fruttati al suo commercio era favorevole a distruggere il monopolio
commerciale spagnolo.
La Francia che era pure una potenza atlantica non vedeva con simpatia lo stabilimento
di Repubblica in America ma considera la possibilità che venissero create delle
monarchie a cui imporre i principi francesi.
Con l'intervento francese nel 1823 in Spagna finisce la possibilità di avere una politica
comune anglo-francese.
A questo punto si inserisce un altro elemento la neonata Repubblica americana che
simpatizza per la lotta per l'indipendenza in corso in America meridionale.
Nonostante il fatto che l'America avesse da poco concluso una guerra con la Gran
Bretagna e che mostrasse una certa simpatia per la Spagna avviene una
manifestazione di uno di quei fattori che andrà ad influenzare la situazione mondiale
nel futuro ovvero la sostanziale coincidenza degli interessi britannici ed americani
nonostante la persistente esistenza di rivalità.
Nel 1817 nel 1818 falliscono le proposte di mediazione russa prima e Franco russa poi
ma l'azione francese in Spagna nel 1823 portò appunto l'avvicinamento tra Gran
Bretagna e Stati Uniti.
Il primo ministro inglese rese noto al governo francese che la Gran Bretagna non
avrebbe tollerato interventi francesi oltremare ma il persistente sospetto americano
nei confronti dell’Inghilterra unito alla voglia di affermare l'indipendenza degli Stati
Uniti portano alla creazione di un messaggio che il presidente Monroe inviò al
Congresso nel dicembre di quell'anno.
Questo messaggio è passato alla storia come DOTTRINA MONROE (1823) in cui si dice
che verrà considerato qualsiasi intervento europeo nelle Americhe come un atto
ostile.
Inoltre, va ricordato che in Sud America non vi era solo la Spagna ma anche il
Portogallo con vasti possedimenti.
Qui il Brasile seguendo l'esempio delle colonie spagnole proclamano l'indipendenza e
nel 1825 il governo di Lisbona concede a queste un riconoscimento con la
conseguente indipendenza del Brasile che non divenne mai un problema
internazionale per le grandi potenze.

Argomento: La questione d’Oriente.


La Questione d’Oriente è il risultato della crisi dell’impero Ottomano: infatti, una
volta che la minaccia dei turchi venne sventata nel XVI secolo, soprattutto mediante
la resistenza e l’intervento degli Asburgo, lo Stato Ottomano iniziò un processo di
decadenza. L’iniziativa di aggressione passò dalle loro mani a quelle degli Asburgo,
successivamente ancora in quelle della Russia. Oltre all’Austria e alla Russia, l’altra
potenza europea ad avere interessi considerevoli nel Vicino Oriente era la Francia;
anche gli inglesi avevano un certo punto creato una Compagnia del Levante ma i loro
interessi fino al XIX secoli, sia commerciali che politici, rimasero secondari rispetto a
quelli della Russia, dell’Austria e della Francia.
Specificamente riguardo i territori balcanici, la Russia godeva di una posizione unica.
La conquista turca dei Balcani europei risaliva al IV secolo ma, malgrado fossero da
molti secoli assoggettati, i popoli balcanici avevano conservato in gran parte la loro
religione, ossia il cristianesimo di denominazione greco-ortodossa. Ciò si era
verificato data la natura propria dello Stato Ottomano: il Corano era la base del
diritto, motivo per il quale i sudditi cristiani non potevano essere soggetti alla legge
islamica ed era riservata loro una legge diversa (concezione molto diversa dal
pensiero e dalla prassi europea in quanto la base del diritto in Europa è territoriale).
La Russia poteva appellarsi alla religione comune e al fatto che una considerevole
proporzione di popoli balcanici erano slavi, sfruttando il diritto di agire come
protettore dei fratelli cristiani e slavi – quest’arma poteva essere usata per
perseguire l’intento della Russia di ottenere il controllo degli Stretti, o almeno un
libero passaggio attraverso essi.
Per lungo tempo la Russia e l’Austria avevano collaborato contro i turchi ma, con la
scomparsa di qualsiasi minaccia da parte di quest’ultimi, questa collaborazione si
trasformò in competizione. Allo stesso modo, la Gran Bretagna si opponeva al
tentativo russo di estensione del controllo sugli Stretti; a tal proposito, l’interesse
francese coincideva con quello inglese, anche se in altri settori Gran Bretagna e
Francia erano rivali. La Questione d’Oriente giunse a essere caratterizzata da una serie
di contrasti fermamente stabiliti: austro-russo, anglo-russo e anglo-francese.
Quanto ai rapporti tra Gran Bretagna e Francia, è importante citare l’insediamento
francese in Algeria. L’intera costa nordafricana, salvo l’Egitto, era divenuta
indipendente sotto il dominio dei potentati locali, sedi di corsari la cui attività costituiva
una fonte di preoccupazione per le nazioni marittime del tempo. Nel 1830 lil governo
decise di dare una dimostrazione di forza, conquistando Algeri in una spedizione. La
spedizione algerina francese non provocò alcuna complicazione
internazionale, salvo che per il governo britannico: quest’ultimo temeva possibili
sviluppi di un insediamento francese in africa settentrionale. La Gran Bretagna decise
di non intervenire a fatto compiuto, ponendo l’unica condizione che la conquista
francese dovesse limitarsi all’Algeria e non estendersi alla Tunisia o al Marocco.

Argomento: la guerra di Crimea.


A Gerusalemme si era sviluppata una situazione nel quale i monaci di due
denominazioni cristiani, rispettivamente la cattolica e la greca, si dividevano la cura
dei Luoghi Santi. Tuttavia, i territori di un ordine erano costantemente nelle mire
dell’altro e viceversa. Ciò provocò una serie di tensioni interne, costituendo un
pretesto per un intervento esterno: la Russia, esattamente come la Francia
rappresentava il protettore del cristianesimo cattolico, rendeva un servizio analogo
alla fede ortodossa. Nonostante il carattere religioso, in Russia non mancavano
interessi più concreti: il commercio russo stava crescendo velocemente, soprattutto
per l’esportazione del greco dal Mar Nero, e non mancavano le ambizioni di
espansione verso gli Stretti di dominio turco.
Affinché non vi fosse l’opposizione inglese, soprattutto considerando la politica di
integrità ottomana perseguita da quest’ultima, lo Zar decise di presentare i progetti
russi alla Gran Bretagna. Se essa avesse acconsentito, la Russia sarebbe potuta anche
giungere a una guerra con l’impero Ottomano, eliminando i turchi dall’Europa.
Sarebbe sorto uno Stato serbo e uno bulgaro, la Russia avrebbe avuto il Bosforo,
l’Austria i Dardanelli e la Gran Bretagna avrebbe ottenuto l’Egitto e Creta. La Gran
Bretagna non accettò le proposte, anche se non vi fu un netto rifiuto e ciò spinse la
Russia a dispiegare le proprie forze, rivendicando il diritto permanente di intervento
rispetto alle situazioni interne concernenti gli ordini ortodossi. Il Sultano, sostenuto
dalla Gran Bretagna, rifiutò. La Russia decise di accerchiare la Porta ottomana,
occupando i principati dell’impero. La Gran Bretagna e la Francia si opposero a tale
aggressione, inviando le proprie flotte.
L’Austria, sebbene non avesse partecipato fino a quel momento attivamente, era il
centro della diplomazia. Furono convocati gli ambasciatori delle potenze a Vienna e,
nonostante i continui negoziati, la tensione a Costantinopoli cresceva. Fidandosi
dell’aiuto delle potenze occidentali, i turchi dichiararono guerra alla Russia, anche se
l’ultimatum della Francia e della Gran Bretagna non arrivò prima del marzo 1854. La
questione per cui si battevano era una questione reale sulla quale non erano stati
capaci di giungere a un compromesso, una guerra che potremmo definire come non
necessaria. L’Austria giunse successivamente a mobilitare le sue forze, spingendo la
Russia a evacuare i principati.
Si tentò nuovamente la strada della diplomazia: tuttavia, la Russia rifiutò i Quattro
Punti di Vienna, i quali stabilivano un protettorato collettivo sui principati, libera
navigazione nel Danubio, revisione dei trattati degli Stretti con la finalità di porre fine
alla preminenza russa nel Mar Nero e infine la rinuncia russa alla pretesa di
proteggere i sudditi cristiani del sultano. A seguito del rifiuto russo, il conflitto si
verificò principalmente nella penisola russa di Crimea.
Il protrarsi delle ostilità intensificò il compito della diplomazia, specialmente di quella
anglo-francese la cui finalità era ottenere l’aiuto austriaco, a cui si contrapponeva lo
sforzo russo di mantenere la neutralità dell’Austria. L’incertezza dell’Austria fu
favorevole alla partecipazione di un nuovo contendente, il Regno di Sardegna.
Giacché Cavour non avesse interesse nella situazione russa, la sua finalità era quella
di evitare che vi fosse un eccessivo avvicinamento della Francia all’Austria e porre sul
piano internazionale la piccola Sardegna. Gli inglesi favorirono tale intervento,
soprattutto poiché vi era una superiorità di contingente francese, in tal modo vi
sarebbe stato un riequilibrio. Dalla partecipazione del Regno di Sardegna, l’Austria
decise di impegnarsi in un’alleanza offensiva e difensiva con la Gran Bretagna e la
Francia, ottenendo la garanzia dei suoi possedimenti italiani da quest’ultimi. La
notizia non fu gradita a Cavour, il quale tuttavia venne costretto a entrare in guerra al
loro fianco.
Le truppe alleate riuscirono a mettere sotto assedio la città di Sebastopoli, principale
base navale russa del Mar Nero. La situazione militare era critica e, quando l’Austria
pose la Russia dinanzi a un ultimatum verso la fine del 1855, decise di accettare i
Quattro Punti di Vienna. I rappresentanti delle potenze si riunirono a Parigi – non a
Vienna, nonostante fosse stata il centro dei negoziati fino a quel momento, a causa
delle sue incertezze di posizione nel conflitto. I Quattro Punti di Vienna costituirono
la base del nuovo assetto: la Russia perse l’accesso al Danubio, venne ristabilito lo
status quo ante al conflitto armato, inoltre nulla rimase della pretesa russa di
intervento nella relazione tra il Sultano e i suoi sudditi cristiani ortodossi. Il
Congresso di Parigi del 1856 fu un episodio fondamentale nello sviluppo della
Questione d’Oriente.

Novero delle grandi potenze dell’800:


L’impero britannico, una potenza insulare che grazie all’imperialismo coloniale era
riconosciuta come la potenza marittima ed economica per eccellenza; l’impero russo
che si estendeva in una buona parte dell’Asia e rappresentava il confine orientale
dell’Europa; il regno di Francia, il cosiddetto impero di Napoleone III in procinto di
divenire una Repubblica; impero d’Austria, che dal 1867 prenderà il nome di impero
d’Austria e d’Ungheria. Si candidano a divenire potenze centrali anche il Regno di
Sardegna (che diverrà Italia) e la Prussia (che diverrà Germania).
L’unificazione italiana e tedesca non ancora avvenuta e ciò rendeva il concerto delle
potenze al tempo incompleto. Il “concerto” è un termine che esprime l’idea del
Congresso di Vienna del 1815-1816 che pose fine ai mutamenti avvenuti con le
campagne napoleoniche ed esprime la necessità di una concertazione delle potenze.
Vi erano due obbiettivi che le potenze europee, nonché al tempo anche potenze
mondiali (Gli Stati Uniti d’America erano ben lontani dal divenire una potenza
mondiale e nella seconda metà dell’800 era in una fase difficile della loro
costruzione; tuttavia, nel 1823 con la dottrina Monroe rivolsero un chiaro messaggio
alle potenze europee e si candidavano a divenire una potenza continentale):

1) Il primo obbiettivo si basava sul principio di restaurazione del Congresso di


Vienna e puntava all’idea che bisognasse ritornare alle autorità legittime
prenapoleoniche;
2) Il secondo obbiettivo è la necessità di determinare una condizione di
equilibrio all’interno del sistema. Bisogna determinare un sistema in equilibrio
con Stati che agiscono armonicamente e garantiscono la pace – un cosiddetto
balance of power tra gli Stati.
In base a quale criterio un Paese era riconosciuto come grande potenza? Perché la
Spagna, per esempio, non poteva essere considerata tale, sebbene avesse
completato la sua unificazione nazionale? Bisogna considerare il concetto delle forze
profonde, elaborato progressivamente dagli anni ’30 agli anni ’50 del 900 dal teorico
di Pierre Renouvin: le forze profonde sono caratteristiche di sistema la cui presenza
rende uno Stato una grande potenza.
Uno Stato può essere valutato come una grande potenza in base alla capacità che
esso ha di proiettare la sua forza all’esterno. Esempio: Oggi si ritiene che l’unica
grande potenza globale siano gli Stati Uniti, non solo sono in grado di estendere la
loro forza in tutto il sistema internazionale ma anche di articolarla in una serie di
elementi di forze profonde, esercitando un forte condizionamento militare,
scientifico-tecnologico, economico, culturale, sociale. Riescono a esplicitare
globalmente la loro forza.
Ulteriori forze profonde sono l’estensione territoriale elevata, stabilità istituzionale,
potenzialità demografica, capacità militare, livello scientifico- tecnologico,
potenzialità economica, dotazione finanziaria, abilità nel commercio.
La Spagna non poteva essere considerata una grande potenza poiché non era dotata
di tali forze profonde: debolezza militare, arretratezza culturale e scientifica,
mancanza di dotazione finanziaria. O la Svizzera, sebbene sviluppata culturalmente
ed economicamente, è priva di un’estensione territoriale elevata e potenzialità
demografica.
Dal 1856 con il congresso di Parigi anche l’impero ottomano diverrà una grande
potenza. Esso può essere considerato come un elemento critico della seconda metà
dell’800, le vicende dell’impero ottomano sono collegate alla questione d’Oriente: vi
era la necessità di disporre i territori che l’impero ottomano non erano più in grado
di controllare e allo stesso tempo vi era necessità di eliminare le mire
espansionistiche di alcune potenze. La questione d’Oriente sarà il motivo che
condurrà alla guerra di Crimea nel 1855-56 e alla guerra russa-turca 1877-1878.
Nel 1856 il Congresso di Parigi segnò la conclusione della guerra di Crimea e venne
convocato per definire i nuovi equilibri della questione; nel 1878 fu il Congresso di
Berlino a terminare la guerra russa-turca. Questi congressi non solo si occupavano di
determinare una nuova situazione di equilibrio, ma si riteneva che tali momenti di
negoziato permettessero di consentire al concerto una condizione di equilibrio
all’interno del sistema.
Perché la Questione d’Oriente è importante? Innanzitutto, è necessario stabilire
quale sorte dare a tali territori dal momento che l’impero ottomano non è più in
grado di mantenere la propria autorità sulle regioni balcaniche; inoltre, tali territori
sono abitati da popolazioni in gran parte di religione cristiana. Infatti, nell’impero
ottomano, fermo restando il pagamento di tassi e alcuni obblighi militari, vi era la
libertà di culto nella seconda metà dell’800.
In tutta questa situazione la Russia si era incaricata della missione di proteggere i
diritti delle popolazioni cristiane che vivevano all’interno dei territori dell’impero
ottomano, in particolare della penisola balcanica. La Russia era il baluardo del
cristianesimo ortodosso, motivo per il quale si erano attribuiti il ruolo di protettori
dei Balcani. Tuttavia, non vi erano solamente motivazioni religiose: la Russia mirava
al controllo del Mediterraneo, dato che fino a quel momento aveva sempre pagato
economicamente e a livello di influenza la chiusura del suo territorio (il Mar Baltico è
chiuso dagli stretti controllati dalla Danimarca e dalla Svezia, il Mar Nero è chiuso
dagli stretti turchi del Bosforo e dei Dardanelli).
Nel Congresso di Parigi del 1856 con il tratto di Parigi abbiamo l’introduzione di due
principi, già esistenti ma che fino a quel momento privi di una chiara attuazione nel
sistema internazionale: l’internazionalizzazione e la neutralizzazione. Con
l’internazionalizzazione qualsiasi problematica è posta alla garanzia dell’intero
sistema internazionale (dell’intero concerto delle potenze): era necessario dare
garanzie europee e non russe alle popolazioni cristiane dell’impero ottomano. La
neutralizzazione è un ulteriore strumento giuridico introdotto a livello
internazionale: una grande potenza deve essere libera di commerciare e svilupparsi
economicamente, motivo per il quale gli stretti vennero resi neutrali e in tempi di
pace qualunque nave vi può transitare.
I maggiori Paesi che si erano opposti alle mire espansionistiche della Russia e che
avevano sponsorizzato all’interno del sistema gli strumenti di internazionalizzazione
e neutralizzazione erano stati la Gran Bretagna e l’Austria. Ma perché si opposero
così duramente? L’Austria era particolarmente preoccupata della penetrazione russa
nei Balcani perché credevano che potesse fungere da catalizzatore e spingere i
cristiani di etnia slava a disgregare l’impero asburgico multietnico; invece, il Regno
Unito erano ostili perché temevano che la Russia avendo accesso al Mediterraneo
potessero minare il loro controllo (presenza inglese in Gibilterra, Malta, Creta e
Cipro, base militare in Alessandria d’Egitto).
Nel 1859 iniziò la costruzione del canale di Suez per iniziativa francese e capitale
inglese e si concluse nel 1867; iniziò a essere gestito da una compagnia franco-
britannica, sebbene inizialmente le quote maggiori appartenessero alla Francia in
quanto Palmerston, ministro inglese degli Affari Esteri, era convinto che fosse uno
strumento mediante cui la Francia avrebbe tentato di espandere la propria influenza,
preferendo inizialmente porre ostacoli alla costruzione del canale. Il canale venne
ufficialmente aperto nel novembre del 1869 e l’importanza dell’evento è
considerevole: l’apertura del canale restituì al Mediterraneo la posizione che aveva
avuto come strada maestra del commercio con l’Oriente secoli prima. L’obbiettivo
della politica inglese era quello di “dividere” amichevolmente l’influenza sul
Mediterraneo, Francia bilanciata dalla crescente forza italiana, motivo per il quale
non tollerava alcuna intromissione dalla Russia. Inoltre, la natura autocratica della
Russia non avrebbe permesso alcuna collaborazione.
Quindi in conclusione possiamo affermare che la politica estera inglese del tempo si
basava sul blocco russo (permettendo invece di conseguenza un’estensione
dell’impero austriaco verso i Balcani, ben consapevoli della loro debolezza) e di
temperare la Francia, evitando che ritorni alla forza dell’impero napoleonico. Questo
è il motivo per cui gli inglesi videro con favore l’unificazione italiana e poi
successivamente tedesca con la guerra franco-prussiana (la Germania, in particolare,
avrebbe potuto rallentare anche una possibile avanzata russa nel mare Baltico). Nel
secondo trattato di Londra del 1867 l’Italia si aggiunse al novero del concerto delle
grandi potenze, sebbene non fosse ancora caratterizzata dalle forze profonde che
l’avrebbe classificata come tale; tuttavia, essendo funzionale alla Gran Bretagna per
la garanzia di tale balance of power necessario per il loro programma imperiale,
venne considerata tale.

Argomento: unificazione italiana


La situazione italiana è quella stabilita nel 1815:
• Al sud vi è la casata Borbone nel regno delle due Sicilie
• Il dominio papale si estende fino al Po e vi è anche il granducato di toscana
• Al nord ci sono i ducati di Parma e di Modena, il regno di Sardegna ed i territori
austriaci del Lombardo-Veneto
Il sentimento italiano di voler costruire un solo stato va considerato un dato di fatto,
anche se è un sentimento che si limita alla minoranza intellettuali.
L’impeto dell’unificazione viene dalla Francia, dalla sua rivoluzione e da Napoleone
che stimolano lo sviluppo della coscienza nazionale italiana.
Nel 1815, col congresso di Vienna, viene instaurato lo STATUS QUO sia per quanto
riguarda i confini, che per quanto riguarda l’influenza austriaca.
La questione italiana si basa su due aspetti che tendono a fondersi in un solo
sentimento:
• La lotta per ottenere costituzioni liberale
• Lotta per l’unità
Questi due aspetti conferiscono alla questione italiana carattere europeo e nel 1820
Metternich decide di intervenire per reprimere liberalismo e nazionalità che vengono
considerati negativi per il territorio italiano, ma non è il solo motivo dell’intervento di
Metternich; l’unificazione italiana avrebbe modificato gli equilibri europei:
• Russia e Prussia avrebbero subito pochissime conseguenze
• In Gran Bretagna vi era una generale simpatia per l'unificazione italiana sia per
ragioni sentimentali sia per scopi commerciali
A differenza dell’Austria, la Francia nutre una simpatia per il movimento nazionalista
italiano, ma anche qui, i politici preferiscono che la situazione in Italia resti invariata.
Tra il 1830 e il 1848 la Francia sfrutta le speranze liberali degli italiani.
In Italia vi è una situazione particolare nella parte centrale: il papa, oltre a regnare su
parte dei territori della penisola, è il capo della Chiesa Cattolica.
La teoria che stava alla base del potere papale, oltre alla legittimità della donazione di
Costantino, era che possedere qualche territorio con piena sovranità era essenziale
per adempiere alla funzione spirituale del Papa anche perché la maggior parte degli
italiani erano cattolici ma c'erano cattolici anche in Francia e in Austria. Per l’Austria è
fondamentale l’appoggio del papato, mentre per la Francia è importante per questioni
di politica interna in quanto è la patria della rivoluzione, ma è anche tra i paesi a
maggioranza cattolica.
In Italia, fino al 1848, si tende a concentrarsi sugli aspetti interni della questione, non
prestando attenzione agli aspetti europei.
La situazione romana poteva essere risolta secondo:
• l’idea giobertiana, ovvero, il papa avrebbe assunto una posizione di direzione,
secondo un sistema federativo.
• L’idea radicale che intende fare tabula rasa dell’assetto italiano e vuole
istituire una nuova repubblica unitaria; Mazzini è il maggior promotore di
questa visione.
• La terza possibilità è che tutta l’Italia si sarebbe dovuta riunire attorno al regno
di Sardegna (quindi attorno alla regione del Piemonte)
IL 1848 viene considerato la tappa decisiva dell’unificazione e due di queste idee, nel
1850, vengono eliminate:
• Pio IX, il papa liberale, d'ora in poi sarebbe diventato un sostenitore
dell'ordine
• Il Piemonte esce sconfitto a seguito della guerra contro l’Austria l'unica idea
che riesce a sopravvivere è la concezione radicale di Mazzini. L'unificazione
italiana deve molto ad un uomo di nome Cavour, il quale, riesce a mettersi in
mostra con gli eventi del 1848:
• Diviene ministro dell'agricoltura per la monarchia nel 1850
• Nel 1852 diviene primo ministro il suo principale obiettivo è quello di rendere
moderno il Piemonte sotto l'aspetto:
• economico
• amministrativo
• militare
Cavour è consapevole che per unificare l'Italia o, quantomeno estendere il Piemonte
alla parte settentrionale di essa, ha bisogno di un aiuto e si rivolge alla Francia il cui
interesse maggiore, però, è quello di restaurare il papato a Roma.
A seguito della guerra di Crimea, Cavour può partecipare al Congresso di Parigi nel
1856 e la questione italiana viene portata all'attenzione dell’Europa, ma non ottiene
nulla.
Nonostante Cavour viene accusato di provare scarso interesse per l'Italia, persegue la
cosiddetta politica del “carciofo” ovvero il Piemonte avrebbe annesso tutta l'Italia
volta per volta.
Anche se l'imperatore Napoleone prova una naturale simpatia per l'Italia bisogna
ricordare che questa incontrava opposizioni all'interno della società francese. I primi
risultati della diplomazia di Cavour si hanno nel luglio 1858 a Plombières dove viene
stabilito che:
• Napoleone acconsente alla formazione di un Regno dell'alta Italia formato da
Piemonte e possedimenti austriaci, a questi si aggiungono un Regno nell’Italia
centrale, un gruppo di territori più ristretto dove il Papa avrebbe continuato a
regnare e il Regno di Napoli
• Queste quattro unità poi si sarebbero riunite in una Federazione presieduta dal
Papa, ma comandata dal nord
• La Francia avrebbe ricevuto Nizza la Savoia e la mano della figlia del re di
Sardegna
• Cavour avrebbe fatto sì che la guerra nascesse in seguito a una provocazione
austriaca
Bisogna, però, che la situazione in Europa sia favorevole a quest’azione in quanto,
unificare l’Italia voleva dire, dichiarare guerra all’Austria. Di ciò si occupa
Napoleone e la situazione che si ritrova è che:
• La Prussia avrebbe potuto trarre vantaggio dalla difficoltà dell’Austria
• Lo zar provava ancora risentimento nei confronti dell’Austria a seguito della
guerra di Crimea e si sarebbe potuto ottenere una possibile alleanza
• La Gran Bretagna era occupata in altre questioni
Di queste supposizioni, solo alcune si rivelarono vere:
• Dalla Russia si ottenne solo la promessa di una neutralità in caso di una guerra
austro-sarda
• la Prussia non volle impegnarsi
• Il ministro britannico Derby era contrario al mutamento della situazione
italiana
Nel gennaio del 1859 viene firmato un trattato di alleanza tra Francia e Sardegna,
anche se Napoleone tentò congressi e soluzione alternative affinché l'Italia lasciasse
all’Austria i suoi possedimenti.
I rapporti fra la Sardegna e l'Austria erano così tesi che anche la motivazione più
piccola avrebbe portato a uno scontro e la questione dei sudditi italiani austriaci che
avevano trovato rifugio in Piemonte porta allo scoppio del conflitto in quanto l'Austria
presenta un ultimatum chiedendo la smobilitazione sarda.
Il Piemonte respinge l'ultimatum e si ebbe così la dichiarazione di guerra che fece
entrare in gioco l'alleanza con la Francia.
Le forze austriache non si mossero con velocità e questo diede tempo alle truppe
francesi di arrivare in Italia.
Dopo le battaglie di Magenta e Solferino, le forze austriache si ritirano nella zona del
Quadrilatero.
Però, nel luglio 1859 gli imperatori Napoleone e Francesco Giuseppe si incontrano a
Villafranca e giunsero a un'intesa:
• La Francia avrebbe ottenuto la Lombardia (esclusa Mantova) e poi avrebbe
potuto cedere questa regione al Piemonte
• L'Austria avrebbe mantenuto il possesso del Veneto
• Per il resto i sovrani italiani avrebbero mantenuto i rispettivi possedimenti
Questa intesa venne raggiunta senza consultare né Cavour né Regno di
Sardegna per il quale questo fatto costituì un grave colpo e Cavour si dimise.
A seguito della guerra, nel paese si era svegliato il sentimento di aspettativa e di
indipendenza, infatti, si hanno rivoluzioni pacifiche nei Ducati In Toscana e nelle
regioni vicine agli Stati papali.
Ciò che preoccupa Napoleone è l'aspetto militare della guerra perché ora vi era la
possibilità di dover eseguire un assedio prolungato delle fortezze del quadrilatero;
questa situazione avrebbe accresciuto l'incertezza della situazione sul Reno.
Fra Prussia ed Austria avvengono dei negoziati dove la prima rafforza la sua posizione
attuando una mobilitazione parziale nel giugno di quell'anno: ciò significa che se si
fosse giunti ad un accordo austro prussiano la Prussia sarebbe intervenuta. La Francia
non poteva considerare la prospettiva di una guerra sia in Italia che sul Reno allo
stesso tempo e, a causa del suo comportamento, non sollecita neanche il pagamento
di Nizza e la Savoia.
Nel 1859 le assemblee dei Ducati di Toscana e Romagna chiedono l'annessione al
Piemonte e questa è la base del trattato di Torino dell’anno 1860; con i plebisciti
avvenuti in Toscana nei Ducati e Romagna che sanzionano la richiesta di annessione,
Napoleone poté ricevere Nizza e Savoia.
Nell'aprile 1860 in Sicilia scoppia una rivoluzione contro il governo borbonico e la
situazione è molto delicata in quanto l'idea su cui si basava la rivolta era d'ispirazione
radicale (o mazziniana).
Fa la comparsa Garibaldi, il quale il 5 maggio di quell'anno salpò per la Sicilia con i
suoi 1000 che sbarcano a Marsala.
La guerra in Sicilia non fu impegnativa e a Palermo viene istituito un governo
provvisorio, ma la situazione diviene delicata quando Garibaldi arriva a Napoli. Qui
il re Ferdinando cerca di salvarsi restaurando la costituzione del 1848, ma il suo
esercito si sciolse e Napoli viene occupata dai garibaldini.
Nel settembre del 1860 Garibaldi si prepara a marciare su Roma e in un secondo
momento arrivare a Venezia.
La possibilità di una marcia di Garibaldi su Roma solleva la prospettiva di uno scontro
con le forze francesi ancora presenti in città e di conseguenza un intervento da parte
dell’Austria.
Usando come pretesto dei disordini scoppiati negli Stati papali, Cavour in via delle
truppe piemontesi e la spedizione ha come intento ridurre al minimo l’estensione
degli eventi rivoluzionari.
Garibaldi, dando precedenza al patriottismo, cede il posto al re Vittorio Emanuele. Il
fattore più incerto è la posizione della Francia in quanto tutta la situazione è
avvenuta in Italia andava contro qualsiasi idea di Napoleone: l'interesse francese non
favorisce un’Italia unita e la situazione romana scredita Napoleone presso una larga
parte dell'opinione pubblica francese.
A causa dell'atteggiamento della Francia Cavour decide di rivolgersi alla Gran
Bretagna:
• Vede con simpatia la formazione di un ampio stato italiano nel nord • È
indifferente il destino del papato
• Ha un’attenzione particolare per la parte meridionale
Ciò che Palmerston teme è che l'Italia finisca sotto l'influenza francese e per questo la
Gran Bretagna ritiene che l'Italia unita sarebbe potuta diventare un contrappeso alla
Francia nel mediterraneo e quindi un elemento favorevole alla politica inglese.
Palmerston, addirittura, offre assicurazioni al Piemonte contro un possibile intervento
austriaco.
Cavour, ciò nonostante, sa come sfruttare il desiderio di Napoleone di conservare una
minima influenza in Italia e il prezzo per questo doveva essere il suo consenso
all'unificazione completa includendo anche gli Stati papali.
Nel marzo 1861 viene proclamato il Regno d'Italia con Vittorio Emanuele di Sardegna
che diviene re d'Italia e i suoi obiettivi sono:
• Fare del Regno d'Italia uno stato unitario modellato sulla struttura francese
• Eliminare tutti gli antichi confini
• Eliminare qualsiasi forma di regime interno che verrà sostituita con lo statuto
piemontese del 1848
L'unificazione italiana rappresenta indubbiamente un grave colpo per l'Austria
principale guardiana dell'ordine stabilito dal Congresso di Vienna del 1815, ma allo
stesso tempo questo periodo potrebbe essere definito di successo totale per la
Francia.
Ma in realtà non è così in quanto gli accordi di Plombières non avevano dato i risultati
sperati e la situazione era sfuggita al controllo di Napoleone.
Nonostante ciò, è indubbio il fatto che la Francia abbia rappresentato il fattore
principale per cui l'unificazione italiana riesce ad avvenire.
Prima della morte di Cavour l'imperatore francese aveva cercato di trovare un accordo
con quest'ultimo per quanto riguarda Roma: si doveva elaborare una strategia che
doveva essere vista da un lato come una rinuncia italiana su Roma e dall'altro come un
persistere di speranze dell'Italia di avere Roma.
Questo piano serviva a placare le opinioni pubbliche sia di Francia che d'Italia.
Nel settembre 1864 viene stabilita una convenzione Franco italiana in cui si dice che:
• Entro due anni dal febbraio 1865 le truppe francesi devono andar via dalla città
di Roma
• L'Italia si impegna a rispettare l'indipendenza di Roma e la capitale viene
trasferita Da Torino a Firenze
Ufficialmente l'Italia aveva rinunciato a Roma e questo accordo provocò molte proteste
ma l'Italia doveva solo aspettare il momento opportuno per poter annettere Venezia e
Roma.

Argomento: il periodo Pre-bismarck


La prima parte del diciannovesimo secolo si caratterizza dalla ricerca di un equilibrio
che sostituisse le forze di nazionalismo e liberalismo scaturite dalla Rivoluzione
francese.
Con l'unificazione italiana e tedesca si raggiunge una certa stabilità, infatti, fra la
guerra Franco prussiana e il conflitto mondiale del 1914 non ci sono state guerre fra le
potenze europee.
Stabilità e pace possono essere raggiunte attraverso l'adozione di una potenza
superiore posta o da qualcuno o come risultato di un equilibrio di forze e quest'ultima
condizione è la più delicata.
Con lo sviluppo industriale la capacità di produzione dell'industria pesante andava
considerata non solo come capacità di costruzione di armi ma anche come generatore
di ricchezza.
Una distinzione fondamentale le cui conseguenze sarebbero apparse durante la Prima
guerra mondiale e dopo quest'ultima è la distinzione tra un’Europa esterna e interna.
L'Europa interna quella delle macchine è una regione che può essere delimitata da una
linea che congiunge città come:
• Glasgow
• Stoccolma
• Danzica
• Trieste
• Firenze
• Barcellona
Questo confine però si estese progressivamente entro la regione della cosiddetta
Europa esterna.
Per esempio, la Russia appartiene all’Europa esterna ma negli ultimi due decenni del
XIX secolo si vide lo sviluppo industriale.
Interna avvengono dei cambiamenti:
• La Gran Bretagna nonostante mantenesse la sua posizione preminente non
viene più considerata l'officina del mondo
• Vi è uno sviluppo in Francia ma che viene considerato inferiore a quello
britannico e tedesco
Inoltre, va detto che gli spostamenti di forza conseguenti ai cambiamenti nei rapporti
fra Stati non potevano non causare tensioni nel processo di riadattamento:
• Una potenza in declino cercherà di riottenere la sua posizione
• Una potenza in ascesa farà di tutto per farsi riconoscere la nuova condizione
Qui va ricordato il sorgere di due centri di potenza entrambi extraeuropei:
• Gli Stati Uniti
• Il Giappone
Nel mezzo secolo che precede il 1914 c'è stata una congiuntura di eventi:
• La guerra civile statunitense
• Occidentalizzazione del Giappone
• La guerra Franco prussiana
• Lo sviluppo dell'attività economiche di Germania Giappone e Stati Uniti
L'Inghilterra ottieni una posizione di preminenza nelle questioni finanziarie e Londra
diviene la capitale finanziaria del mondo; il Gold standard diviene quindi un simbolo.
Gli eventi che hanno portato al compimento dell'unità italiana e tedesca sono densi di
tendenze nazionali che è stata una forza di integrazione.
Nel caso dell'impero asburgico e ottomano il successo dei movimenti nazionali poteva
significare la distruzione completa opera che era già in corso nell'impero ottomano
durante la prima metà del secolo ma che si compì solo poco prima del 1914. In misura
più o meno variabile tutte le grandi potenze europee alla fine del diciannovesimo
secolo sono protese a realizzare il sogno imperialistico.
Nonostante la battaglia della democrazia non fosse ancora finita ovunque venne
introdotto o ampliato il sistema elettorale perfino in Russia si dovette cedere ad una
forma iniziale di rappresentanza popolare.
La Germania introdusse una legislazione più avanzata dice certi paesi
costituzionalmente democratici come Gran Bretagna e Francia.
Una forma in un'altra anche la classe popolare continua a compiere progressi il tenore
di vita cresce e l'istruzione si diffonde.
L'intero diciannovesimo secolo è chiamato alcune volte il secolo britannico definizione
giustificata dal possesso della Gran Bretagna di una potenza superiore espressa nella
definizione SPLENDIDO ISOLAMENTO.
Prima della Francia invece è stato più drastico sebbene occorra fare una distinzione:
• La posizione in Europa della Francia nel 1914 è considerevolmente inferiore a
quella del 1870
• A seguito della guerra franco prussiana La Francia perde immediatamente la
posizione di primato continentale che possedeva
Oltre qualsiasi speranza francese di revanche, il problema centrale della Francia è
quello di ricostruire e riconquistare la sua posizione o quel che bastava per poter
tornare all'antico splendore.
Da questa stessa guerra la Germania emerge vittoriosa e unita.
Quest'ultima inoltre stava iniziando un periodo di sviluppo senza precedenti e questi
furono i problemi che occuparono la storia del secondo Reich.
Storia diversa per quanto riguarda l'impero asburgico svolse un ruolo importante in
Europa ma va detto anche che questo l'Austria Ungheria era l'unico stato europeo che
non fosse uno stato nazionale.
Per quanto riguarda la Russia il dominio degli zar era una delle potenze europee più
grandi ma la sua struttura interna lo rendeva una potenza molto discussa; l’estensione
territoriale e l'ampiezza delle sue risorse controbilanciano l'arretratezza del suo
sviluppo.
Tra le potenze europee l'Italia è a più piccola tant'è vero che ci si è chiesto se potesse
essere definita tale.
Come la Germania anche l'Italia desiderava trovare un posto fra le nazioni.
La sua tendenza era quella di cercare una posizione vantaggiosa nelle divergenze tra le
altre potenze, pertanto, un equilibrio delle forze era la situazione che si poteva sfruttare
meglio.
Infine, vi è l’impero ottomano che può essere considerato in una categoria a sé quella
delle piccole potenze.
Problema fondamentale come quello dell’Austria-Ungheria è quello di continuare ad
esistere; lo stato ottomano, infatti, aveva adottato la politica di assicurarsi la
sopravvivenza sfruttando le divergenze tra le maggiori potenze.
Data la condizione dello Stato ottomano la situazione politica delle comunità cristiane
dei Balcani assunse particolare importanza sulla scena internazionale. Questi stati
citati fino ad ora sono i partecipanti al Concerto Europeo.

Argomento: unificazione tedesca


Così come nel caso italiano, anche nell'unificazione tedesca la diplomazia francese
svolse un ruolo fondamentale.
Dopo il Congresso di Vienna e la ricostruzione del sacro romano impero nella forma di
Confederazione germanica, le forze interne spingevano a una riforma costituzionale
non ad un'unificazione.
Poiché l’Austria era impegnata in Germania, così come in Italia, l'unificazione tedesca
avrebbe dovuto trovare una soluzione anche al problema austriaco.
Nel 1848 prendono luogo i dibattiti di Francoforte imperniati su questo argomento;
qui L'Austria si oppose alla soluzione piccola tedesca e avrebbe potuto accettare solo
una soluzione in cui si includesse il suo territorio nella grande Germania, ma
quest'ultima sarebbe stata in parte considerevole non tedesca.
Altre due sono le motivazioni che differenziano il caso tedesco da quello italiano:
• mentre in Italia ci sono Piemonte e i Savoia, ma il Piemonte non ha avuto la
potenza per assolvere il compito da solo e l'aiuto francese si è rilevato
indispensabile; nel caso tedesco la Prussia può essere paragonata al Piemonte
ma a differenza di quest'ultimo essa era già una grande potenza e poteva
cavarsela da sola
• A differenza dell'Italia il fattore economico in Germania ebbe una parte vitale in
quanto, nonostante gli eventi del 1848, l’unione doganale viene completata nel
1852 e questo si presenta come una sconfitta per l'Austria che aveva provato a
convincere gli stati del sud ad abbandonare tale unione.
Va ricordato inoltre che, anche la politica interna prussiana non riuscì ad avere
l'appoggio delle forze liberali tedesche, infatti, l'attuazione della costituzione
prussiana nel 1850 viene ostacolata.
Gli eventi italiani del 1859 stimolano la popolazione tedesca con l’esempio del
successo delle forze liberali e nazionali che trovano appoggio nella borghesia.
Inoltre, sebbene l’influenza degli accordi di Villafranca sulla Prussia, essa non partecipa
alle ostilità pur andando a rafforzare l’esercito.
Ora, fra le persone più influenti del XIX secolo, figura Bismarck che è stato paragonato
a Cavour, ma ci sono delle differenze tra i due:
• Mentre Cavour può essere paragonato ad un liberale britannico, Bismarck è
uno Junker (aristocratico terriero)
• Aderisce alla mentalità conservatrice, ma un’opposizione al regime
rappresentativo sarebbe inutile
• Una volta unificata la Germania, Bismarck le diede la legislazione sociale più
avanzata d’Europa
• L’orizzonte culturale di Bismarck è molto limitato e ciò lo rendeva molto diverso
da un’altra personalità importante, il cardinale Richelieu
Nel settembre del 1862 viene chiamato a dirigere il governo prussiano ed egli ha già
un progetto in mente.
La prima parte del suo programma è un piano di riassetto della struttura dell’Europa
centrale e, far ciò, significa o affrontare o neutralizzare o la Russia o la Francia. Il
secondo punto del suo programma è quello di relegare l’Austria in una posizione di
inferiorità e quest’azione implica due cose:
• Creare un'adeguata potenza militare prussiana
• Un uso tale della diplomazia da porre l'Austria in svantaggio
Nonostante il fatto che dopo il 1871 Bismarck diviene sostenitore della pace fino a
quel momento l'unico strumento più adatto al suo piano è la guerra.
Il suo primo compito è quello di ottenere crediti per l'esercito prussiano e, se
l'assemblea rappresentativa del Regno di Prussia (landtag) non fosse stata ma
allenabile avrebbe fatto a meno di questa (ed è significativo il fatto che Bismarck
potesse far ciò).
Dopo pochi mesi dal suo insediamento al governo Bismark deve fronteggiare nel 1863
la ribellione polacca e, con la convenzione del Alvensleben del 1864, ottiene la
benevolenza della Russia per aver aiutato lo zar.
Nel 1863 quando l'imperatore d’Austria propone un Congresso dei sovrani per
discutere il riassetto della Confederazione germanica Bismark invalidò la questione
rifiutandosi di partecipare.
Contemporaneamente a ciò a Bismarck viene offerta un'opportunità dal re di
Danimarca.
Tre ducati che sono in unione personale al re danese sono oggetto di guerra nel 1848
ed i loro nomi sono:
• Schleswig
• Holstein
• Lauenburg
Con il protocollo di Londra del 1852 si ritorna a un assetto del 1815, ma il re di
Danimarca Federico VIII vuole a tutti i costi assimilare questi ducati e ciò produsse
opposizione nei Ducati stessi e in Germania dove la questione si poneva come difesa
della nazionalità tedesca.
L'Inghilterra è la potenza maggiormente interessata e nel 1862 viene offerta la
mediazione di questo paese.
Nel marzo 1863 re Federico VIII annette lo Schleswig, ma nel mezzo di questa
agitazione Federico muore e viene incoronato re Cristiano IX che reclama la
successione non solo nello Schleswig, ma anche nel Holstein; l’imperatore francese,
d’altro canto, suggerisce l’idea di convocare un congresso.
Fino a questo punto la Prussia non interviene, ma la violazione della Danimarca del
protocollo del 1852 viene usata da Bismarck per giustificare il suo intervento. Tutte le
possibilità di mediazione europea vengono annullate dall'incapacità di Russia
Inghilterra e Francia di coordinarsi in un'azione comune e a ciò si aggiunge che:
• Lo zar è in debito verso la Prussia
• Napoleone è irritato dalla riluttanza britannica nell'esercitare maggiori
pressioni sullo zar in merito alla questione polacca
• Inoltre, sempre l'imperatore francese è impegnato in Messico
Ciò significa che il contrasto danese tedesco non subisce interventi esterni.
Nel gennaio 1864 Bismarck intraprende un'azione comune con l’Austria e ciò porta alla
sconfitta della Danimarca.
A seguito del non ottenimento dei risultati sperati nella conferenza svoltasi a Londra
fra i rappresentanti delle potenze in quello stesso anno, le ostilità riprendono e la
guerra termina con la totale sconfitta della Danimarca.
Con il trattato di Vienna del 1864 si stabilisce la totale cessione all’Austria e alla Prussia
dei tre Ducati oggetto della guerra.
La questione dei Ducati aveva scarsa concretezza ma serviva a Bismark come base per
potersi scontrare con l'Austria.
Bismark pensò di concludere il conflitto con l'Austria nel 1865, ma fu trattenuto non
solo dall'opposizione interna ma anche dall'incertezza circa l'atteggiamento di tali e
Francia a seguito di un possibile conflitto.
Il risultato dei trattati con l'Austria è la convenzione di Gastein (1865) in cui viene
sancito che:
• L'Austria avrebbe assunto l'amministrazione del ducato di Holstein
• La Prussia avrebbe ottenuto lo Schleswig
Ma la situazione è molto precaria e il conflitto potrebbe scoppiare per la minima
occasione.
Prima di poter agire Bismark si deve assicurare la non ingerenza da parte di esterni:
questo voleva dire assicurarsi la neutralità francese; le promesse che ottenne da
Napoleone furono sufficienti assicurazioni sul fatto che non sarebbe mai avvenuta
un'alleanza con l'Austria.
Per rendere sicuro ciò, Bismark avrebbe dovuto ottenere un'alleanza dall'Italia
cosicché l'Austria si sarebbe trovata a combattere su due fronti.
Nell'aprile 1866 l'Italia stringe un'alleanza con la Prussia che la vede impegnata a
partecipare in una guerra contro l'Austria a patto che fosse la Prussia a prendere
l'iniziativa.
Sempre ad aprile, la Prussia introduce alla dieta di Francoforte una mozione per
riformare la Confederazione.
Quando a giugno di quell'anno viene convocata una nuova dieta del Ducato di Holstein
per discutere del futuro del Ducato stesso Bismark denuncia questa azione come
violazione degli accordi di Gastein e invia le truppe prussiane nel Ducato.
L'Austria allora, stipula un accordo segreto con la Francia dove quest'ultima promette di
restare neutrale a patto che il Veneto venisse ceduto all'Italia qualunque fosse stato
l'esito della guerra.
Se l'Austria avesse vinto questo conflitto avrebbe definito nuovamente l'assetto
tedesco anche se alla Francia sarebbe rimasto il diritto di essere consultata e di
ottenere la formazione di un possibile stato sul Reno.
Nel giugno dal 1866 L'Austria dichiara guerra, pochi giorni dopo anche Prussia ed
Italia dichiareranno guerra.
Quando la guerra finisce gli Stati tedeschi non ebbero la possibilità di parteciparvi
perché l'imperatore d’Austria offrì condizioni di pace attraverso la mediazione
francese e l'accettazione di queste condizioni porta lotte interne alla Prussia in quanto
Bismarck non voleva distruggere l'Austria oltre i risultati già raggiunti a differenza del
re che era ansioso di marciare su Vienna.
Nell'agosto 1866 viene firmato il trattato di Praga che ristabilisce la pace e segna una
fine della contesa tra Asburgo e Hohenzollern per la supremazia in Germania.
Il territorio austriaco non viene diminuito, ma Bismarck ottenne il suo obiettivo ovvero
lo scioglimento della Confederazione germanica.
Bismarck intraprese la formazione di una nuova Confederazione che si sarebbe
limitata ai territori al Nord e rinunciò ad ammettere la Sassonia; l’Austria rinuncia a
tutti i diritti sui Ducati e accetta qualsiasi ampliamento prussiano nei confini della
Confederazione del nord.
Queste clausole vengono applicate nel 1867 dove la Prussia ha una posizione
dominante nella Confederazione tedesca del nord.
Nonostante la sconfitta l'Italia attraverso la mediazione di Napoleone ottiene il
Veneto.

Argomento: La Francia e la questione tedesca (1870-


1871).
Le cause della guerra franco-prussiana sono profondamente radicate negli eventi
circostanti l’unificazione tedesca. All’indomani della guerra austro-prussiana del
1866, la Prussia aveva annesso numerosi territori etnicamente tedeschi e aveva
formato la Confederazione della Germania del Nord. Successivamente, la Prussia
aveva rivolto la sua attenzione al Sud della Germania, nel quale cercò di espandere la
propria influenza. La Francia era fortemente contraria all’annessione della degli
Stati della Germania meridionale alla Confederazione della Germania settentrionale;
Napoleone III aveva previsto nei suoi progetti territoriali una riorganizzazione
dell’Europe centrale con un ingrandimento limitato della Prussia ma, a seguito della
guerra austro-prussiana, decise di intervenire con una politica diplomatica nei
confronti della Prussia.
La diplomazia di Napoleone III condusse a scarsi risultati; inoltre, la situazione tra la
Francia e la Prussia peggiorò progressivamente a causa della questione del
Lussemburgo: la Francia tentò di approfittare della crisi del Lussemburgo, offrendo
un compenso in denaro al re Guglielmo d’Olanda in cambio della cessione del
Lussemburgo. Il re d’Olanda accettò, ponendo come unica condizione il consenso del
re di Prussia alla transazione, soprattutto considerando la precedente posizione del
Lussemburgo, il quale era stato membro della Confederazione germanica e non
aveva potuto essere oggetto dell’annessione prussiana alla guerra del 1866 in virtù
della posizione di neutralità che aveva assunto. Ciò provocò una forte reazione
nazionalista tedesca, i quali si opposero fortemente alla cessione alla Francia.
Tuttavia, Bismarck non era ancora pronto al conflitto armato: infatti, decise di
rispettare le richieste francesi di ritirare la guarnigione prussiana dal Lussemburgo,
che ottenne invece lo status di neutralità perpetua.
Bismarck riteneva che la guerra con la Francia fosse inevitabile, nonché un elemento
necessario in grado di condurre all’unità con gli Stati del Sud della Germania. In virtù
di ciò, concluse un accordo con la Russia per cui quest’ultima si impegnava a
neutralizzare l’Austria nell’eventualità di una guerra con la Francia – possiamo
affermare che Bismarck fece leva sulla rivalità austro-russa nei Balcani.
Nel 1868 si verificò in Spagna una rivoluzione, in seguito della quale la regina Isabella
fu deposta e costretta alla fuga. Le Cortes costituenti offrirono la corona spagnola al
principe Leopoldo di Hohenzollern e ciò provocò la netta obiezione della Francia:
quest’ultima era profondamente intimorita dalla candidatura prussiana al trono
spagnolo e dall’idea di poter essere colpita sul fronte spagnolo. Con grande
disappunto di Bismarck, il principe Leopoldo decise di rifiutare la propria candidatura
al trono spagnolo. Nel tentativo di rendere maggiore la vittoria diplomatica francese,
Napoleone III inviò il Conte Benedetti a Erms, richiedendo al Re Guglielmo di Prussia
la garanzia che questione non sarebbe stata ripresa. Quest’ultimo si rifiutò,
autorizzando inoltre alla pubblicazione del dispaccio, il quale venne modificato in
modo provocatorio – il dispaccio di Erms, o anche telegramma di Erms, può essere
considerato come il casus belli della guerra franco-prussiana.
Napoleone III cercò di stringere un’alleanza in funzione antiprussiana con l’Austria,
credendo che quest’ultima accogliesse con piacere la possibilità di vendicarsi per la
sconfitta del 1866. Tuttavia, l’impero austriaco era sottoposto a un profondo
processo di trasformazione in una duplice monarchia, austriaca e ungherese, nel
quale le due parti contraenti assunsero posizioni eguali. I suoi obbiettivi principali
prescindevano il desiderio di rivalsa rispetto alla Prussia, bensì chiesero alla Francia
un sostegno per la situazione dei Balcani e di trascinare nei negoziati l’Italia, affinché
quest’ultima non agisse alle sue spalle. Tuttavia, l’Italia a sua volta richiese come
condizione il ritiro delle truppe francesi da Roma, le quali avevano occupato la città
dal tentativo garibaldino del 1867. Così agli inizi della guerra non vi era nulla di
concreto, se non l’alleanza tra Russia e Prussia.
L’esercito prussiano dimostrò fin da subito la propria superiorità, la sconfitta francese
a Sedan costringe l’esercito francese e lo stesso imperatore ad arrendersi, definendo
l’esito della guerra. La notizia di Sedan raggiunse Parigi e provocò la caduta
dell’impero e la formazione di un governo provvisorio di difesa nazionale. La
resistenza ebbe pochi risultati, infatti poco dopo Parigi venne assediata. La Prussia
richiese come condizioni di pace l’annessione di taluni territori, richiesta
profondamente disapprovata dalle altre potenze. Bismarck temeva che si formasse
una lega di neutri che cercassero di fare da mediatori, motivo per il quale cercò
velocemente di concludere la pace con la Francia. Quest’ultima si verificò con il
trattato di Francoforte nel 1871 nel quale la Francia dovette cedere alla Germania
l’Alsazia e parte della Lorena. Ciò provocò uno smacco che rese impossibile ristabilire
la normalità dei rapporti francotedeschi anche successivamente.
La Russia e l’Italia cercarono di trarre profitto dal conflitto franco-tedesco: la prima
denunciando la clausola di smilitarizzazione del Mar Nero del trattato del 1856, la
seconda approfittando della debolezza francese per conquistare Roma.

Argomento: Il periodo Bismarckiano 1871-1890.


L’unificazione tedesca determina tre conseguenze, oltre alla nascita di tale grande
potenza unificata: la Germania (precedentemente Prussia) non è più solo uno Stato
esteso all’area centro-settentrionale, anche le regioni meridionali e il secondo Stato
più importante del tempo nell’area germanica (Baviera) entrò a far parte della
confederazione tedesca. La prima conseguenza fu quindi la proiezione del potere
prussiano in un’area più ampia dell’Europa, entrando a diretto contatto con la Francia
e Austria.
La seconda conseguenza fu l’affermazione della potenza della Germania nel mondo
tedesco: nel 1866 sconfisse l’Austria, divenuto l’anno successivo impero austro-
ungarico. Il secondo Paese con cui entrò in conflitto fu la Francia, sconfitta nel 1870-
71 e ciò si concluse con la sconfitta di Napoleone e l’affermazione della Repubblica
francese.
La Prussia, divenuta ormai Germania, dopo aver sconfitto sia l’Austria che la Francia,
era la principale candidata a divenire la potenza centrale in Europa. Gli Stati Uniti
d’America erano ancora una potenza regionale, negli anni ’60 furono sconvolti dalla
guerra civile e ciò ridusse la loro possibilità di interessarsi delle questioni europee. In
Asia la Giappone era ancora una potenza acerba non in grado di proiettare la sua
forza all’esterno. Vi era una posizione eurocentrica, il controllo europeo al tempo
equivaleva a un controllo mondiale.
Perché la Germania, sotto la guida del cancelliere Bismarck, dal 1871 al 1890 avrà
una funzione così importante all’interno del sistema internazionale? Perché la
Germania, ultimo Stato nato, si trovava ad avere un ruolo centrale nel concerto
europeo? Ciò dipende innanzitutto dalla posizione geografica europea centrale e
potenziale demografico; in secondo luogo, perché esso è un Paese istituzionalmente
solido (forze profonde stabili e sviluppate) e orientato a uno sviluppo economico
sfruttando le conoscenze della seconda rivoluzione industriale, proiettando
all’esterno la sua forza.
L’Italia non poteva rappresenta un’antagonista dell’impero tedesco né essere una
potenza centrale nel sistema politico e internazionale dell’Europa perché essa è la più
debole delle potenze, si è unificata da poco e presenta al suo interno numerosi
problemi di natura istituzionale, militare, economica e sociale. Non può esserlo
neppure l’impero ottomano: è marginale, perde territori ed è colpito dalla questione
d’Oriente, provocata soprattutto dai tentativi di sottrarsi alla dominazione turca delle
popolazioni cristiane che abitavano l’impero ottomano; l’impero d’Austria e
d’Ungheria non poteva rappresentare un problema poiché era stata già
precedentemente sconfitta, inoltre tale impero era colpito dal suo carattere
multinazionale. Le tante nazionalità che abitavano l’impero avevano iniziato a mal
sopportare la dominazione austriaca e ungherese, inoltre la crescita dei nazionalismi
vi era una forte debolezza interna per cui era necessaria una posizione estera
difensiva; la Francia potenzialmente avrebbe potuto assumere una posizione centrale
all’interno del sistema, questo fu l’obbiettivo di Napoleone III e fu l’obbiettivo della
politica esterna francese degli anni ’50 e ’60 dell’800. Infatti, il secondo grande
Congresso si tenne proprio a Parigi.
Tuttavia, la Francia nel 1870 fu sconfitta dalla Germania e costretta al pagamento di
condizioni di pace particolarmente umilianti, il trattato di Francoforte condannò la
Francia a pagare un indennizzo di guerra, perse l’Alsazia e la Lorena e la sconfitta
condusse anche al crollo dell’impero di Napoleone III e il passaggio a una
Repubblica. Quindi anche la Francia, come l’impero d’Austria, al tempo dovette
assumere una posizione estera difensiva.
La Gran Bretagna è un Paese proiettata verso il mare e gli altri continenti, essa cerca
di realizzare un grande programma coloniale per la creazione di un grande impero.
La Germania guarda con attenzione l’impero britannico, soprattutto in ambito
economico e tecnologico; tuttavia, non si preoccupa perché non è interessato a una
posizione centrale in Europa, al momento ha una politica estera proiettata ad altri
obbiettivi che prescindono dall’Europa.
La Russia è un Paese profondamente arretrato sotto il profilo sociale ed economico,
povero nonostante le sue enormi ricchezze in termini di materie prime, basato su un
sistema politico dittatoriale. Nonostante l’affermazione di un Parlamento (Duma) e
l’abolizione della servitù della gleba, era ancora un Paese in cui lo Zar e la nobiltà
dominavano senza vincoli. La Germania, seppure le problematiche presentate
dall’impero russo, la temeva. Se avesse stabilito positive intese avrebbe potuto
rappresentare una seria minaccia per l’impero tedesco. Bismarck comprende che il
punto che gli può consentire di realizzare la sua politica estera è quella di assicurare
alla Russia ciò che maggiormente vuole, ossia la stabilità e la pace. La Russia vuole
che l’Europa si mantenga in una posizione immobile, pretende il mantenimento
dello status quo in Europa perché teme i cambiamenti e la diffusione di idee
repubblicane e liberali.
A seguito della guerra franco-prussiana e della conseguente sconfitta francese,
Bismarck decise di concentrare la propria diplomazia verso i due imperi orientali: la
prima fu costretta ad accettare il ruolo della Germania nell’ambito internazionale,
soprattutto dal momento che non poteva più prospettare un’eliminazione di
quest’ultima dalla Francia. Quanto alla Russia, i rapporti russo-tedeschi
continuavano amichevolmente dall’adesione della Germania alla clausola di
smilitarizzazione del Mar Nero.
Nel 1873 vi fu il patto (o lega) dei tre imperatori fra Germania, Russia e Austria. Esso
fu un patto di non aggressione, si impegnavano a non iniziare una guerra tra loro e a
non aiutare eventuali altri Paesi che li aggrediscono. L’obbiettivo di fondo di Bismarck
è quello di evitare che la Germania si trovasse coinvolta a combattere una guerra su
due fronti contro al tempo stesso la Russia e la Francia. Infatti, dopo un primo
momento di smarrimento, la Francia si stava riorganizzando e stava nascendo una
corrente il cui nome era revanscismo (rivincita). Si desiderava una rivalsa contro la
Germania e l’umiliazione subita.
La difficoltà del sistema della lega dei tre imperatori era legata alla possibilità che la
Russia e l’Austria potessero farsi guerra a vicenda per la Questione d’Oriente. I russi
ritenevano che lo strumento dell’internazionalizzazione non fosse una giusta
soluzione per assicurare ai cristiani ortodossi che vivevano nel territorio dell’impero
ottomano delle giuste garanzie di libertà. Inoltre, la Russia continuava a voler
rafforzare la propria posizione sul Mar Nero per un maggior acceso al Mediterraneo.
Ciò si andava a scontrare con l’obbiettivo dell’Austria-Ungheria di spingersi nel
Meridione e a chiudere la strada verso il Mediterraneo per evitare rivali.
La politica tedesca ebbe notevoli ripercussioni indirette sulla questione d’Oriente: la
guerra franco-prussiana, distruggendo la possibilità di restaurare la preminenza
austriaca nell’Europa centrale, ebbe l’effetto di concentrare l’interesse del
riorganizzato Stato asburgico in modo più esclusivo e considerevole verso i Balcani.
L’annessione della Bosnia e dell’Erzegovina contemplata dall’Austria avrebbe
inevitabilmente sollevato il problema serbo. Essa rappresentava un elemento di
tensione per l’impero austro-ungarico in quanto era divenuta parzialmente
indipendente a seguito di una lunga lotta contro i turchi e la sua posizione di
indipendenza avrebbe potuto sortire degli effetti sugli slavi meridionali sotto regime
asburgico – tuttavia quest’ultimi preferivano rivolgere i loro occhi alla Madre Russia,
protettrice dello slavismo.
Tra il 1876 e il 1877 la situazione tra Russia e Turchia precipitò e la prima giunse al
soccorso delle popolazioni bulgare represse, intromettendosi nei piani di Bismarck, il
quale credeva ormai di aver stabilizzato la situazione. La Russia sconfisse l’impero
ottomano e rischiò di ampliare notevolmente i suoi territori: non solo strappò agli
ottomani i territori della Georgia e dell’Armenia con un maggior controllo sul Mar
Nero, ma con il trattato di pace di Santo Stefano i russi riescono a creare lo Stato di
Bulgaria, e ciò consentiva di arrivare sul Mediterraneo con uno sbocco indiretto sul
mare Egeo. L’Austria reagì immediatamente occupando preventivamente il territorio
della Bosnia, preoccupandosi che dopo la Bulgaria i russi potessero accordarsi anche
con la Serbia e Montenegro e ottenere anche uno sbocco sull’Atlantico.
Tale situazione rese difficile per Bismarck mantenere in vita la lega dei tre imperatori.
Una guerra fra Russia e Austria-Ungheria poteva una guerra europea dal momento
che neppure la Gran Bretagna avrebbe accettato, oltre la Francia, l’Italia, l’Austria e
l’impero ottomano, vi fosse anche un’ulteriore potenza europea nel Mediterraneo.
La Russia, per non combattere da sola contro la Gran Bretagna, Austria-Ungheria e
impero ottomano, non avrebbe potuto non allearsi con la Francia.
Bismarck ritenne che fosse necessario un Congresso, il quale venne convocato nel
1878 a Berlino e, mediante l’appoggio della Gran Bretagna, riuscì a ridurre in
maniera considerevole le aspettative della Russia: gran parte dei territori della nuova
Bulgheria vennero restituiti all’impero ottomano, perdendo lo sbocco indiretto sul
Mediterraneo. L’Austria fu premiata con la possibilità di controllare effettivamente la
Bosnia, territorio occupato preventivamente per difesa, anche se formalmente
ancora sotto il dominio turco. La Gran Bretagna venne ricompensata per aver
supportato la politica tedesca: ottenne l’amministrazione di Cipro nel 1878.
I grandi vincitori del Congresso di Berlino furono l’Austria per il nuovo controllo sulla
Bosnia, Gran Bretagna per aver ottenuto Cipro e la Germania per aver mantenuto la
sua posizione centrale nel sistema europeo. La Russia invece ottenne molto poco e
fu costretta ad accettare tale situazione; l’indipendenza della Bulgaria, Romania,
Montenegro e Serbia dimostrano che il sistema internazionale agì tutelando i diritti
delle popolazioni cristiane d’Oriente a scapito dell’impero ottomano, il cui territorio
fu fortemente indebolito.
Tuttavia, Bismarck aveva ancora la necessità di tutelarsi e ciò lo spinse a stringere un
trattato segreto nel 1879, la cosiddetta Duplice austro-tedesca che durerà fino alla
Prima guerra mondiale in funzione antirussa: se la Russia avesse attaccato uno dei
due membri dell’alleanza, l’altro sarebbe stato impegnato a venirgli in aiuto con tutte
le sue forze; un attacco da parte di un’altra potenza avrebbe comportato soltanto la
neutralizzazione benevola dell’alleato, salvo che quella potenza non fosse aiutata
dalla Russia. Costretto a fare una scelta, Bismarck aveva preferito la Duplice
Monarchia, soprattutto in virtù della reazione russa al trattato di Berlino e di come
aveva ritenuto che la Germania non l’avesse supportata. Tuttavia, non vi era alcun
contrasto russo-tedesco e tantomeno alcun intervento aggressivo della Germania
contro la Russia. Bismarck era disposto ad attendere che prevalesse la lunga
tradizione di amicizia con la Germania – la sua idea su come mantenere in armonia
Austria e Russia consisteva in un ragionevole compromesso basato sul reciproco
riconoscimento di legittimi interessi: in termini concreti egli pensava si potessero
dividere i Balcani in due zone così che la Russia avrebbe potuto avere mano libera
nell’area orientale e l’Austria in quella occidentale.
La Russia si lasciò convincere, anche per la comunanza ideologica degli altri due
imperi: quindi, Bismarck ottenne la firma di un nuovo accordo tripartito nel 1881.
Esso stabiliva la neutralità degli altri due dell’alleanza nell’eventualità che il terzo
membro fosse in guerra con una quarta grande potenza. Ciò doveva applicarsi pure
nel caso di un conflitto russo-turco, ma in tale eventualità era necessario un previo
accordo fra le tre potenze. Inoltre, va ricordato che tale accordo non era sostitutivo
dell’alleanza austro-tedesca del 1879.
L’alleanza austro-serba può essere considerata come una conseguenza logica dello
sviluppo del trattato dei tre imperatori: l’Austria e la Serbia si impegnarono a
perseguire una politica di amicizia nel quale nessuna delle due avrebbe tollerato
un’azione contro l’altra – tuttavia, essa non era un’associazione fra eguali, bensì vi
era un rapporto di dipendenza, quasi un protettorato dell’Austria sulla Serbia.
Un’altra conseguenza logica fu l’alleanza austro-rumena alla quale si unì anche la
Germania, la quale si basava sul malcontento romeno verso la Russia dopo il
congresso di Berlino.
L’obbiettivo di Bismarck era evitare che le altre potenze europee si alleassero con la
Francia e ulteriori sviluppi al movimento del revanscismo. A fronte di ciò il
cancelliere incoraggiò una politica francese estera al di fuori dell’Europa, spingendo
quest’ultima a occupare la Tunisia nel 1871 e alla creazione del protettorato francese
sulla Tunisia. Ciò peggiorò progressivamente non solo i rapporti con la Gran Bretagna
evitando possibili alleanze tra le due potenze, ma ponendo anche l’Italia contro la
Francia: infatti, l’occupazione della Tunisia era stato un obbiettivo del programma
coloniale italiano, sia per la vicinanza geografica che per la presenza di comunità
italiane nel territorio tunisino. L’Italia subì un grave colpo e decise di rivolgersi alle
potenze centrali per stabilire un’alleanza: anche se non era possibile disfare il fatto
compiuto, poteva agire in funzione antifrancese e distruggere l’isolamento
internazionale di cui aveva avuto prova nel Congresso di Berlino.
Si realizzò una perfezione diplomatica: Bismarck aveva isolato la Francia, aveva
allontanato la stessa Francia e Gran Bretagna dall’Europa e posto la Russia nelle
condizioni di accettare la supremazia tedesca. Vi era la centralità della Germania con
una triplice alleanza con Austria-Ungheria e Italia e un accordo con la Russia
mediante la lega dei tre imperatori.
Quest’ultimo accordo però si scioglierà nuovamente nel 1885 per nuovi tumulti della
questione d’Oriente, specificamente per l’opposizione austriaca circa la preminenza
russa in Bulgaria, provocando un collasso della divisione dei Balcani operata da
Bismarck; inoltre, la stessa Italia con Francesco Crispi e la sinistra storica iniziò ad
assumere perplessità sulla sua posizione europea. Infatti, nonostante la Germania
abbia assicurato un intervento nel caso di conflitto con la Francia, l’Italia aveva
dovuto rinunciare alla propria unificazione e non aveva ottenuto in Africa nuovi
territori, perlopiù si dimostrava interessata all’area dei Balcani controllata dall’Austria
– ciò spinse l’Italia nel rinnovo del trattato della Triplice alleanza a contrattare nuove
condizioni con due protocolli: se quest’ultima avesse voluto apportare dei
cambiamenti nello status quo del Mediterraneo, la Germania dovrà esserle alleato;
quanto invece ai rapporti tra l’Austria-Ungheria e l’Italia, venne accordato che
qualsiasi cambiamento nell’area balcanica doveva essere sottoposto al previo
consenso dell’altro. L’Italia si era assicurata il riconoscimento austriaco di una
posizione di eguaglianza nei Balcani.
La richiesta italiana di nuovi protocolli preoccupò la Gran Bretagna, motivo per il
quale vennero stretti ulteriori accordi: Gran Bretagna, Italia e Spagna firmarono il
Primo Patto Mediterraneo per il mantenimento dello status quo nel Mediterraneo
Occidentale; invece, Italia, Gran Bretagna e Austria per il mantenimento status quo
nel Mediterraneo orientale nel Secondo Patto Mediterraneo.
Nel biennio 1887-1888 vi fu un ulteriore rafforzamento tedesco e la Romania
divenne un Paese federato della triplice alleanza. Gli occorreva solamente
recuperare la Russia a seguito del crollo del patto tripartito e ciò avvenne mediante il
Trattato di Contro assicurazione: infatti, la Russia era ormai intimorita dalla
posizione isolata a cui la Germania l’aveva costretta, posizione completamente
analoga a quella francese, e ciò la spinse a ratificare tale trattato. Esso era un trattato
in cui la Russia si assicurava di non attaccare la Germania in caso di conflitto con la
Francia e la Germania non avrebbe attaccato la Russia in caso di conflitto con
l’impero austro-ungarico.
Il 1888 può essere considerato come l’anno nel quale il nuovo orientamento iniziò a
prendere forma: l’imperatore Guglielmo morì e venne sostituito dal suo successore
Federico, il quale tuttavia rimase in vita solamente 3 mesi dopo aver ottenuto la
corona. Gli successe Guglielmo II, il quale aveva idee estremamente differenti
dall’anziano cancelliere Bismarck e vi sarà una rottura nella perfezione diplomatica
realizzata da quest’ultimo.
Argomento: Il riallineamento delle potenze, 1890-
1904.
La Gran Bretagna e la Francia avevano iniziato ad attuare un programma imperialista
per il controllo dei continenti, la prima per proiettare la propria potenza marittima
oltreoceano e la seconda perché si sentiva costretta nel territorio europeo a causa
dell’egemonia tedesca. Invece potenze come l’Italia, il Portogallo, la Spagna e il
Belgio iniziarono il loro programma coloniale soprattutto perché interessati alle
materie prime e a sbocchi su ulteriori mercati. Possiamo affermare che il cosiddetto
scramble of Africa and Asia quale si era verificato per una serie di motivi: ambizione
politica ed egemonica, accesso a materie prime per vantaggi competitivi nel
contesto economico e il controllo di nuovi mercati in cui poter smerciare.
La Russia aveva scelto per sé una via differente, aveva deciso di estendersi nel
continente asiatico con colonizzazione terreste. L’Austro-Ungheria era una potenza in
cadenza come l’impero ottomano: quest’ultimo si impegna a non perdere i territori
restanti dei Balcani e del Medio Oriente; invece, l’impero austroungarico non
perseguiva un progetto politico ad allargare le dimensioni oltremare del proprio
territorio per le difficoltà interne dovute al carattere multilaterale.
Quando nel 1890 muore l’imperatore Guglielmo I, il quale aveva fino a quel
momento carta bianca al cancelliere, Bismarck si ritrovò in una condizione di
difficoltà: il nuovo imperatore Guglielmo II era molto più giovane e non condivideva
alcuna delle politiche interne di Bismarck (quest’ultimo non solo si mostrò contrario
alla popolazione tedesca cristiano-cattolica ma non si era occupato di sradicare lo
sviluppo del movimento socialista all’interno del Paese).
Ciò che però condusse alle dimissioni del cancelliere da ogni sua carica furono le
questioni di natura internazionale: il nuovo imperatore rinfacciò a Bismarck di non
aver pensato per la Germania una politica imperialista, nonché a una possibilità per
la Germania di proiettare la propria forza aldilà del continente europeo. In una
prospettiva di concorrenza economica e tecnica la Germania avrebbe
progressivamente visto un ridimensionamento della propria potenza, la sua
egemonia esclusivamente europea avrebbe condotto a una condizione di inferiorità.
L’imperatore Guglielmo II cercò di recuperare il tempo perduto, lanciando un
progetto che rafforzasse la capacità marittima della Germania e affermando la
presenza tedesca negli altri continenti (assicurandosi il controllo dell’attuale
Mozambico, Tanzania e Camerun); tuttavia difficilmente avrebbe potuto recuperare il
divario che si era sviluppato in quegli anni rispetto Parigi e Londra, soprattutto per la
mancanza del controllo di Suez.
Il rafforzamento marittimo della Germania e l’interessamento dell’industria tedesca
per le materie prime e degli sbocchi di mercato condussero a una reazione inglese, i
quali fino a quel momento avevano accolto positivamente la politica di indifferenza
di Bismarck per i territori oltreoceano. Tuttavia, gli inglesi non cercarono
immediatamente il conflitto, volevano che il balance of power di Bismarck
rimanesse vivo per poter sviluppare la loro potenza economica e commerciale.
La Francia invece puntava a un rapido cambiamento degli equilibri europei, non solo
era interessata a una conquista degli altri continenti ma desideravano anche
realizzare il movimento del revanscismo, una rivalsa nei confronti della Germania.
Essa è consapevole che deve allontanare dalla Germania la Russia: essa era stata
parte della lega dei tre imperatori (e del suo rinnovo) e si era decisa a firmare l’Atto
di Contro assicurazione, tuttavia l’impero russo era ben consapevole che il suo
rapporto con la Germania non le avesse assicurato alcun vantaggio, motivo su cui
spinge la Francia per la costruzione di una serie di rapporti di alleanza (sebbene vi
fossero delle difficoltà per le profonde differenze nei loro sistemi istituzionali, la
Francia democratica e la Russia autocratica). Nel 1894 venne firmata la Duplice
franco-russa in cui la Russia avrebbe difeso la Francia in caso di attacco dalla
Germania, in contrapposizione alla Duplice austro-tedesca del 1869.
Il bilanciamento fra le potenze europee non si basava più sull’isolamento della
Francia, bensì su tali alleanze contrapposte: possiamo dedurre che l’equilibrio può
essere garantito sia da un’unica potenza nel suo ruolo egemonico e sia dal
bilanciamento esistente fra alleanze contrapposte. Un sistema analogo lo avremo con
il Patto Atlantico e il Patto di Varsavia, un bipolarismo fra le Potenze.
Non si verificò un conflitto europeo, nonostante le alleanze contrapposte, poiché i
vari Paesi erano proiettati a una politica imperialista. Infatti, nel 1884-85 si ebbe la
Conferenza di Berlino tra le Potenze europee per porre in essere un reale principio
di colonizzazione su cui basarsi: si affermò che era necessario un controllo interno
per poter dichiarare la conquista dei territori.
Tuttavia, il maggiore timore dei tedeschi è che alla Duplice franco-russo potesse
unirsi la Gran Bretagna. L’Italia e l’impero ottomano non erano una preoccupazione,
la prima perché nel 1891 l’Italia aveva rinnovato il trattato della Triplice Alleanza
(seppure non accompagnato dai Patti mediterranei che avevano accompagnato il
primo rinnovo) e nel secondo caso poiché l’impero ottomano era in decadenza.
Perché la Gran Bretagna avrebbe potuto schierarsi con la Germania se essa era
preoccupata dalla costruzione degli armamenti tedeschi? Paradossalmente, sebbene
la Gran Bretagna fosse preoccupata della possibile concorrenza tedesco, la Gran
Bretagna aveva maggiori dissidi con la Francia. I britannici stavano cercando di
realizzare un programma che prevedeva un controllo da Nord a Sud dell’Africa
centro-occidentale e, sulla base del principio dell’effettiva occupazione affermata
nella Conferenza di Berlino, gli inglesi stavano cercando di occupare e controllare
internamente il territorio. I francesi volevano invece realizzare un controllo
dell’Africa dall’Occidente all’Oriente: dall’oceano Atlantico al mare Rosso per
controllare le stazioni commerciali e un controllo su alcuni territori del Mar Rosso. Il
punto di scontro tra il colonialismo britannico e quello francese si realizzò in Sudan,
ragione che i francesi puntavano per l’accesso al Mare Rosso. Nel 1898 si verificò
l’episodio di Fashoda che quasi comportò una guerra coloniale tra le due potenze:
ciò venne sventato dal momento che la Francia lasciò libera la realizzazione del
programma inglese di un controllo da Alessandria di Egitto fino alla città del Capo;
tuttavia, era poco probabile che la Duplice franco-russa potesse avvalersi
dell’alleanza inglese.
Nel 1897 si verificarono anche tensioni tra Austria e Russia per la questione d’Oriente;
tuttavia, alla fine si accordarono per dividere i territori balcanici: venne affidata l’area
occidentale all’Austria e orientale alla Russia. Sia Austria e Russia che Gran Bretagna e
Francia decisero di non eliminare l’equilibrio presente nel sistema per poter
perseguire i loro obbiettivi.
La situazione asiatica era molto differente rispetto all’Africa: vi erano due Stati
preesistenti all’arrivo degli europei, l’impero ultra-millenario cinese e il Giappone.
Nel primo caso il potere dell’imperatore era stato eroso dai signori della Guerra, i
Mandarini; invece, in Giappone il potere dell’imperatore era ancora molto saldo,
negli anni ’60 dell’800 egli aveva posto in essere dei cambiamenti istituzionali,
commerciali, economici e sociali affinché il Giappone potesse estendere la propria
influenza su ulteriori regioni dell’Asia. Il Giappone non deve solamente preoccuparsi
dei conquistatori europei ma anche della grande Potenza dall’altra parte del Pacifico,
gli Stati Uniti d’America.
La prima differenza era quindi la presenza di due potenze preesistenti (Cina e
Giappone); la seconda è rappresentata dalla comparsa di una potenza coloniale
extra-europea, gli Stati Uniti d’America; la terza differenza è data dalla presenza della
Russia. Essa stava realizzando un processo di espansione in direzione dell’Asia
centrale e dell’Estremo Oriente asiatico che l’aveva progressivamente condotta ad
allargare il suo territorio. La Russia era destinata a scontrarsi con il Giappone,
interessata alla penisola coreana e all’area centro-settentrionale della Cina. La
presenza della Russia rende il Giappone una potenza coloniale nel proprio
continente.
La Gran Bretagna temeva che la Russia potesse ridimensionale la sua presenza nel
sub-continente asiatico e che potessero ulteriormente puntare a uno sbocco
sull’Oceano indiano. Possiamo trarre una duplice conclusione: il timore tedesco che
la Gran Bretagna possa rientrare nella Duplice franco-russa è infondato, essa ha una
rivalità con la Francia in Africa e con la Russia in Asia per la sua penetrazione dal
Caucaso nella Persia in direzione dell’Oceano indiano; il secondo punto è che non vi
era la volontà da parte delle Potenze di giungere a un conflitto armato rispetto a
questioni di natura coloniale, la definizione degli equilibri all’interno dei continenti
non europei era ancora in corso.
Dal 1898 al 1901 scoppiano una serie di rivolte nelle città costiere cinesi ostili alla
penetrazione politica, sociale, culturale straniera all’interna del proprio territorio. La
cosiddetta rivolta dei Boxer, organizzata dalla società segreta cinese con la finalità di
cacciare gli europei dal continente, vide le Potenze europee accordarsi per cercare di
controllare tali rivolte. Avremo addirittura la creazione di un corpo di polizia
internazionale e ciò dimostra la priorità di realizzare la loro conquista coloniale,
rimandando un loro confronto armato.
Dal 1897 al 1914 abbiamo un periodo caratterizzato da una compenetrazione delle
alleanze: l’equilibrio costruito da Bismarck verrà sostituito da un sistema
contraddittorio di impegni e alleanze caratterizzato da una condizione di generale
anarchia. Alla base di tale situazione contraddittoria vi era la diplomazia segreta: i
Paesi firmavano tra loro accordi il cui contenuto non era noto alle altre Potenze, era
difficile comprendere quali fossero gli accordi esistenti (un esempio può essere la
Duplice alleanza nel 1979 tra la Germania e l’impero austroungarico in funzione
antirussa; o gli accordi militari franco-russi alle spalle della Germania). La diplomazia
segreta era un elemento di tensione che determinava un’atmosfera di sospetto
reciproco e la non consapevolezza dei reali accordi condurrà a un effetto domino
durante il primo conflitto mondiale.
Oltre agli elementi di tensione europee – come tra l’impero austroungarico e la
Russia per la penisola balcanica, o tra Germania e Francia per la conquista della
prima dell’Alsazia e la Lorena, vi erano anche le rivalità per i territori extraeuropei.
La Francia e la Gran Bretagna ebbero un momento di tensione nel Sudan; tuttavia,
nel 1904 riuscirono a risolvere la situazione con l’Intesa cordiale che definiva i loro
rispettivi programmi coloniali e le zone di influenze: la Gran Bretagna poterono
espandersi dall’Egitto al Sud Africa nella colonia del Capo, invece la Francia ottenne
la possibilità di espandersi dal Golfo di Guinea al centro del continente africano –
lasciando territori minori alla Spagna, Portogallo, al Belgio e all’Italia; invece per
quanto riguarda l’Asia i loro programmi erano perfettamente compatibili: la Gran
Bretagna voleva rafforzare il suo controllo sul sub-continente indiano (Pakistan,
India, parte del Tibet, Sri Lanka, Bangladesh, la Birmania erano territori vitali per
l’impero coloniale britannico), gli inglesi volevano controllare la Malesia e il
Singapore, quest’ultima fondamentale poiché con lo stretto di Malacca vi era il
passaggio tra oceano indiano e Atlantico. Invece la Francia voleva estendere la
propria influenza sull’Indocina, territori strategici dal momento che si trovavano sul
mare cinese meridionale e consentivano ai francesi di partecipare a un’area
fondamentale per i commerci e per le vie di comunicazione.
L’Intesa cordiale non era un trattato di alleanza tra Francia e Gran Bretagna, bensì
esso era un accordo di definizione delle rispettive zone di influenza coloniale in
Africa e Asia. Invece era più difficile trovare un accordo tra Gran Bretagna e Russia,
entrambe concentrate sull’Asia: il colonialismo russo era esclusivamente terreste,
cercando di espandere il proprio controllo oltre gli Urali in direzione del Caucaso per
un maggior controllo del Mare Nero e verso l’Asia Centrale, quest’ultima
fondamentale per i britannici e che per la Russia significava un avvicinamento
all’India, Persia e Afghanistan.
La Russia aveva compreso che un accesso ai liberi mari, sebbene non fosse possibile
in Europa, sarebbe stato invece possibile espandendosi in estremo Oriente mediante
il mare del Giappone. Dalla fine degli anni ’60 dell’800 il Giappone aveva iniziato un
processo di evoluzione, l’obbiettivo era di divenire una Germania d’Oriente
trasformandosi in una potenza politica, economica e culturale con una zona di
influenza in Asia. L’espansione russa in Asia pone essa in contrasto sia con la Gran
Bretagna che con il Giappone.
La Gran Bretagna riuscì diplomaticamente a porre il Giappone contro la Russia, non
assumendo direttamente una posizione di scontro diretto contro la Russia. Gli inglesi
riconobbero al Giappone una zona di influenza in Asia (nel mare del Giappone, nel
mare cinese settentrionale e orientale) e ciò andò a pregiudicare gli obbiettivi russi.
Il Sud era sotto il controllo di britannici e francesi, il Nord iniziò a essere sotto il
controllo giapponese – i russi non erano disposti ad accettare che i giapponesi
sottraessero loro la possibilità di un controllo e condusse a un conflitto armato nel
1904. Essa si concluse l’anno successivo con una clamorosa sconfitta dei russi dalla
marina giapponese, nonché la prima volta che una potenza europea venisse
sconfitta in una guerra da una potenza extraeuropea. La vittoria del Giappone
condusse a un cambiamento degli equilibri: il Giappone iniziò a realizzare un proprio
progetto coloniale, contrapponendosi ai progetti europei.
Nel 1907, due anni dopo la conclusione del conflitto, nonostante le difficoltà causate
dalle differenze ideologiche, vi fu la definizione di un accordo tra la Russia e la Gran
Bretagna relativamente a definire le zone di influenza dei due Paesi: né la Gran
Bretagna né la Russia avrebbero cercato di penetrare nel Tibet; inoltre, i due Paesi
divisero la Persia in due zone di influenza: una zona settentrionale sotto l’influenza
russa e meridionale sotto l’influenza britannica, al tempo stesso i russi riescono ad
aumentare la loro penetrazione del Caucaso. Ciò che premeva ai britannici era che i
russi non realizzassero iniziative in direzione dell’Afghanistan, esso doveva essere
uno Stato cuscinetto fra i territori controllati dai russi e il subcontinente indiano –
mediante tale accordo, la Russia riconobbe l’Afghanistan come zona di influenza
britannica.
L’alleanza tra Gran Bretagna e Russia completò un sistema di alleanze che finiva per
essere alternativo a quello rappresentato dalla Triplice Alleanze di Germania, Austro-
Ungheria e Italia: tuttavia, quest’ultimo sistema era un reale sistema di alleanza tra i
tre Paesi, l’Italia si era impegnava a difendere la Germania in caso di attacco della
Francia, la Germania si impegna a difendere l’impero austroungarico in caso di
attacco russo. Invece nella Triplice Intesa tra Francia, Gran Bretagna e Russia non vi
era un reale sistema reciproco di alleanze, bensì tre atti bilaterali separati:
un’alleanza franco-russa e due accordi riguardanti esclusivamente questioni extra-
europee, ossia l’accordo anglo-francese del 1904 e l’accordo anglo-russo del 1907.
L’Italia, nonostante avesse deciso di rinnovare il trattato della Triplice Alleanza, non
era completamente contenta della propria posizione: Trento e Trieste erano ancora
sotto il controllo austriaco, ciò aveva bloccato il suo processo di unificazione
nazionale; inoltre non aveva ottenuto nulla in Africa. L’Italia comprese che solamente
con un accordo con la Francia avrebbe potuto realizzare il proprio programma
coloniale in Africa settentrionale. Infatti, Italia e Francia realizzeranno una serie di
accordi firmati dal 1900 al 1902 che permise loro di dividere le aree di influenza in
Africa: la Francia accettò la sovranità italiana sulla Libia, così come l’Italia accettò il
controllo francese sul Marocco.
Tuttavia, anche la Germania avevano mire sul Marocco: lo stretto di Gibilterra e il
resto del Mediterraneo erano sotto il controllo inglese, invece il canale di Suez dal
controllo franco inglese, motivo per cui era necessario un appoggio nel Marocco per
una circumnavigazione dell’Africa da parte della marina tedesca che potesse
permettere anche uno sbocco sull’Asia. Sulla base di tali ambizioni tedesche, il punto
di accordo tra la Francia e l’Italia relativamente alle zone di influenza africane creò
tensioni tra Italia e Germania.
La visita dell’imperatore Guglielmo II a Tangeri era una chiara rivendicazione tedesca
del Marocco. Tale gesto venne seguito dalla proposta tedesca di una conferenza
internazionale per riesaminare la situazione marocchina – tale richiesta e tale
opposizione all’influenza francese sul Marocco provocò ciò che può essere definita
come prima crisi marocchina. Il Marocco in sé non era altro che un altro problema di
espansione imperialistica, ciò che gli attribuì una maggiore importanza fu il fatto che
esso fornì l’occasione di una crisi europea di primaria importanza, nonché il pretesto
perfetto per la Germania per mettere alla prova la natura precisa dell’Intesa.
Tuttavia, l’ironia del risultato, fu che la Germania stessa per la posizione aggressiva e
intransigente assunta ad aver provocato un’associazione più forte tra Gran Bretagna
e Francia. La conferenza internazionale si ebbe ad Algeciras nel gennaio del 1906 in
cui, piuttosto che una conclusione definitiva della conclusione, si andò a determinare
un compromesso: venne confermata la condizione giuridica internazionale del
Marocco e la politica della Porta Aperta venne mantenuta, ma allo stesso tempo
vennero riconosciute competenze speciali alla Francia e alla Spagna, soprattutto
rispetto all’organizzazione delle forze armate e al mantenimento della pace interna.
Non fu solamente l’Africa settentrionale tra le grandi Potenze, ma anche ciò che
stava accadendo nei Balcani. La situazione precipitò nuovamente a partire dal 1907
quando la Bulgaria si rese indipendente sotto un principe tedesco, sottraendo l’area
di influenza alla Russia. Temendo che la Serbia appoggiata dalla Russia potesse
estendere i suoi conflitti, l’Austria decise di annettere il territorio della Bosnia
Erzegovina (fino a quel momento una sorta di protettorato) e ciò andò a pregiudicare
i progetti italiani sull’area balcanica. Le potenze dell’Intesa cercarono di favorire la
convocazione di una conferenza internazionale, ma l’Austria si rifiutò. Quest’ultima
ne accettò la convocazione soltanto quando le Potenze acconsentirono
preventivamente a riconoscere il fatto compiuto, ma gli strascichi dell’episodio
furono considerevoli. La Russia rimase delusa dalla mancanza di appoggio francese e
britannico, ma il suo risentimento maggiore era diretto alle potenze centrali,
soprattutto verso la Germania: infatti, il deciso appoggio della Germania nei
confronti dell’Austria costrinse la Francia a trattenere la Russia per evitare un
conflitto armato. Questo comportamento della Germania rafforzò la propria alleanza
con l’Austria.
Nel 1909, a seguito dell’annessione austriaca della Bosnia-Erzegovina, l’Italia firmò il
trattato di Racconigi con la Russia in cui si impegnano per il mantenimento dello
status quo nella penisola balcanica, dichiarando che eventuali mutamenti nell’area si
sarebbero verificati previo consenso dell’altro. Gli accordi italofrancesi e il trattato di
Racconigi con la Russia, pongono l’Italia in una condizione di anomalia rispetto alla
Triplice Alleanza a cui apparteneva.

Argomento: La seconda crisi marocchina, o crisi di


Agadir (1911-1912)
La seconda crisi marocchina del 1911 fu sotto molti aspetti la curiosa ripetizione di
quella che si era verificata precedentemente. Si verificarono disordini interni in
Marocco e ciò costrinse i francesi a intervenire militarmente nel maggio del 1911
occupando Fez. La Germania temeva che tale occupazione potesse comportare il
completo assorbimento del Marocco da parte della Francia, motivo per il quale
decisero di inviare una cannoniera tedesca ad Agadir, affermando l’eguaglianza delle
posizioni francesi e tedesche in Marocco. La reazione russa verso la Francia fu quella
di ripagarla della stessa moneta che essa aveva usato per la questione bosniaca,
ritenendo che tale contesa coloniale fosse insufficiente al conflitto.
La Germania fece intendere alla Francia che per sventare tale crisi e possibile
conflitto era necessario che essa ne pagasse il prezzo, specificamente venne richiesto
il territorio del Congo francese. L’accordo franco-tedesco venne firmato il 4
novembre del 1911, ponendo fine alla crisi: la Germania accettò lo stabilimento di un
protettorato francese sul Marocco, ricevendo in cambio considerevoli strisce di
territorio dal Congo francese.

La guerra di Libia:
Un mese prima al giorno in cui venne firmato l’accordo franco-tedesco che chiudeva
formalmente la crisi di Agadir, l’Italia inviò alla Turchia un ultimatum, seguito
immediatamente da una dichiarazione di guerra: il problema concreto era
rappresentato a Tripoli e alla Cirenaica, nel quale l’Italia lamentava che i suoi
interessi erano costantemente danneggiati dai turchi. Ciò che spinse l’Italia ad agire
in quel modo fu il nazionalismo interno sempre più aggressivo; invece, dal punto di
vista internazionale, la Tripolitania costituiva l’ultimo territorio non accaparrato dalle
potenze imperialistiche dell’Africa settentrionale mediterranea. I crescenti interessi
tedeschi a Tripoli spinsero l’Italia ad agire preventivamente: vi fu la prevalenza
dell’esercito italiano e l’annessione della Tripolitania e della Cirenaica il 5 novembre
1911.
L’attrito maggiore per tale azione militare dell’Italia fu con i suoi alleati ufficiali: la
Germania provò un forte disappunto e l’Austria adoperò i termini formali
dell’alleanza per impedire all’Italia di intraprendere un’azione nei Balcani.

Le guerre balcaniche:
La guerra italo-turca, sebbene fosse in sé una questione di importanza alquanto
secondaria, fu universalmente impopolare fra le potenze europee perché toccava il
settore sensibile dell’impero ottomano. La guerra in Libia e le guerre balcaniche del
1912-13 furono intimamente connesse.
La Russia in tale periodo non si preoccupava di estendere la sua influenza nei
Balcani, quanto perlopiù di provocare una mutazione nella situazione degli Stretti.
Gli sforzi della Russia vennero ripagati nel momento in cui venne conclusa
un’alleanza serbo-bulgara – l’intento evidente dell’alleanza fu quella di soddisfare
l’irredentismo dei due Paesi a spese della Turchia. Venne convenuta una spartizione
della Macedonia in una zona serba a Nord e una zona bulgara a Sud, qualsiasi zona
contestata sarebbe stata assegnata in seguito a una decisione arbitrale dello zar.
Tuttavia, la Russia non si rese conto delle implicazioni che avrebbe potuto avere
quell’alleanza: infatti, l’accordo iniziale venne sostituito da un’intesa militare più
precisa e successivamente si andò a costituire la Lega balcanica con la conclusione di
un accordo greco-bulgaro. Il malcontento nel settore ottomano dei Balcani, risultato
della politica nazionalistica dei Giovani Turchi, nonché il fatto che la Turchia era
impegnata nella guerra con l’Italia, rese i Balcani maturi a un’esplosione.
L’Austria si rivolse alle potenze nell’intento di svolgere una comune azione a
Costantinopoli. I negoziati proseguirono per l’estate, finché non venne formulata una
proposta francese secondo cui le potenze si sarebbero opposte a qualsiasi
mutamento dello status quo della Turchia europea. La Russia e l’Austria, le due
grandi potenze più interessate alle questioni balcaniche, ebbero l’incarico di far
intendere la volontà comune dell’Europa agli Stati balcanici – tuttavia, la nota austro-
russa non giunse in tempo per impedire la dichiarazione di guerra del Montenegro
alla Turchia, seguita poco dopo da quella della Lega Balcanica.
Poco dopo un mese, la Turchia venne ovunque sconfitta sul campo. L’Europa non era
preparata a quest’esito della guerra: successivamente alla sconfitta degli eserciti
turchi, venne riunita a Londra una conferenza della pace per giungere a un’intesa tra
i turchi e gli alleati balcanici. Tale conferenza venne sospesa da ciò che può essere
definita come la seconda guerra balcanica, una futile ripresa della resistenza turca, i
quali infine dovettero cedere tutto il territorio turco in Europa.
Nonostante la pace successivamente firmata con la Turchia a Londra nel 1913,
l’equilibrio nei Balcani non era stato ristabilito: l’Austria, la quale per le prime fasi del
conflitto era rimasta inattiva, si oppose all’accesso della Serbia al mare sollecitando la
creazione di uno Stato albanese che lo impedisse, proposta per il quale l’Austria
aveva ottenuto l’appoggio dall’Italia, contraria a sua volta
dell’espansione degli slavi meridionali lungo l’Adriatico. La pressione austriaca sulla
Serbia abbia l’effetto di indurre quest’ultima a rivolgersi altrove per ottenere
compensi: ciò riaprì la questione della Macedonia e, trovandosi anche in contrasto
con la Grecia riguardo al possesso di Salonicco, la Bulgaria diede inizio nello stesso
anno alla terza guerra balcanica. Cogliendo l’occasione, i turchi si gettarono nella
contesa riconquistando Adrianopoli; anche la Romania si mosse contro la Bulgaria,
preoccupata dagli ingrandimenti di tutti gli altri Stati e bisognosa di ottenere
compensi. Entro tre settimane dall’inizio del conflitto la Bulgaria venne schiacciata da
una combinazione di forze ostili.
L’aspetto balcanico della Questione d’Oriente venne definitivamente risolto: l’impero
ottomano non era più uno Stato europeo, sebbene continuasse a esercitare il pieno
controllo sugli Stretti. La Romania ottenne la Dobrugia, la Bulgaria fu cacciata dalla
Macedonia, la quale fu divisa tra serbi e greci. La conferenza degli ambasciatori di
Londra aveva deciso di creare uno Stato albanese e per stabilire le frontiere di tale
Stato vennero istituite due commissioni: tuttavia, a causa di disordini locali, i serbi
ritornarono in Albania nello stesso settembre del 1913 e ciò spinse l’Austria
all’azione. Nonostante ciò, non vi fu alcun conflitto dal momento che i serbi si
ritirarono nel momento in cui fu presentato l’ultimatum austriaco.
L’esplosione balcanica del 1912-13 aveva provocato attriti assai modesti, una crisi
meno grave rispetto a quella prodotta dall’annessione della Bosnia-Erzegovina.
Tuttavia, al preludio della Prima guerra mondiale gli equilibri erano estremamente
fragili e un esempio era dato dalla stessa Italia: quest’ultima aveva aiutato l’Austria a
ottenere la costituzione dell’Albania, divenuto successivamente territorio di contesa
tra le due Potenze. Nel giugno 1913 vi fu un accordo navale nel quale fu stabilita la
collaborazione delle flotte austriaca e italiana, quasi contemporaneamente alla
conclusione degli accordi fra gli Stati Maggiori della Triplice Alleanza; ma, allo stesso
tempo a dimostrazione dell’ambivalenza italiana, essa era impegnata in negoziati sia
con la Francia che con la Gran Bretagna quanto alla situazione del Mediterraneo.
La stessa situazione in Oriente era delicata e gravida di pericoli: nella Turchia
propriamente detta i tedeschi erano ansiosi di mantenere la loro influenza e la
richiesta turca del 1913 di una missione militare tedesca volta a riorganizzare
l’esercito turco venne accolta assai favorevolmente dalla Germania. Ciò provocò
tuttavia una reazione della Russia, la quale era richiese un intervento dell’Intesa in
quanto sospettosa dell’influenza di qualsiasi altra grande Potenza in Turchia. Tale
situazione dimostrò che al preludio della Prima guerra mondiale l’antico rapporto di
amicizia tra la Russia e la Germania era ormai privo di sostanza, bensì anche in
quell’occasione vi fu un rafforzamento franco-russo.

Argomento: La Prima guerra mondiale.


Quali furono le cause che condussero alla Prima guerra mondiale? Essa fu il
risultato di questioni che non erano state risolte dal 1870 in poi: i rapporti tra Francia
e Germania non erano mai giunti a una normalizzazione, la Francia era una minaccia
per l’obbiettivo tedesco di esercitare una funzione egemonica; invece, la Francia
portava avanti il movimento del revanscismo per recuperare l’Alsazia e la Lorena e
ottenere una rivalsa nei loro confronti. Vi era una rivalità territoriale ed egemonico.
La Gran Bretagna era preoccupata della proiezione marittima extra- continentale
della Germania; inoltre temeva l’espansione coloniale che aveva intenzione di
realizzare e la loro capacità di produzione (vi era una rivalità in termini economico-
commerciale).
L’impero austroungarico era scosso da movimenti nazionalisti: paesi come la
Bulgheria, la Serbia, il Montenegro provocavano delle crisi all’interno dell’impero,
cercando di provocarne un collasso al fine di determinare una nuova sistemazione
etnica della penisola balcanica. In tutto questo vi era la Russia: essa non aveva
abbandonato la sua idea di ottenere uno scoppio sul Mediterraneo.
A tutto ciò vi erano le aspettative delle potenze minori: l’Italia aveva rafforzato il
proprio progetto di un impero coloniale con la conquista della Libia nel 1912, la
quale si era unita alle colonie italiane Eritrea e Somalia; inoltre, vi era il desiderio di
completare l’unificazione nazionale, sottraendo i territori all’impero austro-
ungarico. L’Italia era anche interessata alla penisola balcanica: in primo luogo per un
motivo di sicurezza, controllare la sponda orientale del Mare Adriatico avrebbe
consentito di evitare il rischio di aggressioni sulla sua costa orientale, ma anche per
ragioni economico-commerciali (essa vedeva nella Bulgaria, Serbia, Grecia, Albania,
Montenegro come mercati di espansione).
Giungiamo al conflitto con due fronti contrapposti nel 1914 al momento dello scoppio
della guerra che presentavano al proprio interno delle anomalie: la prima era
rappresentata dall’Italia, alleata dalla Germania-Austria-Ungheria ma con obbiettivi
politici ed economici diametralmente differenti dai suoi; vi era un’anomalia anche nella
Triplice Intesa: Francia e Gran Bretagna guardavano entrambi al di fuori dell’Europa e
ciò avrebbe potuto creare delle rivalità territoriali, soprattutto per l’area del Medio-
Oriente ormai libera a causa della decadenza dell’impero ottomano; invece, la Russia
era una potenza autocratica che governa in maniera incompatibile con i principi della
monarchia costituzionale inglese e repubblica democratica francese.
L’impero ottomano, grazie all’idea tedesca di dare a esso centralità con la costruzione
della ferrovia Berlino-Istambul-Baghdad, venne meno all’intesa con la Gran Bretagna
che vi era stata fin dall’inizio del secolo. La Serbia e la Romania erano pronte a
schierarsi contro l’impero austriaco al fianco dell’Intesa; invece, la Bulgaria si
contrappose a quest’ultime per una posizione di supremazia nella penisola balcanica.
La Germania era la potenza militarmente più organizzata, tuttavia era svantaggiata
dal punto di vista geografico, essa doveva dividere le proprie forze armate su due
fronti (da un lato contro la Francia e dall’altro contro la Russia); inoltre non era
caratterizzata da una potenza marittima paragonabile a quella inglese. Dobbiamo
anche considerare che il Paese che avrebbe dovuto maggiormente aiutare la
Germania, l’impero d’Austria-Ungheria, era affidabile fino a un certo punto:
nonostante fosse alleata con la Germania, esso era un impero caratterizzato da una
pluralità di nazionalità e vi era la possibilità che alcuni potessero simpatizzare per il
fronte opposto (soprattutto per la Romania, la Serbia e l’Italia) – quindi il fronte degli
imperi centrale appariva essere molto indebolito all’inizio della guerra.
L’episodio del 28 giugno del 1914 dell’assassinio a Sarajevo di Francesco Ferdinando,
arciduca ed erede dell’impero austro-ungarico, fu la miccia del primo conflitto
armato: infatti, l’area balcanica era particolarmente tesa – non solo per lo sviluppo
dei nazionalisti, bensì per la forte instabilità a seguito delle due guerre balcaniche e
per il contrasto tra le piccole Potenze per il controllo della penisola. L’Europa
precipitò nella guerra a causa di un effetto domino provocato dalla diplomazia
segreta e dagli accordi tra le Potenze.
L’Austria inviò un ultimatum alla Serbia il 28 luglio, accusandola dell’omicidio a
Sarajevo. La mobilitazione degli eserciti e schierare gli eserciti era riconosciuto come
un atto di guerra, ragione per cui nel giro di pochi giorni abbiamo il coinvolgimento di
cinque potenze: Germania e Austria-Ungheria contro Gran Bretagna, Francia e Russia.
Il 3 agosto l’Italia proclamò la neutralità sulla base del comportamento austriaco:
infatti l’Austria-Ungheria, sospettando di un’opposizione all’azione contro la Serbia
aveva deciso di non informare l’Italia, la quale riteneva che fosse stato violato lo
spirito dell’alleanza difensiva. La Romania, altra alleanza delle potenze centrali, adottò
una posizione simile.
Alla base delle operazioni militari tedesche vi era il piano Schlieffen: la soluzione del
problema su due fronti era l’eliminazione di uno di essi, logicamente quello
occidentale dal momento che la mobilitazione francese sarebbe stata molto più
rapida di quella russa, consentendole di concentrare successivamente le sue forze a
est. Tuttavia, per dare alle operazioni tedesche il vantaggio della rapidità, avrebbero
dovuto aggirare le fortificazioni francesi di frontiera, attraversando il Belgio –
tuttavia, quest’ultimo era uno Stato neutrale: il 2 agosto venne inviato a Bruxelles un
ultimatum che richiedeva il libero passaggio per le truppe tedesche e ne subì le
conseguenze quando si rifiutò. I francesi non presero adeguate misure per
mantenere forze considerevoli alla frontiera belga, malgrado l’invasione tedesca del
Belgio fosse stata considerata un’eventualità possibile. I tedeschi riuscirono a
sopraffare la resistenza belga, marciando a rapide tappe verso Parigi. Malgrado le
loro perdite, le forze francesi non erano disorganizzate: la resistenza francese sulla
Marna ebbe successo e i tedeschi ripiegarono, anche solo di una certa distanza
perché la controffensiva francese non fu sufficientemente potente.
L’equilibrio momentaneo raggiunto nella Francia settentrionale trasformò la guerra
di movimento in una guerra di posizione. Dal mare del Nord, attraverso un piccolo
angolo del Belgio, la Francia settentrionale e la frontiera franco-tedesca fino alla
Svizzera, si costituì un fronte solido di circa 400 miglia.
In Oriente si sviluppò una situazione simile, seppure il fronte orientale fu
complessivamente più dinamico: i russi furono in grado di iniziare le operazioni
prima di quanto previsto, alleggerendo in qualche modo la pressione tedesca
esercitata in Occidente. Anche in Oriente seguì una situazione statica che vide le
opposte forze schierarsi all’incirca dal Baltico al confine rumeno. La stasi che si creò
da entrambe le partì voleva dire due cose: da un lato la necessità di una maggiore
mobilitazione e uso delle risorse interne sia materiali che umane, dall’altro lo sforzo
di assicurarsi ulteriori aiuti in settori finora neutrali.
A tal proposito, i primi sviluppi concreti si ebbero nell’impero ottomano: fin dal 2
agosto la Germania aveva ottenuto un’alleanza formale con la Turchia. Internamente
all’impero ottomano vi era un movimento politico favorevole a un’alleanza con la
Francia e la Gran Bretagna; tuttavia, il grave ostacolo era rappresentato dall’impero
russo, nemesi storica dei turchi fin dalla guerra russo- turca del 1828-29; inoltre,
prima della Grande Guerra, l’impero ottomano era divenuta oggetto dei piani
ferroviari tedeschi e ciò aveva rinnovato il rapporto turco- tedesco. Infatti, ciò
avrebbe avvicinato la Turchia all’Europa industrializzata e avrebbe provocato un
maggiore sviluppo economico. L’impero ottomano di propria iniziativa decise di
entrare nel Mar Nero alla fine di ottobre bombardando Odessa e le potenze
dell’Intesa le dichiararono guerra.
Nel maggio del 1916 le Potenze dell’Intesa, a seguito dell’entrata in guerra
dell’impero ottomano accanto agli Imperi centrali, si accordarono per una
spartizione successiva alla guerra del Medio e vicino Oriente in zone di influenza: la
Turchia orientale, la Siria e il Libano controllate dalla Francia; gli inglesi avrebbero
controllato il Kuwait, l’Arabia Saudita, la Palestina, parte dell’Egitto.
Successivamente attraverso altri accordi vennero riconosciute zone di influenza
anche alle altre Potenze: la Russia avrebbe ottenuto l’Armenia etnica, l’Italia avrebbe
avuto la possibilità di estendersi lungo le coste occidentali e meridionali della
Turchia, la Grecia avrebbe ottenuto un territorio tra lo Stretto dei Dardanelli.
Nello stesso periodo, per ottenere il sostegno delle popolazioni arabe contro
l’impero ottomano, gli inglesi avevano accordato agli arabi la possibilità di costruire
un grande Stato arabo sotto una generale influenza britannica. Inoltre, venne
riconosciuto alla popolazione ebraica mondiale nel 1917 mediante la dichiarazione
Balfour la possibilità di costruire una propria patria in Palestina, ottenendo in cambio
un ausilio dai finanzieri ebraici durante la guerra. Alcuni ritengono che gli accordi
confliggenti di spartizione del Medio Oriente tra Francia e Gran Bretagna abbiano
causato l’instabilità ancora attuale di alcuni Paesi arabi.
La guerra ebbe anche una proiezione, seppure limitata, nei territori extra-europei: la
Gran Bretagna e la Francia strapparono alla Germania le sue colonie; in Asia il
Giappone si alleò con la Francia e la Gran Bretagna, entrando in guerra il 23 agosto
del 1914. L’obbiettivo giapponese era approfittarsi della debolezza europea per
rafforzare la propria posizione e avvicinandosi all’Indocina e a territori settentrionali
della Cina.
L’Italia, a seguito di una serie di accordi segreti, entrò nel conflitto al fianco
dell’Intesa con il Trattato di Londra il 26 aprile 1915: essa si era convinta di non poter
combattere al fianco dell’Austria-Ungheria, potenza che le impediva di completare il
proprio processo di unificazione. Il calcolo secondo cui la situazione stazionaria del
1915 sarebbe stata rotta dal peso della potenza italiana si rivelò errata: le potenze
centrali furono in grado di riunire forze sufficienti per disporle sul nuovo fronte
stabilito dalla Svizzera all’Adriatico: il teatro della guerra fu semplicemente ampliato.
Così come per gli Alleati vi fu un vantaggio nel trattare con l’Italia, allo stesso modo
per le potenze centrali fu facile dare soddisfazione ai desideri bulgari in Macedonia –
infatti, il 5 ottobre 1915 la Bulgaria entrò in guerra accanto agli imperi centrali: le
forze bulgare non erano considerevoli, tuttavia rappresentarono un vantaggio per
l’Austria-Ungheria e per lo stabilimento delle potenze centrali su una fascia
ininterrotta di territorio dal Mar Nero al Golfo Persico.
Alla fine del 1915 la situazione bellica era favorevole alle potenze centrali: i fronti
occidentali e italiano erano rimasti sostanzialmente fermi, in Oriente i russi erano
stati respinti fino a una linea che li privava di tutta la Polonia. Nel 1916 i russi furono
in grado di condurre un’offensiva che li portò fino ai Carpazi, provocando un
intervento rumeno al fianco dell’Intesa. Tuttavia, la Romania giunse troppo tardi:
un’avanzata iniziale in Transilvania si mutò presto in una ritirata. Alla fine dell’anno
gli austro-tedeschi avevano sconfitto la Romania, il cui intervento tornò quindi a loro
vantaggio poiché poterono impossessarsi delle loro risorse. Nel 1917, dopo che gli
Alleati ebbero esercitato su di loro una certa pressione, soprattutto per compensare
la sconfitta delle forze rumene, anche la Grecia entrò in guerra.
La Russia ebbe difficoltà a reggere il confronto con Germania e Austria-Ungheria:
essa è un Paese arretrato e con nazionalità represse al proprio interno, soprattutto
per il desiderio di indipendenza della Polonia. Inoltre, il governo zarista ricevette un
duro colpo con il ritorno di Lenin, favorito dalla Germania con la finalità di poter
sconfiggere la Russia e concentrare le proprie forze solamente in un unico fronte.
Successivamente si verificò la caduta dell’impero zarista, sostituita dalla Repubblica
dei Soviet. il 3 marzo del 1918, senza consultarsi in alcun modo con Francia, Italia e
la Gran Bretagna, la Russia uscì dalla guerra firmando la pace di Brest-Litovsk,
perdendo una serie di territori che vanno alla Germania e all’Austria-Ungheria. Lenin
dimostrò che per lui era più importante la costruzione dello Stato sovietico e d’altro
lato, riconoscendo il diritto all’indipendenza delle popolazioni repressa, dimostrò che
la politica d’estera sarebbe stata estremamente differente da quella zarista.
Nonostante le difficoltà a causa della resa della Russia, francesi e inglesi riuscirono
nel 1918 a sferzare le offensive che li condussero alla vittoria. Tuttavia, sia nel caso
della Germania che dell’Austria-Ungheria, non è possibile parlare di una sconfitta
militare, bensì di una consapevolezza di non poter far fronte ulteriormente al
conflitto. L’intervento degli Stati Uniti d’America fu essenziale per la vittoria della
Triplice Intesa: essi avevano aiutato le potenze democratiche nei primi anni del
conflitto con le concessioni di crediti; tuttavia, il presidente Wilson si rese conto che
se l’aiuto si fosse limitato a un aiuto economico e finanziario sarebbe stato
improduttivo; invece, un intervento in guerra avrebbe potuto concretizzare il loro
obiettivo di modificare radicalmente la scena internazionale.

Fine libro Storia Diplomatica.

Inizio testo Varsori A., Storia


internazionale dal 1919 ad oggi, edizione
2020:
Nel periodo compreso dal 1919 al 1939 non vi è il raggiungimento di una condizione di
equilibrio all’interno del sistema internazionale, sembra piuttosto che le Potenze si
stiano preparando a una nuova guerra, questo dovuto soprattutto alla perdita della
Germania del suo ruolo egemonico in Europa. Tale ventennio può essere suddiviso in
diverse fasi, infatti dal 1919 al 1939 il sistema internazionale si è articolato in una
maniera tale da dare a ciascun sottoperiodo una particolare connotazione.
La prima fase inizia nel novembre del 1918 al termine del primo conflitto armato,
anche se sarebbe più corretto fare iniziare tale fase con la grande Conferenza della
Pace per definire i trattati di pace del conflitto e i caratteri del nuovo conflitto
internazionale.
Questa fase può essere definita di costruzione del nuovo sistema internazionale e
termina intorno al 1924-1925, anno in cui si giunge alla firma dei trattati di Locarno
che vanno a definire il nuovo confine tra la Francia e la Germania.
Dal 1925 al 1929 vi è la seconda fase, la quale si conclude con il crollo della borsa di
Wall Street e la grande crisi; essa è definita epoca della sicurezza collettiva, l’unico
momento fra le due guerre mondiale in cui vi è una condizione di sicurezza da parte
del sistema internazionale.
Dal 1929 al 1933 vi è la terza fase, la quale inizia con la grande crisi economica di Wall
Strett e termina con la presa di poter da parte di Hitler e del nazismo in Germania.
Tale fase è definita come prima crisi per il sistema internazionale costruito a seguito
del primo conflitto armato.
Dal 1933 al 1939 vi è l’ultima e quarta fase, la quale si conclude con lo scoppio del
secondo conflitto mondiale, epoca di distruzione del sistema di Versailles – si parla del
sistema di Versailles perché il sistema internazionale è imperniato sul più celebre
trattato della Conferenza della pace, il trattato di pace di Versailles tra la Germania e le
altre potenze.
A seguito del primo conflitto armato si presentò un problema di natura territoriale:
infatti, nell’ambito della Conferenza della pace di Parigi non vi era disponibilità da
parte delle Potenze vittoriose, soprattutto dalla Francia, di riconoscere alla
Germania un ruolo importante all’interno del continente europeo, mediante la
Conferenza la Francia voleva ottenere il riconoscimento del ruolo egemonico e il
pernio intorno cui costruire il nuovo balance of power.
Non tutte le potenze erano disponibili ad accettare il ruolo della Francia: sorgeranno
perplessità da parte dell’Italia e della Gran Bretagna, non perché desideravano
sostituirsi alla Francia come potenza centrale del sistema europeo dal momento che
l’Italia era priva dei mezzi necessari e la Gran Bretagna aveva obbiettivi che
trascendevano il continente europeo, bensì vi erano perplessità relativamente al
ridimensionamento della Germania, la quale era una potenza caratterizzata da una
forza che si esplicava su più livelli, sviluppata militarmente, politicamente,
economicamente e socialmente.
Invece la Francia desiderava non solo il ridimensionamento della Germania ma posta
nelle condizioni di non poter più rappresentare una minaccia, una condizione che la
Germania non accettava dal momento che riteneva di non aver perso la guerra ma
solamente di non aver vinto per l’intervento americano e per una stanchezza interna.
L’idea francese di ridimensionare la Germania mediante la Conferenza della pace e del
Trattato di Versailles si scontrava con quella delle altre potenze: sia logicamente della
Germania che non voleva vedere il proprio ruolo ridimensionata, dell’Italia alla Gran
Bretagna ma soprattutto degli Stati Uniti d’America.
Il presidente Wilson era contrario all’obbiettivo francese di ricostruire il sistema
internazionale sulla base della medesima diplomazia segreta ottocentesca precedente,
egli desiderava un nuovo sistema basato su 14 punti e sulla base di ciò aveva
subordinato l’intervento americano in guerra.
Tali punti furono pubblicati nel 1917, evidenziando che essi avrebbero dovuto essere
la base per il sistema internazionale a seguito del primo conflitto armato, egli
proponeva una vera e propria democratizzazione del sistema internazionale.
I trattati di pace in questa prospettiva rappresentavano solamente un punto di
partenza, successivamente sarebbe stato un nuovo organismo internazionale, la
Società delle Nazioni, a gestire il rinnovato ordine mondiale, garantendo la giustizia, il
prevalere del diritto e la pace.
Wilson auspicava un sistema in cui vi fossero dei principi cardine da rispettare:
innanzitutto il principio di nazionalità per cui ogni popolo doveva avere un proprio
Paese, esso fu particolarmente importante relativamente all’impero austroungarico
caratterizzato da una pluralità di popoli che desideravano affrancarsi da esso, infatti
alla fine del primo conflitto mondiale nacquero nuovi Stati indipendenti; inoltre vi era
il principio di autodeterminazione dei popoli che dava la possibilità ai popoli di
scegliere liberamente da che tipologia di regime farsi governare; venne affermata
anche la necessità del disarmo e, quanto alle dinamiche dei rapporti internazionali,
porre in essere nuovi strumenti come la mediazione e l’arbitraggio.
Inoltre, Wilson, opponendosi alla diplomazia segreta, affermava un’open diplomacy
caratterizzata da rapporti espliciti tra le potenze, secondo Wilson doveva verificarsi
anche una trasformazione del sistema economico; doveva svilupparsi un sistema
economico aperto privo di barriere doganali, vi doveva essere la libera possibilità di
inserirsi nel mercato.
Un caso a parte è quello riguardante la nascita di uno Stato Jugoslavo, o meglio del
nuovo regno di serbi, croati e sloveni: nella fase conclusiva del conflitto, il
nazionalismo croato e quello sloveno si unirono alle aspirazioni del leader della Serbia
allo scopo di creare uno Stato che unisse gli Slavi del Sud.
Questo processo si scontrò immediatamente con gli interessi italiani, la cui
espressione era il Patto di Londra del 1915: nelle settimane immediatamente
successive all’armistizio le forze italiane provvidero a occupare gran parte dei territori
che l’accordo concluso del 1915 avrebbe assegnato all’Italia.
Le truppe italiane si spinsero fino a Fiume, città non rientrante nel trattato di Londra,
la cui maggioranza della popolazione espresse il favore del passaggio alla sovranità
italiana. I territori occupati dall’Italia lungo il confine orientale e in Dalmazia erano
abitati da forti minoranze di lunga slovena e croata, rivendicazioni del nuovo Stavo
Jugoslavo. La situazione si risolse con i Trattati di Rapallo e di Roma che riuscirono a
determinare i confini: l’Italia ottenne la frontiera del monte Nevoso, rinunciava alla
Dalmazia, ma manteneva la propria sovranità su Zara. L’Italia conseguì una posizione
dominante sull’Adriatico e poteva proiettare la propria presenza nei Balcani.
Quanto alla Turchia, l’originale trattato sottoscritto tra l’impero ottomano e le
principali potenze vittoriosa del conflitto ridimensionava il suo territorio.
Tuttavia, la Turchia decise di scontrarsi con la Grecia per riprendere il controllo su
alcuni dei suoi precedenti territori.
La Grecia moderna era nata nel corso dell’Ottocento da un processo di indipendenza
nazionale nei confronti della dominazione turca che si era protratta per diversi secoli.
La partecipazione alla guerra accanto all’Intesa e la disgregazione dell’impero
ottomano parvero offrire alla leadership greca l’occasione per dare attuazione
all’ideale, della formazione di una Grande Grecia, erede dell’impero bizantino.
Tuttavia, in Turchia la situazione interna era estremamente complessa: l’umiliazione
militare subita, l’arrendevolezza dell’ultimo sultano nei confronti degli alleati e le mire
espansionistiche dell’Anatolia, fecero da detonatore a un processo rivoluzionario. Alla
guida della rinascita turca si pose un alto ufficiale dell’esercito, Mustafà Kemal: il nuovo
leader nazionalista riuscì a imporre il proprio controllo su gran parte dell’Anatolia,
mentre il governo del sultano continuò a esistere a Costantinopoli, sotto la protezione
delle forze alleate. Una volta sconfitta la Grecia, Mustafà Kemal riuscì a riconquistare
Costantinopoli, istituendo la nuova Repubblica Turca e rovesciando il governo
dell’ultimo sultano.
I rapporti con la nuova Repubblica turca e le potenze alleate vennero definite con il
trattato di Losanna, siglato nel luglio del 1923: inglesi, francesi e italiani rinunciarono
alle loro mire sulla penisola anatolica e alla Grecia venne sottratta parte della Tracia,
le isole di Imbros e Tenedros.
Gli altri elementi di fragilità all’interno del sistema internazionale furono: la privazione
delle colonie della Germania; infatti, le colonie africane furono spartite tra la Francia, la
Gran Bretagna, anche il Belgio ottenne una serie di territori; inoltre, il Senato
americano decise di non ratificare il Trattato di Versailles, gli Stati Uniti d’America non
entrarono a far parte delle Società delle Nazioni, venne meno l’unico Paese in grado di
condurre a una stabilizzazione.
Venne esclusa anche la Russia, isolandola con la finalità di evitare che il comunismo
potesse diffondersi in altri Paesi. Vi era stata la definizione di un sistema
internazionale che non ha nulla di nuovo rispetto a quello preesistente, a eccezione
dell’istituzione della Società delle Nazioni e la sostituzione della Germania con la
Francia e che soprattutto ha ai propri margini gli Stati Uniti, potenza che aveva
determinato la vittoria dell’Intesa nel conflitto armato, e della Russia, uno Stato
destinato ad assumere una funzione di grandissimo rilievo nel sistema internazionale.
Dal 1919 al 1924-25 non vi era una concordia tra le Potenze vincitrice del conflitto né
una comune strategia relativamente al sistema internazionale: la Francia puntava a
evitare che la Germania divenisse nuovamente una minaccia, la Gran Bretagna si
interessava limitatamente dell’Europa continentale, l’Italia avrebbe visto da lì a poco
avrebbe visto la trasformazione delle proprie istituzioni in un regime autoritario
guidato da Benito Mussolini, gli Stati Uniti puntavano alla produzione di un nuovo
sistema internazionale (a differenza dei partner europei che puntavano alla medesima
organizzazione degli anni precedenti al Primo conflitto mondiale).
Nel 1924-25 il piano di Dawes e il sistema dei Patti di Locarno risolsero due questioni
fondamentali che fino a quel momento avevano impedito una normalizzazione, ossia la
questione della riparazione di guerra e delle nuove frontiere tra Francia e Germania.
Infatti, dal 1924-25 al 1929-30 avremmo l’unico momento di stabilità e sicurezza
internazionale tra le due guerre mondiali.
La sicurezza era un obbiettivo particolarmente a cuore alla Francia, attaccata per ben
due volte negli anni precedente. Analizziamo ciò che è avvenuto precedentemente.
Furono convocate molte conferenze, soprattutto tra Parigi e Londra, per ovviare ai
problemi che non erano stati risolti nei Trattati di Parigi; tuttavia, erano stati poco
proficue dal momento che vi era una divergenza di interessi tra le Potenze.
Ciò da evidenziare è che tutte queste Conferenze convocate tra il 1920 e 1923, e di cui
la più importante è la Conferenza economica di Genova, furono prive di un intervento
della Società delle Nazioni Unite.
Essa operava per questioni marginali piuttosto che per operazioni fondamentali che
impedivano il raggiungimento di un equilibrio (danni di guerra, confini francotedeschi,
la ripresa del commercio internazionale).
La Francia continuò con una politica esecuzionista: dal momento che non si era
raggiunto un accordo quanto alle riparazioni di guerra, la Francia richiedeva che
venissero rispettati i Trattati di Versailles, nonostante la Germania fu costretta a
firmare detti Trattati con la minaccia della ripresa del conflitto.
Quando alla fine del 1922 Berlino dichiarò la propria impossibilità a pagare una rata
delle riparazioni, la reazione della Francia fu molto dura – le autorità francesi decisero
di intervenire mediante una politica che venne definita come pegno produttivo: nel
gennaio del 1923 truppe francesi e belghe procedevano all’occupazione militare del
territorio della Ruhr, cuore industriale della Germania, con l’intenzione di prelevare
dalla produzione carbonifera e industriale quanto dovuto in base agli accordi sulle
riparazioni.
Nel tale politica occupando la regione della Ruhr e gli impianti tedeschi per
appropriarsi dei ricavi. Non solo fu un insuccesso economico, bensì anche un
insuccesso politico: nel primo caso poiché andò a spendere più di quanto avesse
guadagnato per l’organizzazione di tali impianti stranieri e nel secondo poiché
dimostrò alle altre Potenze di non essere teso all’equilibrio e alla ricostruzione del
sistema internazionale.
L’azione perseguita nella Ruhr, unita alla crisi economica successiva al conflitto
mondiale, avevano esasperato ulteriormente gli animi, accrescendo il potere della
destra nazionalista e ostile alla Repubblica di Weimar.
L’episodio più significativo in tal senso fu il colpo di Stato in Baviera a opera del
movimento minoritario nazionalsocialista, guidata ai tempi da un ancora poco
conosciuto Adolf Hitler. Il cosiddetto putsch di Monaco si concluse con un fallimento a
causa del sostegno mancato delle forze conservatrici bavaresi: Hitler e gran parte dei
suoi alleati furono arretati, o costretti alla fuga.
Invece, la Gran Bretagna portò avanti una politica ricostruzionista che non teneva
eccessivamente in conto di quanto stabilito dei Trattati di pace; infatti, la finalità era
quella di ricostruire il sistema risolvendo le problematiche contingenti.
Quanto agli Stati Uniti d’America, essi assunsero un atteggiamento teso nei confronti
delle potenze europee dal momento che quest’ultime avevano pagato solamente in
parte i loro debiti di guerra.
Dunque, la grande finanza americana si propose di aiutare la Germania affinché essa
potesse pagare le Potenze vincitrici, le quali a loro volta potessero pagare il debito nei
confronti degli USA. Il piano Dawes stabiliva una rateizzazione dei debiti tedeschi sulla
base della ripresa della Germania: veniva restituito sulla base della crescita e di
quanto potevano restituire.
Tuttavia, il piano Dawes era un accordo di finanza internazionale e non tra i singoli
Stati e ciò andava a determinava un forte elemento di incertezza sulla durata di tali
prestiti.
Nonostante ciò, esso riuscì a risolvere il problema rappresentato della questione delle
riparazioni: venne posto termine all’occupazione della Ruhr e fu avviata una rapida
stabilizzazione tedesca, a loro volta le Potenze vincitrici iniziarono a pagare i debiti
contratti con l’America.
La Francia, insoddisfatta dei risultati di politica estera della propria politica
esecuzionista, decise di rivitalizzare la Società delle Nazioni Unite: essa avrebbe potuto
rappresentare uno strumento per controllare l’evoluzione del sistema internazionale e
mantenere un ruolo di primo piano all’interno del sistema internazionale.
Tale rivitalizzazione si verificò mediante il Protocollo di Ginevra, accordo
internazionale stipulato nel 1925.
Esso attuò un obbligo in capo agli Stati di risoluzione pacifica delle controversie
internazionali e si basava su tre concetti: l’arbitrato come strumento di risoluzione
delle controversie, il disarmo, la sicurezza.
Non solo ciò avrebbe assicurato per la Francia che la Germania non avesse
rappresentato più una minaccia con la riduzione degli armamenti, ma avrebbe
effettivamente condotto a una stabilità europea.
Il Protocollo di Ginevra non venne ratificato dalla Gran Bretagna e dell’Italia: la Gran
Bretagna riteneva che fosse uno strumento posto in essere dalla Francia per
assicurarsi il controllo e l’Italia, ormai controllata da Mussolini, riteneva che si sarebbe
dovuto verificare una revisione dei Trattati di pace dal momento che non aveva
ottenuto vantaggi dal conflitto.
Mussolini riteneva infatti che il Protocollo di Ginevra non fosse altro che un’ulteriore
conferma dei Trattati di pace.
Il Protocollo di Ginevra causò un riavvicinamento tra Francia e Germania, si arrivò al
sistema dei Patti di Locarno: si accordarono per accordare definitivamente la loro linea
di confine.
Nel caso in cui la Germania avesse voluto espandere i propri confini e riportare
l’Alsazia e la Lorena all’interno del proprio territorio, la Gran Bretagna e l’Italia
sarebbero intervenute al soccorso della Francia; viceversa, ciò sarebbe valso anche
nel caso in cui la Francia avesse attaccato la Germania.
La Francia decise quindi di terminare la propria politica esecuzionista; invece, la
Germania decise invece di firmare per stabilizzare i propri confini a Occidente e con
l’obbiettivo di espandersi a Oriente (Lituania, Polonia, Cecoslovacchia).
Mussolini si rese conto di tale limite del sistema dei Patti di Locarno: egli temeva che
la Germania potesse appropriarsi dell’Alto Adige, motivo per il quale richiese una
clausola a garanzia dei confini orientali della Germania; Tuttavia, tale clausola non
venne inserita.
La Gran Bretagna e l’Italia assunsero quindi il ruolo di garante di tale accordo: la prima
poiché puntava a ricostruire un equilibrio nell’ordinamento internazionale; invece,
l’Italia puntava ad assumere un ruolo più rilevante nell’ordinamento, anche se ciò si
poneva in contrasto con la politica revisionista di Mussolini.
I Patti di Locarno diedero inizio all’epoca della sicurezza collettiva, caratterizzato da
alcuni eventi di intesa e armonia delle Potenze internazionali.

• Nel 1926 la Germania, fino a quel momento ai margini dell’ordine


internazionale, entrò nella Società delle Nazioni. Ciò condusse a un
bilanciamento nell’ordinamento internazionale;

• Nel 1928 venne firmato il Patto Briand-Kellogg: lo spirito di Locarno e le


illusioni sulla possibilità di attuare anche con il sostegno della Società delle
nazioni l’obbiettivo della sicurezza collettiva trovarono piena espressione nel
patto Briand-Kellogg: l’iniziativa ebbe origine dal 1927 dal ministro degli affari
Esteri francese Briand, il quale propose agli Stati Uniti d’America un accordo
bilaterale al fine di rinunciare all’uso della forza nella risoluzione delle
controversie internazionali. È probabile che inizialmente esso fu un tentativo di
rinnovare i rapporti franco-statunitensi, tuttavia successivamente, soprattutto
su sollecitazione del segretario di Stato americano Frank Kellogg, esso divenne
un accordo multilaterale nel quale era affermata una rinuncia generale alla
guerra come strumento di risoluzione delle controversie. Fu un accordo
estremamente importante poiché gli Stati Uniti approvarono il sistema delle
Società delle Nazioni Unite, ritraendosi da quell’isolamento internazionale che
l’aveva caratterizzata dalla politica fallimentare del presidente Wilson;

• Nel 1929 il ministro francese degli esteri Briand affermò l’idea della
costruzione di un’Unione europea federale, ispirandosi al modello americano;

• Il piano Dawes aveva una durata limitata, esso venne sostituito nel 1930 dal
Piano Young. Quest’ultimo non aveva una scadenza, bensì era caratterizzato da
una condizione risolutiva per il quale si sarebbe estinto nel momento in cui
sarebbe stato ripagato completamente il debito delle riparazioni da parte della
Germania. Vennero create delle istituzioni ad hoc a tal proposito e inoltre
venne istituito che, nel caso in cui la Germania non avesse pagato la Francia, la
Francia avrebbe potuto interrompere il pagamento dei debiti americani e
l’America non avrebbe più finanziato la Germania; Per la prima volta venne
introdotto un collegamento tra il pagamento delle riparazioni e il debito degli
Alleati;
Il Paese che rimase maggiormente danneggiato fu l’Italia: non era caratterizzata dalla
potenza necessaria per riuscire a imporsi, non riuscì ad ottenere la revisione dei
Trattati di pace successivi al Primo conflitto mondiale e, quanto alla politica coloniale,
non riuscì a ottenere i risultati sperati.

La fase del 1929-1933, la quale inizia con la crisi di Wall Street e termina con la presa
del potere di Hitler, rappresenta la prima crisi del Sistema di Versailles: i presupposti di
tale sistema furono messi in discussione e si ritenne che non potessero condurre alla
stabilità.
Si verificò di conseguenza una revisione negoziata, tuttavia si dimostrò anch’essa un
fallimento: il clima internazionale cambiò drammaticamente a seguito della crisi del
’29, si verificò un peggioramento dell’economia e della condizione di vita dei popoli e
venne meno l’unica potenza fino a quel momento in grado di svolgere un ruolo di
mediazione, gli Stati Uniti.
Inoltre, la negoziazione diplomatica tra le varie Potenze non era possibile in quanto
non vi era una comune prospettiva relativamente al futuro dell’ordinamento
internazionale.
La presa al potere di Adolf Hitler rese impossibile una possibile convergenza con gli
altri Paesi: egli non vuole revisionare i principi della pace di Parigi, bensì vuole
distruggerli e realizzare un nuovo ordinamento internazionale con al centro la
Germania.
A seguito della grande depressione, Stati Uniti si ritirarono dall’opera di assistenza
verso l’economia tedesca che aveva svolto nel periodo del piano Dawes; infatti, la
grande finanza americana non era più nelle condizioni di intervenire e garantire la
stabilizzazione dell’economia tedesca, non si poté concretizzare il piano Young. Il
mancato afflusso dei capitali americani determinò una recessione economica, sia per
quei Paesi che fino a quel momento avevano registrato segni di ripresa (come l’Austria)
ma soprattutto per la Germania.
La recessione nell’economia tedesca provocò anche una destabilizzazione istituzionale
e politica: la Repubblica tedesca, la quale aveva sostituito l’impero tedesco alla fine
della Primo guerra mondiale, aveva dimostrato debolezza e poca efficienza. Le
istituzioni democratiche non erano riuscite a determinare la stabilità economica di cui
la Germania aveva bisogno, si iniziò a ritenere che la democrazia non fosse adeguata.
Dal 1929 al 1933 si cercò di stabilizzare il Sistema di Versailles, cercando di evitare che
la crisi di Wall Street e conseguentemente europea conducesse a un collasso
dell’ordinamento internazionale.
La Francia voleva mantenere la propria posizione di centralità e la Gran Bretagna era
soprattutto preoccupata per le conseguenze economiche conseguenti al
peggioramento generale del clima politico. Quanto all’Unione Sovietica, essa si
trovava ancora in una posizione ancora isolata; Stalin si stava occupando di rafforzare
l’economia e solidificare le fragili istituzioni sovietiche.
In questo periodo il Giappone era assente dalla politica internazionale, di conseguenza
l’unico Paese in grado di stabilizzare la situazione erano gli Stati Uniti d’America con la
presidenza Hoover.
Tuttavia vi erano due difficoltà principali affinché si creasse il sistema desiderato dagli
Stati Uniti d’America: la prima difficoltà era rappresentata dalla Francia, la quale
desiderava la ricostruzione del precedente sistema con l’assunzione del ruolo
egemonico; l’altra questione riguardava il rapporto con la Gran Bretagna, la quale non
era disposta ad accettare la nascita di un sistema economico aperto e allo stesso
modo avrebbe visto un ridimensionamento della sua superiorità economica-
commerciale.
Nella Conferenza di Parigi del 1919 emersero tre fronti divisi tra loro: il primo fronte
faceva riferimento alla Francia per la riproposizione del precedente sistema
internazionale; il secondo fronte era sostenuto dalla Gran Bretagna che, pur non
negando il ruolo egemonico europeo della Francia, partiva dal presupposto che fosse
necessario bilanciare questa potenza con l’attribuzione di un ruolo alla Germania (non
era possibile costruire un sistema post-bellico estromettendo la Germania); La terza
posizione era quella americana e finalizzata alla costruzione di un nuovo sistema
internazionale alla cui base vi erano i 14 punti di Wilson.
Si aggiungevano inoltre posizioni limitate finalizzate a giungere a un loro
rafforzamento: l’Italia puntava a rafforzare il suo ruolo sul Mediterraneo; invece, il
Giappone, combattendo al fianco della Triplice intesa, puntava a rafforzare la sua
posizione in Estremo Oriente.
Le Potenze sconfitte non furono invitate a partecipare alla Conferenza della pace: i
lavori di quest’ultima si articolarono in una discussione tra Francia, Gran Bretagna,
Stati Uniti, Italia e Giappone.
I termini decisi dalla Conferenza furono imposti ai Paesi che avevano combattuto al
fianco degli Imperi Centrali. Quindi un altro problema di base delle trattative di pace,
oltre all’idea del ruolo da attribuire alla Germania, fu l’imposizione delle condizioni alle
Potenze sconfitte.
La Germania fu costretta a un ridimensionamento militare, economico, politico e
territoriale: non solo perse l’Alsazia e la Lorena ma anche dei territori al confine con il
Belgio, con la Danimarca, con la Polonia e Cecoslovacchia, da sempre parte della
Germania – ciò andava a introdurre degli elementi di permanente tensione.
Dal punto di vista militare la Germania fu costretta alla demilitarizzazione.; quanto
alle clausole politiche, essa non era parte della Società delle Nazioni ed era lasciata ai
margini del sistema internazionale.
La Germania era riconosciuta come la responsabile morale del conflitto nel trattato di
Versailles, motivo per il quale le venne imposto il pagamento di una cifra enorme per il
danno; inoltre, essa non venne aiutata nei suoi primi passi nella democrazia e con il
sorgere dei nazionalismi contrari alle istituzioni democratiche della Repubblica di
Weimar.
Tra l’autunno del 1919 e l’estate del 1920, a seguito del trattato di Versailles, vennero
firmati i trattati con le altre potenze sconfitte: il 10 settembre quello di

Saint-Germain con l’Austria, il 27 novembre quello di Neuilly con la Bulgaria, il 4 giugno


2020 quello del Trianon con l’Ungheria e infine il 10 agosto quello di Sèvres con la
Turchia.
I trattati di Saint-Germain e di Trianon tentarono di risolvere la questione della
sconfitta e della dissoluzione della Duplice Monarchia: l’Austria e l’Ungheria si
ridussero a due piccoli Stati che coprivano i territori abitati in maniera largamente
omogena dalle popolazioni da un lato di lingua tedesca e dall’altro di lingua magiara.
Sulle rovine degli imperi centrali e sull’onda del risveglio delle nazionalità, nascevano
nuovi Stati: prima tra tutti la Cecoslovacchia, il risultato del sogno dei nazionalisti
boemi, particolarmente attivi nella parte tedesca dell’impero asburgico fin dalla fine
dell’Ottocento.
In particolare, la Francia aveva visto nella creazione di uno Stato cecoslovacco un utile
baluardo nei riguardi sia della minaccia di una restaurazione asburgica e sia della
rinascita di un forte stato tedesco.
La maturità della classe dirigente cecoslovacca consentì l’instaurazione di un sistema di
democrazia liberale nel contesto di un Paese relativamente avanzato sul piano
economico e sociale; tuttavia, il nuovo Stato era condizionato dalla presenza al proprio
interno di forti minoranze, in particolare di lingua tedesca, stanziata prevalentemente
nella zona dei Sudeti al confine con la Germania.
Inoltre, dopo più un secolo di soggezione a russi, tedeschi e austro-ungarici, rinasceva
inoltre lo Stato polacco, formato dai territori appartenenti precedentemente ai tre
imperi.
L’area sotto dominio austriaco era entrata a far parte della nuova nazione in modo
sostanzialmente pacifico; invece, era ben più complessa la situazione ai confini con la
Germania e la Russia bolscevica: quanto alla prima, le decisioni prese a Versailles
furono fortemente contestate a Berlino, soprattutto poiché per assicurare allo Stato
polacco uno sbocco al mare, i vincitori avevano creato un corridoio che avrebbe
separato fisicamente la Prussia orientale dal resto della Germania.
Il contenzioso si protrasse fino al 1921: esso venne risolto mediante lo strumento del
plebiscito.
La situazione a Est era ancora più complessa: i territori acquisiti dalla Polonia a danno
dell’impero russo furono dapprima l’esito del disfacimento della Russia e poi di una
guerra tra Varsavia e il governo bolscevico, il quale si opponeva al governo borghese
della prima.
La pace di Riga del 1921 si concluse con una soluzione favorevole per la Polonia, la
quale inglobò nel suo territorio forti minoranze ucraine e russo-bianche, il suo confine
con la Russia venne stabilito dalla cosiddetta linea Curzon.
Il crollo dell’impero zarista, inoltre, consentì lo sviluppo di una Finlandia indipendente,
nonché dei tre Stati balcanici: Lituania, Lettonia ed Estonia.
Gli Stati Uniti avevano ormai piena contezza che i finanziamenti elargiti alle Potenze
durante la Prima guerra mondiale e alla Germania non sarebbero ritornati.
Tuttavia, Hoover si rese conto che era necessario trovare una soluzione alle
riparazioni, al disarmo, e alle altre problematiche affinché gli Stati Uniti non venissero
indeboliti ulteriormente, economicamente e politicamente. Hoover si fece promotore
di una serie di Conferenze internazionali a Ginevra e a Losanna, ancora una volta prive
dell’intervento delle Società delle Nazioni.
La Conferenza economica internazionale aveva l’obbiettivo di realizzare la stabilità
economica a livello internazionale, al fine di stabilizzare la pace sociale e le istituzioni.
Si cercò di determinare una stabilizzazione economica sulla base di una stabilizzazione
monetaria: venne istituito un sistema internazionale monetario alla cui base vi era la
sterlina, il dollaro e il franco francese (le uniche valute internazionali in grado di essere
convertite in oro e argento).
Fu soprattutto l’Italia a operare secondo tali principi: venne stabilizzata l’economia
italiana controllando la lira sulla base della sterlina britannica.
Tuttavia, la Conferenza economica mondiale di Losanna fallì dal momento che venne
istituita tardivamente.
Hoover cercò di risolvere anche la questione del disarmo con la Conferenza mondiale
del disarmo a Ginevra.
Il Protocollo di Ginevra e il patto Briand-Kellogg avevano dichiarato la rinunzia alla
guerra come strumento di risoluzione delle controversie e il disarmo. Tuttavia, non
solo non si verificò la riduzione del disarmo, bensì i singoli Paesi desideravano
ampliare i propri armamenti.
Le principali Potenze riuscirono ad accordarsi solamente rispetto agli armamenti
navali: gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, particolarmente attenti alla proiezione della
propria potenza marittima e volti a controllare le vie internazionali del commercio
marittimo, si interessarono particolarmente alla questione degli armamenti navali.
Fra il 1921 e 1927 si riuscì a raggiungere alcuni accordi in tema di armamenti navali: il
più importante si raggiunse in seno alla Conferenza di Washington quanto al limite del
tonnellaggio delle navi di guerra.
Per la prima volta il Regno Unito abbandonava il proprio principio per cui la forza della
propria marina doveva essere pari alla somma della seconda e terza marina al mondo,
decise quindi di accettare che la marina americana avesse le proprie dimensioni
(codominio marittimo americano).
Inoltre, vi era anche il riconoscimento della parità navale tra Francia e Italia: la Francia
doveva dividere la propria flotta tra il Mar Mediterraneo e l’Atlantico; invece, l’Italia
solamente nel Mediterraneo, di conseguenza ciò dava all’Italia una sostanziale
supremazia sul Mediterraneo rispetto alla Francia.
Venne inoltre affermato il principio della Porta aperta: qualsiasi Paese avrebbe potuto
commerciare con la Cina, indipendentemente dalla posizione coloniale dei singoli Paesi
nei confronti della Cina. Gli Stati Uniti mandarono un chiaro messaggio, sia ai Paesi
europei che al Giappone, il quale aveva iniziato un’opera di penetrazione nei confronti
della Manciuria.
Hoover cercò anche di risolvere la questione delle riparazioni: egli si rese conto che la
Germania non era in grado di pagare tali debiti e il conseguente atteggiamento
esecuzionista della Francia non avrebbe permesso una stabilizzazione del sistema
internazionale.
A fronte di ciò, venne istituita una moratoria sui debiti di guerra e delle riparazioni.
Nonostante ciò, la tensione internazionale era ormai profonda, soprattutto in
Germania vi era ormai una grande sfiducia nei confronti delle istituzioni democratiche
e si volgeva a un regime autocratico.
La moratoria può essere considerata come l’ennesimo insuccesso
dell’amministrazione americana quanto al suo ruolo di mediazione.
Hoover venne succeduto dal presidente democratico Delano Roosevelt, il quale rese
chiaro fin dall’inizio che non avrebbe svolto un ruolo di mediazione come il suo
predecessore.
Si preoccupò principalmente degli Stati Uniti e della ricostruzione dell’economia
interna; infatti, gli Stati Uniti si chiusero in una fase isolazionista che durerà fino alla
Seconda guerra mondiale. L’isolazionismo americano lanciato da Roosevelt può essere
considerato come una conseguenza degli insuccessi che Hoover; inoltre, è anche una
conseguenza della necessità che gli Stati Uniti hanno di riaffermarsi.
Contrariamente a quanto accaduto in Italia nel 1922, quando Mussolini fu incaricato
dal Re di formare il nuovo governo nonostante il partito nazionale fascista non fosse il
principale partito del Paese, Hitler arrivò al potere il 30 gennaio del 1933 grazie alla
vittoria del suo partito, ossia il partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori.
Si iniziò a ritenere che Hitler fosse l’unica soluzione per risollevare la Germania dalle
condizioni in cui versava dalla Prima guerra mondiale.
Con l’arrivo al potere di Hitler, termina l’idea di poter giungere in qualche modo alla
revisione in modo negoziato dei principi del sistema internazionale. Infatti, Hitler
cercherà di distruggere le imposizioni che il Sistema di Versailles aveva imposto alla
Germania, cercando di riassicurare una posizione egemonica al Paese.
Hitler si oppose a ogni singola soluzione proposta da Hoover: quanto alla moratoria,
egli affermò che la Germania non avrebbe più pagato; invece, rispetto al disarmo,
Hitler dichiarò invece la necessità di incrementare gli armamenti.
Relativamente alla ricostruzione del sistema economico internazionale, Hitler dichiarò
che la Germania avrebbe ricostruito la propria economia sulla base delle proprie
risorse.
L’atto con cui Hitler inviò chiaramente un segnale del cambiamento dei tempi al resto
della comunità internazionale fu l’uscita nel 1933 della Germania dalla Società delle
Nazioni.
La quarta fase a cavallo delle due guerre mondiale si determina come fase di
distruzione del Sistema di Versailles. Adolf Hitler, cancelliere della Germania dal 1933
e 1935, successivamente Fuhrer dal 1935 fino alla sua morte, può essere considerato
come il principale responsabile di tale distruzione.
Adolf Hitler fu un politico dotato di una straordinaria coerenza: ciò che egli cercò di
realizzare dal 1933 al 1945 l’aveva esposto precedentemente negli scritti del Mein
Kampf.
Iniziò a dedicarsi alla politica per un moto di ostilità nei confronti di quegli elementi
della società che riteneva rallentassero la ripresa della Germania del suo ruolo centrale
economico e politico; inoltre, condannava l’ordinamento internazionale per la politica
repressiva nei confronti di una Germania non militarmente sconfitta nel primo conflitto
mondiale.
Quanto alle sue idee, Hitler riteneva che la Germania dovesse essere il Paese centrale
del sistema euroasiatico. Egli fu influenzato dal modello del cuore del continente di
Mackinder: quest’ultimo sosteneva che la Potenza che avrebbe dominato il centro del
continente euroasiatico necessariamente avrebbe potuto dominare l’intero sistema
internazionale. Infatti, gli altri continenti sarebbero stati in inferiorità e facilmente
dominati.
La politica estera di Hitler si concentrava in primo luogo sull’Unione sovietica,
geograficamente centrale nell’area euroasiatica: Hitler attribuiva al bolscevismo, o
anche marxismo-leninismo, una matrice giudaistica. Il secondo punto della politica
estera di Hitler si basava sugli Stati Uniti d’America: Hitler poco conosceva gli Stati
Uniti, riteneva che fosse una grande potenza economica ma che non vi fosse alcuna
cultura.
Riteneva che fosse una creazione meticcia di ciò che era stata l’evoluzione
dell’umanità. Un Paese denominato da un’aristocrazia capitalista caratterizzata da una
componente ebraica.
Hitler non voleva rassegnarsi all’idea di un futuro dominato da due potenze non
europee, Stati Uniti e Unione Sovietica. Egli desiderava un ordinamento internazionale
al cui centro vi fosse la Germania.
L’Europa rappresentava la base da cui partire per la conquista del complesso
euroasiatico e successivamente l’ordinamento internazionale con una guerra finale con
gli Stati Uniti d’America.
Hitler riteneva che la Germania fosse stata punita e opera di un’opera di
ridimensionamento a seguito delle decisioni assunte nella Conferenza di pace di Parigi,
motivo per il quale tali punti dovevano essere completamente distrutti.
Inoltre, Hitler riteneva che il complesso etnico dell’Europa fosse disomogeneo e che
ciò impedisse una stabilizzazione dell’ordinamento.
Affinché la Germania potesse svolgere la sua funzione centrale e dominante del
complesso internazionale, era necessario che l’Europa fosse resa razzialmente
omogenea in base a una gerarchia che sarebbe dovuta esistere tra i popoli che
abitavano l’Europa.
Ogni popolo, sulla base di detta gerarchia, avrebbe dovuto assumere un ruolo
funzionale per assicurare la centralità tedesca.
Tali teorie razziste erano profondamente comuni al tempo, si basavano su una matrice
darwiniana per cui si riteneva che vi fossero etnie superiori.

• In primo luogo, vi era l’etnia germanica, la quale era ritenuta superiore e pura.
Le etnie scandinave e anglosassoni, seppure non completamente pure, erano
considerate alla stessa stregua in quanto esisteva in vincolo razziale forte con
l’etnia germanica. L’etnia germanica e popoli affini dovevano combattere la
contaminazione europea operata dall’Unione sovietica e dagli Stati Uniti
d’America.

• I popoli latini avevano un rango inferiore, sarebbero stati delegati dalla


Germania nel controllo dell’Africa e delle aree mediterranee che le etnie
germaniche per la loro cultura non sarebbero stati in grado di gestire. I popoli
latini avrebbero dovuto svolgere una funzione amministrativa e produzione.

• Al di sotto dei popoli latini vi era la popolazione slava: nell’ottica di Hitler


rappresentavano l’anello finale del suo progetto politico ed etnico europeo. Si
sarebbero dovuti occupare dell’agricoltura e della lavorazione della terra.
Le altre popolazioni erano intese come un complemento al suo disegno politico.
Hitler non aveva alcuna fiducia nelle istituzioni democratiche della Repubblica di
Weimar: i primi due anni del proprio governo vi fu una sorta di coesistenza,
successivamente si occupò di sovvertire completamente tali istituzioni.
Dal 1933 al 1935 egli realizzò una completa trasformazione della Germania, impose il
proprio partito e istituì un regime che si articolava sulla sua figura di condottiero, a
differenza di Mussolini, il quale non riuscì mai totalmente a sottomettere il sistema al
fascismo, sia per l’esistenza della Monarchia che della Chiesa Cattolica, elementi non
funzionali al fascismo.
Hitler esercitava la propria funzione di condottiero sulla base di un sistema di
funzionari ai quali delegava le proprie direttive. Riformò anche le forze armate: non
fidandosi dell’organizzazione dell’esercito tedesco, costituì degli organi di supervisione
delle forze armate che completano ulteriormente l’organizzazione.
Quanto ai punti del Sistema di Versailles che secondo Hitler dovessero essere
completamente distrutti: egli voleva sciogliere la Germania dalle limitazioni territoriali,
economiche, politiche e militari, annettere l’Austria e inoltre voleva revisionare i confini
francotedeschi riprendendosi l’Alsazia e la Lorena. Inoltre, Hitler puntava a controllare
indirettamente alcune aree come i Balcani.
Tale distruzione del Sistema di Versailles e revisione della carta europea venne
realizzata dal 1933 al 1939, senza una particolare opposizione di alcune delle Potenze
europea.
Per i primi due anni, dal 1933 al 1935, Hitler non pose in aperta discussione le clausole
politiche, economiche e territoriali del Trattato di Versailles, né assunse un
atteggiamento dichiaratamente ostile alle Potenze straniere.
In quei due anni Hitler si concentrò soprattutto sulla politica interna alla Germania:
innanzitutto Hitler doveva prima rafforzare il proprio controllo sul partito nazista a
discapito degli altri leader, ciò condusse nel 1934 alla notte dei lunghi coltelli in cui
vennero eliminati tutti coloro che potevano rappresentare una minaccia alla sua
leadership all’interno del partito nazista.
Specificamente, l’obbiettivo di Hitler era quello di eliminare le compagini socialiste dal
partito nazionalsocialista tedesco, rivolgendo un chiaro messaggio di intesa alla
piccola e media borghesia, necessitando dei loro capitali.
In secondo luogo, Hitler doveva anche prima confrontarsi con i resti delle istituzioni
democratiche della Repubblica di Weimar, riformando completamente il sistema – a
differenza di Mussolini, il quale dovette accettare una coesistenza con la Monarchia e
la Chiesa Cattolica.
In terzo luogo, Hitler non assunse un atteggiamento immediatamente ostile poiché la
Germania deve riorganizzare le proprie forze armate: non era ancora militarmente
pronta a un possibile conflitto armato su più fronti.
Quanto alla politica territoriale, Hitler portava in essere un’idea pangermanista: tutte
le popolazioni germaniche dovevano vivere in un'unica compagine territoriale.
Nonostante ciò, era interessato anche a ulteriori territori, primi fa tutti l’Alsazia e la
Lorena, ridistribuite dal Trattato di Versailles.
Quindi Hitler non era contrario solamente alle clausole politiche e militari del Trattato
di Versailles, bensì anche alle clausole territoriali.
A seguito del Primo conflitto armato, la Gran Bretagna non si era interessata alle
questioni europee, se non per le questioni economiche e finanziarie.
In quegli anni l’impero britannico si estese maggiormente, soprattutto in virtù dei
mandati ottenuti dalla Società delle Nazioni in Iraq, Palestina e Giordania. Inoltre, oltre
ad avere proprie colonie e a esercitare un protettorato su altri territori, vi erano anche i
cosiddetti dominions, come la Nuova Zelanda, il Canada e l’Australia, i quali erano
dotati di una profonda indipendenza politica, seppure collegati alla Corona inglese.
Nel momento in cui Hitler salì al potere, la Gran Bretagna si dimostrò indifferente al
timore della Francia, ritenendo che fosse una conseguenza naturale alla loro politica
esecuzionista.
Mussolini si rese conto dell’inaffidabilità di Hitler poche settimane dalla visita compiuta
da Hitler a Stra e a Venezia: Mussolini aveva chiesto di rispettare l’indipendenza
dell’Austria; tuttavia, venne attuato un colpo di Stato da parte di Hitler.
Mussolini mobilitò le truppe, intimorito da una possibile occupazione per l’annessione
dell’Alto Adige. Il colpo di Stato fallì, ma Mussolini realizzò l’inaffidabilità di Hitler e si
convinse che l’Italia avrebbe dovuto in quel momento avrebbe dovuto far pendere la
bilancia nei confronti della Francia.
Nel settembre del 1934 su iniziativa della Francia e con la finalità di integrare l’Unione
Sovietica nell’ordinamento internazionale, l’Unione Sovietica divenne membro della
Società delle Nazioni e inizia a partecipare attivamente.
Sebbene Stalin negli anni ’30 fosse ancora occupato nella liquidazione delle compagini
sociali contrarie al marxismo, Stalin realizzò che Hitler fosse un pericolo e che fosse
necessario massimizzare il processo di integrazione con le Potenze democratiche.
Tra l’arrivo al potere di Hitler nel gennaio del 1933 e lo scoppio della Seconda guerra
mondiale nel settembre del 1939 intercorrono a malapena sei anni.
Hitler riuscì a distruggere il Sistema di Versailles in un arco temporale molto limitato.
Hitler riteneva che la Germania dovesse recuperare la totalità dei territori che le erano
stati sottratti al tempo dei Trattati di Parigi: si inseriva in tale totalità l’Alsazia e la Lorena,
territori ritenuti assolutamente parte della Germania.
Oltre alle motivazioni razziali, tali regioni erano importanti anche sotto un profilo
economico (vi erano importanti risorse minerarie e una rilevante base industriale) e
strategico.
Altri territori sottratti alla Germania furono attribuiti alla Danimarca e al Belgio: ciò
avvenne non perché tali territori furono rivendicati dalla Danimarca e dal Belgio, bensì
vennero assegnati a quest’ultimi per determinare un elemento di tensione
permanente fra la Germania e questi due governi.
Hitler voleva anche ottenere nuovamente il cantone della Saar, regione che era stata
sottratta alla Germania e amministrata per via fiduciaria dalla Società delle Nazioni,
alla fine del 1935 sarebbe scaduto il mandato e la regione della Saar avrebbe dovuto
votare se essere annessa nuovamente o meno alla Germania.
Quanto invece il fronte orientale, alcuni territori della Germania furono attribuiti alla
Polonia, alla Lituania e alla Cecoslovacchia in seguito del Primo conflitto mondiale e
rivendicati nuovamente dalla Germania.
Inoltre, Hitler nutriva l’ambizione pangermanista di unire l’Austria alla Germania:
infatti, l’Austria era caratterizzata da una grande percentuale di tedeschi.
Tuttavia, le clausole dei Trattati di pace impedivano tale annessione territoriale.
Hitler aspetta ben due anni prima di agire, dal 1933 al 1935, dal momento che la
Germania non era ancora pronta: doveva prima operare la trasformazione delle
istituzioni tedesche in senso totalitario e liquidare le opposizioni nel partito.
Il primo momento in cui emerse la nuova tendenza in Europa determinata da Hitler
avvenne con il plebiscito della Saar nel gennaio del 1935 in cui la regione avrebbe
dovuto decidere se essere annessa alla Repubblica francese o ritornare alla Germania:
nonostante le previsioni che tendevano in positivo per la Francia, la popolazione della
Saar decise di divenire parte della Germania.
Fu una vera e propria sorpresa per le Potenze ostili alla Germania hitleriana, le quali
avevano sottovalutato l’attrazione che Hitler poteva esercitare nei confronti delle
popolazioni tedesche.
Hitler stava riuscendo a stabilizzare economicamente, socialmente e politicamente
una Germania in cattive condizioni e allo stesso tempo stava esercitando una capacità
di attrazione in senso ampio, dimostrando possibilità concrete della creazione di un
Terzo Reich.
Il miglioramento dei rapporti franco-russi aveva spinto la Francia a espandere
ulteriormente il proprio mosaico di alleanze e la Jugoslavia rappresentava una tessera
non secondaria a tal proposito.
In virtù di un miglioramento dei rapporti franco-jugoslavi, nell’ottobre del 1934 venne
prevista la visita ufficiale del re Alessandro I di Jugoslavia a Marsiglia in Francia.
Tuttavia, quest’ultimo fu oggetto di un attentato da parte di un nazionalista croato,
probabilmente organizzato dai servizi segreti tedeschi, e i colpi di pistola colpirono
anche il ministro degli Esteri francese Barthou.
Re Alessandro I rappresentava l’unità del regno di Jugoslavia, il quale si era istituito a
seguito del Primo conflitto armato, il quale aveva unificato serbi, croati e sloveni.
Nonostante ciò, la Francia cercò di mediare con il Progetto Locarno orientale un
sistema con la Polonia, l’Unione Sovietica e il regno di Jugoslavia, concretizzando e
stabilizzando i confini che si erano istituiti a seguito della Prima guerra mondiale.
Ciò si opponeva radicalmente al desiderio di revisionismo italiano e inoltre contrastava
il tentativo di centralità dell’Italia con il Patto a Quattro.
Nonostante ciò, Mussolini dovette comunque avvicinarsi e tendere alla Francia,
soprattutto considerando l’inaffidabilità rappresentata da Hitler, il quale aveva tentato
di conquistare l’Austria con un colpo di Stato fallito.
Inoltre, Mussolini doveva risolvere una crisi interna e Mussolini strinse un’intesa con
Parigi nel gennaio del 1935 con il quale ottenne l’assenso francese alla conquista
dell’Etiopia.
Dopo il plebiscito della regione della Saar, Hitler decise di reintrodurre l’obbligo di leva.
A fronte di ciò, nell’aprile del 1935 i vertici di Gran Bretagna, Francia e Italia decisero
di riunirsi a Stresa: la dichiarazione di Stresa e la nascita del Fronte di Stresa si
svilupparono con la finalità di salvaguardare l’ordinamento internazionale. Tuttavia,
tale intesa fu solamente una finzione e ogni Paese perseguiva esigenze nazionali:
l’Italia si unì a Francia e Gran Bretagna solamente per un assenso nella propria
conquista coloniale e la Gran Bretagna cercava di mantenere un canale negoziale
aperto con la Germania.
Nel maggio del 1935, a malapena un mese dopo, vi fu la firma di un accordo di mutua
assistenza tra Unione Sovietica e Francia in funzione antitedesca, a cui venne associata
la Cecoslovacchia.
La dichiarazione di Stresa e la partecipazione della Gran Bretagna e dell’Italia nel
tentativo di contenere la minaccia tedesca era finalizzata al raggiungimento di alcuni
obbiettivi: la Francia si rese conto che era un appoggio condizionato; invece, l’accordo
con i sovietici rappresenta una prima risposta concreta militare rispetto alla Germania
nazista.
La Cecoslovacchia si aggiunse a tale accordo dal momento che temeva la Germania:
non solo conteneva popolazioni tedesche ma era anche un’area strategica per entrare
nel territorio tedesco e dividere quest’ultimo in due con un attacco a due fronti.
La conquista italiana dell’Etiopia non solo durò più di quanto previsto ma incontrò una
grande resistenza dalla comunità internazionale: l’Etiopia si rivolse alla Società delle
Nazioni, chiedendo mediazione contro l’Italia.
La Società delle Nazioni iniziò a promuovere una serie di soluzioni che andavano
contro l’obiettivo mussoliniano di imporre il proprio dominio.
La Società delle Nazioni indicò l’Italia come Paese aggressore, il quale aveva agito
senza rispettare i principi alla base dell’ordinamento e il Patto Briand-Kellogg che
rifiutava la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
Successivamente venne anche dichiarato come Paese trasgressore in quanto non
aveva rispettato le soluzioni proposte dalla Società delle Nazioni. L’Italia fu il primo
Paese a cui vennero applicate sanzioni internazionali, anche se le sanzioni ebbero
scarsa efficacia: molte materie strategiche importanti ne furono escluse, inoltre vari
Stati membri della Società delle Nazioni fecero ben comprendere alle autorità italiane
che non avrebbero applicato in maniera rigide le prescrizioni; infine, i paesi non parte
della Società delle Nazioni non erano obbligati a tener conto delle sanzioni.
Tutto ciò dimostrò nuovamente la debolezza della Società delle Nazioni Unite, la quale
non solo non è riuscita l’ennesima volta a evitare un episodio di aggressione, ma anche
estremamente debole quanto al rispetto delle prescrizioni previste e all’applicazione di
quest’ultime degli Stati membri nei confronti dello Stato aggressore, in questo caso
l’Italia.
Gran Bretagna e Francia compresero che un atteggiamento particolarmente ostile nei
confronti dell’Italia avrebbero potuto spingere quest’ultima nell’orbita tedesca,
motivo per il quale proposero un ridimensionamento dell’Etiopia ed estendere la
sfera di influenza italiana su tali territori, soluzione che non poteva essere accettata
da Mussolini o ciò avrebbe indebolito la propria immagine pubblica.
Hitler, approfittando del disordine che si era determinato nel sistema internazionale,
ordinò nel marzo del 1936 la rimilitarizzazione della Renania, territorio al confine con
la Francia e contrariamente alle clausole dei Trattati di pace.
Mussolini si rese conto che Gran Bretagna e Francia non erano alleati in grado di poter
condurre l’Italia alla centralità, motivo per cui decise di avvicinarsi alla Germania.
Nell’ottobre del 1936, in occasione della visita a Berlino del nuovo Ministro italiano
degli Esteri, venne firmata l’Asse Roma-Berlino.
Inizialmente l’Asse fu solamente un patto di consultazione e di impegno di revisione
del sistema internazionale in prospettiva di un comune impegno politico.
Nello stesso anno la Germania firmò con il Giappone il Patto Anti-Comintern in ottica
anticomunista.
Hitler riuscì a porre i presupposti politico-diplomatici di quell’alleanza che poi
combatterà di fatto nella Seconda guerra mondiale.
Hitler riteneva che la diplomazia non fosse lo strumento adatto per la risoluzione delle
controversie internazionali, né tantomeno lo strumento in grado di assicurare un ruolo
centrale alla Germania.
La guerra era concepita come necessaria per la concretizzazione del suo progetto
razziale e pangermanista. Hitler aveva una serie di progetti territoriali: riottenere
l’Alsazia e la Lorena, conquistare nuovamente i territori sottratti alla Germania in
favore della Danimarca e del Belgio, l’annessione dell’Austria al territorio tedesco,
nonché sanare l’interruzione del territorio tedesco.
Si determinò una situazione che per le sorti del conflitto mondiale fu molto
importante: la Spagna, la quale era stata una grande Potenza in età moderna ma in
decadimento da quando aveva perso i suoi possedimenti nelle Americhe, divenuta
negli anni ’20 del 1900 una Repubblica, aveva suscitato le preoccupazioni delle altre
Potenze internazionali in quanto iniziò a diffondersi il pensiero marxista-leninista e le
elezioni furono vinte dal partito socialcomunista.
La Spagna era un Paese gravante di contraddizioni: dal punto di vista economico ad
aree avanzate come la Catalogna e le Province Basche si alternavano ampie sacche di
arretratezza ove continuavano a prosperare proprietà possedute da latifondisti
assenteisti che sfruttavano con metodi quasi feudali centinaia di migliaia di braccianti;
sul piano sociale le sperequazioni e le differenze erano stridenti e avevano favorito
forme di ribellismo spesso violento; inoltre, vi erano spinte autonomiste di territori
quali la Catalogna e i Paesi Baschi.
Si temeva che la Spagna potesse rappresentare il primo esempio occidentale di
espansione del marxista. Fu soprattutto l’Italia fascista a opporsi all’idea della nascita
di una Potenza socialista nel Mediterraneo.

In un clima di crescente violenza politica si era formata in Spagna una coalizione di


partiti di fronte popolare, la quale riuscì a imporsi alle elezioni dell’estate del 1936.
La costituzione di un governo di sinistra venne considerata come una grave minaccia
dai gruppi più conservatori, i quali trovarono alcuni leader militari pronti ad agire con
la forza.
Il 17 luglio il colpo di stato dal generale Francisco Franco diede inizio alla guerra civile
spagnola: il colpo di stato ebbe solo parziale successo poiché il governo repubblicano
mobilitò i propri sostenitori, inoltre parti dell’aviazione e della marina gli rimasero
fedele.
Tuttavia, il tentativo di trasformare la Spagna in una Repubblica socialista venne
bloccato dalla vittoria della guerra civile spagnola del fronte nazionalista e dell’ascesa
del dittatore Francisco Franco.
Il fronte repubblicano spagnolo fu appoggiato dall’Unione Sovietico e dalla Francia, la
quale temeva una possibile alleanza nazionalista e di essere stretta su due fronti da
Francia e Germania.
Tuttavia, il loro appoggio fu moderato rispetto all’appoggio bellico che l’Italia e
Germania fornirono alla Spagna.
La guerra civile spagnola fu in un certo senso la prima proxy war in cui altre Potenze si
combattevano a vicenda: l’intervento militare dell’Italia fu disastroso, non solo perché
priva dalla medesima forza bellica di Germania e Francia, ma anche perché le forze
armate erano state impegnate nel conflitto con l’Etiopia.
La Gran Bretagna si fece portatrice di un principio di non intervento nella guerra civile:
esso era un modo mascherato per evitare che in Spagna vincesse il marxismo. Infatti,
la Gran Bretagna aveva sempre portato avanti una politica di appeasement nei
confronti nella Germania di Hitler, ritenuta come un male minore rispetto al
comunismo.
La Gran Bretagna era un grande Paese industrializzato con grande proletariato urbano,
temeva profondamente una diffusione nel Paese del marxismo.
L’idea inglese che vi fosse una parte di Europa che facesse riferimento al nazionalismo
era più accettabile rispetto all’idea che si verificasse una diffusione del comunismo.
Quanto al Giappone, quest’ultimo prese parte al Patto ideologico anticomintern non
perché la sua politica estera fosse caratterizzata da una visione anticomunista, bensì
perché riteneva che il revisionismo tedesco potesse mettere in difficoltà la Francia e il
controllo di quest’ultima sui possedimenti in Asia, nonché per la sua ambizione di
allargare il proprio controllo sui territori cinesi.
La sostanziale acquiescenza delle democrazie nei confronti delle decisioni unilaterali
prese da Berlino, il progressivo avvicinamento dell’Italia alla Germania, l’evoluzione in
senso autoritario dei sistemi politici in vari paesi dell’Europa centrale e orientale
convinsero Hitler che fosse possibile spingersi oltre avviando la politica destinata a
riunire tutte le popolazioni tedesche nel Terzo Reich: nel marzo del 1938 Hitler
annesse l’Austria al territorio tedesco, il cosiddetto Anschluss, approfittando della
profonda debolezza che aveva caratterizzato tale territorio dalla fine del Primo
conflitto mondiale.
La Gran Bretagna reagì nuovamente con una politica di appeasement: ritennero che
l’annessione fosse accettabile dal momento che vi era una larga popolazione di
tedeschi in Austria, la quale aveva dimostrato mediante un plebiscito di desiderare in
maggioranza l’annessione alla Germania, infatti, dopo il 1919 molti austriaci non
avevano saputo adattarsi alla fine dell’impero e rinunciare alla passata grandezza, i
sentimenti pangermanici erano radicati, né va ignorata la speranza che l’ingresso del
Reich avrebbe favorito la rinascita economica e sociale del Paese.
Inoltre, la Germania poteva rappresentare una soluzione per stabilizzare l’Austria.
L’Italia invece non ne fu contenta dal momento che ciò rese il Paese confinante con
territori tedeschi.
Gli accordi di Pasqua con la Gran Bretagna furono la risposta italiana all’annessione
dell’Austria: essi risolvevano una serie di minori contenziosi riguardante in prevalenza il
continente africano, la questione dell’intervento italiano nella guerra civile spagnola e
l’area del Mediterraneo, specificamente, essi sancivano l’intervento dell’Italia per il
mantenimento dello status quo nel Mediterraneo. Inoltre, in tali accordi la Gran
Bretagna riconobbe l’esistenza di un impero coloniale italiano (Libia, Somalia, Eritrea,
Etiopia).
Ciò dimostrò che l’Italia adoperava ancora la politica del peso determinante,
voltandosi nella direzione che le avrebbe concesso maggiori vantaggi.
Hitler comprese che se voleva realizzare il suo progetto pangermanista e cercare di
evitare che la Cecoslovacchia, alleata alla Francia e all’Unione Sovietica, potesse
rappresentare una minaccia, sollevò delle rivendicazioni sulla Cecoslovacchia sulla
base della popolazione dei Sudeti, popolazione tedesca.
Contrariamente da quanto ci sarebbe atteso, soprattutto considerando l’alleanza con
la Francia e l’Unione Sovietica, nel 1938 con la Conferenza di Monaco abbiamo la
completa spartizione della Cecoslovacchia che si vede costretta a cedere il territorio
dei Sudeti alla Germania.
Non venne invitata l’Unione Sovietica, né tantomeno vi fu un negoziato con la
Cecoslovacchia, bensì vi fu una spartizione accordata tra Francia, Germania, Gran
Bretagna e Italia.
La Francia non reagì in funzione della Cecoslovacchia dal momento che sperava che un
recupero dei territori nel confine orientale potesse soddisfare Hitler.
L’annessione dei Sudeti scatenò una reazione a catena non prevista dai leader delle
democrazie – infatti, nel volgere di pochi mesi si assistette allo smembramento di ciò
che restava dello Stato Cecoslovacco: agli inizi di ottobre la Polonia occupò il territorio
di Teschen, un mese più tardi l’Ungheria sulla base della mediazione di Roma e di
Berlino ottenne l’annessione di parte del territorio cecoslovacco abitato da
popolazione di lingua magiara, anche le tendenze autonomistiche slovacche si fecero
sentire e nacque una vera e propria una piccola Repubblica indipendente slovena,
nonché un protettorato tedesco.
Si realizzò l’apice della politica inglese dell’appeasement dal momento che il ministro
inglese Chamberlain e le altre Potenze accettarono passivamente l’aggressione tedesca
alla Cecoslovacchia in virtù delle rivendicazioni razziali e dell’applicazione del principio
di autodeterminazione.
Il ministro inglese Chamberlain ritornò in Patria con la dichiarazione di Hitler che non
avrebbe mirato ad altri territori. Tuttavia, ciò che le Potenze non avevano ancora
compreso era la poca importanza che Hitler attribuiva alla diplomazia.
Successivamente Mussolini occupò l’Albania, inviando un chiaro messaggio a Hitler di
come i territori del baltico dovessero essere considerati come parte di un programma
coloniale italiano.
Tuttavia, ciò venne visto negativamente dalle Potenze dell’ordinamento internazionale
e ciò convinse Mussolini ad abbandonare la sua politica del peso determinante e a
stringere ufficialmente un’alleanza con la Germania.
Il Patto d’Acciaio fu firmato a Berlino il 22 maggio del 1939, fu un caso straordinario di
trattato di alleanza offensivo: nel caso in cui la Germania avesse iniziato il conflitto,
l’Italia sarebbe stata costretta a intervenire accanto a essa.
Sebbene vi dovesse essere una precedente consultazione, in realtà tale patto
consegnava l’Italia alle iniziative tedesche.
Ciò provocò un disorientamento internazionale, ci si chiese poiché l’Italia che fino a
quel momento aveva adottato la politica del peso determinante avesse firmato un
trattato così vincolante e limitante: alcuni ritengono che fosse stato un errore di
Galeazzo Ciano, il quale andò oltre le direttive di Mussolini.
Altri ritengono che fosse stata un’idea di Ciano e Mussolini per porre dinanzi alle figure
sociali ancora contrarie all’idea della guerra il fatto già compiuto.
Altri ancora invece ritengono che il patto avrebbe dovuto essere accompagnato da un
impegno dalla Germania di non iniziare la guerra prima dei cinque anni, o
quantomeno prima del 1943, concedendo all’Italia del tempo per la propria
preparazione bellica.
Tuttavia, ciò non avvenne dal momento che era chiaro che la Germania volesse
iniziare la guerra in tempi brevi.
Una volta annientato ciò che restava dello Stato cecoslovacco, l’attenzione di Hitler si
rivolse alla Polonia verso cui vi era l’inevitabile contenzioso derivante dall’esistenza del
corridoio che divideva la Prussia orientale dal resto della Germania, dalla presenza di
una minoranza tedesca in terra polacca e dall’incerta situazione di Danzica.
La Germania iniziò la propria abituale serie di provocazioni e di dichiarazioni
minacciose; tuttavia, il gabinetto Chamberlain era deciso a non accettare un’ulteriore
espansione dell’influenza tedesca e alla fine di marzo il primo ministro indicò la
volontà inglese di difendere l’indipendenza polacca, a cui fece seguito una
dichiarazione analoga francese.
Lo stesso presidente americano Roosevelt chiese alla Germania di salvaguardare la
pace.
Tuttavia, Hitler non parve curarsi di tali dichiarazioni.
Da lì a pochi mesi la Germania e l’Unione Sovietica sconvolsero il mondo, pochi giorni
prima della Seconda guerra mondiale, annunciando un accordo il 23 agosto del 1939:
firmarono un trattato di non aggressione, accompagnato da un protocollo segreto che
prevedeva la divisione di un’ampia parte dell’Europa orientale: la Germania avrebbe
avuto influenza sulla Polonia e Lituania, l’Unione Sovietica sulla Finlandia, Estonia e
Lettonia.
Hitler si assicurava in questo modo di combattere prima contro la Francia e
successivamente contro l’Unione Sovietica, eliminando la possibilità di essere
attaccato su due fronti.
Allo stesso modo, Stalin riuscì a bloccare il piano inglese e francese di indirizzare
l’aggressività tedesca all’Unione Sovietica.
L’Italia ne uscì particolarmente danneggiata da tale accordo: non solo Mussolini venne
avvisato ad accordo ormai firmato, ma la politica estera italiana venne privato di quel
comparto ideologico fondante che si basava sull’eliminazione del bolscevismo.
Mussolini si rese presto conto dell’errore che aveva compiuto stringendo un’alleanza
militare con Hitler.
All’indomani della sigla del patto nazi-sovietico, Hitler ordinò l’avio dei piani per
l’attacco alla Polonia.
A nulla valsero gli ultimi tentativi diplomatici per individuare una soluzione di
compromesso che impedisse la guerra, alla fine di agosto i tedeschi organizzarono un
finto incidente di confine che diede al Fuhrer la giustificazione per scatenare le ostilità:
il 1° settembre 1939 le truppe tedesche entrarono in territorio polacco e, tenendo
fede agli impegni presi, la Francia e la Gran Bretagna entrarono in guerra contro la
Germania.
Quanto all’Italia, l’improvvisa accelerazione della crisi e l’avvio del conflitto parvero
sorprendere il duce e il regime fascista: si decise di assumere una momentanea
posizione di non belligeranza per una migliore preparazione economica e militare,
sebbene restasse fedele all’alleanza con la Germania.
In realtà il duce era divenuto anche sospettoso delle vere intenzioni di Berlino, in
particolare a seguito del patto nazi-sovietico, motivo per il quale decise di prendere
tale decisione.
La campagna in Polonia si risolse in uno scontro duro quanto breve. La possibilità di
difesa da parte polacca fu d’altronde minata dall’intervento sovietico, manifestatosi
pochi giorni dopo l’inizio del conflitto. Alla fine di settembre la Polonia cessò di esistere
e il suo territorio venne spartito tra la Germania e l’Unione Sovietica.
Dopo aver rifiutato la richiesta di pace di Hitler e di riconoscere la sua campagna
polacca, i francesi mobilitarono le loro truppe lungo i confini, contando sulle potenti
strutture della linea Maginot; invece, Londra inviò un proprio corpo di spedizione che
si posizionò lungo la frontiera del Belgio, il quale aveva deciso insieme all’Olanda di
restare neutrale.
Attuata questa disposizione difensiva delle proprie forze, i britannici e i francesi si
posero in attesa dell’attacco tedesco.
Dopo la campagna polacca, la stessa Germania parve porsi in una posizione di attesa e
per qualche mese Hitler non si impegnò in alcuna azione offensiva lungo il fronte
occidentale, ciò probabilmente a prova del fatto che non avesse programmato alcun
conflitto generalizzato e che avesse contato su una ripetizione di quanto accaduto nel
1938.
Quando si rese conto che l’unica opzione che gli era rimasta era quella di carattere
militare, soprattutto per il rifiuto dei suoi appelli alla pace, decise che prima di sferrare
un’offensiva anglo-francese fosse necessario assicurarsi il controllo dell’Europa
settentrionale: in aprile le truppe tedesche invasero la Danimarca, la quale si arrese
velocemente; contemporaneamente, venne sferrato un attacco alla Norvegia e il re
Haakon VII fu costretto a scappare a Londra.
I tedeschi insediarono un governo fantoccio a Oslo capeggiato dall’esponente
filonazista norvegese Vidkun Quisling.
Risolta velocemente la campagna militare nel Nord Europa, il 10 maggio il Fuhrer
diede il via a un attacco massiccio lungo il fronte occidentale.
L’invasione della Danimarca e della Norvegia ebbero conseguenze rilevanti sugli
equilibri politici in Gran Bretagna, infatti, il malcontento nei riguardi di Chamberlain,
ritenuto responsabile della politica di appeasement e di una scarsa strategia
britannica, emerse pubblicamente e alla Camera dei comuni venne richiesto a gran
voce da più parti il suo allontanamento.
Fondamentale per le sorti della Gran Bretagna fu la decisione di affidare l’incarico di
primo ministro a Churchill, il quale fu in grado di formare un governo di unione
nazionale nel quale entrarono anche i laburisti e i liberali.
La situazione che Churchill si trovò ad affrontare nel maggio del 1940 era drammatica,
l’offensiva tedesca contro gli anglo-francesi si rivelò brillante e vincente: violandone la
neutralità, le truppe tedesche penetrarono in Olanda e Belgio, le quali vennero
velocemente occupate.
Gli alti comandi francesi e britannici ritennero che i tedeschi intendessero ripetere
quanto accaduto nella Prima guerra mondiale e spinsero una parte delle proprie
truppe in territorio belga; tuttavia, le unità corazziate di Hitler sfondarono il fronte
nella zona delle Ardenne, ritenuta impraticabile per i mezzi corazzati, spezzandolo in
due – da un lato le unità corazzate tedesche puntarono ad accerchiare il corpo di
spedizione britannico, dall’altro puntarono su Parigi.
La guerra lampo tedesca, già applicata dai tedeschi in Polonia, condusse a un rapido
crollo della Francia.
Il ministro del Consiglio Paul Reynaud cedette dinanzi alle richieste di coloro che
miravano a concludere un armistizio con la Germania nella speranza di ottenere
condizioni miti, soprattutto del maresciallo Pétain, eroe della Grande Guerra: tutta la
parte nord-occidentale della Francia con le coste sulla Manica e sull’Atlantico, nonché
Parigi stessa, passarono sotto l’occupazione diretta germanica.
L’Alsazia e la Lorena vennero assoggettate alla sovranità tedesca, i territori di Pas de
Calais restarono sotto l’amministrazione militare tedesca. L’economia francese passò
al controllo nazista e sottoposta a uno sfruttamento intensivo.
Si accettò l’esistenza di una zona francese libera, il Sud-Est del Paese, posta sotto il
governo fantoccio di Pétain e la cui sede era la piccola città termale di Vichy.
Sebbene in una prima fase Pétain godesse del consenso di ampi strati della
popolazione, non tutti i francesi si erano mostrati favorevoli all’armistizio, fra questi il
generale di brigata Charles de Gaulle. Avvicinato dalle autorità inglesi, egli a Londra
diede vita al movimento della Francia libera, una sorta di governo in esilio in
contrapposizione a Vichy.
La caduta della Francia lasciava la sola Gran Bretagna di fronte alla Germania Nazista.
Hitler sperò che la Gran Bretagna, una volta sconfitta la Francia e rimasta sola, si
dichiarasse costretta alla resa ma ciò non avvenne.
Decise di colpire la resistenza degli inglesi attraverso un’offensiva aerea, la cosiddetta
battaglia di Inghilterra, costituita da una serie di bombardamenti massicci sulle
principali città inglesi, soprattutto Londra.
Nonostante ciò, gli inglesi ne uscirono vincitori e si venne a determinare il proprio
fallimento militare di Hitler.
Churchill adoperò tale episodio per la propria retorica, sostenendo che la Germania
era un male da sradicare: non si trattava di un mero conflitto, bensì di una cosiddetta
total war ideologica che vedeva la contrapposizione di bene e male, democrazia e
tirannide.
La vittoria tedesca sulla Francia determinò un mutamento nell’atteggiamento
dell’Italia fascista e Mussolini decise di abbandonare la propria posizione di neutralità,
non coerente con i suoi sogni di gloria militare: tuttavia, la dichiarazione di guerra fu
resa nota il 10 giugno, pochi giorni prima della capitolazione totale di Parigi.
Il duce, irritato dal comportamento dell’alleato tedesco che sembrava tener poco
conto dell’Italia e delle sue aspirazioni, decise di puntare su una guerra parallela che
avrebbe dovuto riguardare soprattutto il Nordafrica, il Mediterraneo e i Balcani.
L’Italia aggredì la Grecia alla fine di ottobre, ma la campagna si risolse in un completo
fallimento e le truppe italiano riuscirono a malapena a contenere la controffensiva
greca in Albania. Contemporaneamente, gli aerosiluri inglesi infliggevano un duro
colpo alla flotta italiana, affondando tre navi da battaglia nel porto di Taranto. Agli inizi
del 1941 l’Italia, limitata economicamente e militarmente, fu costretta a richiedere
soccorso alla Germania.
Il patto Ribbentrop-Molotov aveva rappresentato una scelta tattica, ma nell’ideologia
nazista il comunismo restava il principale nemico e gli ampi territori a est sotto la
sovranità dell’Unione Sovietica erano nel progetto di area di espansione tedesca per la
conquista del loro spazio vitale.
Fin dalla fine del 1940 Hitler cominciò a programmare una campagna contro l’Unione
Sovietica da avviare nella primavera dell’anno successivo, scelta rafforzata
dall’espansione attuata da Stalin a danno della Polonia, Finlandia, repubbliche baltiche
e Romania.
Da parte sua, la Germania tese a rafforzare con il sostegno dell’Italia la penetrazione
nell’Europa danubiana e balcanica. Nel settembre del 1940 la Germania, l’Italia e il
Giappone stipularono il Patto tripartito, il quale andò a sostituire il Patto anticomintern
e l’Asse Roma- Berlino.
Alla fine di novembre la Romania e l’Ungheria aderirono al patto tripartito, mentre
Berlino esercitava pressioni sulla Bulgaria e la Jugoslavia affinché si allineassero alle
potenze dell’Asse, il governo di Sofia cedette il primo marzo, poco dopo fu la volta di
Belgrado, ma in Jugoslavia si andò a creare una forte opposizione alla Germania
fomentata dal governo britannico: il 27 marzo vi fu un colpo di Stato guidato dal capo
dell’aviazione, il generale Simovic, che conduceva all’estromissione del reggente
principe Paolo e la presa al potere del minorenne re Pietro II.
Ciò sconvolgeva i piani hitleriani che prevedevano l’attacco all’Unione Sovietica in
breve tempo; infatti, egli ritenne di non poter iniziare le operazioni contro la Russia se
non avesse contato su un fianco meridionale sicuro, né poteva ignorare il probabile
passaggio della Jugoslavia al fianco di Londra e l’inizio di un supporto militare inglese
alla Grecia contro l’Italia: il 5 aprile i tedeschi invasero la Jugoslavia e
contemporaneamente truppe tedesche dalla Bulgaria puntarono il porto greco di
Salonicco. Re Pietro II e il suo governo trovò rifugio a Londra, invece re Giorgio II di
Grecia nel Cairo.
La Jugoslavia venne smembrata a vantaggio dell’Italia, della Germania, della Bulgaria e
dell’Ungheria, nella tarda primavera del 1941 tutta l’Europa balcanica e danubiana era
sotto il controllo della Germania, motivo per il quale fu possibile nuovamente tornare
a pianificare l’attacco contro la Russia, la cosiddetta operazione Barbarossa.
Stalin aveva preparato l’Armata Rossa all’attacco tedesco: tuttavia, nel primo anno di
guerra i sovietici furono travolti dalla forza militare tedesca, la quale sferzò un attacco
su tre direttrici (Leningrado, Stalingrado e Mosca). Nel giro di quattro mesi i tedeschi
riuscirono ad accerchiare Leningrado, a occupare Mosca e ad avvicinarsi a Stalingrado.
Stalin si rese conto che, affinché l’Unione Sovietica potesse resistere a tale incredibile
forza di attacco dei tedeschi, era necessario fare perno sul patriottismo per evitare di
cadere in una situazione di servitù nei confronti della Germania.
Infatti, in Russia non si festeggia la vittoria della Seconda guerra mondiale, bensì la
vittoria della grande guerra patriottica.
Stalin si rese conto che l’appello al bolscevismo non era abbastanza, motivo per il
quale fu necessario riprendere il concetto del patriottismo e recuperare alcuni simboli
(anche religiosi).
L’unico Paese che si ritrovò a combattere contro il Patto tripartito fu la Gran Bretagna.
Si determinò una situazione paradossale per il quale l’Unione Sovietica e la Gran
Bretagna, due Paesi ideologicamente opposti e che avevano sempre guardato l’altro
con sospetto, avevano militarmente bisogno dell’altro per fronteggiare la Germania.
Gli inglesi e i sovietici ebbero i primi contatti nell’Iran, al tempo denominato Persia,
nonché un Paese che precedentemente era stata spartito dagli anglo-russi: Stalin
richiede che siano rispettati le rispettive zone di influenza, anche considerando che
dopo la rivoluzione del 1917 la Gran Bretagna non considerò più la parte
settentrionale dell’Iran come sotto l’influenza sovietica, e di giungere comunamente a
delle offensive contro i tedeschi.
Il Paese in grado di avvicinare definitivamente l’Unione Sovietica e la Gran Bretagna
furono gli Stati Uniti d’America.
Con il presidente Roosevelt si ebbe un periodo isolazionista in virtù della ricostruzione
dell’economia americana; tuttavia, con il deterioramento della situazione in Europa si
rese conto che gli Stati Uniti d’America non potessero mantenere la loro posizione di
neutralità, anche se parte dell’opinione pubblica e politica era contraria, si riteneva
che l’Europa fosse ciclicamente destinata a delle guerre egemoniche. Inoltre, durante
la Prima guerra mondiale i finanziamenti americani non erano stati ripagati dalle
Potenze europee.
Tuttavia, il presidente Roosevelt riteneva che fosse necessario un intervento
americano affinché la crisi europea non si espandesse anche al continente americano,
motivo per il quale fin dai primi mesi della guerra si verificarono dei prestiti ai Paesi
democratici contro il nazifascismo.
Roosevelt decise di incontrare il primo ministro Churchill in un incontro bilaterale,
nonché il primo tra le due Potenze per la definizione del futuro sistema internazionale.
Venne firmata la Carta Atlantica nell’agosto del 1941, documento costituito da otto
punti: vennero affermati il principio di autodeterminazione, il rispetto dei popoli e
delle minoranze, il liberalismo, la democrazia rappresentativa.
Inoltre, si prospettava una libera circolazioni di beni e zone economiche libere. La
Carta atlantica è la base teorica di ciò che dovrà essere il nuovo sistema
internazionale, una dichiarazione di intenti per cui gli Stati Uniti subordinano il loro
intervento in guerra, un messaggio inviato nei confronti del sistema internazionale.
Tale messaggio era soprattutto inviato nei confronti della Gran Bretagna e dell’Unione
Sovietica: il futuro sistema economico e politico sarebbe stato improntato sulla loro
democrazia. Non sarebbe stato possibile per loro spartirsi successivamente l’Europa
in due aree di influenza.
Sebbene l’Unione Sovietica e la Gran Bretagna volessero mantenere le rispettive
zone di influenza, in una situazione simile in cui i tedeschi avanzavano velocemente,
furono costretti ad accettare le proposte provenienti dagli Stati Uniti.
In Europa gli americani inviarono un messaggio a inglesi e sovietici, rendendo chiaro
che a seguito di un loro intervento bellico si sarebbe verificato un’integrazione
forzata dell’Unione Sovietica al sistema politico ed economico e il
ridimensionamento del controllo coloniale britannico.
Invece, quanto all’area asiatica, gli Stati Uniti si preoccuparono particolarmente dei
giapponesi: nel 1942 si verificò il culmine della loro espansione territoriale,
penetrarono nel Pacifico e colpirono gli Stati Uniti nel loro stesso territorio.
Infatti, gli Stati Uniti d’America entrarono ufficialmente nel conflitto a seguito di
un’aggressione da parte del Giappone: fin dall’estate del 1940 Tokyo impose al
regime di Vichy la presenza delle proprie truppe nel territorio dell’Indocina francese
e successivamente presero la decisione di scatenare un conflitto contro gli Stati Uniti,
nonché ovviamente contro la Gran Bretagna e i suoi alleati. I giapponesi erano consci
della forza economica dell’avversario americano, la quale si sarebbe potuta tradurre
in un’efficace risposta militare, ma speravano di infliggere alla marina statunitense
un colpo mortale, tale da consentire una rapida espansione giapponese nel Pacifico
e in Asia e da rendere la reazione di Washington troppo onerosa, se non impossibile.
Il 7 dicembre 1941 colpirono le basi statunitensi nelle Hawaii, cogliendo gli americani
di sorpresa.
Gli Stati Uniti, dopo l’episodio di Pearl Harbor e mediante la Dichiarazione delle
Nazioni Unite del 1942, chiesero agli altri Paesi dell’ordine internazionale di
riconoscere la leadership americana, di conformarsi e non muoversi contro le
Potenze dell’Asse con politiche eterogenee. Sottoscrissero tale dichiarazione i Paesi
più disparati in funzione antinazifascista. Roosevelt sviluppò la formula dei Four
Policemen: al vertice dell’organizzazione internazionale vi sarebbero stati gli Stati
Uniti, l’Unione Sovietica, la Gran Bretagna e la Cina – le prime tre rappresentavano le
principali potenze che combattevano contro il nazifascismo, invece la Cina venne
inserita poiché considerata al tempo dagli Stati Uniti come una potenziale Potenza.
Alla base di ciò vi sarebbero state molteplici organizzazioni di carattere regionale,
andando a determinare l’esistenza di un Forum internazionale.
Il problema che si pose fu quello del destino della Germania alla fine del conflitto: si
sviluppò l’idea di dividere la Germania e portare quest’ultima a una situazione
precedente al 1871.
Tale soluzione venne appoggiata dall’Unione Sovietica, dalla Francia e dagli Stati
Uniti; invece, il primo Paese che espresse perplessità nei confronti di tale soluzione
fu la Gran Bretagna: una Germania demilitarizzata e divisa in diversi territori avrebbe
condotto a un rafforzamento dell’Unione Sovietica e alla nascita di una zona di
influenza e di diffusione del comunismo.
Nella seconda Conferenza a Yalta, regione della Crimea, il presidente Roosevelt
presentò un progetto di divisione dei territori e di determinazione del futuro ordine
internazionale: precedentemente alla Conferenza di Yalta, vi furono conferenze
tecniche in cui gli americani determinarono alcune specificazioni del sistema. La più
importante fu la Conferenza di Bretton Woods per il sistema economico. Tuttavia, a
differenza della grande collaborazione che si verificò alla prima Conferenza di
Teheran due anni prima, tale progetto fu accolto con poca partecipazione,
soprattutto dall’Unione Sovietica. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna costrinsero
l’Unione Sovietica a firmare un documento accessorio per cui Stalin avrebbe dovuto
dare la possibilità di determinare i loro regimi politici – situazione radicalmente
differente da ciò a cui ambiva Stalin, il quale vuole affermare determinare una zona
di influenza comunista e sovietica in Europa.
Tra il dicembre del 1941 e il 1942 il Giappone conseguì una serie di lunghe vittorie
nei confronti se degli americani che degli inglesi.
In Asia le truppe giapponesi occuparono Hong Kong, Singapore, la Malesia, la
Birmania e arrivarono a minacciare i confini dell’India. Nel Pacifico caddero le
Filippine, le forze italo-tedesche si avvicinarono all’Australia e alla Nuova Zelanda e
minacciavano l’arcipelago delle Hawaii. Invece, nell’Atlantico l’offensiva sottomarina
tedesca poneva in grandi difficoltà gli inglesi.
Quanto al Medio Oriente, gli inglesi dovettero fronteggiare un duro colpo di Stato in
Iraq guidato dal nazionalista favorevole all’Asse, Rashid Ali al- Kaylani – tuttavia, le
forze irachene vennero rapidamente sconfitte.
Preoccupati dall’influenza tedesca sul governo di Vichy, gli inglesi occuparono
preventivamente il Libano e la Siria. La partita più importante era giocata in Nord
Africa e nel Mediterraneo: tra il 1941 e il 1942 le sorti del conflitto si rivelarono
incerte con offensive e controffensive che videro le truppe italo-tedesche e quelle
dell’impero britannico percorrere più volte in un senso e nell’altro le zone desertiche
fra la Cirenaica e la parte occidentale dell’Egitto. Le forze italo-tedesche riuscirono a
spingersi oltre il confine egiziano, a pochi chilometri da Alessandria d’Egitto e al loro
obbiettivo strategico, il canale di Suez.
Tra la seconda metà del 1942 e gli inizi del 1943 si ebbe ciò che Churchill definì the
turn of the tide, il cambio della marea: la prima battuta d’arresto fu subita dal
Giappone nel giugno del 1942, il quale subì una dura sconfitta nelle isole Midway.
L’iniziativa passò agli Stati Uniti, i quali avviarono una lunga riconquista del terreno
perduto. Quanto alla campagna nordafricana, gli inglesi riuscirono a conquistare la
Libia; inoltre, agli inizi del novembre del 1942 le truppe americane e britanniche
sbarcarono in Marocco e Algeria: le truppe dell’Asse erano colpite su due fronti e
furono sconfitte in territorio tunisino con la conclusione della campagna africana nel
maggio del 1943. La sconfitta maggiore si determinò a Stalingrado: dopo una prima
affermazione tedesca, l’Armata Rossa riuscì a sconfiggere la Wermacht in quella che
viene considerata la più grande battaglia tra carri armati della Seconda guerra
mondiale. Anche successivamente, nella battaglia di Kursk fra luglio e l’agosto del
1943, sebbene Hitler cercò di realizzare una rivincita militare, i tedeschi subirono
l’ennesima sconfitta dai sovietici.
Quanto alla campagna nordafricana, inizialmente vi furono dei dissidi strategici:
nonostante gli angloamericani concordassero sull’obbiettivo di considerare la
Germania nazista come il principale nemico, gli inglesi ritenevano che la strategia
migliore fosse quella di attaccarla partendo dal “soft underbelly”, ossia dalla parte
più debole, rappresentata dall’Europa meridionale – tuttavia, affinché ciò fosse
possibile, era necessario che si verificasse una campagna in Africa volta
all’assunzione del pieno controllo del Mediterraneo. Invece, gli americani
contemplavano uno sbarco nella Francia settentrionale, una strada rapida e breve
verso il cuore del Reich, scelta coerente anche con la promessa fatta a Stalin circa
l’apertura di un secondo fronte in Europa.
Sebbene i vertici americani non fossero entusiasti delle posizioni inglesi, accettarono
le loro argomentazioni: nel novembre del 1942 venne programmato lo sbarco delle
truppe angloamericane in Marocco e Algeria, la cosiddetta operazione Torch,
territori in quel momento sotto il controllo del regime di Vichy. Lo sbarco in
Nordafrica venne affidato al generale americano Dwight D. Eisenhower – si partì dal
presupposto che le truppe francesi avrebbero accolto gli americani come amici, se
non come liberatori, ma si misero comunque alla ricerca di un esponente militare
francese che potesse fungere da garante delle loro intenzioni nei confronti delle
autorità civili e militari del Marocco e dell’Algeria e la scelta cadde su Henri Giraud,
ufficiale conservatore, creando ulteriori dissidi con De Gaulle, il quale venne
estromesso dall’operazione e il cui rapporto era già compromesso dai contatti che il
governo americano continuava ad avere con Pétain nella speranza di dissuaderlo da
una stretta collaborazione con Hitler.
Quando le truppe alleate sbarcarono in Nordafrica, dovettero affrontare la reazione
ostile delle unità francesi. Dinanzi alla prospettiva di un serio rallentamento nella
liberazione del Marocco e dell’Algeria, Eisenhower strinse un accordo con Darlan,
uno dei maggiori esponenti del regime di Vichy, in quel momento localizzato ad
Algeri. L’intesa spianò la strada a una rapida liberazione dei due Paesi e ciò spinse i
tedeschi a occupare militarmente la Francia meridionale, pur lasciando al suo posto
Pétain; tuttavia, le fila del movimento della resistenza si ingrossarono e la figura di
De Gaulle finì per imporsi, divenendo il leader della Francia libera.
La vittoria di El Alamein nel novembre del 1942 a opera delle truppe
angloamericane, nonché la conseguente liberazione della Libia dalle forze
nazifasciste, e il successo dell’operazione Torch rappresentarono un punto di svolta
nella campagna del Nordafrica: infatti, a seguito di pochi mesi nel quale continuò a
persistere una debole difesa nazifascista in Tunisia, nel maggio del 1943 tutto il
Nordafrica venne liberato. Precedentemente alla completa liberazione, soprattutto a
fronte dell’evoluzione positiva della situazione militare nel teatro mediterraneo, tra il
14 e 24 gennaio del 1943 si ebbe la cosiddetta conferenza di Casablanca tra due
leader Churchill e Roosevelt per una valutazione circa le future scelte strategiche:
venne posto come successivo obbiettivo una grande operazione anfibia in Sicilia per
un completo controllo sul Mediterraneo, anche denominata come operazione Husky,
nonché il crollo dell’Italia e la sua seguente uscita dal conflitto. Roosevelt,
preoccupato per i possibili sospetti di Stalin circa il mancato avvio del secondo fronte
in Francia, per dimostrare al leader sovietico che non vi era alcuna intenzione di
giungere a una qualche pace separata abbandonando l’Unione Sovietica al suo
destino, decise che sarebbe stato accettato dai nemici solamente una resa senza
condizioni.
L’operazione Husky venne affidata al generale americano Dwight Eisenhower; essa fu
particolarmente complessa e importante, anche perché essa rappresentava la prima
iniziativa sul continente europeo. Il 10 giugno 1943 decine di migliaia di soldati
americani e inglesi, sostenuti da migliaia di aerei e con il supporto di un centinaio di
navi, mettevano piede sulle spiagge della Sicilia – la campagna si concluse in poche
settimane e con il pieno successo alleato, accolti dalla popolazione locale come
liberatori. Sia i gerarchi fascisti che la monarchia ritennero che fosse il momento
opportuno per liberarsi di Mussolini e sganciare il paese dall’alleanza con la
Germania, giungendo a una pace separata: nella notte tra il 24 e il 25 luglio il Gran
consiglio del fascismo costrinse il Duce alle dimissioni, il re ordinò il suo arresto e
nominò il maresciallo Pietro Badoglio alla guida di un governo che si presentava
come una sorta di dittatura militare sostenuta dalla monarchia.
Gli alleati furono sorpresi da ciò che accadde e si ritrovarono dinanzi alla prospettiva
di un’uscita dell’Italia della guerra. Nei giorni successivi alla caduta del fascismo,
Churchill e Roosevelt si incontrarono in Québec per una conferenza anglo-americana
e fu discussa la questione italiana: nel cosiddetto memorandum di Québec gli
angloamericani affermarono che avrebbero deciso il loro atteggiamento verso l’Italia
in base a ciò che essa avrebbe fatto per aiutare gli alleati. Per non entrare in
contraddizione con la dichiarazione di Casablanca, si ritenne una soluzione possibile
la conclusione di un breve armistizio e non di una pace, il quale sarebbe poi stato
seguito da un lungo armistizio, più duro e simile a una resa senza condizioni.
Nel frattempo, le autorità italiane avevano cercato di rassicurare Berlino circa la
fedeltà del nuovo governo all’alleanza con la Germania, avviando tuttavia dei contatti
segreti con gli alleati – le trattative si conclusero nella firma del corto armistizio il 3
settembre a Cassibile, Sicilia. Badoglio aveva ricevuto la vaga rassicurazione che una
divisione aviotrasportata americana sarebbe giunta nei pressi di Roma per difendere
la capitale dalla reazione tedesca, ma non vi fu alcun preparativo e la reazione
tedesca fu rapida ed efficace: gran parte delle forze italiane nei Balcani, nell’Egeo, in
Francia e nell’Italia centro-settentrionale fu costretta alla resa e i militari vennero
inviati in Germania. Mussolini, prigioniero al Gran Sasso d’Italia, venne liberato da
paracadutisti tedeschi e portato in Germania, nel quale annunciò la nascita nell’Italia
settentrionale di un regime fascista repubblicano. L’Italia venne fisicamente divisa in
due: da un lato la parte fascista repubblicana, anche denominato come governo di
Salò dal luogo della residenza del Duce nel lago di Garda, d’altra parte il governo
legittimo del Regno del Sud, profondamente condizionata dal volere delle autorità
militari alleate – il 13 ottobre il governo Badoglio dichiarò guerra alla Germania, solo
pochi giorni prima era stato costretto a siglare il lungo armistizio.
Il 1943 si concluse sul piano politico e diplomatico con la prima grande conferenza
interalleata che vide riuniti a Teheran Roosevelt, Churchill e Stalin tra la fine di
novembre e gli inizi di dicembre. L’incontro nasceva dall’esigenza dei massimi
responsabili della grande alleanza di creare un reciproco clima di fiducia che
dissipasse qualsiasi sospetto, cominciando ad affrontare i grandi temi del
dopoguerra. Il presidente Roosevelt partiva dal presupposto che condizione
fondamentale per uno stabile dopoguerra fosse un accordo di fondo tra i tre grandi,
soprattutto tra Washington e Mosca, puntando anche alla collaborazione personale
con Stalin – anche se per quest’ultimo, Roosevelt e Churchill erano esponenti di due
potenze capitaliste, nemici da cui era opportuno diffidare. Durante la conferenza di
Teheran venne deciso lo sbarco nella Francia settentrionale per la primavera
dell’anno successivo, si discusse in termini generici della Germania da cui emerse il
desiderio collettivo di renderla inoffensiva e infine Roosevelt sollevò il progetto di
creazione di un’organizzazione internazionale che avrebbe gestito le relazioni
internazionali post-belliche – in tale contesto, il presidente fece intendere che un
ruolo centrale nel futuro organismo sarebbe stato assunto dai four policemen, ossia
gli Stati Uniti, l’Unione Sovietica, la Cina e la Gran Bretagna.
La liberazione di Roma avvenne quasi contemporaneamente allo sbarco alleato in
Normandia, la cosiddetta operazione Overlord, che nel giro di alcuni mesi, anche
grazie a un’altra operazione anfibia in Provenza, la cosiddetta operazione Anvil,
avrebbe condotto alla liberazione di tutto il territorio francese. Alla fine di agosto
Parigi insorgeva contro gli occupanti tedeschi e, anche grazie al benevolo
atteggiamento del comandante in capo alleato Eisenhower, le truppe della Francia
libera entravano nella capitale contribuendo alla sua liberazione – De Gaulle giunse a
Parigi e venne accolto da enormi folle entusiaste, confermandolo alla guida del
nuovo governo francese provvisorio.
Tra il 1944-1945 si andò a dividere progressivamente in due l’Europa: si determinò
una corsa per la liberazione dei territori affinché quest’ultimi potessero rientrare
nelle rispettive aree di influenza. Infatti, nel momento in cui nel giugno del 1945, al
termine del Secondo conflitto mondiale, i territori liberati dagli angloamericani
procederanno alla via della democrazia parlamentare di tipo liberale; invece, i
territori liberati dai sovietici procederanno alla strada inversa. Uno dei problemi più
drammatici fu rappresentato dalla Polonia: nell’estate del 1944 le truppe sovietiche
entrarono in territorio polacco e si attestavano sulla Vistola, a pochi chilometri da
Varsavia. Vi erano già state molte tensioni tra l’Unione Sovietica e il governo polacco
in esilio a Londra, soprattutto a seguito della scoperta da parte di soldati nazisti di
fosse comuni in cui erano stati sepolti i corpi di migliaia di ufficiali polacchi uccisi a
sangue freddo dalla polizia segreta sovietica. La vicinanza delle truppe sovietiche a
Varsavia provocò una feroce ribellione che venne tuttavia soffocata nel sangue con
decine di migliaia di vittime e la completa distruzione di Varsavia da parte dei nazisti
– l’Armata Rossa non si mosse in soccorso dei patrioti polacchi, nonostante le
sollecitazioni britanniche, bensì si limitò a liberare Lublino successivamente, a
seguito del profondo indebolimento della resistenza a opera dei nazisti, costruendo
un governo polacco guidato da esponenti del Partito comunista, il quale si sarebbe
insediato successivamente in ciò che restava della capitale quando quest’ultima
venne liberata dai sovietici in autunno.
Dopo la Polonia, ulteriore motivo di preoccupazione fu la Jugoslavia: infatti, a seguito
dell’occupazione nazista si era sviluppato in movimento di resistenza guidato da un
ufficiale dell’esercito, Draza Mihailovic, a capo dei cetnici – unità formate
prevalentemente da serbi e che avevano ottenuto il consenso non solo del
governo in esilio a Londra ma anche dai britannici. Tuttavia, quasi
contemporaneamente si costituì un ulteriore movimento di resistenza egemonizzato
dal Partito comunista sotto la leadership di Josip Broz, anche meglio noto con il nome
di battaglia di Tito. Le missioni militari britanniche fatte giungere
clandestinamente in Jugoslavia avevano confermato l’efficacia delle forze titine e nel
1943 Londra decise di dare il pieno appoggio a Tito sconfessando Mihailovic, ma con
la fine delle ostilità appariva evidente come Tito puntasse non soltanto alla
liberazione del paese, ma anche alla distruzione degli avversari politici e
all’instaurazione di un regime comunista. Un’altra situazione difficile vi era in Grecia;
infatti, allo stesso modo la resistenza si era divisa in due gruppi: l’EAM-ELAS sotto la
guida comunista e l’EDES di carattere filomonarchico. Infine, con l’autunno del 1944
le truppe dell’Armata Rossa si affacciavano sui territori della Romania e
dell’Ungheria, le quali sarebbero state presto liberate dai sovietici.
Era ovvio quindi che iniziasse a profilarsi una divisione di aree di influenza dei
territori e, dinanzi alla possibilità che l’egemonia tedesca fosse sostituita da una
parziale egemonia, Churchill cercò di reagire. Per quanto riguarda l’Italia, il leader
inglese e il presidente Roosevelt decisero che l’Italia avrebbe beneficiato degli aiuti
UNRRA, United Nations Relief and Rehabilitation Administration, solitamente diretti
ai soli paesi liberati e non anche agli ex nemici; inoltre, sarebbero stati alleggeriti
alcuni vincoli del regime armistiziale – erano soprattutto gli Stati Uniti a svolgere un
ruolo centrale come massimi finanziatori del piano UNRRA, tuttavia ciò non
esprimeva una vera e propria politica americana verso l’Italia, bensì l’interesse di
Roosevelt per il voto italo-americano in vista delle elezioni presidenziali. Ben diversa
era la situazione nei Balcani, motivo per il quale il primo ministro britannico puntò a
un accordo diretto con Stalin, il cosiddetto accordo delle percentuali: al di là delle
diverse percentuali di spartizione dei territori, in maniera pragmatica è possibile
affermare che Churchill accettava la prevalenza sovietica sulla Romania, Bulgaria e
Ungheria, salvaguardando il proprio ruolo in Grecia e parzialmente in Jugoslavia.
Tuttavia, la sua strategia dimostrò rapidamente i suoi limiti: innanzitutto Churchill
non aveva considerato la componente ideologica della politica sovietica, rivolgendosi
a Stalin come se fosse uno zar; inoltre, gli americani espressero apertamente il loro
dissenso quanto alla politica anacronistica e immorale della spartizione del mondo.
Quanto invece alla posizione rooseveltiana rispetto al futuro del sistema
internazionale, è possibile comprenderla analizzando due conferenze, quella di
Dumbarton Oaks e quella di Bretton Woods: la prima avvenne tra la fine di agosto e
gli inizi di ottobre del 1944, le tre potenze si riunirono per discutere del carattere
dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Fu facilmente trovato un accorso
sull’istituzione di un’Assemblea generale ove fossero rappresentati tutti i paesi, più
complessa fu invece la discussione sulla nascita di un organo direttivo, il futuro
Consiglio di sicurezza, sulla sua composizione e sul numero dei membri permanenti
– infine, si decise per cinque membri: gli Stati Uniti, l’Unione Sovietica, la Francia, la
Gran Bretagna e la Cina. Quanto a Bretton Woods, la conferenza si occupò del
sistema economico del dopoguerra e la discussione coinvolse delegati americani e
britannici: venne affermato il rifiuto delle politiche protezioniste e la volontà di
creare un sistema economico internazionale basato sul free trade, soprattutto per
ciò che concerneva le materie prime. Si decise inoltre l’istituzione di un Fondo
monetario internazionale e di una Banca per la ricostruzione, la futura Banca
mondiale. Di grande rilievo fu anche il ritorno al gold exchange, ossia la convertibilità
della moneta americana con l’oro.
Nel marzo del 1945 le truppe angloamericane riuscirono a oltrepassare il Reno,
entrando velocemente in territorio tedesco. Anche sul fronte orientale, i sovietici
fecero breccia nei confini tedeschi e si dirigevano verso Berlino. Il Fuhrer, piuttosto
che cadere prigioniero dei sovietici, si suicidò, seguito dalla sua compagna Eva Braun
e da vari fedelissimi. Successivamente alla sua morte, fu formato un governo
provvisorio guidato dall’ammiraglio Karl Donitz, il quale l’8 maggio firmò la resa
ufficiale tedesca. Anche in Italia, dopo la pausa nelle operazioni determinata
dall’inverno, tra marzo e aprile gli alleati superarono la linea Gotica e il Comitato di
liberazione nazionale per l’Alta Italia lanciò alle unità partigiane l’ordine di
insurrezione generale nelle maggiori città del Nord. In poche settimane la pianura
padana fu liberata, le truppe del Reich si arresero in massa e ciò che restava della
Repubblica sociale crollò rapidamente. Mussolini, catturato dai partigiani mentre
cercava rifugio in Svizzera, venne giustiziato.
Dinanzi alla prospettiva della fine delle ostilità, i tre grandi sentirono l’esigenza di
prendere alcune decisioni e definire alcuni dei principi che avrebbero consentito di
avviare la costruzione di uno stabile assetto postbellico.
Si incontrarono a Jalta, in Crimea, nella prima metà di febbraio del 1945. Per quanto
concerne l’Organizzazione delle Nazioni Unite, si discusse del diritto di veto da parte
dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza, sostenuto con forza da Stalin, e
dalla richiesta che venissero incluse tutte le sedici repubbliche che formavano
l’Unione Sovietica. Le richieste di Stalin vennero in parte soddisfatte: venne accettata
l’ipotesi del diritto di veto, mentre nell’Assemblea generale accanto all’Unione
Sovietica si ammise solamente la presenza dell’Ucraina e della Bielorussia.
Quanto alla questione polacca, si ritornò a discutere delle sue frontiere e nessuno
parve preoccuparsi che i territori persi in favore dell’Unione Sovietica avrebbero
implicato l’espulsione di milioni di tedeschi. Inoltre, Stalin accettò che l’Unione
Sovietica dichiarasse guerra a Tokyo entro due-tre mesi dalla fine delle ostilità in
Europa. Nella conferenza di Jalta venne anche concordato che il territorio tedesco
venne diviso in zone di occupazione tra i vincitori e in tale quadro venne inserita anche
la Francia. Infine, i tre grandi accettarono una dichiarazione sull’Europa liberata che si
impegnava a favorire il ripristino della democrazia e l’assicurazione che tutti i popoli
potessero scegliere liberamente le proprie forme di governo.
Ciò che succede in Asia fu di più semplice gestione: il Giappone venne sconfitto a
seguito del lancio delle bombe nucleare a Hiroshima e Nagasaki, rispettivamente il 6
e 9 agosto 1945, e di conseguenza gli Stati Uniti divennero l’unico Paese dominante
nell’area del Pacifico. Fu il successore di Roosevelt, il vicepresidente Harry Truman, a
compiere la scelta del lancio della bomba nucleare. Sebbene secondo molti storici
sia stata una mossa per ribadire dinanzi a Stalin la potenza americana, è più
plausibile che tale decisione sia stata presa soprattutto sulla base delle previsioni
militari secondo cui la resistenza nipponica si sarebbe trascinata almeno fino alla fine
del 1946 con gravi perdite umane e di artiglieria americana.
Poche settimane prima si svolse la terza e ultima conferenza interalleata tra i tre
grandi: essa si svolse tra il 17 luglio e il 2 agosto 1945 a Potsdam, nei dintorni di
Berlino. Al centro dell’incontro vi fu soprattutto la questione della Germania: venne
ordinata la smilitarizzazione, denazificazione, democratizzazione, decentramento
amministrativo e smantellamento dei grandi gruppi industriali. In secondo luogo, si
decise che i massimi responsabili del regime nazista, sia civili che militari, sarebbero
stati chiamati pubblicamente a rispondere dei loro crimini, mettendo le basi per ciò
che sarebbe stato il processo di Norimberga.
Infine, vennero stabiliti in maniera precisa i confini delle quattro zone di occupazione
alleate: già durante la Seconda guerra mondiale furono avanzati piani che
prevedevano la divisione della stessa Germania in diverse aree di influenza, la
situazione era poi successivamente cambiata con la Conferenza di Teheran e Yalta nel
quale gli inglesi riuscirono a convincere gli americani a non dividere la Germania
affinché essa non divenisse debole all’influenza sovietica. Non vi era un’intesa: i
sovietici spingevano per l’idea di una Germania divisa, non comprendendo il motivo
per il quale gli Stati Uniti d’America avessero cambiato idea. Per la mancanza di un
accordo la Germania venne divisa in quattro zone di occupazione , la stessa città di
Berlino venne divisa in quattro zone di occupazione dal momento che anche sulla
Capitale non vi era un’intesa sul suo futuro: si temeva che se Berlino, localizzata nella
zona di occupazione sovietica, fosse stata affidata completamente all’Unione
Sovietica, si potesse diffondere l’idea che la Germania era nelle loro mani. Anche
l’Austria fu occupata dai vincitori sulla base della medesima logica e con Vienna
amministrata congiuntamente.
Quindi, tra il 1941 e il 1945 si verificò la delineazione del sistema internazionale: il
punto di inizio è rappresentato dalla Carta Atlantica, invece il punto di arrivo è
rappresentato dalla Conferenza di San Francisco il 25 aprile 1945 nel quale si andò a
istituire l’Organizzazione delle Nazioni Unite. L’idea del nuovo sistema
internazionale si basava sull’open diplomacy; inoltre, esso fu caratterizzato da pochi
cambiamenti territoriali, a differenza di ciò che avvenne con la Prima guerra
mondiale, per evitare lo sviluppo di nuove problematiche – i pochi cambiamenti che
si verificarono furono relativi alla Polonia, la quale recuperò alcuni territori che erano
stati precedentemente inglobati dalla Germania, e un ampliamento dell’Unione
Sovietica.
La Carta atlantica aveva affermato il cosiddetto principio di autodeterminazione:
tuttavia, nei territori liberati dall’armata sovietica durante la guerra vennero a
delinearsi nuovi regimi comunisti. L’idea dei russi era quella di trasformare tali Paesi,
rendendo quest’ultimi analoghi all’Unione Sovietica. Anche se nella Conferenza di
Yalta gli inglesi e gli americani costrinsero i sovietici a firmare il Documento
sull’Europa liberata per una tutela del principio di autodeterminazione, quest’ultimo
non venne in alcun modo rispettato. Tuttavia, nell’estate del 1945, durante la
Conferenza di Potsdam, i sovietici avevano dimostrato chiaramente la loro idea di
costruire una loro zona di influenza in Europa.
Si può affermare che ciò che pose le basi della guerra fredda fu il mancato
riconoscimento al principio di autodeterminazione da parte dell’Unione Sovietica e
le tensioni circa le diverse idee della divisione territoriale tedesca. Inoltre,
l’organizzazione delle Nazioni Unite era inefficace per risolvere tali tensioni: infatti, il
ruolo di membro permanente dell’Unione Sovietica nell’organizzazione delle Nazioni
Unite e il diritto di veto che deriva da tale ruolo, paralizzava completamente
l’organizzazione stessa.
Proprio per il suo carattere di guerra non combattuta direttamente, non è possibile
individuare il preciso momento di inizio. In un primo momento i tre grandi parvero
non escludere la prosecuzione di qualche forma di collaborazione, seppure fra
crescenti frizioni e sospetti; infatti, lo stesso presidente Truman in un primo
momento si sentì legato alla politica estera perseguita dal suo predecessore e allo
stesso modo Stalin non espresse un’aperta volontà di rottura con l’Occidente, nel
quale sembrava anzi sperare per ottenere parti delle risorse economiche necessarie
per la ricostruzione del Paese. Il contesto ove in maggior misura si manifestarono gli
ultimi tentativi di preservare la grande alleanza fu il negoziato che condusse alla
redazione dei trattati di pace con i paesi europei satelliti della Germania hitleriana:
Finlandia, Ungheria, Romania, Bulgaria e Italia.
Tutti e cinque gli ex alleati della Germania furono sottoposti a forti limitazioni sul
piano militare e costretti ad accettare onerose riparazioni – di cui avrebbe
beneficiato in ampia misura l’Unione Sovietica, la quale era stata aggredita da questi
Paesi nel 1941. Più serie furono le difficoltà concernenti il trattato di pace italiano:
alla fine delle ostilità, le autorità italiane avevano creduto che l’uscita della guerra
nel 1943, la cobelligeranza, la resistenza partigiana e il ritorno della democrazia
avrebbe evitato al Paese un trattato punitivo. In realtà già da alcuni episodi era
possibile desumere la posizione debole del Paese e le intenzioni poco benevole dei
vincitori, a eccezione degli Stati Uniti: nell’aprile del 1945 de Gaulle tentò di far
occupare dalle proprie truppe la Valle d’Aosta nella speranza di annetterla alla
Francia, fu solamente la ferma posizione angloamericana a evitare ciò; oppure, ben
più drammatica è la situazione che si verificò lungo il confine orientale: le forze
comuniste di Tito non solo presero possesso dei territori italiani dell’Istria e della
Dalmazia, dando avvio a una pulizia etnica nei confronti degli italiani, la quale
sarebbe poi sfociata in un esodo di 250.000 persone, ma per più di un mese
occuparono Trieste.
L’Italia fu costretta ad accettare un trattato giudicato duro e ingiusto: le forze armate
venero limitate fortemente, le unità della flotta in larga misura spartite tra i vincitori,
vennero imposte pesanti riparazioni. Particolarmente severe furono le clausole
territoriali: l’Italia rinunciava ai diritti sulle colonie prefasciste (Eritrea, Somalia e
Libia), cedeva le isole del Dodecaneso alla Grecia, perdeva l’Istria e la Dalmazia;
inoltre, Trieste, che avrebbe dovuto far parte di un territorio internazionalizzato
sotto la responsabilità di un governo scelto dall’Organizzazione delle Nazioni Unite,
rimase in parte sotto l’amministrazione angloamericana e d’altra parte, amministrata
militarmente dalla Jugoslavia.
Ciò che dobbiamo chiederci ora è: quali furono le ragioni che condussero l’Occidente
e l’Unione Sovietica ad avviare uno scontro aperto che a partire dal 1947 sarebbe
apparso come ineluttabile e non risolvibile se non con la vittoria di uno dei due
contendenti? Non è possibile ricondurre l’inizio della guerra fredda a una sola causa,
bensì all’intrecciarsi di veri episodi e dinamiche.
Il discorso di Stalin del Teatro Bolshoi del 1946 è spesso percepito come l’inizio della
guerra fredda.
Egli espose la cosiddetta teoria dell'inevitabilità della guerra: questa teoria sostiene
che è inevitabile la guerra con l’Occidente per le profonde differenze ideologiche,
sociali, politiche ed economiche. Anche se non fu una dichiarazione di guerra, rese
chiaro le sue intenzioni future nei confronti
dell’Occidente. Il presidente americano Truman, a differenza del suo predecessore
Roosevelt, si rese conto della necessità di assumere delle politiche attive nei
confronti dell’Unione Sovietica, la cui politica aggressiva stava rallentando il
processo di formazione del nuovo sistema internazionale.
Gli Stati Uniti furono molto più lenti a definire una risposta nei confronti dell’Unione
Sovietica: infatti, a differenza dell’Unione Sovietica, le istituzioni americane erano
democratiche e una decisione necessitava di un dibattito. Per quanto Truman per
qualche tempo si sentì legato alla politica perseguita da Roosevelt, i suoi modi di
pensare e le sue esperienze lo resero sin dall’inizio sospettoso e ostile al comunismo
e all’Unione Sovietica. Anche a causa della scarsa esperienza negli affari
internazionali, il presidente fu spinto a fare affidamento sui suoi collaboratori e sul
dipartimento di Stato, i quali non avevano condiviso già fin dalla precedente
amministrazione la fiducia e la collaborazione di Roosevelt nei riguardi di Stalin e la
cui valutazione stava progressivamente peggiorando.
Questo progressivo peggioramento nell’interpretazione della politica di Stalin si
fondava su una serie di scelte compiute da Mosca tra la fine della Seconda guerra
mondiale e il 1947: si manifestarono alcune prime crisi nella grande alleanza circa il
rispetto di accordi conclusi durante il conflitto, significativa in tal senso fu la
questione iraniana.
Nel 1941, dopo l’aggressione nazista all’Unione Sovietica, Mosca e Londra avevano
deciso di occupare militarmente l’Iran, sia per evitare una deriva filotedesca nel
governo dello scià, sia per mantenere il controllo sulle risorse energetiche del Paese
che per aprire una via di comunicazione diretta fra le potenze occidentali e l’Unione
Sovietica. Venne concluso un accordo per il quale, alla conclusione delle ostilità, le
due potenze avrebbero evacuato le loro truppe dal territorio iraniano: tuttavia,
Mosca tentò invece di rafforzare la propria presenza in Iran sostenendo il Partito
comunista locale, il Tudeh, e mantenne la presenza di unità dell’Armata Rossa nella
parte settentrionale del Paese anche dopo la conclusione del conflitto. Vennero
esercitate anche pressioni affinché il governo iraniano concedesse giacimenti
petroliferi all’Unione Sovietica, sollevando la dura reazione della Gran Bretagna a tal
proposito, soprattutto poiché quest’ultima era da decenni che esercitata una forte
influenza sull’economia dell’Iran. Stalin ritirò le proprie truppe solamente in cambio
di concessioni economiche da parte di Teheran.
Un ulteriore elemento che influenzò negativamente l’evoluzione della posizione
americana fu il processo di sovietizzazione attuato da Stalin nell’Europa centro-
orientale, la costruzione di ciò che sarebbe passata alla storia come una cortina di
ferro in grado di dividere in due aree l’Europa. I primi Paesi a cadere sotto l’influenza
comunista furono la Romania, la Bulgaria e la Polonia. Per ciò che concerne le prime
due, tali Paesi avevano richiesto un armistizio con gli alleati alla fine del 1944 ed
erano stati rapidamente occupati dall’Armata Rossa. In entrambi i casi i partiti
comunisti rappresentavano forze politiche esigue ma, con il sostegno dell’Unione
Sovietica e delle sue forze d’occupazione, essi cominciarono a esercitare una forte
influenza sui governi di coalizione antifascista formatisi dopo la fine delle ostilità e ai
quali prendevano parte esponenti di partiti politici borghesi e filoccidentali. Il partito
comunista romeno, guidato da Gheorghe Gheorghiu-Dej, e quello bulgaro, capeggiato
da Giorgi Dimitrov, riuscirono a occupare i dicasteri più importati per il controllo dello
Stato, in particolare la Difesa e Interni, e a procedere progressivamente alla
trasformazione delle istituzioni, adoperando spesso l’accusa di collusione con i
precedenti regimi autoritari filonazisti.
Quanto alla Polonia, la presa del potere dei comunisti sotto la guida di Boleslaw
Bierut avvenne rapidamente.
Ancora più rapido fu il processo di sovietizzazione vissuto in Jugoslavia e in Romania:
nel primo caso il Paese era stato in ampia misura liberato dalle forze comuniste di
Tito, senza il concorso delle truppe sovietiche.
Il Partito comunista jugoslavo aveva inoltre già provveduto durante la guerra a
eliminare gran parte degli oppositori e successivamente Tito instaurò un duro regime
comunista, senza neppure attendere quella breve fase di transizione fondata sui
governi di coalizione antifascista vissuta nelle altre nazioni. L’Albania sperimentò
un’esperienza simile a quella jugoslava come conseguenza dell’azione dei comunisti
di Enver Hoxha. In parte diverso fu il caso dell’Ungheria: l’Ungheria venne liberata
dall’Armata Rossa solamente alla fine del 1945 ma, nonostante i comunisti locali
esercitassero una forte influenza, nelle elezioni del 1946 la maggioranza fu ottenuta
dal moderato Partito dei piccoli proprietari.
Solo a partire dal 1947, mediante il sostegno di Mosca, vi fu un’accelerazione nella
sovietizzazione del Paese, la quale venne completata alla fine dello stesso anno con
la persecuzione di gran parte degli oppositori politici.
Infine, il caso della Cecoslovacchia fu un’ulteriore eccezione: a partire dalla sua
liberazione, la Cecoslovacchia si trovò sotto la guida di governi di coalizione
antifascista nel quale vi era un’effettiva collaborazione tra i comunisti di Klement
Gottwald e partiti borghesi.
Le elezioni si svolsero in un clima di sostanziale libertà e fu l’unico caso in cui i
comunisti ottennero un risultato ottimo senza brogli o intimidazioni. Il Paese
rappresentò un esempio della possibile prosecuzione della collaborazione tra
comunisti e forze politiche moderate filoccidentali.
Accanto alla sovietizzazione, ulteriore elemento di tensione furono le divergenze di
opinioni circa la sorte della Germania. All’indomani dell’occupazione, sebbene i
vincitori avessero preso l’impegno di considerare la Germania come un’unica entità e
si ispirassero agli obbiettivi di smilitarizzazione e denazificazione, ognuno avviò una
politica autonoma nella propria area di controllo: nell’area di occupazione sovietica
in un primo momento le autorità russe esercitarono una brutale azione di rivalsa nei
confronti dei tedeschi con violenze indiscriminate, una spietata persecuzione nei
riguardi dei nemici di classe e lo sfruttamento del territorio con lo smantellamento di
impianti interi produttivi – successivamente cercarono mediante una politica più
ragionata di creare un interlocutore tedesco nella figura del locale Partito comunista
che, di fronte all’esiguità numerica, in breve tempo finì per inglobare una parte del
più forte Partito Socialdemocratico tedesco (SPD) e dando vita al Partito Socialista
unificato (SED), sotto il rigido controllo della leadership comunista e con la costante
supervisione delle autorità sovietiche.
Le città ridotte in rovine, la terribile situazione della popolazione tedesca e la
constatazione circa le scelte autonome compiute da Mosca nella sua zona di
occupazione furono le cause che spinsero i governi di Washington e Londra a
rivedere parzialmente le loro posizioni e a considerare pragmaticamente più efficace
una ripresa economica e autonoma della Germania, piuttosto che un continuo
investimento nelle risorse per far sopravvivere i cittadini tedeschi nelle rispettive
zone di controllo. A partire dal 1947 le zone di occupazione americana e britannica si
fusero economicamente, dando origine alla cosiddetta Bizona, consentendo alle
strutture economiche di quest’area di riprendere parzialmente le loro attività e
lasciando ai tedeschi alcune forme di amministrazione locale autonoma.
Particolarmente importante nel quadro di trasformazione della valutazione
dell’amministrazione americana nei confronti dell’Unione Sovietica fu l’episodio del
lungo telegramma. Un giovane diplomatico americano, George Kennan, presso
l’ambasciata di Mosca pubblicò il cosiddetto lungo telegramma, successivamente
pubblicato sulla rivista Foreign Affairs sotto il titolo di “The Sources of Soviet
Conduct”: Kennan, esperto di politica sovietica, la descrisse come falsamente
conservatrice. Essa era in realtà una politica aggressiva e con l’obbiettivo di
espansione. Era necessario per gli americani adottare una politica attiva, Kennan
esplicò la cosiddetta teoria del contenimento – l’obbiettivo era quello di contenere
l’Unione Sovietica ed evitare che quest’ultima espandesse ulteriormente il proprio
territorio e zona di influenza.
La prima espressione della politica del containment si ebbe con il discorso del 12
marzo 1947 del presidente Truman, discorso successivamente divenuto noto come
dottrina Truman. Ciò che condusse all’inasprimento dei rapporti tra Est e Ovest fu ciò
che si verificò in alcune aree periferiche del Vecchio Continente: fin dal 1945
l’Unione Sovietica aveva avanzato richieste nei confronti della Turchia a proposito dei
distretti di Kars e Ardahan ottenuti dopo la disgregazione dell’impero zarista; inoltre,
vi erano state pressioni da parte di Mosca affinché vi fosse una modifica degli accordi
di Montreux del 1936 sugli Stretti affinché l’Unione Sovietica riuscisse a ottenere il
libero accesso al mar Mediterraneo. La Turchia, sentendosi minacciata, aveva deciso
di rivolgersi all’Occidente. Una situazione ancora più grave si profilava in Grecia:
dopo lo scontro aperto tra comunisti e forze conservatrici avvenuto alla fine del
1944, si era stabilita una fragile tregua – tuttavia, le ostilità ripresero agli inizi del
1946 e il Partito comunista greco KKE, il quale poteva contare sull’appoggio militare
della Jugoslavia e dell’Albania, aveva esteso il proprio controllo nella parte
settentrionale del Paese ai confini delle due nazioni comuniste. Il governo
monarchico di Atene contava sul sostegno britannico, tuttavia nell’inverno 1946-47
l’economia inglese si ritrovò ad affrontare gravi difficoltà che rendevano di difficile
prosecuzione l’aiuto alle autorità ateniesi.
La dottrina Truman fu un’importante presa di posizione: pur non nominando mai
espressamente il comunismo e l’Unione Sovietica, egli dichiarò che gli Stati Uniti si
sarebbero impegnati a sostenere ovunque nel mondo quei governi che si fossero
sentiti minacciati. A tal proposito, vennero stanziati 400 milioni di dollari in aiuti
economici e militari alla Grecia e alla Turchia. Era chiaro che la teoria del
contenimento doveva concretizzarsi in un sistema di difesa occidentale sviluppato su
diversi livelli: infatti, era necessario difendersi dal socialismo a livello ideologico,
geopolitico, sociale, culturale. Era necessario compattare l’Occidente contro la
minaccia sovietica. Il 12 marzo del 1947 può essere considerato come il primo
pilastro di carattere ideologico del nuovo sistema.
Venne successivamente determinato il cosiddetto Piano Marshall, o anche European
Recovery Program (ERP): gli americani promossero interventi economici a fondo
perduto nei confronti dei Paesi che avevano combattuto in guerra. In questo modo si
sarebbe verificata una ripresa economica generale e al tempo stesso ciò consentì agli
Stati Uniti di legale tali Paesi a sé.
Il Piano Marshall venne esteso anche nei confronti di quei Paesi delle zone di
influenze sovietica, in questo modo gli Stati Uniti d’America dimostrarono grande
generosità – l’Unione Sovietica venne messa in difficoltà poiché fu costretta a
costringere i Paesi della propria area di influenza a rifiutare ad aiuti economici.
Inoltre, il programma economico integrato americano poneva l’Unione Sovietica in
una situazione di disvantaggio. Venne istituita l’Organizzazione per la cooperazione
economica europea (OECE) per promuovere una cooperazione economica a livello
europeo sulla base degli aiuti statunitensi; invece, il compito di sovraintendere
l’impiego degli aiuti destinati all’Europa fu affidato all’Economic Cooperation
Administration (ECA).
Quanto a un fronte politico comune, nell’aprile del 1948 si sviluppò l’Unione
Occidentale a seguito della sigla del patto di Bruxelles: un’alleanza politica-militare
che si proponeva di difendere l’Europa libera, capitalista e democratica da minacce
esterne. Essa fu un’alleanza europea stabilita tra Francia, Regno Unito, Paesi Bassi,
Belgio e Lussemburgo. Stalin aveva risposto al Piano Marshall con lo sviluppo del
Comecon; invece, quanto all’Unione occidentale, a essa fu contrapposta
l’organizzazione di cooperazione e informazione fra i partiti comunisti, il Cominforn.
Il 1947 si concludeva con un ulteriore evento che rivelava la crescente tensione fra
Est e Ovest: in novembre si era riunita a Londra una nuova sessione della conferenza
dei ministri degli Esteri delle grandi potenze per decidere congiuntamente sulle sorti
della Germania; tuttavia, anche in tale occasione non fu trovato alcun accordo.
L’ennesimo fallimento spinse nell’anno successivo ai negoziati anglo-franco-
americani con l’obbiettivo di procedere autonomamente riguardo al futuro delle
zone di occupazione occidentale della Germania: venne istituito uno stato tedesco
occidentale dalla struttura federale che, seppure sotto il controllo alleato, avrebbe
sviluppato ampie forme di autonomia e avrebbe visto ripartire la propria economia
grazie al suo pieno inserimento nell’ERP.
La maggiore preoccupazione degli americani fu la loro assenza militare in Europa:
infatti, in uno scontro diretto, gli americani avrebbero impiegato tempo per inviare le
loro truppe a sostegno degli alleati. Il problema maggiore era rappresentato dalla
Costituzione americana, la quale impediva al presidente degli Stati Uniti d’America di
firmare accordi militari in tempi di pace. Per risolvere tale problematica, venne
istituito il Patto dell’Atlantico del Nord, accordo caratterizzato da una libera
discrezionalità per i singoli Paesi parte di intervenire o meno in caso di conflitto
armato. L’Italia aderì immediatamente al Patto dell’Atlantico del Nord – la Francia
spinse immediatamente per l’entrata italiana nel Patto dell’Atlantico del Nord: in
questo modo poté non solo bilanciare la Gran Bretagna e i suoi Paesi di influenza ma
anche coprire l’area mediterranea in caso di attacco. Nel 1952 aderirono anche la
Grecia e la Turchia.
Sull’onda del negoziato per il Patto Atlantico, i membri del patto di Bruxelles
avviarono un negoziato per la realizzazione di un organismo di cooperazione europea
più articolato. Le trattative si conclusero nel maggio del 1949 con la firma del trattato
istitutivo del Consiglio d’Europa, articolato in un Consiglio dei ministri e in
un’Assemblea consultiva con sede a Strasburgo. L’OECE, l’ERP, il patto di Bruxelles,
l’alleanza atlantica e il Consiglio d’Europa erano il simbolo della reazione
dell’Occidente a quella che era stata percepita come l’incombente minaccia sovietica.
Quindi, tra il 1947 e il 1949 l’attenzione statunitense si era concentrata sul contesto
europeo, dimostrando il proprio ruolo di superpotenza, ma ciò non significa che
l’espansione del comunismo non si manifestò in altre parti del mondo – significativa
in tal senso fu la vicenda cinese.
Nel corso della Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti avevano fortemente
sostenuto sul piano militare e politico il governo nazionalista di Chiang Kai-Shek, al
punto da prevederne la cooptazione nel novero dei grandi e un seggio permanente
nel Consiglio di sicurezza dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.
Durante la guerra, in virtù di un’unita antifascista, fu stabilita una tregua tra i
comunisti di Mao e il Kuomintang: il principale nemico divenne il Giappone.
Tuttavia, tale tregua non sopravvisse alla fine della guerra e le ostilità tra i due partiti
ripresero con più forza.
Nell’immediato dopoguerra il Partito comunista appariva più forte e varie erano le
ragioni di tale evoluzione: innanzitutto, i comunisti avevano tratto vantaggio dalla
lotta contro i nipponici, sia acquisendo il loro materiale bellico nel momento della
resa che sostituendoli nelle zone da questi occupati. Inoltre, è necessario
sottolineare quanto Mao e la leadership comunista avessero cambiato i caratteri
della lotta, venendo meno ai dettami marxisti leninisti e accantonando il precetto
secondo cui la classe operaia delle città, d’altronde esigua nel contesto cinese, fosse
il punto di forza del processo rivoluzionario: al contrario, in una realtà
economicamente e socialmente arretrata come quella cinese, Mao aveva posto al
centro dell’attenzione i milioni di contadini poveri, mobilitandoli con il miraggio di un
avvenire migliore e della fine dello sfruttamento da parte dei proprietari terrieri e
degli affaristi dei grandi centri urbani legati al capitalismo occidentale. Infine, un
altro elemento non trascurabile fu la debolezza delle strutture politiche e
amministrative, nonché la profonda corruzione del regime nazionalista.
L’appoggio statunitense proseguì sino al 1949 e con una sfiducia sempre maggiore nei
riguardi di Chiang.
Successivamente, i comunisti si impadronirono di Shanghai e con la presa di
Pechino fu proclamata la nascita della Repubblica popolare cinese. Chiang e le
residue forze nazionaliste trovarono rifugio nell’isola di Taiwan, affermando di
continuare a rappresentare il governo cinese. Appoggiando ancora una volta i
nazionalisti, gli Stati Uniti decisero di non riconoscere il regime comunista.
Ciò non deve portarci a credere che gli Stati Uniti si disinteressarono all’Asia e al
Pacifico, soprattutto dal momento che la vittoria contro il Giappone si era tradotta in
una piena affermazione degli Stati Uniti nell’area del Pacifico.
Tuttavia, bisogna sottolineare che l’amministrazione Truman, pur sottoponendo il
Giappone a un’occupazione militare, decise di lasciare in vita l’istituzione monarchica,
anche se spogliò la figura dell’imperatore del suo carattere divino. L’amministrazione
militare americana fu affidata al generale Douglas MacArthur, il quale si comportò
come un vero e proprio proconsole con ampi poteri e instaurò un rapporto diretto
con l’imperatore e la classe dirigente nipponica. Egli avviò radicali riforme delle
strutture politiche e della stessa società giapponese, mirando alla creazione di un
Giappone più democratico e pacifista sul modello americano. Nel 1946 fu approvata
una costituzione dai caratteri fortemente democratici, in base alla quale il Giappone
rinunciava all’uso della guerra e formalmente alle forze armate. L’occupazione
militare statunitense terminò solamente nel 1952, anche se il Giappone firmando un
trattato di alleanza con Washington accettava una sorta di protezione americana. Nel
volgere di un ventennio il Giappone sarebbe divenuto uno degli alleati più stabili del
governo americano in Asia e avrebbe vissuto una grande crescita economica sotto la
guida del moderato e filoccidentale Partito liberaldemocratico.
La prima fase della Guerra fredda, la quale si estende dal 1946-47 al 1954 è
caratterizzata da forti tensioni, nonché dalla bipartizione in due aree di influenza:
abbiamo detto che a Oriente della cortina di ferro vi erano i Paesi economicamente,
socialmente e politicamente legati all’Unione Sovietica, viceversa nella zona
Occidentale vi era l’egemonia degli Stati Uniti.
Nonostante le continue manifestazioni di forza, a seguito della bipartizione si
raggiunse una sorta di stabilità, I due principali avvenimenti che alla che
provocarono un nuovo allarme furono i seguenti:
• Nel 1949 si era verificata l’esplosione della prima bomba atomica sovietica. Ciò
aveva cambiato profondamente le prospettive di equilibrio nell’ambito
internazionale: gli Stati Uniti pensavano di poter godere almeno di dieci anni di
superiorità sugli ordigni nucleari. In seno all’organizzazione delle Nazioni Unite si
era sviluppato un vero e proprio dibattito sulle armi atomiche a seguito della
Seconda guerra mondiale: alcuni avevano proposto che fossero smantellate;
altri, come gli americani, dichiararono la loro volontà di non costruirne altri,
salvo che nessun altro Paese ne costruisse. Ciò era una proposta estremamente
vantaggiosa per gli Stati Uniti: infatti, in questo modo avrebbero mantenuto un
monopolio su tale tecnologia militare. Tuttavia, alcuni scienziati ritenevano fosse
pericoloso che un unico Paese avesse ordigni nucleari e che fosse più sicuro
condividere tali tecnologie. Quando scoppiò l’ordigno nucleare sovietico nel
1949, gli americani iniziano a credere che il containment non fosse più una
soluzione adeguata.
• Il secondo elemento che provocò nuove tensioni tra gli Stati Uniti e l’Unione
Sovietica fu ciò che successe in Corea: quest’ultima, dopo aver sconfitto il
Giappone alla fine del Secondo conflitto armato, rimase in una condizione di
limbo.
Sin da Jalta, i tre grandi avevano deciso che la Corea, protettorato giapponese dalla
fine della guerra contro la Cina nel 1894-95, fosse trasformato in uno Stato
indipendente. Alla fine del conflitto, il territorio coreano era stato occupato nella
parte settentrionale dall’Unione Sovietica e quella meridionale dagli Stati Uniti. In
una sorta di ripetizione di quanto stava contemporaneamente accadendo in
Germania, Mosca e Washington non furono in grado di trovare una soluzione
congiunta circa il suo futuro, finendo per favorire la creazione nel 1949 di due Stati
separati e ostili tra loro: da un lato la Corea del Nord sotto il ferreo controllo del
leader comunista Kim Il-sung e d’altra parte la Corea del Sud, guidata dal
conservatore e anticomunista Syngman Rhee.
Nel 1950 la Repubblica popolare di Corea, denominata oggigiorno come Corea del
Nord, approfittò del vuoto delle truppe in Meridione e della mancanza di intesa per
promuovere l’unificazione della Corea. Nel caso in cui la Corea fosse stata
conquistata dalla Repubblica popolare di Corea, essa sarebbe divenuta l’ennesima
zona di influenza sovietica e di stampo comunista. Il presidente americano Truman
decise di promuovere un intervento militare internazionale. Ciò venne accettato
dall’organizzazione delle Nazioni Unite, la quale si mosse affinché si potesse ritornare
alla situazione antecedente contro la Repubblica popolare della Corea. Non fu
un’operazione di peace-keeping, bensì una vera e propria guerra combattuta dalle
Nazioni Unite. Nella storia delle Nazioni Unite vi furono solamente due operazioni
simili, la seconda si avrà nel 1991 con la liberazione del Kuwait, occupato dalle
truppe dell’Iraq.
Al patto dell’Atlantico in Europa si aggiunsero il trattato di Baghdad e di Manila, i
quali andranno a contenere l’espansione sovietica rispettivamente in Asia ed
Estremo Oriente. Il primo fu il risultato dei contatti tra il governo iracheno con quello
di Ankara, alleanza a cui poi si unirono successivamente l’Iran e il Pakistan, nonché
sostenuta dalla Gran Bretagna; invece, il secondo che istituì la South-East Asia Treaty
Organisation (SEATO) per limitare il comunismo cinese. Inoltre, vennero rafforzati i
rapporti con i propri alleati storici, come le Filippine e l’Australia, e nel 1953 fu
firmato un trattato di alleanza tra Turchia, Grecia e Jugoslavia, il cosiddetto patto
balcanico. Dunque, dall’Atlantico fino all’Asia orientale si estendevano una serie di
alleanze che vedevano gli Stati Uniti come lo Stato fondatore, o ispiratore.
Gli Stati Uniti d’America imperniarono il loro sistema antisovietico sulla Corea del
Sud, Giappone e Taiwan. Il Taiwan era caratterizzato da un regime nazionalista,
ideologicamente distante dal comunismo; quanto alla Corea, inizialmente gli
americani non avevano considerato particolarmente tale Paese, ma dopo il
tentativo di conquista della Repubblica popolare di Corea, divenne necessario
rendere tale Paese uno dei perni del sistema di sicurezza americano. Paradossale
è la situazione con il Giappone: esso fu il principale nemico degli Stati Uniti nella
Seconda guerra mondiale e negli anni ’50 del Novecento si ritrovò a essere il
principale perno del sistema americano.
La situazione coreana provocò tensioni anche al livello europeo: si credeva che,
successivamente al tentativo di espandere la propria area di influenza in Asia,
l’Unione Sovietica avrebbe sferrato la prossima mossa in Europa, specificamente
riguardo alla Germania. Quanto alla Germania e alla sua mancata unificazione, a
essa non si opponeva solamente l’Unione Sovietica. Il secondo problema era
rappresentato dalla Francia, la quale non voleva che vi fosse un reintegro della
Germania nel sistema internazionale e una sua rimilitarizzazione, a differenza degli
americani che spingevano in tale direzione affinché avessero potuto avere una linea
di difesa militare contro l’Unione Sovietica.
Alla fine della guerra i leader francesi si erano convinti che la disfatta del 1940 fosse
stata anche la conseguenza della debolezza dell’industria francese rispetto a quella
tedesca e nel 1945 de Gaulle spinse all’istituzione del Commissariato al piano di
ammodernamento dell’industria, alla cui guida venne posto Jean Monnet, il quale si
era distinto nelle due guerre mondiali per le sue capacità.
Quest’ultimo, sfruttando l’atmosfera favorevole ai progetti europeisti, decise di
lanciare un piano per la costituzione di una comunità integrata franco-tedesca nei
settori carbonifero e siderurgico e a cui si sarebbero potuti affiancare altri Paesi
europei. Un elemento importante a tale progetto era la parziale sovra nazionalità:
Parigi si sarebbe assicurata la leadership dell’integrazione europea e sarebbe
divenuto il principale interlocutore di Washington nell’Europa occidentale.
Monnet convinse del progetto il ministro degli Esteri Schuman, il quale lo lanciò
pubblicamente nel maggio del 1950. La reazione del cancelliere tedesco Adenauer fu
positiva: per la prima volta a soli cinque anni dalla fine della guerra la Germania
Ovest veniva accettata come partner su un piano paritario in un negoziato guidato
da uno dei vincitori della guerra. Aderirono al piano Schuman anche l’Italia, l’Olanda,
il Belgio e il Lussemburgo. I negoziati si conclusero in tempi brevi, dando origine
nell’aprile del 1951 al trattato istitutivo della Comunità europea del carbone e
dell’acciaio CECA, entrato in vigore l’anno successivo. L’industria del carbone era
essenziale per la ricostruzione dell’economia europea, quella siderurgica era
fondamentale per qualsiasi politica di riarmo – non è un caso che Stalin interpretasse
il piano Schuman come premessa alla rinascita militare tedesca in funzione
antisovietica.
La guerra di Corea e la necessità degli Stati Uniti di inviare continue truppe e
materiali in Asia, nonché la debolezza militare del piano atlantico, resero chiaro che
fosse necessario un ulteriore rafforzamento dell’Europa occidentale. La soluzione
che Washington e Londra individuarono nell’estate del 1950 fu il rapido riarmo della
Germania Ovest e il suo inserimento nell’alleanza atlantica. Ciò provocò una reazione
negativa da Parigi, restia ad accettare la rinascita di un esercito tedesco a soli cinque
anni dalla fine della guerra; tuttavia, Washington e Londra proseguirono
nell’elaborazione di progetti difensivi che si fondavano sul riarmo tedesco.
L’amministrazione Truman decise di favorire il riarmo degli europei tramite il Military
Assistance Program (MAP); inoltre, tra il 1950 e il 1951 si creò la struttura militare
del patto atlantico, dando origine alla North Atlantic Treaty Organisation (NATO) e
alla formazione del Supreme Headquarters Allied Powers Europe (SHAPE), ente della
NATO responsabile delle attività di comando e alla cui guida fu nominato il generale
Eisenhower.
Nello stesso anno, le autorità francesi compresero che il loro veto sul riarmo tedesco
non sarebbe stato rispettato, di conseguenza decisero di sfruttare l’approccio
adoperato mesi prima per la CECA: venne proposto il cosiddetto piano Pleven, volto
alla costruzione di un esercito europeo integrato. Adenauer, alla stregua degli
italiani, belgi, olandesi e lussemburghesi, appariva scettico ma decise di accettare
l’avvio ai negoziati sull’esercito europeo. Nel volgere di poco tempo, si assistette a
una svolta del piano Pleven: si sviluppò l’idea di una Comunità europea di difesa
(CED) sul modello della CECA.
L’amministrazione Truman approvò tali cambiamenti, credendo che la CED avrebbe
rafforzato sia la NATO (in cui sarebbe stata inserita) sia la costruzione di un’unione
politica europea; inoltre, ciò avrebbe condotto a un maggior impegno militare e
finanziario degli europei nei confronti della loro difesa, liberando risorse che
Washington avrebbe potuto adoperare in altro modo. Oltre al pieno sostegno al
progetto della CED, Washington favorì nel febbraio del 1952 l’adesione della Grecia e
della Turchia al patto atlantico con un deciso rafforzamento del fianco sud della
NATO, nonché della presenza statunitense nel Mediterraneo.
Quindi, la Francia decise di promuovere la CECA e la Comunità europea di difesa
affinché potessero migliorare le loro relazioni con la Germania. Ma perché i francesi
si fanno promotori di tali organizzazioni sovranazionali? L’idea non era quella di
creare un’Europa federale, bensì quella di risolvere alcune contingenze attraverso
l’integrazione di determinate funzione. In questo modo i francesi, con la CECA,
volevano evitare il peggioramento del rapporto tra Francia e Germania quanto al
controllo delle aree maggiormente produttrici al confine tra Germania e Francia
fossero, motivo per il quale si proponeva un controllo europeo congiunto; quanto
alla Comunità europea di difesa, si credeva che la creazione di un comune esercito
europeo in grado di difendere congiuntamente l’Europa avrebbe evitato un esclusivo
riarmo tedesco.
Il successore del Presidente Truman fu il generale Dwight Eisenhower. Il ritorno dei
repubblicani fu un chiaro messaggio all’Unione Sovietica: affidando la direzione degli
Stati Uniti d’America a un ex generale del Secondo conflitto mondiale, l’idea era
quella di rafforzare la strategia militare americana nei confronti dell’Unione
Sovietica. Il presidente Eisenhower, dopo aver iniziato il proprio mandato nel
gennaio del 1953, lanciò un programma di politica estera che può essere descritto
nel concetto di “New look” (una nuova immagina della politica americana in risposta
della minaccia sovietica): sostanzialmente, egli crede che non sia sufficiente il mero
contenimento, bensì è necessario il ridimensionamento dell’influenza sovietica (roll-
back). Tali idee si concretizzarono nel programma “atoms for peace”: gli americani
iniziarono a investire particolarmente nella potenza nucleare, incrementando la
potenza dei loro ordigni. Inoltre, il presidente Eisenhower mise a disposizione il
known-how e gli esperti nucleari, divenendo promotore di un’iniziativa volta a
rivalutare positivamente il nucleare.
Nel 1953 morì Stalin e ciò determinò un vuoto non solo per l’Unione Sovietica, bensì
per l’intero sistema internazionale. Vi era un grande punto interrogativo su quella
che sarebbe stata la futura politica estera sovietica: alla morte di Stalin, la guida fu
assunta da una direzione collegiale – difatti, i suoi principali collaboratori decisero di
unirsi collettivamente e dividersi le funzioni. Tuttavia, nel giro di pochi anni emerse la
figura di Nikita Krusciov. Egli divenne il Segretario generale del partito comunista,
governando il Paese fino al 1964, gestendo la seconda fase della guerra fredda.
Krusciov non cambiò complessivamente i caratteri della politica estera sovietica:
l’obbiettivo era sempre quello di controllare l’Europa orientale, ampliare la zona di
influenza sovietica e rendere la Cina il principale alleato dell’Unione Sovietica.
Tuttavia, egli si rese conto che era necessario far comprendere alle Potenze del
sistema internazionale che l’Unione Sovietica non rappresentava un nemico.
La teoria dell’inevitabilità del conflitto enunciata da Stalin smise di esistere. Krusciov
rese il comunismo una mera alternativa di sviluppo ideologico ed economico per quei
Paesi che stanno raggiungendo l’indipendenza mediante la decolonizzazione. Il nuovo
segretario pose in essere una grande politica di propaganda: l’Unione Sovietica venne
dipinta come un paese che aveva combattuto il nazifascismo nella Seconda guerra
mondiale e che ora ricercava un proprio sviluppo – bensì, erano gli Stati Uniti
d’America che con la proprio politica ricercava il conflitto. Dal 1954 al novembre fino
alla seconda metà degli anni ’60 vi fu la seconda fase della Guerra fredda, definita
prima distensione per il miglior clima che si riuscì a raggiungere.
Eisenhower trasse vantaggio dall’atteggiamento più morbido assunto dall’URSS per
concludere nel giugno del 1953 un armistizio in Corea che poneva a termine, pur
senza un trattato di pace, un conflitto logorante che gli Stati Uniti non erano stati in
grado di vincere e che aveva provocato stanchezza e delusione presso l’opinione
pubblica. Restava comunque pieno il sostegno di Washington all’alleato sudcoreano e
gli Stati Uniti mantenevano una rilevante presenza militare nell’area. Dopodiché,
Eisenhower si interessò al riarmo della Germania Ovest attraverso l’attuazione della
CED poiché, nonostante fosse stato firmato il trattato di Parigi istitutivo della
Comunità il 27 maggio 1952, esso non era ancora stato ratificato dai Paesi firmatari:
nella Repubblica federale Adenauer aveva dovuto affrontare le ostilità del Partito
socialdemocratico tedesco, il quale riteneva che tale progetto fosse una minaccia a
qualsiasi possibilità di riunificazione tedesca; in Italia De Gasperi si era scontrato
contro l’efficace campagna contro l’esercito europeo condotta dal PCI, dal PSI e dal
movimento Partigiani della pace; si erano presentate difficoltà persino in Paesi di
sicura lealtà atlantica come Belgio e Olanda.
Inoltre, nella stessa Francia dove era nata l’idea della creazione della Comunità
europea di difesa vi era un aspro dibattito interno. La morte di Stalin e la nuova
politica dell’Unione Sovietica fecero nascere l’idea in vari ambienti politici parigini
che forse non sarebbe più stato necessario riarmare la Germania Ovest, soprattutto
affinché la Francia non perdesse la piena sovranità nel settore della difesa. Un
elemento non trascurabile sono anche i sentimenti antiamericani di molti francesi,
nonché la sensazione che la CED fosse il simbolo dell’interferenza statunitense nelle
vicende interne della Francia.
Fu in questa atmosfera poco favorevole che tra il gennaio e il febbraio del 1954 i
ministri degli Esteri delle tre potenze occidentali e dell’Unione Sovietica si riunirono
a Berlino nuovamente per discutere del futuro della Germania. Le posizioni
risultarono ancora inconciliabili: gli occidentali richiedevano libere elezioni su tutto il
territorio tedesco quale premessa per la riunificazione; invece, Mosca sosteneva la
necessità di dialogo tra le due Germanie, implicando il riconoscimento reciproco
come entità separate.
Nonostante il fallimento della conferenza di Berlino, il governo francese non
abbandonava la speranza che l’atteggiamento di Mosca potesse risultare utile a
forzare la mano americana e a risolvere alcuni problemi che stava affrontando,
come la situazione dell’Indocina: le autorità di Parigi richiesero agli Stati Uniti
una conferenza internazionale sulla Corea e sull’Indocina a tutte le parti
interessate, inclusa l’Unione Sovietica, la Repubblica popolare cinese e il Viet
Minh – il governo americano accettò nuovamente le richieste dei francesi,
sperando che quest’ultimi si convincessero a ratificare il trattato sulla CED, nel
frattempo approvato dai tre Paesi del Benelux. La conferenza internazionale sulle
due crisi estremo-orientali si aprì a Ginevra nel 1954: non si raggiunse un accordo
sul futuro della Corea; inoltre, si decise di dividere l’Indocina, parte
precedentemente dell’impero coloniale francese, in due blocchi di influenza, così
come successe con la Germania e l’Austria.
La crisi della CED, oltre ad apparire come il fallimento delle speranze dell’integrazione
europea sovranazionale, aprì una grave fase di difficoltà nelle relazioni fra
Washington e Parigi, più in generale nell’atteggiamento americano nei confronti degli
alleati europei, spingendo l’amministrazione Eisenhower a dure dichiarazioni di
disimpegno dall’Europa.
A tal punto decise di intervenire la Gran Bretagna: Londra non aveva mai considerato
con grande entusiasmo la CED per i suoi caratteri sovranazionali, ma l’aveva
pubblicamente sostenuta nella speranza che conducesse al riarmo della Germania
Ovest. Fu proposta la nascita di un’alleanza europea mediante la trasformazione del
patto di Bruxelles con l’adesione della Germania Ovest e dell’Italia. Il governo
francese accettò la proposta inglese, dimostrando che la problematica centrale non
fosse più il riarmo tedesco quanto evitare la cessione di parte della propria sovranità.
Nel 1954 si tenne a Parigi un nuovo importante incontro nel quale vennero approvati
tre accordi fondamentali: la prima intesa sanciva il riarmo della Germania Ovest e il
suo inserimento nell’alleanza atlantica; invece, il secondo accordo tra i cinque
membri del patto di Bruxelles, Germania Ovest e Italia dava origine all’Unione
dell’Europa occidentale e infine, le tre potenze occidentali vincitrici della guerra
concedevano nuovamente piena sovranità alla Germania Ovest, a eccezione di
Berlino Ovest, ancora sottoposta al loro controllo.
L’Unione Sovietica non restò indifferente alla firma degli accordi di Parigi: la reazione
a ciò fu il patto di Varsavia, modellato in ampia misura sul patto atlantico, alleanza
militare tra i diversi Paesi comunisti europei. Inoltre, estremamente efficace sul
piano politica e propagandistico fu un’altra iniziativa sovietica: furono avviati
contratti con il governo austriaco facendo intendere la propria disponibilità a ritirare
le truppe dell’Armata Rossa dall’Austria, a condizione che le potenze occidentali
facessero altrettanto e che Vienna divenisse neutrale. La politica di Krusciov pose in
grande difficoltà gli Stati Uniti d’America: infatti, la politica del new look di
Eisenhower apparve al contrario troppo rigida e militarista, rischiando di mettere in
cattiva luce gli Stati Uniti d’America dinanzi al sistema internazionale. Gli Stati Uniti,
la Gran Bretagna e la Francia non poterono che acconsentire, presi alla sprovvista
dalla fine di un’occupazione militare che si protraeva da dieci anni – Mosca riuscì a
porre tra sé e il fronte Sud della NATO un Paese neutrale.
Dinanzi all’attivismo sovietico, l’Occidente appariva lento. Fu Eden, il quale aveva
sostituito Churchill alla guida del governo, a ritenere fosse il caso di prendere
l’iniziativa e propose un Summit tra i quattro grandi e a loro volta i sovietici non si
tirarono indietro. Neppure con il Summit di Ginevra del 1955 si ebbe una soluzione
per i problemi dell’Europa, sebbene molti credevano che avrebbe condotto
all’unificazione della Germania; tuttavia, venne percepita dall’opinione pubblica
come un successo e come simbolo della prima distensione dal momento che
entrambe le superpotenze si mostrarono propositive verso l’altra. La situazione in
Europa si cristallizzò, si erano ormai definiti due blocchi di alleanze: infatti, nel
momento in cui si verificò un’insurrezione in Ungheria e l’uscita di quest’ultima dal
Patto di Varsavia, non vi fu alcuna risposta da parte dell’Occidente.
Alla vigilia della Prima distensione, il cui inizio si tende a farlo coincidere nella
storiografia con la Conferenza di Ginevra, gli Stati Uniti e l’Unione sovietica avevano
iniziato a considerare le opportunità che derivavano dal fenomeno della
decolonizzazione.
In Asia la decolonizzazione iniziò poco dopo la Seconda guerra mondiale, sia con
l’indipendenza dell’India del 1947 che degli altri Paesi del sub-continente asiatico e
del Medio Oriente. Tuttavia, le due superpotenze erano interessate soprattutto in
Africa, continente che iniziò il proprio processo di decolonizzazione dieci anni più
tardi: infatti, a eccezione dell’Egitto che ottenne l’indipendenza dagli inglesi e della
Libia che venne liberata dall’occupazione italiana, la decolonizzazione in Africa iniziò
dal 1956. Nel 1956 la Francia riconobbe l’indipendenza del Marocco e della Tunisia,
nel 1957 gli inglesi riconobbero l’indipendenza del Ghana. Successivamente, a
catena iniziò l’indipendenza dei diversi Paesi africani, raggiungendo il maggiore
sviluppo nel 1960, indicato dalla comunità internazionale come anno dell’Africa. Gli
unici territori che rimarranno sotto occupazione straniera furono le colonie del
Portogallo. Esse conquisteranno l’indipendenza solamente nel 1975 a seguito del
crollo del regime autocratico in Portogallo mediante la rivoluzione dei Garofani.
La disgregazione dell’impero francese fu costellata di episodi particolarmente tragici,
intrecciandosi spesso con le vicende della guerra fredda e con riflessi di grande
portata sugli equilibri interni. Durante la Seconda guerra mondiale, a seguito della
capitolazione della Francia, l’Indocina francese aderì al regime di Vichy e dovette
accettare nel proprio territorio la presenza delle truppe giapponesi.
L’Indocina francese era una realtà composita formata dai protettorati della
Cambogia e del Laos, nonché dal Vietnam. Gli anni del conflitto furono caratterizzati
da un precario equilibrio fra gli amministratori coloniali e le autorità di Tokyo,
mentre nella parte settentrionale del Vietnam veniva creato un movimento
nazionalista, il Viet Minh, al cui interno era centrale il Partito Comunista indocinese,
guidato dalla personalità carismatica del rivoluzionario Ho Chi Minh.
Dopo l’ingresso in guerra dell’Unione Sovietica, il Viet Minh si schierò nella lotta
contro i giapponesi, anche se in maniera cauta. Liberata Parigi, il governo provvisorio
guidato da de Gaulle decise di inviare una missione segreta in Indocina allo scopo di
fomentare una rivolta contro la presenza nipponica. Tuttavia, le autorità giapponesi
anticiparono ogni iniziativa contro di loro e riuscirono ad assumere il controllo
sull’intera Indocina, spazzando via qualsiasi resistenza francese. A seguito della
capitolazione giapponese nel conflitto mondiale, il Viet Minh, rimasto in una
posizione di prudente attesa, lanciò un’insurrezione generale, proclamando
successivamente la nascita della Repubblica del Vietnam.
Non era intenzione del governo francese rinunciare al suo ruolo imperiale; tuttavia,
la restaurazione della sovranità francese appariva difficoltosa: sulla base degli
accordi di Potsdam, questa parte dell’impero francese, in particolare il territorio
vietnamita, sarebbe passato sotto una temporanea amministrazione militare del
governo nazionalista cinese e a sud sotto britannica. I responsabili della Cina
nazionalista non parvero interessarsi alle sorti del Vietnam, lasciando l’opportunità al
Viet Minh per rafforzarsi. Al contrario, i britannici sostennero la ricostituzione
coloniale e passarono rapidamente le consegne ai primi reparti provenienti dalla
Francia. Nel 1946 Ho Chi Minh si recava a Parigi alla testa di una delegazione
vietnamita e si aprivano i negoziati con le autorità francesi. Tuttavia, al rientro si rese
velocemente conto di quanto eventuali compromessi avrebbero faticato a
funzionare e impartì l’ordine al comandante dell’unità, il generale Giap, di prepararsi
a uno scontro aperto.
Nel dicembre del 1946 i nazionalisti scatenarono un moto insurrezionale, anche se la
reazione della Francia fu immediata ed efficace: essa riuscì a riprendere il controllo
di tutte le aree urbane e delle più importanti vie di comunicazione. Ciò non si
tradusse in una sconfitta completa dei nazionalisti, bensì a un conflitto a bassa
intensità e ad attività continue di guerriglia. La nascita della Repubblica popolare
cinese nel 1959 e la decisione di Pechino e di Mosca di riconoscere il governo
rivoluzionario di Ho Chi Minh furono i primi segnali di un cambiamento radicale nel
conflitto indocinese: infatti, a partire dal 1950 il Viet Minh poté contare su un
crescente sostegno in armi ed equipaggiamenti da parte della Cina, nonché di una
presenza comunista lungo le frontiere settentrionali della Cambogia e Laos. Infatti,
nel 1950 per la prima volta i francesi subivano una dura sconfitta a campo aperto.
La Francia decise di chiedere aiuto agli Stati Uniti, argomentando che in quella parte
dell’Asia Parigi stava difendendo non i suoi interessi imperiali, bensì le posizioni
dell’Occidente contro il comunismo. L’amministrazione Truman si dimostrò sensibile
a tali richieste, soprattutto dopo la nascita della Repubblica popolare cinese e lo
scoppio della guerra di Corea. Tra il 1950 e il 1951 gli Stati Uniti iniziarono a
finanziare la guerra francese in Indocina; al contempo, sempre più insistenti furono
le richieste del governo statunitense nei confronti di quello francese quanto alla
concessione della piena indipendenza a tali territori dell’Asia. Dal 1952 la questione
indocinese finì per intrecciarsi al problema del riarmo tedesco e all’attuazione di
quest’ultimo mediante la CES: in più di un’occasione i governi francesi sfruttarono
l’interesse di Washington a vedere attuata la Comunità europea di difesa per
ottenere concessioni nel Sud-Est asiatico.
Nella primavera del 1954 la Francia riuscì a convincere il governo statunitense a
indire una conferenza internazionale sulla Corea e l’Indocina alla quale avrebbero
preso parte tutti gli attori coinvolti, inclusi la Repubblica popolare cinese, l’Unione
Sovietica, gli stati dell’Indocina e il governo vietnamita di Ho Chi Minh, ma come
abbiamo visto esso fu un fallimento: le forze del generale Giap avevano stretto
d’assedio la piazzaforte di Dien Bien Phu e, il mancato intervento degli Stati Uniti in
soccorso alle truppe francesi, provocarono una sconfitta di quest’ultime. La Francia
era indebolita militarmente, non poteva forzare la mano alla conferenza e richiedere
una soluzione politica al conflitto dopo aver dimostrato la sua inferiorità militare.
Infatti, gli accordi conclusi alla conferenza di Ginevra prevedevano la completa
indipendenza di Laos e Cambogia; quanto al Vietnam, in una fase transitoria sarebbe
stato diviso in due entità, solamente successivamente vi sarebbero state elezioni
libere per l’istituzione di uno Stato unitario.
Le indipendentiste maturarono anche in altre parti dell’Unione francese, in primo
luogo nei due protettorati della Tunisia e del Marocco. In Tunisia fin dagli anni Venti
si sviluppò il Destour, movimento che reclamava maggiori diritti per la popolazione
locale. Nel decennio successivo e di una spaccatura nel movimento, si venne a
determinare il Neo-Destour, i cui obbiettivi erano il suffragio universale e la fine del
protettorato. Alla fine del 1951, anche a fronte dei gravi disordini che si verificarono,
il governo di Parigi dichiarò che la propria politica si sarebbe basata sulla costituzione
di un fronte franco-tunisino, anche se in realtà ciò sembrava confermare l’intenzione
di preservare l’influenza francese sul territorio. Questa presa di posizione spinse il
Neo-Destour a un’opposizione armata, motivo per il quale la Francia decise di
concedere un’ampia autonomia che sfociò presto in una piena indipendenza.
Quanto al protettorato del Marocco, il movimento indipendentista si riconosceva nel
Partito nazionalista dell’Istiqlal e nel sultano Mohammed ben Yussef, i quali durante
il conflitto mondiale avevano posto le speranze nelle vaghe speranze fatte dal
governo statunitense. Tuttavia, alla fine della Seconda guerra mondiale, fu chiaro che
la Francia aveva intenzione di mantenere il pieno controllo sul protettorato. La
situazione degenerò nel 1950, quando le autorità locali francesi costrinsero il sultano
a rompere con l’Istiqlal. La reazione nazionalista non si fece attendere, si
susseguirono violenti scioperi e incidenti a cui i francesi risposero arrestando il
sultano ed esiliandolo. Successivamente, i nazionalisti iniziarono una resistenza
armata con frequenti attacchi terroristici. Nonostante la dura opposizione dei coloni
francesi tra il 1955-56, le autorità francesi compresero che non vi era altra soluzione
se non un accorto con il deposto sultano e il movimento. Il sultano venne liberato e
venne riconosciuta la piena indipendenza al Marocco l’anno successivo.
La situazione che si profilò in Algeria fu la più drammatica e sanguinosa: l’Algeria fu
conquistata negli anni ’30 dell’Ottocento attraverso una campagna militare
particolarmente violenta e a fronte di una forte opposizione locale. Nel corso dei
decenni successivi tale territorio fu caratterizzato da un forte flusso migratorio di
coloni europei, i cosiddetti pieds noirs. Il radicamento della potenza coloniale fu
molto forte, al punto che città come Algeri e Orano presentavano caratteri non
dissimili dai grandi centri metropolitani della Francia, come Marsiglia. Alla realtà
locale si era dunque sovrapposta una società coloniale complessa che riproduceva i
caratteri della madrepatria dal punto di vista della stratificazione di classe. Nel
periodo fra le due guerre mondiali, anche in Algeria si svilupparono sentimenti
nazionalisti, anche se inizialmente le loro richieste non sembravano andare oltre la
concessione di un’ampia autonomia e maggiori diritti.
Alle aspirazioni algerine Parigi rispose nel 1947 con la promulgazione di uno statuto
speciale che lasciava qualche spazio ai musulmani locali, sebbene sostanzialmente vi
fosse la prosecuzione del dominio della minoranza europea. Tuttavia, le vicende
dell’Indocina, del Marocco e della Tunisia, nonché l’emergere di un movimento
panarabo e anticoloniale, spinsero alla formazione di correnti nazionaliste radicali.
Nel 1953 si originò il Fronte di liberazione nazionale; possiamo affermare che la
risposta francese fu contraddittoria: da una parte Parigi ribadì che l’Algeria era parte
integrante della Francia e lanciò un’intensa azione di repressione, d’altra parte
invece cercò di avviare una politica di riforme che rispondesse ad alcune esigenze
della popolazione musulmana. Ciò non impedì l’espandersi delle attività di guerriglia
e di natura terroristica, specialmente rivolte ai civili pieds noirs.
La questione algerina aveva acquisito forte implicazioni internazionali, sia per il
sostegno dell’Egitto di Nasser al Fronte di liberazione nazionale che aveva uno dei
suoi centri al Cairo, sia per l’ospitalità offerta dalla Tunisia da poco indipendente alle
basi del Fronte. Nell’autunno del 1956 le autorità francesi dirottarono un aereo con a
bordo alcuni dei leader del Fronte, arrestandoli e suscitando dure reazioni dai Paesi
arabi e sconcerto nella comunità internazionale. L’internazionalizzazione del conflitto
algerino finì con l’isolare sempre di più la Francia: specificamente, gli Stati Uniti si
mostravano sempre più preoccupati della situazione, la quale indeboliva le posizioni
occidentali in tutto il mondo arabo a vantaggio dell’Unione Sovietica, la quale si era
apertamente schierata al fianco del Fronte algerino.
Ancora più devastanti furono le conseguenze interne, nel quale il Partito comunista
francese e una crescente corrente progressista erano fortemente ostili a una guerra
sempre più sanguinosa. Radicalmente diverso era l’atteggiamento dei coloni pieds
noirs, sempre più ostili verso le autorità centrali accusate di debolezze e sospettate
di voler cedere alle richieste del Fronte; inoltre, fondamentale era il ruolo di una
parte dei vertici militari, i quali consideravano il Fronte algerino uno strumento del
comunismo internazionale e ricercavano una rivincita a seguito delle sconfitte subite
in Indocina. Sul piano militare l’azione francese era brutalmente efficace, tuttavia era
sempre più impopolare per i suoi costi umani e finanziari, oltre che per ragioni di
carattere morale. Dinanzi all’ennesima crisi governativa interna, i coloni e i vertici
militari francesi in Algeria decisero di ribellarsi al governo centrale e assumere il
controllo di Algeri. La classe politica moderata della Quarta repubblica fu costretta
ad affidarsi al generale de Gaulle, il quale da alcuni anni si era ritirato a vita privata:
egli agì per cercare innanzitutto di risollevare il Paese dalla decadenza parlamentare,
dando origine alla Quinta Repubblica, istituendo una costituzione di carattere
semipresidenziale.
Consolidato il nuovo sistema politico, decise di occuparsi della questione algerina,
affinché successivamente potesse concentrarsi su una ripresa economica e
internazionale della Francia: la sua politica di disimpegno dall’Algeria gli alienò i
vertici militari ad Algeri, nonché le frange più estremiste dei coloni, i quali crearono
un gruppo terroristico, l’OAS, le cui azioni si indirizzavano contro i musulmani vicino
al Fronte e ai rappresentanti del governo centrale. Il generale De Gaulle agì di
conseguenza, punendo duramente gli alti gradi delle forze armate e sciogliendo
interi reparti militari. Nel 1960 furono avviati i negoziati con i rappresentanti del
Fronte di liberazione algerino, due anni dopo furono siglati gli accordi di
indipendenza. Tuttavia, tale conflitto lasciò pesanti strascichi di astio e
incomprensione tra la Francia e l’Algeria, in parte ancora condizionanti dei loro
rapporti.
La decolonizzazione del Nordafrica francese, in particolare il conflitto algerino, si
inscriveva nel più ampio complesso dei cambiamenti che concernevano tutto il
mondo arabo, soprattutto il Medio Oriente.
A seguito della dissoluzione dell’impero ottomano alla fine della Prima guerra
mondiale, i suoi territori erano stati divisi tra alcune potenze europee, soprattutto
tra la Gran Bretagna e la Francia. Nonostante fossero stati promessi territori anche
all’Italia e alla Grecia, si verificò la nascita di una Turchia laica e indipendente sotto la
leadership di Mustafà e, a seguito della vittoriosa guerra di quest’ultima contro la
Grecia, il trattato di Losanna riconobbe l’indipendenza territoriale della Turchia.
Nel 1917 il primo ministro britannico Balfour, rispondendo a delle sollecitazioni
provenienti dalla comunità ebraica, aveva spinto alla creazione di un polo ebraico in
Palestina. Ciò provocò una migrazione degli ebrei verso la Terra Promessa da cui
millenni precedenti erano stati cacciati, determinando problemi nella convivenza su
tale territorio tra gli ebrei e quella palestinese. La presenza ebraica all’interna di ciò
che sarebbe divenuto il territorio di Israele era limitata, ridotta a poche regioni
costiere. Questa migrazione conobbe un certo rafforzamento negli anni successivi
alla Seconda guerra mondiale, soprattutto per effetto della Shoah.
Alla fine della Seconda guerra mondiale, l’Organizzazione delle Nazioni Unite mostrò
di non condividere il controllo che Gran Bretagna e Francia ancora esercitavano sui
territori del Medio Oriente sotto forma di protettorato. Tuttavia, la stessa Gran
Bretagna desiderava svincolarsi da tale mandato, soprattutto a causa delle
problematiche nascenti in tale territorio. Alle problematiche interne a tali territori si
aggiungevano le aspirazioni personali dei Paesi arabi circostanti, come la Siria, il
Libano e la Giordania, all’epoca denominata Cisgiordania. Inoltre, in quegli anni il
governo inglese aveva cambiato maggioranza politica, esso era governato dai
laburisti, i quali ponevano maggiore accento alla politica interna inglese piuttosto
che alla politica estera, desiderando realizzare un nuovo programma di Welfare
State.
Di conseguenza, le redini per risolvere tale situazione furono assunte
dall’organizzazione delle Nazioni Unite. Mediante la risoluzione n 181, l’opzione
migliore era quella di costituire due Stati, Israele e la Palestina. Tuttavia, vi era il
problema irrisolto di Gerusalemme, città Santa per il cristianesimo, l’ebraismo e
l’Islam: si decise di porre Gerusalemme sotto il controllo internazionale.
La risoluzione venne approvata con maggioranza delle maggiori Potenze dell’epoca,
come gli Stati Uniti d’America e l’Unione Sovietica.
Il 15 maggio 1948 Israele, a seguito dell’abbandono del territorio delle truppe
britanniche, si dichiarò Stato indipendente e dovette affrontare il mese successivo la
reazione degli Stati arabi confinanti: quest’ultimi decisero di invadere la Palestina e
attaccarono il territorio che era stato attribuito a Israele, violando la risoluzione delle
Nazioni unite nello stesso giorno in cui sarebbe dovuta entrare in vigore. Essi non
erano disposti a tollerare l’esistenza di uno Stato di Israele e che gli ebrei potessero
avere uno Stato internazionalmente riconosciuto. Molti di tali Stati arabi ritenevano
che la Palestina non fosse propriamente esistente, motivo per il quale il territorio
dovesse essere spartito.
Nonostante fosse stato attaccato da cinque Stati (Libano, Siria, Transgiordania,
Egitto e Iraq) lo Stato di Israele, sia per la propria organizzazione che per l’aiuto degli
Stati Uniti d’America, riuscì a sopravvivere e a conquistare territori che
originariamente non gli erano stati attribuiti con la risoluzione dell’Organizzazione
delle Nazioni Unite.
Si conclusero vari armistizi separati che tuttavia non segnarono una vera e propria
situazione di pace, soprattutto dal momento che vi fu alcun riconoscimento dello
Stato di Israele. A seguito di tale situazione si determinarono due problemi gravi: le
truppe israeliane finirono per arrivare alle porte della città di Gerusalemme e
Israele finì per limitare i territori della Palestina.
Nonostante gli scarsi esiti della politica perseguita in Palestina, il governo britannico
continuò a considerare il Medio Oriente come un’area di vitale interesse. Oltre al
ruolo di via di comunicazione strategica svolto dal canale di Suez, era centrale la
questione del controllo degli importanti giacimenti petroliferi in territorio iraniano,
iracheno, nonché negli allora protettorati britannici del Golfo del Persico, in
particolare l’emirato del Kuwait.
Gli interessi inglesi in questo settore si intrecciavano con quelli statunitensi: infatti,
le amministrazioni americane sin dalla Seconda guerra mondiale, e ancora di più
con l’avvio della guerra fredda, si erano resi conto dell’importanza del controllo del
petrolio – a tal proposito, Washington aveva stretto intensi rapporti con l’Arabia
Saudita. In questo contesto Londra cercò di attuare una strategia che tentava di
conciliare gli obbiettivi americani della lotta contro il comunismo con la difesa delle
posizioni britanniche.
La collaborazione angloamericana si manifestò per esempio nel caso della crisi iraniana
del 1951-53 proprio perché Washington ritenne che la questione si inserisse nel
contesto dello scontro con l’Unione Sovietica. Nella seconda metà degli anni ’40, l’Iran
era governato dal giovane scià Mohammed Reza Pahlavi; inoltre, il Paese era allineato
all’Occidente e sottoposto a una forte influenza inglese, soprattutto mediante l’Anglo-
Iranian Oil Company.
Tuttavia, nel 1951 i nazionalisti guidati dall’anziano leader Mohammed Mossadegh
riuscirono a far approvare dal parlamento iraniano la nazionalizzazione della
compagnia straniera e ciò provocò una forte tensione con il governo britannico.
Sebbene Mossadegh non fosse comunista, a Washington si diffuse il timore che egli
fosse strumentalizzato dal Partito comunista iraniano che lo sosteneva, il Tudeh, e
che Mosca potesse trarre vantaggio dal conflitto tra Londra e Teheran.
Agli inizi del 1953 la CIA e il Military Intelligence 6 (MI6, servizio segreto inglese)
elaborarono la cosiddetta operazione Ajax che, grazie all’azione dei militari iraniani
filoccidentali e con il sostegno indiretto dello scià, avrebbero dovuto condurre alla
destituzione di Mossadegh. In un primo momento il colpo di Stato parve fallire ma gli
agenti americani in loco riuscirono a organizzare a Teheran una manifestazione a
favore dello scià e i leader delle forze armate, in apparenza legittimati
dall’atteggiamento del popolo, poterono rovesciare il governo e arrestare
Mossadegh. Lo scià vece ritorno in patria e si occupò di procedere con una dura
repressione nei confronti dei seguaci di Mossadegh e del Tudeh. A seguito della
restaurazione dello scià, il governo iraniano negoziò un nuovo accordo con un
consorzio di compagnie petrolifere occidentali.
Paradossalmente, nonostante la situazione di estrema tensione, Stati Uniti d’America
e l’Unione Sovietica reagirono congiuntamente e duramente nei confronti di questa
iniziativa anglofrancese: infatti, sfruttando la mozione United for Peace,
precedentemente adoperata all’inizio degli anni ’50 contro i sovietici per la questione
coreana, riuscirono a bloccare il veto francese e britannico all’interno del Consiglio di
Sicurezza e a delegare all’Assemblea generale la responsabilità di compiere una
decisione. L’assemblea generale delle Nazioni Unite decise di inviare una forza di
peace-keeping denominata UNEP che dovrà sostituire le forze anglofrancesi lungo il
corso del canale di Suez. Sostanzialmente, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica
comunicarono che non era possibile agire indipendentemente dal loro consenso e
porsi al di fuori del loro bipolarismo. All’Egitto venne dato la possibilità di
nazionalizzare il canale di Suez, beneficiando delle entrate per riformare
economicamente il Paese.
L’ex generale francese De Gaulle si pose l’obbiettivo principale di riportare la Francia
alla centralità, ridando inoltre la possibilità all’Europa di svincolarsi a tale morsa
bipolare che si era delineata: innanzitutto si rese conto che era necessario migliorare i
rapporti tra la Francia e i Paesi del blocco occidentale, includendo la Germania.
Nel 1963 venne firmato un accordo tra la Francia e la Repubblica federale della
Germania: esso è un trattato di alleanza di durata ventennale, finalmente tali Paesi
finirono per determinare una condizione di alleanza – de Gaulle voleva che il polo
rappresentato dalla Francia e la Germania rappresentasse un’alternativa a quello
americano-sovietico. Tuttavia, esso può essere considerato un successo a metà: da
un lato pone fine allo storico confronto franco-tedesco, tuttavia non è in grado di
esercitare una persuasione tale sulla Germania da spingerla ad abbandonare il
sistema euroatlantico e di alleanza americana.
Quanto alla comunità europea, dopo la nascita della CECA e il fallimento della
Comunità europea di difesa, nel 1957 con il trattato di Roma nacque la Comunità
economica europea CEE e l’EURATOM per l’energia atomica.
Vi erano degli obbiettivi molto importanti per il processo di integrazione europea:
si desiderava ampliare le competenze della comunità ed estendere l’ingresso ad
altri Paesi.
De Gaulle iniziò a boicottare il processo di integrazione europeo: nel 1963 si oppose
all’ingresso della Gran Bretagna all’interno della comunità, ritenendo che un suo
eventuale ingresso andasse a mutare gli equilibri che stava cercando faticosamente
di cambiare. La comunità europea doveva rappresentare il modo attraverso il quale
la Francia avrebbe dovuto condurre l’Europa aldilà del braccio americano e la Gran
Bretagna avrebbe potuto rappresentare un cosiddetto “cavallo di Troia”.
L’attenzione di De Gaulle si rivolse anche all’assetto istituzionale della comunità
europea: egli non contestava l’idea in sé della comunità europea, bensì si rifaceva a
un’idea federalista di quest’ultima. La struttura assunta fino a quel momento non
conduceva a una reale integrazione, vi era una mera delegazione di alcune funzioni a
organizzazioni sovranazionali. Paesi come l’Olanda, il Belgio, il Lussemburgo e la
stessa Germania occidentale manifestarono forte ostilità alle idee di De Gaulle, il
quale a fronte di ciò ordinò ai rappresentanti francesi di non prendere più parte alle
riunioni della comunità europea (crisi della sedia vuota). Ciò rallentò l’integrazione,
processo che riprenderà solamente a partire del 1966 con una serie di compromessi
e riforme.
I tedeschi avevano accolto con un certo favore il trattato del 1963, successivamente il
Parlamento federale tedesco mise in luce come tale trattato non andava a sostituirsi
al Patto Atlantico, bensì a integrare quest’ultimo.
La Germania non era solamente un’alleata degli Stati Uniti d’America ma anche della
Francia – ciò rappresentò una sconfitta per De Gaulle, il quale reagì bloccando
nuovamente l’ingresso della Gran Bretagna nella comunità europea e rivolgendosi
all’Unione Sovietica.
Essi firmarono una serie di accordi segreti in cui si promettono di non aggredirsi con
arsenali nucleari.
Successivamente, la Francia annunciò che non avrebbe più partecipato alle riunioni
militari della NATO e chiese a quest’ultimi di abbandonare il territorio francese. Nel
1969 De Gaulle si limitò a vita privata, il suo tentativo di riportare la Francia alla
grandezza fallì.
Il processo di decolonizzazione spinse le due superpotenze ad andare oltre la loro
visione eurocentrica, spingendo il loro confronto su altri continenti – infatti, si
verifica una vera e propria de-europeizzazione del confronto tra le due
superpotenze.
Gli Stati Uniti cercarono fin da subito di inserire pienamente gli Stati usciti dalla
condizione coloniale in uno dei sottosistemi di carattere multilaterale in cui si
articolava il sistema occidentale: tuttavia, specificamente rispetto alla
decolonizzazione del continente africano, ciò venne percepito come l’ennesimo
tentativo di subordinazione all’uomo bianco e una nuova forma di neocolonialismo,
stavolta di carattere economico.
Ciò ci permette di comprendere le aspirazioni della leadership del Terzo Mondo a
unirsi a un movimento di non allineati. All’origine di quest’ultimo vi fu un incontro
organizzato nel 1954 a Colombo, nello Sri Lanka, che vide riuniti i primi ministri di
India, Pakistan, Sri Lanka, Birmania e Indonesia.
L’anno successivo fu convocata una nuova conferenza a Bandung in Indonesia nella
quale furono invitati tutti i leader indipendenti dell’Asia e dell’Africa, con alcune rare
eccezioni (Israele, le due Coree e Taiwan). La risposta fu positiva, aderirono ben 29
Paesi e vennero indicati alcuni principi da seguire: il rifiuto di uno o dell’altro
schieramento della Guerra fredda e la condanna del colonialismo in tutte le sue
forme, nonché l’esigenza di imporre all’attenzione della comunità internazionale i
diritti dei più poveri. Vi era un profondo risentimento verso il mondo occidentale, in
parte ancora identificato con le vecchie potenze europee.
Le vicende relative alla decolonizzazione in Indocina e in Nordafrica, lo scacco subito
da Londra e Parigi a Suez, l’emergere del Terzo Mondo grazie a Bandung come attore
internazionale di rilievo, il rapido diffondersi di movimenti per l’indipendenza, furono
gli elementi che accelerarono il processo di decolonizzazione, il quale investì
tardivamente il continente africano.
Quanto all’impero francese, la decolonizzazione del continente africano fu lineare:
già la Quarta repubblica tra il 1955 e 1956 aveva elaborato la cosiddetta legge
quadro, la quale mirava a creare una serie di strutture di autonomia locale che
prevedessero la crescente partecipazione di esponenti politici africani. Tuttavia,
nell’Africa subsahariana francofona si stavano sviluppando forze politiche locali che
godevano della guida di leader di prestigio. Con il ritorno di de Gaulle nel 1958, la
costituzione della Quinta repubblica trasformò l’Unione francese nella Comunità
francese; tuttavia, nonostante un’iniziale reazione positiva dei Paesi africani, a
eccezione della Guinea che ottenne l’indipendenza a seguito del suo voto negativo al
referendum riguardante la Comunità francese, il processo di distacco dalla Francia
era ormai avviato. Non vi furono particolari resistenze da De Gaulle, soprattutto dal
momento che aveva compreso che, nonostante i leader africani desiderassero
l’indipendenza politica, erano intenzionati a mantenere stretti rapporti con Parigi per
una crescita economica e sociale.
La diversa struttura dell’impero britannico, in particolare la tendenza ad applicare
forme di indirect rule, nonché la difformità di amministrazione contribuirono a far sì
che nell’Africa inglese la decolonizzazione avvenisse in tempi e modi diversi.
All’avanguardia fu il processo della colonia della Costo d’Oro, dove sin
dall’immediato dopoguerra la locale amministrazione britannica aveva favorito
alcune riforme tendenti ad attribuire maggiori competenze alla popolazione
africana. Sulla base di ciò, si svilupparono molto rapidamente formazioni politiche
indipendentiste e Londra gli concesse nel 1957 la piena indipendenza.

La crisi del Congo ci dimostrò che il clima positivo sviluppatosi tra le due
superpotenze nel periodo compreso tra il Summit di Ginevra e la visita di Chruscev
negli Stati Uniti stava per essere sostituito da un periodo di tensioni.
Nel 1960 e negli anni successivi si verificarono una serie di fallimenti diplomatici, il
primo si ebbe al vertice di Parigi del 1961.
La rinascita economica della Repubblica federale tedesca aveva coinvolto anche
la parte occidentale dell’ex capitale, dimostrando sempre un maggior divario di
libertà e benessere con la Repubblica democratica.
Tutto ciò favorì un esodo di popolazione dalla Repubblica democratica tedesca verso
l’Occidente; inoltre, il governo di Bonn continuava a rivendicare la propria sovranità
su tutto il territorio della Germania e la propria costituzione si rivolgeva a tutto il
popolo tedesco.
Infine, la Germania Ovest aveva elaborato la cosiddetta dottrina Hallstein, dal nome
di uno dei più stretti collaboratori di Adenauer, in base alla quale Bonn avrebbe rotto
i rapporti diplomatici con ogni nazione che avesse riconosciuto ufficialmente la
Repubblica democratica.
Il vertice di Parigi fu il risultato delle tensioni riguardanti Berlino e a cui
parteciparono i quattro grandi del sistema internazionale nelle figure del presidente
Eisenhower, il francese de Gaulle, l’inglese Macmillan e infine Chruscev.
Il vertice di Parigi del 1961 fu un fallimento, soprattutto dal momento che
quest’ultimo ebbe luogo a seguito dell’abbattimento dell’aereo U2 nei cieli sovietici:
il presidente Eisenhower autorizzava missioni di spionaggio mediante l’U-2, un aereo
in grado di volare a grandi altezze in modo da non essere intercettato da velivoli da
caccia e dalla contraerea russa, nonché di conseguenza in grado di compiere
ricognizioni sul territorio sovietico. Chruscev richiese che gli americani non
inviassero più aero-spie e le scuse formali del presidente. Tuttavia, gli americani
rifiutarono e ciò condusse alla conclusione fallimentare del vertice di Parigi. Da quel
momento i rapporti vennero progressivamente a peggiorare.
La seconda crisi tra Stati Uniti e Unione Sovietica si verificò nel medesimo anno: i
sovietici decisero di costruire un muro per dividere la propria sfera di influenza
berlinese da quella Occidentale. I tedeschi dell’Est, su ordine dei sovietici, procedono
alla costruzione.
Il muro di Berlino divenne il simbolo materiale del dualismo del sistema
internazionale e della guerra fredda.
Mediante il muro di Berlino, l’Unione Sovietica cercò di far comprendere agli
americani che la competizione deve spostarsi in altri continenti e altri ambiti: la
divisione fisica del muro rappresenta concretamente una situazione che esiste già
di fatto. Gli americani non reagirono alla costruzione del muro di Berlino, non vi fu
l’idea di assumere una posizione ostile dal momento che non furono avanzate
minacce sul piano militare, nonostante non fosse una soluzione piacevole.
Il nuovo presidente J.F. Kennedy fu il primo presidente a non appartenere al gruppo
white anglosaxon protestant: egli è di origine irlandese e non è protestante, bensì
cattolico.
Egli si preoccupò soprattutto di mutare i caratteri della politica estera americana:
comprese che gli Stati Uniti avevano sofferto la propaganda di Krusciov, il quale era
riuscito a dipingere un cambiamento radicale della politica estera sovietica e
spingere in cattiva luce gli Stati Uniti, sebbene in realtà non fosse così.
La finalità di Kennedy era quella di far comprendere nuovamente all’ordine
internazionale che gli Stati Uniti d’America erano dalla parte della libertà, a
differenza dell’Unione Sovietica e della loro politica estera di immagine. Tuttavia, egli
nella prima parte del suo mandato incappò in un fallimento che avrebbe avuto
conseguenze di lungo periodo per la politica americana e nel conflitto con Mosca.
L’America centrale e i Caraibi erano considerati in dall’Ottocento un’area di influenza
statunitense nel quale Washington era spesso intervenuta per preservare i propri
interessi politici, economici e strategici.
In questo contesto Cuba era un caso emblematico: il sostegno americano alle
aspirazioni indipendentiste dei cubani nei confronti della dominazione spagnola era
stato uno dei pretesti del conflitto ispano- americano del 1898. Liberata dal
dominio di Madrid, Cuba fu sottoposta a un protettorato statunitense. Nel 1902,
nonostante avesse raggiunto formalmente l’indipendenza, l’isola caraibica restò
sotto una forte influenza americana.
Nell’ottobre del 1962 si scoprì della costruzione di basi missilistiche all’interno del
territorio di Cuba da parte dei sovietici.
Cuba, dopo il colpo di stato di Fidel Castro, giovane intellettuale di un’agiata famiglia
di proprietari terrieri che si mise a capo di un esiguo gruppo di oppositori al regime
corrotto di Batista, si avvicinò all’Unione Sovietica per evitare che gli americani
ripristinassero il governo precedente.
L’Unione Sovietica rappresentava una garanzia economica e di sicurezza per il regime
di Fidel Castro.
La costruzione di basi missilistiche creò profonde tensioni e con la possibilità di un
confronto nucleare. Il presidente Kennedy si trovò dinanzi a scelte difficili da
compiere: invadere Cuba e bombardare l’installazione missilistiche sovietiche
sull’isola probabilmente avrebbero condotto a un conflitto, rischiando di dare
un’impressione negativa all’immagine internazionale. Egli decise quindi di agire
applicando un blocco navale a Cuba, dando ai sovietici la responsabilità eventuale di
rompere tale blocco e di iniziare le ostilità. Successivamente le due superpotenze
raggiunsero un’intesa: l’Unione Sovietica disinstallò le basi missilistiche sull’isola, ma
al tempo stesso gli americani si impegnarono a disinstallare alcune loro installazioni
in Turchia e Italia. Inoltre, gli americani dichiararono che non avrebbero più
organizzato iniziative per sovvertire il regime di Fidel Castro.
La crisi del Congo, il muro di Berlino e la crisi di Cuba terminarono la seconda fase
della guerra fredda.
A partire dagli anni ’60 con la fine della Prima distensione, si sviluppò l’idea era che
le due superpotenze potessero pacificamente convivere in un contesto competitivo.
Seppure la competizione non esulasse i contrasti, venne meno la possibilità di un
eventuale conflitto bellico.
La sopravvivenza in un contesto competitivo aveva un costo molto elevato per
l’Unione Sovietica: infatti, L’Unione Sovietica aveva iniziato ad appoggiare diversi
Paesi nella conversione al comunismo e ciò determinò un costo sempre maggiore –
inoltre, insieme a tali costi si deve considerare la non crescita dell’economia
sovietica dalla metà degli anni ’60. Invece, gli Stati Uniti d’America furono
sottoposti soprattutto a rischi politici, piuttosto che di problemi economici. La
grande paura degli Stati Uniti era che l’Unione Sovietica si espandesse oltre il
proprio tradizionale complesso euroasiatico.
Il timore americano trovò riscontro nel conflitto vietnamita.
La Conferenza di Ginevra del 1954 pose fine alla prima guerra indocinese,
venne adottato il medesimo modello della Germania e della Corea anche per il
Vietnam: quest’ultimo venne diviso territorialmente con un Vietnam del Nord
filocomunista di Ho Chi Minh e il Vietnam del Sud filooccidentale.
L’amministrazione Eisenhower decise di non siglare gli accordi di Ginevra
sull’Indocina, considerandoli un cedimento nei confronti del comunismo.
Inoltre, le autorità americane avevano ritrovato nella persona di Diem, politico
sudvietnamita nazionalista, un interlocutore fidato, fortemente antifrancese
quanto contrario al comunismo.
Tuttavia, a differenza del profondo rafforzamento del Vietnam filocomunista, nel
Vietnam del Sud vennero scelti alcuni leaders di religione cattolica e poco amati da
un popolo di maggioranza buddista. La leadership nordvietnamita, convinta che la
strada del negoziato sarebbe stato infruttuoso, decise di riunificare il Paese mediante
l’utilizzo della fora, avviando un’azione di guerriglia nel Vietnam del Sud che contava
sugli elementi comunisti presenti sul territorio, noti come Viet Cong. L’anno
successivo si costituì in clandestinità il Fronte di liberazione nazionale, organismo
politico che, sebbene egemonizzato dai comunisti, raccoglieva le simpatie di un
crescente numero di oppositori del regime autoritario di Diem.
Nel 1964 si verificò un misterioso incidente per cui le navi americane furono
attaccate dal Vietnam del Nord, motivo per il quale gli Stati Uniti d’America
dichiararono guerra. La guerra e la situazione vietnamita vennero affrontate dal
presidente Johnson, precedente vicepresidente subentrato in carica a seguito
dell’assassinio di Kennedy, le cui circostanze sono tuttora oggetto di polemica.
L’idea americana era di ripercorrere gli avvenimenti coreana ma ciò non poteva
avvenire: non solo il contesto internazionale era cambiato, bensì non si era verificata
alcuna occupazione per giustificare un intervento armato americano.
Gli Stati Uniti si ritrovarono in un vicolo cieco: militarmente, pur non potendo essere
sconfitti dai guerriglieri del Vietnam del Nord, non potevano vincere la guerra perché
avrebbe richiesto un impegno e una brutalità che la società americana e dell’Europa
Occidentale non erano disponibili ad accettare. A ciò si aggiungeva la difficoltà
politica dal momento che non si era riusciti a far passare la guerra del Vietnam come
un conflitto motivato, essa era apparsa come un’operazione imperialista e
neocoloniale che aveva pregiudicato la convivenza pacifica con l’Unione Sovietica e il
comunismo. Al contrario, la posizione di Hanoi venne percepita come eroica
resistenza di un Paese all’invadente potenza americana, finalità principale era la
riunificazione del Vietnam in regime comunista.
Inoltre, gli Stati Uniti sono politicamente isolati: molti dei loro alleati assunsero una
posizione contraria all’impegno militare degli americani in Vietnam; specificamente,
gli alleati europei auspicavano il termine del conflitto affinché gli Stati Uniti non
trascurassero le vicende europee, o il loro sensibile impegno nell’alleanza atlantica.
La situazione venne risolta dal presidente repubblicano Nixon, il quale vinse le
elezioni nel 1968, elezioni alle quali il presidente Johnson non aveva preso parte,
consapevole dell’impopolarità che il conflitto vietnamita gli aveva provocato. Nixon
si rese conto che la strategia da seguire era terminare la guerra del Vietnam e
ricostruire l’America politicamente, economicamente e socialmente; quindi, era
necessario andare incontro alle richieste dell’opinione pubblica e dare la possibilità
ai vietnamiti di esercitare il principio di autodeterminazione.
Inoltre, Nixon si rese conto che esisteva una profonda dialettica comunista, vi erano
diverse ideologie e non un unico comunismo: un esempio è quello della Cina, che
dopo aver usufruito degli aiuti dell’Unione Sovietica, aveva completamente cambiato
la proprio politica rispetto a quella dei sovietici, arrivando persino a diversi scontri
con quest’ultimi.
Le scelte economiche e l’evidente desiderio di conquistare un ruolo di grande
potenza spinsero Chruscev tra il 1959 e il 1960 a interrompere progressivamente i
progetti sovietici di sviluppo economico e scientifico della Cina, soprattutto quando
oramai era chiaro che quest’ultima non avesse intenzione di agire subordinatamente
all’Unione Sovietica.
L’inimicizia tra le due realtà comuniste non venne meno neppure quando Chruscev
venne sostituito dal proprio incarico da Breznev, nuovo segretario del Partito
comunista sovietico.
Gli americani che fino a quel momento avevano considerato la Cina un nemico,
appoggiando persino il Taiwan contro quest’ultimi, iniziarono a portare avanti una
politica di riavvicinamento alla Cina.
La finalità americana era di potersi porre come ago della bilancia nel sempre più
forte contrasto sino-sovietico, ottenendo da ognuno concessioni grazie alla minaccia
di più stretti rapporti con l’altro. Inoltre, prospettiva importante era l’apertura a un
immenso mercato di quasi un miliardo di persone.
Dopo il fallimento del grande balzo, progetto economico finalizzato
all’urbanizzazione cinese, e un parziale indebolimento della sua leadership
all’interno del partito, tra il 1965-66 Mao favorì una campagna di dure critiche nei
confronti di una parte dei vertici del Partico comunista cinese al fine di riconquistare
la guida incontrastata del Paese, sfruttando la contestazione a opera di masse di
giovani studenti che diedero avvio a una rivoluzione culturale, la quale si sarebbe
protratta sino alla fine del decennio.
Tale situazione lasciò per alcuni anni la Cina in una situazione caotica e condusse
all’eliminazione di gran parte della classe dirigente del PCC, nonché di migliaia di
intellettuali, dirigenti nel settore economico e nella burocrazia. Fu solo nel 1969 che
Mao, dopo aver visto scomparire i propri nemici all’interno del partito, riprese in
mano la situazione; dopo aver stabilizzato la situazione interna, egli si concentrò
sulla politica estera e sul rapporto con gli americani – infatti, Mao era ben
consapevole che l’eventuale riconoscimento statunitense avrebbe fatto uscire
Pechino dall’isolamento, consentendo alla Cina di recuperare il seggio permanente al
Consiglio di sicurezza nell’Organizzazione delle Nazioni Unite, emarginando di
conseguenza il Taiwan. La partita di ping-pong in Cina contro la nazionale americana
nel 1971 era un chiaro esempio dello scongelamento dei rapporti con gli Stati Uniti.
Nel 1972 Nixon annunciò ufficialmente la propria visita nella Repubblica popolare
cinese. Successivamente, nel volgere di qualche mese, l’Organizzazione delle Nazioni
Unite decretarono l’espulsione del Taiwan e l’ingresso di Pechino come quinto
membro permanente del Consiglio di sicurezza. Ciò dipinse Nixon e Kissinger,
dapprima consigliere del presidente per la sicurezza nazionale e successivamente
segretario di Stato, come alfieri della pace.
Quanto alla guerra del Vietnam, Nixon portò avanti la politica della
vietnamizzazione del conflitto, in altri termini la progressiva responsabilità sul piano
militare dell’esercito del Vietnam del Sud: egli promise di ritirare le forze americane
entro il 1973, lasciando il Vietnam a sé stesso con le prospettive che esso risolvesse
da solo le proprie problematiche interne.
L’obbiettivo della vietnamizzazione mirava a impedire la sconfitta americana in
Indocina e a consentire al governo di Saigon di sopravvivere e fronteggiare
autonomamente la minaccia comunista.
Nel 1970 il generale cambogiano lon Nol, probabilmente su ispirazione americana,
rovesciò il governo neutralista della Cambogia e schierò il Paese accanto agli
americani; inoltre, nei primi mesi del 1971 le forze sudvietnamite lanciavano
un’operazione in Laos, coinvolgendo l’intera Indocina. In realtà le operazioni militari
erano meri strumenti del gioco diplomatico che si stava verificando a Parigi e che si
concluse con gli accordi di Parigi del 1973.
Essi rappresentavano la fine del Vietnam del Sud: infatti, nonostante fosse stato
lasciato in vita il governo di Saigon e al Vietnam del Nord fosse stato concesso
solamente il controllo di determinate aree strategiche, da lì a due anni esso fu
annesso al territorio del Vietnam del Nord.
Nixon abbandonò il Vietnam al suo destino poiché ritenne che non fosse possibile
concludere positivamente questo conflitto. Inoltre, la Cina avrebbe rappresentato un
nuovo alleato mediante cui rimediare le perdite per la guerra del Vietnam.
In tutta questa situazione, soprattutto per la quantità sensibile di uomini e materiale
bellico adoperato gli Stati Uniti d’America si trovano in una condizione di difficoltà: la
guerra aveva provocato effetti economici, politici e sociali.
Nixon capì che era necessario avviare una politica estera conservativa: quest’ultima
consentì agli Stati Uniti di porre i presupposti per una ripresa della loro grande
politica internazionale.
Nixon operò delle iniziative economiche che finiranno per porre in difficoltà i
problemi di nuovo sviluppo e di blocco comunista.
Egli sospese la convertibilità in oro del dollaro: fino a quel momento ogni valuta
poteva essere convertita in dollari e il dollaro in oro. L’impossibilità di convertire il
dollaro in oro rallentò la conversione delle valute straniere in dollari. Ciò causò gravi
problemi alle valute straniere.
Egli ordinò alla Federal Reserve di aumentare il tasso di sconto, ossia il costo del
denaro. Quando il costo del denaro è più alto, se qualcuno ha contratto il debito sarà
più costoso ripagare i debiti e in quel periodo numerosi Paesi, nonché la stessa
Unione Sovietica, avevano contratto debiti che sarebbero stati difficili ripagare. Negli
anni ’80 la trappola del debito che Nixon tese ai Paesi dell’Est condusse alla crisi e al
crollo di molte economie.
Le misure economiche vennero accompagnate da misure politiche: gli Stati Uniti
d’America non credevano più all’Organizzazione delle Nazioni Unite.
Nixon voleva privare le Nazioni Unite del loro ruolo di governo del mondo, motivo
per il quale delineò un cosiddetto G5, successivamente divenuto G7, forum dei Paesi
economicamente e politicamente più forti: Stati Uniti, Giappone, Germania Ovest,
Italia, Gran Bretagna, Francia e Canada. Queste iniziative non solo erano volte a
mettere in difficoltà l’Unione Sovietica e i Paesi del blocco comunista, ma anche una
risposta all’offensiva dei Paesi non allineati e che si erano riuniti nella Conferenza di
Algeri che avevano cercato di proporre un nuovo ordine economico internazionale
prescindendo dal modello comunista sovietico e capitalistico americano. Tali Paesi
volevano adoperare le loro materie prime come arma politica, cercando di
determinare un nuovo sistema internazionale economico.
Se da un lato gli Stati Uniti continuavano a portare avanti una politica non
particolarmente propositiva, d’altro canto si verificò comunque a una certa
distensione con l’Unione Sovietica. Il periodo della Seconda distensione, o anche
denominata come Grande distensione, si fa coincidere ufficialmente con il 1972,
anno in cui Nixon si recò a Mosca per la firmò di diversi accordi, i più importanti
riguardanti la riduzione degli armamenti tra le due superpotenze, e definiti Strategic
Arms Limitation Talks (SALT).
Si verificò un momento di tensione tra Washington e Mosca dal momento che
quest’ultima minacciò gravi ritorsioni se gli americani avessero continuato il loro
sostegno militare. Fu centrale l’azione di Kissinger che, grazie a un’instancabile opera
di mediazione fra la capitale egiziana e israeliana, anche denominata come shuttle
diplomacy, favorì il cessate il fuoco.
A rendere ancora più complessa la situazione internazionale, contemporaneamente
alla rivoluzione iraniana vi fu l’invasione dell’Afghanistan a opera dell’Unione
Sovietica.
Sino al 1973 l’Afghanistan fu una monarchia che sul piano internazionale aveva
compiuto la scelta del non allineamento, successivamente in quell’anno la monarchia
fu rovesciata dal primo ministro Daud.
Cinque anni più tardi Daud venne assassinato e il potere venne assunto dal Partito
democratico del popolo afghano, movimento di sinistra di stampo pro-sovietico. Il
tentativo di imporre un sistema politico laico aveva suscitato l’opposizione armata di
gruppi conservatori islamici, spingendo il governo a rafforzare di conseguenza i
legami con Mosca. L’Unione Sovietica decise di intervenire militarmente sia per
evitare che lil fondamentalismo islamico potesse diffondersi nelle repubbliche
asiatiche dell’Unione Sovietica confinanti con l’Afghanistan e l’Iran, ma anche per
stabilizzare il Paese a causa della divisione interna del partito democratico del
popolo afghano.
Il 25 dicembre 1979 ebbe inizio l’invasione da parte dell’Armata rossa e in pochi
giorni i principali centri del Paese passarono sotto il controllo sovietico.
La reazione dell’amministrazione Carter fu la sospensione della ratifica del trattato
SALT II, una serie di sanzioni di natura economica e il boicottaggio delle Olimpiadi
che si sarebbero tenute a Mosca.
La seconda distensione si concluse con la presidenza del repubblicano Reagan e un
contesto internazionale sempre più teso.
Il mandato del presidente Reagan iniziò nel gennaio del 1981 e terminò nel gennaio
del 1989: il presidente Reagan riteneva che fosse necessario continuare sulla
direzione di Nixon – smantellare lo stato sociale in America, sviluppo del commercio
internazionale, liberare il capitalismo da quei vincoli che gli erano stati posti dagli
anni ’50 agli anni ’70.
Era necessario eseguire delle riforme in chiave ultraliberale.
Quanto all’ambito politico, Reagan non era più disposto ad accettare l’Unione
Sovietica: egli riteneva che essa rappresentasse un elemento di costrizione per lo
sviluppo del contesto internazionale e uno Stato con cui era impossibile giungere alla
definizione di accordi che potessero portare a un’effettiva distensione del sistema. Il
presidente Reagan riteneva che gli Stati Uniti, oramai usciti dalla crisi economica,
fossero in grado di assumere una posizione di completo monopolio sul piano
economico, tecnologico e militare: era possibile isolare l’Unione Sovietica,
soprattutto considerando la quantità di debiti contratta da quest’ultima,
ridimensionandola fortemente. Era possibile trasformare il sistema internazionale
recuperando una piena centralità degli Stati Uniti d’America.
Egli adottò una politica fortemente ostile all’Organizzazione delle Nazioni Unite:
Reagan accusava le Nazioni Unite di essere caratterizzata da un’ipertrofia burocratica
tale da non essere in grado di amministrare i Paesi del mondo.
Solamente alla fine degli anni ‘80 con un programma di riforme delle Nazioni Unite e
un’intermediazione giapponese si verificò un riavvicinamento degli americani alle
Nazioni Unite, seppure ritrovandosi ridimensionata nelle sue funzioni e nel suo ruolo
politico.
Uno dei suoi maggiori alleati politici fu la Lady di ferro, Margareth Thatcher, primo
ministro della Gran Bretagna. Le trasformazioni che ella operò all’interno del sistema
economico e produttivo britannico nella prima metà degli anni ’80 furono radicali:
egli ridimensiona lo stato sociale britannico, liberalizzando l’economia e cercando di
dare nuovamente un ruolo alla Gran Bretagna, fortemente ridimensionato dopo
l’episodio del Canale di Suez.
Esattamente come Reagan criticava le Nazioni Unite, Margaret Thatcher provava una
forte ostilità della Comunità europea: i Paesi della comunità perseguivano
fortemente l’idea di migliorare il processo di integrazione, a differenza della Gran
Bretagna.
Nel 1986 si giunse alla firma dell’Atto unico europeo con il quale fu possibile porre
i presupposti per uno sviluppo della comunità.
Varie furono le ragioni dell’aggravarsi della tensione fra le due superpotenze e che
condussero a quella che sarebbe stata definita come seconda o nuova guerra fredda.
Un fattore di rilievo fu sicuramente la dura retorica anticomunista
adoperata, interpretate da una leadership sempre più incerta come un’evidente
volontà aggressiva statunitense.
Inoltre, centrale fu nell’incremento della tensione della decisione presa nel 1979
dalla NATO per l’installazione dei missili di breve e medio raggio: a tal proposito, nel
1981 vennero aperte le trattative sulla riduzione delle forze nucleari intermedie,
nel quale gli Stati Uniti avanzò la cosiddetta proposta opzione zero – la
contemporanea eliminazione degli SS/20 sovietici e la rinuncia americana
all’installazione dei Pershing e dei Cruise. Tuttavia, i negoziati non sortirono alcun
risultato concreto e si scontrarono con il clima di crescente sospetto reciproco,
soprattutto per le scelte di riarmo americano e a cui l’Unione Sovietica rispose con
decisioni analoghe, innescando una corsa agli armamenti.
Nel 1982 morì Breznev, il quale aveva governato l’Unione Sovietica in maniera cauta
e ragionevole. Egli venne sostituito da Andropov, ex capo dei servizi segreti: l’Unione
Sovietica era in una condizione di profonda crisi e quindi occorreva al vertice del
Paese un uomo che fosse in grado di mantenere la stabilità politica e la calma
sociale. Il problema fondamentale dell’Unione Sovietica fu la sclerotizzazione del
regime sovietico: nonostante il trascorrere del tempo, il funzionamento delle
strutture burocratiche, economiche e politiche sovietiche si caratterizzarono per la
loro immobilità, per procedure e usi ripetitivi quanto inefficienti, legate a
un’interpretazione tradizionale, ma al contempo meccanica e rozza, di alcuni precetti
fondamentali del marxismo-leninismo. Questo atteggiamento e la mancanza di
riforme cominciarono a far sentire i propri effetti deleteri in particolare nel contesto
economico: la produzione agricola restava deficitaria in settori importanti e quella
industriale entrò anch’essa in una fase di stagnazione. Inoltre, erano sempre più
diffusi fenomeni di evidente alienazione, come l’alcolismo e il decremento
demografico.
Tuttavia, Andropov non riuscì a incidere sull’Unione Sovietica: egli era un uomo
anziano e malato, fu un leader di transizione e rimase al potere solamente per un
anno e mezzo – non riuscì a portare avanti alcuna riforma. Il suo posto venne preso
da un ancora più anziano leader, Cernenko, il quale rimase al potere solamente per
pochi mesi. Le sue condizioni erano estremamente precarie: egli governò il Paese dal
letto. L’Unione Sovietica necessitava fortemente di una riforma strutturale di grande
respiro, sia relativamente all’apparato produttivo-economico che politico e
burocratico. A differenza dell’Unione Sovietica, i cinesi avevano già dal 1979, sotto la
leadership di Deng Xiaoping, posto in essere quattro grandi riforme rispetto
all’agricoltura, l’industria, la tecnologia e l’educazione. Vennero create le prime zone
economiche speciali, vennero gettate le premesse per quella trasformazione
economica che la Cina ha poi successivamente conosciuto negli anni ’90 e nell’ultimo
ventennio.
Quando salì al potere il sovietico Gorbacev, nell’Unione Sovietica si verificò
finalmente un elemento di innovazione: egli era perfettamente consapevole della
profonda crisi del Paese, motivo per cui lanciò immediatamente il suo programma di
riforme.
La cosiddetta Perestroika, la trasformazione istituzionale, amministrativa ed
economica, avrebbe dovuto essere accompagnata dalla Glasnost, ossia dalla libertà
di culto e di pensiero, l’abolizione della censura – Gorbacev aveva inteso che
all’interno della cultura sovietica non vi era più entusiasmo nei confronti del
marxismo e del leninismo, era quindi necessario rivoluzionare il piano culturale,
un’ideologia dal volto più umano.
Nel 1983 il presidente americano Reagan lanciò il progetto di Strategic Defense
Initiative, che sarebbe divenuto noto come Star Wars in chiaro intento ironico
dall’omonima serie cinematografica: esso era un progetto per la creazione di stazioni
orbitanti nello spazio dotate di armi laser che avrebbero dovuto eliminare in volo i
missili strategici sovietici, impedendo loro di colpire gli Stati Uniti. Gorbacev cercò
subito un contatto con gli Stati Uniti d’America, rendendosi conto che l’Unione
Sovietica in quel momento non aveva le risorse per un’ulteriore corsa al riamo e che
solo una nuova distensione avrebbe permesso all’Unione Sovietica di diminuire il
peso dei costi della difesa e puntare sulla ristrutturazione del sistema economico.
Reagan adottò ciò che può essere denominato come la politica del bastone e della
carota: accettò di vedere più volte il leader sovietico, tuttavia i Vertici furono
inconcludenti.
Reagan si rese conto della crisi sovietica, motivo per cui mantenne un atteggiamento
di forte rigidità nei suoi confronti – più che favorire un Gorbacev in grande difficoltà,
egli manifestò poca disponibilità. Tale atteggiamento cambiò solamente a partire dal
1987, quando il presidente americano si rese conto della
necessità di avvicinarsi all’Unione Sovietica perché un suo tracollo improvviso
avrebbe potuto avere un effetto drammatico sul sistema internazionale e un possibile
ritorno all’oscurantismo dell’Unione Sovietica.
Nel 1987 si tenne a Washington un summit sovietico-americano nel corso del quale
venne firmato il trattato INF mediante il quale vennero eliminati tutti i missili di
raggio intermedio presenti in Europa, i cosiddetti euromissili.
Per Reagan ciò rappresentò il coronamento e la conclusione della sua carriera
politica; infatti, il retaggio dei suoi due mandati si tradussero ancora una volta nella
vittoria del candidato repubblicano George Bush. Sebbene si trattasse soltanto di
circa il 4% dell’arsenale atomico delle due superpotenze, si trattava di un
sostanziale passo in avanti sulla strada del riarmo, anche perché a esso Gorbacev
aggiunse una serie di dichiarazioni destinate a preparare il disimpegno militare
dell’Unione Sovietica in Afghanistan.
Nonostante la fine dell’esperienza afgana, sul piano interno Gorbacev stava
incontrando crescenti difficoltà: i tentativi di riforma economica, spesso mal
concepiti da riformatori inesperti, si scontravano con le resistenze e incompetenze.
Al rapido deteriorarsi della situazione economica, la parziale liberalizzazione politica
consentì la manifestazione di aspirazioni autonomistiche da parte di alcune
nazionalità, le due aree maggiori furono il Caucaso e le repubbliche baltiche.
Nel primo caso si riaccesero contrasti etnici e religiosi che il regime aveva sopito ma
non eliminato: si riaccesero le rivendicazioni per l’indipendenza da parte
dell’Azerbaigian, nonché i primi scontri con la confinante Armenia, e anche in
Georgia si registrarono i primi ferventi. Quanto alle repubbliche baltiche, la
repressione staliniana nei confronti delle popolazioni di Lituania, Lettonia ed Estonia
era stata particolarmente brutale; tuttavia, non fu dimenticato da quest’ultimi il
breve periodo di indipendenza. Tra il 1988-89 le manifestazioni, sempre più
numerose, assunsero un carattere ostile al potere centrale.
Il processo riformatore avviato da Gorbacev in Unione Sovietica non poteva non avere
riflessi anche sui rapporti tra Mosca e le nazioni satelliti dell’Europa centro- orientale,
nonché sugli equilibri politici all’interno di tali Paesi.
Sul piano economico le nazioni del blocco comunista vivevano un periodo di crisi non
molto dissimile da quello sperimentato dall’Unione Sovietica e rappresentavano per
il Paese un crescente onere finanziario. Inoltre, i gruppi dirigenti dei vari partiti
comunisti si dimostravano incapaci di offrire qualsiasi soluzione pratica ai problemi
economici e apparivano timorosi nei riguardi delle politiche riformatrici proposte da
Gorbacev, sino al punto di impedire la diffusione di pubblicazioni ufficiali provenienti
dall’Unione Sovietica.
Appariva chiaro che l’Unione Sovietica, desumibile da numerose dichiarazioni di
Gorbacev, non si sentisse più in dovere di applicare la dottrina Breznev fondata
sull’intervento dell’Armata Rossa nel caso di crisi dei regimi comunisti al potere,
bensì si ebbe il passaggio a ciò che è denominata ironicamente come dottrina Sinatra
dal nome dell’omonimo cantante e della canzone “On my way” – si riteneva quindi
che ogni Paese del blocco comunista dovesse individuare la sua strada, Gorbacev
probabilmente pensava a delle vie nazionali del comunismo sul modello fallito della
primavera praghese.
Il processo che condusse alla fine del comunismo in Europa e alla conclusione della
guerra fredda si ebbe in Polonia: in tale Paese la crisi economica si era aggravata e nel
1988 dinanzi a una situazione di deficit insostenibile il governo decise di incrementare
i prezzi dei beni di prima necessità, provocando una serie di scioperi che si tradussero
nella ricostruzione di Solidarnosc, a dispetto della condizione di illegalità.
A fronte di tale situazione di tensione, si decise di convocare una tavola rotonda tra
governo e opposizione, proposta che venne accettata dall’altra parte con la
speranza che si potesse ottenere nuovamente la legalizzazione del sindacato
indipendente. Venne concluso un accordo sulla base del quale si sarebbero tenute
elezioni parzialmente libere nel quale il 35% dei 100 seggi della Camera bassa
sarebbero stati assegnati liberamente, il resto invece sarebbe stato riservato al
Partito comunista e alle formazioni politiche alleate. A seguito delle elezioni,
Solidarnosc riuscì a ottenere tutti i seggi della camera alta e 33 dei 35 seggi liberi di
quella bassa, era una completa disfatta per il Partita comunista. Dopo numerose
incertezze, il governo centrale finì per accettare il verdetto delle urne e si formò un
governo composto in ampia misura da ex dissidenti – iniziò così lo smantellamento
del sistema comunista in Polonia.
In Ungheria, dopo la fallita insurrezione del 1956 e un periodo di dura repressione, fu
istituito un regime autoritario sul piano politico, ma con significative aperture nella
dimensione economica, dando origine negli anni Sessanta al cosiddetto comunismo
al gulasch. Questo tacito compromesso tra la leadership comunista e parte della
popolazione aveva retto per lungo tempo, ma nel corso degli anni ’80 anche
l’Ungheria andò incontro a una serie di difficoltà economiche e ciò, insieme alle
posizioni riformiste di Gorbacev, diedero l’impulso allo sviluppo di una nuova
generazione di esponenti comunisti che credevano fortemente che si potesse avviare
un processo di democratizzazione al termine del quale il Partito comunista si sarebbe
trasformato in una formazione socialista e pluripartitica.
Il governo di Budapest, sempre più caratterizzato da elementi riformatori, riuscì a
ottenere l’evacuazione dal territorio nazionale delle truppe nel 1988 e l’anno
successivo venne presa la decisione di smantellare la cortina di ferro lungo il confine
con l’Austria. Ciò avrebbe avuto conseguenze fondamentali sugli equilibri della
Repubblica democratica tedesca, caratterizzata dall’immobilismo di governo del
partito SED e allo stesso tempo da sentimenti di insoddisfazione sempre più radicati
tra la popolazione, soprattutto per il confronto con le prospere condizioni della
Germania Ovest.
Nell’agosto del 1987 migliaia di cittadini della Germania dell’Est, a seguito dello
smantellamento in Ungheria della cortina di ferro, si diedero alla fuga nella vicina
repubblica austriaca, rifugiandosi nelle ambasciate occidentali. La Repubblica
democratica tedesca cercò di reagire chiudendo le frontiere ma, dinanzi
all’incertezza delle autorità, il dissenso interno iniziò a organizzare manifestazioni i
cui slogan passarono molto velocemente da “noi siamo il popolo” a “noi siamo un
popolo” – da un richiamo al governo affinché venissero prese in considerazione le
istanze riformatrici avanzate alla richiesta di una riunificazione tedesca. Nonostante
si verificò un cambio al governo con elementi riformatori, ciò si era verificato troppo
tardi: dalla decisione di applicare una nuova normativa alla libertà di viaggio tra le
due Germanie nel giro di poco tempo si arrivò allo smantellamento del muro,
simbolo più evidente della guerra fredda.
Gli eventi di Berlino ebbero immediata ripercussione negli altri Paesi del blocco
comunista. Si verificarono manifestazioni di massa a Praga e, dopo un’iniziale azione
repressiva, i rappresentanti del Partito comunista decisero di abbandonare il potere
consegnandolo pacificamente ai leader del dissenso e ciò passò alla storia come
rivoluzione di velluto. In Ungheria i comunisti locali, prima ancora della caduta del
muro, accelerarono il processo di trasformazione del Partito comunista in socialista,
accettando la nascita di altre formazioni politiche ed eliminando con una riforma
costituzionale il carattere di democrazia popolare e nel 1990 le elezioni furono vince
da partiti anticomunisti.
Anche in Bulgaria, uno dei Paesi il cui regime comunista era considerato tra i più
fedeli all’Unione Sovietica, vennero indette elezioni libere e scomparì in breve tempo
e senza spargimento di sangue il regime comunista.
La situazione in Romania fu differente: la dittatura di Ceausescu impedì che vi fosse
una caduta pacifica del regime comunista e per giorni vi furono confusi
combattimenti nella capitale tra gli insorti e la polizia di Stato. Successivamente,
Ceausescu e sua moglie Elena vennero catturati e giustiziati. Le elezioni dell’anno
successivo avrebbero dato al Fronte di salvezza nazionale il potere. Quanto alla
Jugoslavia, il rigetto del comunismo si intrecciò con le tradizionali tensioni fra le
nazionalità che componevano la Repubblica: specificamente, dopo la morte di Tito
nel 1980 si iniziarono a sviluppare sentimenti di autonomia, soprattutto nelle due
repubbliche del nord, Slovenia e Croazia. Allo stesso modo, in Serbia si sviluppò un
movimento caratterizzato da rivendicazioni territoriali, rivolte soprattutto al Kosovo
e ad alcune aree della Croazia, rispettivamente caratterizzate da una maggioranza
albanese e serba.
L’imperativo più pressante appariva quello relativo al futuro della Germania: infatti,
dopo la caduta del muro di Berlino era necessario determinare una nuova
organizzazione del sistema internazionale, soprattutto dinanzi alla prospettiva che si
profilò fin da subito dell’annessione della Germania Est alla Germania Ovest. Per ciò
che concerne gli esponenti europei occidentali, l’ipotesi di una Germania
nuovamente unita provocata timore, soprattutto relativamente alla possibilità che
potesse ripresentarsi un’egemonia tedesca sull’Europa. Più favorevole alla
riunificazione fu invece l’amministrazione Bush, il quale riteneva che essa potesse
rappresentare la vittoria americana sul blocco comunista. Inoltre, vi erano anche le
preoccupazioni di Varsavia e Praga circa la possibilità che la nuova Germania potesse
avanzare rivendicazioni territoriali ed economiche.
Quanto al cancelliere tedesco Helmut Kohl, egli credeva che la riunificazione tedesca
fosse storicamente inevitabile: la popolazione tedesca, partecipando alla caduta del
muro, aveva inviato un chiaro messaggio alla Comunità internazionale. L’ostacolo
maggiore era rappresentato dall’Unione Sovietica, la quale riteneva pericolosa la
riunificazione tedesca, sia sul piano ideologico che militare in quanto avrebbe
allargato l’alleanza atlantica. Tuttavia, Gorbacev comprese di trovarsi in una
posizione molto debole e finì per accettare la prospettiva di una Germania
riunificata, salvo che non vi fossero truppe e armamenti atomici della NATO
stazionati nel territorio della ex Repubblica democratica tedesca e che la Germania si
accollasse l’onere dello smantellamento delle basi dell’Armata Rossa e della
sistemazione in Unione Sovietica dei militari trasferiti. Vennero indette elezioni liberi
e gli strumenti del potere della SED si trasformarono in veri competitori – il voto si
trasformò sostanzialmente in un referendum circa la riunificazione della Germania e
i cittadini si mostrarono a favore dell’annessione al governo di Bonn. Il 3 ottobre
1990, in meno di un anno dalla caduta del muro, i tedeschi poterono festeggiare la
rinascita di una Germania unita.

La guerra del Golfo:


Nel 1988 Iraq e Iran accettarono una tregua favorita dall’Organizzazione delle Nazioni
Unite: venne posta fine a una guerra che si era protratta per più di dieci anni e che
aveva provocato da entrambe le parti distruzioni e centinaia di vittime. Agli inizi del
1990, Saddam Hussein iniziò a esercitare pressioni sul vicino Kuwait con richieste
finanziare, giustificate con l’aiuto implicito che riteneva di aver dato al Paese
confinante per la sua opposizione all’Iran, Paese integralista e ostile alle monarchie
del Golfo, tradizionalmente filoccidentali. Il presidente iracheno passò velocemente
anche rivendicazioni territoriali e in aree strategiche per l’appropriazione di
giacimenti petroliferi, illudendosi che dopo aver goduto per anni del sostegno
occidentale gli Stati Uniti acconsentissero un’azione di forza contro il Kuwait. Agli
inizi del 1990 l’esercito iracheno invadeva lo Stato vicino e lo occupava nel volgere di
poche ore.
Il governo iracheno si scontrò con una dura condanna internazionale; infatti, persino
l’Unione Sovietica approvò una serie di risoluzioni del Consiglio di Sicurezza
dell’Organizzazione delle Nazioni Unite promosse dagli Stati Uniti, le quali davano
avvio a una serie di sanzioni economiche e consentivano una mobilitazione militare
sotto la guida americana per impedire ulteriori aggressioni. Nel giro di poche
settimane l’amministrazione Bush trasferì nell’area del Golfo, soprattutto in Arabia
Saudita al confine con l’Iraq e il Kuwait. Hussein prese in ostaggio migliaia di cittadini
occidentali residenti in Iraq, minacciando di trasformarli in scudi umani in caso di
guerra; inoltre, tentò di erigersi a paladino dei palestinesi, sostenendo che avrebbe
accettato un negoziato ed evacuato il Kuwait solamente se Israele avesse
abbandonato i territori occupati. Tuttavia, tale tentativo di ottenere il favore delle
masse arabe ebbe scarso successo presso i gruppi dirigenti del Medio Oriente, non
solamente tra i tradizionali alleati americani come l’Egitto e l’Arabia Saudita, bensì
anche dalla filosovietica Siria, la quale si schierò dalla parte degli Stati Uniti,
ottenendo indirettamente la mano libera sul Libano.
Fu fondamentale il ruolo giocato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, tornando a
essere uno strumento della politica estera occidentale a seguito del crollo del muro
di Berlino e dell’indebolimento del blocco comunista. Nel gennaio del 1991
l’amministrazione Bush, con il sostegno degli alleati che partecipavano alla
coalizione, ordinò l’inizio delle azioni belliche contro l’Iraq mediante l’operazione
Desert Storm, la quale consisteva in una serie di bombardamenti aerei su obbiettivi
militari iracheni sia lungo il fronte sia nelle maggiori città, in particolare Baghdad.
Hussain tentò di provocare Israele costringendolo a entrare in guerra con la
possibilità di sfruttare la questione palestinese; tuttavia, nonostante vi fu un lancio di
missili verso lo Stato ebraico, quest’ultimo fu convinto dagli Stati Uniti a non reagire.
Nel febbraio del 1991, alla vigilia del passaggio alla fase terreste del conflitto, il
governo sovietico tentò di inserirsi nella crisi con un’iniziativa diplomatica ma gli
Stati Uniti non avevano intenzione di accettare un compromesso che avrebbe
rimesso in gioco Mosca e consentito al leader iracheno di salvare la faccia. Gli scontri
si protrassero fino alla liberazione del Kuwait, sebbene l’amministrazione decise di
non intervenire oltre e lasciare Hussain al potere. L’operazione Desert Storm può
essere descritta come l’affermazione americana nel mondo, a differenza dell’Unione
Sovietica oramai impotente.
Quanto alle sorti dell’Unione Sovietica, Gorbacev non fu in grado di padroneggiare la
situazione, sia rispetto al crollo del muro di Berlino e alla posizione sovietica nel sistema
internazionale che per quanto riguarda le vicende interne. Infatti, quanto alle questioni
interne, egli assunse una posizione mediana fra i conservatori del Partito comunista
che desideravano porre fine alla politica riformatrice e all’emergente gruppo di
democratici, tra i quali spiccava la figura Boris El’cin. Nel 1980 Gorbacev tentò una serie
di trasformazioni di natura istituzionali per rafforzare la propria posizione, eliminando
il ruolo dominante del Partito comunista e con l’istituzione della figura del Presidente
sul modello statunitense e divenendo il primo presidente dell’Unione Sovietica. Allo
stesso tempo, El’cin venne eletto alla guida del Parlamento della Repubblica Socialista
Federativa Sovietica Russa, la più estesa e popolosa delle repubbliche sovietiche,
divenuta successivamente Federazione russa.
I segnali sulla disfatta dell’Unione Sovietica provenivano dalla periferia, soprattutto a
causa delle aperte richieste di indipendenza dalle repubbliche baltiche e dal
Caucaso. Nell’agosto del 1990 venne attuato un colpo di Stato guidato dagli elementi
conservatori del Partito Comunista dell’Unione Sovietica e Gorbacev furono costretti
in una sorta di stato d’arresto nella sua residenza.
Fu El’cin a guidare la resistenza contro il corpo di Stato e, a seguito del fallimento del
golpe, causato soprattutto dalle forze armate che fin da subito si mostrarono incerte
sul da farsi, Gorbacev venne liberato. Egli venne pubblicamente umiliato al
Parlamento russo da El’cin, il quale lo costrinse ad ammettere la necessità di
sciogliere il governo dell’Unione Sovietica. Un ulteriore elemento di disgregazione fu
la dichiarazione di indipendenza delle repubbliche baltiche, a cui seguirono poco
dopo quelle del Caucaso. Il 21 dicembre 1991, fra le dodici ex repubbliche rimanenti
dell’Unione Sovietica, si istituì la Comunità degli Stati indipendenti, una sorta di
Commonwealth tra quei Paesi che avevano vissuto settant’anni di storia insieme.
Invece, il 25 dicembre 1991 dalla torre del Cremlino venne ammainata la bandiera
dell’Unione Sovietica e Gorbacev uscì di scena: la Russia aveva un nuovo leader e
con la scomparsa dell’Unione Sovietica la guerra fredda aveva fine.

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