Sei sulla pagina 1di 33

Raffaele Chiarelli, è professore

Il populismo tra storia, politica e diritto a cura di Raffaele Chiarelli


Istituendo un confronto tra diversi
approcci disciplinari, il volume si ordinario di Istituzioni di diritto
Il populismo
propone di analizzare le principali pubblico, insegna anche Teoria tra storia, politica e diritto
declinazioni teoriche relative al generale del diritto presso l’Università
fenomeno del populismo, delineando degli Studi Guglielmo Marconi di a cura di Raffaele Chiarelli
un percorso critico che, alla luce delle Roma, dove dirige il Dipartimento
molteplici definizioni di cui è stata di Politiche Pubbliche e Scienze
oggetto tale formula, si estende dai dell’Amministrazione.
suoi possibili antecedenti storici fino
agli sviluppi delle recenti esperienze RubbettinoUniversità
politiche contemporanee.
Alternando analisi di tipo storico,
politico e giuridico, vengono quindi
presi in considerazione i principali
aspetti teorici del populismo, i suoi
rapporti con altre categorie teoriche,
la sua diffusione in diversi contesti
culturali e la sua incidenza negli
attuali scenari della società della
comunicazione.

RubbettinoUniversità

e 19,00
Il populismo
tra storia, politica e diritto
a cura di
Raffaele Chiarelli

Rubbettino
© 2015 - Rubbettino Editore
88049 Soveria Mannelli - Viale Rosario Rubbettino, 10 - tel (0968) 6664201
www.rubbettino.it
“IDEOLOGIA DELLA NAZIONE”
E “POPULISMO ETNICO”.
LE RIFLESSIONI STORICO-FILOSOFICHE
DI NICOLAO MERKER

Tommaso Valentini

Introduzione

Gli studi di Nicolao Merker sulle idee di popolo e nazione met-


tono in luce alcuni snodi concettuali di fondamentale importanza per
la comprensione delle problematiche che caratterizzano sia il pensie-
ro politico moderno che l’attuale contesto. Nella nostra indagine ci
soffermiamo soprattutto sul “filo rosso” che attraversa le ricerche di
Merker condotte in questi ultimi anni: la distinzione tra le nozioni di
“popolo-éthnos” e di “popolo-démos”. Tale distinzione implica an-
che una diversa configurazione dei connessi concetti di Stato e di
nazione, e ci fa comprendere il “populismo etnico” nella sua genesi
e nei suoi sviluppi storici. Con “popolo-éthnos” si indica il popolo la
cui forte identità è data dalla comune appartenenza ad una medesima
stirpe/cultura/religione: tale appartenenza diventa la condizione es-
senziale anche per l’esercizio di una piena cittadinanza.
La nozione di popolo-éthnos sta, quindi, alla base delle “ideologie
del recinto”, escludenti dalla titolarità dei diritti chi non appartiene
alla determinata etnia, religione e tradizione della maggioranza. Si
pensi al caso di alcuni paesi islamici. «Chi non simpatizza per co-
munità chiuse e recinti di identità ristretta» – sottolinea Merker – «si
110 Tommaso Valentini

riferirà alla bussola del popolo-démos; chi avverte le aperture come


una minaccia, si volgerà al popolo-éthnos»1. Alla base dei concetti di
“popolo-éthnos” e di “popolo-démos” stanno, dunque, orientamenti
ideologici quali tradizionalismo e progressismo, scelte politiche di
“destra” e di “sinistra”, populismi fondati sulle radici identitarie della
comunità e populismi fondati su forme di relativismo/qualunquismo.
Nella nostra esposizione ci soffermiamo a delineare la storia che
il “populismo etnico” ha avuto, facendo particolare riferimento al
caso della Germania. Valuteremo, quindi, quelle istanze che Merker
ha indicato come possibili antidoti alle forme più deteriori di “etnici-
smo”: l’affermazione dei diritti umani e il ritorno alla nozione illu-
ministica di “popolo-démos” elaborata negli anni della Rivoluzione
francese. Come vedremo, tale nozione implica l’idea di una cittadi-
nanza inclusiva, costitutivamente aperta ai membri di ogni etnia e
fondata sulla stessa universalità dei diritti umani. Merker sostiene
giustamente che «affermare la prevalenza dei diritti umani generali è
la risposta ai guasti tragici prodotti da due secoli di populismo etni-
co: il quale all’interno di qualunque comunità è stato il creatore in-
stancabile di esclusioni invece che di inclusioni, essendo dunque un
fabbricatore di “estranei” e di discriminati»2. Merker definisce la sua
posizione come «pragmatismo neoilluministico»3 teso a strutturare
la vita democratica come “apertura alla differenza”, come “inclusio-
ne dell’altro” (Einbeziehung des Anderen, espressione usata da Jür-
gen Habermas, alla quale anche Merker si richiama)4.

Dallo scavo genealogico all’ontologia del presente

Nicolao Merker, nato a Trento nel 1931 e laureatosi in filosofia


all’Università di Messina nel 1953, è ormai professore emerito pres-
so l’Università di Roma «La Sapienza». Negli anni della sua forma-
1
N. MERKER, Filosofie del populismo, Laterza, Roma-Bari 2009, p. 180.
2
Ivi, p. 175.
3
Ibidem.
4
Cfr. J. HABERMAS, Die Einbeziehung des Anderen. Studien zur politischen
Theorie, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1996; tr. it. di L. Ceppa, L’inclusione dell’altro.
Studi di teoria politica, Feltrinelli, Milano 1998.
“Ideologia della nazione” e “populismo etnico” in N. Merker 111

zione molto incisivo è stato l’influsso di intellettuali marxisti come


Raniero Panzieri e Galvano Della Volpe.
Merker è noto presso il pubblico colto come un valido storico
della filosofia moderna. I suoi studi sono ormai considerati come un
punto di riferimento per la ricerca storiografica e teoretica in ambiti
come l’illuminismo tedesco, l’idealismo e le varie forme di revisio-
nismo all’interno del marxismo. Si tratta di contributi filologicamen-
te corretti e caratterizzati da una puntuale attenzione per il contesto
sociale e politico nel quale si inseriscono le filosofie di volta in volta
prese in esame. Nelle sue indagini egli ha saputo inserire le più
astratte speculazioni filosofiche nel loro “terreno originario” (Sitz im
Leben) di carattere storico-politico. Basti ricordare alcuni tra i suoi
più significativi volumi: Le origini della logica hegeliana. Hegel a
Jena (Feltrinelli, Milano 1961), L’illuminismo tedesco. L’età di Les-
sing (Laterza, Roma-Bari 1968), All’origine dell’ideologia tedesca.
Rivoluzione e utopia nel giacobinismo (Laterza, Roma-Bari 1977),
La Germania. Storia di una cultura da Lutero a Weimar (Editori
Riuniti, Roma 1990), Il socialismo vietato. Miraggi e delusioni da
Kautsky agli austromarxisti (Laterza, Roma-Bari 1996). Come ab-
biamo già accennato, una delle peculiarità dell’indagine storiografica
di Merker è quella di cercare intime connessioni tra la “storia delle
idee” e la “storia dei fatti”, tra il piano filosofico e quello empirico-
fattuale. Ad una tradizione storiografica (molto diffusa in Italia) tesa
a restringere l’analisi allo studio della logica interna alle filosofie dei
grandi autori, Merker recupera con originalità la lezione di Gramsci
e sostiene che il retroterra storico-politico-economico è l’humus ne-
cessario per comprendere anche le espressioni filosofiche apparen-
temente più astratte, come possono essere le esposizioni della Dot-
trina della scienza di Fichte o la Scienza della logica di Hegel. Da
Gramsci egli riprende espressamente l’istanza di «attirare
l’attenzione sulle altre parti della storia della filosofia», cioè «sulle
concezioni del mondo delle grandi masse, su quelle dei più ristretti
gruppi dirigenti (o intellettuali) e infine sui legami tra questi vari
complessi culturali e la filosofia dei filosofi»5. Questa metodologia

5
A. GRAMSCI, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, Editori
Riuniti, Roma 1971, p. 25. L’elaborazione di tale metodologia storiografica, pensata
112 Tommaso Valentini

storiografica, per alcuni aspetti differente anche da quella di Eugenio


Garin e della sua scuola6, ha trovato un’espressione didattica in un
manuale di Storia della filosofia, edito in 3 volumi nel 1982 e più
volte riedito, e in un utile Atlante storico della filosofia (Editori Riu-
niti, Roma 2004).
Negli ultimi lustri gli interessi di Merker si sono volti allo scavo
genealogico di concetti etico-politici come quelli di nazione, ideolo-
gia, colonialismo e populismo. Qui saggiamo chiaramente una con-
creta messa in opera dei suoi ideali storiografici. Da tali indagini sul-
la “storia dei concetti” (Begriffsgeschichte) è emersa una tetralogia
di monografie, alla quale rivolgiamo la nostra attenzione in questa
circostanza: Il sangue e le terra. Due secoli di idee sulla nazione
(Editori Riuniti, Roma 2001), Europa oltre i mari. Il mito della mis-
sione di civiltà (Editori Riuniti, Roma 2006), Filosofie del populi-
smo (Laterza, Roma-Bari 2009), e un ultimo volume strettamente
connesso alle sue precedenti ricerche sul populismo, Il nazionalso-
cialismo. Storia di un’ideologia (Carocci, Roma 2013).
Di particolare interesse ci sono parse le riflessioni di Merker sul
fenomeno del populismo, indagato in stretta relazione alle varie
ideologie della nazione che si sono sviluppate in Europa nel corso
dell’Ottocento e del Novecento. Si tratta di riflessioni saldamente
fondate sul terreno storico ed aventi quel carattere genealogico che le
rende estremamente utili per comprendere il presente ab imis fun-
damentis, al di là delle possibili contingenze del “caso italiano” e di
superficiali motivi di contestazione. Merker fa emergere la comples-
sità delle Weltanschauungen che stanno alla base delle numerose
ideologie dal carattere nazionalistico e populistico che si sono svi-
luppate in Europa negli ultimi due secoli e che conoscono oggi sin-
golari forme di revival.

a partire da una prospettiva marxista e gramsciana, è stata chiarificata da Merker


anche nel suo volume dal titolo Alle origini dell’ideologia tedesca, Laterza, Roma-
Bari 1977, pp. V-VIII.
6
Sulla prospettiva storicistica dell’autore fiorentino si vedano: E. GARIN, La
filosofia come sapere storico, Laterza, Roma-Bari 1990; M. CILIBERTO, Eugenio
Garin. Un intellettuale nel Novecento, Laterza, Roma-Bari 2011.
“Ideologia della nazione” e “populismo etnico” in N. Merker 113

Il caleidoscopio dei populismi: definizioni e limiti dell’indagine

Del concetto di populismo sono state date numerose definizioni.


Quella proposta da Nicola Matteucci negli anni Settanta ci pare mol-
to chiara e lascia aperta la strada a quel pluralismo delle interpreta-
zioni tanto caro anche a Merker. Secondo Matteucci, si può parlare
di “insorgenza populistica” quando si verifica «l’apparire al di sotto
del sistema partitico, di un nuovo clima di idee semplici e di passioni
elementari, in radicale protesta contro la tradizione e, quindi, contro
quella cultura e quella classe politica che ne è l’espressione ufficia-
le»7. Con il populismo – prosegue Matteucci – «si coagula una nuo-
va sintesi politica, che non può essere definita, secondo il comune
linguaggio parlamentare, conservatrice o progressista, perché supera
e mantiene entrambe le posizioni, affermando da un lato una volontà
autoritaria, che nella fretta del fare è sempre più insofferente degli
impacci e delle remore imposte dalle procedure costituzionali di una
democrazia moderna, e dall’altro, quando arriva al potere, manipola
le masse con slogans genericamente rivoluzionari»8. Il populismo è,
dunque, «una sindrome, una dimensione della cultura politica, che
accomuna movimenti [e partiti] per altri versi differenti»9.
Sulla linea di politologi e sociologi quali Ernest Gellner, Yves
Mény e il già citato Matteucci, anche Merker sottolinea la “costituti-
va ambiguità” del concetto di populismo10, il suo essere un «caleido-
scopio variegato»11 irriducibile ad una definizione univoca e che ab-
bracci tutte le sue possibili declinazioni cronotopiche. Il concetto di
populismo pollakòs léghetai, si può definire in molteplici modi a
seconda delle circostante ideologiche e storiche che l’hanno gene-
7
N. MATTEUCCI, Dal populismo al compromesso storico, Edizioni della Voce,
Roma 1976, p. 75.
8
Ibidem.
9
Ibidem.
10
Sul concetto di populismo la bibliografia è ormai cospicua. Ci limitiamo a
segnalare: G. IONESCU – E. GELLNER (a cura di), Populism, Its Meanings and
National Characteristics, Weidenfeld & Nicholson, London 1970; Y. MÉNY, La
costitutiva ambiguità del populismo, in «Filosofia politica», n. 3, 2004, pp. 359-376
(si tratta di un quaderno monografico sul tema del populismo, con saggi di Loris
Zanatta, Roberto Valle e Marco Tarchi).
11
N. MERKER, Filosofie del populismo, cit., p. 8.
114 Tommaso Valentini

rato: populismo può essere una denominazione (dai tratti eviden-


temente negativi e critici) che si attaglia agevolmente a dottrine e
contesti fortemente diversificati, ad ideologie di “destra” cosi come
ad ideologie di “sinistra”, per quel che valgono le categorie politi-
che di destra/sinistra.
Tuttavia, rispetto agli studi del populismo effettuati dai sociolo-
gi e dagli scienziati della politica, quelli di Merker hanno alcune
caratteristiche che li rendono peculiari e di particolare rilievo ai fini
della comprensione del fenomeno stesso sotto il profilo filosofico-
teoretico. Merker sostiene che ogni forma di populismo ha alle sue
spalle un atteggiamento fideistico, basato su di una visione del po-
polo ideologizzata e dai tratti mitologici: «le varianti delle dottrine
populiste sono un labirinto, potenziato anche dai contesti storico-
politici in cui le ideologie del populismo si trovano inserite. Ma
hanno una componente mitologica di fondo. Consiste, al di là del
contenuto specifico di dottrine e programmi, in una opzione men-
tale: ovvero nella convinzione che il vero strumento per affrontare
e risolvere i problemi dell’universo mondo sia il fideismo, inteso
nelle sue espressioni più varie»12. Tra i caratteri universali di ogni
populismo vi è sempre – così Merker – il regredire fideistico ed
irrazionale «ad un concetto assolutizzato di popolo, aprioristico e,
soprattutto, mitizzato. Il popolo viene concepito indifferentemente
come la sorgente di ogni bene e di ogni male (nel quale ultimo ca-
so esso è “plebe”)»13.
Merker nelle sue ricerche considera tutte le più rilevanti forme di
populismo che si sono presentate nel corso degli ultimi due secoli: dal
“populismo socialista” nelle sue differenti specificazioni (populismo
russo democratico ed antizarista dell’Ottocento, leninismo, trotzkismo,
operaismo, maoismo e marxismi terzomondisti, dove ad essere asso-
lutizzato è stato il popolo in quanto “classe dei lavoratori”) fino al co-
siddetto “populismo etnico”, passando anche per alcune espressioni
del “populismo dinastico-paternalista” e del “populismo religioso”. A
nostro parere il merito degli studi di Merker è soprattutto quello di
aver messo bene a fuoco la multiforme varietà del “populismo etni-

12
Ivi, p. 9.
13
Ivi, p. 11.
“Ideologia della nazione” e “populismo etnico” in N. Merker 115

co”, espressione di un tribalismo fideistico, fondato nelle diverse epo-


che e contesti sui miti dell’etnia, della razza, delle religioni istituziona-
lizzate e dei capi carismatici. L’espressione più violenta e paradigma-
tica del “populismo etnico” è stato il nazionalsocialismo tedesco, basa-
to sul mito “del sangue e della terra” (Blut und Boden). Merker ha ben
sottolineato come il Mein Kampf di Adolf Hitler sia il frutto marcio di
idee che affondano le loro radici nella cultura nazionalistica sorta in
Germania a partire dal Settecento: dall’identità di lingua/popo-
lo/nazione proposta da Herder e dai romantici fino alle posizioni espli-
citamente razziste di un Chamberlain o di uno Spengler. L’hitlerismo
ha, quindi, alle sue spalle tutta una cultura populista e nazionalistica
che lo ha preceduto e, in qualche misura, preparato. Nell’hitlerismo il
mito della nazione tedesca (pangermanesimo) si è organicamente fuso
con quello del “popolo eletto” (la stipe ariana) dando luogo ad una ir-
razionale “volontà di potenza” (Wille zur Macht) imperialistica e raz-
zista. Ecco alcune espressioni hitleriane che possono dare la cifra di
ideali politici fondati sul “populismo etico e nazionalistico”: «il fine
supremo dello Stato-etnico popolare» risiede nella conservazione
«degli elementi razziali primordiali», e dunque «noi, in quanto ariani,
riusciamo a immaginarci uno Stato solamente come l’organismo vi-
vente di un’etnicità di popolo»14.

Popolo-éthnos e popolo-démos: l’idea di nazione e lo spartiacque


del 1789

Merker dedica molta attenzione alla nascita dell’idea di nazione e


alle polisemie concettuali che tale idea conosce nel corso della
modernità. Egli ricorda che il termine “nazione” deriva dal latino
natio, parola rinviante alla “nascita”, cioè ad un elemento di
continuità naturale e biologica: nel senso antico appartenere ad una
nazione significava appartenere alla stessa stirpe e discendenza.
Questo è confermato anche dal fatto che nelle università medievali,

14
A. HITLER, Mein Kampf, [Band I: Eine Abrechnung (1925), Band II: Die
nazionalsozialistische Bewegung (1927)], Zentralverlag der NSDAP, München
1941, p. 434.
116 Tommaso Valentini

come Parigi, Bologna e Oxford, gli studenti venivano raggruppati


per nationes, ovvero per gruppi etnici di appartenenza. Merker nota
che anche nel dizionario settecentesco di Johann Christoph Adelung,
la nazione viene definita come il complesso degli «abitanti autoctoni
di un territorio in quanto hanno una comune origine, parlano una
lingua comune e, in un senso più specifico, sono distinti dalle altre
genti per un loro modo caratteristico di pensare e di agire, ovvero per
il loro spirito nazionale: e cioè indipendentemente dal costituire essi
uno Stato, o dal loro vivere dispersi in più Stati»15.
Merker osserva che nella cultura del Settecento hanno convissuto
due opposte tendenze (nazionalismo e cosmopolitismo) che si sono
poi radicalizzate in seguito egli eventi rivoluzionari francesi, forieri
di una nuova e più moderna idea di nazione. Justus Möser e
Emmanuel-Joseph Sieyès sono visti, per molti aspetti, come gli
antesignani di questi due opposti atteggiamenti, l’uno tutto testo
all’identificazione tra éthnos e nazione (etnicismo nazionalistico),
l’altro incline ad una visione universalistica ed inclusiva dei diritti
umani e degli stessi diritti di cittadinanza. Il primo atteggiamento
politico è incentrato su una visione del popolo-éthnos (Möser e i
successivi “ideologici del recinto”, cioè di una chiusa identità etnica
della nazione), il secondo è invece impegnato nella rivendicazione di
una cittadinanza inclusiva e potenzialmente universale: tale conce-
zione della cittadinanza è basata sulla teoria contrattualistica
(tipicamente moderna) dello Stato-nazione, sulla natura trascenden-
tale dei diritti umani e su di una visione del popolo come démos,
cioè come attore partecipe e responsabile del governo politico a
prescindere da qualsiasi identità di stirpe. A fondamento dei due
differenti concetti di popolo-éthnos e di popolo-démos stanno,
dunque, due modi antitetici di considerare la nazione: quello
«naturalistico, che fatalmente sbocca nel razzismo, e quello
volontaristico»16, cioè quello che considera la società civile come un
15
J.C. ADELUNG, Versuch eines vollständigen grammatisch-kritischen Wörter-
buches der hochdeutschen Mundart, Breitkopf, Leipzig 1776, vol. II, pp. 488-489.
Tale definizione viene ripresa e commentata in N. MERKER, Il sangue e la terra. Due
secoli di idee sulla nazione, Editori Riuniti, Roma 2001, pp. 15 ss.
16
F. CHABOD, L’idea di nazione, a cura di A. Saitta e E. Sestan, [prima edizione
1961], Laterza, Roma-Bari 1979, p. 68. Sugli studi di Chabod relativi al concetto di
“Ideologia della nazione” e “populismo etnico” in N. Merker 117

costrutto artificiale della volontà umana. La nazione in senso


“volontaristico” è quella proposta dai moderni teorici del “patto
sociale” (come Locke, Rousseau, Kant) ed è quella che ha costituito
l’arsenale concettuale di cui si nutrirono le rivoluzioni politiche della
storia moderna: naturalmente ci riferiamo alle due rivoluzioni inglesi
(1640-49 e 1688-89), a quella americana (1774-1789) e soprattutto a
quella francese (1789-1795).
Nelle sue Fantasie patriottiche (Patriotische Phantasien, 1774-
1786) Justus Möser – osserva Merker – teorizza quell’ideologia
völkisch, del popolo (Volk) come etnia e stirpe, fondata
sull’esaltazione dei valori rurali in opposizione al progressismo
borghese incarnato dalla città e dalle strutture burocratiche del
moderno Stato-nazione. La posizione di Möser è, quindi,
espressione di un conservatorismo premoderno, incentrato sulla
visione del popolo-éthnos: «la sua ristretta visione della nazione
come mero “pezzetto di terra” persisté anche dopo la svolta
universalistica impressa al concetto di nazione dalla Rivoluzione
francese»17. L’atteggiamento nazionalistico ed etnicistico di Möser
rivive, seppur in diverse forme ed accentuazioni, in Herder, in
Novalis, in Fichte, nei grandi storici del secondo Reich come
Heinrich von Treitschke, fino ai teorici della “Rivoluzione
Conservatrice” e persino nella cultura del nazionalsocialismo18. Tali

nazione cfr. M. HERLING – P.G. ZUNINO (a cura di), Nazione, nazionalismi ed


Europa nell'opera di Federico Chabod, Olschki, Firenze 2002. La distinzione tra
“nazione naturalistica” e “nazione volontaristica”, proposta dallo storico Federico
Chabod, viene ripresa anche dal politologo Ernest Gellner, declinata con i termini
“culturale” e “volontaristica”: nella prima accezione «due uomini sono della stessa
nazione se e soltanto se condividono la stessa cultura, dove cultura significa a sua
volta un sistema di idee, di segni, di associazioni e di modi di comportamento e di
associazione»; nella seconda accezione «due uomini sono della stessa nazione se e
soltanto se si riconoscono reciprocamente appartenenti alla stessa nazione. In alti
termini, “è l’uomo che fa le nazioni”; le nazioni sono i manufatti delle convinzioni,
delle lealtà, delle solidarietà degli uomini» (E. GELLNER, Nations and nationalism,
Basil Blackwell, Oxford 1983; tr. it. di M. Lucioni, Prefazione di G.E. Rusconi,
Nazioni e nazionalismi, Editori Riuniti, Roma 19973, p. 10).
17
N. MERKER, Il sangue e la terra. Due secoli di idee sulla nazione, cit., p. 20.
18
Nella Germania nazista ci fu una generale riscoperta e strumentalizzazione del
nazionalismo di Möser e dei suoi circoli culturali. Di questo autore si ristamparono
opere e si fecero antologie: cfr. P. KLASSEN (hrsg. von), Deutsche Staatkunst und
118 Tommaso Valentini

autori e tendenze sono quasi tutti accomunati dal considerare


l’appartenenza dei cittadini all’éthnos nazionale come la condizione
essenziale per la legittimità nell’esercizio del potere politico tramite
la rappresentanza: tutti gli individui e le categorie che sono
etnicamente fuori dal recinto identitario del popolo-éthnos nazionale
non godono di diritti politici in quanto considerati stranieri ed
estranei nei confronti della res publica.
La Rivoluzione francese del 1789 ha rappresentato una svolta
nell’idea di nazione, le cui ripercussioni Merker analizza sia nel
suolo francese che in quello teutonico. Questi due ambiti territoriali
– la Francia e la Germania – vengono giustamente considerati come
due grandi laboratori della cultura politica europea ed un modello
per la formazione degli stati coloniali extraeuropei19. A suo parere i
casi della Francia e della Germania rappresentano due filoni distinti
ma complementari dell’idea di nazione e della connessa concezione
del popolo. In Francia è stata elaborata l’idea di nazione come
ambito dei diritti universali di cittadinanza (sintetizzabile con
l’etichetta “popolo-démos”): tutti hanno pari diritti di prendere parte
attiva alle decisioni politiche, indipendentemente dall’appartenenza

Nationalerziehung. Ausgewählte Schriften von Justus Möser, 3 Bd., Dieterich,


Leipzig 1938; E.R. HUBER, Lessing, Möser und die Wendung vom aufgeklärten zum
historish-individuellen Volksbegriff, «Zeitschrift für die gesamte Staatswissenschaft»,
104, 1944, pp. 121-159. Sul pensiero dell’autore si veda anche R. STAUF, Justus Mö-
sers Konzept einer deutschen Nationalidentität. Mit einem Ausblick auf Goethe,
Niemeyer, Tübingen 1991.
19
I casi della Francia e della Germania rappresentano per Merker «i due
principali filoni dell’idea moderna di nazione»: l’uno “ideal tipo” dell’universalismo
dei diritti (la Francia del 1789), l’altro del particolarismo etnico (la Germania della
Romantik). Merker considera, quindi, il modello democratico francese quasi come un
compimento (Vollendung) di quello liberale inglese basato sul rispetto delle garanzie
costituzionali: in Europa «è nata l’idea di “nazione”, come noi la conosciamo in
epoca moderna. In seguito, con la politica coloniale europea, il patrimonio
concettuale elaborato intorno al tema della “nazione” è stato trasposto alla realtà dei
paesi extraeuropei colonizzati. Anche ai processi di decolonizzazione di questi paesi,
e ai loro eventi moderni di nation-building, di “costruzione della nazione”, gli studi
tuttora applicano, in gran parte, quel tipo di strumenti ermeneutici. Una caratteristica
dominante dei processi di nation-building nel mondo ex-coloniale è tra l’altro,
oggettivamente, proprio il conflitto tra l’universalismo dei diritti e i particolarismi
etnici» (N. MERKER, Il sangue e la terra. Due secoli di idee sulla nazione, cit., p. 11).
“Ideologia della nazione” e “populismo etnico” in N. Merker 119

etnica. Un portato della cultura francese illuministica e rivoluziona-


ria è che «alla nazione appartiene, in prima istanza, non tanto chi è
etnicamente francese, bensì chi condivide la Dichiarazione dell’89 e,
via via, le Costituzioni nate dall’esperienza rivoluzionaria. Tant’è
vero che il requisito giuridico principale per la naturalizzazione di
uno straniero era il “giuramento civico”, cioè che egli giurasse “di
essere fedele alla nazione”»20. Merker sottolinea che nella Francia
rivoluzionaria è sorto il concetto di popolo-démos, espressione degli
ideali universali di “libertà, uguaglianza e fraternità”, fondati sui
diritti naturali di ogni uomo, indipendentemente dalla sua apparte-
nenza etnica. Nel nuovo assetto politico-istituzionale dato alla
Francia dai rivoluzionari, la nazione non indica più la comunanza di
sangue e di stirpe (il teutonico Blut und Boden), bensì l’insieme dei
cittadini che prestano giuramento di fedeltà alla costituzione, siano
essi francesi o di altre etnie. Una esemplificazione di questo at-
teggiamento tipicamente francese, votato alla laïcité e a neutralizzare
le differenze etniche in nome dell’universalità della ragione umana,
si trova nell’abate Emmanuel-Joseph Sieyès, ed in particolare nel
suo celebre scritto Che cosa è il terzo stato? In questo pamphlet il
Sieyès afferma chiaramente che la nazione-società civile è fondata
sull’insieme dei diritti naturali e che l’appartenenza di stirpe non
conta più nell’esercizio dei diritti politici. Alla nuova nazione
francese ogni straniero poteva essere ammesso dopo un “giuramento
civico”, cioè in seguito al giuramento di fedeltà alla nazione e al suo
assetto costituzionale. Sieyès osservava che nella nuova Francia «le
razze si sono mescolate» e che «il discendere dai galli o dai romani
vale almeno quanto il discendere dai sicambri, dai velchi o da altri
selvaggi usciti dai boschi e dalle paludi dell’antica Germania»21.
In tale atteggiamento di “neutralizzazione delle differenze” sorto
dalla Francia rivoluzionaria il Merker scorge un possibile antidoto
contro i pericoli sempre insorgenti del “populismo etnico” e dei
nazionalismi più esasperati. Egli condivide, quindi, la posizione
della filosofa israeliana Yael Tamir, secondo la quale «per liberarsi

20
N. MERKER, Filosofie del populismo, cit., p. 19.
21
E.-J. SIEYÈS, Qu’est-ce que le tiers état?, [gennaio 1789], a cura di U. Cerroni,
Che cosa è il terzo stato?, Editori Riuniti, Roma 1989, p. 28.
120 Tommaso Valentini

dalla retorica del sangue e del suolo è essenziale che la nazionalità


[…] non diventi mai un criterio per stabilire la partecipazione alla
sfera politica o al godimento di beni e servizi»22. Sia per Merker che
per Tamir, al fine di evitare possibili conflitti etnico-religiosi, è
necessario che il démos (il concetto di popolo-démos foriero di diritti
umani universali) prevalga sempre sull’éthnos, sulle rivendicazioni
identitarie basate sulla stirpe o sul credo religioso.

“Blut und Boden”, “Urvolk und Volkstum”: populismi e


pangermanesimo nella cultura romantica

Prendiamo ora in esame uno degli aspetti più particolari ed origi-


nali delle ricostruzioni storiografiche di Merker: le analisi sulla ge-
nealogia dell’endiadi “sangue e terra” (Blut und Boden) nella cultura
tedesca dell’Ottocento. Tale endiadi, come abbiamo già accennato,
sarà uno degli elementi ideologici di cui si nutrirà la stessa ideologia
nazista, considerata giustamente dal Nostro come la forma più esa-
sperata e violenta che il “populismo etnico” ha conosciuto nel Nove-
cento. Evitando gli eccessi di una possibile reductio ad Hitlerum
della cultura tedesca degli ultimi due secoli, Merker valuta però con
attenzione la continuità ideologica che nella cultura teutonica hanno
conosciuto concetti come quelli di “sangue e terra”, di “popolo ori-
ginario” (Urvolk) e di “carattere nazionale” (Volkstum). Si tratta di
ricerche storico-filologiche che fanno emergere con chiarezza le
“genealogie del populismo etnico” tipicamente tedesco.
Merker rileva che già nella cultura settecentesca caratterizzata da
una “sensibilità preromantica” (Empfindsamkeitskultur) si trovano le
prime forme di quel germanesimo che diverrà uno dei tratti costitu-
tivi della Romantik e tedesca e delle filosofie idealistiche. Gli scritto-
ri politici presi in esame sono il già citato Justus Möser, Friedrich
Ludwig Jahn, Ernst Moritz Arndt, Adam Müller ed i più noti Her-

22
Y. TAMIR, Liberal Nationalism, Princeton University Press, Princeton 1993,
pp. 11-12. Il confronto di Merker con le posizioni democratiche della Tamir sono
contenute nel già citato volume: N. MERKER, Il sangue e la terra. Due secoli di idee
sulla nazione, cit., p. 204 ss.
“Ideologia della nazione” e “populismo etnico” in N. Merker 121

der, Novalis, Fichte ed Hegel con la sua teoria dei “popoli-guida”.


Le loro riflessioni vanno inserite nel clima storico della reazione an-
ti-napoleonica: in seguito alla sconfitta della Prussia da parte delle
truppe francesi di Napoleone, dal 1806 al 1815 si coagulano in tutti
gli Stati teutonici dei fortissimi sentimenti di indipendenza naziona-
le, fondati sulla rivendicazione delle proprie originali peculiarità et-
niche, politiche e religiose. A questo proposito un testo emblematico
è quello edito da F.L. Jahn nel 1810: Deutsches Volkstum, traducile
come “carattere popolare tedesco” o “peculiarità della stirpe germa-
nica”. Merker sottolinea che con questo libello Jahn «mise in circo-
lazione una parola, Volkstum appunto, che nel lessico politico tede-
sco avrà una fortuna travolgente. Significa a un dipresso “etnicità
del popolo” nel senso che le particolarità etniche di esso lo differi-
scono totalmente da ogni altro popolo e i fondamenti di tale comu-
nità di tipo etnico nulla hanno a che fare con i valori democratico-
politici acquistati dal concetto di “popolo” nell’89 [scilicet dai va-
lori della Rivoluzione francese esportati in Europa dalle conquiste
napoleoniche]»23.
Il Volkstum, secondo Jahn e i successivi teorici della purezza
ariana, doveva costituire la base legittima dello Stato: chi non appar-
teneva a tale mitica “comunità originaria” (ursprüngliche Gemein-
schaft) rischiava di essere secluso o comunque privato dei diritti po-
litici. In Jahn – osserva Merker – si ha già in nuce una forma di “po-
pulismo etnico” basato sulla mitologia della stirpe ariana e con forti
venature di razzismo: non a caso autori nazisti come Konrad Dürre
hanno celebrato Jahn come un loro antesignano teso a «risvegliare
nei tedeschi la loro etnicità di popolo»24 ed hanno promosso nume-
rose edizioni del Deutsches Volkstum.

23
N. MERKER, Filosofie del populismo, cit., p. 43-44.
24
K. DÜRRE, Friedrich Ludwig Jahn, in W. ANDREAS – W. VON SCHOLZ (a cura
di), Die grossen Deutschen. Neue deutsche Biographie, Vol. II, Propyläen Verlag,
Berlin 1935, pp. 524-529, p. 529. Il germanista Ladislao Mittner sostiene che «la più
rozza e plebea propaganda patriottica è rappresentata da Friedrich Ludwig Jahn, il
celebrato Turnvater [movimento ginnico tedesco], che dal 1811 in poi fondò varie
associazioni ginnico-patriottiche. Il suo Deutsches Volkstum (1810) fu un catechismo
accolto con entusiasmo da quanti ritenevano di dover restare incolti per essere veri
tedeschi; il libro è sostanzialmente un centone di superficiali opere di divulgazione
122 Tommaso Valentini

Un altro autore dai tratti fortemente populisti fu Adam Müller,


uno dei più noti esponenti del “romanticismo politico tedesco”. Mül-
ler – ricorda Merker – si dichiarò fiero avversario della Rivoluzione
francese e difensore di un populismo dinastico nobilitato dalla reli-
gione. È con questo spirito che prese parte al Congresso di Vienna,
divenendo teorico della Restaurazione. Egli si richiamò esplicita-
mente alle posizioni antirivoluzionarie dell’inglese Edmund Burke
ed amò definirsi come “il Burke della Germania” per la sua difesa
dei valori aristocratici e religiosi. Nel 1805 si convertì al cattolicesi-
mo, accentuando così la presenza di elementi mistici all’interno della
sua visione politica essenzialmente monarchica e tradizionalista:
Merker fa emergere notevoli elementi di affinità tra le posizioni di
Müller e quelle dei suoi contemporanei Burke e Joseph de Maistre.
Nel 1809 Müller diede alle stampe un libro dal titolo Elementi
dell’arte politica nel quale troviamo una interessante teorizzazione
della “mistica del popolo” che tanta fortuna ebbe in Germania e non
solo. A suo parere il popolo «è la comunità sublime di una lunga ca-
tena di generazioni passate, attualmente viventi e ancora da venire,
le quali sono tutte unite per la vita e per la morte in una grande e so-
lida associazione»; simbolo di questa “concatenazione dei tempi” è
la dinastia regnante, ovvero «la famiglia immortale che sta al centro
dello Stato»25. Con questa sua visione dinastico-populista Müller
non si qualifica solo come avversario della Rivoluzione francese ma
anche come teorico di un mistico legame tra gli Zeitgenossen (i con-
temporanei in stretta unione con le generazioni passate) e i Raumge-

storica» (L. MITTNER, Letteratura tedesca, Einaudi, Torino 1971, vol. II, t. 3, p. 864).
Il 18 ottobre 1817, in occasione della festa studentesca della Wartburg, Jahn
promosse un rogo dei libri non favorevoli al patriottismo tedesco: tra gli altri, venne
bruciato anche il Codice napoleonico, in quegli anni ancora vigente presso alcuni
Stati tedeschi. Sul pangermanesimo dell’autore e del suo contesto culturale si vedano:
G. STÖCKER, Friedrich Ludwig Jahn und das Problem der Volkserziehung, Gouder
und Hansen, Wuppertal 1966; H. VON SRBIK, Geist und Geschichte vom Deutschen
Humanismus bis zur Gegenwart, Müller Verlag, Salzburg 1950; ed. it. a cura di P.
Schiera, Cultura e storia in Germania dall’Umanesimo ad oggi, prefazione di R.
Romeo, Jouvence, Roma 1996, vol. I. p. 202 ss.
25
A.H. MÜLLER, Die Elemente der Staatskunst, [edizione originale 1809],
Sander, Berlin 1989; ed. it. a cura di M. Mori, Gli elementi dell’arte politica, Guerini,
Milano 1989, p. 102.
“Ideologia della nazione” e “populismo etnico” in N. Merker 123

nossen, cioè i “con-spaziali”, le generazioni che vivono in un mede-


simo territorio: «stanno qui – ribadisce Merker – le radici remote
dell’ideologia del Blut und Boden, del binomio “sangue e terra”, del
popolo come mistico connubio tra i consanguinei di stirpe e il terri-
torio che essi abitano»26. Tale comunità di popolo, secondo Müller,
deve costituirsi come un accampamento armato sempre pronto alla
lotta contro gli “eterni nemici” che stanno sia dentro che fuori il re-
cinto: tali “nemici” sono i liberali e gli illuministi borghesi con le lo-
ro idee democratiche e sovversive, ingenui fedeli di un “illusorio
progressismo” ammantato di “filantropia” e comunque destabilizza-
tore dell’ordine sociale ereditato dalla “Tradizione”. Già in Müller –
osserva Merker – sono presenti gli ingredienti essenziali del “populi-
smo etnico” più radicale con la sua connessa “ideologia del recinto
identitario”: «abbiamo la comunità autoctona e autarchica, senza
porte né finestre perché essa si proclama autosufficiente per stirpe,
religione ed economia […]. C’è la segregazione verso l’esterno, pari
a quella dell’accampamento armato il cui governo autoritario deve
neutralizzare all’interno chi non condivide l’idea della superiorità
della propria tribù su tutte le altre, e agire verso l’esterno in modo
che sia la guerra a confermare i valori proclamati. Sono già belli e
definiti i due cardini – la comunità autoctona e lo scontro tra le na-
zioni – che daranno sostegno e forza, nel secolo e mezzo successivo,
al populismo [etnico] in Europa»27.
Merker sottolinea le notevoli ripercussioni che ebbero nella cul-
tura tedesca dell’Ottocento e del Novecento le idee di Müller e le
forme di nazionalismo elaborate dai romantici, da non sottovaluta-
re come posizioni a latere, idealistiche e prive di un concreto anco-
raggio alla prassi politica. Egli rileva correttamente che «nell’area
tedesca le ideologie populistico-autoritarie nate nella Romantik
[presso gli apologeti della Restaurazione] diedero linfa dopo la
Grande Guerra alla ricetta dello Stato gerarchico e organicista,
contribuendo così a spianare la strada al nazismo. A quelle ideolo-
gie non parrà vero – ad esempio con il “neoromanticismo” politico
di Othmar Spann – di poter mobilitare tra i loro progenitori anche

26
N. MERKER, Filosofie del populismo, cit., p. 39.
27
Ibidem.
124 Tommaso Valentini

Adam Müller»28. Da notare, inoltre, è che alle concezioni dei ro-


mantici tedeschi sul “popolo originario” si sono richiamati anche i
successivi teorici di un “diritto germanico” (Germanenrecht):
quest’ultimo è una legge atavica fondata sulla terra e sulla stirpe,
un nómos che giustifica la conquista e l’espansione. Così, ad
esempio, recita l’epico Canto di Thor, dio nordico del magico mar-
tello lanciato in un tempo immemorabile sino ai confini del mon-
do: da allora «è gioioso diritto germanico conquistare con il mar-
tello le terre: noi [tedeschi] siamo della stirpe del dio del martello,
e il suo regno mondiale vogliamo ereditare!»29.
Un discorso a parte meritano i nazionalismi di Herder e Fichte,
spesso – sottolinea Merker – ingiustamente e sbrigativamente visti
come anticipazioni dello sciovinismo nazista. Nel loro caso occorre
operare dei distinguo ed analizzare i loro scritti inserendoli nel loro
contesto storico, senza lasciarsi influenzare dalla fortunata ricezione
che essi conobbero nella cultura del terzo Reich.
Alcuni storici delle dottrine politiche hanno accostato gli scrit-
ti di Möser e di Müller a quelli del loro contemporaneo Herder,
scorgendo in essi forme di acceso nazionalismo. Effettivamente
in quest’ultimo è ampiamente presente l’idea della nazione come
un corpo vivente costituito da lingua, tradizioni e storia comuni.
Tuttavia, osserva Merker, il concetto herderiano di “spirito delle
nazioni” non ha alcuna accezione teologica né si basa
sull’assolutizzazione di una mitica “Tradizione” teutonica, ma gli
deriverebbe direttamente dalla lettura di Montesquieu.
L’influenza dell’illuminista francese si fa sentire già nel giovanile
scritto herderiano Pensieri leggendo Montesquieu (1769) ed è
chiaramente presente nella differenza istituita tra nazione e Stato:
la prima considerata come un organismo vivente, il secondo co-
me un costrutto umano artificiale e, di conseguenza, in linea di
principio sempre modificabile. Del resto, anche alcuni autori vi-
cini al nazismo hanno rimproverato ad Herder di aver elaborato

28
Ivi, p. 40.
29
Il Canto di Thor viene riportato da Felix Dahn in un romanzo di successo edito
per la prima volta nel 1876: F. DAHN, Ein Kampf um Rom. Historischer Roman,
Breitkopf & Härtel, Leipzig 1922, vol. III, p. 222.
“Ideologia della nazione” e “populismo etnico” in N. Merker 125

una “nozione debole” di popolo (Volk): il popolo herderiano è


un’entità umanistico-culturale e non già il “popolo politico” (das
politische Volk) tanto caro ai teorici nazisti dello Stato etnico30.
Inoltre, è stata estranea ad Herder qualsiasi visione di una supre-
mazia di una nazione su un’altra, basata sulla presunta superiorità
di una razza: le nazioni e i popoli, a suo giudizio, nascono come
le piante spontanee ed hanno pari dignità. Va, quindi, estirpata la
«gramigna della boria nazionale»: «a nessun popolo si dia in ma-
no, con il pretesto di una supremazia innata, uno scettro su altri
popoli»31. Secondo Herder, «se ogni nazione è un organismo a sé,
con proprie individuali caratteristiche storico-culturali, allora tut-
te le nazioni avranno per definizione una pari dignità e non può
esistere gerarchia tra esse»32. Nei suoi testi Merker fa emergere
l’Herder illuminista che propone una «scienza critica della storia
umana», aliena da qualsiasi fede cieca nella “Tradizione”. Ci
paiono emblematiche la parole con le quali Herder, Aufklärer e
“padre dello storicismo tedesco”, elogia e critica il concetto di
“Tradizione”: «la tradizione è un ordinamento naturale in sé ec-
cellente, indispensabile al genere umano, ma non appena incatena
ogni forza di pensiero, tanto nelle istituzioni dello Stato di rile-
vanza pratica, quanto nell’istruzione, e ostacola ogni progresso
della ragione umana, e ogni miglioramento consentito dalle cir-

30
Sui fraintendimenti e le deformazioni del pensiero herderiano da parte di
ideologi nazisti (quali Alfred Rosenberg e Alfred Bäumler) si vedano B. BECKER,
Phasen der Herder-Rezeption von 1871-1945, in G. SAUDER (a cura di), Johann
Gottfried Herder 1744-1803, Meiner, Hamburg 1998, pp. 422-436; P. PÉNISSON,
Johann Gottfried Herder. La raison dans les peuples, Cerf, Paris 1992, pp. 83-105.
31
J.G. HERDER, Briefe zur Beförderung der Humanität, Hartnoch, Riga-Leipzig
1793-97; in Sämtliche Werke, a cura di B.L. Suphan, Weidmannsche Buchhandlung,
Berlin 1877, vol. 18, p. 248.
32
N. MERKER, Il sangue e la terra. Due secoli di idee sulla nazione, cit., p. 23.
Sui concetti herderiani di popolo e nazione si vedano R. OTTO (a cura di): Nationen
und Kulturen. Zum 250. Geburtstag Johann Gottfried Herders, Königshausen &
Neumann, Würzburg 1996; J. RATHMANN, Die "Volks"-Konzeption bei Herder, in U.
HERMANN, Volk-Nation-Vaterland, Meiner, Hamburg 1996, pp. 55-61; J.H. BARASH,
Herder e la politica dello storicismo, in ID., Politiche della storia. Lo storicismo co-
me promessa e come mito, [ed. or. 2004], tr. it. di F. Leoni, Jaca Book, Milano 2009,
pp. 59-80.
126 Tommaso Valentini

costanze e dai tempi, è il vero oppio dello spirito (die Tradition


[…] ist das wahre Opium des Geistes)»33.
Veniamo ora al pensiero politico di J.G. Fichte, non meno com-
plesso e problematico di quello di Herder, divenuto anch’esso ogget-
to di indebite appropriazioni da parte degli ideologi nazisti. Merker
dedica molta attenzione al caso di Fichte, autore di cui cura
l’edizione italiana di alcuni importanti scritti34. La parabola del pen-
siero politico fichtiano si comprende in profondità solo se collocata
nel suo orizzonte storico: dal cosmopolitismo e dal giacobinismo ri-
voluzionario degli anni giovanili egli passò ad un acceso nazionali-
smo che trovò piena espressione nei quattordici Discorsi alla nazio-
ne tedesca, tenuti a Berlino nell’inverno 1806-07, mentre la capitale
prussiana era sotto l’occupazione napoleonica. Il “pangermanesimo
fichtiano” è, quindi, il frutto di particolari circostanze storiche e –
ribadisce Merker – non è in contraddizione con la giovanile adesione
agli ideali universalistici ed egualitari della Rivoluzione francese.
Nei Discorsi Fichte cerca, infatti, di coniugare il nazionalismo con
un assetto tendenzialmente democratico: nell’auspicata rinascita del
popolo tedesco occorre che «ogni differenza di ceto venga totalmen-
te superata e scompaia»35. Egli incita il suo popolo a costituire una
nazione repubblicana fondata sul consenso e sulla rappresentanza,
ovvero sullo “Stato di diritto”, – in altre parole – «sull’uguaglianza
di tutti coloro che hanno volto umano»36. In questa sua visione poli-
tica Fichte cerca di effettuare una sintesi virtuosa tra gli ideali demo-
cratici della Rivoluzione francese e l’identità etnica del popolo tede-
sco. Nei Discorsi è ancora il Fichte illuminista e progressista a parla-

33
J.G. HERDER, Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit, Hart-
noch, Riga-Leipzig 1784-91; in Sämtliche Werke, cit., Berlin 1909, Vol. 14, p. 89; tr.
it. parziale a cura di V. Verra, Idee per la filosofia della storia dell’umanità, Laterza,
Roma-Bari 1971.
34
Cfr. J.G. FICHTE, Missione del dotto, [edizione originale 1794], a cura di N.
Merker, Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1991; N. MERKER (a cura di), Fichte. Lo
Stato di tutto il popolo, [antologia di testi edita per la prima volta nel 1978], Editori
Riuniti, Roma 2015.
35
J.G. FICHTE, Reden an die deutsche Nation, Reimer, Berlin 1808; Sämmtliche
Werke, 8 Voll., a cura di I.H. Fichte, Veit & Co., Berlin 1845-46, vol. VII, p. 277.
36
J.G. FICHTE, Aus dem Entwurfe zu einer politischen Schrift im Frühlinge 1813,
in Sämmtliche Werke, cit., vol. VII, p. 573.
“Ideologia della nazione” e “populismo etnico” in N. Merker 127

re, ad auspicare per il suo popolo «una maggiore partecipazione al


governo», tale da renderlo «un collaboratore consapevole e apprez-
zato»37. Tali ideali democratici vengono ribaditi anche nella Dottri-
na dello Stato del 1813: anche in questo testo – osserva Friedrich
Meinecke – ciò che parla «è ancora il linguaggio dei diritti
dell’uomo e dei primi anni della Rivoluzione»38.
Due concetti-chiave che emergono dal quarto dei Discorsi alla
nazione tedesca sono quelli di “popolo originario” (Urvolk) e di
“lingua originaria” (Ursprache): qui Fichte spiega che la superiorità
del popolo teutonico sulle altre stirpi è data dal suo secolare radica-
mento nei territori d’origine e dalla fedeltà a quella “lingua origina-
ria” che racchiude una “visione del mondo” (Weltanschauung) in-
contaminata dallo straniero e tipicamente germanica. Sono queste
argomentazioni sui concetti di Urvolk e Ursprache ad essere state
particolarmente strumentalizzate dagli storici del secondo Reich,
fautori dell’imperialismo nazionalistico, e soprattutto dai teorici del
nazismo. Tra questi, Hermann Schwarz ed Ernst Bergmann, cultori
di mistica nazionalsocialista, sono arrivati esplicitamente a sostenere
uno stretto collegamento tra l’Urvolk fichtiano e la stessa mistica del
popolo ariano39. Tuttavia una più attenta lettura dell’opus fichtiano
nella sua interezza, resa oggi possibile dalla Gesamtausgabe curata
da Reinhard Lauth e dalla sua scuola, ha ormai tolto ogni dubbio su
possibili rapporti tra i contenuti del pensiero di Fichte e le forme di
“populismo etnico” propagandate dai nazisti. Quello di Fichte è un
«pensiero trascendentale della libertà», fondato sull’idea di una «ra-
gione assoluta e universale» (absolute und universelle Vernunft) che

37
Ivi, p. 567.
38
F. MEINECKE, Weltbürgertum und Nationalstaat. Studien zur Genesis des
deutschen Nationalstaates, Oldenbourg, München 1908; tr. it. di A. Oberdorfer,
Cosmopolitismo e Stato nazionale. Studi sulla genesi dello Stato nazionale tedesco, 2
voll., La Nuova Italia, Firenze 1975, vol. I, p. 119.
39
Cfr. H. SCHWARZ, Grundzüge einer Geschichte der artdeutschen Philosophie,
Junker & Dünnhaupt, Berlin 1937, pp. 60-65; E. BERGMANN, Fichte und der
Nationalsozialismus, Hirt, Breslau 1933; ID., Deutschland, das Bildungsland der
neuen Menschheit. Eine nationalsozialistische Kulturphilosophie, Hirt, Breslau 1933.
Su Fichte strumentalizzato dal nazionalsocialismo cfr. R. PESCH, Die politische
Philosophie Fichtes und ihre Rezeption im Nationalsozialismus, Copy Shop,
Darmstadt 1982.
128 Tommaso Valentini

elimina dalla storia ogni residuo etnicistico e nazionalistico. La sto-


ria umana, secondo Fichte, è determinata da un graduale progresso
della ragione che chiama ogni individuo all’agire in piena autonomia
e responsabilità etica: alla fine della storia, quando l’umanità tutta
sarà immagine della ragione assoluta, scomparirà ogni riferimento al
“popolo originario” e alla nazione d’appartenenza. Nel quadro stori-
co ed escatologico delineato nei Grundzüge des gegenwärtigen Zei-
talters (1804-05), Fichte ci dice che la quinta ed ultima epoca della
storia sarà caratterizzata dal pieno trionfo della ragione ed ogni sin-
golo sarà «immagine stessa dell’assoluto» (Bild des Absoluten)40. I
Discorsi alla nazione tedesca vanno, dunque, compresi all’interno di
una più ampia filosofia della storia, elaborata da Fichte nel periodo
del suo insegnamento a Berlino: alla nazione tedesca, dopo la scon-
fitta di Jena (1806), egli affida la missione di essere la guida spiritua-
le di tutta l’umanità verso il compimento di un «regno divino della
ragione e della libertà»41. Inoltre, è stato acutamente fatto notare che
i Discorsi sono stati preceduti dalla pubblicazione di un importantis-
simo scritto nel quale Fichte elogia Machiavelli, mostrando di con-
dividere il suo metodo di azione politica: al fine di salvaguardare la
nazione tedesca dai francesi (e di condurre il mondo intero verso il
«regno della ragione e della libertà»), tornava utile – in quelle de-
terminate circostanze storiche – incitare il popolo alla riscossa, ri-
vendicando anche le sue originarie radici42.
40
Cfr. J.G. FICHTE, Die Grundzüge des gegenwärtigen Zeitalters, Realschul-
buchhandlung, Berlin 1806; tr. it. di A. Carrano, I tratti fondamentali dell’epoca
presente, Guerini, Milano 1999.
41
Sulle caratteristiche del nazionalismo fichtiano il dibattito è ancora aperto e tra
gli studiosi vi sono differenti valutazioni. A tal riguardo cfr. H.-J. BECKER, Fichtes
Idee der Nation und das Judentum, Rodopi, Amsterdam 2000; E. FUCHS, Fichte
capostipite del nazionalismo tedesco? Contributo alla comprensione dei «Discorsi
alla nazione tedesca», in «Archivio di storia della cultura», XIX, 2006, pp. 3-16.
Sulla filosofia fichtiana della storia come chiave ermeneutica per comprendere anche
i Discorsi, cfr. R. PICARDI, Il concetto e la storia. La filosofia della storia di Fichte, il
Mulino, Bologna 2009.
42
A tal proposito si veda J.G. FICHTE, Über Machiavelli als Schrifsteller, in
«Vesta. Für Freude der Wissenschaft und Kunst», I, Königsberg 1807; tr. it. di F.
Ferraguto, Machiavelli scrittore, Castelvecchi, Roma 2014. Sul “machiavellismo” di
Fichte come chiave di lettura anche dei Discorsi alla nazione tedesca si vedano: M.
IVALDO, Elementi di un’etica dell’azione politica nel Saggio Su Machiavelli di
“Ideologia della nazione” e “populismo etnico” in N. Merker 129

Il “populismo etnico” nella cultura tedesca dal secondo


Ottocento al terzo Reich

Merker svolge un’ulteriore serie di ricerche volte a delineare il


rapporto tra geopolitica e Stato di potenza, tra etnicismo e razzismo,
tra populismo e “mito del capo”. Si tratta di ricerche che analizzano
la cultura tedesca nell’epoca del secondo e del terzo Reich, prenden-
do in esame anche il laboratorio di idee sviluppatosi negli anni della
Repubblica di Weimar. Naturalmente non ci è consentito in questa
sede una disamina esaustiva dei numerosi temi trattati. Ci limitiamo
ad indicare quegli aspetti che ci paiono più interessanti e meritevoli
di ulteriori approfondimenti.
Prima di Merker anche lo storico Federico Chabod ha individua-
to in Germania il formarsi nel corso dell’Ottocento di un nazionali-
smo dai tratti fortemente etnici ed ha proposto due periodizzazioni in
relazione ai grandi movimenti di idee: nel romanticismo del primo
Ottocento si trattò soprattutto di un nazionalismo dai toni idealistici e
metafisici (i già citati concetti di Urvolk e di Ursprache), nel secon-
do Ottocento – in concomitanza con la diffusione della mentalità po-
sitivistica e scientista – si trattò, invece, di un nazionalismo basato su
elementi esteriori ed oggettivi, quali la razza e il territorio43. Il “po-
pulismo etnico” nella Germania del secondo Ottocento attinse, dun-
que, linfa vitale dalle scienze positive, dalla fiducia acritica che fu
riposta in esse: tali scienze furono la biologia, l’eugenetica e la geo-
grafia politica.
L’incontro tra populismo ed eugenetica fu una delle circostanze
dai risvolti più tragici per la storia tedesca: da tale incontro emersero
le basi pseudoscientifiche per la “teoria delle razze” alla quale si ri-
chiamarono i sostenitori nazisti dell’antisemitismo. Il termine “eu-
genetica” fu coniato nel 1883 dall’inglese Francis Galton, cugino di
Darwin. Con esso venne individuata una scienza mediante la quale
sarebbe stata procurata «alle razze e stirpi più adatte una maggiore

Fichte, in «Annuario Filosofico», 14, 1998, pp. 161-179; F. ONCINA COVES, De


l’antimachiavélisme de Kant au machiavélisme de Fichte, in I. RADRIZZANI (a cura
di), Fichte lecteur de Machiavel. Un nouveau «Prince» contre l’occupation
napoléonienne, Schwabe, Basilea 2006, pp. 26-54.
43
Cfr. F. CHABOD, L’idea di nazione, cit., p. 70 ss.
130 Tommaso Valentini

opportunità di ottenere velocemente il predominio su quelle meno


adatte»44. Come è tristemente noto, le idee di Galton e degli altri eu-
genisti anglosassoni trovarono in Germania fertile terreno di ricezio-
ne. Nel 1895 il socialdarwinista Alfred Ploetz diede alle stampe un
fortunato scritto nel quale teorizzava la necessità dell’igiene razziale
per conservare una mitica purezza etnica delle origini: Lineamenti
fondamentali dell’igiene razziale (Grundlinien einer Rassenhygie-
ne). Nel 1904 Ploetz fondò un periodico sulla teoria delle razze e la
biologia sociale (Archiv für Rassen-und Gesellschaftsbiologie) e nel
1933 aderì al regime nazista, contribuendo negli anni successivi an-
che alla stesura della legislazione antisemita. Ma Ploetz non fu un
caso isolato. Simili idee sull’eugenetica per il predominio della razza
ariana le troviamo in Ernst Haeckel e soprattutto nell’antropologo
Hans Günther, dal 1934 professore di “dottrina della razza”
all’università di Berlino.
Merker ricostruisce con molta cura gli ambienti culturali teutoni-
ci che hanno prodotto le forme più aberranti di “etnicismo”; in questi
ambienti le scienze mediche e biologiche finirono per fare da sup-
porto ad una “politica di potenza” che giustificava la pretesa egemo-
nia del popolo tedesco su tutti gli altri popoli. Alla fine
dell’Ottocento – sottolinea Merker – «avvenne un altro incontro
ominoso, quello tra populismo etnico e geopolitica»45; in particolare,
fu «con Friedrich Ratzel che la “geografia politica” (o “geopolitica”
appunto) diventò in Germania l’esplicito strumento dello Stato di
potenza»46. Merker osserva giustamente che «con la geopolitica di
fine ‘800 il principio di nazionalità caro ai liberali durante il proces-
so di nation-building, si trasformò semplicemente nel dogma della
superiorità raziale di una nazione sulle altre, e quindi della piena le-
gittimità, per la nazione superiore, di espandersi inglobando territori
e genti»47. Nel 1897 Ratzel diede alla stampe un celebre trattato di
Geografia politica nel quale si trovava delineato in nuce quel con-
cetto di conquista dello “spazio vitale” che tanta fortuna ebbe poi
44
F. GALTON, Inquiries into the human faculty, Macmillan, London 1883, pp.
24-25.
45
N. MERKER, Il sangue e la terra. Due secoli di idee sulla nazione, cit., p. 175.
46
Ibidem.
47
Ibidem.
“Ideologia della nazione” e “populismo etnico” in N. Merker 131

presso i nazisti. Karl Haushofer, uno dei maggiori ideologi di geo-


grafia politica all’interno del regime nazista, vide in Ratzel un suo
precursore e considerò «l’educazione geopolitica come un’arma es-
senziale nell’equipaggiamento di tutti i soldati politici del Führer»48.
Da notare è che idee simili venivano diffuse anche in Italia dal
regime fascista, il quale promosse una rivista dal titolo Geopolitica
patrocinata dal ministro Giuseppe Bottai e tendente a giustificare
l’espansionismo coloniale mussoliniano in nome di un «primato spi-
rituale e morale della razza italica attraverso i secoli»49. Come è no-
to, tale “primato italico” si richiamava al “mito della Romanitas” e
veniva, quindi, visto come eredità dalle gloriose conquiste della
Roma antica.
Il fascismo italiano e il nazismo tedesco rappresentano senz’altro
due forme paradigmatiche di “populismo etnico autoritario”. I due
tipi di regime, pur avendo numerosi elementi che li rendono diffe-
renti, hanno però in comune il “mito del capo”, la celebrazione del
leader carismatico in grado di guidare il popolo verso il bene comu-
ne e la salvezza. Merker ricorda che il principio del capo carismatico
(Führerprinzip) nacque nella Germania guglielmina, alimentato dal-
lo stesso Guglielmo II Hohenzollern. Tale assioma implicava sem-
pre che il “condottiero” fosse l’antidoto sia all’odiato regime liberal-
parlamentare – odiato perché incapace di decisionismo – sia alla
esecrata socialdemocrazia, portatrice di ideali sovversivi di egualita-
rismo. Il mito del Führer – osserva Merker – è già presente in Hou-
ston Stewart Chamberlain, oriundo inglese ma naturalizzato tedesco;
questi, insieme ad Oswald Spengler, fu uno degli intellettuali più
amati dallo stesso Hitler. Nel 1899 Chamberlain diede alle stampe

48
K. HAUSHOFER, Friedrich Ratzel als raum- und volkspolitischer Gestalter, in
F. RATZEL, Erdenmacht und Völkerschicksal. Eine Auswahl aus seinen Werken, a
cura di K. Haushofer, Kröner, Stuttgart 1940, pp. VII-XXVII, p. XXI.
49
R. SERTOLI SALIS, Imperi e colonizzazioni, Istituto per gli Studi di Politica
Internazionale, Milano 1942, p. 309. Sul primato del popolo italico e la teoria della
razza nella cultura fascista si vedano: G. ISRAEL – P. NASTASI, Scienza e razza
nell'Italia fascista, il Mulino, Bologna 1999; A. BURGIO (a cura di), Nel nome della
razza. Il razzismo nella storia d’Italia 1870-1945, il Mulino, Bologna 20002; A.
CAVAGLION – G.P. ROMAGNANI, Le interdizioni del Duce. Le leggi razziali in Italia,
Claudiana, Torino 2002.
132 Tommaso Valentini

una fortunatissima opera dal titolo I fondamenti del XIX secolo: in


essa auspicò l’avvento di un Führer dai tratti quasi messianici,
espressione somma di tutti i migliori talenti della razza ariana50.
Come numerosi altri storici, anche Merker nota che l’ideologia del
capo si diffuse rapidamente in Germania soprattutto dopo la sconfit-
ta subita nella Prima guerra mondiale e a causa della precarietà del
successivo regime parlamentare; erano gli anni della Repubblica di
Weimar (1919-1933). Fu la generale instabilità politica a generare in
tanta parte del popolo tedesco e persino in alcuni intellettuali la fidu-
cia nell’affidarsi ad una leadership forte, in grado di sedare tutti i
conflitti che, a loro parere, sorgevano a causa della democrazia libe-
rale, del parlamentarismo, del socialismo, del marxismo e, non da
ultimo, degli ebrei. Richiamandosi anche alla teoria hegeliana degli
“individui cosmostorici”, Max Wundt affermò che «il popolo vuol
vedere alla sua testa un condottiero nella cui personalità l’esserci
stesso del popolo si realizza a chiara coscienza»51.
In quegli anni il “principio del Führer” trovò la sua più raffina-
ta giustificazione da parte del giurista Carl Schmitt, teorico del
“decisionismo politico” ed acuto interprete del rapporto popolo-
condottiero, un rapporto dai tratti quasi mistici. Secondo Schmitt il
Führer è tale poiché sa entrare in un profondissimo rapporto di
empatia (Einfühlung) con il suo popolo, sa saggiarne gli umori e
comprenderne le esigenze; a sua volta il popolo «ha fiducia in un
condottiero e approva una determinata proposta solo in base alla
consapevolezza politica della propria consustanzialità e unità con il
condottiero»52. Con la presenza di un Führer alle faccende politi-

50
Anche Alfred Rosenberg, uno dei più influenti ideologi del nazismo, si
richiamò alle teorie razziste di Chamberlain e del francese de Gobineau. Lo stesso
titolo del più celebre libro di Rosenberg (Il mito del XX secolo, 1930) costituisce un
omaggio all’opera principale di Chamberlain; a questo teorico della razza ariana egli
dedicò anche una monografia: cfr. A. ROSENBERG, Houston Stewart Chamberlain als
Verkünder und Begründer einer deutschen Zukunft, H. Bruckmann, München 1927.
51
M. WUNDT, Vom Geist unserer Zeit, [prima edizione 1920], Lehmann,
München 19222, p. 155.
52
C. SCHMITT, Volksentscheid und Volksbegehren. Ein Beitrag zur Auslegung
der Weimarer Verfassung und zur Lehre von der unmittelbaren Demokratie, de
Gruyter, Berlin-Leipzig 1927, p. 35. Sui complessi rapporti di Schmitt con il ragime
nazista si vedano: J.W. BENDERSKY, Carl Schmitt. Theorist for the Reich, Princeton
“Ideologia della nazione” e “populismo etnico” in N. Merker 133

che complicate e alla difficile arte del votare nelle assemblee par-
lamentari, si sostituisce «il dinamico contributo plebiscitario-
referendario del votare “sì” oppure “no”. Sarà sempre il celebrato
“istinto” a suggerire al popolo la risposta giusta, quella che suddi-
vide il mondo in amici e nemici»53.
Merker osserva giustamente che nei regimi totalitari del Nove-
cento (hitlerismo, mussolinismo, stalinismo) l’ideologia del Führer è
stata promossa tramite gli strumenti dell’industria culturale, non da
ultimi la stampa e il cinematografo. Quanto più il popolo è inebriato
dall’ideologia e si allontana dai processi decisionali, tanto più esso è
manipolabile, reso oggetto di un supino consenso. A tal riguardo
Merker nota che «il populismo non può esistere senza un ben con-
gegnato apparato propagandisco-mediatico, il quale spaccia al “po-
polo” come idee del “popolo” quelle che sono invece idee del con-
dottiero-autocrate»54.

Il modello di Habermas: l’“inclusione dell’altro” come


oltrepassamento del “populismo etnico”

Merker ha indagato genealogie e morfologie del populismo, po-


nendo particolare attenzione a quelle forme di “populismo etnico”
che hanno segnato la cultura tedesca dalla Romantik al nazionalso-
cialismo. Dall’analisi dei fatti storici egli ha fatto emergere con chia-
rezza quelli che sono i tratti costitutivi, potremmo dire “trascenden-
tali”, del “populismo etnico”. A suo parere «l’essenza di tutti i popu-
lismi etnici è sempre l’autoreferenzialità, cioè il costante richiamarsi
a un fondamento individuale, specifico ed esclusivo, il più antico
possibile. E tanto meglio se esso, oltre a perdersi nella notte dei tem-
pi grazie all’invenzione, fatta in particolare dai romantici, di una
qualche origine primordiale metafisica, viene potenziato da un anco-

University Press, Princeton 1983; B. RÜTHERS, Carl Schmitt im Dritten Reich:


Wissenschaft als Zeitgeistverstärkung?, C.H. Beck, München 1990; Y. SHERRATT, Il
giurista di Hitler: Carl Schmitt, in ID., I filosofi di Hitler, [edizione originale 2013],
Bollati Boringhieri, Torino 2014, pp. 101-112.
53
N. MERKER, Filosofie del populismo, cit., p. 134.
54
Ibidem.
134 Tommaso Valentini

ra più autoreferenziale aggancio alla razza. Indispensabile è in ogni


caso appellarsi alle “origini” (il germanesimo tedesco, la romanità
italica ecc.)»55. Merker sottolinea che il populismo presente ancora
oggi nelle culture di Destra si caratterizza per una “mistica della co-
munità” e stabilisce per essa dei solidi “recinti identitari” in nome di
presunte origini mitiche o identità religiose acriticamente accettate.
In tali prospettive lo Stato nazionale è chiamato ad identificarsi con i
valori della stirpe e della “Tradizione”, e la stessa prassi politica ha
come finalità la conservazione più rigorosa di quel patrimonio valo-
riale, magari proponendo persino l’esclusione di chi è “etnicamente
diverso”. A questo proposito egli riporta il caso del francese Alain
de Benoist, uno dei fondatori del movimento Nouvelle Droite (Nuo-
va Destra): negli anni ‘80 Benoist arriva a definire il mescolamento
delle culture come un vero e proprio “etnocidio”. L’atteggiamento di
Benoist e di numerosi altri settori della Destra in Europa è caratteriz-
zato da «un populismo etnico condito di xenofobia anche senza do-
ver ricorrere al lessico screditato del razzismo palese»56. Siamo in
presenza di “ideologie del recinto”, fondate sulla necessaria identità
di Stato/nazione/éthnos e sull’imperativo “ognuno a casa sua!”.
Come rispondere a tali forme di etnopopulismi dai toni spesso
violenti e fanatici? Merker cerca delle argomentazioni sul piano del-
la razionalità e si richiama ad un atteggiamento critico neoillumini-
sta. Nella pars costruens del suo discorso etico-politico egli incontra,
quindi, il pensiero del tedesco Jürgen Habermas, del quale mostra di
condividere importanti aspetti. Con Habermas egli sottolinea che
l’attività di governo deve sganciarsi dalle identità etniche «prepoliti-
che» e deve tendere piuttosto all’«unità della cultura politica nella
molteplicità delle subculture»57. Si tratta del tentativo di ripensare le
istituzioni democratiche nelle società occidentali multiculturali e
multietniche: la prospettiva proposta da Habermas – e condivisa da

55
N. MERKER, Il sangue e la terra. Due secoli di idee sulla nazione, cit., p. 182.
56
Ivi, p. 200. Sul pensiero di Alain de Benoist e della Nouvelle Droite si vedano:
F. GERMINARIO, La destra degli dei: Alain de Benoist e la cultura politica della
Nouvelle Droite, Bollati Boringhieri, Torino 2002; M. LUCA ANDRIOLA, La Nuova
destra in Europa. Il populismo e il pensiero di Alain de Benoist, Edizioni Paginauno,
Milano 2014.
57
J. HABERMAS, L’inclusione dell’altro. Studi di teoria politica, cit., pp. 130-131.
“Ideologia della nazione” e “populismo etnico” in N. Merker 135

Merker – è quella di costruire una democrazia sulla base di un’“etica


del discorso” in grado di favorire l’intesa comune sul piano della ra-
zionalità. Usando altre parole, l’americano John Rawls ha definito
tale tipo di intesa come un «consenso per intersezione (overlapping
consensus)»58. Tale intesa/consenso è realizzabile solo se coloro che
entrano nel dibattito democratico sono in grado di mettere da parte i
propri possibili fondamentalismi in nome del bene comune e della
coesione sociale; solo in questo modo la democrazia può qualificarsi
come reale “comunità di dialogo”, solidale ed inclusiva. Alle “ideo-
logie del recinto identitario”, Merker e Habermas oppongono il pa-
radigma di una necessaria “inclusione politica dell’altro e del diver-
so”, secondo gli ideali di cittadinanza universale proclamati dalla
Rivoluzione francese.
In quest’ottica la comunità politica è chiamata ad essere “comu-
nità di dialogo” fondata sulla razionalità e sull’intesa, giammai sulla
rivendicazione, di mitiche identità etnico-religiose fagocitanti ogni
tipo di alterità/differenza. Al modello di “nazione etnica” occorre
sostituire quello di “nazione di cittadinanza”, frutto delle conquiste
civili della modernità illuministica: «ciò che lega insieme una “na-
zione di cittadini” – a differenza di una “nazione popolo” – non è
una qualche forma di sostrato primordiale, bensì semplicemente il
contesto intersoggettivamente condiviso di un’intesa possibile»59.
Commentando queste affermazioni habermasiane, si domanda Mer-
ker «cosa c’è qui di diverso, in fondo, dalla teoria della nazione co-

58
Cfr. J. RAWLS, The Idea of an Overlapping Consensus, in «Oxford Journal of
Legal Studies», vol. 7/I, 1987, pp. 1-25; l’idea del “consenso per intersezione” viene
sviluppata dall’autore in ID., Political Liberalism, Columbia University Press, New
York 1993; tr. it. di G. Rigamonti, Liberalismo politico, a cura di S. Veca, Edizioni di
Comunità, Milano 1994.
59
J. HABERMAS, L’inclusione dell’altro. Studi di teoria politica, cit., p. 171. Sulla
visione habermasiana di un’«etica della comunicazione» come base per la vita
democratica nelle società multiculturali e multietniche, cfr. J. HABERMAS,
Moralbewußtsein und kommunikatives Handeln, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1983; tr.
it. di E. Agazzi, Etica del discorso, Laterza, Roma-Bari 1985; L. CORCHIA, La teoria
della socializzazione di Jürgen Habermas, Edizioni ETS, Pisa 2009; F.
GIACOMANTONIO, Introduzione al pensiero politico di Habermas. Il dialogo della
ragione dilagante, Mimesis, Milano 2010; G. DE ANGELIS, Verso una società
razionale: il pensiero di Jürgen Habermas, Luiss University Press, Roma 2012.
136 Tommaso Valentini

me “plebiscito di tutti i giorni” di Renan, a sua volta ricavata


dall’idea di nazione secondo i princìpi del 1789?»60.
Gli studi di Merker fanno emergere la storia e le forme che ha as-
sunto in Europa il “populismo etnico” per proporre poi un suo defi-
nitivo “oltrepassamento” (Überwindung). Tale oltrepassamento vie-
ne individuato nel modello habermasiano della prassi democratica
fondata sull’intesa dialogica ed attenta al multiculturali-
smo/plurietnicità dei cittadini. Merker si rende conto, tuttavia, delle
difficoltà che comporta tale progettualità etico-politica e propone
l’acquisizione di una forma mentis definita come “pragmatismo
neoilluminista”: «governare il fenomeno della nazione multietnica
moderna significa l’esatto contrario dell’erigere recinti, o del molti-
plicare confini per ostacolare integrazioni e assimilazioni. Certo, oc-
corre uno strumentario concettuale duttile e raffinato, un insieme di
idee aperto alle novità, capace sia di distinguere che di unire. Lo
chiamerei un pragmatismo neoilluminista che, pare chiaro, nell’etni-
cismo non è di casa»61.
Delle ulteriori considerazioni vengono svolte da Merker sul pro-
blema del “populismo religioso” che costituisce una ulteriore ed an-
cor più complessa specificazione di quello “etnico”: si pensi alle at-
tuali e sempre più crescenti forme di fondamentalismo all’interno
dei paesi islamici e delle comunità musulmane diffuse in tutta Euro-
pa. A questo proposito Merker propone due linee di azione: una è
volta ad una illuministica “demitizzazione della religione” per far
emergere le sue origini storiche e la sua relatività cronotopica, la se-
conda è quella volta alla integrazione degli immigrati islamici nel
contesto delle democrazie europee. Egli condivide, quindi, la posi-
zione di Bassam Tibi, docente siriano presso l’Università di Gottin-
ga, secondo il quale occorre evitare «la creazione in Europa di “ghet-
ti” islamici che si inquinerebbero di fondamentalismo»62.

60
N. MERKER, Il sangue e la terra. Due secoli di idee sulla nazione, cit., p. 202.
61
ID., Filosofie del populismo, cit., p. 175.
62
B. TIBI, Fundamentalismus im Islam. Eine Gefahr für den Weltfrieden?, Wis-
senschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 2000, p. 4. La posizione di Bassam Tibi
viene commentata in N. MERKER, Il sangue e la terra. Due secoli di idee sulla
nazione, cit., pp. 196-197.
“Ideologia della nazione” e “populismo etnico” in N. Merker 137

Concludendo, possiamo dire che le derive più negative del “po-


pulismo etnico” possono essere arginate facendo appello ai princìpi
di cittadinanza inclusiva teorizzati nel corso della modernità euro-
pea, “l’età dei diritti e dell’illuminismo”. L’auspicio di Merker è che
le moderne democrazie sappiano sempre far primeggiare il popolo-
démos, la nazione del popolo politico, sul popolo-éthnos (la nazione
intesa come recinto identitario). Nelle sue ricerche Merker fa emer-
gere molto bene il fatto che ogni “populismo etnico” è nemico espli-
cito o implicito delle conquiste civili della Rivoluzione francese; in
quest’ultima, infatti, è stato elaborato il concetto di popolo-démos,
l’idea di una cittadinanza estendibile, in linea di principio, ai membri
di “ogni tribù, stirpe, popolo e nazione”. Un elemento che, invece, a
nostro parere emerge poco dai testi di Merker è che i princìpi della
Rivoluzione francese – i concetti di liberté, égalité, fraternité, fago-
citanti ogni forma di chiuso etnicismo – possano essere considerati
come il portato storico di ideali cristiani, laicizzati e secolarizzati.
Ci piace chiudere queste nostre riflessioni riportando alcune si-
gnificative espressioni di Eduard Gans, filosofo tedesco di ispirazio-
ne hegeliana, che già nei primi decenni dell’Ottocento aveva indivi-
duato negli ideali della Rivoluzione francese uno degli esiti più ma-
turi, benchè secolarizzati, dei valori portati in Occidente dal cristia-
nesimo: «se il cristianesimo ha scoperto l’uomo, se lo ha seguito ac-
compagnandolo per duemila anni, fino a quando è divenuto maturo
per lo Stato, la Rivoluzione francese non è altro che l’elevazione
dell’uomo a cittadino, l’eliminazione degli impedimenti e delle co-
strizioni che ancora ostacolano l’affermazione di quest’ultimo fe-
nomeno. L’universalità […] si riproduce su tali basi e la Rivoluzione
francese diventa la rielaborazione stessa della concezione cristiana»63.

63
E. GANS, Vorlesungen über die Geschichte der letzten fünfzig Jahren, in F.v.
RAUMER (a cura di), Historisches Taschenbuch, Leipzig 1833, Band I, pp. 283-326,
p. 289; tr. it. di C. Bertani, Le lezioni di storia degli ultimi cinquant'anni (1833-1834),
Rubbettino, Soveria Mannelli 2011.
MISTO
Da fonti gestite
in maniera responsabile

Questo volume è stato stampato da Rubbettino print su carta ecologica certificata FSC®
che garantisce la produzione secondo precisi criteri sociali di ecosostenibilità, nel totale rispetto
del patrimonio boschivo. FSC® (Forest Stewardship Council) promuove e certifica i sistemi
di gestione forestali responsabili considerando gli aspetti ecologici, sociali ed economici

Stampato in Italia
nel mese di luglio 2015
da Rubbettino print per conto di Rubbettino Editore srl
88049 Soveria Mannelli (Catanzaro)
www.rubbettinoprint.it

Potrebbero piacerti anche