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3.

SINTESI SUL RAPPORTO TRA CROMATISMO, DIATONISMO E TONALITÀ


(corollario alla scheda 1)

 Cromatismo  (dodici  suoni)  

Diatonismo  
(Modalità)  

Tonalità  
(modi  M/m)  

I Modi sono, in generale, insiemi di suoni che, in ordine crescente di altezza, suddividono
un'Ottava in un certo numero di altezze intermedie: quando il loro sovra-insieme riguarda tutte le
possibilità di sequenziamento di suoni che abbiamo già distinto in quanto Diatoniche, esso
costituisce la Modalità propriamente detta.

– La Tonalità è un campo particolare della Modalità. Esso riguarda specificatamente quella


suddivisione dell'Ottava in 7+1 suoni fondata sulla sequenza diatonica TTsTTTs. Tale sequenza è
chiamata modo maggiore (M); da esso è possibile desumere altre 6 sequenze (altri modi, altri
diatonismi, formalmente non appartenenti al campo specifico di cui stiamo parlando – v. sc. 1, pag.
7) di cui l'estetica storica ha prediletto, come alternativa espressiva allo stesso modo maggiore,
quello ottenibile a partire dal suo VI grado: è il modo minore (m, il quale, a sua volta, origina il
modo minore armonico e quello minore melodico, in quanto proprie varianti). La Tonalità annovera
e si basa solo su questi due modi (quantunque le esigenze del linguaggio musicale possa farli
interagire con gli altri, rapportandoli dunque al loro insieme generale di appartenenza, appunto la
Modalità).

– La Modalità riguarda quindi un insieme più ampio di possibilità diatoniche: parliamo,


teoricamente, di ogni possibile sequenza che alterni T e s, queste fondamentalmente modificando,
quando prodotte originariamente in ordine crescente (e poi decrescente) per moto congiunto, il
proprio significato fonico (ed estetico), secondo la posizione e la prevalenza numerica degli uni
rispetto agli altri e/o viceversa (quindi secondo la configurazione, prodotta dalla loro sequenza,
delle discontinuità dei loro rapporti in altezza – v. anche nota 2, pag. 2).
– Il Cromatismo pure può in assoluto dar luogo a un modo1, trattandosi però di quello che ospita
tutti i suoni disponibili a costituire i modi diatonici, nonché quelli da cui far partire nel tempo, in
ordine di frequenza crescente, le sequenze proprie di quei modi (consideriamo quell'ordine appunto
originario per la riconoscibilità del modo stesso, tenuto conto che il concetto di modo è altresì
legato a quello di melodia, apparizione progressiva di suoni singoli nel tempo).

Si tratta di significati diversi che concorrono ad una logica unitaria, ciò che qui giustifica la loro
circostanziale rappresentazione insiemistica.

Le sequenze di T e s, conferiscono ai modi diversi significati acustico-psicologici, originariamente


nel loro essere delle discontinuità (il “modo” cromatico non lo è). Anche se esiste il caso del modo
esatonico che divide l'Ottava in 6+1 suoni e appunto in 6 T (non contenendo quindi discontinuità),
che però è appunto particolarmente dotato di senso (estetico, espressivo) in quanto eccezione.

La storia evolutiva del linguaggio musicale non ha per questo escluso la possibilità di prediligere il
“modo” cromatico in quanto dotato di significato estetico proprio, e anzi di conferire ad esso un
ruolo strutturale, anziché, come avviene in relazione alla Modalità e in particolare alla Tonalità,
quello sovrastrutturale (questa predilizione viene appunto codificata all'inizio del XX sec. nella
cosiddetta tecnica “dodecafonica”).

Nel linguaggio musicale occidentale maggiormente condiviso (ancorché nelle sue numerosissime
articolazioni di genere) i modi diatonici sono quelli i cui suoni componenti vengono utilizzati in
maniera tendenzialmente omogenea per creare strutture melodicamente, armonicamente e
ritmicamente organizzate. Sono poi ampiamente considerate tutte le interazioni tra modi.

È opportuno tenere presente che, storicamente parlando, lo “sfondo” costituito dal campo
cromatico, la scala cromatica propriamente detta, è l'ultimo risultato della razionalizzazione
dell'intero sistema: il modo più arcaico di dividere l'Ottava in frequenze intermedie è di tipo
eptafonale (7+1 suoni), e conformemente a ciò che ci racconta l'indagine storico-paleografica, esso
è molto simile, se non sovrapponibile, al nostro modo maggiore. Sembra risalire alla scuola
pitagorica (V sec. a.C.), che già connota una siffatta scala (nella teoria acustica è detta appunto
“pitagorica”), perlomeno nella sequenza che alterna le distanze più grandi (molto tempo dopo
denominate toni) a quelle più piccole (semitoni). La complessa vicenda dell'espressione musicale
vede per molti secoli l'uso di questa e altre modalità diatoniche variamente composte e nominate,
ma connota la struttura della scala cromatica in 12 “distanze” (intervalli) – i cui rapporti in
frequenza siano costanti (“temperamento equabile” 2 ) – solo alla fine del XVII sec. Questa
connotazione è storicamente parallela a quella dei modi maggiore e minore, i quali sono quelli che
più approfitteranno della possibilità che tale organizzazione dell'intonazione offrirà loro per
traportarsi (= prodursi nella loro sequenza e quindi, per estensione mnemonico-culturale, in
qualsiasi altro ordine omogeneo a quella riportabile, soprattutto per frequenza di apparizione dei
suoni che vi appartengono 3 ) a partire da ogni grado della stessa scala cromatica. Questa
                                                                                                               
1  È quindi possibile declinare al plurale i termini, parlando di “scale cromatiche”: sempre in assoluto, da ognuno dei 12 suoni che
dividono un'Ottava è certo possibile far cominciare una scala cromatica ascendente che termini col suono omologo all'Ottava
superiore, rimanendo però le sequenza di 12 s consecutivi un modello unico.
2  In realtà esistono anche altri tipi di “temperamento”, non equabili, rispetto ai quali il trasporto ha diversi esiti estetici, sempre per
ciò che riguarda l'intonazione (percepita e prodotta), variamente accettati nel sentire comune: argomento complesso, certamente da
approfondire in altra sede.
3
Per ciò che riguarda la riconoscibilità (più o meno conscia) dell'appartenenza ad un certo modo dei suoi suoni anche quando essi si
presentano negli ordini di apparizione più disparati, essa ha a che vedere anche con altri princìpi oltre a quello della statistica
presenza nel tempo dei suoi elementi. Qui possiamo solo aggiungere che tale presenza è comunque preda dei meccanismi della
memoria (nel nostro caso uditiva), in grado, in questo ambito come in ogni altro della realtà (peraltro in maniera decisamente
misteriosa), di rilevare la permanenza di una identità in contesti diversificati, pur godendo della diversità della nuova sintesi che con
trasposizione dà così luogo a 12 tonalità/scale maggiori e 12 relative minori (più le “varianti” min.
arm. e min. mel.), ri-producibili quindi ad altezze differenti. La suddivisione in 12 parti dell'Ottava
è quindi da ritenersi un compromesso estetico-tecnico (al quale lavorarono congiuntamente
musicisti, teorici, matematici e fisici) il cui scopo fu la particolare intonazione delle stesse (poi
universalmente accettata), tale appunto da favorire definitivamente il trasporto a diverse altezze
delle varie modalità in generale, rendendole tra loro al tempo stesso diverse (proprio per l'esito
estetico che producono in “bande di frequenza” differenti) e identiche (a sé stesse, nella loro
struttura interna), siano esse quelle più connotate, come quelle tonali, che altre, tra le quali appunto
quelle ricavabili facilmente dalla scala maggiore (sc.1, pag. 7); oltre a tutte quelle che, liberamente
assemblabili, utilizzano comunque i suoni propri della scala cromatica (sovrastruttura).
Gli studi e le convenzioni sulla suddivisione dell'Ottava in 12 parti, come quello circa il
“temperamento” di cui stiamo solo accennando, risolsero in particolar modo i problemi di
intonazione che, nel trasporto a varie altezze delle modalità, avevano gli strumenti cosiddetti ad
“accordatura fissa”, primi fra tutti quelli a tastiera, come l'organo, il clavicembalo e poi il
pianoforte, essendo divenuti questi strumenti, lungo la storia, riferimenti per la composizione
musicale come per l'insegnamento di tutti gli aspetti teorici e pratici. Ma soprattutto rispetto al fatto
che, data appunto la fissità delle loro accordature (dovuta a motivi ad essi congeniti), le tastiere
rappresentano da sempre un paradigma immediato per l'accordatura e l'intonazione esecutiva degli
altri strumenti, specie quelli che correggono e “aggiustano” quest'ultima, diciamo così, in tempo
reale, durante l'esecuzione stessa. Tra questi, certamente si trova la voce umana.

Venendo alla nomenclatura delle altre modalità (oltre alle M e m), essa è variata nei secoli,
giungendo oggi ad una sua convenzionalità circa quelle più condivise: le modalità “offerte” dalla
scala maggiore, considerata cioè come un contenitore di modelli di sequenza, tolta ovviamente
quella che inizia dal suo VI grado (ovvero la scala minore), sono le seguenti:

se partiamo dal II grado (il quale diviene così un I e come tale punto di riferimento): modo Dorico
(T s T T T s T)

dal III (= I): modo Frigio (s T T T s T T)

dal IV (= I): modo Lidio (T T T s T T s)

dal V (= I): modo Misolidio (T T s T T s T)

dal VII (= I): modo Locrio (s T T s T T T)

Ognuna è una sequenza di T e s differente. Volendo peraltro non considerare il modo maggiore
come un contenitore degli altri, il suo nome “modale” universalmente accettato è: modo Ionio; per
il modo minore, la nomenclatura modale è: modo Eolio.
Riguardo ad altre diatonicità, dapprima nell'ambito della sperimentazione creativa propria della
musica “colta” (a partire dalla fine del XIX sec.) e poi più diffusamente, nella cultura europea entrò
in uso la già citata modalità esatonale; nondimeno, lungo il XX sec. divenne piuttosto comune a
vari generi musicali, l'utilizzo di quella cosiddetta diminuita (connessa a certe tradizioni culturali
dell'Est-Europa), costituita, sempre nell'ambito dell'Ottava, dal continuo alternarsi di T e s. Entrato
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             
essi l'elemento identico (ovvero identificabile) viene a costituire. Ciò risulta, ad esempio e per l'appunto, anche da un semplice
sovvertimento dell'ordine di apparizione di determinati elementi noti (dove noto sia anche tale ordine, quello nel quale si sono prima
presentati): si tratta di un fenomeno cui è connessa l'intera percezione o addirittura la concezione umana del Tempo e del divenire
degli eventi, e al quale dobbiamo necessariamente anche la percezione o la concezione della differenza. Come tale, anche per quanto
riguarda il significato dell' “opera d'arte” possiamo considerarlo di vitale importanza, soprattutto per quel processo percettivo in cui
la ri-conoscibilità di qualcosa garantisce, mutandone la contestualità, anche il significato della sua varietà (che infatti rimane appunto
sua).
poi nella sensibilità occidentale comune (pur essendo invece di origine orientale e/o africana) è il
modo pentatonico: come si può intendere dal nome si compone di soli 5 suoni; essendo così
“fortemente diatonico” si avvale spesso, in particolar modo nella accezione della musica blues (e in
tutti i suoi derivati), di particolari cromatismi (si chiamano sempre così, piuttosto che “alterazioni”,
i suoni estranei ad un certo modo di riferimento, introdotti al suo interno allo scopo di creare
ulteriori discontinuità, punti di tensione emotiva, molto proficui dal punto di vista espressivo), i
quali verranno a tempo debito presi in considerazione nel dettaglio.
Queste modalità, nonostante siano così diffuse, appunto non si classificano come tonali, pur con la
tonalità (per ragioni troppo articolate per essere qui indicate concretamente), potendo avere
relazioni strette e artisticamente assai rilevanti.

L'ordine storico di apparizione dell'ambito che stiamo descrivendo potrebbe essere sintetizzato cosi:
M ––> T ––> C. Dove M: modalità, T: tonalità, C: cromatismo.

Tornando ora al concetto tonale, se l'ambito cromatico è inteso come la “casa ospitante” i due
principali modi (M e m) che caratterizzano la Tonalità, il “sistema tonale” è ben rappresentato in un
ordinamento che chiamiamo circolo delle quinte, il quale supervisiona e coordina agli esatti suoni
che occorrono per sequenziare i suddetti modi a partire da ogni grado offerto dalla scala cromatica:
ognuno dà origine (tramite la sequenza TTsTTTs) appunto a una tonalità maggiore contenente la
sua relativa minore. Ma il circolo indica anche qualcosa circa la logica per la quale è possibile, e
dotato di grande significato espressivo, il passaggio tra una tonalità e un'altra4:

                                                                                                               
4  È infatti generalmente possibile, e appunto esteticamente molto efficace, oltre che da un modo a un altro, passare da un tono a un
altro, in modo fugace (transizione) o più determinato e durevole (modulazione). In questi casi, specie dal punto di vista psico-
acustico, il fulcro del significato di tale passaggio consiste nel cambiamento del punto di rifermento costituito dal I grado di ogni
scala: effettuato il passaggio (la modulazione o la transizione) tra una modalità/tonalità all'altra, il I grado di arrivo appare come un
nuovo centro “gravitazionale”.  
 
Per il momento possiamo accennare alla logica di tale passaggio notando che in “senso orario” il
circolo delle quinte sequenzia le scale/tonalità maggiori in ordine crescente del numero delle
alterazioni in quanto diesis che necessitano loro per configurarsi come tali (appunto maggiori, cioè
TTsTTTs); fino a raggiungere la “diesisazione” di ogni suono originario (do-re-mi-fa-sol-la-si). E
ciò accade in “senso antiorario” con la “bemollizzazione” progressiva degli stessi.
La ratio di tali progressioni, se ben guardiamo, è per ogni avanzamento ascendente di quinta
(giusta!), l'acquisizione, per ogni scala/tonalità con i diesis, della propria sensibile, quella cioè
occorrente, rispetto al nuovo “punto di partenza” (un nuovo I grado, che ha luogo ogni volta una
quinta g. sopra), per generare una nuova scala maggiore (appunto “bisognosa” di quella sensibile);
per ogni avanzamento discendente (sc./ton. con i bemolli) viene invece acquisito il suono che si
trova a distanza di settima minore ascendente rispetto al V grado di ogni successiva (di quinta in
quinta stavolta discendente) scala/tonalità: si tratta della “7a di Dominante” di quella scala.

La Dominante, come riportato sotto è appunto il nome del V grado di una scala maggiore o minore. Il significato di
quell'intervallo di 7a è principalmente armonico, appare cioè all'interno della costruzione di un vero e proprio accordo
dallo stesso nome, risultato della sovrapposizione di tre terze su quello stesso grado: ascendendo, la sua terza magg., la
sua quinta g. e appunto la sua settima min.; questi intervalli, già esplicati altrove, sono comunque sovrapposti
utilizzando esclusivamente note appartenenti alla scala di cui quel V è appunto Dominante.

Vedremo più avanti come questi due suoni – distanti tra loro un tritono (TTT) – possano
caratterizzare il passaggio da una tonalità all'altra, e come questo stesso passaggio, in quanto
interazione fra modi (tonali), a sua volta strutturi il sistema tonale nella sua interezza e nelle sue
possibilità espressive.

A proposito di nomenclatura, nelle scale/tonalità maggiori e minori, questi sono i nomi propri dei
loro gradi:

I = Tonica

II = Sopratonica

III = Modale (così nominata perché caratterizza e quindi differenzia il modo M da quello m5)

IV = Sottodominante

V = Dominante

VI = Sopradominante

II = Sensibile

Il grado, in quanto tale, è indicato appunto con numeri ordinali al maschile (primo grado, secondo
grado, etc.), mentre per nominare l'intervallo (la distanza, la relazione fra suoni) gli stessi sono
declinati al femminile (intervallo di seconda, di terza, di quarta, etc.). Una convenzione la cui
utilità potrà essere apprezzata lungo gli ulteriori approfondimenti.

                                                                                                               
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Tale caratterizzazione è osservabile nel rapporto che questo grado ha con il primo: nel modo maggiore si trova a distanza di terza
(appunto) maggiore, in quello minore di terza minore.

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