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La letteratura inglese ha esplorato e analizzato i sensi, grazie anche a molteplici

studi. L’insieme di tutti i testi e contesti della tradizione anglofona, se confrontate


con altre, sono più attente a quelle che sono i sensi (ossia che ha formulato ipotesi e
riflessioni sui sensi e cosa significa percepire). I poeti romantici avevano
un’ossessione per la creazione di poemi lunghi, ma poi sappiamo che quelli più
“corti” saranno i più noti. Tennyson era poeta postromantico, Shelley aveva uno
scetticismo verso la verità dell’esperienza. Se in Shelley lo scetticismo è molto
presente, in Tennyson sarà ulteriormente amplificato (ripercuotendosi poi sulla
visione dei sensi). Wilde si occupa di stimolazione dei sensi (es. Dorian Gray che
appartiene all’estetismo, ovvero ai sensi, l’estetica), Joyce, irlandese come Wilde,
affronta tematiche meta-letterarie nel suo romanzo e suscita quindi un riferimento
immediato a Wilde nei lettori. L’inizio del ‘900 cambia totalmente la percezione dei
sensi e della realtà (si pensi a Freud, il quale si sofferma molto su queste riflessioni).
WORD OF SENSE
Che parole usiamo per definire i sensi? L’idea che abbiamo dei sensi, del loro
meccanismo e anche della centralità o meno che attribuiamo ad un senso, cioè ad
un modo di percepire rispetto ad un altro, sono sempre state così? Chiaramente la
questione è molto dibattuta: c’è chi ha messo in evidenza una continuità e una
costanza nel modo che ha l’uomo di percepire e c’è invece chi ha mostrato che da
quando sono nate le varie culture (dal punto di vista sia dello spazio che del tempo),
è cambiato anche il modo di percepire e la considerazione di questi sensi. Per
esempio c’è Costance Classen, una studiosa molto importante nel campo dei
sensory studies, che ha indagato l’uso dei sensi in alcune società “tribali”: ha per
esempio mostrato come, nella società/cultura occidentale, la vista sia divenuto il
senso dominante. In altre culture, invece, il senso dominante è l’olfatto. Nella
tradizione inglese i è omofono di eye (occhio), chiaramente questo è un caso della
lingua che però è stato ampiamente sfruttato dalla poesia e dalla letteratura. In
Shakespeare c’è questo gioco tra l’occhio e io. Secondo alcuni studiosi i concetti
legati ai sensi sono culturally specific, cioè sono veramente dipendenti dalla
conformazione culturale in cui questi sensi si trovano. Per esempio, taste indica il
gusto, ma taste è vicino al tasto. La base di questa parola indica più il senso del tatto
che quello del gusto. Flavour perfino nell’inglese di Shakespeare indicava un odore,
non solo un sapore e persino hear, che deriva da una radice indoeuropea qeu- che
indicava percepire, guardare e quindi aveva una componente di percezione
generale, una visiva e una di movimento mentre invece per motivi vari questa parola
nella sua lunghissima evoluzione è finita per indicare in inglese l’udito. Tonality
indica invece quindi diversi modi di percezione. La stessa parola sense (dal latino
sensus) è una percezione, sia interiore che esteriore. Classen ci dice che in inglese il
significato prevalente è quello di faculty of perception, quindi una capacità di
percezione, capacità sensibile. Nel XVI secolo sense indicava anche una instinctive
knowledge, sensation, signification; significato era già in parte presente nel senso
latino, ma qui assume persino il significato di facoltà mentale, morali, facoltà
interiore. Nel XVII secolo sense acquisisce anche il significato di judgement, il buon
senso. Questa polisemia del termine sense si riflette poi nei suoi aggettivi: sensible
(ragionevole), sensitive (sensibile). Prima però sensible indicava la capacità di
percepire. In Sense and Sensibility di Jane Austen lei contrappone sense con il
significato di judgement a sensibility, che al tempo prevedeva una quasi eccessiva
attenzione agli aspetti estetici. Poi sensible acquisisce tra il XVII e il XVIII secolo il
significato di ragionevole. Samuel Johnson, il grande critico inglese del 700, nei suoi
studi di lessicografia stigmatizza quel significato di sensible dicendo che il suo uso
era volgare, e che per lui non dovrebbe essere usato. Esiste un famosissimo
componimento poetico di Shelley che si chiama The Sensitive Plant, una pianta che
risponde se riceve uno stimolo. Sensitive indica invece l’iperreattività ai sensi. Vicino
al significato di judgement c’è quello di common sense. Aristotele per primo teorizza
la presenza di questo senso comune, che indicava le qualità sensibili comuni, quelle
non specifiche di nessun senso. Questa facoltà viene immaginata come una sorta di
super senso che va a mediare le informazioni portate a tutti gli altri sensi, che ci dà
consapevolezza del nostro sentire mediando tra stimolazione offerta dai 5 sensi. E’ il
senso che ci permette di capire che stiamo percependo. I significati di sense e
common sense si sovrappongono nel XVIII secolo. Anthony Ashley Cooper, Earl of
Shaftesbury è un filosofo, un intellettuale, anche un importante scrittore, viene
ricordato anche nella storia della letteratura. Shaftesbury si pone un problema che
non era solamente un problema di studio della percezione, ma anche di carattere
sociale e politico. Dopo la teorizzazione di Hobbes, si chiedeva: se l’uomo è mosso
solo da appetiti, cioè solo da desideri che vogliono essere soddisfatti, allora come
risolviamo questo stato che in natura probabilmente è estremamente conflittuale?
Hobbes propone una soluzione. Altri pensano che esista una possibilità di
trasformare questi appetiti, di educare quelle che sono le pulsioni, e il common
sense viene interpretato come practical judgement, cioè come una sorta di capacità
razionale. Quindi se l’uomo è dotato di buon senso, su questo si possono costruire
vari modi per educare il genere umano. L’idea di ragione è centrale nel 700, il secolo
dei lumi. Quando si parla di sensi non si parla solo di riflessioni sui sensi, ma anche
ricostruire la percezione in un testo, cioè riflettere su quanto è complesso percepire
un romanzo ad esempio, su quali facoltà entrano in gioco nella percezione, ma
anche su percezioni molto complesse, come quella sinestetica. Il concetto di
sinestesia è piuttosto complesso. Possiamo darvi quattro aggettivi:
 Psychophysical
 Cognitive
 Neural
 Linguistic (and poetic)
Con sinestesia si intende una condizione clinica, studiata anche dal punto di vista di
psicologia e clinico. Ad esempio, in alcuni soggetti la percezione di un profumo
all’incenso può immediatamente evocare una fortissima sensazione di colore
bianco; queste associazioni tra due o più sensi hanno interessato la psicologia dal
tardo 800. RICORDIAMO che la ragione non è un senso. Al massimo possiamo dire
che il common sense è un pezzo della ragione. Cognitive è un modo di studio che fa
riferimento alle scienze cognitive, che studiano la mente e il suo funzionamento, con
un metodo che unisce insieme la neuroscienza, la psicologia classica e
l’antropologia. Come possiamo definire la sinestesia linguistica? La sinestesia è
stata ricondotta alla metafora, perché il termine contiene in sé l’idea del
movimento, del trasporto; è lo spostamento di un senso da una parola all’altra. In
questa accezione in effetti quelle che sono le cross-sensory metaphors sono
spostamenti di significato tra sensi diversi. E’ un modo di esprimersi molto
complesso. Si parla di sinestesie linguistiche anche con metafore cross-sensory e con
perceptual metaphors, i sinonimi, che vengono usate nella linguistica attuale per
indicare che venivano definiti dalla sinestesia. È stato osservato che inoltre esiste
una gerarchia dei sensi: da una parte c’è il senso più astratto, la vista, e dall’altra c’è
il senso più corporeo, il tatto, e tutti i sensi sono più o meno collocati in questa
gerarchia, dal più astratto al più concreto. Per spiegare qualcosa di molto astratto, il
silenzio, prende qualcosa di più concreto, la dolcezza.
GERARCHIA: Sight-hearing-smell-taste-touch
È una gerarchia che era già stata teorizzata nella filosofia. La sinestesia è un tipo
particolare di metafora perché la metafora prende un concetto e lo spiega con un
altro concetto, mentre la sinestesia parte dal concetto A (sorgente) e dal concetto B
(più astratto). I concetti, legati ai sensi, creano la metafora sensoriale, sinestetica.
L’INTERSENSORIALITÀ
Connor utilizza il termine intersensoriality per parlare di intersensorialità, per
definire ad esempio il passaggio di un testo letterario in cui più sensi sono coinvolti.
Sono stati scoperti altri sensi, il senso che va ad indicare la temperatura, la
sensazione del dolore, la sensazione dell’equilibrio, del prurito, una volta associati al
tatto. Oltre alla linguistica, un altro approccio lo ha la fenomenologia, ovvero lo
studio dell’esperienza che non può dipendere che dai sensi. Merleau-Ponty arriva a
ragionare sulla possibilità che la vista non sia che tatto e che tutti i sensi sono
riconducibili ad un contatto fisico. In realtà anche la vista, dirà, corrisponde ad una
stimolazione che non è a distanza, ma tattile. Antonio Damasio, uno studioso
portoghese, pubblicò un testo fondamentale che si chiamava l’errore di Cartesio.
Cartesio aveva dato una grandissima definizione delle capacità razionali umane,
separando quasi completamente il corpo dalla mente. In realtà quest’idea del corpo
cartesiano è superata. Se io dimostro che la percezione di una metafora coinvolge
una determinata zona del cervello, passa per un determinato fascio neuronale per
arrivare a coinvolgerne un’altra, allora capite che quello che poteva essere espresso
semplicemente come qualcosa di razionale non può essere separato dalla parte
corporea. Un filosofo francese, che sarà centrale per quella scuola di pensiero della
sensorialità, Michel Serres, scrive i cinque sensi, dove studiando fenomeni di
interazione tra i sensi e i sensi stessi rivendica una posizione dei sensi subalterna al
linguaggio. La percezione sensoriale è stata spesso messa in secondo piano rispetto
alla parola. Qui ci ricolleghiamo a quanto detto su Cartesio. La parola non è la cosa.
Quanto dice Serres è vero ma è vero anche il contrario, cioè secondo quanto ci ha
mostrato la parola è stata allo stesso tempo un veicolo, un modo per spiegare anche
la percezione dei sensi. E se ci pensate la parola ha in sé qualcosa di multisensoriale
perché nella lingua sono coinvolti vari sensi.
Nonostante sia stato evidenziato l’atteggiamento condannato poi come
lococentrismo (eccessiva attenzione alla parola scritta) nella critica e nel pensiero
degli ultimi decenni, in opposizione a questo atteggiamento alcuni studiosi e filosofi
hanno evidenziato i sensi, un’alternativa vincente in molti casi rispetto a
un’attenzione esclusiva al linguaggio, a volte disincarnato. Queste critiche però sono
valide solo a metà, perché il linguaggio è per sua natura multisensoriale. La pratica
del parlare e dello scrivere coinvolge più di un senso, soprattutto il discorso è
chiaramente molto viscerale. C’è chi faceva notare come non esiste nulla di più fisico
del fiato, il veicolo che trasporta il discorso, provocando il suono. Tutte queste
tematiche a loro modo, nel secondo ‘800, quando nasce la linguistica, sono molto
antiche, basta vedere l’opera Lingua, or the Combat of the tongue and the five
senses for superiority (1607), scritto probabilmente da Thomas Tomkis. I personaggi
sono i sensi personificati e ognuno si reca al tribunale del senso comune (già visto in
opere teatrali antiche). Tra di questi c’è lingua, un sesto senso, ovvero la capacità di
articolare il discorso, che nella storia rivendica, dinanzi al tribunale, la necessità di
essere inserita tra i sensi. La capacità di avere una lingua tagliente era associato al
sesso femminile (lo vediamo soprattutto in Shakespeare), ma nonostante questo gli
riconosciamo comunque un ruolo di mezzo-senso.
STORIA DEI SENSI
Nel periodo del ‘400 ci sono state molte teorie e discussioni sui sensi, che saranno
molto influenti, anche ai giorni nostri. Uno dei primi che ha parlato dei sensi è stato
Democrito: lui discute dei cinque sensi, ma non ignora la possibilità che ce ne
possano essere di più. Inoltre, dava un ruolo di supremazia al tatto. Tutto cambia
però già con Platone, dove nel dialogo “Timeo” si discute, oltre alle tante cose,
anche di come è fatto il corpo umano. Platone, di fatto, separa la facoltà razionale,
che colloca nella testa, da tutto il resto, tra cui i sensi, che sposta nella regione più
bassa, sia in senso fisico che in senso orale (secondo lui la testa non stava in alto per
caso, ma perché racchiudeva le facoltà più razionali, quindi erano completamente
separate dalle altre). Ricordiamo poi Aristotele, il primo teorizzatore dei sensi, con le
opere De Anima e De Sensu, dove parlava di senso comune e senso totale. È stato il
primo ad istituire una sorta di gerarchia tra i sensi, per cui distingue tra
• Sensi mediati: percepiscono tramite un mezzo (vista e udito)
• Sensi diretti: necessitano un contatto fisico tra la cosa percepita e il soggetto (tatto
e gusto).
L’olfatto è nel mezzo. L’olfatto non rispetta sempre le regole di questa gerarchia, per
questo è inserito a metà tra le due categorie. Aristotele associa poi ai quattro
elementi della natura ai cinque sensi:
acqua - occhio
fuoco - olfatto
aria - udito
tatto e gusto – terra

Nei testi di poetica e retorica, dove lui teorizza le arti, riprende questa gerarchia per
creare anche una sorta di gerarchia tra le arti. Le arti che non creano, quindi di cui
facciamo esperienza tramite la vista e l’udito, vengono considerate la grande arte,
mentre le arti secondarie sono quelle legate più alla manualità. Questo perché la
realizza tramite i sensi. Troviamo poi Vincent di Beuvais, che distribuisce i sensi tra
anima e corpo. Alcuni sensi, quelli che meno inducono al peccato, sono quelli
dell’anima (vista e udito), mentre i sensi diretti, essendo quelli peccatori, erano sensi
che venivano legati al corpo. Un altro grande teologo è stato Tommaso D’Aquino, a
cui si attribuisce la frase “nella mente non c’è nulla che prima non sia stato nei
sensi”. Ciò non significa che la mente sia una tabula rasa, ma che i sensi abbiano un
ruolo fondamentale nella conoscenza del mondo. Un autore poco noto in Italia ma
molto noto in Francia è stato Bartolomeo del Bene, che ha scritto Civitas veri sive
morum, un poema in latino, dove utilizza un codice simbolico molto diffuso
all’epoca, ovvero quello di pensare ai sensi come delle porte, rappresentati quindi
anche in modo fisico. Rivedremo questo codice simbolico anche in Spencer, che dice
che l’anima è una cittadella assediata da cinque porte (sensi), dalle quale entrano
armate mostruose, ovvero le cose che tentano di penetrare all’interno dei sensi. Il
termine “Rinascimento” è un termine che non possiamo applicare come vogliamo,
ma dobbiamo sapere di cosa stiamo parlando. Fu utilizzato per la prima volta da
Giorgio Vasari, un intellettuale, che scrive un testo molto influente ovvero Le vite de’
più eccellenti pittori, scultori e architettori. Chiama quindi il periodo che si sviluppa
intorno a Giotto e Cimabue “rinascimento” appunto perché la considerava una
rinascita dell’arte, che arriverà fino a Michelangelo. Vasari si sta riferendo
ovviamente all’arte italiana, diversa dall’arte degli altri paesi, che viene poi applicato
ad un contesto storico dell’800 da Jules Michelet, con il suo Histoire de France, con il
termine “Renaissance”. Pochi anni dopo, Jacob Burckhardt scrive The Civilisation of
the Renaissance in Italy, incentrata appunto su quel periodo. Abbiamo poi Huizinga,
olandese, che scrive The Autumn of the middle ages, un testo polemico che si
contrappone a questa sorta di idolatria del Rinascimento. Lui vede infatti la caduta
del Medioevo come una caduta, chiamando il periodo del ‘400 il periodo del tardo
gotico. Il Rinascimento quindi in Italia finisce nel ‘600. Le categorie storiografiche,
nate nella critica letteraria inglese, sono:
• Early modern (1400/1500-1800, 1453/1492-1789)
• (Late) Modern (1789-1945)
• Contemporary (1945-present)
CRONOLOGIA DELLA STORIA DELL’INGHILTERRA
• War of the Roses (1453-1486/7) = contrappone due casate (York vs Lancaster), con
la casata Tudor che alla fine prevale. È una guerra per il potere, di dinastia. Con la
battaglia di Boston fields, quella rappresentata da Shakespeare, trionferà poi Enrico
VII Tudor, che darà inizio alla dinastia Tudor, che arriverà fino a Elisabetta I. Non è
un caso quindi che il Riccardo III di Shakespeare sia passato alla storia come esempio
del re malvagio.
• Sale nel 1491 Enrico VIII, quando c’era lo scisma tra la chiesa protestante e quella
cattolica. Viene ancora chiamato difensore della fede, quindi della chiesa cattolica,
poi a causa del suo matrimonio si stacca dalla chiesa cattolica, di cui non viene più
riconosciuta l’autorità in Inghilterra, e cominciano le riforme. Con l’Atto di
Supremazia, nel 1534, si dichiara quindi re della chiesa anglicana.
• Edoardo VI cerca poi, dopo di lui, di promulgare un libro (Book of Common
Prayers) con tutte le preghiere canoniche da recitare, che sarà molto influente.
• Maria I, appena salita al trono, vede il credo protestante formato da poco, che si
opponeva al cattolicesimo. Maria era cattolica, sposata con Filippo di Spagna,
l’arcinemico dell’Inghilterra. A lei verrà dato il soprannome di “La Sanguinaria” a
causa delle opere di persecuzione contro i protestanti.
• Elisabetta I. Con lei si chiude la dinastia Tudor e si apre l’era elisabettiana, dove
l’Inghilterra acquista la centralità sullo scenario politico europeo e mondiale.
L’esecuzione di Maria Tudor e La sconfitta dell’Armada spagnola sono due eventi
importanti in questo periodo. I cattolici in Inghilterra attentavano alla vita della
regina, perché descritta come una donna di facili costumi, affronto molto grande alla
Chiesa cattolica, per questo venne organizzata sta armada che voleva farla fuori ma
alla fine non ci so riusciti. Ma dico io ma lasciatela chiavare in santa pace, bah.
Elisabetta non era una protestante convinta, infatti si crea una teologia molto
moderata. Sono anni però anche di inquietudine, soprattutto per chi avrebbe preso
il suo posto, non avendo un erede, e gli anni dell’epidemia di peste, ma sono anche
gli anni dove fiorisce la letteratura elisabettiana (Golden Age), che rimarrà a lungo
nella storia della letteratura inglese.
• James I (figlio di Mary Stuart, scozzese). Con lui si passa dalla casa Tudor a quella
Stuart.
Questo periodo dell’oro è un periodo dove in tutta Europa si fanno grandi scoperte
scientifiche (Copernico, con la struttura del cosmo; Galileo; Harvey, che scopre i
primi meccanismi della circolazione del sangue; Bacon, un grande teorico del
metodo induttivo e scientifico, insieme a Galileo), geografiche (Drake, con la
circumnavigazione del globo; Raleigh, che colonizza e comincia a commerciare in
America per la regina Elisabetta), religiose (protestantesimo vs cattolicesimo, la
nascita della chiesa d’Inghilterra), l’invenzione della stampa (William Caxton, un
mercante, che poi diventa il primo stampatore, che come primo testo stampa The
Canterbury Tales di Geoffrey Chaucer, seguito poi da La Morte d’Arthur di Thomas
Malory). Le tematiche del Rinascimento, molto importanti, sono l’individualità, la
libertà umana, la ragione e il volere libero.
STORIA DELLA LINGUA INGLESE
Grazie agli autori dell’età elisabettiana, la lingua inglese si sviluppa da Middle English
(1100-1500) a Early modern English (1500-1750), che non è però l’inglese di oggi.
• Cambiano le vocali:
life = lif (middle english)  laif (early modern)
• Espansione del lessico, con una nuova formazione:
Herod  non-sense, immaturità
• Spelling
Samon  salmon (introdotta perché in latino era scritto così, quindi la parola
doveva avvicinarsi alle lingue perfette come il latino e il greco).
IL TEATRO
Tutti i cambiamenti linguistici si riflettono sulla letteratura e si vedono soprattutto
nel teatro. Il primo teatro pubblico nasce nel 1576 (THE THEATRE). Si vede quindi
nell’opera teatrale come entrano in gioco queste novità, ma si vede anche nella
prosa, in autori come:
• John Lily, caratterizzato da un’imitazione di stile classico, ciceroniano, molto
complesso da leggere e da capire. Lui legge e riadatta i classici, soprattutto Virgilio e
Ovidio.
• Bacon, che si occupavano di temi astratti e concreti, analizzati in poche parole,
molto perspicaci, con il metodo induttivo (particolare  generale).
• Hooker, tra quelli che combattono contro le riforme religiose.
• Elyot, con il The Booke Named the Governour, che rivede le prerogative e i doveri
del sovrano.
• Thomas More, con Utopia, dove espone la teoria che esista un altro mondo,
perfetto e ideale, legato alle scoperte geografiche (ne parla anche Hakluyt)
• Walter Raleigh, che scrive The Discovery of Guiana, una terra al nord del Sud
America.
• Robert Greene e Thomas Nashe, autori universitari formati sui classici.
• John Donne, con i Sermoni, testi di carattere religioso.
• Robert Burton, Thomas Browne, John Foxe, James Bible.

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