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È indubbiamente fra i più singolari miracoli riconosciuti dalla Congregazione delle Cause dei

santi, quello attribuito all’intercessione della salesiana Eusebia Palomino Yenes, tanto da aver
richiesto analisi e perizie del tutto inconsuete nella secolare storia dell’organismo vaticano. Al
centro dell’evento prodigioso c’è un quadro raffigurante la stessa suor Eusebia, commissionato in
prospettiva dell’apertura dell’inchiesta canonica sulla vita e le virtù della religiosa, programmata
per il 1982 nella diocesi spagnola di Huelva.
Eusebia, nata in un paese nei pressi di Salamanca il 15 dicembre 1899, nel 1924 pronunciò i voti
solenni nella congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice. All’inizio degli anni Trenta, quando
si avvertivano le prime avvisaglie della guerra civile, si offrì al Signore come vittima per la salvezza
della Spagna e per la libertà della religione. Tormentata da intense sofferenze fisiche e visioni di
sangue che le preannunciavano i drammatici eventi bellici, il 9 febbraio 1935 morì nel collegio di
Valverde del Camino a causa di una grave insufficienza respiratoria. La sua beatificazione è stata
celebrata nel 2004.
Nel 1980, per onorare la memoria di suor Eusebia, venne chiesto al rinomato maestro locale
Manolo Parreño Rivera di realizzarne un ritratto. Nonostante fosse impedito nell’uso degli
avambracci a causa di una poliomelite sofferta nell’infanzia, Parreño Rivera insegnava arti plastiche
e dipingeva mantenendo il pennello con le dita del piede.
La proposta lo aveva in un primo momento lusingato, ma con il passare dei mesi erano sorti in
lui molti dubbi – come spiegò durante l’inchiesta sul miracolo – anche «per la descrizione che
madre María Luisa Aparicio (la superiora salesiana di Valverde, nda.) mi fece sulla persona di suor
Eusebia, come una “santa taumaturga e miracolosa”, che io dovevo rappresentare pittoricamente
perché la gente la pregasse. A quel tempo ero una persona del tutto aliena dalle cose di religione e
anche piuttosto contrario a quella mentalità miracolistica. Tutto quel contesto giunse a urtarmi,
cosicché mi sentii indotto a rifiutare l’incarico e a prendere il fermo proposito di non eseguirlo».
Perciò, quando il 12 aprile 1982 l’inchiesta diocesana venne ufficialmente aperta, del quadro non
c’era nemmeno l’ombra. La resistenza passiva adottata dal pittore non riuscì comunque a turbare
madre Aparicio, la quale non perdeva occasione per sollecitarlo ogni qual volta lo incontrava. Il 27
marzo 1983, Domenica delle Palme, riuscì a ottenere un’esplicita promessa: il pittore le garantì che,
approfittando delle vacanze scolastiche pasquali, avrebbe iniziato il lavoro Giovedì santo 31 marzo.
Verso le 9.30 di questo giorno, testimoniò la moglie del pittore Josefa Cejudo Ramírez, Manolo
uscì di casa e le disse: «Finalmente ho deciso di dipingere il quadro della monaca, perché manca
poco tempo alla traslazione dei resti mortali (fissata per il 14 aprile seguente, nda.); vediamo se
finalmente mi lasceranno in pace. Non sarà finito per la data che desiderano, ma almeno l’avrò
iniziato». La vicenda si stava trasformando in una sfida personale, al punto che il pittore, ponendosi
davanti alla fotografia in bianco e nero che gli avevano dato come modello, sbottò: «Vediamo un
po’ se sono vere tutte quelle cose che mi raccontano dei tuoi miracoli e fa’ in modo che io ti
dipinga. Anche se con questa “faccia da tonta” non credo che mi potrai servire a qualcosa».
La testimonianza di Parreño Rivera entra nel vivo di quei momenti: «Verso le dieci del mattino
mi misi al lavoro e per le prime due ore tutto fu normale. Iniziai a macchiettare la figura, cioè a
ricoprire la tela con alcuni colori, se non esattamente uguali almeno affini; quando la tela fu
completamente impregnata di quella macchiettatura, sarebbe stato logico continuare il giorno
seguente, perché il secondo e il terzo strato di colore che vengono sovrapposti possono fondersi con
il primo. Ma, notando che la pittura si stava solidificando più del solito e mi consentiva di procedere
senza attendere il tempo richiesto per l’essiccazione dei vari strati, incominciai a sentirmi come
fuori di me. Due ore e mezzo dopo quella osservazione, cioè quattro ore e mezza dopo aver iniziato
a dipingere, rimasi di fatto estremamente sorpreso perché mi resi conto che il quadro era
completamente finito».
Successivamente, ha narrato il pittore, «essendo io il più restio a parlare di prodigioso e di
miracoloso, perché non volevo ammetterlo, per dare alla gente una dimostrazione mi proposi di
dipingere alcuni altri quadri, ovviamente di soggetto diverso, nello stesso tempo di questo. Per
cinque volte ho ripetuto il tentativo, poi – devo confessare con grande dispetto – mi sono dovuto
dare per vinto, non l’ho ritentato più e credo che sia impossibile. Per parte mia, sarei ben lieto che
ciò si ripetesse per ognuna delle mie opere: ne avrei molti vantaggi nel mio lavoro!».
Nel 1997 un’accurata indagine venne effettuata direttamente sul ritratto dal dottor Nazzareno
Gabrielli, direttore del Gabinetto di ricerche scientifiche dei Musei Vaticani. Il quadro fu sottoposto
a radiografia – che rivelò una realizzazione «con pennellate veloci e sicure senza indecisioni o
significativi ripensamenti: soltanto la mano manifesta un’indecisione nella sua impostazione sul
libro che sorregge» – e fu fotografato con fluorescenza ultravioletta e con radiazione infrarossa.
Venne pure analizzato il medium dei colori, che dall’analisi spettrofotometrica infrarossa risultò
olio di lino, e furono svolte prove di essiccazione dei pigmenti puri e mescolati fra loro. Nella
relazione riassuntiva, Gabrielli ha potuto dichiarare che «le mescole, pur avendo tempi di
essiccazione variabili, risultavano asciutte soltanto il giorno successivo» e che «non sono stati
rilevati siccativi inorganici a base di piombo né organici a base di acetone».
Come ha successivamente chiarito nella sua perizia il pittore Amedeo Brogli, «nel 1983 non
esisteva ancora in commercio la Liquina, essiccativo a base di resina alchidica (combinazione di
alcool e acido), che ha di molto ridotto i tempi di essiccazione dei colori a olio senza alterarne e
depauperarne le caratteristiche peculiari». Lo studio scientifico del professor Ulderico Santamaria,
al quesito se fossero stati impiegati degli agenti essiccanti per ridurre da 24 a poche ore il tempo di
essiccazione, ha risposto: «No, poiché l’analisi effettuata al Sem-Eds mostra modeste quantità di
zinco e di rame e assenza di piombo, mentre le quantità di ferro variano dal 28% allo 0,34%».
Un giudizio condiviso dalla Consulta tecnica della Congregazione delle Cause dei santi, che ha
sancito formalmente la prodigiosità dell’evento: «Tutti i componenti, qualificati esperti in materia,
ritengono straordinario il rapidissimo essiccamento dei colori usati senza l’uso di sostanze
essiccanti. Viene esplicitamente dichiarata l’impossibilità del verificarsi dell’essiccamento nel breve
periodo di 4 ore e mezzo durante il quale è stata completata l’opera pittorica a olio, tenendo anche
conto che i colori – benché sovrapposti in più strati – non si sono tra di loro mescolati. Il fatto
accaduto presenta quindi i requisiti della inspiegabilità tecnica».

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