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FISIOLOGIA

I muscoli
Nel nostro corpo sono presenti 3 tipi di muscolo: il muscolo scheletrico, il muscolo cardiaco e
il muscolo liscio. Il muscolo scheletrico e quello cardiaco vengono definiti striati perché è
presente una striatura trasversale: l'apparato contrattile di questi due muscoli è organizzato
in maniera tale da mettere in evidenza queste strie. Nel muscolo liscio non sono presenti le
strie ma ovviamente l'apparato contrattile è comunque presente, organizzato in modo da
non mettere in evidenza le striature. Le varie cellule muscolari hanno delle differenze:

· Le fibre del muscolo scheletrico sono allungate, di forma cilindrica e contengono


numerosi nuclei. Si possono dividere in tre tipologie in base al metabolismo e alla
funzionalità e alcune hanno tanti mitocondri (associati ad un metabolismo ossidativo)
mentre altre meno;
· Le fibre del muscolo cardiaco sono più corte, hanno una forma ramificata in genere ad
"Y" e hanno un solo nucleo per cellula. Le fibre cardiache hanno sempre anche molti
mitocondri, presentano disco intercalare;
· Le fibre del muscolo liscio sono anche più corte rispetto a quelle del muscolo
cardiaco, hanno una forma fusata, un solo nucleo per cellula e in genere abbastanza
mitocondri.

Muscolo liscio
Le cellule non presentano la classica striatura delle cellule del muscolo scheletrico; hanno
forma fusata, possiedono un solo nucleo e sono più corte delle scheletriche.
Può essere definito in 2 modi:
-UNITARIO: come la parete dell’apparato gastrointestinale e maggior parte organi; sono
presenti giunzioni comunicanti che permette al segnale elettrico di essere trasmesso da una
cellula muscolare ad un’altra, cosi che La contrazione possa essere limitata solo ad alcuni
elementi perché il tessuto si contrae come una singola unità
-MULTIUNITARIO: come muscoli dell’occhio, dell’utero e apparato riproduttivo maschile;
le cellule non sono elettricamente connesse quindi ogni cellula riceve impulso da una fibra
nervosa.
La contrazione avviene per lo scorrimento dei filamenti di actina e miosina, che sono
organizzati in fasci con decorso obliquo.
NON ESISTONO SARCOMERI, i filamenti sottili non si ancorano alla stria Z, ma sono
attaccati a delle strutture proteiche che si chiamano corpi densi (presenti sia nel citoplasma
che nella membrana plasmatica).
MECCANISMO CONTRAZIONE: inizia con un aumento di calcio (deve essere a superiore a
10-4 mol/L) nel citoplasma che si lega alla calmodulina (proteina solubile nel citoplasma)
attivandola; questo complesso va a fosforilare la proteina chinasi della catena leggera della
miosina attivandola quindi.k
Questa proteina va a fosforilare (utilizzando atp) la catena leggera della Miosina
(precisamente nel collo della testa della miosina); la fosforilazione spinge il ponte trasverso
verso il filamento sottile di actina dando inizio al ciclo dei ponti trasversi. (Procede come nel
muscolo scheletrico)
Quando viene meno il segnale di contrazione la fosfatasi della catena leggera della miosina
prende il sopravvento e rende incapace la miosina di fornire ulteriori legami con l’actina.
(Fosfatasi prende il sopravvento quando la concentrazione di calcio diminuisce)

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Se la concentrazione del calcio si trova al limite che permette alla miosina chinasi di essere
attiva, si hanno 2 step in più:
La miosina viene defosforilata, il ciclo può continuare ma perchè si possa produrre un altro
ciclo occorre che la catena leggera della miosina sia di nuovo
Fosforilata. (Velocità di contrazione più lenta meccanismo di regolazione)
Il calcio può entrare attraverso canali a voltaggio dipendenti che sono sulla membrana esterna
della cellula nel fondo di strutture chiamate caveole (sono delle depressione sulla membrana).
(Canali si aprono quando la membrana si depolarizza modo principale)
Il calcio può entrare attraverso canali sulla membrana esterna attivati da recettori di
membrana che si legano a neurotrasmettitori o da recettori.
O infine il calcio può essere provenire da una fonte intraplasmatica dalla riserve intracellulari
come il reticolo sarcoplasmatico. (Aperti da un secondo messaggero)
Quando lo stimolo finisce il calcio che si trova nel sarcoplasma può essere pompato al di fuori
della cellula da pompe attive, o all’interno del reticolo sarcoplasmatico o può essere escluso
dalla cellula e scambiato con ioni sodio.
Il muscolo liscio presenta un minimo tono di contrazione (negli organi cavi aiuta a mantenere
un certo volume); questo tono può essere aumentato/diminuito da semplici variazioni del
livello di polarità della membrana. (Aumenta se membrana depolarizza, diminuisce se
membrana iperpolarizza)
ACCOPPIAMENTO ELETTROMECCANICO: aumento/diminuzione tono anche senza una
differenza del potenziale di membrana
ACCOPPIAMNETO FARMACOMECCANICO: sostanze influiscono sul livello di polarità
della membrana.

CHI INFLUISCE ATTIVITA CONTRATTILE MUSCOLATURA LISCA?

-Attività elettrica spontanea nella membrana plasmatica della cellula muscolare:


A differenza dei muscoli scheletrici, i muscoli lisci non tutti hanno bisogno dell'innervazione.
I muscoli lisci dell'iride, che permettono la costrizione della pupilla o il rilassamento, ne
hanno bisogno ma quelli della parete gastrointestinale si possono contrarre spontaneamente
in seguito alla depolarizzazione spontanea di alcune cellule che si trovano in una zona dello
stomaco chiamata pacemaker. In queste cellule il potenziale di membrana è instabile, si
depolarizzano, generano potenziali d'azione che si propagano attraverso le giunzioni
comunicanti e generano contrazioni;

-Neurotrasmettitori;

-Ormoni;

-Cambiamenti indotti localmente nella composizione chimica: ad esempio agenti paracrini


(sostanze rilasciate a breve distanza), acidità, ossigeno, osmolarità, concentrazioni ioniche, dei
liquidi extracellulari. Le variazioni di concentrazione di ossigeno ma soprattutto di anidride
carbonica provocano una modificazione dello stato di contrazione della muscolatura liscia
delle arteriole: se c'è più ossigeno la muscolatura si contrae e l'arteriola si riduce, se c'è meno
ossigeno e più anidride carbonica la muscolatura si rilascia e l'arteriola si dilata per favorire
maggiore afflusso di sangue e maggiore apporto di ossigeno;

-Stiramento: la deformazione meccanica nella fibra muscolare liscia può provocare una
contrazione e questo perché vengono modificate le proprietà della membrana per cui possono
entrare degli ioni che possono aprire dei canali.
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Anche questo meccanismo è attivo nelle arteriole perché se aumenta la pressione in distretti
come il rene in cui deve essere costante, l'arteriola viene stirata, dilatata dall'aumento di
pressione e quindi aumenta il flusso. La dilatazione fa stirare le membrane delle cellule
muscolari lisce che costituiscono la sua parete e le fibre muscolari lisce reagiscono
contraendosi, quindi l'arteriola si costringe e si oppone all'aumento di pressione. Fa sì che
l'aumento di pressione venga ridotto e non venga avvertito a valle dell'arteriola in modo che
il flusso di sangue, in quel determinato organo, rimanga costante.

Gli ultimi 2 sono importanti nel regolare lo stato di contrazione delle arteriole che poi
porteranno il sangue ai letti capillari a valle in funzione della pressione o in funzione di altri
metaboliti come l’ossigeno.

Muscolo scheletrico
Il muscolo nel suo insieme è circondato da un rivestimento connettivale e all'interno, allo stesso
modo, ci sono rivestimenti connettivali che avvolgono fasci di fibre muscolari. Al microscopio
ottico la fibra muscolare scheletrica presenta delle striature date dalla presenza di zone chiare e
zone più scure.

Zona/Banda I: sono le zone chiare e vengono chiamate così perché sono isotrope. Il nome che si
dà alle strutture che appaiono chiare osservandole al microscopio a luce polarizzata
Zona/Banda A: sono le zone scure e si chiamano così perché sono anisotrope, cioè non sono
isotrope.
(Se osserviamo però attentamente notiamo che la banda I non è completamente chiara, come
pure la banda A non è tutta scura).

Più precisamente possiamo osservare:

Linea scura Z: attraversa nel mezzo la banda I. La vedo scura perché essendo il punto di
ancoraggio dei filamenti sottili dei sarcomeri adiacenti ci saranno tante proteine tutte vicine per
assicurare questo ancoraggio;
Banda H: zona più chiara che attraversa la Banda A;
Linea scura M: attraversa nel mezzo la banda H. Nella linea M ci cadono le proteine di legame
tra i vari filamenti di miosina.

Lo spazio compreso tra due linee Z continue è il sarcomero: unità funzionale del muscolo,
quello che consente la contrazione. Tutte queste bande sono dovute all'organizzazione ultra-
cellulare degli elementi sub-cellulari dell'apparato contrattile che sono i filamenti spessi e i
filamenti sottili. I filamenti spessi sono formati da miosina mentre quelli sottili sono fatti di
actina. L'actina è una proteina globulare che polimerizza e dà origine ad una molecola
filamentosa composta da più filamenti di F-actina che si avvolgono a elica.

Sul filamento di actina ci sono altre proteine chiamate proteine regolatrici e sono:
Tropomiosina: molecola allungata che ha lunghezza di circa 7 monomeri di actina;
Troponina: proteina globulare con 3 sub-unità.

Lo scopo di queste due molecole è permettere la contrazione, in determinate condizioni ovvero


in primis la presenza di calcio, in quanto si spostano dalla loro posizione originale ed
espongono il sito di legame dell'actina per la miosina permettendo l'iniziale interazione tra le
due molecole contrattili.
La molecola di miosina sono dei polimeri, costituite quindi da diverse molecole in quanto un
fascio di filamento spesso in realtà è un fascio di filamenti di miosina, che hanno una parte
lunga e una globulare. La parte globulare si chiama testa, mentre la lunga è la coda. Le teste
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della miosina hanno un'azione ATPasica, cioè riescono a idrolizzare le molecole di ATP e
liberare energia che serve poi per iniziare la contrazione muscolare.
La presenza o meno di filamenti spessi e sottili nelle varie regioni del sarcomero spiega le
diverse colorazioni della fibra muscolare.
La banda I chiara è composta solo da filamenti sottili di actina disposti nei vertici di un esagono
(Linea Z è fatta di actina), la banda A scura è composta da filamenti sottili di actina e filamenti
spessi di miosina per cui gli elettroni hanno più difficoltà a passare. La banda A però non era
omogeneamente scura ma aveva al centro una zona più chiara che è quella occupata solo da
filamenti spessi di miosina.
Nella linea M sono presenti delle interazioni proteiche tra i vari filamenti spessi in modo da
mantenere anche la giusta distanza tra i vari filamenti.
Le molecole di miosina appartengono ad un fascio e sono ordinate cioè le teste sporgono dal
fascio e hanno un andamento a spirale. Le molecole di miosina hanno le teste orientate in
direzione opposta rispetto al centro del sarcomero.
Durante la contrazione la Banda A rimane la stessa e gli studiosi sono arrivati alla conclusione,
per ora definitiva, che durante l'accorciamento del sarcomero, i filamenti sottili scorrono tra gli
spazi dei filamenti spessi e quindi aumenta il grado di sovrapposizione tra i due filamenti.

Le proteine presenti a livello del sarcomero sono:


 Actina e miosina definite proteine contrattili o anche funzionali;
 Tropomiosina e troponina definite proteine regolatrici e situate entrambe sul filamento
sottile di actina. A riposo la tropomiosina maschera i siti di attacco dell'actina per la
miosina mentre la troponina ha una particolare affinità per il calcio per cui, quando è
presente molto calcio nel sarcoplasma, la troponina interagisce con esso e provoca una
modificazione conformazionale che porta all'esposizione dei siti di legame;
 Proteina M: è una proteina strutturale che si trova al centro della linea M e regola la
disposizione spaziale dei filamenti spessi;
 Miomesina: proteina strutturale che sta sempre a livello della linea M ed è il punto di
ancoraggio per la titina;
 Titina: proteina strutturale che si trova sui filamenti spessi e regola la centratura dei
filamenti spessi durante la contrazione cioè fa in modo che rimangano sullo stesso piano
e che non si spostino verso l'alto o il basso;
 Nebulina: proteina strutturale che si trova sui filamenti sottili e controlla il numero di
monomeri di actina che formano il filamento sottile;
 P-actinina: proteina strutturale che si trova sulla linea Z e permette l'ancoraggio dei
filamenti sottili alla linea Z.

La contrazione cellulare a livello subcellulare è dovuta all'interazione tra le teste della miosina e
i siti di legame sull'actina, dopodiché si ha lo scorrimento dei filamenti sottili dai due lati del
sarcomero verso il centro dovuto al piegamento delle teste della miosina. Queste evento avviene
quando la miosina è energizzata, grazie all'ATP, e quando i siti di legame sono liberi e questo
avviene in presenza di calcio che interagisce con la troponina e provoca lo spostamento della
tropomiosina dai siti di legame con l'actina.
Normalmente del citoplasma delle fibre muscolari il calcio è basso come in tutte le cellule del
nostro organismo: quando arriva il segnale per la contrazione muscolare il calcio aumenta.
Nel muscolo scheletrico il calcio deriva da riserve extracellulari, nel muscolo liscio deriva in
parte dalle riserve extracellulari e in parte dall'esterno, lo stesso vale per il muscolo cardiaco.

Il ciclo dei ponti trasversali

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Il ciclo dei ponti trasversali è l'evento che avviene a livello dei filamenti che permette lo
scorrimento dei vari filamenti a livello microscopico e la contrazione, cioè l'accorciamento del
muscolo, a livello macroscopico.
Il ponte trasverso, la testa della miosina, si trova in una determinata posizione e ha già
esercitato la sua azione idrolitica nei confronti dell'ATP e quindi sono già presenti i prodotti
dell'idrolisi cioè ADP e fosfato. Nel momento in cui arriva il calcio, la sua concentrazione
aumenta, interagisce con la troponina e fa sì che questa cambi conformazione in modo che
avvenga il trascinamento della tropomiosina cosicché i siti di legame sull'actina diventino
disponibili e la miosina si attacchi. Poi abbiamo il distacco dell'ADP e del fosfato che provoca la
rotazione della testa della miosina e quindi il filamento sottile e la linea Z vengono trascinati
verso il centro del sarcomero. A questo punto bisognerebbe che la testa si staccasse e si
attaccasse in un sito più avanti, se la contrazione deve continuare oppure se deve finire la testa
della miosina si stacca. Perché avvenga questo occorre una molecola di ATP: il legame dell'ATP
con la testa della miosina riduce l'attività di questa molecola che quindi si stacca. Si riporta poi
nella posizione "verticale", l'attività idrolitica viene ripristinata e si ritorna nella posizione
iniziale: se il calcio è ancora elevato si forma un nuovo legame con un punto sull'actina un po'
più verso l'estremità del sarcomero. Se invece il calcio non c'è più si va in fase di rilassamento.
Se non c'è ATP a questo punto si può avere la contrattura, che tutti abbiamo sperimentato,
oppure se l'individuo è morto si ha il rigor mortis che permette di salire al momento della morte
in quanto è presente subito dopo la morte mentre dopo un po', mano a mano che le proteine si
denaturano, il rigor scompare.

Il ciclo dei ponti trasversali è alla base della contrazione sia del muscolo scheletrico che del
muscolo cardiaco e liscio. Nel muscolo liscio le proteine che permettono l'interazione tra i
filamenti sono diverse, sono diverse anche le velocità di contrazione.
Tutto questo dipende dalla presenza del potenziale d'azione e questo ciclo è quello che a livello
macroscopico viene percepito come la scossa, la contrazione muscolare provocata da un singolo
potenziale d'azione.
Il muscolo scheletrico procede in notevole ritardo tra il potenziale d'azione muscolare e l'evento
meccanico (contrazione) per cui la fibra può produrre altri potenziali d'azione (in questo modo
è già a riposo) che possono provocare nuove scosse che vanno a sommarsi e provocano una
scossa maggiore.
Cosa determina l'ingresso del calcio? Il calcio si trova nelle fibre muscolari accumulato in
particolati strutture, che sono dilatazioni delle vescicole membranose del reticolo
sarcoplasmatico, chiamate cisterne terminali e che affiancano un'altra struttura membranosa che
è il Tubulo T, estroflessione profonda della membrana plasmatica esterna, abbastanza vicino
alla linea Z.

Quando arriva il segnale dalla fibra nervosa, viene trasmesso tramite la sinapsi neuromuscolare
alla fibra muscolare, parte il potenziale d'azione che viene trasmesso a tutta la fibra anche lungo
la membrana del Tubulo T e va a portarsi vicino alle membrane delle cisterne terminali del
reticolo sarcoplasmatico. Si genera un ambiente depolarizzato all'interno della cellula che viene
sentito dalle membrane delle cisterne terminali, le quali si depolarizzano e si aprono dei canali
per il calcio che esce (concentrazione bassa nel citoplasma a riposo). Il calcio esce, diffonde,
interagisce con la troponina e comincia l'evento meccanico.
Contemporaneamente c'è sempre attiva, sulla membrana del reticolo sarcoplasmatico, una
pompa per il calcio che tende a riportarlo dentro: all'inizio, durante l'arrivo del potenziale
d'azione, nel Tubulo T è prevalente l'uscita del calcio data l'apertura di diversi canali, quando
però il segnale elettrico non c'è più, il calcio non fuoriesce più nonostante continui l'attività della
pompa. In questo modo il calcio viene man mano recuperato, la sua concentrazione diminuisce,
l'apparato dei filamenti non viene più interessato, cessa l'evento meccanico e quindi la fibra si
rilassa.
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Un motoneurone esce dal midollo spinale, in corrispondenza del muscolo perde la mielina e si
ramifica: un motoneurone può innervare in genere più di una fibra muscolare. Il complesso
costituito da motoneurone, fibra motoria e tutte le fibre innervate da quel motoneurone si
chiama unità motrice o motoria.

Biomeccanica della contrazione muscolare


A livello macroscopico lo scorrimento dei filamenti, l'accorciamento dei sarcomeri, può
provocare l'accorciamento del muscolo che a sua volta può provocare un movimento, una
contrazione isotonica oppure una isometrica.
Una contrazione del muscolo bicipite brachiale provoca una flessione del braccio se non
abbiamo niente in mano mentre se abbiamo un peso più elevato della massima forza che può
essere sviluppata dal muscolo come un tavolo il muscolo si contrae ma non si ha movimento e
quella che si sviluppa è una contrazione isometrica. Si passa da una contrazione isotonica (si ha
una tensione costante) ad una isometrica (lunghezza costante in cui il muscolo non si accorcia e
il carico non si sposta) variando il carico. La contrazione isometrica, in quanto provoca uno
spostamento del carico, genera lavoro mentre la contrazione isotonica non lo genera. (Perché
non sposta il carico)

Nella contrazione isometrica il muscolo viene fissato mentre in quella isotonica no. Poi viene
stimolato applicando una corrente anche direttamente al muscolo. Nella contrazione isometrica
c'è uno sviluppo di forza/tensione che aumenta con l'aumento dell'intensità di stimolazione e
arriva ad un valore massimo tipico di ogni muscolo che dipende dal numero di filamenti e
quindi dal numero di miofibrille e dalle dimensioni del muscolo: più è grande, in genere,
maggiore è la forza che può sviluppare. Si arriva alla massima tensione senza che ci sia un
accorciamento osservabile: c'è un accorciamento dei singoli sarcomeri ma il muscolo nel suo
insieme non si accorcia.
Se invece il muscolo non viene fissato e gli si applica un carico è possibile misurare
l'accorciamento sempre che il carico sia minore alla forza che sviluppa il muscolo. Ci vuole un
certo tempo e poi si ha l'accorciamento: durante questo l'accorciamento la forza sviluppata
rimane costante e quindi la contrazione è isotonica.

In questo macchinario il muscolo è bloccato, viene stimolato direttamente e quindi aumenta la


forza in quanto l'allungamento non c'è. Contrazione isometrica.

In quest'altro invece il muscolo è libero ad una estremità e gli viene applicato un peso piccolino
e quindi il muscolo riesce a sviluppare una forza per sollevare il peso e perciò si accorcia. La
tensione in questo caso è costante. La lunghezza per un periodo iniziale rimane costante perché
il muscolo deve sviluppare una forza capace di vincere le resistenze passive degli elementi non
muscolari (tendini, rivestimenti, guaine, ...) e superare il carico. Una volta che la forza ha
superato tutte queste resistenze compreso il carico il muscolo comincia ad accorciarsi e la forza
rimane costante. Contrazione isotonica. Finita la stimolazione abbiamo la fase di rilasciamento
che inizialmente è a tensione costante, fino a che questa non permette al muscolo di riallungarsi
e alla fine si ha il rilassamento. Queste cose si applicano anche allo studio dei ventricoli del
cuore.

Le due modalità di contrazione cambiano a seconda delle condizioni: si può passare da una
contrazione isotonica ad una isometrica semplicemente aumentando il carico. Inizialmente
contrazione isometrica, quando la forza che ha sviluppato supera il carico inizia ad accorciarsi e
la tensione non aumenta più. La velocità di accorciamento è abbastanza elevata perché il carico
è leggero (solo A) perciò aumenta fino ad un determinato valore e poi si rilassa. Se si raddoppia
il carico il muscolo riesce ancora ad accorciarsi perché riesce a sviluppare una forza maggiore
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della somma dei carichi però impiega più tempo. Il secondo periodo di contrazione isometrica è
più lungo del primo perché il muscolo deve sviluppare una forza maggiore per vincere il
maggior carico, anche la velocità di accorciamento è più bassa e l'accorciamento massimo che
può sviluppare è minore perché ha maggiore carico. Poi abbiamo la fase isotonica, seguito da il
rilassamento isotonico e per finire rilassamento isometrico. Se aggiungiamo ancora un altro
carico il peso supera la capacità del muscolo di sviluppare forza e quindi non si ha
accorciamento ma solo sviluppo di forza che non arriva a 3. Contrazione isometrica.

Altri parametri che si possono valutare della contrazione muscolare sono la velocità di
accorciamento che sarebbe la pendenza della retta. Uno stesso muscolo in risposta ad un singolo
potenziale d'azione se ha un carico leggero si accorcia parecchio e molto velocemente. Se il
carico è più alto si accorcia di meno e più lentamente, se il carico è pesante si accorcia
pochissimo e ancora più lentamente. Se il carico è pesantissimo non si accorcia per niente.

C'è un valore oltre il quale anche se il muscolo si contrae e il carico è tanto pesante il muscolo si
allunga ed è una situazione molto pericolosa perché il muscolo può lacerarsi.
La tensione (forza) sviluppata dal muscolo è la somma della tensione attiva, sviluppata
effettivamente dagli elementi contrattili, più quella passiva, dovuta alle resistenze che dicevamo
prima che si oppongono all'accorciamento del muscolo. Considerando la tensione attiva, dovuta
al meccanismo di scorrimento dei filamenti, si può definire una lunghezza ottimale di riposo
tale per cui se il muscolo si contrae a partire da questa lunghezza è in grado di sviluppare la
massima forza di cui è capace. Questo concetto si spiega con il grado di sovrapposizione dei
ponti trasversali. È appurato che la forza che si sviluppa deriva dal numero di interazioni tra i
ponti trasversali e quindi può essere dovuta ad una maggiore sovrapposizione dei filamenti,
oppure se aumentiamo l'allenamento di potenza del muscolo sembra che questo faccia
aumentare il numero di molecole di filamenti e quindi aumenta il numero di ponti che si
possono formare oppure dalle dimensioni del muscolo.

Un muscolo rilasciato, quando viene stirato, si comporta come un elastico (curva passiva).
Questa elasticità è dovuta alle fibrille tissutali di collagene ed elastina che circondano il muscolo
e le singole cellule muscolari, anche se contribuiscono gli elementi del citoscheletro
intracellulare.
Il muscolo che si contrae sviluppa una forza maggiore; questa curva è chiamata relazione forza-
lunghezza totale. La differenza tra le curve della forza totale e della forza passiva è la relazione
forza-lunghezza attiva e rappresenta la proprietà dei ponti trasversali di gene-rare forza; la
curva è chiamata relazione forza-lunghezza attiva. L'analisi microscopica di singole cellule o
sarcomeri mostra che la forza generata dipende dall'area di sovrapposizione tra filamenti sottili
e spessi.

Per una lunghezza ottimale (L0) la cellula può sviluppare la massima forza. L rappresenta la
lunghezza alla quale può avvenire la massima interazione tra ponti trasversali e filamenti sottili.
Questa lunghezza ottimale che permette al muscolo di sviluppare la massima forza è un
intervallo di valori da 2 a 2,2 micron mentre la lunghezza del sarcomero a riposo è circa 2,5
micron. In questo punto tutte le teste della miosina possono formare ponti trasversali e quindi il
grado di sovrapposizione a riposo degli elementi sottili su quelli spessi è tale per cui quando
arriva lo stimolo si possono formare il massino numero di ponti trasversali in quel muscolo. Se
il muscolo viene stirato la forza diminuisce perché si formano sempre meno ponti trasversali.
Nel muscolo scheletrico rilassato la lunghezza a riposo corrisponde alla lunghezza ottimale.
(Nel cuore una lunghezza ottimale a riposo non è presente)

Fattori che determinano la tensione muscolare:

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• La tensione sviluppata da ciascuna fibra che dipende dalla frequenza del potenziale d’azione,
dalla lunghezza della fibra, dal diametro della fibra e dall’affaticamento.

• Numero di fibre attive che dipendono dal numero di fibre per unità motoria e dal numero di
unità motorie attive. (Unità motoria consiste nel motoneurone e il suo assone, tutte le
ramificazioni e tutte le fibre muscolari da esso innervate)

Data la differenza notevole tra la durata dello stimolo elettrico e la durata dell'evento meccanico
è possibile avere la sommazione degli eventi meccanici.
Per quanto riguarda la contrazione muscolare, in seguito ad un singolo potenziale d’azione
nella fibra muscolare è detta scossa muscolare.

La scossa semplice inizia quando la fibra è tornata nella condizione di riposo non è più nel
periodo refrattario e quindi può generare tranquillamente un nuovo potenziale d'azione. Può
succedere, nel muscolo scheletrico, che si generi un secondo potenziale d'azione quando
l'evento meccanico è ancora in fase di svolgimento.
Se arriva un potenziale d'azione sulla fibra muscolare quando l'evento meccanico non è finito
questo si somma e il risultato è che la forza che si sviluppa è un po' più alta. Se questi potenziali
d'azione continuano a susseguirsi, il muscolo può sviluppare una forza molto maggiore della
singola scossa. Questo viene chiamato clono oppure tetano incompleto.
Se la frequenza dei potenziali d'azione è così alta che il secondo, il terzo, il quarto, ... compaiono
durante la fase di salita della prima scossa c'è un notevole aumento della forza che il muscolo
può sviluppare e il tipo di contrazione che si crea è il tetano.
Il tetano quindi è la contrazione muscolare che segue una scarica ad alta frequenza di un
potenziale d'azione in una fibra muscolare che a sua volta dipende da uno stimolo esterno.
Questa modalità di contrazione è molto utilizzata ed è la modalità per sviluppare maggior forza
in quanto all'inizio la forza muscolare deve vincere le resistenze passive, una volta messo in
tensione tutta la forza generata dai successivi potenziali d'azione è forza utilizzata per l'attività
muscolare.
Questa è una modalità fisiologica ma ci sono alcuni muscoli come quelli respiratori e il muscolo
cardiaco che non la utilizzano. Il muscolo cardiaco ha un suo sistema di direzione che è dato
dalla ampia lunghezza del potenziale d'azione, quasi come una scossa singola. I muscoli
respiratori non hanno stimolazioni.

Energetica della contrazione muscolare

I due fattori necessari alla contrazione muscolare sono il calcio e l'ATP: il calcio viene rilasciato
quando arriva il segnale elettrico, il potenziale d'azione sulla membrana muscolare e quindi
entra dentro la cellula attraverso il Tubulo T.

L'ATP deriva dal metabolismo cellulare anche se c'è una minima riserva nei tessuti muscolari
che permette la contrazione, ci sono vie metaboliche che lo producono: la glicolisi anaerobica
che porta dal glucosio al lattato, la fosforilazione che dal glucosio porta al piruvato, al ciclo di
Krebs e poi c'è una fosforilazione diretta di un composto che si trova nei muscoli che è la
fosfocreatina, la quale riesce a cedere un gruppo fosfato all'ADP e lo fosforila.
La fosforilazione ossidativa può usare come substrato oltre al glucosio anche gli acidi grassi e le
proteine (non è auspicabile ma certe volte è necessario perché serve energia e non ci sono altre
fonti).
L'ossigeno arriva dal sangue, gli acidi grassi lo stesso, il glucosio invece può arrivare dal sangue
o dalle riserve del muscolo (glicogeno), mentre gli amminoacidi arrivano dalle proteine
(internamente). Queste tre vie hanno delle differenze:

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Via Velocità Entità ATP/glucosio

1 Fosforilazione Velocissima Molto O


diretta limitata

2 Glicolisi Molto veloce Limitata 2-3

3 Fosforilazione Lenta Illimitata 36


ossidativa

Vediamo alcuni esempi del tipo di attività che può essere fatta usando le varie vie:

1. Nel primo caso abbiamo l'utilizzo delle riserve di ATP che possono essere presenti all'interno
della cellula e che portano allo sviluppo di poche contrazioni;
A. ATP come fonte diretta di energia
3. La glicolisi anaerobica che permette un'attività anche intensa ma dell'ordine dei minuti; porta
abbassamento ph.
4. La fosforilazione ossidativa, una volta che si è instaurato un ritmo definito per cui è
aumentata la frequenza cardiaca e quella respiratoria e quindi si è adattato il bisogno di
ossigeno ai muscoli, permette una prestazione, purché ci siano riserve energetiche, anche per
parecchio tempo.

L'ATP serve a due funzioni:

1) Viene idrolizzato dalla testa della miosina e permette l'energizzazione dei ponti
trasversali rendendoli pronti per l'attacco con l'actina;

2) Dopo che è avvenuto il colpo di forza della testa della miosina che trascina i filamenti
verso il centro del sarcomero, l'ATP si riattacca alla testa e permette il distacco della
miosina dall'actina e quindi il rilassamento del muscolo.

Idrolisi dell’ATP da parte del Ca2+-ATPasi nel reticolo sarcoplasmatico fornisce l’energia
necessaria per il trasporto attivo degli ioni calcio all’interno del reticolo, riportando la
concentrazione citosolica di Ca2+ ai bassi livelli. (Recupero del calcio)
Sulla base del tipo di attività, di metabolismo e quindi di via metabolica utilizzata per produrre
ATP, le fibre vengono classificate.
Inizialmente, in tutti i mammiferi, sono state riconosciute tre tipologie di fibre:
 ·Lente ossidative rosse: piccole, utilizzano prevalentemente la fosforilazione ossidativa
come meccanismo di produzione di energia e il colore rosso è associato alla presenza in
queste fibre di una molecola chiamata mioglobina, rossa, che è capace di legare l'ossigeno
con un'affinità molto maggiore dell'emoglobina. Siccome l'ossigeno si trova nel sangue,
per passare nelle cellule muscolari utilizza la diffusione ma la presenza di una proteina
avida di ossigeno facilita il passaggio. (Fibre ossidative lente mantengono la produzione
di tensione per molto)

 Veloci glicolitiche bianche: più grandi, sono definite veloci perché hanno un
metabolismo più rapido di produzione di energia e anche la velocità di contrazione è
maggiore. Sono bianche perché non hanno la mioglobina. Sono in grado di produrre
molta forza ma per un periodo limitato di tempo. (Fibre glicolitiche rapide la produzione
di tensione diminuisce in maniera veloce)

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 Veloci ossidative rosse: presente nel uomo, ha caratteristiche intermedie, ha capacità
ossidative elevate (di solito dipendono dalla quantità di mitocondri presenti) ma sono
considerate veloce. (Metabolismo glicosidico che diventa ossidativo con resistenza di
lunga durata)

È possibile mantenere una tensione massima delle fibre ossidative lente anche per tempi molto
lunghi come un'ora o più. Le fibre glicolitiche ossidative rapide possono mantenere una
tensione elevata per molto tempo ma dopo un'ora iniziano a riprodurre la fatica a meno che non
vengano allenate. Le fibre glicolitiche rapide sviluppano una tensione molto elevata nei primi
minuti ma poi decade rapidamente. (Fibre glicolitiche ossidatine rapide produzione tensione
diminuisce in maniera lenta)
Le fibre muscolari sono innervate dai motoneuroni che si trovano nel midollo spinale, in
particolare nel corno ventrale ci sono i motoneuroni che innervano i muscoli del corpo, del collo
e della parte posteriore della testa mentre i motoneuroni che innervano i muscoli della faccia si
trovano nel tronco dell'encefalo. I motoneuroni emettono i loro assoni che escono dalle radici
ventrali, si uniscono alla radice dorsale e poi al nervo spinale che è misto perché contiene sia
fibre motorie che sensoriali, e poi va ad innervare il muscolo.
Un motoneurone non innerva tutte le fibre muscolari del muscolo ma solo una parte e l'insieme
del motoneurone, della fibra con il suo assone e delle fibre muscolari che vengono innervate
costituiscono l'unità motrice.

Le fibre muscolari appartenenti a unità motrici diverse non sono separate ma sono tutte
mescolate. Le fibre però che appartengono alla stessa unità motrice sono tutte dello stesso tipo
cioè o sono tutte rosse lente o tutte bianche veloci o tutte rosse rapide.
Alle unità motrici quindi è possibile applicare la stessa classificazione delle fibre: avremo quindi
unità motrici lente, intermedie e rapide. Ci sono delle caratteristiche per cui unità motrici
composte da fibre rosse lente in genere sono più piccole, contengono meno fibre, sono innervate
da motoneuroni più piccoli e questo perché motoneuroni più piccoli sono più facilmente
eccitabili.
Quando arriva il segnale dalla corteccia motrice i primi che si eccitano sono i motoneuroni
piccoli e quindi le prime che attivano sono le unità motrici più piccole e il muscolo inizia a
sviluppare una certa forza.
Se è sufficiente quella forza per l'attività che dobbiamo fare non c'è ulteriore reclutamento di
unità motrici, mentre se la forza che mi serve è maggiore il segnale della corteccia sarà più
intenso e saranno attivati anche i motoneuroni intermedi che fanno parte delle unità motrici
intermedie che quindi saranno attivate per permettere al muscolo di sviluppare una forza
maggiore.
Se occorre ancora più forza il segnale sarà ancora più forte, saranno reclutate le unità motrici
più grandi che sono formate sia da cellule muscolari più grandi sia da un numero maggiore. C'è
infatti una relazione per cui le unità motrici più piccole sono fatte da fibre più piccole in numero
minore, le intermedie sono fatte da cellule intermedie e da un numero intermedio mentre le più
grandi hanno cellule più grandi e in maggior numero.

Tutti i muscoli contengono tutti i tipi di unità motrici però in modo diverso, il numero di unità
motrici contenuto nel muscolo condiziona il numero di motoneuroni che innerverà quel
muscolo e quindi anche la capacità di controllo del movimento di quel muscolo. Se un muscolo
contiene tante unità motrici perché sono piccole, la popolazione (pool) di motoneuroni che
controlla quel muscolo sarà più grande e a livello di corteccia cerebrale sarà maggiore il grado
di controllo esercitabile: potremmo avere un controllo maggiore sulla forza che si sviluppa e sul
tipo di movimento che può essere fatto da quel muscolo. A livello corticale ci sarà un numero
maggiore di neuroni coinvolti nel controllo di quel determinato muscolo e un'estensione
corticale maggiore sulla mappa motoria.
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Caratteristiche dei 3 tipi di fibre muscolari
Fibre ossidative Fibre glicolitiche Fibre glicolitiche rapide
lente (tipo I) ossidative rapide
Mitocondri Molti (tipo Ila)
Molti Pochi

Capillari Motti Molti Pochi


Contenuto di Alto (muscolo Alto (muscolo Basso imnscolo bianco)
Attività enzimatica Bassa Intermedia Alta

Contenuto di Basso Intermedi❑ Alta


Velocità di
Lenta Intermedia Rapida
affaticamento

Attività miosina- Bassa Alta Alta

Velocità di contrazione Lenta Rapida Rapida

Diametro delle fibre Piccolo Intermedio Grande

Dimensioni dell'unità Piccole Intermedie Grandi


Dimensioni della fibra
Piccole Intermedie Grandi
nervosa proveniente
dal motoneurone

Fattori che determinano la tensione muscolare


1. Tensione sviluppata da ciascuna fibra:
a) Frequenza dei potenziali d'azione (relazione frequenza- tensione);
b) Lunghezza della fibra (relazione lunghezza-tensione);
c) Diametro della fibra;
d) Affaticamento.

2. Numero di fibre attive:


a) Numero di fibre per unità motoria;
b) Numero di unità motorie attive.

Sistema nervoso
Il sistema nervoso controlla sia tutte le funzioni dell’organismo e consente la relazione con
ambiente esterno (adattarci all’ambiente); interagisce con ambiente attraverso ricezione e
interpretazione ed elaborazione di risposte adeguate.

Si scompone in SNC (riceve segnali/elabora risposte sia da interno che da esterno, e arrivano
tramite recettori che captano segnali) e SNP. (Formato prevalentemente da nervi, collega
anatomicamente SNC con effettori, cioè chi realizza le risposte e sono: muscoli scheletrici/lisci,
cuore e ghiandole esocrine/endocrine)
Informazioni arrivano alla SNC grazie ai recettori presenti sia su superfici del corpo in organi
specifici (occhi, orecchie, naso...) ma anche all’interno del corpo.

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Distinguiamo un SNC somatico: aree sensoriali, associative, nuclei talamici, della base
cervelletto, tronco encefalico e midollo spinale che modula muscoli scheletrici che ha effetti
rivolti verso ambiente esterno (integrazione sensori-motoria).
Distinguiamo un SNC viscerale: aree prefrontali, nuclei nervi cranici, tronco encefalico, midollo
spinale, corteccia orbito-frontale, ipotalamo, effetti verso ambiente interno, cioè funzioni
vegetative e mantenimento omeostasi. (Integrazione viscerale)

Dal punto di vista strutturale SNC è diviso in encefalo (diviso a sua volta in telencefalo,
diencefalo, e cervelletto e tronco encefalico) e midollo spinale. (L'encefalo è contenuto nella
scatola cranica mentre il midollo spinale è contenuto nel canale vertebrale)
Entrambi sono formati sia da sostanza bianca (troviamo fibre come assoni) sia da sostanza
grigia. (Troviamo corpi delle cellule come neuroni)

Nel telencefalo sostanza grigia è all’esterno e forma corteccia cerebrale e ci sono nuclei in
profondità immersi nella sostanza bianca (nuclei della base); nel tronco encefalico la sostanza
bianca è sia all’interno che all’esterno, i neuroni possono essere disposti in nuclei o sono
dispersi e formano un reticolo.
Nel cervelletto abbiamo sostanza grigia all’esterno che forma corteccia cerebellare e ci sono dei
nuclei sparsi nella sostanza bianca all’interno.
Nel midollo spinale la sostanza grigia è all’interno (ha una forma a farfalla) e la sostanza bianca
all’esterno.

SNC è collegato attraverso SNP agli effettori, di fatto l’SNP è formato da nervi cioè fasci di fibre
nervose che portano informazioni dai vari recettori al SNC (afferenze) e distinguiamo afferenze
sensoriali somatiche (sensazioni coscienti), afferenze sensoriali viscerali (sensazioni non
coscienti) e afferenze sensoriali speciali (riguarda organi di senso) che le elabora e se necessario
produce una risposta.
La risposta viene inviata dal SNC alla periferia (efferenze) e possono essere dirette o verso la
componente somatica (muscoli scheletrici) o verso componente autonoma (muscoli
lisci/cardiaci e ghiandole); la componente autonoma a sua volta è divisa in componente
simpatica, parasimpatica ed enterica.

Encefalo (prosencefalo +cervelletto+ t.encefalico)

Con l’evoluzione l’encefalo si è evoluto e si sono formati sempre più solchi e giri: processo di
girificazione. (Più in un encefalo sono presenti più è evoluto)
Esempio: cervello di un ratto è liscio ha solo un solco, nel gatto maggior numero di solchi, nella
scimmia (tipo macaco) i solchi sono ancora di più, poi abbiamo uomo massimo sviluppo di
solchi. (In gatti e topi bulbo olfattivo molto più sviluppato, poi dal macaco non è più evidente
ma è nascosto ed è piccolo).
La formazione di solchi è importante perché permette lo viluppo di una maggiore superficie di
corteccia senza avere un corrispondente aumento del volume dell’encefalo. (Ciò è importante
perché evita una testa molto grande che avrebbe dato problemi di equilibrio)

Il Prosencefalo (cervello /telencefalo + diencefalo) comprende varie strutture:


- Emisferi cerebrali: corteccia (formata da solchi cioè introflessioni di quest’ultima e giri
cioè le porzioni di corteccia esposte), nuclei sottocorticali e vie d’interconnessione;
- Talamo: comprende nuclei della trasmissione sinaptica delle vie sensoriali, partecipa alla
coordinazione muscolare scheletrica e ha un ruolo nello stato di coscienza;
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- Ipotalamo: regola sistema vegetativo, è collegato all’ipofisi e regola bilancio idrico, regola
T° corporea implicato nell’omeostasi;
- Sistema limbico: generazione emozioni, comportamento emotivo e ruolo
sull’apprendimento.
Il Cervelletto: coordina tutti i movimenti inclusi quelli per postura ed equilibrio e partecipa ad
alcune forme di apprendimento. (Apprendimento procedurale)
Il Tronco encefalico (bulbo+ ponte+ mesencefalo): contiene fibre che passano tra midollo
spinale, prosencefalo e cervelletto, contiene formazione reticolare e i suoi vari centri
d’integrazione (anche per respirazione e attività cardiovascolare), contiene 10 paia di nervi
cranici.

Inoltre la corteccia viene divisa in 4 lobi principali (in alcuni casi è presente un confine
anatomico, in altri il confine corrisponde con la sutura delle ossa che racchiudono l’encefalo).
I nomi di questi lobi vengono dal nome dell’osso sopra di essi: Lobo frontale (delimitato
posteriormente dal solco centrale e lateralmente dal solco laterale), lobo parietale (delimitato
anteriormente dal solco centrale e posteriormente dal confine anatomico non chiaro cioè la
sutura tra osso parietale e occipitale e lateralmente dal solco di silvio), lobo temporale, lobo
occipitale.
La corteccia inoltre viene divisa in archicorteccia, paleocorteccia e neocorteccia; la neocorteccia a
suo volta è divisa in 6 strati (Numerati da 1 a 6, 1 più superficiale) e le cellule che formano
questi strati essenzialmente sono cellule piramidali (soprattutto 5,3 e 2 strato), cellule bipolari e
cellule granulari. (Cellule piramidali sono le uniche ad avere un assone che esce dalla corteccia)

Neuroni possono essere:


- Unipolari: hanno un prolungamento che fa sia da assone che da dendrite (tipiche di
invertebrati);
- Bipolari: han 2 prolungamenti (si trovano nella retina)
- Pseudo-unipolare: ha 1 prolungamento che si divide in 2 rami, uno si comporta da
dendrita l’altro da assone (molto comuni nell’uomo, esempio recettori cutanei)
- Multipolari: hanno 1 assone da cui possono emergere collaterali e più prolungamenti che
si comportano da dendriti (motoneurone spinale, cellula piramidale neocorteccia, cellula
purkinje del cervelletto)
SNC è immerso nel liquido cerebrospinale che si trova all’esterno degli spazi cerebrali e
all’interno di cavità che si trovano all’interno dell’encefalo e midollo spinale.
Il liquor ha una componente ionica più simile al sangue (contiene più proteine)

Tecniche di studio del sistema nervoso: dette Imaging


Ricordiamo la TAC (tomografia assiale computerizzata) vengono generati raggi x e vengono
raccolti da un sensore in posizione diametralmente opposta, un computer elabora i dati dei
sensori e ricostruisce la struttura interna dell’encefalo. (Si possono vedere alterazioni
macroscopiche della struttura come emorragie, traumi…). Permette di osservare differenze in
termini di densità e di forma degli organi
Abbiamo la RMN (risonanza magnetica nucleare) che sfrutta radiofrequenze emesse da protoni
eccitati in un campo magnetico.
Abbiamo la PET (tomografia a emissioni di positroni) è un’indagine funzionale basata su
iniezione di un mezzo da contrasto radioattivo e durante l ‘acquisizione dell’immagine al
soggetto si può proporre un compito sensoriale. (Come ad esempio uno stimolo visivo cioè
stare ad occhi aperti così che la corteccia visiva si attiva, produce attività neuronale che richiede
energia e il substrato energetico del cervello è il glucosio e quindi in questo caso utilizziamo
come mezzo di contrasto desossi-glucosio che si accumula nel cervello ed essendo radioattivo
può essere visualizzato e mappato). A differenza della TAC e della RMN la PET fornisce
informazioni di natura funzionale e permette di quantificare processi metabolici.
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Questa tecnica da una visione delle regioni attive dell’encefalo.

SNP

È diviso in 2 componenti una somatica e l’altra autonoma/vegetativa.


Il somatico è formato da un singolo neurone tra il sistema nervoso centrale e le cellule muscolari
scheletriche, innerva la muscolatura scheletrica e può essere solo eccitatorio.
La parte vegetativa ha la via efferente formata da 2 neuroni (il secondo si trova in un ganglio)
connessi da sinapsi tra SNC e organo effettore, innerva muscolatura liscia, ghiandole e neuroni
gastrointestinali; l’azione può essere sia inibitoria che eccitatoria.
Le vie efferenti sono raccolte insieme alle afferenti nei nervi cranici 12 paia e nervi spinali 31
paia che infatti costituiscono l’SNP.

Nervi cranici sono 12 e possono essere motori, sensitivi e misti:


- I (nervo olfattivo) è solo sensoriale,
- II (nervo ottico) solo sensoriale,
- III (oculomotorio) è solo motorio,
- IV (trocleare, innerva muscolatura occhio) solo motorio,
- V (trigemino, innerva sia muscoli testa come massetere, digastrico e informazioni sulla
sensibilità dei muscoli innervati) è misto,
- VI (abducente occhio) solo motorio,
- VII (nervo facciale innerva muscoli faccia e le sue fibre portano informazioni gustative
della lingua) è misto;
- VIII (vestibolo-cocleare porta informazioni uditive e propriocettive della testa) solo
sensitivo,
- IX (glossofaringeo, innerva zona faringe e muscoli lingua e riceva informazioni dalle
papille gustative posteriori della lingua e Informazioni sulla pressione sanguigna media
e di O2 e CO2 nel sangue) è misto,
- X (nervo vago, innerva maggior parte organi toracici sia in senso motorio che sensitivo; è
cranico ma arriva a livello organi toracici) misto,
- XI (accessorio del vago, innerva muscoli come scom e trapezio) solo motorio,
- XII (ipo-glossofaringeo, innerva muscoli lingua) solo motorio.

Sistema nevoso vegetativo

Fa parte del SNP e controlla funziona vegetative per le quali non occorre intervento della nostra
volontà.
Ricordiamo che la via efferente è costituita da neuroni collegati tramite sinapsi. (Il primo ha
corpo cellulare nel SNC e il secondo si collega con organo effettore)
SNC riceve informazione tramite recettori cutanei e viscerali, il quale le elabora e produce una
risposta comunicata ad effettori tramite effettori.
Ricordiamo 2 componenti della via efferente: la via somatica (movimento volontario, anche il
linguaggio) e la via vegetativa che a sua volta è divisa in 2 sezioni la parte ortosimpatica (o
simpatico) e il parasimpatico; tutti organi interni ricevono innervazione da questi 2 sistemi e
nella maggior parte dei casi se una ha effetto eccitatore l’altra lo ha inibitorio.
Esempio: il cuore è innervato da fibre simpatiche che hanno azione eccitatoria e da
parasimpatiche che hanno azione inibitoria, apparato digerente parasimpatiche azione
eccitatoria e simpatiche azione inibitoria.

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A volte i recettori da cui riceve informazioni il vegetativo sono gli stessi che inviano
informazioni al somatico.
Ortosimpatico e parasimpatico sono sempre attive e in equilibrio dinamico a seconda della
situazione in cui siamo. (Questo equilibrio dinamico garantisce il mantenimento dell’omeostasi)
Di solito dopo un pasto prevale attività parasimpatica (promuove attività di sopravvivenza
(riproduzione, riposo, digestione…), mentre quando ci troviamo in una situazione di stress o
allarme si attiva il simpatico che attiva tutti quei processi che sfociano con “l’attacco o fuga”.
(Quando si attiva un sistema abbiamo il blocco dell’altro; esempio: siamo all’esame, situazione
di stress, abbiamo blocco parasimpatico e attivazione del simpatico)
Stimolo sensoriale può attivare i neuroni sensoriali, somatici e ipotalamici e
contemporaneamente quindi avremo risposte comportamentali, endocrine e vegetative.
Il sistema vegetativo coinvolge midollo spinale, in particolare i neuroni dell’ortosimpatico si
trovano nella porzione intermedia della sostanza grigia. (In questi mielomeri si forma un terzo
corno oltre all’anteriore e al posteriore chiamato corno laterale)

Organizzazione sistema ortosimpatico


La via efferente formata da 2 neuroni, il primo chiamato pre-gangliare si trova nel midollo
spinale da T1 a L3 (forma corno laterale), poi questa via lascia midollo tramite la radice ventrale
e termina in un ganglio dove fa sinpasi con il neurone Post-gangliare: questo ganglio si può
trovare in una catena paravertebrale o è esterno ad una catena e si chiama semplicemente
ganglio paravertebrale.
La fibra pre-gangliare è mielinica, rilascia acetilcolina captata da recettori ionotropici per
l’acetilcolina che si trovano sui neuroni post-gangliare determinando una risposta eccitatoria.
Da questi neuroni parte poi la fibra post-gangliare e va agli effettori, (Vasi, cuore, reni, fegato…)
e l’azione di queste fibre dipendono dall’organo bersaglio: una volta arrivate al target fanno
sinpasi e liberano noradrenalina che viene captata dal recettore dell’organo bersaglio
stimolando una risposta. (Sono presenti recettori per queste fibre anche la cute, come ad
esempio gli erettori piliferi, tessuto adiposo bruno, vasi sanguigni cutanei; anche le ghiandole
sudoripare ma qui la mediazione è colinergica cioè il trasmettitore liberato qua è acetilcolina)
Ricordiamo la fibra che innerva midollare del surrene che è continua cioè non si interrompe
(innerva direttamente porzione midollare); ciò è dovuto dal fatto che la porzione midollare è
formata da cellule endocrine che liberano adrenalina: ha struttura molto simile alla
noradrenalina, infatti questa parte midollare viene considerata un ganglio ortosimpatico
modificato che dà la funzione di trasmissione nervosa sotto una funzione di trasmissione
endocrina. (Di solito secrezione adrenalina avviene in concomitanza con attivazione
ortosimpatico)

Organizzazione sistema parasimpatico


Pur mantenendo organizzazione di catena bi-neuronale ha diverse zone di origine:
Il neurone pre-gangliare si può trovare o nel tronco encefalico o nei mielomeri sacrali del
midollo spinale. (Fibra pre-gangliare molto lunga e anche qui mielinica).
Il ganglio dove si interrompe e fa sinapsi la fibra pre-gangliare si trova in prossimità dell’organo
da innervare (fibra post-sinaptica corta e anche qui mielinica) e gli organi innervati sono gli
stessi dell’ortosimpatico (di solito esercitano su essi azione antagonista del simpatico, altro
esempio iride parasimpatico costrizione pupilla e simpatico dilatazione, sul cuore ortosimpatico
eccitatorio)
Nuclei che contengono neuroni pre-gangliari. (VII, IX, X e III)
Anche nel parasimpatico la sinpasi che avvien tra neurone pre-gangliare e post-gangliari
rilascia acetilcolina. (Agisce su recettore nicotinico, eccitatorio)
Ghiandole salivari entrambi le innervazioni (Para/Orto) sono eccitatorie, ma la risposta
parasimpatica produce una secrezione più acquosa e quella simpatica mucosa.

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Cuore il Para rallenta frequenza l’Orto aumenta, tratto gastrointestinale il Para aumenta
secrezione Orto diminuisce…

Riassunto efferenze ortosimpatico:


Neurone pre-gangliare si trova nel SNC (midollo spinale da T1 a L3), la sua fibra mielinica è
corta sì interrompe nel ganglio dove avviene prima sinpasi (rilascia acetilcolina che verranno
captate da recettore post-sinaptico nicotinico scatenando eccitazione) con neurone post-
gangliare le cui fibre amieliniche sono lunghe e prendono contatto con organi effettori dove
fanno sinapsi e rilasciano noradrenalina, che si combina con recettori adrenerici. (Hanno affinità
anche con adrenalina)
Per la disposizione dei neuroni Pre-gangliari il sistema ortosimpatico definito anche toraco-
lombare.
I gangli periferici si trovano prevalentemente o nella catena paravertebrale simpatica, mentre 3
sono localizzati vicino all’aorta discendete.

Questi recettori adrenergici (appartengono ai recettori accoppiati a proteie G) sono di diverso


tipo e determinano eccitazione/inibizione:
- Possono essere di tipo alfa 1, i quali hanno proteina G associata alla fosfolipasi C che
favorisce uscita di calcio dal reticolo endoplasmatico che provoca un aumento della
concentrazione di calcio e che quindi da una risposta di solito positiva. Esempio: la
proteina G può essere associata a canali del potassio a livello del tratto intestinale che
aumentano passaggio potassio determinando una iper-polarizzazione (inibizione);
oppure proteina G associata a fosfolipasi C che aumenta la IP3 provocando aumento di
calcio (eccitazione) e ciò avviene a livello dei vasi sanguigni, bronchioli, sfinteri, utero…

- Possono essere di tipo alfa 2 e hanno la proteina Gi (inibitrice) associata all’adenilato


ciclasi riducendo la formazione di Camp (AMP ciclico) inibendo quindi il passaggio di
calcio all’interno della cellula; provoca inibizione di solito di esocitosi e di secrezioni
ghiandolari e di ormoni (di ghiandole salivari, di insulina, NA, adrenalina,
acetilcolina…); può anche provocare iperpolarizzzione tramite proteine Gs associati a
canali del potassio che ne determinano l ‘apertura. (Sempre nei tessuti citati sopra)

- Questi recettori possono essere anche di tipo beta 1 accoppiati a proteine Gs (stimolatrici)
associata all’adenilato ciclasi che innalzano i livelli di Camp attivando delle
proteochinasi che innalzano il livello di calcio intracellulare. Soprattutto a livello cardiaco
dove attività cardiaca viene aumentata (depolarizzazione cellule pacemaker e
contrazione cellule ventricolari e anche la lieberazione di Renina)

- Il recettore beta 2 è affine solo all’adrenalina ma non è affine alla noradrenalina;


l’adrenalina viene liberata i dalla midollare surrenale nel sangue, questo recettore è
associato ad una proteina Gs che provoca un aumento del Camp e si ha una riduzione
del calcio che provoca rilassamento muscolare. Possiamo avere quindi una riduzione
dello stato di contrazione cioè una dilatazione di alcuni vasi (soprattutto arteriole che
portano sangue ai muscoli), bronchioli, utero…

A livello degli effettori del sistema nervoso vegetativo la modalità di trasmissione frequente è
quella delle varicosità, cioè non è necessario che ci sia la terminazione sinaptica ma basta che ci
siano dei rigonfiamenti lungo la fibra contenenti vescicole (che possono essere rilasciate) con il
neurotrasmettitore.
A livello della varicosità la trasmissione avviene come al terminale: arrivo potenziale, apertura
canali calcio voltaggio dipendenti, entra i calcio, la vescicola si fonde con la membra pre-
sinaptica, abbiamo esocitosi e quindi la noradrenalina (NA) si libera e si lega ai recettori post-
16
sinaptici dando una risposta cellulare (mediata da proteina G); come meccanismo di
smaltimento abbiamo o diffusione (NA si allontana dalla sinapsi) o ricaptazione (ricaptata
dall’assone) e può essere riutilizzato.

Recettore alfa 1 maggior parte tessuti bersaglio, recettore alfa 2 tratto gastrointestinale e
pancreas, beta 1 muscolo cardiaco e rene, beta 2 vasi sanguigni, muscolo liscio di alcuni organi;
esiste anche beta 3 si trova nel tessuto adiposo bruno, NA più affine e provoca aumento Camp.

Riassunto efferenza parasimpatico:


Neurone pre-gangliare si trova nel SNC (midollo spinale sacrale e tronco encefalico nei nuclei
nervi cranici), la fibra pre-gangliare mielinica è lunga, termina nel ganglio dove fa sinpasi e
rilascia acetilcolina (captato anche qui da recettore post-sinaptico nicotinico); il ganglio si trova
in prossimità dell’organo bersaglio.
La fibra post-gangliare è corta e fa sinpasi con effettori rilasciando in questo caso acetilcolina
che però si legherà a recettori metabotropici (associato a sistema di secondi messaggeri e
potranno dare risposte inibitorie/eccitatorie a seconda del tipo di recettore)
Questi recettori metabotropici sono definiti moscarinici perché agonista principale è la
moscarina.
Per la disposizione dei neuroni Pre-gangliari il sistema parasimpatico definito anche cranio-
sacrale.
Anche qua abbiamo come modalità di trasmissione le varicosità solamente che al posto della
NA viene liberata acetilcolina.
Le modalità di smaltimento qua cambiano perché acetilcolina viene degradata dalla
acetilcolina-esterasi, scissa in colina + acetato e poi vengono ricaptati.
L’acetilcolina una volta esocitata può agire:

- Su un recettore N-colinergico (quindi un canale nicotinico, cioè recettore ionotropico),


facendo entrare sodio e uscire calcio provocando un potenziale eccitatorio precoce
(20ms); ciò è quello che viene nella sinapsi dei gangli (sia parasimpatici che
ortosimpatici).

- Su un recettore M-colinergico (moscarinico), in questo caso la proteina G è associata alla


fosfolipasi C e provoca un aumento di calcio liberando IP3 e DAG causando un
potenziale eccitatorio tardivo (2s), un esempio è la contrazione che avviene a livello dei
muscoli lisci a livello dell’apparato digerente.

- Su un recettore M2 colinergico che ha una proteina Gi associata all’adenilato ciclasi e la


inibisce (adenilato ciclasi favorisce entrata di calcio grazie al Camp, inibendole sfavorisco
entrata di calcio) ed una proteina Gs che apre i canali del potassio favorendo l’entrata del
potassio e provocando una iperpolarizzazione.

Agonista/antagonista recettori: Recettori muscarinici agonista è muscarina e antagonista


atropina e scopolamina (impediscono all’acetilcolina di eserciatare la sua zione fisiologica);
Recettori nicotinici agonista è nicotina e antagonista è alfa-bungarotossina (muscolo
scheletrico), tetraetilammonio (recettori dei gangli) o curaro;
Recettori adrenergici alfa agonista è la fenilefreina e antagonista sono alfa-bloccanti;
Recettori adrenergici beta agonista è isoproterenolo mentre gli antagonisti sono i beta-bloccanti.
Ricordiamo agonisti/antagonisti indiretti che non agiscono direttamente sul recettore, esempio
la neostigmina agisce sull’acetilcolina-esterasi inibendolo aumentando quindi il tempo di
permanenza dell’acetilcolina, anche le anfetamine che stimolano il rilascio di NA e Anche la
cocaina che impedisce la ricaptazione della NA.

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Dove troviamo i vari recettori?
- Nicotinici sui neuroni post-gangliari nei gangli autonomi, nelle giunzioni
neuromuscolari del muscolo scheletrico e su alcuni neuroni del SNC.
- Muscarinici sui muscoli lisci, miocardio, cellule ghiandolari, su alcuni neuroni del SNC e
su alcuni neuroni di gangli autonomi.
- Adrenergici sul muscolo liscio, sul miocardio, su cellule ghiandolare e su alcuni neuroni
del SNC.

Esempio di azione mediata da simpatico e parasimpatico: Regolazione pressione ematica


Quando ci alziamo in piedi rapidamente la pressione nei vasi nel collo diminuisce, questa
diminuzione è percepita dai recettori che si trovano nell’aorta e carotide e invia un’afferenza ai
centri di controllo cardiovascolari nel bulbo, il quale non farà altra che aumentare attività
simpatica e inibire attività parasimpatica, verranno quindi promosse una serie di azioni
(aumento battito, aumento gittata, vasocostrizione periferica…) che portano all’aumento della
pressione ematica

Riassunto afferenza: abbiamo un solo neurone che si trova nel SNC (midollo) e manda
direttamente la fibra all’effettore.

Tipi di gangli: in una catena paravertebrale, ganglio collaterale (ganglio vicino al midollo) e
midollare del surrene (in questo caso l’organo è il ganglio dove avviene sinapsi).

Alcuni esempi: nel tratto gastro-intestinale è presente un neurone parasimpatico post-gangliare


che viene contattato direttamente dal nervo vago (il cui neurone di origine si trova nel tronco
encefalico); il vago su questo tratto ha sia azione eccitatoria per quanto riguarda la contrattilità
muscolare, sia sulla secrezione.
Questo tratto riceve anche innervazione simpatica che proviene da un ganglio pre-vertebrale
che a sua volta viene da un assone pre-gangliare il cui corpo cellulare si trova nel midollo
spinale.
Questi neuroni che si trovano sulla parete e si chiamano neuroni intrinseci dei plessi intestinali:
plesso mienterico e plesso sottomucoso.

Nel tronco encefalico è presente nucleo il del tratto solitario che nella parte rostrale riceve
afferenze da recettori gustativi, mentre nella parte caudale riceve afferenze viscerali da nervo
vago e glossofaringeo, afferenze viscerali di secondo ordine, e anche afferenze sulla
composizione del sangue in termini di dei gas respiratori.
Queste afferenze che arrivano sulla parte posteriore riguardano la pressione e i chemiocettori
tramite il nervo IX a livello della carotide e il X porta informazioni relative a recettori nell’arco
aortico. (Riguardano pressione e composizione dei gas nel sangue)
Afferenze raggiungono nucleo ratto solitario, poi attraverso inter-neuroni raggiungono i centri
di controllo cardiovascolari bulbari; quest’ultimi a loro volta inviano informazioni efferenti
tramite il vago che possono raggiungere strutture pacemaker del cuore con azione inibitoria o si
raggiungono i neuroni midollari dell’ortosimpatico che innervano il cuore che anch’essi
possono raggiungere cellule pacemaker però con azione eccitatoria.

Altro riflesso mediato dal vegetativo è il controllo dello svuotamento della vescica (riflesso della
minzione); qui abbiamo il parasimpatico sacrale che innerva il muscolo detrusore della vescica;
il midollo spinale riceve informazioni anche dai recettori meccanici presenti nella parete della
vescica che informano direttamente sia i motoneuroni sia le vie superiori. (Cosi noi abbiamo la
consapevolezza dello stato di ritenzione della vescica)
Quando la vescica ha raggiunto un certo stato di riempimento viene dato il comando di
svuotamento che comprende contrazione muscolo detrusore della vescica e rilassamento dello
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sfintere uretrale interno (muscolatura liscia) e dello sfintere uretrale esterno (muscolatura
striata)
Se il momento è opportuno il motoneurone che controlla lo sfintere esterno viene inibito dalle
afferenze viscerali (si hanno quando la vescica ha raggiunto uno certo stato di riempimento) e la
vescica si svuota; mentre se il momento non è opportuno il motoneurone viene attivato dai
centri superiori e quindi lo sfintere uretrale esterno non si apre e la vescica non si svuota.

Il midollo spinale

Il sistema nervoso centrale comunica con gli effettori, sia integrazione sensori-motoria e sia
integrazione viscerale, tramite i nervi spinali (33 paia che emergono in corrispondenza di ogni
vertebra) o i nervi cranici (12 paia che emergono a vari livelli dell'encefalo; non visibili nella
foto). I nervi spinali prendono il nome dalla vertebra da cui escono e lo stesso nome viene
assegnato al segmento (mielomero) di midollo spinale ottenuto in quella vertebra. Abbiamo
quindi:
a) 8 mielomeri cervicali e 8 paia di nervi cervicali;
b) 12 mielomeri toracici e 12 paia di nervi toracici;
c) 5 mielomeri lombari e 5 paia di nervi lombari;
d) 5 mielomeri sacrali e 5 paia di nervi sacrali.

Questi nervi spinali sono misti in quanto contengono fibre motorie, assoni di motoneuroni che
vanno ad innervare muscoli scheletrici di varie regioni del corpo, e fibre sensoriali, che
provengono dai recettori cutanei o anche viscerali (dagli organi interni). In alcuni nervi ci sono
anche fibre vegetative che appartengono al sistema nervoso ortosimpatico, soprattutto in quelli
toracici e lombari. Per i nervi cranici le cose sono diverse perché alcuni sono solo sensitivi tipo
l'olfattivo (I°), l'ottico (II°), altri sono solo motori come l'oculomotore (111°) che controlla i
movimenti oculari, mentre altri ancora sono misti come il trigemino (V°).

I nervi spinali sono connessi al midollo spinale tramite delle radici posteriori (dorsali) e radici
anteriori (ventrali).
Le radici dorsali sono collegate con la parte dorsale della sostanza grigia del midollo e le
ventrali con la parte ventrale; sulle dorsali è presente un rigonfiamento chiamato ganglio della
radice dorsale dove si trovano i corpi cellulari dei neuroni pseudo-unipolari che innervano i
recettori.

Una cosa importante e utile per la diagnosi dei disturbi del movimento è che c'è una deviazione
precisa tra le parti di midollo spinale da cui emergono i vari nervi spinali e i muscoli che si
trovano nelle varie regioni del corpo:
 La parte cervicale innerva i muscoli della parte posteriore della testa, del collo e del
braccio;
 La parte toracica innerva i muscoli del torace;
 La parte lombare innerva i muscoli dell'addome e anche delle gambe;
 La parte sacrale innerva una parte dei muscoli delle gambe e i muscoli della regione
pelvica.

Ci sono due rigonfiamenti nel midollo spinale che sono il rigonfiamento cervicale (arti
superiori) e quello lombare (arti inferiori) perché nei segmenti che troviamo in queste regioni ci
sono più neuroni in quanto a queste zone è assegnato il controllo non solo dei muscoli della
parte assiale del corpo ma anche degli arti, delle mani e quindi delle dita che nell'uomo sono
capaci di una varietà molto grande di movimenti indipendenti e raffinati. I movimenti delle dita
dei piedi sono molto meno indipendenti e il controllo è molto meno raffinato.
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Il midollo spinale contiene sostanza grigia e sostanza bianca: nel sistema nervoso la sostanza
grigia è quella dove si trovano le cellule mentre la sostanza bianca è quella dove sono prevalenti
le fibre nervose sia assoni che dendriti.

La sostanza grigia nel midollo spinale è al centro, ha una forma ad H o di farfalla e a centro
presenta un canale in cui troviamo il liquido cerebrospinale; a sua volta l’H è divisa a metà.
(Parleremo dell’antimero di destra e dell’antimero di sinistra)
In ogni antimero distinguiamo quindi 2 corni, quello anteriore (fibre motorie e anche fibre dei
neuroni pre-gangliari del sistema nervoso vegetativo) e quello posteriore (fibre sensitive).
Anche la sostanza bianca è divisa a metà, per ogni antimero distinguiamo il cordone anteriore,
quello posteriore e quello laterale; in questi cordoni sono presenti i fasci di neuroni ascendenti
che portano informazioni alle strutture sopra-assiali e discendenti e proprio spinali che
connettono segmenti diversi di midollo,

In questa immagine vediamo la corrispondenza tra i vari mielomeri dei nervi e i dermatomeri,
regioni di cute innervate dai rispettivi nervi che escono dai rispettivi mielomeri. In questo caso
possiamo parlare dell'innervazione dei recettori cutanei e sottocutanei e per cui la
corrispondenza regionale vale allo stesso modo.
- Le regioni del collo, del braccio, delle spalle e della parte posteriore della testa sono
innervate da i nervi cervicali e questa innervazione riguarda sia la componente motoria
che quella sensoriale.
- La regione verde che comprende tutto il torace fino legamento inguinale circa (termina
inferiormente in modo obliquo perché innerva anche i muscoli addominali che hanno
questo decorso) è innervata dai nervi toracici e anche qui è sia motoria che sensoriale,
ovvero i recettori di tatto, di pressione, di temperatura, di dolore che si trovano in questa
zona mandano le loro fibre al midollo spinale tramite i nervi "verdi" secondo questo
schema abbastanza preciso.
- I nervi lombari (regione viola) innervano parte bassa schiena e parte anteriore arto
inferiore. (Sia sensoriali che motorie)
- Infine i nervi sacrale (regione arancio) innervano parte posteriore arto inferiore.

A livello del rigonfiamento cervicale, c'è una maggiore quantità di sostanza bianca mentre a
livello del rigonfiamento lombare c'è una maggiore quantità di sostanza grigia. La sostanza
bianca contiene i fasci ascendenti e discendenti, i fasci di fibre nervose che vanno dai neuroni
sensoriali e poi salgono perciò man mano che si sale le fibre diventano più numerose. La stessa
cosa vale per i fasci discendenti in quanto a livello cervicale sono presenti tutti i fasci destinati
alle varie parti del corpo, mentre se scendiamo piano piano saranno sempre meno.

Per il pool di motoneuroni nel midollo, è presente una topografia mediale e laterale: i
motoneuroni che innervano i muscoli prossimali (spalla) si trovano medialmente mentre i
motoneuroni laterali innervano muscoli distali (dita)
Oltre alla topografia medio-laterale ne troviamo una anche dorso-caudale cioè i motoneuroni
che innervano i muscoli flessori sono leggermente più dorsali, sempre nell'ambito del corno
ventrale, rispetto ai motoneuroni che innervano i muscoli estensori.

Inoltre la popolazione di motoneuroni che provoca la flessione o l'estensione di un arto, quindi


il pool che innerva gruppi muscolari diversi e modula il movimento delle varie articolazioni si
estende per più mielomeri: nell'immagine vediamo i puntini che rappresentano i motoneuroni
che innervano i flessori o gli estensori, a seconda del colore, del braccio. Nella seconda
immagine abbiamo la gamba con il gastrocnemio e il soleo. Sono presenti tutti e due in
entrambe le parti ma ci serve per vedere la differenza in quanto i motoneuroni che innervano il

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soleo sono più rostrali rispetto a quelli del gastrocnemio. In generale la popolazione si estende
su un certo spessore del midollo spinale.

La sostanza grigia del midollo spinale è stata suddivisa in 10 lamine numerate con numeri
romani, oppure abbiamo la suddivisione in 3 corna che sono dorsale, intermedio e ventrale.
Considerando le lamine possiamo dire che il corno dorsale comprende le lamine da 1 a 5/6, il
corno ventrale le lamine 8 e 9, il corno laterale comprende la lamina 7; mentre la lamina 10 è
quel sottile strato di sostanza grigia che sta intorno al canale centrale del midollo.

Le fibre sensoriali efferenti arrivano tramite la radice dorsale e fanno perlopiù sinapsi nel corno
dorsale ma non necessariamente in quanto le fibre che provengono dai propriocettori e dai
meccanocettori muscolari e tendinei, con un ramo fanno sinapsi qui ma il ramo principale sale
verso le porzioni superiori.
Le fibre afferenti vengono classificate (Erlanger Gasser) secondo le dimensioni:
- Le più grandi sono le fibre IA e II (diametro assone da 13 a 20 micron e una velocità di
conduzione tra 80-120 m/s) e innervano i fusi neuromuscolari (propriocezione);
- Poi abbiamo le fibre A beta (diametro assone da 6 a 12 micron e velocità di conduzione
30-75 m/s) e sono responsabili del tatto e pressione;
- Poi le fibre A delta (diametro da 1 a 5 micron e velocità di conduzione 5-30 m/s) e sono
terminazione libere responsabili di temperatura e dolore;
- Poi ci sono le fibre C (La C indica che sono amieliniche, mentre tutte quelle con la lettera
A son tutte mieliniche; hanno diametro tra 0.2 a 1.5 micron e hanno una velocità di
conduzione 0.5-2 m/s), sono terminazioni libere e sono responsabili della sensazione di
dolore, temperatura e prurito.
Le fibre C sono anche le fibre post-gangliari vegetative (anch’esse sono amieliniche)
Non abbiamo citato le fibre B perché fanno parte del sistema nervoso vegetativo e sono quelle
pre-gangliari quindi mieliniche.

Poi distinguiamo come fibre solo sensoriali con i numeri romani:


Ia quelle dei fusi neuromuscolari (le più grandi mieliniche); Ib provengono dagli organi
tendinei del golgi (mielinici); II sono le fibre secondarie dei fusi neuromuscolari e sono anche
tattili e pressorie; III tattile, pressorie, dolore veloce e temperatura (corrispondono alle A delta)
e infine IV sono per il dolore, la temperatura e le olfattive. (Queste corrispondono alle C, quindi
sono quelle amieliniche)

Le fibre II e A1 possono avere rami che fanno sinapsi con le varie lamine ma quelle principali
sono nella zona intermedia, nel fascicolo gracile o in quello cuneato a seconda che le fibre
provengono dalla parte inferiore o superiore del corpo.
Abbiamo poi i funicoli che sono le zone di sostanza bianca in cui si trovano i fasci ascendenti o
discendenti.
Nel midollo spinale ci sono anche degli interneuroni, neuroni il cui assone non lascia la
struttura in cui è compreso e possono essere locali, rimangono nell'ambito dello stesso livello di
midollo spinale, oppure possono estendersi tra un mielomero e un altro.
Gli assoni dei motoneuroni lasciano il midollo spinale e vengono infatti definiti neuroni di
proiezione cioè che si portano all'esterno della struttura in cui sono contenuti, attraverso la
radice ventrale o anteriore.
I fasci ascendenti portano per lo più informazioni sensoriali, i fasci discendenti che portano
comandi motori o modulazioni dei comandi motori. I fasci delle colonne dorsali sono il fascicolo
gracile e cuneato che portano gli assoni dei meccanocettori cutanei e dei recettori di pressione,
dei propriocettori muscolari e tendinei verso i nuclei che si trovano nel bulbo. I fasci spino-
talamici laterale e dorsale originano da neuroni che si trovano nel corno dorsale nella parte
opposta e portano informazioni di natura termica o dolorifica al talamo. I fasci discendenti che
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sono più consistenti e sono il fascio piramidale laterale o cortico-spinale laterale che viene dalla
corteccia motoria, premotoria e somatosensoriale del lato opposto ed è il principale responsabile
del controllo dei movimenti volontari soprattutto delle estremità. Poi abbiamo il fascio cortico-
spinale mediale o anteriore che origina dalle stesse regioni corticali ma che però sono dedicate
al controllo della muscolatura degli arti e del tronco. Il fascio tetto-spinale che viene dal tetto del
mesencefalo ed è presente soprattutto nelle regioni alte del midollo spinale perché controlla il
movimento della testa e degli occhi in funzione di stimoli uditivi e visivi. Il tratto vestibolo-
spinale che origina dai nuclei vestibolari e permette aggiustamenti posturali in funzione di
stimoli vestibolari che originano dall'orecchio interno a seguito di cambiamenti di posizione
della testa.

I muscoli sono innervati dai motoneuroni che ne sono i responsabili del movimento. I
motoneuroni ricevono gli imput dai nuclei del tronco dell'encefalo, compresi i nuclei vestibolari,
possono ricevere afferenze dalla corteccia motoria primaria e da varie altre strutture. Il
movimento attiva alcuni recettori sensoriali come quelli dello stiramento, tattili, tendinei e tutte
queste informazioni vengono raccolte da recettori periferici e portate alle varie stazioni centrali
che hanno il compito di elaborarle e arrivano anche al cervelletto. Il cervelletto riceve
informazioni dai propriocettori e meccanocettori periferici e ha il compito di controllare che
l'esecuzione del movimento avvenga in maniera corretta secondo lo schema progettato dalla
corteccia motoria. Il cervelletto rinvia queste informazioni alla corteccia e lei riesce
eventualmente a produrre dei segnali di correzione nel caso che l'esecuzione non sia quella che
era stata programmata. Queste informazioni sensoriali non arrivano ai nuclei della base ma
ricevono una copia del programma motorio e agiscono modulando l'attività dei nuclei del
tronco dell'encefalo tramite il talamo.

PARENTESI: Motoneuroni

I muscoli scheletrici sono gli effettori del movimento volontario che ci permette di interagire
con l'ambiente esterno. I muscoli scheletrici devono essere innervati dai motoneuroni, anche
definiti motoneuroni inferiori, mentre quelli che partono dalla corteccia cerebrale sono i
motoneuroni superiori. I motoneuroni superiori sono presenti a livello della corteccia cerebrale:
da essi parte il segnale verso quelli inferiori.
Classicamente i motoneuroni sono quelli che si trovano nel midollo spinale, nel tronco
dell'encefalo e vanno direttamente ai vari muscoli. Ogni muscolo è innervato da un pool di
motoneuroni perché in ogni muscolo abbiamo tante fibre e ogni motoneurone può innervare un
numero limitato di fibre.
In ogni muscolo abbiamo un numero variabile di unità motrici che dipende dalle dimensioni
del muscolo e dal livello di controllo che possiamo avere sul muscolo.

Gli effettori sono i muscoli scheletrici innervati dai motoneuroni per cui i comandi corticali,
tutte le nostre idee, devono arrivare ai motoneuroni in modo da poter eseguire il movimento. I
motoneuroni si trovano nel midollo spinale e nel tronco encefalico a seconda che innervano i
muscoli del corpo o della faccia.
Nel midollo spinale troviamo anche degli interneuroni che partecipano alla coordinazione dei
riflessi e questi sono il primo esempio di movimento, che non è prettamente volontario, ma è
attuato dai muscoli scheletrici.

Il midollo spinale riceve vie discendenti che partono dalla corteccia motoria, si occupa della
pianificazione, dell'avvio e dell'esecuzione dei movimenti volontari.
Le vie discendenti possono partire anche dal tronco dell'encefalo, cioè sotto la corteccia e quindi
dal mesencefalo, dal bulbo e dal ponte: ci sono alcune regioni che danno vita a vie che arrivano
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agli interneuroni o ai motoneuroni che possono essere anche indipendenti e in qualche caso
danno un controllo verticale.
Poi abbiamo due strutture che non prendono contatto direttamente coi motoneuroni, ma che
partecipano in modo molto importante al controllo della correttezza dell'esecuzione del
movimento e sono i gangli o nuclei della base, situati nella profondità degli emisferi e quindi
sono strutture telencefaliche, e il cervelletto, che si trova a livello rostri-caudale più o meno allo
stesso livello del tronco encefalico, molto importante per la coordinazione.

Unità motrice: motoneurone, il suo assone, tutte le ramificazioni e tutte le fibre muscolari
innervate dalle ramificazioni.
La teoria del reclutamento dice che i primi motoneuroni che vengono eccitati e che inviano i
loro potenziali d'azioni ai muscoli sono quelli piccoli in quanto sono più sensibili e hanno una
soglia di attivazione più bassa.
Le dimensioni dell'unità motrice riguardano sia le dimensioni della singola fibra muscolare, sia
il numero totale delle fibre che fanno parte dell'unità motrice.

Ci vengono dette delle proprietà: per esempio entrambe ricevono dei segnali dai centri
superiori.
- La grossa unità motrice è innervata da un motoneurone grande, assone grande che ha
conduzione rapida (mielinico) ma è relativamente ineccitabile, ha una soglia cioè più alta
di attivazione e quindi viene attivato quando il segnale discendente è piuttosto forte. Le
fibre muscolari sono grandi e numerose, sono veloci come contrazione e come attività
enzimatica e inoltre hanno metabolismo glicolitico; sono reclutate raramente, solo
quando abbiamo contrazioni intense.
- Le unità motrici più piccole sono innervate da un assone di un motoneurone piccolo che
ha conduzione più lenta (sempre mielinico) ma sono relativamente eccitabili perché
hanno una soglia più bassa, per cui basta un minimo segnale della corteccia che il
motoneurone si attiva e inizia una debole contrazione del muscolo.
Le fibre sono poche, di natura lenta e sono ossidative; sono reclutate per prime e sono
frequentemente attive.

Le unità motrici piccole sono più numerose delle grandi nella maggior parte dei muscoli; la loro
proporzione dipende dal tipo di muscolo (esempio muscoli extraoculari piccole ma rapide)

Per quale tipo di attività vengono reclutate prevalentemente determinate unità motrici?
Le unità motrici lente sono usate per stare fermi in piedi o per una camminata lenta e vengono
usati tutti i motoneuroni che danno origine a queste unità motrici piccole. (Contrazione lenta
ma molto resistente)
Le unità motrici intermedie, costituite da fibre rosse rapide, sono usate per una camminata o per
una corsa non troppo veloce. (Più veloci delle fibre lente ma meno delle veloci, sono più
resistenti delle veloci ma meno resistenti delle lente )
Se invece dobbiamo sostenere una corsa, un galoppo oppure un salto allora vengono usate le
unità motrici grandi ad affaticamento rapido. (Contrazione veloce ma a rapido affaticamento)

I riflessi spinali

I riflessi sono risposte automatiche stereotipata ad uno stimolo di cui possiamo essere
riflconsapevoli (come contrazioni muscolari striata) o meno. Ci sono dei riflessi di cui non siamo
consapevoli come il riflesso pupillare, costrizione quando avvertiamo una luce intensa.
È una risposta automatica ad uno stimolo che per essere prodotta ha bisogno di un circuito
composto da 5 elementi: un recettore che recepisce lo stimolo, una via nervosa afferente che

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porta l'informazione recepita dal recettore ad un centro di integrazione, il centro di
integrazione, il SNC che elabora le informazioni e produce una risposta trasmessa una via
efferente ad un effettore, un muscolo o una ghiandola e questo produce una risposta.
I riflessi spinali si chiamano così perché il centro di integrazione è il midollo spinale e l'effettore
è un muscolo scheletrico. Il recettore può essere un recettore muscolare o tendineo o cutaneo
nocicettivo.

Nell'immagine abbiamo recettori che sono i recettori di Pacini: sensibili alla vibrazione,
costituiti dalle terminazioni di una fibra nervosa specializzata nella funzione recettrice e quindi
sono parte integrante del neurone.
La fibra afferente entra nel nervo spinale, attraversa il ganglio della radice dorsale dove si trova
il corpo cellulare del motoneurone, il prolungamento centrale del neurone afferente entra nel
midollo spinale con la radice dorsale.
Questo neurone afferente viene chiamato pseudounipolare. Il terminale del neurone
pseudounipolare può fare sinapsi direttamente con il motoneurone ma non nei casi in cui
abbiamo questi recettori o più frequente è la presenza di interneuroni che vengono attivati dal
terminale e alla fine attivano il motoneurone che si trova nel corno ventrale.
Il motoneurone proietta il suo assone al di fuori del midollo spinale tramite la radice ventrale
che poi si unisce a quella dorsale e forma il nervo spinale misto e poi raggiunge il muscolo
scheletrico e lo eccita provocando la contrazione. Secondo quindi il tipo di recettore e secondo il
tipo di muscolo possiamo avere una diversa risposta.
Le varie fibre afferenti hanno diametri diversi, fattore che influenza la velocità di conduzione, e
hanno differenze anche la presenza o meno di mielina.

I riflessi spinali sono 3:

1. Riflesso miotatico o miotatico diretto o da stiramento : parte dai recettori che sono i
fusi neuromuscolari, la fibra afferente è una fibra di grandi dimensioni mielinica che può
essere la IA o II, entra nel midollo a livello della radice dorsale nel corpo cellulare del
ganglio della radice dorsale, manda un ramo principale nelle strutture sovraspinali
tramite il fascicolo gracile e dei rami si fermano localmente e fanno sinapsi. C'è una
sinapsi singola, una via monosinaptica con un motoneurone IA (che ha il soma nel
ganglio della radice dorsale) che va ad innervare le fibre extrafusali del muscolo stesso
che è stato stimolato.
Il midollo spinale è il centro di integrazione.
C'è poi una via disinaptica con l'intervento di un motoneurone inibitorio che inibisce un altro
motoneurone che va ad innervare il muscolo antagonista.

I fusi neuromuscolari sono organi composti da fibre muscolari intrafusali, cioè fibre muscolari
scheletriche modificate perché sono più piccole delle extrafusali e hanno perso gran parte
dell’apparato contrattile che è rimasto solo nelle porzioni polari.
Queste fibre sono disposte in parallelo alle extrafusali; l’innervazione afferente è rappresentata
da fibre IA che stabiliscono con le fibra intrafusali delle terminazioni anulospirali (si trovano al
centro del fuso), ai lati troviamo le terminazioni con le fibre II (più piccole delle IA) che sono
definite a fiorami.
L’innervazione efferente provvista dai motoneuroni gamma che si trovano nel corno ventrale
del midollo e si trova dove sono presenti gli elementi contrattili e vanno ad innervare le parti
polari del fuso.
L'allungamento del fuso provocato dalla contrazione delle parti laterali provoca la scarica delle
fibre afferenti che si ha quando il muscolo è stirato passivamente. Quando il muscolo si contrae
lateralmente, il fuso si detende quindi se non ci fosse l'innervazione efferente diventerebbe

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silenzioso. Grazie ai motoneuroni gamma le estremità laterali del fuso rimangono tese e quindi
il fuso può continuare a scaricare anche durante la contrazione delle fibre extrafusali.

All’interno del fuso le fibre vengono definite in 2 modi: fibre a sacco di nuclei che hanno un
rigonfiamento centrale contente i nuclei e fibre a catena di nuclei dove i nuclei all’interno della
fibra sono allineati.
Oltre alla differenze morfologica tra queste 2 fibre c’è una differenza funzionale, le fibre a
catena di nuclei vengono definite statiche (possono solo registrare l’allungamento, quindi la
variazione di lunghezza) e sono innervate sia dalle fibre II che dalle fibre IA statiche; mentre
quelle a sacco di nuclei possono essere sia statiche che dinamiche (quelle dinamiche oltre a
registrare l’allungamento sono in grado di rilevare la velocità dell’allungamento); sono
innervate dalle fibre IA.
In ogni fuso neuromuscolare sono presenti entrambi i tipi di fibre.

Quando il muscolo viene stirato vengono stirate anche le fibre intrafusali e viene stimolata la
fibra nervosa afferente (stimolazione dovuta all’allontanamento delle spire che costituiscono le
terminazioni anulospirali); cosi viene prodotto un potenziale d’azione che viaggia lungo la fibra
fino al midollo spinale dove provoca a livello della sinapsi con il motoneurone alfa il rilascio del
neurotrasmettitore con conseguente eccitazione del motoneurone.
Il motoneurone alfa a sua volta produce un potenziale d’azione che ritorna nel fuso e che
termina grazie alle giunzioni neuromuscolari sulle fibre extrafusali che a loro volta si eccitano e
producono un potenziale d’azione e poi si contraggono.

Esistono diversi tipi di terminazioni:


- Anuloaspirale: fa capo alle fibre la: innerva la parte centrale;

- A fiorami: fa capo alle fibre II, leggermente più piccole: innerva la parte para-centrale;

- Innervazione y (attivata da fibre discendenti, non interessata dal riflesso): piccolo


motoneurone y che è sempre mielinico il cui corpo cellulare sta sempre nel midollo
spinale e innerva le parti polari del fuso dove sono rimasti alcuni elementi contrattili. Il
fuso è formato da fibre muscolari modificate che si chiamano intrafusali le quali sono
innervate alcune sia dalle terminazioni la che da II altre solo dalle terminazioni II e tutte
possono essere innervate dalle terminazioni y. L'innervazione y fa contrarre le porzioni
polari e questo serve a mantenere la sensibilità del fuso anche quando il muscolo si
contrae e quindi si accorcia.
Il riflesso miotattico diretto può essere fasico o tonico e la differenza sta nella durata e nell'entità
della risposta ma il circuito è lo stesso.
Esempio riflesso fasico la durata della contrazione è breve ma l’entità è maggiore: riflesso
rotuleo.
Esempio tonico: riflessi antigravitari.
Nel caso del riflesso tonico abbiamo una risposta più lenta e di minore entità, la forza di gravità
è lo stimolo che tende a stirare il quadricipite e la risposta è una contrazione continua del
quadricipite per permetterci di stare in piedi. Tutti i muscoli posturali sono soggetti a questo
riflesso.
I fusi neuromuscolari sono i recettori responsabili di questo riflesso, a forma di fuso che si
trovano nel muscolo stimolato. Sono delle capsule connettivali contenenti da 4 a 12 fibre
intrafusali (fibre muscolari modificate che hanno perso la stiratura ma mantengono l'apparato
contrattile).
Le fibre intrafusali sono innervate dalle fibre la e II. Le fibre la perdono la guaina mielinica nelle
loro terminazioni e si avvolgono a spirale intorno alle fibre intrafusali. Le fibre II terminano
diversamente e ciascuna va ad innervare una fibra intrafusale. Queste fibre sono sensibili
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all'allungamento del muscolo e quindi del fuso. Si dice che il fuso infatti è in parallelo alle fibre
extrafusali.

ESEMPI:
- II riflesso patellare: un esempio di arco riflesso mono-sinaptico del fuso neuromuscolare,
mediante il quale un colpetto sul tendine rotuleo genera la contrazione del muscolo
quadricipite.
Le afferenze nervose fusali formano due comunicazioni sinaptiche nel midollo spinale:
una sinapsi eccitatoria con i neuroni efferenti del quadricipite ed una con interneuroni
inibitori che comunicano con neuroni efferenti che innervano i muscoli flessori della
gamba. I neuroni afferenti inviano anche collaterali che viaggiano nella sostanza bianca
dei midollo spinale fino al tronco dell'encefalo, dove formano sinapsi con interneuroni
che trasmettono informazioni relative alla lunghezza del muscolo a varie aree del
cervello.
Nel caso dell'immagine il quadricipite è un muscolo estensore e per agevolare questa
attività bisogna che nella parte dietro la coscia non ci sia ostacolo e quindi il bicipite della
coscia, flessore, viene inibito.
I muscoli non possono essere inibiti direttamente perché i motoneuroni sono solo
eccitatori e quindi bisogna farlo centralmente: lo fa l'interneurone. Lo stimolo è
rappresentato dall'allungamento passivo del muscolo. Non è il tendine che viene
stimolato ma la percussione provoca lo stiramento del tendine che stira il muscolo che a
sua volta stira i recettori, i fusi neuromuscolari, che vengono così eccitati. La risposta
riflessa è la contrazione del quadricipite che provoca l'estensione della gamba.

- Altro esempio a carico del bicipite brachiale: il braccio viene mantenuto flesso grazie alla
contrazione parziale del bicipite mentre il tricipite nel frattempo sta rilassato e il braccio
mantiene un certo carico (in questo caso il bicchiere vuoto) quindi deve sviluppare una
certa forza; il muscolo rimane contratto grazie alla scarica di un motoneurone che
sviluppa una determinata forza per sorreggere bicchiere vuoto.
Se il bicchiere viene riempito diventa più pesante e quindi il peso tende a far abbassare il
braccio e questo fa stirare il muscolo. Il recettore fusale viene stimolato e porta potenziale
tramite fibra IA al centro di integrazione e vengono attivati i motoneuroni che innervano
il bicipite che si contrae più intensamente e sviluppa una forza maggiore che serve a
mantenere il bicchiere ora pieno e contemporaneamente viene inibito il motoneurone che
innerva il muscolo tricipite brachiale che si rilassa.

A cosa serve il riflesso miotatico? Oltre a mantenerci in piedi serve a contrastare le variazioni
di carico. Esempio del bicchiere di prima.
La fibra porta le informazioni che vengono sollecitate dallo stiramento passivo del muscolo
quindi lo stimolo che provoca l'attivazione della fibra è l'allontanamento delle spire.
I motoneuroni gamma vengono attivati da fibre discendenti insieme ai motoneuroni alfa e
questo si chiama coattivazione alfa-gamma. La funzione dei motoneuroni p è quella di
mantenere le fibre abbastanza distanziate anche quando le fibre extrafusali si contraggono.
Il riflesso miotatico può essere considerato un meccanismo di feedback negativo per evitare
l'eccessivo allungamento.

2. Riflesso tendineo o miotatico inverso: la risposta riflessa è una interruzione della


contrazione muscolare a seguito di uno stiramento passivo su un muscolo già contratto.
È un riflesso protettivo perché evita la lacerazione dei muscoli e tendini.

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Il recettore è l'Organo Tendineo di Golgi: si trova nei punti in cui i tendini si attaccano alle
ossa; è una struttura incapsulata che contiene terminazioni di fibre nevose della fibra afferente
IB incapsulata nelle maglie di collagene.

Lo stiramento passivo del muscolo non stimola abbastanza l'organo tendineo mentre la tensione
attiva a cui è sottoposto il tendine li attiva (il rilasciamento non a attivazione recettore); le cose
si possono anche sommare cioè se la contrazione è associata allo stiramento si avrà una scarica
ancora maggiore. (Si può arrivare così all’interruzione della contrazione)

Ad esempio quando sosteniamo con il bicipite un carico molto pesante, all'inizio ce la facciamo
ma dopo un po' lo lasciamo andare. Inizialmente si ha la contrazione che sostiene il carico, poi il
troppo peso abbassa il braccio che sostiene il peso troppo elevato, cosi oltre alla contrazione si
ha uno stiramento; così il neurone tendineo del golgi scarica.
La scarica viene portata nel midollo spinale tramite via afferente IB (anche questa fibro ha il
soma nel ganglio della radice dorsale); a questo punto scarica entra tramite corno posteriore del
midollo.
Questo riflesso è bisinaptico perché una volta arrivato al midollo fa sinapsi con un
interneruone inibitorio il quale a sua volta inibisce il motoneurone alfa che innerva il muscolo in
questo caso bicipite, che a questo punto interrompe la sua contrazione, il muscolo si rilascia e il
peso cade (per evitare danni); ma contemporaneamente La stessa fibra IB fa sì che si contragga
il muscolo antagonista in modo da avere un rilascio controllato del muscolo omolaterale (per
evitare danni all’articolazione).

3. Riflesso flessorio: consiste in una risposta riflessa in questo caso una flessione e lo
stimolo che la produce è uno stimolo dolorifico; esempio quando mettiamo il piede in un
chiodo vengono stimolati i nocicettori e tramite una via afferente rappresentata o da una
fibra A delta mielinica sottile o una fibra C amielinica raggiunge corno dorsale midollo
spinale e dopo numerose sinapsi si evocano numerose risposte: i flessori di piede
ginocchio e anca vengono attivati e i corrispettivi estensori vengono inibiti.
Quando il riflesso riguarda arti inferiori esiste anche una componente crociata, chiamata
riflesso flessorio crociato e consiste nell’attivazione/inibizione di popolazioni motoneuronali
dell’altro lato del midollo tramite interneuroni che andranno a stimolare in questo caso
l’estensione e inibire la flessione dell’arto controlaterale a quello che ha ricevuto lo stimolo
nocicettivo, ciò serve a dare maggior sostegno al corpo perché tutto il peso dovrà essere
sostenuto da quella gamba. (Arto che ha subito dolore si solleva da terra)

È un riflesso polisinaptico e polisegmentale ovvero coinvolge motoneuroni che si trovano in


diversi mielomeri; per cui le informazioni salgono e scendono nei vari mielomeri per prendere
contatto tramite interneuroni con i motoneuroni più prossimali e più distali)
Il riflesso flessorio è evocato da uno stimolo doloroso che attiva i nocicettori ovvero le
terminazioni libere delle fibre A delta e C (le vie nocicettive sono le vie afferenti).
Queste fanno sinapsi con un interneurone poi ci sono diversi interneuroni che eccitano i
motoneuroni i quali fanno contrarre il muscolo flessore. Contemporaneamente si ha
un'inibizione dell'estensore: questi eventi accadono nella stessa metà del midollo. Nell'altra
metà del midollo viene inibito il flessore ed eccitato l'estensore. Questo è più evidente a livello
dell'arto inferiore in quanto serve a mantenere la postura. Questi due eventi costituiscono il
riflesso estensorio crociato.

Quindi:
a) Riflesso flessorio: eccitazione del muscolo flessore e inibizione del muscolo estensore.
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b) Riflesso estensorio crociato: inibizione del muscolo flessore ed eccitazione del muscolo
estensore.

Questi riflessi citati possono essere evocati anche a livello dei muscoli facciali, come ad esempio
il riflesso del massettere (il circuito si troverà nel tronco encefalico)

La locomozione

A livello del midollo ci sono circuiti che controllano semplici attività motorie come la
locomozione. È un'attività volontaria e automatica una volta che abbiamo acquisito gli schemi
di comportamento; consiste in un’alternanza di flessione ed estensione per lo stesso arto.
Siamo coscienti ma non dobbiamo prestare attenzione perché abbiamo acquisito un
automatismo grazie a dei centri che si trovano anche nel midollo spinale (gli altri nel tronco
dell’encefalo, nuclei della base, cervelletto…)
Alla deambulazione partecipano anche dei controlli riflessi di natura propriocettiva e tattile
che anche in caso di separazione del circuito spinale dai circuiti tronco encefalici, purché ci sia
un adatto imput sensoriale. (Esperimento del gatto)
La masticazione, la deglutizione, i movimenti oculari, l'assunzione di cibo e acqua sono
anch'essi automatismi.
Prendiamo per esempio il gatto: c'è un'alternanza nei due arti nell'attività dei muscoli flessori ed
estensori. Nel passo si distinguono due fasi:
 Fase di oscillazione: rimane costante e vengono attivati i flessori.
 Fase di appoggio: cambia a seconda della velocità del cammino (più è veloce l'andatura,
più è breve la fase di appoggio) e vengono attivati gli estensori.

È stato dimostrato nel gatto che anche separando il midollo dai centri di controllo superiori (in
particolare nel mesencefalo) le popolazioni di neuroni riescono a controllare l'attività ritmica dei
muscoli per la deambulazione anche in modo coordinato.
Il gatto è stato sottoposto ad una sezione a livello lombare del midollo, in modo da separare
motoneuroni che controllano arti inferiori dai centri di controllo superiori della locomozione.
Questo gatto è stato poi posto su un tapis roulant che fornisce stimoli sensoriali afferenti, tipo
stiramento dei muscoli, deformazioni piante delle zampe e si è visto che questo animale è in
grado di mantenere ugualmente il passo: in oscillazione l'arto posteriore sinistro si solleva e
poco dopo, prima che il sinistro si appoggi viene sollevato l'arto anteriore sinistro, poi si solleva
il posteriore destro e in ultimo l'anteriore destro. Nel passo si ha quindi 1 arto sollevato e 3 a
terra).
Il gatto riesce a mantenere il ritmo sia aumentando sia diminuendo la sua velocità (a seconda se
il tapis roulant accelera o rallenta)
Nel trotto invece l'anteriore sinistro e il posteriore destro sono sollevati nello stesso momento,
mentre gli altri due sono a terra. Anche il neonato nei primi giorni di vita se sostenuto muove i
piedi come per camminare.
N.B. nel tronco encefalico ci sono dei centri sottocorticali (come abbiamo visto nella
deambulazione per certa misura anche nel midollo spinale) che si occupano di pattern motori
semplici che possono avvenire in maniera automatica (es. la locomozione) e del controllo della
postura, riflessi di difesa, masticazione..., cioè che non dobbiamo pensare ciò che realmente
facciamo (aprire bocca, contrarre massettere…)
Queste azioni sono controllati da feedback sensoriali.

Riflessi propriocettivi che partecipano alla deambulazione:


Riflesso fusale sia statico che dinamico, riflesso del golgi, recettori articolari, deformazioni
cutanee, stimoli nocivi e pressione.

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Durante fase di appoggio (estensione) c’è un’influenza periferica maggiore (propriocetiva e
tattile perché gamba in appoggio) e una minore delle strutture centrali che facilitano la
contrazione muscolare per rendere la fase di appoggio più stabile. (Si dice che il parkinsoniano
abbia problemi nella fase di appoggio perché le risposte riflesse vengono diminuite)
Durante la fase di oscillazione l’attività riflessa viene inibita (piede non n appoggio) che viene
dai propriocettori, così viene inibita l’estensione per facilitare la flessione.

Le vie motorie discendenti (Guarda quaderno)


I motoneuroni responsabili del controllo dei muscoli volontari possono essere attivati con i
riflessi oppure da queste vie discendenti che provengono da regioni diverse. Vengono
raggruppate in base a dove decorrono a livello del midollo in:
- Gruppo laterale;
- Gruppo ventro-mediale.

C'è il fascio piramidale che origina dalla corteccia motrice, il tratto cortico-bulbare che origina
più lateralmente e termina nel bulbo. Il tratto rubrospinale origina dal nucleo rosso nel
mesencefalo e termina nei motoneuroni che controllano mani, avambraccio e gambe. Il tratto
vestibolo-spinale nasce dai nuclei vestibolari e termina sui motoneuroni che controllano i
muscoli di tronco e gambe, il tetto-spinale nasce nel mesencefalo e termina nei motoneuroni che
controllano collo e tronco mentre il reticolo-spinale origina dalla formazione reticolare. Il tratto
cortico-spinale ventrale che origina dalla corteccia cerebrale, decussa a livello del bulbo e
controlla la parte centrale del corpo, mentre quello laterale non decussa e controlla i muscoli del
tronco.
N.B. La formazione reticolare è formata da sostanza grigia i cui neuroni non sono associati (in
nuclei) ma sono sparsi nella sostanza bianca. La formazione reticolare del mesencefalo e del
ponte superiore controlla l'attività dell'encefalo ed è coinvolta nella generazione del sonno. La
formazione reticolare del ponte inferiore e del bulbo serve alla coordinazione premotoria dei
motoneuroni inferiori ad esempio per il mantenimento anticipatorio della postura.

La corteccia motoria

È LA RGIONE COINVOLTA NEL Si occupa della pianificazione, dell’avvio e dell’esecuzione


dei movimenti volontari: il movimento volontario dipende dall'interazione di molte aree della
corteccia celebrale, del cervelletto e dei gangli della base.
Le aree motorie della corteccia cerebrale sono organizzate come una rete diffusa in cui ciascun
elemento contribuisce al controllo delle vie motorie discendenti.
In base alla posizione la corteccia motoria può essere primaria, secondaria o supplementare: si
trova nel lobo frontale.

Le aree coinvolte, in primis, nel movimento del corpo e della testa sono la corteccia motoria
primaria (area 4), l'area pre-motoria o motoria secondaria, l'area motoria supplementare
(entrambe area 6) le aree motorie del giro del cingolo (si trova nella porzione mediale di ogni
emisfero) che controllano i muscoli mimici della faccia a seconda degli stati emotivi.
I campi visivi frontali sono importanti per i movimenti oculari e contribuiscono all'inizio delle
saccadi volontarie cioè quei movimenti rapidi che servono a riportare lo sguardo su un punto di
fissazione (cioè riagganciare rapidamente lo sguardo su un punto fisso) come quando siamo in
treno.

La suddivisione in aree di Brodmann si basa sulla tipologia delle cellule, sul loro
addensamento, sulla stratificazione e lo spessore dei vari strati. Ce ne sono 49. (Sono sia aree
motorie, sia aree sensitive e sia aree associative)
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Aree 1,2 e 3 Area sensitiva primaria: Si trova nel lobo parietale. Ha un’organizzazione sensitiva
detta homunculus sensitivo, cioè caricatura per concettualizzare la diversa innervazione delle
parti del corpo: più una parte è innervata più è grande (mani, lingua viso grandi)
Qui arrivano fibre dalla sensibilità somatica generale che provengono dai nuclei ventrali
posterolaterali (VPL) e posteromediali (VPM) del talamo.

Area 4 Area motoria primaria: si trova nel lobo frontale (nel giro precentrale) è quella attivata
per prima quando si inizia una stimolazione elettrica, quella che ha la soglia di attivazione più
bassa e quella preposta alla generazione del comando motorio.
Contiene una mappa della muscolatura (homunculus motorio): non è altro che una caricatura in
cui le proporzioni delle nostri parti del non corrispondono a quelle reali del nostro corpo ma
sono proporzionali al numero di motoneuroni superiori preposti al controllo dei muscoli
scheletrici; cioè più un muscolo è innervato da motoneuroni superiori più questo muscolo è
rappresentato grande. (Mani, strutture intraorali come lingua e viso rappresentati molto grandi,
mentre arti e tronco e piedi più piccoli)
La parte mediale controlla muscoli arti inferiori, poi movimenti del tronco, poi movimenti arti
superiori: da qui parte fascio corticospinale; infine muscoli della faccia (parte più laterale): da
qui parte fascio corticobulbare. Anche se questa suddivisione non è così netta, possono esseri
motoneuroni che controllano mano anche in parti più mediali e viceversa) Queste aree si
occupano dei movimenti, più motoneuroni controllano i muscoli più movimenti può fare e
quindi più sono grandi queste aree. (Ogni emisfero contiene la rappresentazione dell’emicorpo
opposto)

Studi più recenti hanno dimostrato che non è il muscolo a essere controllato dal neurone
corticale tramite poi motoneurone spinale ma piuttosto delle azioni

Esempio: la corteccia motoria della scimmia macaco, la zona che regola arto superiore, in
seguito a stimolazione fatte inserendo un elettrodo lago, ogni punto che si vede nell’immagine
fatta la stimolazione corrisponde ad un sito d’ingresso dell’elettrodo; ogni punto ha un colore
diverso che varia in base al tipo di movimento provocato in quel punto.
I punti verdi che si trovano nella parte laterale della corteccia provocano un movimento di
avvicinamento della mano alla bocca; punti rossi che sono più mediali provocano un’azione di
difesa, punti blu centrali provocano movimento arto come se dovesse raggiungere un oggetto,
punti viola più mediali provocano movimenti di manipolazione nello spazio, i punti gialli
superiormente movimenti come se animale dovesse arrampicarsi, i puntini piccoli indicano altri
movimenti e le croci assenza di movimento.
Parlando dei punti verdi specifichiamo che la mano raggiunge sempre la stessa posizione cioè
la bocca partendo da qualunque posizione iniziale nello spazio.

Area 6 Area premotoria e area motoria supplementare: Si trova anteriormente a quella


motoria; area premotoria si trova lateralmente mentre quella motoria supplementare si trova
medialmente.
Entrambe ricevono afferenze dai nuclei ventrali anteriori e laterali del talamo, dalle aree visive e
dalle regioni somatosensoriali.

Area 5 e 7: area sensitiva associativa, si trova nel lobo parietale, riceve afferenze da area
sensitiva primaria e pulvinair e invia fibre alla corteccia motoria.

Area 8 Campo visivo frontale.

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Area 17 Area visiva primaria: è la regione di corteccia attivata per prima dalla stimolazione
visiva; riceve afferenze a copro genicolato laterale.

Aree 18 e 19 aree visiva secondaria: ricevono afferenze da area visiva primaria.

Area 22 Area di Wernicke: deputata alla comprensione del linguaggio parlato e scritto e anche
lei si trova solo nell'emisfero sinistro.
La corteccia sensoriale primaria, che si trova nel lobo parietale, prende informazioni dal talamo,
tutte le altre aree sono di associazione in quanto ricevono più informazioni di diversa natura
dalle regioni corticali e controllano il movimento volontario.

Area 41 Area acustica primaria: si trova nel lobo temporale (nella scissura laterale), ha
organizzazione tonotipica e riceve afferenze da corpo genicolato mediale.
Quest’area invia impulsi all’area 42.

Area 42 area acustica secondaria: Avvolge area 41 e ne riceve gli impulsi; a sua volta è avvolta
da area 22 e altre superiori a cui invia impulsi.

Aree 44 e 45 = Area di Brocà e del linguaggio articolato: necessaria alla produzione del
linguaggio parlato. Si trova solo nell'emisfero sinistro.

La corteccia motoria primaria di ogni emisfero controlla il movimento


controlaterale ed è organizzata in più livelli:

a) Organizzazione topografica o somatotopica: si basa sulla funzione per cui varie regioni
della corteccia sono responsabili del controllo dei movimenti fatti dal corpo
controlateralmente. L'homunculus motorio rappresenta le mappe dell'area corticale e
secondo queste la porzione superiore del giro corrisponde all'arto inferiore, la parte
media al tronco e agli arti, mentre la parte inferiore corrisponde alla faccia. Inoltre le
parti del corpo deputate a movimenti più fini e complessi come ad esempio le mani,
ricoprono aree più grandi rispetto alle parti del corpo con movimenti più grossolani
come le spalle. Questa organizzazione è presente anche nell'aria supplementare e pre-
motoria.

b) Organizzazione laminare: la corteccia cerebrale è formata da 6 strati di cellule in base


alla loro morfologia. Questi strati sono:
1. Strato molecolare.
2. Strato granulare esterno.
3. Strato piramidale esterno.
4. Strato granulare interno.
5. Strato piramidale interno.
6. Strato delle cellule polimorfe.

La stratificazione tipica ha 5 tipi di aree corticali:

1. Area motoria: il IV° strato è assente anche se ci sono poche cellule piramidali provenienti
dal III° e dal V° strato.
Abbiamo quindi il I° strato, il II° con piccole cellule piramidali (proiettano ad altre aree
dello stresso emisfero), il III° che può essere a sua volta suddiviso in Illa e Illb con cellule

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piramidali in medie e piccole e Illc con cellule piramidali grandi. (Proiettano all’altro
emisfero tramite il corpo calloso o aree dello stesso emisfero)
Il V° con cellule piramidali e il VI° con cellule a morfologia varia (proiettano al talamo o
ad altre aree corticali sia dello stesso emisfero, sia nell’altro tramite il corpo calloso); tutte
queste cellule piramidali non di betz mandano le loro fibre nel corno anteriore del
midollo ma sinaptano con interneuroni.
Nel V° si trovano cellule piramidali giganti di Betz (sono presenti solo nell’area 4) dalle
quali partono gli assoni del fascio cortico-spinale (o cortico-bulbare) che sinaptano
direttamente con i motoneuroni.
Queste cellule del II, III V e VI sono dette di proiezione perché i loro assoni escono dalla
corteccia.
2. Corteccia premotoria detta digranulare con una piccola presenza di strato granulare.

3. Aree associative: è detta corteccia omotipica con una organizzazione laminare perfetta. Il
I° strato è vuoto, il II° con piccole cellule piramidali, il III° ha sempre i tre strati a, b e c
con cellule piramidali con dimensioni diverse, il IV° ha cellule piramidali, il V° cellule
piramidali e il VI° diviso in due strati a sua volta con cellule polimorfe.

4. Area sensoriale secondaria con il quarto strato ben visibile.

5. Aree sensoriali che sono l'area somatosensoriale primaria, l'uditiva primaria e la visiva
primaria. La gustativa e l'olfattiva non sono qui perché quando è stata fatta questa
classificazione non sapevano dove fossero.

In queste aree sono sviluppati tutti gli strati: nel I° abbiamo poche cellule, nel II° cellule piccole
granulari e si chiama strato granulare esterno, il III° comprende cellule piramidali, il IV° è molto
spesso in quest'area ed è lo strato granulare interno. Il V° è vuoto in quest'area e il VI° è diviso
in due sotto strati A e B con diversi tipi di cellule più dense in A che in B.
Le cellule piramidali giganti hanno una base follicolare, un dendrite apicale che può
raggiungere gli strati superficiali della corteccia, dendriti basali, un assone molto piccolo e
nucleolo visibile.
Nella corteccia i neuroni piramidali del secondo strato hanno un assone che si porta nello stesso
emisfero, quelli del terzo strato si portano nello stesso emisfero ma anche controlateralmente,
quelli del quinto strato vanno alle strutture sottocorticali dello stesso emisfero e di quello
controlaterale, nel sesto ci sono neuroni che proiettano ad altre aree della corteccia dello stesso
emisfero e del controlaterale, al talamo e al claustro. L'uomo rispetto alla scimmia ha più solchi
e un lobo frontale più ampio.

c) Organizzazione colonnare: le colonne sono gruppi di neuroni con un orientamento


radiale. Le linee rosse nella corteccia indicano il tragitto degli elettrodi inseriti che
provocano movimenti diversi. In una colonna i neuroni hanno tutti la stessa azione.

È stato dimostrato (nel cervello di ratto) che esistono interazioni inibitore tra regioni della
corteccia motrice che controllano movimenti di diverse aree del corpo.
Prendiamo la zona che controlla l’arto anteriore e quella che controlla le vibrisse (sono 2 zono
vicine), stimolando la zona delle vibrisse (sono gli organi tattili di vari mammiferi come felini e
roditori, in questo caso i baffi) e registrando dalla zona del muscolo dell’arto anteriore non si
osserva nessun movimento. (Chiaramente questo stimolo alle nibrisse farà muovere solo le
nibrisse)
Se si inietta bibiculina (un inibitore del gaba) e stimolo la zona delle vibrisse, si osserva la
contrazione del muscolo dell’arto anteriore.

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Ciò implica che esistono dei circuiti inibitori di controllo che impediscono la propagazione
dell’impulso eccitatorio.
Se si toglie bibiculina e si stimola di nuovo la zona fibrisse non si osserva più nessuna attività
nell’arto anteriore del ratto. (È un effetto reversibile)
Quello che si nota quindi è che la corteccia motrice che controlla le nibrisse può attivare dei
neuroni che vanno a far contrarre muscoli dell’arto anteriore e contemporaneamente attivare
interneurone inibitorio che impedisce la contrazione all’arto anteriore. (Quindi tramite
bibiculina inibendo sinapsi gabaergica, cioè inibitoria, abbiamo l’attivazione del movimento
dell’arto anteriore)

I neuroni corticospinali scaricano prima che si verifichi la contrazione volontaria dei rispettivi
muscoli: la scarica è associata alla forza contrattile ma l'attività di un solo neurone può
codificare in tempi diversi vari parametri di movimento in base alla sua esecuzione.
Infatti il potenziale d’azione del neurone corticale motorio precede l’attività elettrica del
muscolo che a sua volta precede l’attività contrattile; tra potenziale d’azione e attività contrattile
è presente un intervallo di tempo che per i neuroni dell’area primaria è di circa 200 ms. (Quindi
la scarica precede il movimento di circa 200 ms)

Un altro parametro che può essere codificato dall’attività dei motoneuroni della corteccia è la
direzione del movimento che sta per avvenire.
Nella corteccia motrice possono esserci neuroni dinamici che scaricano durante la variazione
della concentrazione oppure statici che scaricano durante il cambiamento di posizione e
segnalano quella nuova. Oltre a questi ci sono anche i neuroni misti.
La scarica dei neuroni motori inizia prima dell'avvio del movimento solo se questo avviene a 90
°, 135 °, 180° e 225°: se deve avvenire a 270° verso il basso non c'è reazione quindi quei neuroni
non partecipano a generare il movimento.
Una popolazione di neuroni quindi codifica per un tipo di movimento mentre un'altra per un
altro movimento. Inoltre l'attività dei neuroni motori corticali può impedire la direzione del
movimento che sta per avvenire. (Ogni neurone ha quindi una massima attività in
corrispondenza di una direzione)

I neuroni dell'area 4 scaricano prima dell'inizio del movimento mentre l'area premotoria scarica
ancora prima (in questo caso intervallo di tempo tra scarica e movimento è di circa 800 ms).
L'area premotoria (serve a preparare il movimento) si attiva in risposta ad uno stimolo esterno,
la supplementare invece si attiva quando il movimento viene ideato dopo un programma
interno.

Esempio: animale istruito a muovere la mano (che attualmente è ferma sopra un cubo centrale)
a destra o a sinistra (in entrambi lati c’è un cubo dove posizionare la mano): prima compare un
istruzione che dice da che parte deve muovere la mano (stimolo istruttorio, non è altro che il
cosiddetto “pronti”), poi compare un stimolo trigger (non è altro che il cosiddetto “via”) che
compare ad intervalli diversi.
Ciò che si nota è che se l’animale deve muovere la mano dal centro a sinistra, l’area premotoria
inizia a scaricare e la durata della scarica termina poco dopo la comparsa del stimolo trigger; si
sono fatte prove con intervalli diversi tra stimolo pronti e stimolo via e si è visto che comunque
l’area premotoria scarica per tutta la durata dello stimolo pronti e fino poco oltre lo stimolo via.
Se questa popolazione neuronale viene registrata quando l’animale viene istruito a compiere
l’azione opposta (mano da centro verso destra), la scarica cessa dallo stimolo pronti fino a poco
dopo lo stimolo via.
Come se questa popolazione neuronale codifica e prepara sequenza motoria per movimento
verso una direzione, in questo caso sinistra, e si azzittisce quando l’animale muove verso

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direzione opposta, cioè verso destra. (Per evitare di ostacolare un’altra popolazione neuronale
che codificherà il movimento opposto, quindi il movimento verso destra)

La risonanza magnetica funzionale permette di visualizzare le aree cerebrali attive durante la


stimolazione sensoriale specifica sulla base della variazione del flusso ematico locale (aumenta
subito dopo la scarica): l'arrivo del flusso ematico fa aumentare i valori di emoglobina
ossigenata rispetto al valore di base e a quella non ossigenata questa afferenza genera un
segnale magnetico che viene convertito poi in elettrico. Se il movimento semplice si attiva la
corteccia motoria primaria e la sensoriale, se è più complesso si attivano la supplementare e la
motoria. Se il soggetto deve solo immaginare il movimento si attiva la supplementare motoria.
(Notiamo come il compito motorio eseguito con la mano destra attiva l’emisfero sinistro e
viceversa, vale anche per quello sensoriale)

Differenze tra aree motorie primaria, premotoria e supplementare in 2 condizioni


Consideriamo queste 2 condizioni: se il movimento viene avviato in seguito ad uno stimolo
visivo o se il movimento viene avviato in seguito ad uno stimolo interno (memorizzato).
L’area motoria primaria in entrambe le condizioni mantiene un pattern di scarica molto simile,
l’area premotoria si attiva solo in seguito ad uno stimolo visivo (non si attiva quando lo stimolo
viene attivato in seguito ad attività interne, come motivazioni interne); mentre al contrario la
supplementare motoria si attiva molto di più quando lo stimolo è inetrno.
L'attività dei neuroni corticali può essere modificata se c'è una partecipazione attiva
nell'esecuzione del movimento oppure no.
Per esempio se devo fare un flessione di avambraccio su braccio con un peso, se mentre eseguo
il movimento aumento quel peso inizialmente si ha una piccola deflessione, cioè il braccio viene
spostato verso la posizione di partenza, poi si avrà un aumento della scarica del neurone
corticale per correggere il movimento e continuare la flessione. (Ciò corrisponde anche ad un
aumento della contrazione del muscolo)
Inizialmente abbiamo una risposta riflessa (perché abbiamo contemporaneamente stimolazione
recettori del muscolo e recettori del tendine) poi abbiamo una riprogrammazione del
movimento (interviene anche il cervelletto) con una maggiore scarica.
Dipende anche dallo stato di coscienza della persona: altro esempio se il soggetto deve tenere il
braccio flesso con un carico (tricipite destro è attivo e braccio destro fermo), poi toglie il peso,
può toglierlo o con l’altro braccio o può essere tolto da una persona esterna. Se il carico viene
rimosso dallo stesso soggetto con altro braccio, la posizione del braccio che sorregge rimane
costante e la forza diminuisce, ovviamente il bicipite sinistro si flette perché deve togliere il
carico; in questo caso il bicipite destro si rilassa prima che viene tolto il carico, questo perché c’è
un’azione anticipatoria della corteccia motrice che può modulare le contrazioni. (Perché c’è
un’azione consapevole del soggetto)
Se il carico viene rimosso da un soggetto esterno la posizione del braccio che regge il peso
cambia, inizialmente abbiamo un sollevamento perché il bicipite rimane contratto e si inibisce
con un ritardo.
Anche in questo la forza diminuisce lo stesso, ovviamente il braccio sinistro non si contrae (non
deve fare nessuna azione); mente il notiamo che il bicipite si rilassa dopo che è stato tolto il
carico. (Perché non c’è un’azione consapevole del soggetto)
Esistono infatti delle reazioni compensatorie che si attivano insieme al movimento volontario.

Le aree reclutate durante le varie fasi del movimento sono diverse, nella fase iniziale di
preparazione del movimento si nota una maggiore attivazione dell’area premotoria. Durante
l’esecuzione del movimento abbiamo l’attivazione dell’area 4 e dell’area somatosensoriale e
successivamente l’attivazione delle aree più posteriori.

I neuroni specchio
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Sono stati scoperti nella corteccia premotoria laterale nel settore ventrale-anteriore (vicino
all'area di Brocà). Furono scoperte negli anni 90 da un gruppo di ricercatori con delle scimmie:
un ricercatore prese una nocciolina, la scimmia era lì e sentirono una scarica del neurone della
scimmia. La scimmia vedeva il movimento e venivano attivati i neuroni come se stesse facendo
quel movimento; (Gli stessi neuroni che scaricano quando la scimmia compie il movimento
scaricano anche quando la scimmia vede il movimento ma con minore intensità); per questo
motivo questi neuroni sono stati chiamati specchio perché riflettono l’azione dello
sperimentatore.
Se lo sperimentatore prende però la nocciolina con una pinza e non con le mani la corteccia
della scimmia non si attiva, i neuroni specchio non riflettono l’azione. (Non scarica)
I neuroni specchio scaricano anche se viene nascosta l’ultima parte del movimento, cioè è
visibile il braccio dello sperimentatore che si avvicina a prendere la nocciolina, ma il vassoio
dove è presente la nocciolina è nascosto; quindi non vede la parte finale dell’azione. (Ma la
scimmia sa che li nascosto è presente un vassoio con delle noccioline)
I neuroni specchio ci permettono di capire il significato delle azioni degli altri soggetti e le loro
intenzioni: funzionano anche quando gesto finale viene nascosto.
Si attivano sulla base dei nostri movimenti, quelli in cui siamo competenti a livello motorio
perché se non abbiamo la competenza del movimento non si attivano. Sono coinvolti anche
nell'apprendimento del linguaggio e nelle emozioni (infatti nei soggetti autistici sono
danneggiati).
Quindi abbiamo la corteccia motoria primaria manda il risultato finale dell’integrazione (che
dipende anche dalla corteccia premotoria e supplementare) all’emisfero opposto nei
motoneuroni del midollo spinale. (Tramite il fascio cortico-spinale crociato)

Fibre in uscita dalla corteccia motoria (fibre efferenti)

 Tratto corticospinale: parte da regioni come per esempio la mano, decussa a livello delle
piramidi bulbari e in particolare il corticospinale mediale parte da regioni più mediali e
poi decussa;
 Proiezioni locali di collaterali assoniche delle cellule Betz: servono per definire i limiti
del segnale eccitatorio con i circuiti inibitori; (di solito termina lamina IX nrl midollo)
 Fibre corticali all'emisfero opposto tramite il corpo calloso;
 Fibre corticostriate al nucleo caudato e putamen (anno parte dei gangli della base) che a
loro volta proiettano al tronco encefalico e al midollo spinale (al midollo indirettamente,
tramite al talamo);
 Fibre cortico rubre al nucleo rosso che poi con il fascio rubrospinale proietta al midollo;
 Fibre corticali alla formazione reticolare (mantiene la postura) tramite via reticolospinale
e ai nuclei vestibolari (per la testa) tramite via vestibolospinale che poi proiettano al
midollo;
 Fibre corticopontine tra cui all'oliva inferiore che poi proietta al cervelletto (in base al
movimento può inviare dei segnali di aggiustamento).

La corteccia motoria riceve anche delle vie afferenti

 Fibre cortico-corticali da aree corticali adiacenti ovvero parietale, somatosensoriale,


frontale anteriore, visive e uditive (indirettamente)
 Fibre cortico-corticali dall'emisfero opposto tramite il corpo calloso;
 Fibre somatosensoriali dal complesso ventrobasale del talamo;
 Fibre talamo-corticali dai nuclei ventrolaterale e anteriore che ricevono input dal
cervelletto e dai gangli della base;

35
 Fibre talamo-corticali dai nuclei intratalaminari del talamo che controllano il livello di
eccitabilità della corteccia motoria e di altre regioni corticali.

Il fascio corticospinale così come la corteccia motrice possono essere danneggiati, il che porta ad
avere problemi nei movimenti volontari e in base alla lesione si hanno diverse sindromi:

A. Sindrome del motoneurone superiore dovuta a lesioni nella corteccia motoria o alla
sostanza bianca in seguito a ictus o emorragia. Porta a debolezza dell'arto, rigidità
(spasticità), aumento del tono, riflessi profondi iperattivi, clono, segno di babinski e
perdita di movimenti volontari raffinati. (Come movimento dita)
Questi sono sintomi che riguardano l’emilato opposto alla lesione.

B. Sindrome del motoneurone inferiore (è quello spinale): i sintomi sono debolezza o


paralisi muscolare, abolizione dei riflessi superficiali e ridotti riflessi profondi,
ipotono, fascicolazioni (contrazione spontanea e rapida ad intervalli regolari di una o
più unità motorie) e fibrillazioni e atrofia muscolare severa. Inoltre se si ha una
paralisi del quadrante inferiore sinistro la lesione è sia nella corteccia motoria
primaria che in quella del cingolo. Se invece il danno è a livello del nervo facciale
interessa metà faccia sia superiore che inferiore.
Questi sono sintomi che riguardano lo stesso lato della lesione.

Segno di babinski: segno di una lesione del fascio corticospinale (avviene anche nei
bambini che non è ancora formato del tutto) consiste in un’estensione e
allontanamento da parte delle dita in seguito a stimolazione plantare (soggetto sano
risponde con una flessione delle dita)

Esempio di un danno alla corteccia supplementare: una scimmia deve prendere del
cibo in un buco, una scimmia normale riesce a premere il cibo in un buco con un
mano e con l’altra mano riesce a prenderlo dall’altra parte; mentre una scimmia con
questa lesione non riesce a coordinare l’attività dei 2 arti e quindi spingi il cibo nel
buco con entrambe le dita e non riesce ad ottenerlo.

Esempio di paralisi facciale: la porzione di faccia paralizzata ci permette di dedurre a


che livello è avvenuta la lesione (Paralisi centrale o periferica).
Riusciamo a distinguere ciò perché all’interno del nucleo del nervo cranico facciale i
neuroni assumono un’organizzazione somatotopica: Alcuni innervano muscolatura
frontale, altri orbicolare…, viene riproposta una sorta di mappa motoria del volto in
cui i neuroni superiori innervano parte superiore faccia e quella inferiore parte
inferiore (come quella dell’homunculus motorio).
L’innervazione delle fibre motorie dei motoneuroni sottostanno al sistema
piramidale, possiamo dividere l’innervazione a seconda della porzione del nucleo
corrispondente: se considero il terzo superiore o i 2 terzi inferiori.
Se considero la porzione di volto di destra, l’innervazione della parete superiore del
volto è bilaterale mentre l’innervazione dei 2 terzi inferiori è esclusivamente
controlaterale (come gli altri nuclei dei nervi cranici).
Sapendo questo sappiamo che se la lesione è a livello del nucleo stesso (dopo ictus) o
al nervo facciale il tipo di alterazione facciale sarà dislocata a metà del volto (tutta la
muscolatura mimica).

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Mentre se la lesione riguarda una qualsiasi stazione della via piramidale (in questo
caso fascio corticobulbare) prendendo le fibre che vanno ad innervare il nucleo e non
riguarda il nucleo stesso, in questo caso la paralisi sarà confinata solo alla parte
inferiore del volto, perché alla parte superiore ci pensa la via piramidale
controlaterale.
Quindi se ho un ictus che riguarda la via piramidale del nucleo di sinistra la paralisi
riguarderà solo i 2/3 inferiori perché per il terzo superiore ci pensa la via piramidale
controlaterale.
Quindi se il problema riguarda metà volto completo si parla di paralisi

Gerarchia del controllo motorio


1) Centri superiori:
Funzione: formano piani complessi in accordo con le intenzioni dell'individuo e comunicano
con il livello medio tramite neuroni di comando. (Neuroni di comando: neuroni area 4
principalmente)
Strutture: aree coinvolte in memoria ed emozioni, corteccia sensorimotoria e associativa; tutte
queste strutture ricevono input da strutture cerebrali.

2) Livello medio:
Funzione: converte i piani ricevuti dai centri superiori in programmi motori più limitati che
specificano il pattern di attivazione nervosa necessaria per eseguire il movimento.
Questi programmi vengono frazionati in sottoprogrammi che determinano il movimento di
singole articolazioni.
I programmi e i sottoprogrammi vengono trasmessi con le vie discendenti al livello di controllo
locale.
Strutture: corteccia sensorimotoria, cervelletto e nuclei della base.

3) Livello locale:
Funzione: determina la tensione dei muscoli specifici e l’angolo delle articolazioni distinte nei
momenti particolari necessarie per attivare i programmi e sttoprogrammi trasmessi dai livelli
medi di controllo.
Strutture: interneuroni troncoencefalici o midollari, motoneuroni e neuroni afferenti,
motoneuroni.

37
Il cervelletto

È una struttura sottocorticale, si trova sopra il tronco dell'encefalo nella fossa cronica posteriore:
il nome deriva dal fatto che assomiglia ad un cervello con la sostanza grigia che forma delle
pieghe all'esterno (corteccia cerebellare) e poi ci sono dei nuclei cerebellari profondi, in
posizione laterale.
Coadiuva la corteccia motrice, le vie discendenti e tutte le strutture del tronco dell’encefalo
coinvolte nel movimento, è collegato con la corteccia motrice in maniera indiretta (sia afferenze
che efferenze indirette)

Le funzioni sono:
 Mantenere tono e forza muscolare;
 Correggere e stabilizzare i movimenti con segnali anticipatori;
 Iniziare rapidamente un movimento;
 Organizzare un movimento composto in maniera fluida;
 Memorizzare i movimenti appresi.

Componenti del cervelletto: Corteccia cerebellare, nuclei cerebellari e peduncoli cerebellari.

Le funzioni sono svolte grazie alle connessioni con la corteccia cerebrale (non diretta), con il
midollo spinale, grazie a cui riceve informazioni dagli effettori del movimento. Il cervelletto è
diviso in più porzioni, che variano in base al tipo di divisione a livello funzionale: anatomico e
filogenetico (sviluppo del cervelletto nelle classi vertebrali).
Divisione funzionale corteccia cerebellare:
- Cerebrocervelletto, collegato con gli emisferi cerebrali (consiste negli emisferi
cerebellari);
- Spinocervelletto, in collegamento con il midollo spinale (comprende regione vermiana e
paravermiana);
- Vestibolocervelletto, collegato con i nuclei vestibolari. I collegamenti non sono sempre
diretti (formato da nudulo e floculo, infatti a volte è chiamato lobo floculo-nodulare).

I nuclei cerebellari profondi sono 3:


1. Nucleo dentato: laterale;
2. Nucleo interposto: intermedio è diviso in globoso ed emboliforme;
3. Nucleo fastigio: mediale.

Esistono anche i peduncoli cerebellari: fasci di fibre con cui il cervelletto è collegato al midollo.
Sono di tre tipi, superiori, medi e inferiori.

Il cervelletto è diviso in due lobi anteriore (più piccolo) e posteriore e poi è presente il lobo
floculo-nodulare (solo nella divisione orizzontale). La suddivisione verticale invece può
coincidere con quella funzionale.
Il verme è una struttura centrale nel cervelletto, affiancato da due regioni paravermiane lì, poi
ci sono due emisferi, la cui parte mediale è la parte paravermiali.
Il verme più le regioni paravermiane coincidono con lo spinocervelletto. La parte laterale degli
emisferi coincide invece con il cerebrocervelletto. Posteriormente c'è il lobo flocculo-nodulare
che coincide con il vestibolocervelletto.

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Inoltre ci sono altri elementi collegati con il cervelletto ovvero la corteccia premotoria, la
corteccia motoria primaria, una parte della frontale, la somatosensoriale e la parietale superiore.
Il cervelletto riesce a confrontare l'esecuzione di un movimento con il programma e se c'è
disparità viene segnalata alla corteccia che aggiusta il programma.

Il cervelletto riceve dalla corteccia motoria una copia del programma motorio, riceve dal
midollo spinale informazioni sensoriali (propriocettive, tattili…) per dare l’idea di come sta
avvenendo il movimento, confronta il piano di esecuzione reale del movimento con il
programma inviato dalla corteccia ed eventualmente propone ed invia alla corteccia
informazioni che gli permettono di riprogrammare il movimento.

Vestibolocerebello

Proietta ai nuclei vestibolari del bulbo, e da questi nuclei invia proiezioni ai sistemi mediali e
laterali del midollo spinale tramite i fasci vestibolospinali e al tronco dell’encefalo nei
motoneuroni che innervano i muscoli extraoculari. (Controllo assiale e riflessi vestibolari)
Oltre a ciò il lobo flocculo-nodulare riceve una copia di afferenze vestibolari che originano dal
canale semicircolare e dagli organi maculari dell’apparato vestibolare; questa copia è inviata sia
al vestibolocerebello ma anche ai nuclei vestibolari bulbari.

Spinocerebello

Il verme proietta al nucleo del fastigio, che a sua volta proietta nella formazione reticolare
(presente nel tronco dell’encefalo), ai nuclei vestibolari e al talamo; il talamo a sua volta proietta
alla corteccia cerebrale, in particolare nella zona della corteccia motoria e premotoria e
somatosensoriale, nel punto in cui è presente la rappresentazione della muscolatura assiale.
Questa porzione è molto importante per il controllo dell’esecuzione dei movimenti della
muscolatura assiale, quindi soprattutto del tronco.
In questa zona le efferenze possono essere visive, uditive, vestibolari somatosensitive e
trigeminali e afferenze tramite i tratti spinocerebellari che originano dal di clarke e Dal nucleo
cuneato e portano afferenze sensoriali delle parti prossimali del corpo.
La regione paravermiana proietta al nuclei interposito che a loro volta proiettano attraverso una
prima decussazione al nucleo rosso del mesencefalo: da qui abbiamo un tratto che proietta al
talamo nel nucleo ventrale laterale e ventrale anteriore e da qui alla corteccia cerebrale motoria
che controlla i movimenti degli arti superiori (più laterale rispetto a dove proietta il verme); da
questa corteccia poi riparte come fascio corticospinale laterale; il nucleo rosso proietta anche al
midollo spinale tramite il fascio rubrospinale.
Ricordiamo che anche il nucleo rosso riceve afferenze dalla corteccia, nella sua zona
magnicellulare, mentre le afferenze che riceve dallo spinocerebello arrivano la sua zona
parvicellulare.
La regione paravermiana riceve afferenze somatosensoriali dalle porzioni distali degli arti
tramite i tratti spinocerebellari che arrivano sia alla corteccia spinocerebellare sia al nucleo
interposito.
Questo sistema controlla l’esecuzione del movimento delle parti distali degli arti.
La corteccia che appartiene allo spinocerebello contiene una doppia rappresentazione della
superficie sensoriale, una nella parte anteriore e una nella parte posteriore: tramite un
esperimento si è notato che stimolando la mano destra in un soggetto si attivava la parte sinistra
della corteccia somatosensoriale di sinistra e l’attivazione di 2 punti del cervelletto ipsilaterale;
da qui si è capito chele proiezioni dal midollo spinale al cervelletto sono omolaterali.
Nucleo interposito= nucleo globoso + nucleo emboliforme.
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Cerebrocerebello

Proietta al nucleo dentato, da qui arriviamo sempre nel mesencefalo nel nucleo rosso, poi
arriviamo al talamo nel nucleo ventrale anteriore e ventrale laterale e da qui arriviamo nella
corteccia cerebrale (motoria, pre-motoria) in una zona abbastanza diffusa che serve per la
programmazione del movimento. Dalla corteccia poi pare il fascio corticospinale laterale che
decussa e si porta nei cordoni laterali del midollo spinale.
Il cerebrocerebello riceve afferenze dai nuclei pontini che ricevono una copia del programma
motorio, le stesse informazioni che vanno nel midollo spinale raggiungono anche questa zona
del cervelletto e anche il nucleo rosso.

È presente anche una divisione filogenetica del cervelletto:


- Parte posteriore (vestibolocerebello) coincide con l’archicerebellum, cioè il più antico, ed
ha la funzione di equilibrio, mantenimento postura, movimenti oculari e riflessi
vestibolo-oculari.
- Parte centrale (spinocerebello), coincide con il paleocerebellum ed ha la funzione di
esecuzione motoria;
- Parte laterale (emisferi cerebellari, quindi cerebrocerebello) coincide con il
neocerebellum,il più evoluto e nuovo, ed ha la funzione di pianificazione dei movimenti

Ricordiamo che le relazioni tra la corteccia cerebrale e il cervelletto non sono dello stesso lato,
perché la corteccia frontale e parietale proietta nello stesso lato al nucleo rosso, al nucleo
pontino, a sua volta il nucleo rosso proietta all’oliva inferiore dello stesso lato (si trova nl
bulbo); mentre abbiamo che i nuclei pontini e l’oliva inferiore proiettano al cervelletto pero
dell’emilato opposto.
Mentre le proiezioni al cervelletto che provengono dalla periferia, quindi dal midollo spinale e
dal nucleo vestibolare sono ipsilaterali (stesso lato).

Cito architettura della corteccia cerebellare: organizzazione dei cervelletto dal più
superficiale al più profondo
Divisa in tre strati nei quali sono presenti 5 tipi diversi di cellule:

 Strato molecolare dove sono presenti le cellule stellate e a canestro (strato superficiale) e
i dendriti delle cellule dello strato del purkinje; Sono presenti anche le fibre parallele
(ortogonali alle fibre di Purkinje) cioè assoni di cellule dello strato granulare che salgono
verso l’alto verticalmente e quando raggiungono lo strato molecolare si dividono a T e
vanno ad innervare con trasmettitore eccitatorio (di solito Glutammato) i dendriti delle
cellule del purkinje, delle cellule stellate, delle cellule a canestro e in parte quelli delle
cellule del Golgi.
Cellule stellate sono inibitorie vengono eccitate dalle fibre parallele e inibiscono i dendriti
delle cellule del purkinje; mentre le cellule a canestro si trovano nella porzione più
profonda dello strato molecolare, sono attivate dalle fibre parallele, inibiscono le cellule
del purkinje stabilendo una ricca rete di contatti sinaptici a livello del corpo cellulare (per
questo motivo si chiamano a canestro)
Le cellule a canestro non innervano le cellule del purkinje sottostanti cioè della stessa fila,
ma innervano le cellule del purkinje adiacenti. è costituito dalle fitte arborizzazioni
dendritiche delle cellule di Purkinje e di Golgi, dalle fibre parallele e dalle fibre
rampicanti, mentre risulta essere povero di corpi cellulari: costituiti solamente dalle
cellule a canestro, le cellule stellate e le cellule fusiformi.
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 Strato delle cellule del Purkinje dove troviamo i corpi cellulari delle cellule del purkinje
(neuroni presenti solo nella corteccia cerebellare), hanno formazione dendritica molto
sviluppata che si trova nello strato molecolare e sono su un piano perpendicolare all’asse
medio-laterale della corteccia cerebellare; mandano l'assone fuori dalla corteccia
cerebellare (strato intermedio).
Queste cellule ricevono imput eccitatori dalle fibre parallele, imput inibitori dalle cellule
stellate e cellule a canestro e il loro assone lascia la corteccia cerebellare e raggiunge i
nuclei cerebellari profondi, o nel caso della zona del lobo floculo nodulare raggiunge i
nuclei vestibolari. (Anche loro rilasciano GABA, quindi hanno effetto inibitorio)
I nuclei profondi sono eccitatori, quindi le afferenze delle cellule del purkinje riducono la
loro attività eccitatoria; i bersagli dei nuclei profondi sono il talamo, il nucelo rosso, il
nucleo vestibolare. FUNZIONE: IMPEDISCONO MOVIMENTO BRUSCO

 Strato dei granuli con cellule dei granuli, corpi delle cellule di Golgi e fibre afferenti che
sono rampicanti (dall'oliva bulbare fino alle cellule di Purkinje) oppure muscoidi (dal
midollo e dai nuclei pontini). (Strato profondo)
Ricevono afferenze dalla fibre muscoidi che provengono da tutte le strutture ce mandano
proiezioni al cervelletto tramite l’oliva inferiore.
Le cellule dei granuli hanno corpo rotondo, i loro dendriti fanno sinapsi con la fibra
muscoide e proiettano il loro assone nello strato molecolare dove va a formare le fibre
parallele (eccitatorie, liberano Glutammato)
Le cellule di Golgi hanno corpo cellulare grande, hanno i dendriti che si protendono nei
strati superiori, mentre assone si trova nei strati inferiori e va a terminare a livello della
sinapsi tra la fibra muscoide e la cellula granulare. (Ha trasmettitore inbitiorio, il GABA)
Sinapsi tra fibra muscoide e il dendrite della cellula granulare: la fibra muscoide ha
attività eccitatoria ed è innervata con i dendriti cellula granulare e anche con l’assone
della cellula del golgi, l’assone può inibire la trasmissione sinaptica tra muscoide e
cellula granulare.

Sono presenti altre fibre afferenti del cervelletto, sono le fibre rampicanti che originano
dall’oliva inferiore e vanno ad eccitare selettivamente i dendriti della cellula del Purkinje.
Glomerulo cerebellare formato da fibra muscoide che fa sinapsi con dendriti delle cellule dei
granuli e può ricevere anche sinapsi inibitorie dalle cellule del Golgi.
(Dalle figure riusciamo a riconoscere le sinapsi se sono eccitatorie o meno, perché quelle
eccitatorie sono asimmettriche, mentre in quelle inibitorie non si nota l’ispessimento in nessuna
delle due parti, infatti sono simmetriche).

La corteccia cerebellare comprende due tipi di fibre afferenti eccitatorie RILASCIANO


GLUTAMMATO, le fibre rampicanti e le fibre muscoidi. 

Muscoide rilascia glutammato nei granuli che sale e rilascia glutammato nelle cellule stellate e
canestro che rilasciano gaba (-) sui purk. Questo meccanismo viene meno quando la muscoide
fa sinaspi con il golgi.
Rampicante rilascia glutammato e fa sinapsi con purk e riceve inbizioni riceve da stellato e
canestreo e la prte eccitatoria dalla rampicante. Il gioco è su equeste perché il purk sono le
uniche che escono dalla corteccia cerb quindi uò prevalerw gaba o glut (+).

Riassunto fibre afferenti: La via spinocerebellare parte dal midollo, salendo si biforca e va a
fare sinapsi sia con i nuclei intracellulari profondi, sia va al cervelletto con il nome di fibra
muscoide e sinapta con il granulo e con la cellula di Golgi; la cellula del Golgi inibisce la
trasmissione sinaptica a livello del glomerulo cerebellare. L’assone del granulo si porta nello
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strato molecolare dove si biforca a T e forma le fibre parallele che vanno ad attivare le cellule
del Golgi, i dendriti delle cellule di Purkinje, le cellule stellate e le cellule a canestro; cellule
stellate e canestro vanno ad inibire le cellule di Purkinje di file diverse da dove sono loro.
La cellula di Purkinje a sua volta emette il suo assone che può inibire a suo volta le cellule a
canestro o le cellule di Golgi, oppure va ad inibire il nucleo intracellulare profondo, che a sua
volta esce dal cervelletto e va ad eccitare i nuclei bersaglio. (Durante l’inattività delle cellule di
Purkinje, perché inibiscono l’eccitazione)

Sistemi afferenti al cervelletto

 Fascio spinocerebellare dorsale origina dalla colonna di Clarke (neuroni da T1 a T2 del


midollo), entra nel cervelletto con il peduncolo cerebellare inferiore, viaggia in vie non
crociate al verme e alla parte intermedia del lobo anteriore e della piramide. Gli impulsi
trasmessi sono propriocettivi ed esterocettivi dal tronco, dall'arto posteriore e dalla coda.

 Fascio spinocerebellare ventrale origina dalla cellula del margine del corno centrale ed
entra dal peduncolo cerebellare superiore, le vie sono crociate al verme del lobo
anteriore. Porta afferenze propriocettive ed esterocettive da tutto il corpo.

 Fascio cuneocerebellare nasce dal nucleo cuneato arcuato esterno (bulbo) ed entra con il
peduncolo inferiore tramite vie non crociate al verme, alla parte intermedia del lobo
anteriore e alla piramide. Porta afferenze propriocettive dal collo e dall'arto superiore.

 Fascio olivo cerebellare nasce da tutte le parti dell'oliva inferiore, entra dal peduncolo
superiore tramite vie crociate alla corteccia e ai nuclei cerebellari. Le afferenze derivano
da tutti i livelli del midollo spinale.

 Fascio ponto-cerebellare origina dalla sostanza grigia pontina ed entra con il peduncolo
medio attraverso vie crociate a tutta la corteccia, tranne il lobo nodulo flocculare e vie
non crociate al verme. Le afferenze arrivano dai 4 lobi del cervello e dal midollo spinale.

 Fascio reticolo cerebellare, sono 2 uno nasce dal nucleo reticolare laterale ed entra con il
peduncolo inferiore tramite le vie non crociate a tutta la corteccia porta afferenze da tutti
i livelli del midollo spinale da livelli superiori.
L’altro nasce dal nucleo reticolare paramediano che manda proiezioni prevalentemente
crociate tramite il peduncolo inferiore ai livelli superiori, corteccia cerebrale compresa.

 Fascio vestibolo cerebellare nasce dai nuclei vestibolari mediale discendente ed entra
con il peduncolo inferiore tramite le fibre crociate e non crociate del lobo nodulo
flocculare. Afferenze vestibolari.

 Fascio peripoglosso cerebellare nasce dal nucleo di roller e tramite il peduncolo


cerebellare inferiore in modo non corociato. (Non si sa bene che informazioni porti)

 Fascio tetto cerebellare nasce dai corpi quadrigemini (tetto e collicolo superiore) ed entra
con il peduncolo superiore attraverso vie crociate. Porta stimoli uditivi e visivi.

 Fascio rubro cerebellare nasce dal nucleo rosso ed entra dal peduncolo superiore tramite
vie crociate, porta stimoli cerebrali al nucleo dentato.

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 Fascio trigemino cerebellare nasce dalle fibre secondarie del nucleo trigemino ed entra
dal peduncolo inferiore. Forma una parte della commissura cerebellare, trasporta stimoli
tattili e propriocettivi dalla faccia e dalla mandibola al nucleo dentato.

 Fascio cerebellare laterale cervicale nasce dal nucleo cervicale laterale, entra dal
peduncolo inferiore e porta afferenze da tutti i livelli del midollo spinale.

Riassunto fibre afferenti:


- La via spinocerebellare parte dal midollo, salendo si biforca e va a fare sinapsi sia con i
nuclei intracellulari profondi, sia va al cervelletto con il nome di fibra muscoide e sinapta
con il granulo e con la cellula di Golgi; la cellula del Golgi inibisce la trasmissione
sinaptica a livello del glomerulo cerebellare. L’assone del granulo si porta nello strato
molecolare dove si biforca a T e forma le fibre parallele che vanno ad attivare le cellule
del Golgi, i dendriti delle cellule di Purkinje, le cellule stellate e le cellule a canestro;
cellule stellate e canestro vanno ad inibire le cellule di Purkinje di file diverse da dove
sono loro.
La cellula di Purkinje a sua volta emette il suo assone che può inibire a suo volta le
cellule a canestro o le cellule di Golgi, oppure va ad inibire il nucleo intracellulare
profondo, che a sua volta esce dal cervelletto e va ad eccitare i nuclei bersaglio. (Durante
l’inattività delle cellule di Purkinje, perché inibiscono l’eccitazione)
- Le fibre rampicanti che partono dall’oliva inferiore, vanno ad eccitare il dendrite della
cellule di prukinje, le cellule del Golgi e le cellule a canestro.

Grazie a questa connessione riusciamo ad avere un attivazione centrale delle cellule del
Purkinje, e un inibizione ai lati di quella attivata sempre delle cellule del Purkinje; ciò si
chiama inibizione laterale: le cellule di Purkinje che non ricevono afferenze dal fascio delle
fibre parallele che trasmette l’eccitazione (quindi quelle che si trovano, su una fila diversa,
cioè quelle ai lati di quelle che vengono eccitate dalle fibre parallele) vengono inibite dalle
cellule a canestro; come abbiamo detto le cellule a canestro vengono eccitate dalle fibre
parallele della stessa colonna e a loro volta le cellule a canestro andranno ad inibire le cellule
di Purkinje ai lati. In questo modo abbiamo la colonna dove le fibre parallele eccitano le
cellule di Purkinje e ai lati di queste cellule di Purkinje inibite dalla cellule a canestro.
In questo modo nella colonna in cui le cellule di purkinje verranno eccitato partiranno assoni
che andranno ad inibire le cellule dei nuclei cerebellari profondi; questa inibizione però può
alternarsi ad eccitazione e dare origine ad una scarica alternata.

Le fibre muscodi (parallele) raggiungono lo strato molecolare e sinaptano con i dendriti


delle cellule del purkinje, ma fanno poche sinapsi, mentre abbiamo le fibre rampicanti che
“abbracciano” i dendriti delle cellule del Purkinje e stabiliscono molte sinapsi.

I 2 sistemi afferenti creano nelle cellule del Purkinje 2 tipi di potenziale d’azione differenti:
 Quello delle fibre muscoidi, sarà un potenziale singolo e per questo è chiamato spike
singolo, con una minima depolarizzazione seguita poi da un iperopolarizzazione, cioè è
un potenziale classico dovuto dall’entrata di ioni sodio tramite canali voltaggio
dipendenti.
 Mentre quello delle fibre rampicanti è chiamato spike complesso e provoca una
depolarizzazione provocata che può dare origine a numerosi potenziali d‘azione ed è
dovuto in parte all’ingresso del calcio.

Notiamo che l’attività delle cellule del Purkinje che a riposo scarica ripetutamente, mentre
durante esecuzione di movimenti alterni di flesso-estensione scarica ad intervalli in modo da

43
permettere l’attività dei motoneuroni che sono i responasabili dei moviementi; ciò vale lo stesso
per le cellule dei nuclei cerebellari profondi anche se non sono sincronizzati nel tempo.
Quando la cellule di Purkinje scaricano meno scarica di più le cellule del nucleo cerebellare
profondo e viceversa.

Apprendimento motorio

Per dimostrare l’attività neuronale nel corso dell’adattamento motorio si sono fatti esperimenti
su una scimmia: nel primo esperimento la scimmia doveva flettere il polso contro resistenza
fornita da un carico a noi noto in cui deve raggiungere un determinato angolo, alla flessione del
polso viene associata un attività del neurone di Purkinje che aumenta durante la flessione e
compaiono 2 spike complessi.
Durante l’esecuzione in una delle sedute il carico viene aumentato, quindi l’animale deve
imparare a sviluppare più forza per riuscire nuovamente a flettere il polso e raggiungere quel
determinato angolo, per questo motivo sin osserva durante questa conduzione di
apprendimento su qunta forza deve usare per poter flettere il polso un aumento di spike
complessi durante l’esecuzione di quel movimento.
Una volta che l’animale ha imparato che il carico è aumentato e quindi ha capito la dose di forza
da usare per flettere il polso e raggiungere quel determinato angolo con questo nuovo carico si
nota che il numero di spike complessi diminuisce e ritorna quello prima dell’aumento del
carico.
Per questo motivo si pensa che le funzione delle fibre rampicanti sia quelle di consentire
l’apprendimento.

Esperimento di Luciani

Lo studioso Luigi Luciani ha studiato negli animali e nell'uomo il cervelletto (il primo che riuscì
ad asportare totalmente il cervelletto lasciando in vita l’animale). Come primo esperimento Egli
asportava completamente il cervelletto e in fase post operatoria distingueva tre momenti:
1. Dinamico: una settimana con rigidità estensoria degli arti e dei muscoli nucali (rimuove
il tono inibitorio sui nuclei vestibolari).
2. Deficienza: un mese con riduzione del tono muscolare, che rende difficili i movimenti.
3. Compensazione: dura tutta la vita con un deficit motorio.

Negli esprimenti successivi ha asportato all’animale metà del cervelletto; quest’ultimo


presentava una triade di sintomi:
 Astenia: minore forza delle contrazioni muscolari fasiche nel lato della lesione (l’animale
cade facilmente dal lato operato nel camminare);
 Atonia: meno tono muscolare nel lato della lesione, si esprime con una minore resistenza
ai movimenti passivi che offrono gli arti del lato leso rispetto a quello sano (cedimento
spontaneo degli arti ipsilaterali alla lesione cerebellare sotto il peso del corpo quando
l’animale è in piedi);
 Astasia: tremore del corpo durante l’esecuzione dei movimenti.

Altri deficit sono:


 Dismetria: errata quantificazione dei movimenti che risultano quindi sbagliati per
difetto/eccesso; (errata traiettoria, ad esempio viene chiesto di toccarsi il naso partendo
con il braccio che si trova in elevazione sopra la testa, un persona sana compirebbe una
traiettoria verticale per toccarselo, mentre hi soffre di dismetria eseguono traiettorie più
contorte per arrivare)
 Ipotonia: diminuzione tono muscolare;
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 Atassia: incapacità di eseguire i movimenti volontari;
 Tremore intenzionale: comparsa di tremore durante l’esecuzione dei movimenti
volontari (diverso da quello dei parkinsoniani perché quello è presente anche a riposo)

Sintomi che appaiono nell’uomo:


 Ipotonia
 Ritardo nell’inizio del movimento
 Dismetria
 Asinergia
 Tremore intenzionale
 Adiadococinesia (Incapacità di eseguire movimenti rapidi alternati)
 Atassia
 Perdita di equilibrio
 Nistagmo (movimento ritmico di occhi incontrollato)
 Parola scandita (perdita fluidità parola, tende a scandire ogni parola)

Esempio: ad un soggetto viene chiesto di fare una flessione del braccio e ciò comporta la
contrazione del bicipite e il rilassamento del tricipite. In un soggetto con danni al cervelletto
l'ultima parte non si ha o è ritardata perciò il movimento è a scatti, in quanto di solito
l'inibizione del tricipite anticipa l'attivazione del bicipite, in questo caso manca questa
coordinazione e per questo motivo si avrà un movimento a scatti.
Si considera A braccio sano e B braccio malato; se effettuiamo un test con elettromiogramma
notiamo che se chiediamo di contrarre il bicipite A notiamo che avremo una contrazione veloce,
un normale sviluppo e terminerà normalmente la contrazione; se chiediamo di contrarre il
bicipite B notiamo che la contrazione sarà ritardata, che sviluppa meno forza e che anche il
rilassamento dopo aver detto il comando di rilassare sarà ritardato.
L'aumento della rigidità si ha anche con la decerebellazione (perdita del cervelletto: sezione a
livello dei follicoli che esclude le influenze corticali). Il cervelletto partecipa anche ai movimenti
oculari e alle modificazioni dei movimenti saccadici ridotti dall'esperienza.

Esempio: ad un animale (in questo caso esperimento fatto ad una scimmia) viene leso un
tendine del retto laterale sinistro perciò non può più muovere gli occhi all'esterno, poi l'occhio
viene bendato e si evoca una saccade cioè un movimento rapido dell’occhio che permetto di
agganciare il bersaglio; di solito i movimenti sono coniugati, ma poiché l’occhio sinistro non ha
guida visiva perché bendato e ha una ridotta capacità di contrarre si nota che le saccade è meno
ampia.
Se la benda si sposta nell'occhio sano, l'occhio malato ora ha la guida visiva quindi riesce ad
agganciarlo ma deve compiere più saccadi, quindi aggiusta l'intensità della contrazione per
raggiungere il bersaglio ed è aiutato dal cervelletto, l’occhio sano che è bendato non ha la guida
visiva quindi fa la stessa cosa, ma siccome la contrazione dell’occhio sano è più forte va fuori
scala. Dopo 5 ore che il destro è bendato il sinistro impara a produrre la contrazione necessaria
per raggiungere il bersaglio con una sola saccade.

Riflesso vestibolo-oculare cioè movimento degli occhi in direzione opposta al movimento della
testa (esempio sul piano orizzontale testa ruota a destra e occhi a sinistra); se questo riflesso è
normale la testa e gli occhi si muovono in maniera coordinata per mantenere stabile l’immagine
sulla retina; se alla scimmia vengono messi occhiali con delle lenti che rimpiccioliscono la testa
si muoverà sempre con la stessa ampiezza ma il movimento degli occhi sarà più ampio perché è
come se la scimmia vedesse l’oggetto più lontano e quindi la fissazione dell’oggetto non viene
mantenuta.

45
Grazie alla presenza del cervelletto dopo un po’ di ore l’animale si adatta e in seguito al
movimenti della testa il movimento degli occhi sarà più piccolo quindi animale riesce a
mantenere fissazione. (Apprendimento motorio compensatorio)

La porzione anteriore del verme può subire degenerazioni in seguito all’abuso di alcool.

46
I gangli della base

È una struttura sottocorticale che partecipa all'esecuzione corretta dei movimenti volontari
soprattutto in termini di inizio e selezione del programma motorio, non partecipano alla
coordinazione motoria e non hanno connessioni con la periferia, ma solo con la corteccia.
Si trovano immersi nella sostanza bianca dei due emisferi e comprendono il putamen e caudato
(con una testa, un collo e una coda) che insieme vengono definiti corpo striato, poi c'è il pallido
con una parte interna e un'esterna: sono strutture telencefaliche. Ci sono anche strutture
diencefaliche come la sostanza nera con una parte compatta e una reticolata e il nucleo
subtalamico. Interagiscono con la corteccia celebrale per facilitare e inibire i neuroni talamici che
proiettano alle aree motorie della corteccia; l'interazione con i nuclei talamici e la corteccia
avviene secondo un equilibrio tra una via diretta ed una indiretta. Se ci sono squilibri tra queste
2 vie si producono disordini motori (problemi nel movimento) che sono iper o ipocinetici.

I collegamenti con la corteccia cerebrale sono indiretti in uscita e sono diretti in entrata, infatti la
corteccia cerebrale proietta al caudato ed al putamen e sono collegati alla cortecia cerebrale
tramite il talamo.

La via diretta è un fascio inibitorio mentre l'indiretta è un fascio inibitorio e facilitatorio: quindi
se prevale la diretta si avranno problemi ipercinetici come la corea di Huntington o ipocinetici
come il Parkinson. La corteccia si connette con il caudato e il putamen a cui proietta afferenze
eccitatorie.
Il pallido interno manda fibra inibitorie al nucleo subtalamico che manda fibre eccitatorie al
pallido interno e alla parte reticolata della sostanza nera. Quest'ultima e il pallido interno inoltre
inibiscono il complesso talamico VLA che eccita la corteccia.
La sostanza nera è chiamata così perché è una parte pigmentata del mesencefalo a causa di
sostanze contenute nei neuroni.
Le afferenze arrivano da tutta la corteccia tranne dall’area visiva primaria e l'uditiva primaria e
sono eccitatorie (rilasciano glutammato). Quelle della sostanza nera compatta rilasciano invece
dopamina e in base al tipo di neurone su cui arrivano possono avere un effetto eccitatorio o
inibitorio: dipende dal recettore per la dopamina in quando D1 ha una reazione eccitatoria
mentre D2 è inibitoria.
I neuroni dello striato (caudato e putamen) sono detti spinosi con spine dendritiche di taglia
media: questi neuroni lasciano GABA sulle loro strutture bersaglio (pallido interno per
entrambi, pallido esterno per il putamen e la parte reticolata della sostanza nera per il caudato)
con funzione inibitoria. La parte reticolata della sostanza nera invia proiezioni inibitorie al
collicolo superiore, circuito coinvolto nei movimenti oculari.
I neuroni del pallido esterno inibiscono quelli del nucleo subtalamico, che eccita quelli del
pallido interno. Il pallido interno inibisce i nuclei ventrali anteriore e laterale del talamo
(complesso VANL) e il nucleo centro mediale che fa parte dei nuclei intralaminari responsabili
di un'attivazione generale della corteccia.
Il putamen porta efferenze inibitorie al pallido esterno ed interno con neuroni spinosi di diverso
tipo: quelli che proiettano all'esterno hanno recettori D2, mentre quelli che proiettano all'interno
hanno recettori D1 (eccitatori) e rilasciano GABA in entrambi i casi.
Il caudato raggiunge la parte reticolata della sostanza nera che va ad inibire i nuclei talamici
mentre la parte compatta invia segnali dopaminergici allo striato.

Attività dei neuroni spinosi di taglia media dello striato, dei neuroni corticali, neuroni del globo
pallido, neuroni del talamo: a riposo non abbiamo scarica da parte della corteccia sul neurone
spinoso medio, quindi il neurone che verrebbe inibito dai neuroni striati (neuroni del globo

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pallido) sono tonicamente attivi e inibiscono quindi i nuclei talamici, per questo motivo il
nucleo talamico non può attivare la corteccia e quindi non abbiamo nessuna attività.
Mentre se la corteccia eccita i neuroni spinosi abbiamo una scarica, essendo i neuroni dello
striato inibitori, la scarica provoca un aumento dell’inibizione, a loro volta questi neuroni dello
striato inibiscono il pallido dove sono presenti altri neuroni inibitori, in questo caso avremo
l’inibizione di neuroni inibitori, quindi l’azione inibitoria sui nuclei talamici del pallido non è
più presente, quindi i nuclei talamici possono scaricare alla corteccia e vengono
transitoriamente facilitati.

Dal caudato e dal putamen poi si può avere o la via diretta o la via indiretta:

Via diretta
Dal nucleo caudato dipartono proiezioni gabaergiche che andranno nel pallido interno e nella
parte reticolata della sostanza nera; con queste sinapsi andremo ad inibire neuroni inibitori, per
questo motivo la loro azione inibitoria sui nuclei talamici o sulla sostanza nera parte reticolata
non è più presente; dalla parte reticolata della sostanza nera effettuano sinapsi eccitatorie con il
collicolo superiore (esecuzione movimenti oculari), mentre il talamo proietta alla corteccia
frontale (motoria, premotoria) effettuando sinapsi eccitatorie. (Via facilitatoria del movimento)
Questa facilitazione della via diretta può essere ulteriormente aumentata dalla proiezione
dopaminergica che proviene dalla parte compatta della sostanza nera, che rilasciando
dopamina su alcuni neuroni dello striato esercitando sui neuroni spinosi che hanno recettore D1
per la dopamina; grazie a ciò viene ulteriormente aumentata l’attività inibitoria dello striato sul
pallido, quindi il talamo viene facilitato ulteriormente.

Via indiretta
Dal putamen dipartiranno assoni gabaergici al pallido esterno effettuando una sinapsi inibitoria
con neuroni inibitori, disattivandoli; quindi il pallido esterno non ha momentaneamente
l’azione inibente sul nucleo subtalamico e quindi i neuroni eccitatori saranno attivati.
Dal nucleo subtalamico avremo proiezioni eccitatorie sia alla parte reticolata della sostanza nera
(dove sono presenti neuroni che esprimono il GABA) o al pallido interno che vedrà la sua
attività inibitoria aumentare; dalla sostanza nera avremo proiezioni al collicolo superiore,
mentre dal pallido interno dipartono neuroni inibitori che inibiscono i neuroni dei nuclei VA
VL talamici(che esprimono glutammato); quindi avremo una riduzione dell’attività del talamo e
quindi una riduzione dell’attività facilitatoria del talamo sulla corteccia frontale. (Diminuzione
del movimento)
Anche qua i neuroni ricevono proiezioni dopaminergiche dalla parte compatta della sostanza
nera che facilitano in questo caso la via indiretta, questi neuroni presentano sulla loro
membrana recettori per la dopamina D2, che vengono attivati dalla dopamina e provoca un
azione inibitoria. Quindi la dopamina su questi neuroni riduce l’effetto inibitorio della via
indiretta.

 La via diretta va dalla corteccia al pallido interno poi al nucleo talamico VA e VL da cui
si ha una inibizione e da qua alla corteccia (eccitatorio). Nei soggetti parkinsoniani la
sostanza nera è danneggiata perciò il movimento iniziale è disfacilitato: la parte compatta
della sostanza nera invia la dopamina che interagisce con i recettori B1 e quindi i neuroni
dello striato vengono eccitati maggiormente.
 La vita indiretta invece parte dalla corteccia che invia uno stimolo eccitatorio allo striato
quindi aumenta transitoriamente l'inibizione sul pallido esterno, che inibisce il nucleo
subtalamico, e sul pallido interno. Quella sul subtalamico provoca un aumento
dell'eccitazione sul pallido che porta un aumento dell'attività inibitoria del pallido
interno sul complesso VA e VL del talamo e quindi porta ad una riduzione dell'attività
eccitatoria sulla corteccia.
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Queste 2 vie sono organizzate un po’ come i capi recettivi del sistema sensoriale, cioè un
organizzazione funzionale centro-periferia, la via diretta è quella che facilita il movimento e
permette l’esecuzione dei programmi motori prefissati desiderati, mentre la via indiretta
inibisce o riduce l’esecuzione dei programmi motori non desiderati e possibilmente in
competizione con quelli desiderati in maniera tale da selezionare il programma motorio
desiderato ed eseguirlo senza altri movimenti non desiderati come il tremore. (Una sorta del
raffinamento del programma motorio definitivo)
I neuroni della via diretta hanno i recettori D1 che facilitano il programma motorio. La via
indiretta invece ha neuroni con recettori D2 e disfacilità la via talamo-corticale quindi scoraggia
il programma motorio (non necessario). Nella situazione a riposo abbiamo diversi tipi di
neuroni: quelli A sono eccitatori, provengono dalla corteccia cerebrale e nello striato sono
inattivati, i neuroni B sono inibitorio e inibiscono i neuroni C, neuroni di proiezione dal talamo
la corteccia. Quando invece decidiamo di fare un movimento la corteccia motoria si attiva e
manda una scarica transitoria al neurone A che viene attivato transitoriamente, inibisce il
neurone B che quindi non inibisce il neurone C il quale può quindi produrre una scarica
transitoria eccitatoria che si proietta alla corteccia e invia il segnale con i fasci corticospinali,
tramite la via diretta. Il circuito solo motorio arriva al putamen, invece il circuito che controlla i
movimenti oculari va al caudato come quello cognitivo, mentre il circuito emozionale va al
talamo. Il circuito che controlla i movimenti oculari parte del caudato che proietta afferenze
inibitorie alla parte reticolata della sostanza nera la quale proietta una via inibitoria al collicolo.
Questo viene disinibito e può inviare le sue afferenze ai centri dello sguardo orizzontale e
verticale nella sostanza reticolare che a loro volta attivano i muscoli oculomotori.
Nel Parkinson degenera la parte compatta della sostanza nera quindi al pallido non arriva
l'afferenza dopaminergica e come conseguenza si ha un rallentamento dei movimenti,
l'incapacità di determinare un movimento, tremore a riposo, incapacità di esprimere le
emozioni e problemi di memoria procedurale.

I circuiti dei nuclei della base controllano anche i movimenti oculari, che sono dovuti
soprattutto dalle proiezioni dal caudato alla parte reticolata della sostanza nera (il caudato
inibisce neuroni sostanza nera), la sostanza nera a sua volta invia proiezioni inibitorie sul
collicolo superiore; quindi l’azione dei nuclei della base inibisce transitoriamente l’effetto
inibitorio che la sostanza nera avrebbe sul collicolo; questo permette la scarica dei neuroni del
collicolo superiore (che riceve anche informazioni visive, uditive e corticali dal campo visivo
frontale) ai centri dello sguardo cioè il centro verticale e il centro orizzontale (presenti nel
ponte), che a loro volta inviano le loro proiezioni/comandi ai nuclei che controllano i
movimenti oculari.
ESPERIMENTO: Per verificare il coinvolgimento dei nuclei della base sui movimenti oculari si è
fatto un esperimento in cui hanno disattivato delle cellule tonicamente attive nella sostanza nera
reticolata tramite la somministrazione di mucinolo; in pratica viene inibito l’effetto inibitorio
della parte reticolata della sostanza nera sul collicolo superiore.
Si è notato che in seguito la somministrazione di questa sostanza si sono originate delle saccadi
(movimenti oculari rapidi) e secondo la parte di sostanza nera in cui veniva iniettata la sostanza
inibitrice si avevano della saccadi in direzioni differenti.

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Patologie correlate ai nuclei della base

Morbo di parkinson: malattia ipocinetica, in cui si ha un rallentamento dell’attività motoria,


dell’esecuzione dei movimenti volontari. È dovuta a causa di una degenerazione della parte
compatta della sostanza nera, quindi scomparsa dei neuori dopaminergiche e non avremo più
le afferenze con lo striato. LA DOPAMINA VIENE RILASCIATA DALLA SOSTANZA NERA
COMPATTA E FAVORISCE L’INCONTRO D1 E QUINDI LA VIA DIRETTA MA SE NON C’è
Più LA DOPAMINA NON C’è VIA DIRETTA O MEGLIO HO UN RITARDO.
Quindi vengono meno sia le proiezioni eccitatorie sulla via diretta, sia quelle inibitorie sulla via
indiretta; il risultato è un aumento dell’inibizione tonica sul complesso dei nuclei VA e VL del
talamo che causa una ridotta eccitazione della corteccia frontale; quindi avremo più difficoltà ad
iniziare i movimenti.
Quest’aumento di inibizione si realizza perché se diminuisce eccitazione neuroni gabaergici
della via diretta (presenti nello striato) che proiettano al pallido interno, diminuisce anche il loro
effetto inibitorio sul pallido e questo causa un aumento dell’inibizione tonica sul talamo.
Mentre se diminuisce l’inibizione dei neuroni gabaergici dello striato che danno inizio alla via
indiretta che proiettano al pallido esterno, in questo modo avremo un aumento dell’effetto
inibitorio dei neuroni dello striato sul pallido esterno; così il pallido esterno riduce la sua
inibizione sul nucleo subtalamico, il quale aumenterà il suo effetto eccitatorio sul pallido
interno, il quale avrà un maggiore effetto inibitorio sul talamo.
Quindi il pallido interno verrà meno inibito dal pallido esterno e maggiormente eccitato dal
nucleo subtalamico, per questo motivo esercita più effetto inibitorio; il risultato è quindi una
diminuzione eccitazione del talamo sulla corteccia frontale, che porta una diminuzione
dell’input che viene trasmesso al midollo spinale e al tronco encefalico.

Corea di Huntington: è una malattia genetica, è ipercinetica, infatti la malattia porta ad


eseguire movimenti molto ampi e non necessari, definiti movimenti coreici perché a volte
sembrano dei movimenti di una persona che danza.
È dovuta da una mutazione sul cromosoma 4 (mutazione autosomica dominante) quindi si
manifesta in via anche eterozigote (e porta a morte molto rapidamente) e ciò causa una
degenerazione dello striato, dei nuclei gabaergici I NEURONI CHE DANNO VIA ALLA VIA
IDIRETTA QUINDI I NEUORNI CHE HANNO D2 COME RECETTORE; il problema è che di
solito la malattia inizia a manifestare i suo effetti intorno i 40 anni di età, quindi una persona
può non essere consapevole di averla e quindi può fare figli e trasmettere la sua malattia alla
progenie che erediterà il cromosoma con l’alterazione.
La presenza di questi movimenti e attività motoria non necessaria è dovuta alla perdita delle
degenerazione di questi neuroni gabaergici dello striato: quindi viene meno l’inibizione sul
pallido esterno (non essendo presenti i neuroni gabaergici dello striato) e quindi una minore
inibizione del nucleo subtalamico, a sua volta il nucleo subtalamico eccita meno il pallido
interno; inoltre il pallido interno è maggiormente inibito anche dal pallido esterno.
Quest’aumento di inibizione sul pallido interno causato dal pallido esterno e diminuzione di
eccitazione sempre sul pallido interno provoca un inibizione tonica ridotta esercitata dal pallido
interno sul complesso VA e VL del talamo e quindi sarà aumentata l’eccitazione della corteccia
frontale.
Per questo motivo non avremo più un equilibro tra le 2 vie, perché viene meno la via indiretta
che inibisce i movimenti non desiderati e viene iper-esaltata la via diretta che facilità i
movimenti quindi avremo una predominanza della facilitazione dei movimenti per questo
motivo non è più possibile eseguire movimenti volontari con la soppressione dei movimenti dei
movimenti non desiderati.

Nell'emiballismo invece degenera il nucleo subtalamico e porta movimenti ampi e incontrollati.


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Riassunto sui vari processi che permettono l’esecuzione del movimento: abbiamo un idea del
movimento generata dall’area motoria supplementare, dalle aree associative e avremo un
contributo del sistema limbico secondo lo stato emotivo; queste aree sono in comunicazione con
le aree motorie specifiche cioè corteccia primaria, area premotoria e area motoria supplementare
che partendo dall’idea elaborano e definiscono il programma motorio e lo inviano attraverso il
fascio corticospinale laterale ai motoneuroni spinali e bulbari che provocano la contrazione
muscolare cioè l’esecuzione del movimento. Questo programma motorio contemporaneamente
viene inviato anche al cervelletto e ai nuclei della base.
La contrazione muscolare provoca l’attivazione dei sistemi sensoriali che rinviano le
informazioni ai nuclei della base, al tronco encefalico ma soprattutto al cervelletto; queste
strutture sono in collegamento con le aree che hanno ideato il programma, con quelle che lo
hanno generato il programma e anche con quelle che hanno permesso l’esecuzione del
programma: è presente un continuo scambio di informazioni tra queste strutture.

Bisogna ricordare che i nuclei della base non sono coinvolti solo nel movimento ma esistono
anche circuiti anche non motori: sono stati scoperti 4 circuiti dei nuclei della base, 2 sono i
motor loops e sono i 2 circuiti motori, un loop riguarda i movimenti del corpo, mentre l’altro
riguarda i movimenti oculari; gli altri 2 cirucuiti sono detti non-motors loops di cui uno è il
dorso laterale o cognitivo in cui la corteccia che proietta e riceve dai nuclei della base è la
prefrontale dorsolaterale; la proiezione dalla corteccia prefrontale laterale arriva al caudato
anteriore e tutte le strutture dei nuclei della base (pallido interno, la sostanza nera) mentre i
nuclei talamici facilitati/disfacilitati sono il medio dorsale e il nuclei ventrale anteriore e
permettono dei compiti che richiedono un attenzione ed una memoria di lavoro; sono circuiti
cognitivi (è coinvolto nell’apprendimento e nella memoria lavorativa); mentre l’altro loop è il
circuito limbico emozionale in cui gli stimoli arrivano dalla corteccia del cingolo anteriore e
dalla corteccia orizzontale, sono compresi anche amigdala e ippocampo (nella paleocorteccia) e
proiettano allo striato ventrale, al pallido interno, al nucleo mediodorsale talamico e poi di
nuovo alla corteccia. (I nuclei della base servono per il riconoscimento delle emozioni proprie e
altrui)
Infatti capita spesso che i pazienti con il morbo di parkinson, quindi che hanno disturbi motori,
molto speso hanno anche inespressività, difficoltà ad eseguire compiti semplici che richiedono
attenzione a breve termine e anche difficoltà poi con i movimenti oculari; ciò sì ha perché la
degenerazione della sostanza nera comincia da una parte ma poi si estende a tutta a regione.

Sistemi sensoriali

Somestesia
Le vie somatosensoriali sono delle vie nervose afferenti sensitive che trasmettono impulsi della
sensibilità tattile, propriocettiva (posizione corpo), termica e dolorifica. Il sistema
somatosensoriale riguarda la percezione di sensazioni derivanti da recettori cutanei e la
propriocezione. Comprende la meccanocezione, la propriocezione, la nocicezione, la
termocezione e la interocezione (stimoli dall’interno del corpo). Le vie che trasportano ai centri
superiori le informazioni tattili e propriocettive sono separate da quelle che trasportano
informazioni termiche e nocicettive.

Meccanocezione
È composta da 3 qualità: Tatto-pressione (valutare intensità stimolo e durata), La velocità della
presentazione e della scomparsa dello stimolo e la Vibrazione (cioè pressione applicata e tolta
ad alta frequenza).

51
Tutte queste modalità vengono percepite da recettori presenti sulla cute; ricordiamo che la cute
è suddivisa in regioni, una villosa (con i peli) e una glabra (senza peli e sono i palmi di mani e
piedi e labbra).

I Recettori (strutture nuronali in grado di percepire specifiche forme di


energia): ricordiamo i dischi di Merkel, sono superficiali, si trovano sia nell’epidermide glabra
che villosa, poi ci sono i corpuscoli di Messner che si trovano tra l’epidermide e il derma; nella
parte più profonda troviamo i corpuscoli di Pacini e le terminazioni di Ruffini.
Tutti questi recettori si trovano sia nella cute glabre che villosa e sono tutte strutture
incapsulate, sono terminazioni nervose di neuroni sensoriali afferenti incapsulate in tessuto
connettivo.
Poi abbiamo le terminazioni libere che sono responsabili sia della percezione di stimoli dolorosi
e sia per stimoli termici; poi abbiamo nella cute villosa i recettori del bulbo pilifero visto che è
molto sensibile allo spostamento del pelo.
Il disco di Merkel e le terminazioni di Ruffini sono definiti a lento adattamento, mentre il
corpuscolo di Pacini e di Messner sono a rapido adattamento.
I recettori possono essere divisi in 3 tipi a seconda che:
 1° tipo: la struttura che interagisce con lo stimolo appartiene ad un neurone (in cui la
trasformazione del segnale si ha nella parte terminale della fibra), tra questi sono presenti
i tattili, dolorifici, termici, propriocettivi e recettori olfattivi (Tutti i recettori della cute
sono di primo tipo in quanto sono porzioni di fibre nervose che vanno al midollo).
Lo stimolo provoca una risposta elettrica graduata (una depolarizzazione graduata in
proporzione al tipo di stimolo applicato) poi nel percorso della fibra afferente avremo
una risposta tutto o nulla, quindi un potenziale d’azione. L’ampiezza sarà sempre la
stessa ma la differenza tra lo stimo a più bassa intensità e quello a più alta intensità sarà
la quantità di potenziale d’azione cioè la frequenza di scarica.
 2° tipo: la cellula che interagisce con uno stimolo è differente e trasmette l’informazione
tramite una sinapsi con una fibra afferente primaria (gustativi, uditive vestibolari), in
genere queste sono cellule epiteliali che si sono specializzate nell’interazione con lo
stimolo e nella unzione di trasduzione.
Lo stimolo qua provoca una depolarizzazione che stimola il rilascio di un
neurotrasmettitore a livello della sinapsi che attiverà la fibra nervosa, prima troveremo
una risposta lenta graduata (potenziale post-sinaptico) che poi si trasformerà nel
potenziale d’azione e raggiungerà le strutture centrali del sistema nervoso.
 3° tipo: presenti solo nella retina (fotorecettori), prevedono due sinapsi; abbiamo una
struttura che interagisce con uno stimolo cioè il fotorecettore che fa sinapsi con una
cellula intermedia e infine abbiamo un’altra sinapsi con il neurone.

Per adattamento dei recettori intendiamo che la loro risposta declina più o meno rapidamente
nel tempo in seguito a stimolazione; immaginiamo di applicare uno stimolo a lenta durata, la
risposta depolarizzante può essere lenta se nel recettore è presente potenziale d’azione per tutta
la durata di permanenza dello stimolo e la cellula rimane depolarizzata per tutto il tempo o può
essere rapida e realizzare una depolarizzazione che non dura tutta la permanenza dello stimolo.
I recettori a lento adattamento vengono chiamati anche tonici (perché scaricano tutta la durata
dello stimolo), mentre i recettori rapidi vengono detti fasici e si dividono in recettori ON cioè
che scaricano all’inizio dello stimolo e il potenziale decresce gradualmente fino a scomparire
durante la permanenza dello stimolo, in recettori OFF cioè quelli che scaricano alla fine dello
stimolo e infine i recettori ON-OFF che scaricano sia all’inizio che alla fine dello stimolo.
Possono essere presenti anche i recettori fasici-tonici, cioè che all’inizio presentano una scarica
ad alta frequenza, che gradualmente si riduce ma permane pe tutta la durata della
presentazione dello stimolo.

52
Poi sono presenti altri recettori che possono avere una scarica spontanea (come i recettori
vestibolari, gustativi e olfattivi) che viene modulata dalla presenza dello stimolo, è preente una
scarica di base che quando compare lo stimolo la scarica aumenta mentre quando lo stimolo
viene inibito la scarica diminuisce.
Sono presenti altri recettori che sono sempre silenti, la fibra non produce potenziale d’azione, lo
produce solo quando arriva lo stimolo.
Nella fibra c'è una scarica iniziale e una finale: questi due recettori sono entrambi presenti nella
cute e i primi segnalano la presenza dello stimolo mentre gli altri la variazione della comparsa
dello stimolo.
Ricordiamo che le proprietà dei recettori non sono fisse, ma ad esempio il recettore di Pacini se
viene decapsulato diventa recettore a lento adattamento.
Ad esempio i corpuscoli di Pacini, vengono attivati da uno stimolo pressorio o vibratorio;
questo stimolo provoca l’apertura dei canali per il sodio, che sono presenti sulla membrana, ciò
avviene perché grazie alla pressione la membrana viene deformata; ovviamente il potenziale
d’azione nasce se la depolarizzazione della membrana provocata dall’ingresso del sodio
raggiunge il valore soglia di scarica.

Concetto di soglia:
 Possiamo parlare di soglia percettiva (o assoluta) ed è la quantità di energia minima
contenuta nello stimolo necessaria per generare un’esperienza cosciente;
 Soglia fisiologica cioè la quantità di energia minima necessaria dello stimolo per
l’attivazione dei recettori e delle fibre afferenti (non è detto che questa attività raggiungi
la coscienza perché lungo il percorso dal recettore alla corteccia cerebrale possono esserci
dei processi di elaborazione intermedi che possono annullare l’arrivo del segnale fino
alla corteccia cerebrale)
Per quello che riguarda le regioni ad alta densità di innervazione (come labbra e
polpastrelli) si è visto che soglia assoluta e soglia fisiologica coincidono.

Campo recettivo (l’area nella quale uno stimolo adeguato può produrre una
risposta)
La regione di cute che è innervata da un fascetto di fibre che afferiscono tutte attraverso la
stessa radice posteriore, nello stesso neuromero spinale, è detta DERMATOMERO.
Nei vari dermatomeri la densità recettoriale però è differente e questo influenza l’acuità
sensoriale (ovvero la capacità di discriminare come distinti due stimoli puntiformi molto vicini).
Tale acuità è maggiore, dove c’è maggior densità recettoriale, come ad esempio nei polpastrelli
e nelle labbra. L’acuità è la precisione con la quale viene percepito uno stimolo.
La densità d’innervazione è correlata alla dimensione dei campi recettivi.

Il campo recettivo è la parte di periferia sensoriale che se viene interessata dallo stimolo
modifica l'attività di un determinato neurone (che è di tipo pseudounipolare); è considerata una
proprietà dell’unità sensoriale. Quindi nel caso del sistema somatosensoriale il campo recettivo
sono dei territori della cute.
Il campo recettivo può essere piccolo o grande, le sue dimensioni possono influenzare la
capacità discriminativa: in un campo recettivo grande uno stimolo debole attiva alcune
terminazioni (ad esempio cute deformata da stimolo pressorio), che generano potenziale
d’azione; mentre se lo stimolo è più intenso verranno attivate tutte le terminazioni di quell’unità
sensoriale e la frequenza di scarica del potenziale sarà maggiore.
Se invece parliamo di unità sensoriale con campi recettivi piccoli, uno stimolo debole attiva
tutte le terminazioni di un neurone e quindi avremo nel sistema nervoso la scarica massima per
quel neurone, mentre se lo stimolo è intenso verranno attivati 3 neuroni sensoriali (quelli
adiacenti a dove avviene la stimolazione) e quindi la scarica che riceverà il sistema nervoso è la
somma delle scariche massime dei 3 neuroni sensoriali.
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Spesso i campi recettivi sono sovrapposti parzialmente, prendiamo per esempio un campo
innervato da un neurone A ed uno innervato da un neurone B che si sovrappongono, ciò
significa che è presente una regione di cute che sarà innervata sia dal neurone A che dal
neurone B.

La capacità discriminativa di 2 punti, cioè la capacità di discriminare 2 stimoli puntiformi ad


una certa distanza. La distanza di come questi 2 stimoli vengono percepiti cambia molto nelle
diverse parti del corpo e dipende dal campo recettivo: in un campo recettivo grande se
applichiamo 2 stimoli separati vicini ed entrambi cadono nello stesso campo recettivo non
verranno percepiti come 2 stimoli distinti ma solo come uno unico; se invece ci troviamo in u
territorio in cui i campi recettivi sono piccoli i 2 punti separati potranno andare accadere in 2
campi recettivi di neuroni diversi e quindi potranno essere percepiti come 2 stimoli distinti.

Percorso tipico (via generalizzata per la trasmissioe dell’informazione) seguito


dall’informazione sensoriale (neurone I tipo): Lo stimolo viene percepito dai recettori, queste
informazioni che provengono dai recettori vengono trasmesse dal neurone afferente (neurone
di I ordine) al primo centro di integrazione in cui fa sinapsi che può essere o il midollo spinale o
il tronco dell’encefalo (lo stimolo raggiunge il centro di integrazione omolaterale, quindi uno
stimolo percepito a destra raggiungerà il centro di integrazione di destra).
Di solito per quello che riguarda il sistema somatosensoriale la propriocezione e la
maccenocezione il primo centro si trova nel tronco dell’encefalo, mentre per la nocicezione e la
termocezione sarà al midollo spinale.
Poi tramite il neurone afferente di II ordine l’informazione dai centri di integrazione raggiunge
il talamo (nucleo postero-ventrolaterale); in questo caso avremo una decussazione quindi se lo
stimolo arriva ai centri d’integrazione destri, nel talamo arriverà a sinistra.
Dal talamo parte un neurone di III ordine che proietta alla corteccia somatosensoriale primaria
nelle aree 3, 1 o 2 nel lobo parietale.

Le fibre afferenti (in ingresso) che trasportano informazioni riguardanti la sensibilità meccanica,
si pongono nei cordoni posteriori della sostanza bianca del midollo spinale omolaterale alla
periferia di provenienza.
Le fibre afferenti che trasportano informazioni riguardanti la sensibilità nocicettiva e termica si
interrompono nel corno posteriore e fanno sinapsi con neuroni di secondo ordine che,
decussano nel midollo, e si portano nel quadrante antero-laterale, controlaterale.

Inibizione laterale
Durante tutto questo percorso avviene una sorta di elaborazione preliminare dell’informazione;
è molto importante l’inibizione laterale che permette di rendere più chiara la differenza tra una
parte in periferia attivata e le parti adiacenti non attivate. (Serve per far arrivare all’encefalo
delle informazioni chiare e “pulite”).
Supponiamo di avere 3 neuroni con 3 campi recettivi che si sovrappongono parzialmente, x1
che si sovrappone con y1 e a sua volta y1 si sovrappone anche con z1; immaginiamo di avere
uno stimolo che interessa tutti e tre i campi recettivi ma in modo diverso stimola a livello di y1
che quindi stimola molto yl ma stimolo (poco) anche le parti periferiche xl e zl; y1 avrà una
scarica molto elevata mentre x1 e z1 avranno una scarica ridotta.
A livello della prima stazione si hanno 2 sinapsi, ciascun neurone stabilisce una sinapsi
eccitatoria con il corrispondente neurone di II ordine, ma attiva anche interneuroni inibitori che
vanno ad inibire i neuroni di secondo ordine adiacenti; abbiamo quindi y1 che attiva y2 con una
sinapsi eccitatoria ma eccita anche gli interneuroni inibitori che a loro volta vanno ad inibire x2
e z2; e lo stesso fanno gli altri 2.
Pero y1 è attivato molto più intensamente e quindi attiverà più intensamente y2 e attiverà
intensamente gli interneuoroni inibitori che andranno ad inibire con più forza x2 e z2;
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l’inibizione su y2 provocata da x1 tramite l’interneurone e da z1 tramite l’altro interneuorone ci
sarà, ma sarà più debole: ciò è molto importante perché alla fine dell’inibizione laterale la
differenza di attività tra y2 e x2 e z2 sarà molto aumentata. (Viene aumentato il contrasto e la
chiarezza del segnale).
Questo processo si ripete poi anche nel talamo e nella corteccia; così alla corteccia arrivano delle
informazioni molto precise.

Se non ci fosse questo meccanismo di inibizione: prendiamo esempio 2 stimolazione che


attivano 2 canali adiacenti: quando questi 2 neuroni vengono attivati avremo l’attivazione da
parte di questi neuroni di una popolazione sempre più larga; Infatti avremo i 2neuroni primari
che attivano sia il loro neurone corrispondente che il neurone centrale che si trova tra i 2
neuroni (che dovrebbe essere inibito dall’inibizione laterale); ciò alla corteccia provoca che il
neurone A attiva 5 neuroni e il B attiva altri 5 neuroni di cui però 3 sono in comune con A;
quindi in totale avremo l’attivazione di 7 neuroni nella corteccia (non 10 perché 3 sono in
comune).Ciò porta ad una zona molto confusa di attivazione, 2 picchi in cui in mezzo è presente
una zona attivata.
Mentre grazie a questo fenomeno riducendo l’estensione dei campi recettivi dei singoli neuroni
delle successive stazioni sensoriali: infatti abbiamo i 2 neuroni primari che attivano i 2 neuroni
corrispondenti e grazie all’inibizione laterale mentre quello centrale che si trova tra i 2 attivati
viene inibito (riceve inibizione da interneurone di destra e di sinistra), ciò si verifica anche nelle
successive stazioni; questo fa sì che le aeree corticali attivate dalla stessa stimolazione possano
essere separate da una zona di silenzio cioè da una zona di neuroni che non scarica. Se è la fibra
di mezzo a portare le informazioni l’attività fisiologica delle fibre vicine potrebbe provocare
delle “interferenze”. Per evitare che ciò accada la fibra centrale manda degli impulsi che le
inibiscono in modo che al cervello provenga solo l’informazione voluta.

Terminazioni nervose libere (a lento adattamento): responsabile della traduzione di uno


stimolo nocivo in dolore. Le cui fibre di queste terminazioni libere possono essere amieliniche
sono innervati da fibre a delta come i termocettori. Avvisano di stimoli pericolosi e si attivano
per stimoli intensi.
Ricordiamo le fibre C che partecipano al senso del tatto, ma non ad alta discriminazione ma
associato ai contatti sociali, quindi carezze… (sensazioni piacevoli); e ricordiamo anche i
meccanocettori dolorifici che sono ad alta soglia con adattamento molto lento, hanno un campo
recettivo piccolo e rispondono a stimoli come il dolore e ferite alla pelle.

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Le fibre afferenti dai recettori di tatto e pressione cutanei entrano nel midollo con la radice
dorsale e salgono verso il bulbo: le fibre che provengono dai recettori cutanei della parte
inferiore del corpo salgono con il fascicolo gracile, mentre quelli che provengono dalla parte
superiore del tronco salgono più lateralmente con il fascicolo cuneato e terminano nel nucleo
gracile e cuneato dove fanno la prima sinapsi. Il percorso delle fibre ascendenti è omolaterale:
esistono quindi diversi tipi di recettori e tra quelli a piccolo campo recettivo ci sono Merkel e
Messner. Tra quelli a grande campo recettivo troviamo i corpi di Pacini e Ruffini che sono i più
profondi.

Funzione:
- Merkel: percepiscono la forma e la struttura degli oggetti (superficiale a lento
adattamento); innevati a fibre mieliniche. Stimoli che lo attivano sono i bordi, gli angoli i
punti e le curvature. (È quello con il campo recettivo più piccolo)
Si trovano sui polpastrelli, densità di innervazione 100/cm2.
L’acuità spaziale è 0,5 mm cioè che percepiscono 2 punti separati fino a mezzo millimetro
di distanza. La soglia per attivarsi da 8 micron di cute spostata. Questi recettori sono
localizzati nella punta delle dita.

- Messner: percepiscono il movimento e il controllo della presa, quindi una deformazione


dinamica (superficiale a rapido adattamento); si trovano nella cute glabra 8 Sono
localizzati per lo più nella punta delle dita e sono innervati da fibre mieliniche. Lo
stimolo che lo attiva è il movimento della cute. Si trovano sui polpastrelli densità di
innervazione 150/cm2.
L’acuità spaziale è di 3 mm. La soglia per attivarsi è da 2 micron di cute spostata (molto
bassa).

- Pacini: percepiscono eventi, anche distanti trasmessi attraverso vibrazione, come ad


esempio l’utilizzo di attrezzi (profondo a rapido adattamento); campo recettivo molto
grande addirittura un intero dito o un intera mano. Densità di innervazione 20/cm2.
(Bassa soglia)

- Ruffini: percepiscono la forza tangenziale per esempio uno stiramento della cute non
doloroso, la forma delle mani e il movimento della cute ma più ampio sempre per
stiramento (profondi, a lento adattamento); sono sensibili anche alla direzione
dell’oggetto. Densità di innervazione di 10/cm2.

- Recettori del pelo: percepiscono leggerissimo tocco, come una piuma, sono a rapido
adattamento, il loro campo recettivo è piccolo e sono a bassa soglia di attivazione.
Percepiscono i movimenti ella pelle o addirittura dei peli.

Sono tutti quanti innervati da fibre A-beta.


I recettori cutanei sono terminazioni di fibre afferenti incapsulate in cui la trasformazione del
segnale meccanico in elettrico è dovuta all'apertura dei canali sensibili alla formazione cutanea
della membrana e ciò provoca una depolarizzazione.
Tutte queste fibre che derivano dai recettori citati sopra arrivano al midollo spinale, hanno il
corpo cellulare nel ganglio della radice dorsale.
Le fibre dei nocicettori entrano nello stesso punto, fanno sinapsi e formano il fascio
spinotalamico che decussa subito e decorre nel quadrante antero-laterale e termina poi nel
talamo. Il sistema lemniscale raccoglie anche le informazioni propriocettive dai fusi
neuromuscolari.

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Lettura braille: i dischi di Merkel che sono a lento adattamento sono quelli che riproducono con
la loro frequenza di scarica il pattern braille in maniera più fedele.

LA PROPRIOCEZIONE
La propriocezione è composta da 3 qualità:
- Il senso della forza Abbiamo già visto che queste sono controllate dai
- Il senso del Movimento propriocettori (recettori propriocettivi), quali i fusi
- Il senso della Forza neuromuscolari e l’apparato tendineo di Golgi.

I propriocettori inviano fibre che, come i meccanocettori, hanno il corpo cellulare nel ganglio
della radice dorsale e attraverso essa entrano nel midollo spinale. Il ramo principale si pone nel
cordone posteriore della sostanza bianca, un eventuale collaterale va a generare un circuito che
ha come centro d’integrazione il midollo spinale, che abbiamo già visto prendere il nome di
arco riflesso. Le fibre del ramo principale ascendono sempre omolateralmente alla sede di
provenienza. Queste arrivano al bulbo (e nello specifico nelle colonne dorsali). Il neurone di
primo ordine qui si interrompe e fa sinapsi con un neurone di secondo ordine che decussa
nell’antimero controlaterale e sale sino al talamo. La decussazione da origine alla Via del
Lemnisco Mediale, che prima della decussazione prendeva il nome di Via del cordone posteriore, e
si componeva di fascio Gracile e Fascio Cuneato.
Dal talamo attraverso neuroni di terzo ordine, giunge alla corteccia somato-sensoriale, la cui
struttura verrà analizzata più avanti.

Le afferenze dei Fusi neuromuscolari dalla parte inferiore del corpo convergono sul nucleo di
Clarke, localizzato nella regione Lombare del Midollo Spinale a cui fanno riferimento
sensazioni non coscienti. Le afferenze dei fusi neuromuscolari degli arti superiori invece
originano a livello del nucleo cuneato, e i proiettano al bulbo; dal bubo sono destinate al
cervelletto.
Si parla nel primo caso di fascio spino-cerebellare dorsale, nel secondo caso di fascio Cuneo-
Cerebellare.
Dal Nucleo trigeminale (anche detto Ganglio di Gasser) si dipartono neuroni che innervano tre
regioni: la regione mascellare, la regione Mandibolare, la regione Oftalmica. Trasporta
informazioni riguardanti la sensibilità termica/Nocicettiva/Popriocettiva del territorio oro-
facciale, che consta di quelle tre regioni citate. Da queste regioni arrivano afferenze al nucleo del
trigemino, che poi proietta afferenze al talamo, generando il fascio trigemino-talamico, (anche
detto Lemnisco trigeminale). Questo Fascio decussa e si porta al talamo controlaterale e nello
specifico nel nucleo VentroPosteroMediale (Nucleo VPM). Da qui alle regioni laterali della
corteccia somato-sensitiva attraverso la via talamo-corticale.

Parentesi sul Talamo


Il talamo è una struttura Diencefalica pari e mediana che consta di 4 aree:
Area Ventrale
Area Dorsale
Area Laterale
Area Mediale
Nel talamo esiste un’organizzazione somato-topica, cosicché le afferenze della parte inferiore
del corpo terminino nelle aree più laterali; le afferenze dalla parte superiore terminino nella
zona intermedia; le afferenze trigeminali nella regione più mediale.

La corteccia Somato-sensoriale

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La corteccia somato-sensoriale si divide ini due aree: La corteccia Somato-sensoriale primaria e
la corteccia somato-sensoriale secondaria.

La corteccia Somato-sensoriale primaria, si trova nel lobo parietale, immediatamente


dorsalmente alla scissura centrale di Rolando. E delimitata medialmente dalla scissura
interemisferica e lateralmente dalla scissura laterale di Silvio. In sezione frontale si possono
notare, come anche per la corteccia motoria già vista, un’organizzazione somatotopica, dove
diverse regioni sono deputate a ricevere afferenze da varie parti del corpo. Se nella corteccia
motoria questo dava origine all’Homunculus Motorio, a livello della corteccia Somato-
sensoriale questo dà origine all’Homunculus Sensoriale. L’estensione di tali aree dipende dalla
densità recettoriale e quindi dai campi recettivi delle varie regioni corporee.

La corteccia somato-sensoriale si divide in 4 aree Cito-architettoniche, che in senso antero-


posteriore, sono:
 Area 3a: che riceve afferenze dai propriocettori Muscolari
 Area 3b: che riceve afferenze da meccanocettori a lento adattamento
 Area 1: che riceve afferenze da meccanocettori a rapido adattamento
 Area 2: che riceve afferenze da recettori articolari

Altre aree sensoriali, oltre alla corteccia somato-sensoriale sono: La corteccia Olfattiva, La
corteccia Uditiva, La corteccia gustativa.

I neuroni corticali delle aree somato-sensoriali hanno campi recettivi, che maggiormente sono
ampi, maggiore è l’attivazione di tali neuroni, che ricevono da quel campo recettivo.
L’attivazione (e quindi la scarica) è maggiore in quei neuroni che hanno campi recettivi
localizzati nei polpastrelli del dito indie e del dito Pollice della mano.

La figura mostra come i pallini rossi nel disegno della mano rappresentino campi recettivi ampi,
che attivano neuroni in maniera maggiore. Infatti i grafici corrispondenti ai numeri dove sono
campi recettivi ampi, (pallini rossi), indicano che l’attività di scarica di tali neuroni è maggiore
rispetto alle aree dove invece abbiamo pallini gialli e bianchi (che indicano campi recettivi più
piccoli)
Tali neuroni, inoltre sono sensibili anche alla direzione del movimento.

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Quest’immagine suggerisce che, se la mano, riceve uno stimolo dal 5° dito verso il 1° dito si
attiva la popolazione di neuroni indicata con il nome di Neurone 1, e viene scarsamente
sollecitata la popolazione di neuroni che prende il nome di Neurone 2, ma se lo stimolo avviene
nella direzione opposta, allora la popolazione maggiormente attivata e che scaricherà
maggiormente è la 2, e la 1 sarà a riposo

L’organizzazione Laminare e Colonnare della Corteccia


La corteccia presenta sia un’organizzazione Laminare che Colonnare.
La prima è molto semplice e prevede che la corteccia sia divisa in 6 strati (Lamine) e che nel
2/3/5/6 strato, siano presenti neuroni di proiezioni (cellule piramidali piccole e medie
dimensioni). L’organizzazione Colonnare, è invece più complessa. Prevede che si susseguano
colonne con le stesse caratteristiche funzionali. Queste si riferiscono al campo recettivo e al tipo
di recettore che la stimolazione attiva. Le colonne attivate da recettori a lento adattamento sono
più piccole, quelle attivate da recettori a rapido adattamento sono più grandi

La Plasticità della corteccia


La plasticità della corteccia sensoriale è quella proprietà per cui una regione del cervello si
modifica in base all'esperienza e permette il recupero della visione dell'apprendimento. La
plasticità può essere a lungo termine con una proliferazione dei rami nervosi oppure esiste
anche a breve termine per esempio quando viene anestetizzata una regione cutanea si ha una
variazione dell'organizzazione corticale delle regioni vicine.

La corteccia Somatosensitiva Secondaria


Questa regione è posta immediatamente sopra al solco di Silvio, Più in profondità rispetto alla
precedente. Ha campi recettivi bilaterali, e ricevono afferenze in entrambi gli emisferi. Questa
regione è collegata con: la corteccia Motoria, la corteccia insulare, la corteccia limbica. Ricevono
afferenze dal complesso Ventrale Posteriore del Talamo.

Sensibilità dolorifica e termica


I recettori che sono in grado di percepire la sensibilità dolorifica e termica sono terminazioni
libere, che fanno capo a due differenti tipi di fibre afferenti: Le fibre C (deputate alla tramissioni
ANCHE delle sensazioni di prurito), e le fibre A󠄝δ.

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Il grafico mostra che la nocicezione è dovuta a recettori specializzati (fibre diverse). L’esempio a
fianco mostra come, registrando l’attività del nervo mediano della mano e sottoponendo la mano
ad uno stimolo termico non nocivo, si ottiene la curva azzurra nel grafico. Il potenziale cresce sino
al valore di temperatura di 45 °C. Da quel valore in poi ogni stimolo cutaneo, sarà percepito come
doloroso. A 45 Gradi si ha la massima scarica, e poi il potenziale si stabilizza. Aumentando la
Temperatura, viene registrata anche l’attività di una seconda fibra afferenti, (quella nocicettiva),
Questo spiega perché ad un qualunque stimolo che oltrepassa la temperatura di 45°C, il nostro lo
percepisce come doloroso. Nel grafico infatti aumenta la scarica (l’attività) del Nocicettore
aumentando la temperatura, mentre l’attività del neurone che fa percepire stimoli termici non
dolorosi, cessa.

Ma Cos’è il dolore?
Il dolore è un’esperienza sensoriale sgradevole associata ad un danno reale o potenziale. Può
essere distinto in
 Dolore Primario (Acuto): La percezione del quale è dovuta all’attivazione delle fibre A󠄝δ
(che sono mieliniche). è avvertito nella sede dello stimolo nocicettivo per l’impegno dei
nocicettori locali.
 Dolore Secondario (Sordo): La percezione del quale è dovuta al reclutamento delle fibre
C (che sono Amieliniche)

I recettori presenti sulle terminazioni libere dolorifiche sono:


 Recettori TRPA che si attivano alle TRPA con T < 25
 Recettori TRPM basse temperature TRPM con T < 18

 Recettori TRPV (che si attivano alle elevate temperature)


o TRPV1 si attivano con T > 42° attivati dalla Capsaicina (responsabile della
o TRPV2 si attivano con T > 52° percezione del piccante nelle papille gustative
o TRPV3 si attivano con 34 < T < 38
o TRPV4 si attivano con 27 < T < 34 attivati dalla Canfora

IL TRATTO SPINOTALAMICO

Le fibre afferenti dolorifiche che provengono dalla cute entrano nel Midollo Spinale.
A DIFFERENZA DELLE MECCANOCETTIVE le fibre che conducono l’informazione
dolorifiche si interrompono nel corno dorsale, qui vanno a fare la prima sinapsi con neurone di
proiezione, che decussano nell’antimero controlaterale del Midollo e si pongono nel quadrante
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Anterolaterale, risalendo fino al Talamo, Come via Anterolaterale (anche detta TRATTO
SPINO-TALAMICO).
Questo percorso è condiviso anche da fibre che trasportano informazioni termiche.

Il quadrante anterolaterale, ha un’organizzazione somatoto-topica. Può essere diviso in aree in


base alla regione cutanea da cui le informazioni afferiscono. Gli assoni provenienti dai
Neuromeri Sacrali si pongono lateralmente e sono i più marginali; procedendo in senso latero-
mediale, abbiamo assoni provenienti dalle regioni lombari, toraciche e cervicali. Di
conseguenza, più lateralmente di tutti nel midollo avremo afferenze dagli arti inferiori, poi
quelle derivanti dal tronco, poi dagli arti superiori e dal collo. Il fascio spino-talamico, che
decussa già nel midollo si porta sino al talamo, inviando però, numerose collaterali, a varie
stazioni che possono dare origine a risposte riflesse. Il ramo principale poi proietta dal talamo
alla corteccia somato-sensoriale primaria.
Il tratto spino talamico, se confrontato con il fascio Lemniscale, presenta nelle sue caratteristiche
e nel suo percorso notevoli differenze e queste si ripercuotono in caso di lesione che interessi
una sola metà del neuromero spinale.

Come vediamo dall’immagine, se la lesione interessa soltanto un antimero del midollo spinale,
in base alla sede della lesione:
- Sarà alterata la sensibilità termo dolorifica dell’emi-corpo controlaterale e inferiore
rispetto alla sede della lesione (perché il tratto spino talamico in azzurro decussa appena
entra nel midollo spinale.
- Sarà alterata la sensibilità Propriocettiva/Meccanocettiva e la capacità discriminativa di
due punti, nell’emi-corpo omolaterale e inferiormente alla lesione (perché il fascio
lemniscale in rosso, che traporta tali sensibilità deve ancora decussare, lo farà soltanto a
livello delle piramidi bulbari).

Tutte le afferenze sensoriali riferite al volto originano a livello del nucleo del trigemino. Si
forma il tratto trigemino-talamico che decussa portandosi nel talamo controlaterale (a livello del
Nucleo VPM), da lì il talamo proietta alla corteccia somato-sensoriale nella regione deputata a
ricevere afferenze riferite al volto.

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Nel tratto spino talamico, si distinguono due tipi di Neuroni detti Spino-talamici.
 Neurone Nocicettivo Specifico: Risponde solo a stimoli di natura dolorifica, saranno
stimoli che faranno avvertire dolore
 Neurone ad ampio spettro dinamico: Risponde a stimoli di varia natura, in ogni caso che
non evocano sensazioni dolorose (pressione lieve, pizzicamento innocuo, ecc..)

Abbiamo già detto che il tratto spino talamico invia il ramo principale al talamo, ma invia anche
collaterali, a differenti strutture. Questo tragitto è sintetizzato nello schema:

SISTEMA NUCLEO CORTECCIA SOMATO-


ANTEROLATER VENTRALE SENSORIALE
ALE POSTERIORE PRIMARIA E
DEL TALAMO SECONDARIA

FORMAZIONE
RETICOLARE

COLLICOLO
SUPERIORE

SOSTANZA GRIGIA
PERIACQUEDUTTA
LE
MESENCEFALICA

IPOTALAMO

AMIGDALA CORTECCIA
CINGOLATA

LINEA MEDIANA
DEI NUCLEI DEL
TALAMO CORTECCIA
INSULARE

MODULAZIONE DEL DOLORE


La modulazione del dolore è un meccanismo che può essere spiegato attraverso la teoria del
Cancelletto.
Abbiamo un circuito afferente al Midollo Spinale, formato da una fibra C (che proviene da un
nocicettore) e prende contatto con il neurone di secondo ordine che forma il fascio spino-
talamico. Questa sinapsi è eccitatoria. La stessa fibra C, invia anche collaterali ad un
interneurone su cui esercita un’azione inibitoria. La presenza della fibra C, quindi, annulla
l’inibizione da parte dell’interneurone, sul neurone del fascio spino-talamico. Quindi il segnale
dolorifico arriva ai neuroni del fascio spino-talamico. Nel circuito afferente è però presente
anche una fibra Aβ (che proviene da un meccanocettore). Questa seconda fibra ha il ramo
principale nelle colonne dorsali, e invia collaterali ad interneuroni, con i quali formano sinapsi
eccitatorie. Il contributo della fibra Aβ impedisce quindi il passaggio dell’informazione
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dolorifica perché stavolta il l’intereurone è eccitato a svolgere la sua inibizione sui neuroni del
fascio spino-talamico. Questo spiega perché quando avvertiamo dolore, di riflesso, tendiamo a
massaggiarci la zona interessata dal dolore. Stimoliamo i meccanocettori che attiveranno le fibre
Aβ, che ecciteranno gli interneuroni, che non permetteranno il passaggio del segnale dolorifico,
ad opera dell’altro fascio (quelle delle fibre C). Le fibre Aβ, hanno una velocità maggiore delle
Fibre C, le prime sono mieliniche, le seconde no. Pertanto le fibre Aβ, ecciteranno l’interneurone
inibitorio, prima dell’arrivo del segnale dolorifico.
Questo meccanismo prende il Nome di TEORIA DEL CANCELLETTO.

Nello schema si vede l’azione inibitoria svolta dalle fibre C sull’Interneurone, il quale ha
un’azione inibitoria sui neuroni del tratto spino talamico, e un’ azione eccitatoria, sui neuroni
del tratto spino-talamico. Ma l’inibizione è inibita, quindi il segnale dolorifico giungerà nel
tratto spino-talamico, in quanto viene considerata ai fini della trasmissione soltanto
l’eccitazione. (laddove il circuito presentasse solo fibre C, il segnale passerebbe SEMPRE. La
fibra Aβ, si vede invece, avere come unica azione quella di eccitare l’interneurone ad inibire i
neuroni del tratto spino-talamico. Questo contributo permette al segnale dolorifico di NON
PASSARE. Questo prevale, sull’azione delle fibre C, perché le fibre Aβ hanno una maggior
velocità di conduzione, il neurone si trova gia eccitato ad inibire il L’interneurone, prima
dell’arrivo dello stimolo dolorifico, che quindi giungerà modulato.

Ci sono anche sistemi discendenti che modulano la trasmissione dei segnali dolorifici in ascesa .

Questi originano a livello del principale centro d’integrazione del dolore, localizzato nel
Mesencefalo, La sostanza grigia Periacqueduttale. Questo centro riceve informazioni dalla corteccia
Somatosensoriale, Amigdala, Ipotalamo. La sostanza grigia periacquettale blocca la soia del
dolore modulandone la percezione. Questo centro proietta ai Nuclei del Rafe (nel Bulbo), e al
Locus Coreuleus (del ponte). Il nucleo del Rafe invia al midollo proiezioni serotoninergiche, il
Locus invia proiezioni noradrenergiche. Le prime hanno la funzione di eccitare un gli
interneuroni a rilasciare una sostanza coinvolta nella modulazione del dolore, l’Encefalina. Tali
Interneuroni sono detti Encefalinergici. L’encefalina prende contatto con i suoi recettori sia col
terminale di Una fibra C, sia con il neurone che origina il fascio spinotalamico, e va ad inibire
entrambe le strutture perché iperpolarizza le membrane. Avremo quindi il blocco del passaggio
del segnale dolorifco.
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DOLORE RIFERITO
Il dolore riferito è un’esperienza sgradevole (un dolore) lamentato in una regione precisa
del territorio cutaneo, seppur il danno potenziale/reale, è localizzato a livello di un organo
interno.
L’esempio più comune di tutti è il dolore riferito all’arto superiore sinistro e alla zona
toracica, che sta ad indicare una sofferenza a livello del miocardio.
L’infarto Miocardico infatti è una sofferenza del tessuto che forma il cuore, questa
sofferenza evoca una sensazione di dolore, perché vengono inviate fibre nocicettive che
escono dal cuore, ed entrano nel midollo spinale, ma anche dai recettori nocicettivi
cutanei. Questo spiega il dolore riferito a livello superficiale nel torace e nell’arto sinistro: i
nervi che raccolgono informazioni dai visceri sono collegati agli stessi neuroni che
ricevono gli impulsi dalle terminazioni nervose della pelle e dei muscoli.
Altri esempi di dolore riferito sono:
Fegato e Cistifellea = Fianco Sx
Stomaco = regione addominale
Reni = Zona Lombare
Polmoni = Collo e parte alta delle spalle

DOLORE ALL’ARTO FANTASMA


Attribuzione di sensazioni dolore riferite ad un arto che non c’è più a seguito di
un’amputazione. Questo intervento chirurgico comporta il taglio di tutte le fibre sensitive.
Questo comporta che talvolta in maniera riflessa possono essere stimolate le terminazioni
nella parte residua dell’arto provocando dolore a causa dell'attività elettrica aberrante
proveniente dal neuroma che va a formarsi nel moncone in seguito alla rescissione del
nervo

DANNO TISSUTALE
In caso di danno tissutale, invece, si attivano i nocicettori cutanei, questi sollecitano fibre
mandano il ramo principale al Midollo, e le collaterali alle cellule bianche come Mastociti e
Neutrofili, che rilasciano Istamina. Questa è un vasodilatatore (e spiega perché avvertiamo
rossore e calore), stimola inoltre le fibre afferenti che inviano attraverso il ramo principale
il segnale dolorifico al midollo. Nel danno le cellule rilasciano acqua e questo spiega
l’edema

OCCHIO E RETINA

L’Occhio è l’organo di senso deputato ad assolvere la funzione visiva. È sensibile alla luce.
L’insieme di tutte le frequenze è detto spettro elettromagnetico, e contiene tutte le
frequenze e lunghezze d’onda delle radiazioni. La parte centrale è detta spettro del visibile
ed è delimitato dalla più bassa frequenza d’onda cui l’occhio umano è sensibile, e dalla più
alta percepibile. La più bassa ha una lunghezza d’onda di 350 nm e si identifica con il
colore viola, la più alta ha una lunghezza d’onda si 750 nm e si indentifica con il rosso.
L’occhio umano per assolvere alla funzione visiva è dotato di recettori sensibili alla luce,
detti fotorecettori.

Anatomia dell’occhio
L’occhio è formato da retina + i cosiddetti mezzi diottrici):
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 Retina: che è la vera e propria parte sensibile. E’ una struttura di origine
telencefalica localizzata sul fondo dell’occhio ed è indirettamente vascolarizzata,
grazie alla vascolarizzazione della coroide.
 I principali mezzi diottrici sono:
 La sclera: la parte bianca caratteristica del bulbo oculare (davanti diventa
trasparente generando la cornea)
 La cornea questa è in continuità con la sclera e permette il passaggio della
luce ed è dotata di una parziale capacità di rifrazione.
 Umore Acqueo: è localizzato nella camera anteriore, tra cornea e cristallino
 Iride: Questa struttura regola il suo diametro in base alla luce.
 Cristallino: struttura che, comportandosi come una lente, mette a fuoco gli
oggetti, tramite la variazione del suo spessore ad opera del Muscolo Ciliare
(in un processo detto ACCOMODAMENTO o ACCOMODAZIONE che
permette di proiettare nella retina l’oggetto messo a fuoco). Nella parte
centrale del cristallino è presente la pupilla.
 Umor Vitreo. Liquido gelatinoso localizzato dietro al cristallino che riempe il
volume sferico del bulbo oculare (non è visibile)

L’accomodazione

Il muscolo Ciliare tramite le fibre zonulari permette la modificazione dello spessore del
cristallino in un movimento che prende il nome di Accomodazione, che consiste
nell’aumento della curvatura (e quindi dello spessore) della lente del cristallino. Grazie a
questa proprietà del cristallino, l’oggetto è messo a fuoco sempre esattamente sulla retina.

Quando il muscolo ciliare è rilassato, il cristallino è piatto. Nonostante il rilassamento il


fuoco della lente cade esattamente perpendicolare alla retina, perché il cristallino ha
una rifrazione ottimale (emmetropia), che permette la messa a fuoco esattamente sulla
retina. Questa condizione è detta STATO NON ACCOMODATO.
Lo stato non accomodato è caratteristico della messa a fuoco di un punto che tende
all’infinito (lontano) per percepire il quale, l’occhio emmetrope (sano) non necessita di
accomodazione.

Se l’oggetto da mettere a fuoco, si trova invece, vicino all’occhio, le proiezioni di questo


verranno captate dietro alla retina, in assenza di accomodazione, il cristallino dovrà
quindi aumentare il proprio spessore, per avere una maggiore rifrazione in modo tale
che la proiezione del fuoco della lente sia deviata di un angolo tale che essa cada nella
retina, In questo caso è necessaria accomodazione. Si parla di STATO ACCOMODATO.

Quindi l’emmetropia è quella condizione di rifrazione ottimale per cui oggetti lontani
vengono messi a fuoco senza accomodazione (cristallino piatto), e oggetti vicini vengono
messi a fuoco con accomodazione (curvatura del cristallino maggiore).

Sono due i principali difetti legati ad una distorta proiezione dell’onda luminosa sulla
retina:
 La miopia: condizione per cui, in assenza di accomodazione gli oggetti lontani,
appaiono sfocati sulla retina, (laddove invece l’occhio emmetrope riesce a percepirli
a fuoco pur senza accomodazione). Questo perché la messa a fuoco avviene in un
65
punto anteriore alla retina, e non esattamente su di essa; la proiezione arriva
sfuocata. I soggetti miopi, quindi NON vedranno bene oggetti lontani, ma
vedranno bene a fuoco oggetti vicini. I miopi hanno il bulbo più lungo. Con una
lente divergente può essere aumentata la rifrazione, in modo tale che la proiezione
vada a cadere sulla retina. I soggetti Miopi hanno occhiali con lenti divergenti.
 L’ipermetropia: condizione per cui un oggetto vicino, viene messo a fuoco in un
punto posteriormente alla retina, in assenza d’accomodazione. Nell’occhio
emmetrope è necessaria, ma se assente l’oggetto viene percepito, dietro alla retina.
Nei soggetti ipermetropi sarà, quindi, difficoltosa la messa a fuoco di oggetti vicini.
Con una lente convergente, viene riportata la proiezione posteriore esattamente
sulla retina.

La retina
Nella retina sono presenti le seguenti strutture: La Fovea, La Macula, il disco ottico.
Il punto cieco della retina, è quel punto dove non sono presenti recettori.
La retina è formata da diverse popolazioni cellulari
 I fotorecettori: sono i recettori deputati alla percezione degli stimoli luminosi in
ingresso nel bulbo. Sono i coni e i bastoncelli.
 Le cellule bipolari: che sono in contatto con i fotorecettori da una parte, e le cellule
gangliari dall’altra
 Le cellule Gangliari: sono neuroni che hanno assoni che vengono raggruppati in
fasci assonici che escono attraverso il punto cieco e generano il nervo ottico (II paio
di nervi cranici)
 Cellule orizzontali: responsabili insieme alle cellule Amacrine all’integrazione
orizzontale dello stimolo visivo che inizia già a livello della retina
 Cellule Amacrine (stessa funzione di quelle sopra)

Queste famiglie di cellule sono organizzate in 10 strati (8 dei quali sono i seguenti):
 Epitelio pigmentato (deputato ad assorbire la luce in eccesso e provvedere al
rinnovamento dei segmenti esterni dei fotorecettori, per fagocitosi)
 Segmenti esterni dei foto recettori
 Strato nucleare esterno
 Strato Plessiforme esterno

 Strato Nucleare interno


 Strato plessiforme interno
 Strato delle cellule gangliari
 Strato delle fibre nervose
La luce attraverso le strutture diottriche del bulbo, entra nello strato delle cellule gangliari
per arrivare ai fotorecettori.

I Fotorecettori
I due diversi tipi di fotorecettori presentano alcune differenze:
 La prima differenza riguarda la loro densità nelle varie regioni della retina. I coni
sono numerosi al centro della retina mentre vanno diminuendo di concentrazione
in periferia; i bastoncelli al contrario sono maggiormente concentrati nelle regioni
66
periferiche della retina e vanno diminuendo centralmente. Nel punto cieco non
sono presenti alcun tipo di recettori.
 La seconda differenza riguarda la loro struttura. Seppur sono tutti caratterizzati
dalla presenza di un segmento esterno, un segmento interno e un terminale
sinaptico; la differenza morfologica sta nel tipo di segmento esterno. Nei bastoncelli
questa regione è cilindrica, nei coni è conica. E’ compito di questa regione trasdurre
il segnale da luminoso a elettrico.

Questi due fotorecettori sono in grado di percepire gradi di luminosità differenti. Le


caratteristiche dello stimolo dipendono dalla luminanza, che è un valore che è dato dal
logaritmo del rapporto tra intensità luminosa (in candele Cd) per metro quadrato.
Quando la luminosità è bassa abbiamo l’attivazione dei soli bastoncelli (in un tipo di
visione detta scotopica). All’aumentare della luminosità vengono reclutati anche i coni (si
parla di visione mesotopica). Infine l’attivazione dei soli coni con un’acuità visiva
massima. Si parla di visione Fotopica, questa condizione si indentifica con la luce solare.

La risposta della membrana all’aumentare dell’intensità della luce è


un’IPERPOLARIZZAZIONE. Si ha il passaggio della luce, l’apertura dei canali Na + e Ca2+ e
conseguente ingresso di tali ioni. Si genera la cosiddetta corrente al buio. Quando è entrata
la massima quantità di luce si ha la chiusura dei canali. Escono invece attraverso i canali
passivi K+, gli ioni potassio. Si ha IPERPOLARIZZAZIONE (-40 mv  -70 mv).

I Fotorecettori ci permettono di percepire i colori, oltre alla luce (i differenti colori


dipendono dalle differenti lunghezze d’onda)
SOLO I CONI, sono in grado di discriminare i colori, nello specifico, sono sensibili a: Blu,
Verde, Rosso. L’attivazione di più coni simultaneamente permette di percepire i colori che
derivano dall’unione di colori primari (es. L’attivazione dei coni sensibili al blu e al verde
ci permettono di percepire il colore giallo; l’attivazione dei coni sensibili al rosso e al blu, ci
permettono di percepire il colore viola).
Un’alterazione della percezione dei colori, è dovuta a predisposizioni genetiche.
L’alterazione più comune è il daltonismo.
I soggetti daltonici non riescono a distinguere il rosso dal verde.

67
Nel cerchietto a sinistra: Persone senza alterazione della percezione dei colori, nel primo
riquadro riusciranno a leggere 57. Le persone cieche al rosso/verde, non vedranno alcun
numero
Nel cerchietto al centro: Persone senz’alterazione dei colori leggeranno 74; ma persone
cieche al rosso o al verde leggeranno 21
Nel cerchietto a destra: Persone senz’alterazione dei colori leggeranno 42; ma persone
cieche al rosso legge 2; chi è cieco al verde legge 4.

La deuteranopia è l’incapacità di percepire il colore verde


La Protanopia è l’incapacità di percepire il rosso

Questa capacità di discriminare i colori è dovuta a differenti pigmenti che danno origine a
diverse popolazioni di coni
Coni S: sensibili al blu (che ha la minor lunghezza d’onda)
Coni M: sensibili al verde (che ha un’intermedia lunghezza d’onda)
Coni L: sensibili al rosso (che ha la frequenza d’onda maggiore)

I campi recettivi
I campi recettivi delle cellule della retina sono circolari. Si distinguono il settore periferico,
e la regione centrale. Queste due regioni rispondono in maniera opposta o con
un’eccitazione o con un’inibizione. Sia i fotorecettori che le cellule bipolari. I fotorecettori
quando vengono attivati dalla luce producono SEMPRE un’iperpolarizzazione. Le cellule
bipolari possono produrre o una depolarizzazione (se hanno un centro ON) o
un’iperpolarizzazione (se hanno un centro OFF). In ogni caso nessuna delle due produce
un potenziale d’azione. Le prime cellule che generano un potenziale d’azione sono le
cellule gangliari. Anche queste sono organizzate in CENTRO ON/PERIFERIA OFF e
CENTRO OFF/PERIFERIA ON.
Le prime rispondo al centro con un’eccitazione; e in periferia con un’inibizione
Le seconde rispondo in maniera opposta con un’inibizione al centro e un’eccitazione in
periferia.

68
RECETTORE CENTRO ON RECETTORE CENTRO OFF

 Nel caso del recettore ON la stimolazione luminosa che iperpolarizza il recettore è


centrale. Viene diminuito il rilascio di Neurotrasmettitore nella sinapsi con le due
cellule bipolari con cui il cono comunica. Una cellula bipolare è a centro ON; ed una
a centro OFF. Quella a centro ON depolarizza e aumenta il rilascio del
Neurotrasmettitore nella sinapsi con la cellula gangliare (anch’essa a centro ON).
Qui ci sarà un aumento della frequenza di scarica. La cellula bipolare a centro OFF
iperpolarizza e diminuisce il rilascio di glut, verso la cellula gangliare a centro OFF
che quindi diminuisce la frequenza di scarica.

 Nel caso del recettore Centro OFF la stimolazione luminosa è periferica. I coni che
depolarizzano saranno quelli nella regione periferica del campo recettivo.
Attraverso la sinapsi con le cellule orizzontali, va ad aumentare il rilascio di Glut,
nelle due cellule bipolari (una a centro ON e l’altra a centro OFF). Quella a centro
ON iperpolarizza e diminuisce il rilascio di Glut verso la cellula gangliare di centro
ON. Si avrà una diminuzione della frequenza di scarica nella cellula a centro ON,
stavolta. Nella cellula bipolare a centro off, si avrà una depolarizzazione che fa
aumentare il rilascio di glut nella cellula gangliare a centro OFF che quindi aumenta
la freq. Di scarica
Le cellule orizzontalii inibiscono i coni centrali

69
LE VIE VISIVE CENTRALI

Le cellule gangliari, organizzano i propri assoni, in uscita dal punto cieco, per formare il
nervo ottico. A livello di una struttura detta chiasma ottico, avviene la decussazione di una
parte delle fibre assoniche che detengono le informazioni visive provenienti da un solo
occhio.

Le fibre che decussano provengono dall’emi-retina nasale (ovvero la regione di retina più
mediale),
Le fibre che non decussano, provengono dall’emi-retina temporale (ovvero la regione di
retina più laterale)

Attraverso il tratto ottico, le fibre si portano: (anche ipotalamo per sincronizzare ritmi
biologici)
 In parte al talamo, dove è presente in Corpo Genicolato Laterale. Di conseguenza il
talamo riceverà informazioni che provengono sia dall’emi-retina temporale di un
lato, sia dell’emi-retina nasale del lato controlaterale, perché quelle fibre sono
decussate a livello del chiasma ottico.
 In parte al collicolo superiore del Mesencefalo del tronco encefalico (per coordinare
i movimenti di testa-occhi)
 Le restanti al pre-tetto (affinché possano controllare il riflesso fotico pupillare e il
riflesso d’accomodazione)

A livello del nucleo genicolato del talamo, le fibre contenenti informazioni provenienti dai
due occhi, si tengono ancora separate. Le fibre che arrivano dall’emi-retina temporale
dell’occhio omolaterale si portano nelle lamine 2/3/5. Mentre quelle che arrivano
dall’emi-retina nasale, dell’occhio controlaterale, si portano alle lamine 1/4/6. Da lì
partiranno poi le proiezioni alla corteccia visiva.

70
Il campo visivo
Il campo visivo si identifica con l’area visibile dall’occhio umano. Le porzioni laterali del
quale vengono proiettate nelle due emi-retine nasali, le porzioni mediali vengono invece
proiettate nelle emi-retine temporali dell’occhio. Tenendo a mente questo è possibile
risalire alla sede di una possibile lesione in base al decorso delle fibre.

Vediamo i casi più comuni di lesioni che comportano oscuramento del campo visivo:
 Se un paziente afferma: “Non vedo più niente nell’occhio destro ma vedo
perfettamente nell’occhio sinistro”, significa che tutto l’emi-campo visivo destro è
oscurato. Il danno è rintracciabile a livello del nervo ottico destro (formato dal
fascio di fibre in uscita dalla retina del bulbo destro).
 Se un paziente afferma: “Vedo bene al centro, ma non vedo bene ai lati”. Significa
che la periferia del suo campo visivo è oscurata. In condizioni normali, la regione
periferica del campo visivo proietta alle emi-retine nasali (ovvero alle porzioni
mediali di retina). Queste danno origine a fasci che decussano a livello del chiasma
ottico. Se quindi, questa regione di campo ottico è oscurata, la lesione interesserà il
chiasma ottico (e tutte le fibre che vi decussano). Saranno integre le fibre che non
decussano, che escono dall’emi-retina laterale, che però riceve dalla parte centrale
del campo visivo (quella che il paziente riferisce sana).
 Se il paziente afferma che vede soltanto una metà di ogni emi-campo visivo, e la
metà oscurata è la stessa, nei due emi-campi, vuol dire che la lesione è da
rintracciare a livello del tratto ottico controlaterale. Se ad esempio si percepiscono
come offuscati i due emi-campi a sinistra, la lesione interessa il tratto ottico
controlaterale (quindi a destra). Questo perché il tratto ottico destro è costituito sia
da fibre che originano a livello del emi-retina temporale destra, sia dall’emi-retina
nasale sinistra.
 Se la cecità è limitata soltanto ad un quadrante del campo visivo, il discorso è
identico al precedente caso, ma limitato soltanto ad alcune fibre del fascio. Queste
infatti si aprono a ventaglio, e quando avviene una lesione, spesso soltanto alcune
sono colpite. La lesione può essere dovuta a ictus o ischemia.

Organizzazione retino-topica della corteccia visiva


La corteccia visiva primaria è divisa in due regioni separate da una scissura detta Scissura
Calcarina, che decorre orizzontalmente. Qui l’organizzazione è retinotopica. La parte
centrale della fovea, che nel bulbo è piccola, nella corteccia è ampia e rappresentata più
posteriormente Le regioni più periferiche sono rappresentate più anteriormente e sono più
piccole. Inoltre il quadrante superiore di un lato del campo visivo è rappresentata nella
regione al di sotto della scissura calcarina e nell’emisfero controlaterale. Il quadrante
inferiore di un lato del campo visivo, è invece rappresentato al di sopra della scissura
calcarina, dell’emisfero controlaterale.
L’estensione di ogni area dipende SEMPRE dalla densità foto-recettoriale.

Abbiamo detto che la proiezione dei due occhi rimane separata sino al quarto strato della
corteccia visiva. Da qui le afferenze vanno agli strati superiori e inferiori dando origine a
AFFERNZE SOPRAGRANULARI e AFFERENZE INFRAGRANULARI .
La corteccia visiva, (quindi anche detta corteccia Granulare), presenta anche
un’organizzazione colonnare, dove ogni colonna è costituita da neuroni che si attivano

71
tutti per stimolazione di uno stesso occhio. La corteccia visiva primaria è divisa in sei strati
funzionali distinti, numerati da 1 a 6. Lo strato 4, che riceve la maggior parte dei segnali
visivi dal nucleo genicolato laterale (LGN), è a sua volta divisa in quattro strati, detti 4A,
4B, 4Cα, e 4Cβ. La sublamina 4Cα riceve input magnocellulari dal LGN, mentre 4Cβ riceve
gli input parvocellulari.
Le colonne che si attivano per stimolazioni di un solo occhio, si alternano a quelle che si
attivano per stimolazione dell’altro occhio, in mezzo alle quali vi sono neuroni che si
attivano per stimolazione di entrambi gli occhi. Queste colonne sono dette: colonne di
dominanza Oculare.

I campi recettivi
Se i campi recettivi delle cellule retiniche erano circolari, e divisibili in una regione centrale
e una periferica, i campi recettivi delle cellule corticali della corteccia visiva sono
rettangolari. Anche qui è distinguibile una regione periferica e una centrale. Se la zona
centrale è eccitata, quella periferica è inibita e viceversa. I campi recettivi delle cellule
corticali si distinguono anche in base all’ampiezza delle due regioni. Vi sono sia campi
recettoriali con una regione centrale piccola, e una periferica ampia, sia campi recettivi con
una regione centrale ampia e una periferica piccoli, sia neuroni che hanno campi recettivi
divisi in metà uguali: una metà eccitatoria, l’altra inibitoria.

Proprietà dei Neuroni della corteccia Visiva


La prima proprietà dei neuroni corticali della corteccia visiva è la SELLETTIVITA’
Sono neuroni che sono sensibili all’orientamento dei bordi degli oggetti (o in genere degli
stimoli visivi)
Infatti alcuni neuroni rispondono con una scarica più alta quando lo stimolo è un
rettangolo orizzontale. Mano a mano che lo stimolo visivo cambia il suo orientamento. La
scarica di quella popolazione di neuroni è minore perché sono meno sensibili
all’orientamento obliquo. Quando l’orientamento è verticale, la scarica è nulla. Si
attiveranno però altre popolazioni di neuroni sensibili all’orientamento obliquo dei bordi
dello stimolo, che quindi scaricheranno maggiormente quando lo stimolo è orientato
verticalmente, e altre sensibili all’orientamento verticale dello stimolo, che scaricheranno
quando l’orientamento dello stimolo è verticale.
I Neuroni che hanno lo stesso orientamento preferenziale sono organizzati in colonne,
all’interno di una stessa colonna di dominanza oculare.
Un’altra caratteristica dei neuroni corticali è il CAMPO RECETTIVO.
Il campo recettivo è una regione dello spazio in cui se viene a cadere uno stimolo visivo, si
attiva un particolare neurone
I campi recettivi sono simili nei neuroni che si trovano nella stessa colonna. Se si sottopone
ad uno stimolo ad opera di un elettrodo, neuroni di una stessa colonna si può notare come
i campi recettivi siano concentrici. Se l’elettrodo stimola la corteccia obliquamente
vengono interessati neuroni appartenenti a diverse colonne, per cui si osserverà che i
campi recettivi sono sfasati, cosi come sono sfasati anche gli orientamenti preferenziali
(infatti sono diverse le colonne stimolate).

Quindi nella corteccia sono presenti colonne di dominanza oculare (che hanno neuroni che
si attivano se lo stimolo proviene da uno stesso occhio), alternate a colonne formate da
neuroni che si attivano se la stimolazione proviene dall’altro occhio. Per ciascuna di esse ci

72
sono neuroni che sono sensibili a specifici orientamenti dei bordi degli oggetti (sono
appunto SELLETTIVI).

La corteccia visiva, oltre all’area primaria che prende il nome di area V1 (che corrisponde
all’area 17 di Brodmann sul lobo occipitale), vi sono altre due regioni corticali: l’area V2
(Area 18 di Brodmann), l’area V3 (Area 19 di Brodmann), Area MT, Area V4.

Vie Parvicellulari e Magnicellulari della retina


Abbiamo detto, parlando delle cellule gangliari retiniche, che ci sono precise famiglie di
cellule (neuroni), che danno origine a vie precise che proiettano dapprima alle varie
lamine del corpo genicolato del talamo e poi alla corteccia:
Le cellule gangliari Parvicellulari proiettano a lamine da 3 a 6 del Genicolato laterale
Le cellule gangliari Magnicellulari proiettano a lamine 1 e 2 del Genicolato laterale
Le cellule gangliari Koniocellulari tra le 6 lamine

Ciascuna di queste popolazioni dà origine a due differenti vie, dove la tappa finale è il 4°
strato della corteccia visiva. LA VIA VENTRALE (o via Parvicellulare) e la VIA DORSALE
(o via Magnicellulare)

Ricorda: La corteccia visiva è divisa in 6 lamine, le afferenze giungono alla 4° lamina che è
divisa in: 4A; 4B; 4C (lo strato 4C a sua volta è diviso in 4Cα; 4Cβ).

Le lamine da 3 a 6  allo strato 4Cβ della corteccia (neuroni Parvicellulari; VIA


VENTRALE)
Le lamine 1 e 2  allo strato 4Cα della corteccia (neuroni Magnicellulari; VIA
DORSALE)

La via ventrale, formata da neuroni Parvicellulari, è sensibile ai dettagli fini dell’oggetto,


discrimina le forme e le facce delle persone
La via dorsale, formata da neuroni Magnicellulari, risponde alle sagome grossolane ed è
maggiormente coinvolta nel movimento, guidato da stimoli visivi (in quanto ci sono
connessioni
con la corteccia Motoria)

In sintesi è schematizzato il percorso delle due vie formate dai due diversi tipi di neuroni:
Via ventrale: RETINA  Lamine 3/4/5/6 del Genicolato  strato 4Cβ corteccia
Via dorsale: RETINA  Lamine 1 e 2 del Genicolato  strato 4Cα corteccia

Stereopsi è la capacità di discriminare la profondità del campo visivo. Alla base di questa
facoltà dell’occhio umano vi è la disparità binoculare, ovvero la differenza tra le immagini
proiettate nelle due retine che percepiscono due punti del campo visivo. La corteccia
rielabora e unisce i punti, integrando informazioni provenienti dalle due retine e viene
percepita la profondità dell’immagine nel campo visivo. L’assenza di disparità binoculare
porta a diplopia.

Plasticità della corteccia visiva e strabismo


Durante lo sviluppo del feto, le colonne di dominanza oculare sono ancora “mescolate”. E’
stato studiato che lo sviluppo della corteccia è possibile sono se gli occhi ricevono
un’adeguata quantità di stimoli durante un periodo definito periodo critico, che si
73
identifica con lo sviluppo. Per dimostrare questo è stato fatto l’esperimento della
deprivazione monoculare sui gatti. Prima è stato osservato come i neuroni non rispondono
tutti attivandosi alla stessa maniera con stimoli provenienti da differenti occhi, ma
avevano una stimolazione preferenziale. E’ stata quindi effettuata una deprivazione
monoculare, si è suturato un occhio e si è lasciato aperto l’altro osservando l’attività della
corteccia in relazione alla deprivazione. Si verificava una diversa riorganizzazione della
corteccia visiva in relazione all’occhio deprivato. Infatti si perdono notevoli riferimenti
visivi se viene bendato un occhio. Questo è spiegato dal fatto che era maggiore l’attività
dei neuroni corticali che rispondevano a stimoli provenienti dall’occhio non suturato,
mentre era assente l’attività dei neuroni che rispondono a stimoli dall’occhio non suturato,
perché questo non riceveva stimoli essendo suturato. Se questa deprivazione viene fatta
durante il periodo critico, si ha una riduzione delle arborizzazioni dendritiche dei neuroni
e quindi una compromissione dello sviluppo della visione binoculare. Questo fenomeno di
riorganizzazione della corteccia in relazione alla stimolazione monoculare o binoculare,
prende il nome di PLASTICITA’ DI DOMINANZA OCULARE.

Lo strabismo è la mancata convergenza degli occhi in un punto, per una lesione o una
marcata debolezza del muscolo oculomotore, questo impedisce la formazione delle cellule
binoculari, perché non si ha segregazione. E’ bene intervenire prontamente.

I riflessi evocati dall’occhio


Il riflesso fotico-pupillare miosi: E’ un riflesso evocato dalla luce, dove si ha costrizione
(restringimento) della pupilla in relazione al passaggio della luce, allo scopo di impedire
un ingresso eccessivo degli stimoli luminosi nell’occhio. Se viene stimolato un solo occhio
la reazione coinvolge anche l’altro occhio. Se non c’è risposta, la ragione è riconducibile ad
un danno a livello delle strutture encefaliche o alle fibre del parasimpatico che innervano i
muscoli ciliari. Il meccanismo riflesso è il seguente: dalla retina si porta al tetto omolaterale
e da qui arriva al nucleo di Edincer-Westphal (Nucleo Oculomotore). Da qui parte la via
pre-gangliare del sistema parasimpatico: la sinapsi avviene nel ganglio ciliare e poi il
neurone postsinaptico va al muscolo costrittore della pupilla.

Riflesso fotopico-pupillare midriasi: in carenza di luce. Le afferenze arrivano al midollo


spinale dove fanno sinapsi con a fribra pre gangliare simpatica che termina al ganglio
cervicale superiore. Da qui fibre post gangliari tramite il 5 nervo cranico raggiungolo il
muscolo radiale dell’iride.

Il riflesso d’accomodazione: Riflesso che provoca la variazione dello spessore della lente
del cristallino, questo avviene quando si deve mettere a fuoco un punto vicino, rispetto a
quelli lontani. E’ dovuto alla contrazione del muscolo ciliare. Per mettere a fuoco gli
oggetti lontani, non serve accomodazione, perché le proiezioni sono parallele e il
cristallino le rifrange esattamente sulla retina, rimanendo piatto. Il muscolo ciliare è
rilassato. Per gli oggetti vicini invece, il cristallino deve aumentare il suo spessore, affinché
aumenti la rifrazione che fa cadere la proiezione sulla retina. L’ispessimento del cristallino
è dato dalla contrazione del muscolo ciliare. La contrazione riflessa è detta RIFLESSO
D’ACCOMODAZIONE

74
I MOVIMENTI OCULARI I movimenti oculari sono dovuti alla contrazione dei muscoli
scheletrici estrinseci dell’occhio. Sono di diversi tipi:
 Movimenti saccadici (saccadi): Movimenti rapidi e ballistici (che non possono
essere corretti), Sono volontari. Sono quei movimenti che vengono eseguiti per
“agganciare” un bersaglio nel campo visivo
 Lenti: Sono anch’essi movimenti volontari
 Vestibolo-oculari: Sono innescati da afferenze vestibolari (che quindi originano nel
vestibolo dell’orecchio interno)
 Opto-cinetici: evocati da afferenze visive, ad esempio, tramite l’osservazione.
 Convergenza/divergenza: Sono movimenti complementari al riflesso
d’accomodazione (per questo si parla di riflesso d’accomodazione-convergenza)

I movimenti saccadici, quelli lenti e quelli di convergenza/divergenza servono per


seguire con lo sguardo un punto che si sposta nel campo visivo
I movimenti opto-cinetici e quelli vestibolo-oculari sono quelli che ci consentono di
mantenere il punto di fissazione nonostante il movimento del soggetto.

I muscoli che danno origine ai movimenti oculari sono 6 e i motoneuroni che li innervano
si trovano tutti nel tronco encefalico. Gli assoni di questi motoneuroni escono dal tronco e
danno origine al III°; IV°, VI° paio di nervi cranici.

Il retto superiore, Il retto mediale, Il retto mediale e Obliquo inferiore: Innervati dal III°
Nervo Cranico (nervo oculomotore) origina dal nucleo oculomotore nel mesencefalo.

L’obliquo superiore: Innervato dal IV° Nervo Cranico (nervo trocleare) origina nel
Mesenc.

Il retto Laterale: Innervato dal VI° Nervo Cranico (Nervo Abducente) origina nel ponte.

Se vogliamo eseguire un movimento volontario verso destra:


Il circuito parte dalla formazione reticolare pontina paramediana, che è il centro
responsabile dei movimenti orizzontali. Questa attiva il motoneurone del nervo abducente
di destra (il retto laterale di dx), e i neuroni del fascicolo longitudinale mediale, che
salendo nel mesencefalo si portano nel nucleo oculomotore controlaterale, attivando il
corrispondente nervo (retto mediale di sx), in modo che l’occhio sinistro possa guardare
medialmente, perché il nervo oculomotore sinistro attiva il retto mediale sinistro, e al
tempo stesso il nervo abducente possa attivare la contrazione del retto laterale omolaterale
(di destra). Lo sguardo verrà quindi direzionato a destra.

75
La formazione reticolare pontina paramediana è riceve informazioni dal campo visivo
frontale controlaterale e dal collicolo superiore controlaterale.

IL COLLICOLO SUPERIORE
Il collicolo superiore è una struttura che sta nel mesencefalo, formata da 3 strati: quello più
superficiale, dove arrivano afferenze dalla retina, ed uno più profondo dove ci sono
motoneuroni che si attivano in risposta a stimoli sia uditivi che visivi. Le afferenze che
escono dal collicolo sono dirette ai centri dello sguardo orizzontale (FORMAZIONE
RETICOLARE PONTINA PARAMEDIANA). Il collicolo detiene le mappe sensoriali e le
mappe motorie. Infatti stimolando elettricamente diversi punti del collicolo si evocano
saccadi in punti diversi del campo visivo.

Le efferenze in uscita dal collicolo sono dirette alla formazione reticolare pontina
Paramediana, per controllare i movimenti orizzontali. Se invece è richiesto un movimento
verticale, le efferenze sono dirette al centro dello sguardo verticale (localizzate invece nel
mesencefalo). Quando è richiesto un movimento obliquo (formato da una componente
orizzontale e da una componente verticale), le efferenze escono dal collicolo e si portano
ad entrambi i centri. Verrà quindi eseguito un movimento obliquo.

Un’altra struttura deputata al controllo dei movimenti oculari è il Nucleo Caudato


appartenente ai nuclei della base. Il caudato viene eccitato dalla corteccia visiva frontale.
Avendo, il caudato, azione inibitoria, questa viene esercitata sulla sostanza nera reticolata,
anch’essa ad azione inibitoria. La SNr viene però inibita nella sua inibizione. L’effetto è
una Disinibizione del collicolo (perché non viene inibito dalla SNr), Può quindi portare
l’informazione ai centri dello sguardo, e può avvenire il movimento oculare.
Tutti questi circuiti che controllano i movimenti saccadici, sono responsabili anche dei
movimenti lenti. In questi è coinvolto anche il cervelletto, per correggere i movimenti in
termini di velocità e direzione. I movimenti lenti possono infatti essere corretti a differenza
dei movimenti saccadici.

Il Nistagmo (riflesso optocinetico), come vedremo in seguito, è un movimento che si


compone di due fasi: La fase lenta e la fase rapida. Nella fase lenta si ha un movimento
lento degli occhi, e nella direzione opposta rispetto al movimento del volto o del corpo.
Nella fase rapida si ha un movimento saccadico (rapido), nella stessa direzione del volto, e
si ha un riposizionamento dell’occhio.
Può verificarsi in condizioni patologiche in presenza di una lesione all’apparato
vestibolare, di cui adesso parleremo.

L’APPARATO VESTIBOLARE
L’apparato vestibolare è un apparato sensoriale che dà informazioni sulla posizione della
testa nello spazio e sui movimenti che la testa può compiere rispetto ad esso. Questi
movimenti sono di tre tipi:
Imbardata: rotazione della testa attorno all’asse verticale
Rollio: rotazione della testa attorno all’asse sagittale
Beccheggio: rotazione della testa attorno all’asse trasversale passante per le due orecchie

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L’apparato vestibolare è racchiuso in una fossa dell’osso temporale, nella regione
dell’orecchio interno (si parla di labirinto osseo), racchiuso da una membrana (si parla in
questo caso di labirinto membranoso).
Per ogni lato l’apparato vestibolare è formato da: 3 CANALI SEMICIRCOLARI,
L’UTRICOLO E IL SACCULO
I canali semicircolari sono sensibili ai movimenti di rotazione (quindi alla variazione di
accelerazione angolare); L’utricolo e il sacculo sono sensibili ai movimenti di traslazione (e
quindi alle variazioni di accelerazione lineare).
Queste strutture sono innervate da neuroni afferenti, che hanno il corpo nel ganglio di
Scarpa da cui partono le fibre dell’8 nervo cranico e sono collegati con l’apparato uditivo.
I recettori sensibili alle variazioni di accelerazione angolare, sono presenti nei canali
semicircolari, in rigonfiamenti caratteristici dei canali stessi, che prendono il nome di
ampolle. Prendono il nome di recettori ampollari.
I recettori sensibili alle variazioni di accelerazione lineare sono invece contenuti nelle
Macule di utricolo e sacculo. Prendono il nome di recettori maculari.
Tutte queste strutture sono riempite di endolinfa.

Morfologia strutturale delle Macule (sacculo e utricolo)

Le macule presentano, cellule cigliate alternate a cellule di sostegno. Le cellule cigliate


presentano stereociglia di dimensioni crescenti e un chinociglio, ben più grande. Ogni
macula divisa in due porzioni dalla striola. Da una regione all’altra della macula varia la
polarità delle ciglia. Nella macula del sacculo, l’orientamento della polarità è uscente dalla
striola. In una regione le ciglia escono dalla striola verso una direzione, nell’altra regione
del sacculo, le ciglia escono dalla striola verso la direzione opposta. Nella macula
dell’utricolo la polarità è entrante, e le ciglia sono rivolte verso la striola. Tra una cellula

ciliata e l’altra vi è epitelio di sostengno.

Orientamento della polarità delle ciglia orientamento della polarità


delle ciglia indicato dalle frecce delle ciglia indicato dalle frecce.

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Reazione delle macule di sacculo e utricolo alle variazioni di accelerazione
lineare
La fibra afferente si attiva quando percepisce variazioni dell’accelerazione lineare. Quando
aumenta l’accelerazione le ciglia si piegano nella direzione del chinociglio. Si sposta la
massa gelatinosa e si ha depolarizzazione, con aumento dell’intensità di scarica. Se invece
l’accelerazione lineare diminuisce, il chinociglio si sposta nella direzione delle ciglia, si ha
lo spostamento della massa gelatinosa, che riveste le ciglia, ma nella direzione opposta e
quindi iperpolarizzazione della membrana, e interruzione della frequenza di scarica.
Es1. La testa viene piegata all’indietro. La massa gelatinosa quindi si sposta verso il basso
e posteriormente. Le ciglia si spostano verso il chinociglio trascinate dalla forza di
pressione della massa gelatinosa
Es2. La testa viene piegata in avanti. Stavolta è il chinociglio che si sposta verso le ciglia,
perché la massa gelatinosa si sposta sempre verso il basso ma in avanti.

Morfologia strutturale delle ampolle dei canali semircolari


Le ampolle dei canali semicircolari invece contengono fasci ciliati formati da stereociglia e
un chinociglio, racchiusi in una cupola. L’apice della cupola tocca il tetto dell’ampolla.
Queste ciglia hanno tutte la stessa polarità funzionale nell’ampolla, contrariamente alle
macule del sacculo e dell’utricolo.

Reazione creste ampollari dei canali semicircolari alle variazioni di accelerazione angolare
Le ampolle come detto sono sensibili a variazioni di accelerazione angolare. Quando ad
esempio la testa viene ruotata in un verso, all’interno dei canali semicircolari orizzontali si
ha lo spostamento dell’endolinfa che riempie l’ampolla, nella direzione opposta. Questo fa
piegare le ciglia verso il chinociglio. Anche in questo caso aumenta la frequenza di scarica
nella fibra afferente per depolarizzazione della membrana. Se la testa ruotasse nella
direzione opposta si avrebbe, lo spostamento del chinociglio verso le ciglia e
iperpolarizzazione e interruzione della frequenza di scarica.

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Contrariamente ai recettori maculari, che sono a lento adattamento, i recettori ampollari
sono recettori a rapido adattamento. I canali semicircolari si attivano sempre in coppia.

Il meccanismo di Trasduzione dello stimolo


La trasduzione dello stimolo è quel processo che consente di convertire il movimento
meccanico ciliare in impulso elettrico che cambia la polarizzazione della membrana.
Le stereociglia dei recettori vestibolari, sono unite al chinociglio da ponti proteici che si
comportano come molle generando o allentando la tensione. I ponti sono fissati dalla
presenza di un canale per il potassio (K+). Nell’ambiente linfatico sono presenti ioni K+.
Quando il chinociglio si piega verso le ciglia, viene allentata la tensione della molla e
vengono chiusi i canali. Non entra il Potassio e non entra il Calcio (Ca 2+). Se però sono le
ciglia che si muovono verso il chinociglio che viene spinto nella direzione opposta, si ha
l’aumento di tensione della molla che costituisce il ponte, e questo apre i canali per il
Potassio (K+). Si ha l’ingresso di ioni K+, Il passaggio del Potassio depolarizza la
membrana. Così si ha anche l’apertura dei canali del Calcio (Ca2+), e l’accumulo di calcio
determina il rilascio verso l’elemento post sinaptico del neurotrasmettitore. Si genera un
potenziale graduato che si propaga, attraverso le fibre di quello che viene definito Nervo
Vestibolo-cocleare (VIII° nervo cranico).

Il riflesso Vestibolo-oculare
Il riflesso vestibolo-oculare è quel riflesso che produce un movimento degli occhi nella
direzione opposta a quello della testa, con la stessa ampiezza, cosicché l’immagine
rimanga proiettata al centro del campo visivo. Ora vediamo il circuito che genera questo
riflesso:

Il movimento della testa stimola i canali semicircolari omolaterali, inibendo quelli


controlaterali. Quindi se la testa ruota verso sinistra, come nell’immagine, viene attivato il
canale semicircolare sinistro e inibendo quello destro. Il canale semicircolare sinistro invia
fibre eccitatorie al nucleo vestibolare sinistro. Dal nucleo vestibolare sinistro, si dipartono
due afferenze eccitatorie: una diretta al nucleo oculomotore omolaterale (localizzato nel
mesencefalo), e un'altra diretta al nucleo abducente controlaterale, localizzato nel ponte. Il
nucleo oculomotore attiva il corrispondente nervo oculomotore che innerva il m. retto
mediale dell’occhio. Il nucleo abducente attiva il nervo abducente che innerva il retto
laterale destro. Con la contrazione del retto mediale sinistro e del retto laterale destro, si ha
movimento degli occhi verso destra. Contemporaneamente il canale semicircolare destro
viene inibito, le proiezioni inibitorie sono inviate a Nucleo vestibolare destro, che inibisce

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il nucleo abducente sinistro, e il nucleo oculomotore destro. Si ha rilassamento di retto
laterale sinistro e retto mediale destro.

Come detto, il riflesso Vestibolo-oculare è un movimento lento da parte degli occhi, nella
direzione opposta rispetto alla testa. Questo si interrompe quando l’occhio arriva nel
bordo dell’orbita. Quindi viene attivata una saccade nella direzione opposta al movimento
lento (quindi nella direzione del movimento della testa). La saccade riposiziona l’occhio, e
se la testa continua a ruotare si ha un altro ciclo bifasico. Tale ciclo formato da un
movimento lento, a cui segue un movimento saccadico è detto NISTAGMO.
Il nistagmo, quindi si identifica come una risposta fisiologica ai movimenti della testa nella
direzione opposta. Può anche essere considerato patologico, in presenza di un fattore
ereditario predisponente o a seguito di lesioni all’apparato vestibolare.
Il riflesso vestibolo oculare può essere anche stimolato con l'acqua ad una temperatura
calda o fredda ma diversa da 37°: viene usato in soggetti in coma. Se si inietta acqua calda
il flusso dell'endolinfa aumenta e le ciglia si spostano verso il chinociglio aumentando la
scarica. Se invece si inietta acqua fredda questa riduce il flusso e fa diminuire la scarica
quindi gli occhi si muovono verso l'occhio stimolato.

Le vie nervose associate all’apparato vestibolare, sono diverse. I nuclei vestibolari del
tronco encefalico, possono comunicare con:
- Il cervelletto, per segnalare informazioni riguardanti l’equilibrio (nello specifico al
vestibolo-cerebello),
- Alla corteccia: per la percezione cosciente possono poi essere direttamente
responsabili della generazione di vie che controllano i movimenti oculari, come
abbiamo già visto, ricevendo afferenze dai sistemi sensoriali.

CONTROLLO DELLA POSTURA


La facoltà del controllo della postura ha le seguenti funzioni:
 Distribuire le forze muscolari per bilanciare la gravità
 Correggere gli spostamenti del centro di gravità
 Recuperare la stazione eretta quando viene perduta
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 Fornire un punto fisso al quale articolare il movimento dei segmenti del corpo

Le componenti che intervengono per assolvere a queste funzioni sono:


 Componenti Spinali Componente Visiva
Ad esempio attraverso il:
 riflesso da stiramento
 riflessi tonici del collo
 riflesso estensorio crociato
 reazione positiva di sostegno
 reazione di piazzamento
 Componenti Vestibolari
 I riflessi Maculari
Le strutture centrali che partecipano al controllo della postura sono:
 La sostanza reticolare Pontina: con effetto eccitatorio sui motoneuroni visivi
 La sostanza reticolare Bulbare: con effetto inibitorio sui motoneuroni spinali
 Il nucleo di Deiters: con effetto eccitatorio sui motoneuroni α
 La corteccia cerebellare

DECEREBRAZIONE E DECEREBELLAZIONE
La decerebrazione è la rimozione delle afferenze corticali e mesencefaliche (quindi il
nucleo rosso), attraverso una sezione dell’encefalo a livello dei collicoli, rispetto alle
strutture sottostanti, come la formazione reticolare pontina eccitatoria, e la formazione
reticolare bulbare inibitoria. Quindi vengono meno le afferenze corticali e l’effetto
eccitatoria sui motoneuroni flessori, ad opera del nucleo rosso. Rimane però l’effetto
eccitatorio sul nucleo di Deiters da parte del cervelletto. L’effetto della decerebrazione è
una rigidità estensoria. L’animale decerebrato presentano arti iper-estesi, e questo è
dovuto, ad una maggiore attivazione dei motoneuroni che innervano gli estensori perché
viene ridotta l’azione inibitoria della formazione reticolare bulbare, contestualmente la
formazione reticolare pontina è meno disfacilitata e quindi continua a svolgere la sua
azione eccitatoria. L’effetto ultimo è un ipertono degli estensori e un iperreflessia
estensoria. Se alla decerebrazione viene associata una decerebellazione si ha il taglio delle
afferenze inibitorie sul nucleo di Deiters, e l’ipertono estensorio globale viene rafforzato,
dalla mancata afferenza inibitoria proveniente dagli assoni del purkinje, che sono appunto
inibitori. Quindi il nucleo di Deiters, può inviare efferenze eccitatorie sui motoneuroni
alfa. Questo si osserva maggiormente negli estensori del collo dove si ha OPISTOTONO.

A determinare la rigidità vi sono varie componenti:


Componente prosencefalica: Questa normalmente attiva la formazione reticolare bulbare
inibitoria per i motoneuroni α; per cui se viene rimossa aumenta il tono estensorio
Componente miotattica/sensoriale: messa in evidenza sezionando le radici dorsali.
Questo provoca la scomparsa del tono estensorio (viene a mancare l’afferenza del fuso)
Componente cerebellare: Se questa viene asportata (decerebellazione), si ha la perdita
delle afferenze inibitorie sul nucleo di Deiters, e quindi queste possono eccitare i
motoneuroni e viene ripristinato il tono estensorio.
Componente proprio-spinale: sezionando il midollo tra i due arti viene meno il tono
estensorio sull'arto posteriore quindi le afferenze dell'arto posteriore inibiscono l'arto
anteriore.

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Componente vestibolare: il nucleo di Daiters riceve afferenze vestibolari, e invia efferenze
eccitatorie ai motoneuroni degli estensori. Asportandolo, viene meno il tono estensorio
omolaterale alla parte asportata.

Vi sono anche componenti riflesse che determinano il controllo della postura.


Queste sono:
Riflesso da stiramento: in condizioni normali la gravità può causare uno sbilanciamento
in avanti del corpo che ha come risultato lo stiramento del muscolo gastrocnemio e la
stimolazione dei fusi muscolari del muscolo che percepiscono lo stiramento muscolare. La
reazione è la contrazione di questo muscolo che riporta la tibia indietro e si ha di nuovo il
baricentro che cade nella base d’appoggio
Riflessi tonici del collo: originano dei fusi muscolari dei muscoli del collo e si combinano
con quelli vestibolari; vengono messi in evidenza con la decerebrazione e la privazione dei
labirinti del vestibolo. Tra questi ci sono i riflessi tonici simmetrici provocati da un cambio
di posizione della testa rispetto al corpo. (Per esempio in un gatto una flessione della testa
in alto provoca un'estensione degli arti anteriori e flessione degli arti posteriori, mentre se
la testa si piega in basso si flettono gli arti anteriori si estendono i posteriori). Servono per
riportare la testa in posizione fisiologica dopo un movimento.
Riflessi maculari: si evocano quando viene stimolata ad esempio, la macula del sacculo e
vengono applicate forze con la stessa direzione della gravità oppure no. Quando siamo in
ascensore: si estendono gli arti per prepararsi all'arrivo dell’ascensore, per non perdere
l’equilibrio. O nel caso di una scimmia che viene fatta cadere dall’alto. Anche in questo
caso si ha l’estensione degli arti inferiori per aumentare la superficie d’impatto, cosi da
assorbire l’impatto della caduta. Altri riflessi maculari sono evocati invece da forze con
direzione diversa dalla gravità: sono stimolati i recettori labirintici; si muove la testa ma
non il collo e si estende l'arto omolaterale alla rotazione della testa e si flette in
controlaterale. Se poi il collo si sposta senza movimento della testa, si ha solo la
stimolazione dei recettori cervicali e non di quelli maculari; l'effetto è opposto: si estende
l'arto controlaterale e si flette l'omolaterale. Mantengono la postura su un piano inclinato
con estensione dell'arto della parte inclinata.

Ci sono interazioni tra i riflessi vestibolari e quelli cervicali (simmetrici): nei movimenti
della testa nello spazio ma non rispetto al corpo si ha l'estensione degli arti anteriori se la
testa è inclinata verso il basso e la flessione dei posteriori, se la testa e il corpo vengono
inclinati indietro si estendono gli arti posteriori e si flettono gli anteriori. Se vengono
stimolati solo i recettori cervicali
la testa rimane ferma ma si sposta il corpo e si estendono gli arti anteriori. Se la testa è
ferma ma si muove il corpo verso il basso aumentando l'angolo di inclinazione si
estendono gli arti posteriori e si flettono gli anteriori. Quando si stimolano
simultaneamente entrambi i recettori labirintici cervicali in alcuni casi le risposte si
sommano mentre in altri si annullano. Per esempio a testa sollevata in alto e il corpo fermo
gli arti non cambiano posizione quindi la
risposta si annulla e stessa cosa con la testa piegata verso il basso. Quando invece si ha la
stimolazione cervicale e labirintica si ha una iperestensione degli arti anteriori e la
flessione dei posteriori: le risposte quindi si sommano per inclinazione di testa e aumento
dell'angolo. Quando l'uomo assume la posizione eretta invece si flettono gli arti superiori e
si estendono quelli inferiori quindi le risposte si sommano. Sul piano frontale si sposta il
corpo verso destra senza inclinazione della testa, la stimolazione è solo labirintica e

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aumenta l'estensione dell'arto omolaterale. Se c'è uno spostamento a sinistra ma senza
spostamento della testa si stimolano i recettori cervicali con estensione omolaterale. Per
mantenere la postura sono evidenti le afferenze visive: un soggetto immobile fa comunque
oscillazioni attorno ad un punto zero e le oscillazioni sono presenti in senso antero-
posteriore e laterale-mediale, sia ad occhi aperti che chiusi avvengono più oscillazioni.
Inoltre più lo stimolo visivo è vicino e meno oscillazioni ci sono. C'è una stimolazione dei
riflessi vestibolari e
dei fusi neuromuscolari: l'autobus che frena e anche se il nostro corpo per inerzia continua
a muoversi, i piedi non si muovono quindi si inclina in avanti ma ciò provoca lo
stiramento del quadricipite, del gastrocnemio e dei paraspinali. Si crea una contrazione a
catena per cui si contrae per primo il gastrocnemio, secondo il quadricipite e terzi i
paraspinali: ciò riporta il corpo in posizione eretta. Se la piattaforma si riduce si ha
l'attivazione di altri muscoli per una posizione più raccolta: prima si attivano quelli più
vicini alla base d'appoggio poi i muscoli più lontani. TEST ACQUA CALDA E FREDDA:
stimolazione termica del labirinto, ossia con le prove caloriche consistenti nell’instillare
nell’orecchio acqua calda (44°C) o fredda (30°C) per 30 secondi per provocare una
vertigine della durata di circa 60 secondi.

Apparato cardiovascolare

Permette a tutte le cellule/organi dell’organismo di ricevere sangue che porta componenti


essenziali per la loro esistenza come ossigeno e altri nutrienti, permette anche di
rimuovere dalle cellule prodotti finali del metabolismo come anidride carbonica e prodotti
azotati; inoltre tramite la circolazione vari organi ricevono messaggi come ormoni e altro e
grazie il sangue c’è uno scambio di calore tra le varie parti del corpo.
È formato dal cuore, un organo a forma di pugno chiuso che si trova nella cavità toracica
tra i 2 polmoni (è spostato verso sinistra) e dall’apparato vascolare, diviso in 2 grandi
sistemi: il sistema arterioso in uscita dal cuore (dai ventricoli) agli organi periferici e dal
sistema venoso che porta il sangue stato negli organi periferici al cuore (dopo che ha
ceduto ossigeno/nutrienti).
A livello periferico i vasi diminuiscono diametro diventando capillari. Lo scorrimento di
sangue è dato dal gradiente di pressione generato dall'attività cardiaca.
Ricordiamo che l’apparato circolatorio è diviso in 2 circolazioni: la grande circolazione che
porta sangue con ossigeno agli organi e la piccola circolazione che porta ai polmoni il
sangue che ritorna dagli organi povero di ossigeno e ricco di anidride carbonica.

Il Cuore

Il cuore è formato da tessuto muscolare cardiaco con cellule striate ma ogni fibra ha un suo
nucleo e una forma ramificata.
Il cuore ha quattro cavità: due superiori ovvero gli atri e due inferiori ossia i ventricoli e
tutte con parete muscolare. Le due cavità della parte destra e quelle di sinistra sono
collegate tra loro ma non c'è comunicazione tra i due atri o tra i due ventricoli a meno che
non siamo in casi patologici.
IL ventricolo di destra da origine alla circolazione polmonare mentre il ventricolo di
sinistra da origine alla grande circolazione. (Lo spessore della parete dei 2 ventricoli è
diversa, la parete del ventricolo di sinistra è più spessa di quello di destra)
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La comunicazione è data da valvole presenti tra gli atri e sottostanti ventricoli e tra i
ventricoli e i vasi: servono per garantire l'unidirezionalità del flusso e dipendono dalla
pressione di atri e ventricoli.

Il muscolo cardiaco ha fibre striate con forma di Y e lo stesso apparato contrattile del
muscolo scheletrico ma presenta fibre ramificate con dischi intercalari che possiedono
delle specializzazioni di membrana cioè giunzioni comunicanti e desmosomi che servono
per tenere unite le fibre durante la contrazione.
I desmosomi servono a mantenere l’unità meccanica anche durante una contrazione
vigorosa, mentre le giunzioni comunicanti permettono l’accoppiamento elettrico fra le
cellule in modo che lo stimolo elettrico, che anche qua precede la contrazione, possa
viaggiare rapidamente da una cellula all’altra.
In media è presente un nucleo per cellula muscolare (ma se ne possono trovare anche 2), a
differenza del muscolo scheletrico nel quale sono presenti molti nuclei.
Il cuore è involontario, si contrae ad un ritmo più o meno costante impostato da cellule
pacemaker; la contrazione è uguale a quella del muscolo scheletrico ma il calcio può venire
anche dalla membrana esterna. (La contrazione è di velocità intermedia e la forza di
contrazione di contrazione di ogni fibra è graduata)
Può contrarsi spontaneamente ed è innervato dal sistema vegetativo (e anche dall’ormone
adrenalina) e ciò serve solo per modulare la contrazione per far sì che adatti la sua attività
alle esigenze dell’organismo.
Non ha la placca motrice, ha molti mitocondri, è presente il sarcomero (reticolo
sarcoplasmatico, tubuli T, cisterne terminali…) ma è più corto di quello del muscolo
scheletrico;
Il sarcomero è formato da filamenti spessi di miosina e filamenti sottili di actina, il
meccanismo di contrazione si innesca quando entra il calcio; l’ingresso del Calcio è dovuto
all’arrivo del potenziale d’azione sulla membrana sia esterna che del reticolo
sarcoplasmatico, che ne causa la depolarizzazione con l’aperura dei canali voltaggio
dipendenti; ciò fa aumentare la concentrazione interna di calcio.
Il calcio proviene in parte dalle riserve cellulari rappresentate al reticolo sarcoplasmatico
ma anche dall’esterno tramite l’aperura dei canali sulla membrana plasmatica. (Nel
muscolo scheletrico solo da riserve intracellulari)
Il calcio poi interagisce con la troponina (come nel muscolo scheletrico), si ha cosi il ciclo
dei ponti trasversari che porta quindi alla contrazione.
Quando cessa l’arrivo potenziale d’azione, le pompe sia sulla membrana espellono calcio,
le pompe sul reticolo sarcoplasmatico cominciano a richiamare calcio dentro e gli
scambiatori sodio-calcio sulla membrana portano il calcio e portano il sodio dentro che
verrà poi escluso all’esterno dalla pompa sodio-potassio ATPasi.

Differenze tra muscoli liscio, scheletrico e cardiaco:


 Placca motrice: Presente solo nel muscolo scheletrico;
 Fibre: Nel muscolo liscio sono fusiformi e brevi, nel muscolo scheletrico cilindriche
e lunghe, mentre nel cardiaco sono ramificate;
 Mitocondri: Il cardiaco ne ha molti a differenza di liscio e striato che ne han pochi;
 Nucleo: Il liscio ne ha 1, il cardiaco ne ha 1 (Talvolta 2) mentre lo scheletrico ne ha
molti;
 Sarcomero: Nel liscio è assente, nel cardiaco è presente ma più corto di quello del
muscolo striato;
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 Accoppiamento elettrico: Nel liscio è presente in parte, nello strato è assente,
mentre in quello cardiaco è presente ed è dato dal sincizio funzionale;
 Reticolo sarcoplasmatico: Nel liscio è poco sviluppato, nello striato è mediamente
sviluppato mentre nello striato è molto sviluppato;
 Interruttore del calcio: Nel liscio è la calmodulina, mentre sia nel cardiaco che nello
striato è la troponina;
 Pacemaker: Nello striato non è presente, mentre nel liscio e nel cardiaco si;
 Risposta allo stimolo (meccanismo di contrazione): Nel liscio è la variazione del
tono/frequenza ritmica, nel cardiaco è “Tutto o nulla”, mentre nello strato è
graduale;
 Tetanizzabile: Il muscolo liscio e quello scheletrico si, mentre il cardiaco no;
 Ambito di lavoro: nel liscio è nella curva forza/lunghezza variabile, nello striato è
al massimo della curva forza/lunghezza mentre nel cardiaco è nel tratto ascendente
della curva forza/lunghezza.
La tetanizzazione dipende forma del potenziale d’azione nella fibra muscolare cardiaca,
che presenta una lunga fase di depolarizzazione, chiamata plateu dovuta all’ingresso del
calcio, il periodo refrattario assoluto di questa fibra arriva a 200ms mentre quello relativo a
250ms ed è quasi coincidente al tempo di contrazione e rilassamento della fibra; ciò
significa che la fibra è di nuovo eccitabile quando l’evento meccanico è quasi finito.

Questo succede a causa della fase di Plateau causata dall' ingresso di calcio che porta ad
una contrazione e al mantenimento del potenziale d'azione. La scossa dell'evento
meccanico è ritardata rispetto a quella dell'evento elettrico: quando la fibra ha finito il
periodo refrattario assoluto l'evento meccanico è già in fase discendente cioè sta finendo e
quando il periodo refrattario assoluto è terminato la fibra è rilassata e il ventricolo si
riempie. (Il periodo di contrazione è in fase ascendente).
Lo stiramento della fibra cardiaca porta il cuore ad aumentare la contrazione durante
l'attività fisica per aumentare la gittata cardiaca, se lo stiramento, però, è eccessivo la
contrazione decade di forza.

Circolazione del sangue


Il sangue circola secondo gradiente di pressione; il cuore contraendosi genera un gradiente
di pressione che permette al sangue di circolare nel sistema vascolare attraverso due vie:
A. Un sistema che parte dal ventricolo sinistro e dall'aorta porta il sangue alla periferia
che viene definito circolazione sistemica (grande circolazione). È formata da una
serie di circolazione distrettuali per ogni organo, in parallelo;
B. Un sistema che origina dal ventricolo destro e porta il sangue ai polmoni che viene
definito circolazione polmonare (piccola circolazione).

La circolazione sistemica porta il sangue ricco di ossigeno mentre l'altra porta il sangue
povero di ossigeno ai polmoni. Avvengono insieme e per il percorso sono in serie cioè
prima una e poi l'altra. Il sangue scorre per differenza di pressione e man mano che si va
dal ventricolo sinistro alle vene la pressione diminuisce ma è sufficiente per far tornare il
sangue al lato destro (A ciò aiuta la contrazione muscolare a spingere il sangue contro
gravità, perché le vene si trovano a ridosso dei muscoli scheletrici).

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A livello dei capillari invece avvengono gli scambi. La pressione arteriosa media a livello
del ventricolo sinistro è di 93 mm di mercurio e il punto di massima è nelle arteriole, vasi
che regolano la circolazione dei capillari.

Come abbiamo detto lo spessore della parete del ventricolo di sinistra è molto maggiore di
quella di destra, perché il ventricolo sinistro deve generare una fora molto maggiore, ed
essendo il sistema circolatorio un circuito chiuso il flusso deve essere uguale in tutti le sue
parti e siccome il ventricolo sinistro manda il sangue nella circolazione sistemica dove la
resistenza è molto maggiore deve sviluppare una pressione maggiore perché il flusso sia
uguale a quello in uscita dal ventricolo destro.
Il flusso è dato dal rapporto tra la differenze di pressione in due punti diviso la resistenza
al flusso (che è molto maggiore nella circolazione sistemica).

Nel cuore sono presenti varie valvole: le valvole atrioventricolari che sono la tricuspide a
destra e la bicuspide a sinistra e tra ventricoli e arterie che sono le valvole semilunari
quali la aortica e quella delle arterie polmonari. Queste valvole permettono il flusso del
sangue in una direzione e impediscono il retro flusso grazie a strutture di controllo, le
corde tendine.

Le valvole si aprono e si chiudono secondo un gradiente di pressione: esempio quando la


pressione dell’atrio è superiore a quella del ventricolo la valvola si apre e fa passare il
sangue; poi quando il ventricolo si è riempito inizia a contrarsi, la contrazione determina
un aumento di pressione nel ventricolo che diventa superiore a quella dell’atrio e quindi la
valvola atrioventricolare si chiude.
Può succedere che la contrazione ventricolare, con l'aumento della pressione del
ventricolo, spinga contro la valvola atrioventricolare che va incontro a prolasso (i lembi
della valvola si rovesciano e il flusso si inverte). Non succede perché i lembi valvolari delle
cuspidi sono trattenute dalle corde tendinee che a loro volta sono inserite nei muscoli
papillari (protuberanze che sporgono nella parete del ventricolo). Quando il ventricolo si
contrae e inizia la contrazione della parete e dei muscoli papillari ciò fa tendere le corde
tendinee che trattengono i lembi valvolari e li fa chiudere impedendo il loro
rovesciamento nell’atrio (valvole atrioventricolari).

Nelle valvole semilunari (aortiche e delle arterie polmonari) il meccanismo è diverso:


quando nel ventricolo la pressione è maggiore che nell'arteria, la valvola è aperta; quando
il sangue nel ventricolo è diminuito e si inizia a rilassare non riesce a mandare più sangue
e aumenta la velocità si generano vortici che riescono a far chiudere la valvola e a
mantenere la pressione a quel livello, perpendicolarmente alla valvola; poi grazie alla
forma della valvola e la pressione nell’aorta fanno sì che i lembi stiano chiusi.
L'attività contrattile di atri e ventricoli è sempre preceduta da dei potenziali d'azione
generati dai pacemaker.

Riassunto circolazione: Quindi l'atrio destro riceve sangue con poco ossigeno e molta
anidride carbonica dalle vene cave e lo invia al ventricolo destro che a sua volta lo manda
ai polmoni; l'atrio sinistro invece riceve sangue con molto ossigeno dalle vene polmonari e
lo manda al ventricolo sinistro che lo invia a tutto il corpo tranne che ai polmoni.

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Le vene cave ricevono sangue con poco ossigeno dalle vene sistemiche che provengono da
tutto l’organismo (eccetto polmoni) e lo mandano all'atrio destro, le arterie polmonari
ricevono il sangue povero di ossigeno dal ventricolo destro e lo mandano i polmoni.
Le vene polmonari portano il sangue con ossigeno dai polmoni all'atrio sinistro mentre
l'aorta (arteria principale) porta sangue con ossigeno dal ventricolo sinistro alle arterie
sistemiche.

La circolazione sistemica divide il sangue nei diversi organi con diverse percentuali ma
quando si fa attività fisica queste percentuali cambiano e il sangue va principalmente al
tessuto muscolare e alla cute.
Il sangue si muove per gradiente di pressione secondo la legge per cui flusso è uguale alla
differenza di potenziale diviso la resistenza. La pressione in un vaso oscilla e in questa
formula si considerano i valori di pressione media. Dalla fine delle arteriole la pressione
non è più oscillante e il valore unico sia nei capillari che nelle vene. La massima caduta di
pressione si ha ai capi delle arteriole perché hanno una maggiore resistenza.
Si può anche scrivere: gittata cardiaca uguale pressione arteriosa media / resistenze
periferiche totali.
La velocità è elevata nei vasi più grandi, quindi nei capillari è molto bassa per garantire gli
scambi per diffusione. La velocità dipende anche dal tipo di flusso e ciò viene usato per
misurare la pressione arteriosa.
La maggior parte di sangue è contenuto in vene e venule che perciò sono i vasi di capacità.

La distensibilità è la capacità di dilatarsi ed è rappresentata con l’aumento di volume


arterioso in percentuale in risposta alle variazioni di pressione. (In un giovane è maggiore
rispetto ad un anziano)
La distensibilità si calcola facendo il rapporto tra la differenza di volume e la differenza di
pressione.

La circolazione sistemica è divisa a sua volta in diverse circolazioni distrettuali in parallelo


tra loro, cioè che il sangue che proviene dall’aorta che irrora un distretto periferico non va
ad irrorarne un altro; ogni distretto avrà una sua quantità di sangue che arriva e poi il
sangue confluisce nelle vene cave e torna nel cuore.
In condizioni di riposo di quei 5l di sangue a minuto il 21% va al sistema digerente, 20%
reni, 15% ai muscoli scheletrici, 13% all’encefalo, 6% fegato, pelle 9%, ossa 5%, 3% al cuore
e così via.
Di solito questa proporzione di gittata cardiaca che va ai vari organi è proporzionale al
metabolismo, non sempre è così, ad esempio il rene che da un punto di vista di peso e
metabolismo la richiesta metabolica è molto minore del 20%, però riceve il 20% della
gittata cardiaca perché assolve delle funzioni di sevizio per l’intero organismo, cioè il
sangue che va al rene serve anche per essere filtrato e depurato.
Però queste percentuali possono cambiare a seconda delle esigenze del nostro corpo, ad
esempio durante un esercizio fisico ai muscoli scheletrici anziché il 15% può arrivare
anche al 70% e aumenta anche nella cute che può arrivare ad un 15%. (La cute è
importante per disperdere le grandi quantità di calore prodotte durante l’attività fisica)
Bisogna anche specificare che sempre in condizioni di esercizio la gittata cardiaca
notevolmente e può arrivare anche a 25 litri a minuto.

87
Aumenta anche la quantità di sangue che arriva al cuore (percentuale è la stessa, ma non si
parla di 5l ma di 25l), al cervello la percentuale si riduce ma la quantità si sangue che
arriva aumenta leggermente rispetto a quando è a riposo e così via…

La circolazione avviene in 5 categorie di vasi:


 Arterie: (diametro 4mm e spessore medio 1mm) portano il sangue con l'ossigeno
dal cuore alla periferia e si diramano in arteriole (ad eccezione delle arterie
polmonari che portano sangue privo di ossigeno ai polmoni), i vasi di resistenza,
con una membrana resistente da cui partono i capillari.
La componente muscolare più spessa rispetto al diametro del vaso ed è presente
anche una componente elastica.
Qua il sangue scorre e si chiamano il sistema ad alta pressione, perché nelle arterie
il sangue ha una pressione elevata.

 Arteriole: (diametro 0,03 e spessore 0,006) si diramano dalle arterie sono più piccole
e livello di queste viene offerta la maggiore resistenza al flusso.
È molto più marcata in proporzione al diametro totale la componente muscolare ed
è densamente innervata dal sistema nervoso ortosimpatico.
Sono vasi di resistenza.

 Capillari: (molto sottile e parete molto sottile) hanno una parete sottile che è
formata solo da endotelio e sono i vasi di scambio con tessuti (gas e nutrienti) e
polmoni (solo gas). Confluiscono nelle venule e poi nelle vene: hanno anche la
lamina basale e sono permeabili a tutte le sostanze tranne le proteine;

 Venule: (un po’ più piccola dell’arteriola e parete poco più sottile) sono i vasi
sanguigni dove confluiscono i capillari; venule può esserci un piccolo strato di
connettivo e qualche cellula muscolare; sono i vasi di raccolta.

 Vene: (diametro 5mm e spessore 0,5 mm, più grande dell’arteria ma parete più
sottile) sono vasi più grandi, sono in grado di portare il 60% di sangue di tutto il
corpo al cuore e portano sangue privo di ossigeno (ad eccezione delle vene
polmonari, che portano ossigeno al cuore). Hanno una grande estensibilità.
Contengono le valvole dette a nido di rondine e garantiscono l'unidirezionalità del
flusso.
Abbiamo cellule muscolari (strato sottile) e tessuto connettivo (con scarse fibre
elastiche).
Sono definite i vasi di capacità grazie ai quali il sangue riconfluisce nel cuore.

Ciclo cardiaco
Ciclo meccanico del cuore in cui abbiamo la contrazione, la sistole, e il rilasciamento, la
diastole, che si alternano.
A riposo dura meno di un secondo e il numero di cicli al minuto definisce la frequenza
cardiaca. Un ciclo corrisponde ad un battito, cioè ad una sistole ed una diastole.

1. Riempimento ventricolare: il ciclo inizia dalla metà della diastole in cui il sangue
passa dagli altri ai ventricoli tramite le valvole atrioventricolari aperte (le
semilunari sono chiuse) perché la pressione ventricolare è minore dell'aortica. Alla
88
fine della diastole si ha un aumento di pressione anche nei ventricoli dovuta alla
sistole atriale che fa contrarre gli atri e spinge il sangue nel ventricolo.

2. Sistole atriale: contrazione atriale spinge un ulteriore piccola quantità di sangue nei
ventricoli

3. Contrazione ventricolare isovolumetrica: inizia poi la contrazione delle pareti del


ventricolo aumenta la pressione nel ventricolo (rispetto alla pressione atriale) e ciò
fa chiudere le valvole atrioventricolari. Essendo però chiuse ancora, a inizio sistole,
le valvole semilunari (perché per ora la pressione ventricolare è più bassa rispetto
quella aortica), il volume non cambia ma la pressione aumenta fino a superare
quella aortica. A questo punto si aprono le valvole aortica e polmonare e il sangue
lascia il ventricolo. Le valvole aortiche si aprono quando la pressione supera 80
mmHg.

4. Eiezione ventricolare: i ventricoli continuano a contrarsi ma il sangue va nell'aorta


e quindi il volume ventricolare diminuisce. La pressione ventricolare inizia a
diminuire mentre nell'aorta arriva a 120 mmHg perché le sue pareti elastiche
stringono ma non ricevono più sangue dal ventricolo, si sviluppa un incremento di
pressione che provoca un flusso continuo nei capillari. L'aumento della pressione
determina la chiusura delle valvole aortiche e l'inizio della diastole.

5. Rilasciamento isovolumetrico: la diastole inizia con la chiusura delle valvole


aortiche e l'apertura delle atrioventricolari in quanto il volume ventricolare rimane
costante mentre la pressione diminuisce causando l'apertura. A questo punto il
ciclo ricomincia. La diastole dura più della sistole e ciò influenza la pressione
media.

Il ciclo dura circa 0,9 secondi in tutto: la sistole 0,3 s e la diastole 0,6 s. Nel ventricolo
destro gli eventi hanno lo stesso ordine e meccanismo ma con una pressione più bassa che
al massimo arriva 30 mmHg.
Se considero un grafico pressione tempo rispetto i 2 ventricoli (destro/sinistro) noterò che
l’andamento temporale è simile, ma riuscirò a discriminare i 2 perché nel ventricolo
sinistro notiamo che la pressione parte da circa 100 mmHg fino ad arrivare 120 mmHg,
mentre in quello destro arriva ad un valore di pressione massima di 40 mmHg e parte da
ancora meno.

Curva pressione volume


La pressione arteriosa è dovuta da fattori fisiologici cioè gittata cardiaca (frequenza x
volume sistolico), resistenza periferica e anche l’età; questi fattori possono essere
influenzati dai fattori fisici cioè volume del sangue (maggiore è il volume maggiore è la
pressione) e la compliance arteriosa. (Cioè la distensibilità che non è mai elevata e
diminuisce all’aumentare dell’eta)
Nella prima fase di sistole atriale aumenta sia il volume che la pressione, poi inizia la
contrazione ventricolare e si ha un aumento di pressione nel ventricolo che supera quella
dell'atrio e fa chiudere la valvola. La contrazione muscolare del ventricolo fa aumentare la
pressione (fase isovolumetrica) ma il volume non cambia.

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Quando la pressione del ventricolo raggiunge quella dell'aorta e la supera si apre la
valvola semilunare aortica e il sangue fluisce (fase di eiezione). La pressione aumenta ma il
volume diminuisce e si arriva a 120 mmHg: in seguito la pressione diminuisce fino a 100
mmHg, le valvole aortiche si chiudono, inizia rilassamento del ventricolo la pressione
diventa inferiore a quella dell'atrio; a questo punto le valvole atrio ventricolari si riaprono
e cosi poi inizia un nuovo ciclo.
Nell’atrio destro la pressione sistolica equivale a 40 mmHg mentre quella diastolica è un
valore vicino allo zero.

Il massimo volume è detto volume telediastolico (volume di fine diastole) ed è di circa 130
ml, mentre il volume minimo è detto telesistolico (volume di fine sistole) ed è di circa 60
ml; ciò indica che il cuore non si svuota mai completamente.
La differenza tra questi due tipi di volume è detto volume di eiezione ventricolare (o
gittata sistolica/pulsatoria).

Notiamo poi che la pressione dell’aorta dopo la chiusura della valvola aortica
graficamente presenza un piccolo rimbalzo (abbiamo un calo di pressione seguito subito
da un aumento per poi ricalare subito dopo) chiamato incisura dicrotica, dovuta al fatto
che quando cessa il flusso di sangue dal ventricolo (valvole chiuse) le pareti elastiche
dell’aorta che erano state deformate dalla grande quantità di sangue arrivata in poco
tempo ritornano alla loro situazione di riposo e questo genera un lieve incremento di
pressione.
Questa incisura dicrotica è importante perché garantisce il flusso nei distretti periferici
anche quando il ventricolo non pompa perché la valvola è chiusa.
Ci possono essere delle variazioni in queste fasi, ad esempio se per qualche motivo il cuore
si riempie di più possiamo avere un aumento della pressione massima ed un aumento
della quantità di sangue che esce; se invece per qualche motivo il riempimento è ridotto,
allora avremo una riduzione della pressione massima che si può ottenere.
L’aumento della pressione dell’aorta può provocare un aumento della pressione massima
ma una riduzione della gittata pulsatoria/sistolica (perché la valvola semilunare si apre
dopo), mentre se la pressione aortica diminuisce la valvola si apre prima e quindi avrò un
aumento della gittata pulsatoria.
La gittata sistolica dipende dalla forza di contrazione del ventricolo.

Aumento pressione ventricolare: pre-carico;


Aumento pressione aorta: post-carico.

Gittata cardiaca: è la quantità di sangue che il cuore mette in circolo in un minuto e si


può ricavare tramite il prodotto tra la gittata pulsatoria e la frequenza cardiaca.
La gittata pulsatoria è la differenza fra il volume telediastolico e il volume telesistolico ed
in genere è circa 70 ml di sangue, mentre sappiamo che la frequenza cardiaca media a
riposo è di circa 72 battiti per minuto, per questo motivo facendo il prodotto otteniamo che
la gittata cardiaca è di circa 5 litri a minuto. (Valori di riposo)
La gittata cardiaca si può misurare anche misurando la differenza arterovenosa
dell’ossigeno, considerando che i tessuti a riposo hanno bisogno di 250 ml di ossigeno al
minuto, e questa concentrazione dipende dalla differenza della quantità di ossigeno che
arriva tramite il sistema arterioso e la quantità di ossigeno che rimane nel sangue anche
dopo l’utilizzo da parte delle cellule.

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Per facilitare consideriamo Q2 il consumo di ossigeno da parte dei tessuti, indichiamo con
Q1 la quantità di ossigeno che arriva tramite il sangue (tramite arterie) e si ottiene
moltiplicando il flusso che coincide con la gittata cardiaca per la concentrazione
dell’ossigeno nell’arteria polmonare (questo valore è circa 0,15 ml di ossigeno ogni ml di
sangue); la loro somma cioè Q1+Q2 la indichiamo con Q3 cioè la quantità che si trova nella
vena polmonare, cioè dopo che è avvenuta l’ossigenazione del sangue ed è uguale al
prodotto tra la gittata cardiaca e la concentrazione dell’ossigeno nella vena polmonare
(0,20 ml ogni ml di sangue).
Considerando Q1+Q2=Q3 e mettendo come nostra incognita la gittata cardiaca otteniamo
che la gittata cardiaca è uguale a Q2 diviso la differenza arterovenosa di ossigeno quindi la
cncentrazione di ossigeno nella vena polmonare meno la concentrazione di ossigeno
nell’arteria polmonare.

Emodinamica: leggi che segue il sangue il sangue che indicano come scorre nei vasi.
Il sangue non è un fluido ideale, e i vasi non sono condotti rigidi.
Il flusso del sangue (espresso in ml/min) è proporzionale alla differenza di pressione
diviso la resistenza, ciò significa che il sangue scorre se è presente un gradiente di
pressione tra 2 punti qualsiasi del sistema circolatorio, da una zona a pressione minore ad
una a pressione maggiore.
Il flusso è ostacolato dalla resistenza R del sistema, che è dovuta da 3 fattori:
Raggio vasi sanguigni, viscosità del sangue e la lunghezza del sistema dei condotti.
La viscosità dipende dalla facilità di scorrimento delle particelle le unie sulle altre. La
velocità del flusso è espressa in cm/min e il fattore principale che determina la velocità (a
flusso costante) è dato dall’area della sezione trasversa dei vasi.
Velocità flusso= Flusso / superficie area trasversa.

Il sangue scorre tra i vasi per differenza di pressione, questa differenza di pressione è
generata dall’attività cardiaca (contrazione cuore).
Nelle arterie viene indicato il valore medio, perché la pressione oscilla tra 2 valori (in base
alle 2 fasi del ciclo cardiaco, un valore più alto durante la contrazione sistolica
(ventricolare) o un valore basso durante la contrazione atriale.
Nell’aorta la pressione media è 93 mmHg, poi è sempre minore, la massima differenza di
pressione si ha a nel percorso lungo le arteriole, perché qui c’è la più alta resistenza; nei
capillari abbiamo lo scambio, poi il sangue raggiunge prima venule e poi vene e la
pressone si abbassa sempre di più fino ad arrivare all’atrio destro che è di pochi mmHg.
Il gradiente totale dall’uscita dal cuore dal ventricolo sinistro all’entrata nel cuore all’atrio
destro è di circa 90 mmHg.

Oltre alla pressione un altro parametro è la velocità del flusso ematico, che è elevata nelle
arterie, un più bassa nelle arteriole e passando dai capillari alle vene si abbassa sempre
più.
Questo si ha perché la velocità del flusso è inversamente proporzionale all'area della
superficie trasversa del condotto in cui la sangue scorre: dimostrazione geometrica.
Un tratto di condotto ha una superficie di 5 cm2 (con un flusso costante di 5 cm3/s): se il
condotto si restringe e l'area della superficie diventa 1 cm2 la quantità di flusso (volume)
deve rimanere costante quindi se la velocità prima era 5 m/s poi diventa 1 m/s e quindi se
diminuisce il diametro del condotto la velocità aumenta. Ed è ciò che si verifica nei vasi
sanguigni.

91
In questo caso per l’area della superficie trasversa bisogna considerare la somma dell’area
di tutti vasi che originano dall’aorta per ogni categoria di vasi, per esempio nei capillari
che sono numerosissimi, la somma sarà molto elevata per questo è molto bassa.
Questa bassa velocità è molto importante, perché gli scambi avvengono per diffusione,
cioè un processo lento, e questa bassa velocità del sangue concede il tempo necessario e
consente agli scambi di avvenire con la massima efficacia.

Ipotizziamo che il sangue passa da un vaso sanguigno più grande a diversi vasi sanguigni
più piccoli (che si ramificano dallo stesso condotto più grande), qui non dobbiamo
considerare l’area della superficie trasversa di un solo condotto, ma la somma di tutti e 3:
Se la somma delle 3 aree sarà maggiore dell’area inziale la velocità del flusso sarà più
bassa in questi 3 rami, anche se singolarmente un vaso è più piccolo dobbiamo considerare
la totalità dei vasi che si diramano da quello di partenza.

Un’altra caratteristica distingue le arterie dalle vene, cioè la distensibilità cioè la differenza
di volume che segue una differenza di pressione, esempio se noi applichiamo una
differenza ad un’arteria da un punto A ad un punto B notiamo che la differenza di volume
è minima, mentre se applichiamo la stessa differenza in un tratto simile nelle vene notiamo
che la variazione di volume è molto maggiore: questo indica che le vene hanno una
maggiore distensibilità delle arterie, ciò è dovuto al fatto che non hanno pareti elastiche
come le arterie e le pareti sono più sottili, ciò le rende molto adatte ad essere una riserva di
sangue, per questo vengono definiti vasi di capacità.
Infatti a riposo la maggior parte di sangue si trova nelle vene e venule Circa il 60%, nelle
arterie e arteriole circa 15%, mentre nei vasi polmonari il 12% nel cuore 8% e nei capillari il
5%.
A riposo il volume totale in un individuo è di circa 5l che coincide con la gittata cardiaca
di un minuto.

La legge di Poseuille:
Nella circolazione sanguigna la differenza di pressione è data dalla pressione in entrata e
quella in uscita e riprendendo la formula di prima del flusso possiamo dire che l'aumento
della resistenza fa diminuire il flusso e la resistenza di un condotto è direttamente
proporzionale alla sua lunghezza e alla viscosità ed è inversamente proporzionale alla 4°
potenza del raggio. Nel caso del sangue la lunghezza dei condotti è costante per un
determinato distretto, la viscosità invece può cambiare in base all'ematocrito (frazione di
sangue occupato da cellule). L'unico elemento che quindi può essere controllato dal
sistema nervoso è il raggio dei vasi.

Il flusso si calcola differenza di pressione/resistenza: la differenza di pressione forma un


gradiente di pressione, e possiamo considerarlo tra l’uscita del ventricolo sinistro e
l’entrata all’atrio destro. (Pressione media circa 90 mmHg, 93 mmHg all’uscita del
ventricolo sinistro - 3 mmHg all’entrata all’atrio destro)
In un liquido la pressione esercitata dipende dall’altezza, dalla densità e dalla forza di
gravità.
Se noi colleghiamo 2 recipienti (che hanno gradiente di pressione di 40 mmHg) con 2
condotti di diametro diverso, notiamo che nel condotto A (ha diametro maggiore) il flusso
sarà di 20 m/min, mentre nel B (quello più piccolo) sarà di 10 m/min; ciò sì ha perché nel

92
condotto più piccolo abbiamo una resistenza maggiore di quello più grande. (R
inversamente proporzionale al flusso: R aumenta flusso diminuisce e viceversa)
Ricordiamo che una condizione basilare della presenza del flusso è il gradiente di
pressione, se il gradiente è zero anche il flusso sarà zero; non importano i valori di
pressione di ogni condotto, ma conta solo il gradiente. (Flusso= gradiente pressione/R)
La resistenza dipende da 3 fattori lunghezza condotto, viscosità liquido e raggio alla 4; in
condizioni normali flusso 10 ml/s, se raddoppiamo lunghezza condotto e le altre le
teniamo costanti, il flusso si riduce a metà (flusso inversamente proporzionale alla
lunghezza), se raddoppiamo il raggio e le altre sono invariate il flusso diventa 16 volte
tanto (da 10 a 160, flusso proporzionale alla 4 potenza del raggio), se raddoppiamo
viscosità del liquido il flusso si dimezza (viscosità inversamente proporzionale flusso).

Viscosità ≠ densità, la densità è la massa specifica diviso il volume, la viscosità dipende


dalla facilità di scorrimento delle particelle del liquido le une sulle altre, esempio quella
dell’acqua è 1, mentre quella del sangue è circa 3,5 poise.

Esempio condotto con 3 rami con resistenze (R) o in serie o in parallelo:


Ricordiamo che se le R si trovano in serie (R rappresentate in questo caso da restringimenti
del condotto) possiamo sommare i vari gradienti di pressione che si trovano in ogni
resistenza: se poi dividiamo ogni gradiente per il flusso otteniamo che la resistenza totale è
uguale alla somma di ogni singola resistenza.
Se le resistenze si trovano in parallelo in questo caso sommiamo il flusso del ramo 1,
quello del ramo 2 e quello del ramo 3: se dividiamo ogni flusso presente in ogni condotto
per il gradiente di pressione otteniamo che il reciproco della resistenza totale è uguale alla
somma dei reciproci di ogni singola resistenza.
Calcolo R= 100 mmHg (gradiente di pressione tra entrata e uscita sangue dal circolo)
/5000 ml/min (gittata cardiaca) = 0,02 mmHg x min/ml.
(Se volessi calcolare R solo nei muscoli utilizzo come dati il 20% della gittata)

Il sangue a riposo ha un flusso laminare: ogni particella ha un suo flusso lineare con un
andamento parabolico. Ogni particella ha una propria velocità rappresentata dalla freccia
(la velocità è massima per le particelle al centro, man mano che la distanza alle pareti
diminuisce la velocità diminuisce per effetto dell’attrito).
Ogni particella di sangue scorre lungo la sua lamina (lamine concentriche di liquido) e non
cambia direzione.
In questo caso c'è il miglior rapporto tra l'energia del sangue e il suo movimento: il moto è
ordinato e il silenzioso. (Massima efficienza)
In alcuni casi questo flusso può diventare turbolento: gli elementi si muovono in modo
irregolare (traiettorie non rettilinee), possono formare dei vortici, le particelle possono
urtare altre particelle e urtare contro le pareti; in questo caso il flusso è rumoroso e molta
dell’energia cinetica viene persa con gli urti, quindi la progressione del fluido è limitata.
Vorticoso quando la geometria del vaso (punto di biforcazione o irregolarità del vaso)
causa irregolarità movimento particelle.
I fattori che determinano il passaggio da un tipo di flusso all'altro sono la velocità, il
diametro, la densità e la viscosità (uguale a velocità x densità x diametro vaso/ viscosità)
che sono parametri che determinano il numero di Reynolds: se Resistenza è minore di
2000 il moto è laminare, se è maggiore di 3000 è turbolento mentre se è compreso tra 2000
e 3000 può esserci un moto vorticoso (caratteristiche simili al turbolento).

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Il flusso a partire dai capillari diventa continuo ad opera delle proprietà elastiche delle
arteriole: nella sistole in poco tempo viene messo molto sangue dal ventricolo all'aorta
(spazio ridotto). Questa si dilata e parte del sangue va nella parte dilatata mentre l'altra
parte va in periferia. Quando la sistole finisce il sangue non arriva più dal ventricolo e
l'aorta torna alla sua conformazione iniziale e sospinge tutto il sangue in periferia, quindi
il flusso di sangue da pulsatile diventa continuo: effetto mantice. Durante la sistole si
assiste alla dilatazione elastica delle pareti dell'aorta viene così "immagazzinata" una parte
del volume poi tale quota di sangue sarà usata, nella fase di diastole, per garantire
continuità di flusso.

La pressione non segue un andamento costante, oscilla tra un valore massimo e minimo,
nel ventricolo sinistro questa oscillazione è notevole, nell’aorta è minore e man mano che
si raggiungono i capillari le oscillazioni diminuiscono fino a non esserci più.
Nelle arterie il livello della pressione sistolica di solito è 120, mentre quello diastolico è 80.
Polso pressorio: differenza tra pressione massima e quella minima, influenzato al volume
sistolico e dalla distensibilità arteriosa. (Più è alta minore sarà questa differenza di
pressione)

La pressione arteriosa viene influenzato dal volume del sangue arterioso e dalla
compliance arteriosa, influenzati a loro volta dalla portata cardiaca, dalla resistenza
periferica e dall'età. Ha un andamento oscillante, presenta un valore massimo e uno
minimo e da qui si definisce la pressione media (Map).
Ovviamente nei soggetti in cui le arterie sono rigide e non si dilatano avranno una
pressione molto più elevata.
La Map non è una media aritmetica ma è una media ponderata infatti nel grafico non si
rova in mezzo tra pressione massima e minima ma è spostata verso il minore perché
dobbiamo considerare che la diastole (minima) dura 2/3 del ciclo mentre la sistole
permane 1/3 del ciclo: quindi la sistole dura circa la metà della diastole.
Pressione arteriosa media= Pdiastolica+ 1/3 x (Psistolica – Pdiastolica) = 93 mmHg
(tenendo conto valori 120 mmHg e 80 mmHg)

La pressione arteriosa media aumenta quando aumenta la gittata cardiaca e la resistenza


rimane uguale; se invece la gittata è costante e aumenta la resistenza la pressione media
aumenta.
La Map si può misurare con metodi diretti e indiretti come il catetere nell'aorta (modo
diretto) o con il metodo auscultatorio di Barocci (che si basa sull'ascolto dei suoni dovuti
allo scorrimento del sangue con moto turbolento): si attacca al braccio un manicotto
(collegato ad un manometro che misura pressione esercitata dal manicotto) che può essere
gonfiato con una pompetta, e si mette un fonendoscopio sulla piega del gomito.
Si inizia gonfiando il manicotto fino a che non raggiunge un valore di pressione di certo
superiore alla massima (c’è un criterio empirico per capire, si prende il battito del polso,
quando il manicotto sarà gonfio avrà schiacciato l’arteria e quindi il polso non si sente più
e poi si gonfia di altri 20 mmHg per sicurezza), a questo punto ancora non sentiamo
nessun rumore (arteria è chiusa).
Poi giriamo lentamente una valvola presente sul manicotto e lo iniziamo a sgonfiare;
arriveremo ad un certo punto in cui la pressione dell’arteria per un breve intervallo di
tempo sarà di poco superiore a quella del bracciale e quindi sentiremo il primo suono;
sentiamo il suono perché il sangue riesce di nuovo a passare ma siccome l’arteria è più
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stretta il sangue passa a velocità maggiore, supera il numero di Reynolds e quindi passa
con il moto turbolento (rumoroso).
Se poi continuiamo a sgonfiare il bracciale sentiremo sempre questo suono dovuti al
passaggio del sangue, che saranno sempre più prolungati e intensi fino a che noteremo la
quasi totale scomparsa di questo suono. In realtà difficile che scompaia perché il soggetto
dovrebbe rimanere a riposo per vario tempo per far ciò che succede, quindi avremo un
alterazione del suono ma non lo sentiremo più schioccante ma ovattato: questo fenomeno
è detto ovattamento ed abbiamo il cambio di moto del flusso che turbolento torna
laminare.
Questi suoni sono detti suoni di korotkoff, ed il primo viene associato alla sistole, anche
se il valore segnato sul manometro sarà leggermente più basso di quello dell’arteria,
mentre questo ultimo suono viene associato alla diastole (valore che sarà poco più alto di
quello effettivo presente sull’arteria).
Esiste anche il metodo palpatorio (polso, carotide, arteria femorale) che però permette di
misurare solo la massima.

Quindi la Map dipende dalla volemia, volume ematico, dalla gittata cardiaca, dalla
resistenza dei vasi al flusso (esce meno flusso, si accumula più sangue, aumenta pressione)
e alla distribuzione del sangue nei vasi sanguigni. La pressione arteriosa porta il sangue
capillari in cui ha un valore unico; il sangue arriva ai capillari con una pressione di circa 35
mmHg e una velocità molto bassa per permettere gli scambi di sostanze.
La resistenza è influenzata dal raggio delle arteriole e dalla viscosità del sangue: la
viscosità del sangue dipende dal numero di eritrociti, mentre il raggio delle arteriole è
regolato sia dal sistema di regolazione estrinseca nervosa (ormoni vasopressina e
angiotensina, ma anche attività simpatica e adrenalina) e sia dal sistema di regolazione
metabolica (provoca variazione raggio arteriolare secondo attività metabolica e a seconda
dell’accumulo dei vari metaboliti vasodilatatori come la CO2 nei tessuti attivi, quindi
riduzione rsistenza).
La gittata cardiaca dipende dalla frequenza cardiaca (dipende da attività parasimpatica) e
dalla gittata sistolica (dipende dal ritorno venoso) ed entrambe dipendono dall’attività
simpatica e adrenalina.

Shock circolatorio: è causato da un notevole calo della Map, può portare anche a
svenimento. Ci sono varie causa:
- Shock ipovolemico: causato da una diminuzione della gittata cardiaca dovuta ad
una perdita di volume di sangue tramite o un’emorragia grave o tramite vomito
perfuso, diarrea, perdite urinarie… (perdita di liquidi derivati dal plasma);
- Shock cardiogeno: quando è dovuto ad un indebolimento cardiaco, quindi la
gittata cardiaca si riduce;
- Shock vasogeno: dovuto a vasodilatazione generalizzata che provoca una
diminuzione della resistenza periferica totale che a sua volta provoca un’elevata
diminuzione della pressione arteriosa. Questa vasodilatazione è causata in seguito o
ad uno shock settico o in seguito ad uno shock anafilattico; lo shock settico è
causato dalla presenza di batteri che rilasciano in modo continuo sostanze
vasodilatatrici durante un infezione, mentre lo shock anafilattico si ha in seguito il
rilascio di istamina (un potente vasodilatataore) dovuto ad una reazione allergica
importante in cui l’allergene entra in contatto con il nostro sangue. (Esempio
persone allergiche alle api che vengono punte)

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- Shock neurogeno: in cui si ha la riduzione dell’attività nervosa simpatica che
provoca perdita di tono vascolare che provoca vasodilatazione /e quindi una forte
diminuzione della resistenza ed una riduzione dell’attività cardiaca, per questo
motivo si avrà una notevole riduzione di pressione.

Circolazione capillare
Dalla metarteriola possono partire dei capillari quando il letto capillare non è perfuso. La
velocità nel capillare è bassa e dipende dal valore dell'area della sezione trasversa totale.
Gli scambi avvengono per diffusione e secondo la legge di Fick: il flusso dipende dalla
differenza di concentrazione, dal tempo, dall'area della superficie disponibile per gli
scambi, dalla distanza e dalla permeabilità.
Il punto che nella metarteriola da cui dipartono i capillari sono presenti anelli di
muscolatura liscia detti sfinteri precapillari, che possono essere più o meno aperti; se
questo sfintere si chiude il sangue in questi capillari non ci andrà.
Ricordiamo anche la presenza del bypass arterovenoso che garantisce il ritorno del flusso
di sangue al cuore nel caso che tutti gli sfinteri precapillarici fossero chiusi. (Quando
sfinteri sono aperti ritorno di sangue garantito dai capillari, se sono contratti sono quindi
chiusi e quindi ritorno di sangue garantito dal bypass)

I capillari sono soggetti alla forza di taglio che dipende dalla pressione e dal raggio (legge
di Laplace) dipende dalla pressione e dal raggio più è alta la pressione più è facile che si
formino queste fessurazioni nella parete e più è grande il raggio lo stesso più è facile che si
formino queste fessurazioni. (Per questo i capillari non sono perfusi da sangue a pressione
elevata)
Nei capillari la parete dell'endotelio è sottile presenta pori in cui possono passare alcune
molecole. Nel capillare c'è il plasma e tre tipi di soluti: molecole piccole e permeanti,
intermedie e poco permeanti e grandi non permeanti. In alcuni casi, per esempio nel
edema, la distanza normale tra capillare e cellule può aumentare a causa dell'acqua che
esce dal capillare.

Scambi capillari avvengono per diffusione, riguardano gas respiratori e vari nutrienti
diretti ai vari organi.
In condizione normale abbiamo una sostanza piccola che passa con molta facilità la parete
capillare, una sostanza media che passa con difficoltà e poi abbiamo una sostanza grande
che non ci passa; alla fine del percorso capillare sarà rimasta solo la sostanza nera.
La sostanza piccola viene assorbita nel primo tratto, quella media è ancora presente ma
scompare nel secondo tratto.
Lo scambio per diffusione dipende oltre dalla permeabilità dalla spazio e distanza che è
presente tra il sangue e la cellula a cui sono dirette le sostanze; lo spazio tra il capillare e la
cellula è lo spazio interstiziale; più questo spazio è maggiore, più alta sarà la difficolta
delle sostanze a raggiungere le cellule e viceversa.
Oltre ad avere una parete sottile possiedono dei punti di impermeabilità che differenziano
2 tipi di capillari:

- Continuo che permette il passaggio di piccole molecole tra due cellule endoteliali;
- Fenestrato in cui gli spazi tra le cellule endoteliali più larghi (possono passare
anche i globuli bianchi, in caso di infezione).

96
I capillari sono impermeabili solo alle proteine: queste insieme a macromolecole possono
passare l’endotelio per transcitosi.
Per altre sostanze abbiamo altri meccanismi a seconda delle loro caratteristiche, ad
esempio ossigeno, anidride carbonica, acidi grassi (tutte sostanze solubili nei lipidi)
attraversano liberamente l’endotelio; mentre gli ioni, molecole organiche (idrosolubili)
passano attraverso i pori tra le cellule endoteliali. (L’acqua, passa liberamente tra i pori dei
capillari)
Questi scambi avvengono per diffusione semplice (molecole idrofobiche piccole) o per
diffusione facilitata (molecole più grandi polari come il glucosio) secondo gradiente di
concentrazione, cioè l’ossigeno passa dal plasma alla cellula, la C02 dalla cellula al plasma,
il glucosio esce dal capillare liberamente ma per entrare nella cellula ha bisogno di
trasportatori. (I cosiddetti GLUT)

2 Tipi di movimento dell’acqua nei capillari sistemici: un passaggio dal capillare al lato
esterno (filtrazione) e un ritorno dell’acqua dall’esterno al capillare (assorbimento).
Questi movimenti sono governati da 2 forze, la pressione idrostatica del capillare
(gradiente di pressione tra la pressione sangue all’interno del vaso e tra la pressione dello
spazio interstiziale), che è maggiore all’interno nei capillari arteriosi e man mano che
acqua esce questa pressione diminuisce.
Il gradiente idrostatico è rivolto verso l'esterno e provoca la fuoriuscita di acqua,
spostandosi verso la venula, la pressione idrostatica diminuisce ma è sempre maggiore di
quella fuori quindi il gradiente sempre rivolto verso l'esterno ma diminuisce. (Passa da 35
mmHg nel lato arteriolare a 15 mmHg nel lato venulare)
L’altra pressione che contrasta la pressione idrostatica è la pressione colloido-osmotica,
cioè la pressione dovuta alla presenza di proteine nel plasma e alla loro quasi totale
assenza nel liquido interstiziale; di solito è più o meno costante. (Circa 25 mmHg, forza
sempre rivolta verso interno)
All’inizio la pressione colloido-osmotica è più bassa di quella idrostatica, quindi si
considera solo quella idrostatica e l’acqua esce verso spazio interstiziale, man mano che
esce la pressione idrostatica diminuisce fino a prevalere come intensità la pressione
colloido-osmotica, quindi l’acqua comincerà a rientrare.
Questo meccanismo torna nei capillari renali dove le forze sono le stesse, ma però abbiamo
solo la filtrazione e non l’assorbimento.
Di solito non tutta l’acqua che esce riesce ad entrare perché il lato capillare dove abbiamo
filtrazione è più lungo del lato venoso dove abbiamo il riassorbimento (perché il punto di
inversione dove l’acqua inizia a rientrare è spostato verso la parte venulare), per cui se non
ci fosse il sistema linfatico un po’ di acqua si accumulerebbe piano piano nella spazio
interstiziale portando alla formazione di edemi.
Il sistema linfatico è un sistema di vasi, simile a quello circolatorio, ma in questo caso i
capillari linfatici sono a fondo cieco, sono paralleli a quelli ematici, il liquido che vi scorre
dentro è la linfa; questi capillari confluiscono in vasi sempre più grandi, fino ad arrivare al
dotto toracico che riversa il contenuto nel sangue. (Nella vena cava ascendente, in
prossimità della sua entrata nel cuore)

Ritorno venoso: ritorno del sangue al cuore che avviene per gradiente di pressione.
All'uscita dei capillari è circa 15 mmHg mentre nella parte venosa centrale è zero e ci sono
anche meccanismi accessori.

97
Bisogna considerare la pressione esercitata sulle vene dei piedi in posizione eretta: nelle
vene ci sono le valvole che favoriscono l'unidirezionalità del flusso e spezzettano la
colonna di sangue in tanti pezzi riducendo la pressione alle vene dei piedi. Senza valvole
la pressione ai piedi sarebbe di circa 100 mmHg ma grazie alle valvole invece è di 27
mmHg circa. (Se però rimaniamo per molto tempo in piedi immobili può avvenire
ugualmente questa situazione)
Durante la deambulazione ci sono ulteriori interruzioni dati dall’attività muscolare (a
livello di polpaccio e coscia.
Il ritorno venoso è dato quindi da 3 sistemi: la pompa cardiaca, quella muscolare e quella
respiratoria.

La pompa cardiaca: chiamata anche “vis a tergo”, cioè forze posteriore, perché il cuore si
trova posteriormente; l’attività cardiaca fornisce una pressione residua dai 10/15 mmHg

La pompa muscolare chiamata anche “vis a latere” agisce lateralmente alla parete del
vaso, è un aiuto importante per il ritorno venoso ed è possibile perché le grandi vene
profonde attraversano muscoli scheletrici che contraendosi, ad esempio durante la
deambulazione o anche semplicemente andando sulla punta dei piedi, provocano la
chiusura della vena e spremono il sangue che si trova in questo tratto compresso o verso
l’alto o verso il basso. (La presenza delle valvole impedisce al sangue di proiettarsi in
basso)
Durante il rilassamento del muscolo si chiude la valvola prossimale di quel tratto
muscolare più vicina al cuore e la valvola distale si riapre e permette l’arrivo di nuovo
sangue spinto o dal cuore o dalla contrazione di muscoli più distali.
Se non ci fossero le valvole, non sarebbe utile ai fini del ritorno venoso perché il flusso
sarebbe spinto anche inferiormente.
Se una persona si trova distesa, non abbiamo la formazione della colonna di sangue perché
il corpo è orizzontale, la forza muscolare è sempre presente ma è molto meno importante.

Pompa respiratoria: chiamate anche “vis a fronte” perché la muscolatura che provoca
l’attività respiratoria si trova anteriormente lungo il percorso del sangue.
Durante l’inspirazione cioè quando abbiamo la contrazione dei muscoli inspiratori ed
espansione gabbia toracica, per effetto della legge di boyle abbiamo una riduzione di
pressione in tutte le strutture toraciche cioè polmoni, ma anche nei vasi sanguigni.
(Soprattutto nelle grandi vene del torace)
Si crea una differenza di pressione in cui la pressione delle vene del torace è minore di
quella delle vene addominali e quelle degli arti inferiori e ciò fa sì che il sangue venga
aspirato (spinto) verso le vene del torace.

IL sangue scorre verso il cuore se la pressione nelle vene aumenta, la pressione delle vene
aumenta quando? Quando aumenta attività pompa muscolo-scheletrica, a cui consegue un
aumento dell’attività cardiaca (pompa cardiaca) e quindi anche un aumento degli atti
respiratori (pompa respiratoria); oltre a questi abbiamo altri fattori che influenzano la
pressione venosa che sono il volume ematico e l’attività dell’innervazione simpatica delle
vene:
Le pareti delle vene infatti sono innervate da fibre dell’ortosimpatico che quando si
attivano provocano una contrazione delle fibre muscolari lisce presenti nelle pareti delle
vene (non è così forte, perché non sono presenti molte cellule muscolare lisce nella parete),
ciò provoca una vasocostrizione che aumenta la rigidità pareti delle vene (diminuisce
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distensibilità) per cui il sangue che normalmente si accumula nelle vene viene spinto a
circolare, quindi aumenta il volume di sangue circolante. Ricordiamo che la maggiore
parte del sangue è presente nei vasi venosi, che sono abbastanza elastici, diminuendo
questa elasticità il sangue viene spinto verso il cuore e provoca anche un aumento di
sangue circolante nelle arterie/cuore.
Inoltre quando il ventricolo destro si contrae viene tirato verso il basso il setto
atrioventricolare e l'atrio si dilata diminuendo la sua pressione e ciò favorisce l'aspirazione
del sangue. Il ritorno simpatico viene controllato dall'attività simpatica e quindi
dall'adrenalina.
Un ulteriore fattore accessorio importante per il ritorno venoso è dato dalla dilatazione
dell’atrio che si ha durante la sistole, quindi provoca una diminuzione di pressione, ciò
favorisce un ulteriore ritorno di sangue.
Se aumenta la volemia aumenta la pressione, questa è regolata da meccanismi a lungo
termine che dipendono dal rene (ritenzione di Sali e di acqua a livello renale), questo
meccanismo è regolato da alcuni ormoni come vasopressina (ormone antidiuretico) che
regola il bilancio di acqua, ed il sistema renina-angiotensina-aldosterone che regola il
bilancio dei Sali (del sodio)
Vasopressina e angiotensina hanno anche azione vasocostrittrice come adrenalina.

Regolazione della circolazione locale ARTERIOLE


La circolazione locale è dovuta alla regolazione della resistenza a livello delle arteriole
perché la resistenza al flusso è data al 60% da queste, possiamo parlare anche qui di:
 Meccanismi estrinseci: dovuti all’innervazione e alla presenza di ormoni
(vasopressina e angiotensina); arteriole hanno solo innervazione simpatica e non
parasimpatica, quindi viene rilasciata noradrenalina che si lega ad un recettore alfa;
questa innervazione simpatica ha un tono ed un attività di scarica i base che
mantiene un certo livello di contrazione delle fibre muscolari lisce del vaso.
Se attività simpatica aumenta avremo una vasocostrizione, cioè un aumento della
resistenza; quindi a valle dell’arteriola arriverà meno sangue e il flusso sarà ridotto
mentre a monte si accumulerà più sangue e quindi aumenterà la pressione. (Questi
meccanismi quindi regolano sia flusso in uscito cioè verso organo che pressione
sistemica)
Se la scarica simpatica diminuisce, sarà ridotta la quantità di neurotrasmettitore e
l’arteriola si dilata, ciò avviene quando i centri simpatici a livello centrale vengono
inibiti da quelli parasimpatici; quindi possiamo dire che il parasimpatico non ha un
effetto diretto sul vaso, ma tramite un inibizione centrale può esortare il suo effetto
riducendo la scarica simpatica. La finalità è la regolazione della MAP.

 Meccanismi intrinseci: dovuti dalla presenza di fattori metabolici. La finalità è


adeguare il flusso alle esigenze del tessuto interessato. Esempi di meccanismi
intrinseci:
Iperemia attiva, cioè una variazione del flusso ematico in risposta alla variazione
dell’attività metabolica dell’organo; prendiamo per esempio una situazione di
riposo in cui è presente un equilibrio tra flusso di sangue (apporto di ossigeno) e il
consumo di ossigeno da parte del tessuto, se il tessuto aumenta attività metabolica
aumenta anche a richiesta di ossigeno, per questo motivo la quantità di ossigeno
presente nello spazio interstiziale sarà ridotta e questo costituirà un segnale chimico

99
che provoca una vasodilatazione; questa vasodilatazione provoca un aumento del
flusso e quindi si avrà un maggiore apporto di ossigeno per soddisfare le aumentate
richieste metaboliche del tessuto.
La CO2 è un fattore importante perché contemporaneamente alla diminuzione di
ossigeno avremo un aumento di produzione dell’anidride carbonica, che è un
fattore metabolico locale in grado di provocare vasodilatazione; abbiamo aumento
metabolismo tissutale, che porta aumento produzione CO2, agisce su muscolatura
liscia dilatandola, così diminuisce la resistenza, così avremo un aumento del flusso
ematico, questo aumento fa sì che la CO2 venga rimossa più facilmente e quindi
avremo come conseguenza una diminuzione della concentrazione di CO2 e si
instaura un nuovo equilibrio che corrisponde alle esigenze metaboliche del tessuto.

Iperemia reattiva è un altro meccanismo estrinseco ma che non è una conseguenza


ad una variazione del metabolismo, ma può essere una risposta successiva
compensatoria ad un precedente arresto/riduzione di flusso causato da un
occlusione.
In condizione normali abbiamo un equilibrio tra CO2 e ossigeno, ma se il flusso
ematico si riduce a causa di un occlusione senza che sia necessario variazione del
metabolismo, in questo caso avremo un accumulo di CO2 nei tessuti che
provocherà una vasodilatazione che dovrebbe portare ad un aumento del flusso
ematico, ma a causa dell’occlusione il flusso viene impedito; se l’occlusione viene
rimossa il flusso aumenterà e ciò porterà una maggiore rimozione della CO2. (Solo
se viene rimossa l’occlusione si ha l’iperemia reattiva)

Meccanismo intrinseco miogeno cioè le cellule muscolari lisce delle arteriole


reagiscono autonomamente alle variazioni di pressioni che provocano stiramento;
quindi abbiamo un aumento di flusso iniziale che provoca un aumento di pressione
di perfusione, quindi aumenta stiramento muscolatura liscia arteriolare che reagisce
contraendosi, quindi avremo una vasocostrizione con aumento della resistenza ed
una diminuzione del flusso.
Abbiamo una diminuzione di flusso iniziale che provoca una diminuzione della
pressione di perfusione, quindi avremo una diminuzione dello stiramento delle
cellule lisce arteriolari, ciò risulta una diminuzione della contrazione, quindi una
diminuzione della resistenza che provocherà un aumento del flusso.
Questi meccanismi sono presenti in organi il cui flusso deve essere costante, come
ad esempio nel cuore, nel rene…

Riflesso barocettivo (sistemi di controllo della MAP)


Serve a mantenere costante il livello della pressione arteriosa media (Map); quest’ultima è
una variabile omeostatica, cioè deve essere mantenuta entro un ambito di valori di
riferimento, perché ha funzioni importanti, infatti deve avere un valore adeguato per
garantire la perfusione a tutti gli organi, in particolare quelli che si trovano superiormente
al cuore come il cervello perché il sangue deve scorrere contro gravità; non deve neanche
essere troppo alta per evitare rotture nei vasi più piccoli che hanno pareti sottili, con
conseguenti emorragie e danni agli organi.
Questa pressione viene controllata da recettori di pressione detti barocettori che si trovano
nell'arco dell'aorta e nel seno carotideo (cioè la biforcazione della carotide comune); sono 2
posizioni strategiche perché l’aorta è il vaso più grande da cui dipartono tutti gli altri che

100
vanno verso la periferia, mentre la carotide è quella che porta il sangue ai distretti
encefalici.
Vicino ai barocettori sono presenti i globi cardiaci che contengono i chemiocettori e anche
loro sono innervati dal vago.
Sono meccanocettori, sensibili alla deformazione della parete e innervati da fibre sensoriali
afferenti che decorrono nel nervo glossofaringeo (dai recettori carotidei) e nel vago
(recettori aortici) e raggiungono il bulbo, che è il centro di controllo cardiovascolare dove
ci sono i nuclei del vago e strutture che si connettono con i neuroni dell'ortosimpatico.
Le vie afferenti sono la simpatica e la parasimpatica e gli effettori sono le strutture
pacemaker, la muscolatura ventricolare e quella liscia delle arteriole e delle vene.
Abbiamo detto poi che l’azione del parasimpatico è diretta solo alle strutture pacemaker
cardiache, mentre il simpatico sia sulle cellule pacemaker che sulla muscolatura
ventricolare, sia sulla muscolatura liscia delle arteriole e vene.

Al bulbo arrivano più afferenze che possono poi modulare attività cardiaca: dai
barocettori, chemiocettori (che registrano il tasso di ossigeno, Ph e CO2 nel sangue),
propriocettori articolari e muscolari, recettori organi interni e nocicettori.
Queste informazione che arrivano al bulbo possono arrivare anche ai centri superiori come
all'ipotalamo (centro vegetativo superiore che integra e produce una risposta che
accompagna quella cardiovascolare; prendiamo per esempio un ipovolemia, ci possono
essere risposte integrate comportamentali che ci fanno ad esempio bere, renali che
conservano acqua…) e alla corteccia cerebrale (non sempre ci arrivano).
La pressione arteriosa oscilla tra 80 mmHg e 120 mmHg circa: se aumenta sia nei valori
massimi che nei minimi la scarica aumenta perché la parete muscolare si dilata. Se la
pressione sia massima che minima diminuisce, diminuisce anche la scarica nei barocettori
e questa è l'informazione che raggiunge il bulbo.
L'attività dei barocettori è utile in un intervallo di pressione media tra 50 mmHg in cui la
frequenza della scarica è quasi nulla e 200 mmHg circa in cui si avrà la massima frequenza
di scarica: la segnalazione sotto 50 sopra 200 non avviene più.

I barocettori sono sensibili alla distensione, perché se aumenta la pressione, aumenta la


distensione e aumenta cosi la scarica; se guardiamo il potenziale d’azione dei barocettori
notiamo che è sempre presente una scarica, che aumenta leggermente durante la fase di
incremento della pressione. Se aumenta la pressione aumenta anche la scarica e scarica
sempre se la pressione diminuisce, diminuisce anche la scarica e scarica solo nella fase
ascendente, ciò si ha quando riguarda le uscite quindi sia per il nervo del seno carotideo
e sia del nervo vago che parta le informazioni aortiche.

Per quanto riguarda le entrate (verso il cuore) abbiamo il sistema parasimpatico se la


pressione è normale ha una scarica tonica, se la pressione aumenta la sua scarica aumenta,
se la pressione diminuisce la scarica diminuisce, ciò significa che l’aumento della scarica
del parasimpatico provoca una riduzione della frequenza del cuore; la pressione dipende
da gittata cardiaca e dalla resistenza, la gittata cardiaca dipende dalla frequenza cardiaca,
quindi se diminuisce la frequenza per effetto dell’attività parasimpatica, diminuirà la
pressione. (Quindi una diminuzione di scarica del parasimpatico provocherà un aumento
della frequenza cardiaca)
Il sistema simpatico si comporta in maniera inversa, a riposo a pressione normale abbiamo
una scarica tonica, se la pressione aumenta il simpatico diminuisce la sua scarica, se la

101
pressione diminuisce il simpatico aumenta la scarica, ciò significa che un aumento della
scarica del simpatico provoca un aumento della frequenza cardiaca; quindi se la pressione
aumenta bisogna diminuire frequenza cardiaca, mentre se pressione diminuisce bisogna
aumentare la frequenza cardiaca.
Il simpatico innerva anche miocardio ventricolare, dove provoca una variazione della
forza di contrazione: un aumento della scarica simpatica fa aumentare la forza di
contrazione che provoca un aumento della gittata sistolica (altro componente della gittata
cardiaca) e provoca un aumento di pressione, mentre se diminuisce scarica diminuisce
forza di contrazione e quindi diminuisce gittata sistolica.
Agisce anche a livello dei vasi, nelle arteriole se aumenta la scarica simpatica aumenta la
vasocostrizione, quindi aumenta la resistenza, che provoca un aumento di pressione,
mentre se la scarica del simpatico diminuisce, si avrà una riduzione di contrazione che
provocherà vasodilatazione e quindi una diminuzione di resistenza con conseguente
diminuzione di pressione.
Se attività simpatica aumenta, aumenta anche il tono venomotorio, cioè il grado di
contrazione delle fibre muscolari lisce nelle pareti delle vene, che non provoca una
riduzione di diametro, ma una maggiore rigidità della parete venosa; ricordiamo che le
pareti venose hanno grande distensibilità, infatti sono adatte alla funzione di riserva di
sangue a riposo (Più della metà del totale del sangue si trova nelle vene)
Per aumentare la pressione bisogna aumentare il sangue presente in circolo, quindi
bisogna aumentare la distensibilità delle pareti venose, così che il sangue non può
rimanere in riserva e deve andare in circolo e ciò avviene grazie all’innervazione
simpatica. Se l’attività simpatica si riduce quindi quando la Map aumenta, avremo una
riduzione del tono venomoorio, che porta quindi ad un aumento della distensibilità.

Il riflesso barocettivo ha un meccanismo di accomodazione, cioè si adatta in casi di


soggetto perennemente iperteso o ipoteso, quindi quando la pressione arteriosa media è
più alta/bassa i barocettori modificano la risposta in modo tale che il loro punto di lavoro
rimanga nella parte di massima pendenza della relazione stimolo-risposta.

Al variare della pressione può variare il polso pressorio, se la pressione aumenta per
effetto di un aumento della gittata cardiaca, aumenta soprattutto la pressione massima e
aumenta anche la pressione pulsatoria, mentre se la pressione nell’aorta aumenta per la
riduzione della distensibilità (quindi aumento resistenza), ugualmente abbiamo un
aumento della pressione pulsatoria sempre con aumento della pressione massima.

Se c'è un'emorragia c'è un primo compenso immediato realizzato da questo riflesso


barocettivo per cercare di mantenere costante la pressione arteriosa e poi c'è un altro
riflesso che consente la redistribuzione del sangue per assicurare la perfusione dei distretti
vitali e viene ridotto il sangue negli organi non vitali, viene anche diminuita la resistenza
periferica totale.
Ricordiamo 3 fasi: la fase di controllo, fase di emorragia (cioè ciò che succede durante
l’emorragia) e fase post riflesso barocettivo.
In queste 3 fasi vengono analizzati dei parametri come la frequenza cardiaca, il volume di
eiezione ventricolare, gittata cardiaca, la resistenza periferica totale e la Map. (Nella fase di
controllo i valori sono fisiologici)
Nella fase di emorragia abbiamo un ipovolemia che fa abbassare pressione venosa e
quindi si abbassa subito un calo del volume di eiezione ventricolare, e quindi provoca una

102
abbassamento della gittata cardiaca e quindi della Map, la riduzione della Map è il
parametro che innesca il riflesso barocettivo che porterà nell’ultima fase (fase post riflesso)
ad un aumento della frequenza, un leggero innalzamento del volume di eiezione
ventricolare che però non può tornare ai livelli precedenti perché la quantità di totale di
sangue è ridotta (vale lo stesso per la gittata cardiaca, piccolo aumento, ma non torna ai
valori fisiologici) infine abbiamo anche un leggero aumento della resistenza periferica che
provocherà una risalita della Map quasi ai livelli fisiologici.
Contemporaneamente a queste risposte integrate possiamo vedere cosa succede a livello
della circolazione cerebrale e circolazione gastrointestinale. (Ridistribuzione sangue ai vari
organi)
La circolazione cerebrale è importante perché ha un bisogno continuo di ossigeno e
glucosio, quindi ha bisogno di un flusso ematico costante, mentre l’apparato
gastrointestinale può sopravvivere anche con quantità di sangue ridotto temporaneamente
perché non ha una funzione vitale.
Riprendendo le 3 fasi di prima (controllo, emorragia, post riflesso) notiamo che nel
cervello la resistenza non varia, mentre nell’apparato gastrointestinale, nella fase post
riflesso aumenta notevolmente, di conseguenza a ciò avremo che il flusso nel cervello
torna quasi normale mentre quello dell’apparato gastrointestinale è ulteriormente ridotto
(prima riduzione sì ha nella fase emorragica ed è sommata ad un ulteriore riduzione che
avviene in seguito al riflesso barocettivo)
Un abbassamento della Map influenza anche i reni e alla midollare del surrene, cioè la
porzione che produce adrenalina; l’adrenalina ha un azione molto simile al simpatico,
infatti agisce sui vasi, sul miocardio ventricolare e sul nodo SA.
Ricordiamo anche che a livello renale quando la Map diminuisce, si ha la secrezione di
renina che viene prodotta dalle cellule iuxtaglomerulari del rene (viene secreta quando nel
tubulo distale o c’è meno liquido o c’è meno sodio); la renina viene liberata nel sangue e
reagisce con un peptide presente nel sangue chiamato angiotensinogeno che diventa pima
angiotensiona I e poi angiotensina II che è un vasocostrittore e stimola la corteccia
surrenale che produce aldosterone. L’aldosterone va ad agire sui reni dove fa aumentare il
riassorbimento di sodio e ne riduce l’escrezione.
Contemporaneamente la riduzione della pressione venosa viene risentita anche dai
recettori di volume cardiaci dell’atrio destro, queste informazioni raggiungono poi l’ipofisi
che secerne la vasopressina (o ormone antidiuretico), viene secreto in risposta alla
riduzione del volume ematico; questo ormone ha 2 effetti, uno sulle arteriole ed è un
vasocostrittore, l’altro sul rene e riduce l’eliminazione di acqua.
La risposta renale impiega varie ore per instaurarsi e quello che fa non è altro che
conservare liquido isotonico (acqua e sodio), questo no reintegra sangue ma serve a
contenere la perdita di liquidi in seguito ad un emorragia: quindi al riflesso barocettivo
segue l'attivazione del rene e poi la risposta comportamentale cioè la sete; questa risposta
si ha grazie all’angiotensina II che a livello del talamo e dell’ipotalamo induce questa
sensazione di sete.
Inoltre la vasocostrizione delle arteriole renali oltre ad avere una riduzione sull’attività di
filtrazione del rene quindi eliminazione di acqua, provoca anche uno stimolo alla
produzione di eritropoietina, un ormone che aumenta la formazioni di eritrociti; quindi
questa risposta fa aumentare la viscosità del sangue, quindi aumentare la resistenza.
(Anche questa è una risposta abbastanza lenta)
Oltre a questo abbiamo la riduzione della pressione capillare, che provoca la diminuzione
della filtrazione e l’aumento dell’assorbimento dal liquido interstiziale, quindi il liquido si
sposta dall’interstizio verso il sangue; Inoltre anche il fegato risponde aumentando la
103
sintesi delle proteine plasmatiche e ciò favorisce ancora di più lo spostamento
dall’interstizio al sangue.

Sono presenti anche effetti inibitori dei chemiocettori periferici sulla frequenza cardiaca,
questo effetto è mediato attraverso l’eccitazione vagale del bulbo; infatti la stimolazione
dei chemiocettori periferici eccita i centri respiratori bulbari, questa eccitazione promuove
un iperventilazione con conseguente ipocapnia (ridotta concentrazione di anidride
carbonica nel sangue): entrambi i cambiamenti inibiscono i centri vagali. (Pertanto questi
effetti secondari tendono ad attenuare l’effetto riflesso primario esercitato dalla
stimolazione dei chemiocettori periferici sulla frequenza cardiaca)

Riassunto: In definitiva possiamo dire che in seguito ad un aumento del volume


ematico, che porta ad un aumento della pressione arteriosa si innescano 2 meccanismi, uno
risposta rapida ed è il compenso mediato dal sistema cardiovascolare cioè il riflesso
barocettivo, ed una risposta lenta che è il compenso mediato al rene; il risultato di
entrambi in questo è la diminuzione della pressione arteriosa.
Contemporaneamente a quei 2 meccanismi in seguito ad un aumento di pressione,
abbiamo un aumento dei barocettori carotidei e aortici, che vanno ad informare il centro di
controllo, quindi in questo caso avremo diminuzione dell’attività simpatica e aumento
dell’attività parasimpatica, cioè riduzione del rilascio di noradrenalina che a livello del
muscolo liscio arteriola provoca vasodilatazione, cioè diminuzione resistenza e andranno
ad agire sul cuore riducendone la frequenza: avremo riduzione gittata e frequenza che
porterà ad una diminuzione di pressione.
Inoltre anche acetilcolina prodotta da attività simpatica agisce sul nodo SA e diminuisce
frequenza cardiaca.
Se avremo una riduzione di pressione l’attività simpatica aumenta mentre attività
simpatica diminuisce, arteriole (e vene aumentano il tono) vasocostringono, ventricolo
aumenta forza di contrazione e nodo SA aumenta la frequenza cardiaca, per consentire il
rialzo della pressione fino livelli fisiologici. (Ricordiamo che a livello vascolare agisce solo
sistema simpatico)
La gittata cardiaca può anche essere redistribuita, ad esempio in caso di emorragia
diminuisce flusso gastrointestinale per favorire flusso cerebrale, oppure quando
effettuiamo un esercizio la gittata anche in questo caso viene redistribuita, il sangue che
irrora i muscoli e irrora il cuore aumenta molto e viene ridotta anche qua il sangue che
irrora apparato digerente.

Attività elettrica
Crea l'evento meccanico cioè la contrazione, dà segnali generati dal cuore stesso, da due
tipi di cellule che formano il sistema di conduzione.
L’attività elettrica, precede quella meccanica, si propaga con una certo rodine temporale
nelle varie porzioni del cuore.
Viene generata spontaneamente cioè il cuore se fornito di ossigeno e substrati può
continuare a battere per produrre energia anche senza la presenza dell’input nervoso; le
strutture responsabili della generazione dell’input elettrico sono le strutture pacemaker
cioè gruppi di cellule miocardiche modificate (che hanno perso però la capacità di
contrarsi), localizzate in 2 punti ben identificabili: nel nodo senoatriale che si trova
all'imboccatura delle vene cave e nel nodo atrioventricolare che si trova sempre sul lato
destro del cuore a livello del setto atrioventricolare.
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Queste strutture sono connesse da fibre di tessuto eccitabile chiamate internodali che
raggiungono anche fibre del miocardio.
Dal nodo atrioventricolare parte il fascio di His che decorre nel setto atrioventricolare e
subito si divide in 2 branche, quella di destra e quella di sinistra che arrivano fine all’apice
del cuore.
A questo livello (apice cuore) è stata localizzata un’altra struttura pacemaker, anche se non
è presente un nucleo/nodo, si è visto che questo punto riesce a generare autonomamente
un ritmo.
Dall’apice del cuore le 2 branche che originano dal fascio di His si diramano nel cuore a
formare le fibre di Purkinje che raggiungono tutte le singole cellule miocardiche (si ha la
massima velocità di conduzione).
Ci sono sinapsi elettriche tra le cellule di tutto questo sistema, cioè le giunzioni
comunicanti, che oltre a questo sono importanti perché determinano la contrazione di
cellule vicine anche se non è arrivato l’impulso. (Le fibre di conduzione conducono
velocemente lo stimolo generato dalle cellule pacemaker).
Tra le cellule pacemaker e le prime cellule muscolari la propagazione avviene grazie a
sinapsi elettriche, poi tra le prime cellule muscolari e quelle successive è presente la
diffusione di questo impulso elettrico tramite contatti elettrici.

La risposta dell'attività elettrica delle cellule del cuore può essere di due tipi:
A. Rapida: tipica delle cellule muscolari. (Sia ventricolo che atrio)
Le cellule miocardiche hanno potenziale a riposo di circa -90 millivolt e quando
ricevono l’input dalle cellule pacemaker rispondono con un potenziale d’azione che
andamento temporale caratteristico (durata minimo 200ms) e si riconoscono 4 fasi
più una fase 0 iniziale.

- Fase 0: aumenta permeabilità al sodio che entra nella cellula, così lo ione entra
secondo gradiente elettrochimico, la cellula diventa positiva. (Depolarizzazione che
porta potenziale di riposo da -90 a circa +20)
- Fase 1: i canali per il sodio si chiudono perché raggiunta una certa soglia si
inattivano, cessa la permeabilità per il sodio e il potenziale si abbassa di poco ma
rimane sempre su valori positivi. (Ripolarizzazione rapida iniziale)
- Fase 2: detta fase di plateu, i canali del potassio rapidi si aprono e portano il
potenziale a valori meno negative ma si chiudono subito. Si aprono i canali per il
calcio che entra e mantiene la polarità della membrana con valori positivi.
- Fase 3: si chiudono i canali per il calcio e si aprono quelli lenti per il potassio che
portano il potenziale a valore ancora più negativi rispetto il potenziale di riposo.
(Ripolarizzazione)
- Fase 4: chiusura canali potassio e ritorno a potenziale di riposo.

Durante il periodo refrattario assoluto (primo periodo di ripolarizzazione non può


ricevere un altro stimolo, mentre nel periodo di refrattario relativo può condurre un
altro stimolo ma deve essere più intenso del primo; ciò è una sorta di protezione
contro la tetanizazzione.
Quando finisce il periodo di refrattario relativo la fibra è quasi completamente
rilassata; ricordiamo che i ventricoli mentre si rilassano si riempiono di sangue, se
non hanno la possibilità di riempirsi adeguatamente non potranno spingere nuovo
sangue in circolo nella successiva contrazione.

105
Ciò significa che la capacità del ventricolo di rilassarsi e riempirsi in un tempo
adeguato è vitale.

B. Lenta: tipica delle cellule pacemaker e può essere modificata dal sistema
nervoso vegetativo.
Il potenziale a riposo è -60 con una fase zero, cioè di depolarizzazione poco
ripida e una fase di discesa poco lunga; notiamo che la fase 1 ovvero
ripolarizzazione rapida iniziale non è presente.
La prima fase ha un'instabilità di membrana che indica un comportamento
anomalo dei canali per il sodio chiamati “funny” che si aprono e chiudono senza
alcuna causa. L’apertura dei funny fa depolarizzare parzialmente la membrana,
e fanno aprire i canali per il calcio che entra con il sodio: il calcio è responsabile
della depolarizzazione.
Poi avviene una ripolarizzazione con l'apertura dei canali per il potassio e la
riformazione del potenziale di riposo.

- Fase 0: la depolarizzazione parziale permette al potenziale di azione di rimanere


per poco tempo;
- Fase 1: non presente;
- Fase 2: plateu un po’ più inclinato;
- Fase 3: riporta la membrana al potenziale di riposo;
- Fase 4: ritorno al potenziale di riposo.

La frequenza di questi potenziali è tipica di ogni struttura pacemaker si attribuisce


alla capacità di produrre depolarizzazioni: nel nodo senoatriale accade circa 70
volte al minuto nel nodo atrioventricolare circa 50 volte al minuto mentre
nell’apice de cuore circa 30 volte al minuto. (Queste sono le frequenze normali
cardiadchhe)
Il ritmo cardiaco può cambiare per effetto di fattori nervosi e ormonali che
modificano il pacemaker: l'ortosimpatico l'aumenta mentre il parasimpatico lo
diminuisce.
Il primo (orto) libera noradrenalina, che attiva adenilato-ciclasi, che stimola sintesi
di Camp determinando aperura dei canali del sodio; infatti fa depolarizzare la
cellula a -55 e fa aumentare la velocità quindi si producono più potenziali
d'azione.
Il parasimpatico invece con l'acetilcolina che interagisce con recettori muscarinici,
viene inibita la sintesi di ATP e quindi anche la sua idrolisi che produce Camp, e
quindi avrà effetto inibitorio su aperura canali calcio; infatti ha ruolo opposto
perché provoca iperpolarizzazione e rallenta la salita verso la soglia: vengono
prodotti meno potenziali.

Il potenziale parte dal nodo senoatriale e si propaga alla muscolatura dell'atrio (dando
origine ad una risposta rapida simile a quella ventricolare, ma con una fase di plateu più
breve) e contemporaneamente si propaga al nodo atrioventricolare dando origine ad un
tipo di risposta di tipo lento; da qui va al fascio di His all'apice del cuore, alle fibre del
Purkinje e poi raggiunge muscolatura ventricolare dove provoca una risposta rapida tipica
ventricolare. Intanto l'atrio si ripolarizza.

106
Quando attività elettrica inizia ci vogliono circa 200 ms per arrivare alla contrazione
ventricolare e la velocità di conduzione dei potenziali d’azione cambia, infatti è lenta
all’interna dei nodi mentre è veloce nelle fibre di purkinje.

[Il sangue trasporta ossigeno e nutrienti, prodotti di scarto, ormoni, ... inoltre elimina
prodotti di scarto, calore, CO2 attraverso un flusso generato dal potenziale.
La gittata cardiaca misura la quantità di sangue che il cuore pompa in un minuto ed è
uguale alla gittata sistolica (70 ml al minuto) per la frequenza cardiaca (70 battiti al
minuto) e quindi ha un valore di circa 5 litri al minuto. Questo valore viene aumentato con
l'attività cardiaca ma dipende da altri fattori come il ritorno venoso.]
Sia nel scheletrico che nel muscolare la durata della contrazione è maggiore dell’evento
elettrico (nel muscolo scheletrico è più lunga) e quando finisce il periodo refrattario la
fibra muscolare scheletrica sta ancora iniziando la fase di salita della contrazione, quindi
un nuovo potenziale d’azione provocherà un secondo evento meccanico che si sommerà al
primo.
Mentre nella fibra miocardica il periodo refrattario assoluto finisce quando la fibra
muscolare è quasi completamente tornata allo stato rilassato, mentre qua un nuovo
potenziale provocherà l’inizio di un nuovo ciclo e i 2 eventi non si sommano.

Elettrocardiogramma: rappresenta la somma dell’attività elettrica di tutte le cellule


registrata sulla superfiice corporea.
Registra l’attività elettrica e la sua propagazione, tramite elettrodi posti sulla cute, delle
cellule del cuore che può venire tramite la superficie.
Gli elettrodi vengono posti sugli angoli di un triangolo equilatero quindi sul braccio
destro, braccio sinistro e sulla gamba sinistra e sono collegati in coppia ad un misuratore
di voltaggio. Alle coppie di elettrodi sono riferite le derivazioni e in ognuno, un elettrodo è
positivo e l'altro negativo; La derivazione I formata dalle 2 braccia, la II braccio destro e
gamba sinistra e la III gamba sinistra e braccio sinistro.
Il metodo di registrazione è bipolare e si registra la differenza di potenziale di un elettrodo
rispetto all'altro: se il tracciato è piatto i due elettrodi hanno la stessa polarità.

In un soggetto normale si trovano 3 onde:


 Onda P: onda di depolarizzazione atriale e viene prodotta dal nodo senoatriale,
quindi partiamo in una fase in cui l’atrio è totalmente depolarizzato; abbiamo la
depolarizzazione rappresentata da una deflessione verso l’alto e poi nella parte
finale la linea del elettrocardiogramma sembra che sia tornata identica a quella
iniziale, ma ciò succede perché non c’è più differenza di potenziale tra i 2 elettrodi
che registrano lo stesso potenziale.
 Complesso QRS: onda di depolarizzazione ventricolare; alla fine di questa fase
troviamo tutto il ventricolo depolarizzato; contemporaneamente alla
depolarizzazione del ventricolo si ha la ripolarizzazione dell’atrio: poco evidente
nell’elettrocardiogramma.
Si nota prima una deflessione verso basso piccola (fase Q), poi una grande
defelessione verso l’alto (fase R) e infine una deflessione verso il basso più marcata
della prima avvenuta (Fase S)
 Onda T: onda di ripolarizzazione ventricolare e viene prodotta dal nodo
atrioventricolare; nella ripolarizzazione la prima deflessione è verso l’alto e non

107
verso il basso perché nel ventricolo sui ripolarizza prima la parte che si è
depolarizzata per ultima. (Dalla base del cuore verso il centro)

Ciascuna di queste onde corrisponde ad un evento elettrico specifico.


Se il potenziale venisse registrato a livello intracellulare (e non superficiale tramite
elettrodi) notiamo che la variazione di voltaggio registrata è maggiore.

L'elettrocardiogramma mi permette di vedere problemi di conduzione elettrica, sulla


requenza, il tempo di depolarizzazione/ripolarizzazione…, ma non permette di vedere le
attività delle valvole (per quello serve ecocardiogramma).
L'attività cardiaca può essere modificata in funzione delle esigenze dell'individuo in
particolar modo la gittata cardiaca.

Riassunto: quando onda p inizia a propagarsi nell’atrio, compare onda p


nell’elettrocardiogramma, quando tutto atrio è depolarizzato l’onda p è finita, quindi
termina deflessione nell’elettrocardiogramma e successivamente inizia evento meccanico
(contrazione atrio).
Quando la propagazione passa dal nodo atrioventricolare al setto interventricolare
abbiamo l’onda q nell’elettrocardiogramma, poi abbiamo la propagazione nelle fibre i
purkinje e si ha l’onda r e infine si ha la diffusione in tutta la parete del miocardio
ventricolare si ha cosi l’onda s e successivamente abbiamo la contrazione del ventricolo.
Mentre si ha la propagazione nel setto interventricolare si ha l’inizio della ripolarizzazone
dell’atrio (che va nella stessa direzione, cioè si ripolarizza nello stesso senso che si è
deopolarizzato), ma siccome l’evento è poco significativo non si apprezza.

In caso di tachicardia (battito aumentato, oltre 100 bpm) notiamo che nell’ECG io numero
di complessi QRS nell’unità di tempo sono molto di più, mentre in una bradicardia (battito
più lento, meno di 60 bpm) notiamo pochi complessi QRS. (Ma ancora rientra nel
fisiologico)
Poi abbiamo i blocchi che possono essere di I grado dove si può assistere ad una durata
prolungata dell’intervallo P-QRS, cioè la conduzione tra atrio e ventricolo è rallentata,
però il sistema di conduzione è presente, nel II è presente la conduzione che però ogni
tanto salta, infatti posiamo avere mancanza intermittente della fase QRS (è presente un
minimo di conduzione, cioè collegamento tra pacemaker atriale e quello ventricolare)
mentre nel III non è presente conduzione (nodo SA e nodo AV sono indipendenti tra loro).
Nel blocco III Ciò avviene perché il nodo SA gestisce la depolarizzazione dell’atrio, mentre
il ventricolo è comandato dal nodo AV che non è più sottoposto all’influenza al nodo SA
per cui ognuna delle 2 parti del cuore va avanti per conto suo. (Notiamo onda P che
procede in maniera indipendente, a volte dopo la T, a volte in mezzo al complesso QRS…)
Normalmente in un cuore sano il nodo SA ha un ritmo più rapido (70 depolariz a secondo
contro le 50 de nodo AV) e quindi la frequenza delle onde P è molto più alta delle R.

Altre patologie sono la contrazione atriale prematura (CAP); e la fibrillazione ventricolare


cioè una condizione grave in cui le cellule cardiache si depolarizzano e si contraggono
indipendentemente l’una dall’altra (si è persa l’unità funzionale) e quindi il cuore non
funziona più come pompa: bisogna intervenire rapidamente con il defibrillatore che
immette una scarica nel corpo e risincronizza dal punto di vista elettrico tutte le cellule
(quindi attività meccanica torna sincronizzata).

108
La fibrillazione atriale in cui non c’è un onda P ma è presente una serie di piccole
oscillazioni, stessa situazione di quella ventricolare, limitata all’atrio (contrazione fibre
indipendente), anche se non è incompatibile con la vita questa situazione perché la
contrazione atriale non è strettamente necessaria per il funzionamento cardiaco.

Regolazione dell’attività cardiaca


L’attività cardiaca è automatica (non ha bisogno di input esterni ma solo di nutrienti e
ossigeno), ma deve essere adeguata alle necessita dell’organismo, in modo tale che
sangue/nutrienti vengano distribuiti ai vari organi/tessuti nelle quantità proporzionali
alla loro richiesta metabolica, per questo sono presenti meccanismi di
controllo/regolazione dell’attività cardiaca: di solito vengono suddivisi in meccanismi
intrinseci e estrinseci.

I meccanismi estrinseci
Sono nervosi (S. Vegetativo) e ormonali (Adrenalina).
L'innervazione del cuore viene controllata dal sistema nervoso vegetativo:
Dal parasimpatico (nuclei di origine nel bulbo) le cui fibre arrivano al cuore tramite il
nervo vago e innerva solo strutture pacemaker; il vago destro termina a livello del nodo
SA mentre il sinistro va ad innervare il nodo AV.
Dall’ortosimpatico che ha il neurone di origine nei segmenti toracici (T1-T5) e la fibra post
gangliare che si trova nel ganglio cervicale superiore, medio e inferiore raggiunge sia le
strutture pacemaker (sia nodo SA sia il nodo AV) sia la muscolatura miocardica
ventricolare.
Quest’innervazione vegetativa ha sia un’azione tonica sia un’azione fasica:
Fasica dimostrata a un esperimento condotto su un cane e mostra gli effetti della
stimolazione vagale (del nervo vago) e stimolazione dei nervi simpatici.
La vagale provoca una riduzione marcata della frequenza cardiaca (da 120 di FC di un
cane sotto anestesia si arriva a 50), quando stimolazione cessa la FC torna a valori normali,
quando stimolazione riprende la FC subisce di nuovo un calo marcato. Quindi si è dedotto
che l’effetto fasico del vago è una diminuzione della frequenza cardiaca.
Effetto fasico sul simpatico è mostrato dagli effetti della stimolazione del simpatico sempre
nello stesso esperimento condotto sul cane e porta ad un aumento della FC; quando si ha
stimolazione la FC aumenta, quando cessa la stimolazione si ha un calo e ritorno ai livelli
normali di FC (con risposta meno rapida sia in aumento che in diminuzione).
È stato dimostrato nell’uomo anche un effetto tonico (che permane) sia del simpatico che
del parasimpatico bloccando il recettore specifico su cui ciascuna sezione del vegetativo
rilascia trasmettitore.
Il vago rilascia acetilcolina che interagisce con recettori muscarinici, che vengono bloccati
in questo esperimento dall’atropina, mentre il simpatico rilascia noradrenalina che a
livello del cuore interagisce con i recettori con i recettori beta adrenergici che in questo
esperimento vengono bloccati dal propanololo.
L’esperimento è stato fatto su 10 soggetti (con FC di circa 60/65 bpm) a cui ad una metà è
stata data prima l'atropina, che aumenta la frequenza cardiaca, e poi il propanololo che
invece la abbassa, all’altra metà prima il propanololo e poi l’atropina.
I soggetti che hanno ricevuto prima l’atropina avevano un blocco dei recettori muscarinici
e quindi blocco dell’attività del vago mostravano un aumento della FC (che arrivava a
circa 110 bpm) per poi appena ricevevano propanololo che blocca recettori adrenergici,

109
quindi bloccando l’effetto del simpatico, si osservava subito una riduzione meno marcata
della FC (fino ad un valore di circa 95/100 bpm).
L’altro gruppo che hanno ricevuto prima propanololo mostrava una riduzione della FC di
circa 10 battiti nella prima metà dell’esperimento, pero poi nella seconda metà a seguito di
somministrazione di atropina mostrava un marcato aumento di FC (arrivando circa a 100).
Siccome in entrambi i casi si arriva ad una frequenza di 100 bpm, questo valore è stato
definito come la frequenza intrinseca spontanea del nodo SA; quindi quel valore
fisiologico di 70/72 bpm considerata la FC a riposo è il risultato dell’effetto tonico sia del
vago che dell’ortosimpatico.
Sia parasimpatico che ortosimpatico per modificare la FC agiscono sulle strutture
pacemaker.

Il potenziale del nodo SA è lento, infatti il potenziale di membrana diventa gradualmente


sempre meno negativo fino ad arrivare ad un valore soglia (depolarizzazione) e ciò è
determinato dall’apertura dei canali sodio (raggiungimento soglia) che fanno aprire a loro
volta dei canali per il calcio innescando così un potenziale d’azione, in seguito si aprono
quelli del potassio che portandola membrana ad un valore negativo di riposo per poi
iniziare di nuovo.

L’ortosimpatico provoca una depolarizzazione di base, quindi invece di partire da -60 mv


si parte da -50 mv ed una maggiore velocità di depolarizzazione quindi ci vuole meno
tempo a raggiungere la soglia; questo effetto è dovuto anche all’adrenalina: questo
comporta che in uno stesso intervallo di tempo anziché 3 potenziali in condiziono normali
avremo5 potenziali d’azione dovuta alla stimolazione simpatica delle cellule pacemaker e
quindi avremo al posto che 3 battiti 5 battiti. (Aumento frequenza)
Il parasimpatico agisce al contrario perché provoca una lieve iperpolarizzazione della
membrana che parte da -70mv e un rallentamento della fase di salita, quindi ci vorrà più
tempo a raggiungere la soglia prima di poter produrre potenziale d’azione; quindi il
risultato sarà che nello steso intervallo di tempo al posto che produrre 3 potenziali
d’azione ne avremo 2 e quindi 2 battiti al posto di 3. (Quindi un rallentamento della FC)

L’attività dei nervi simpatici al miocardio ventricolare provoca un aumento della


contrattilità che risulta in un aumento della forza di contrazione e quindi un aumento del
volume di eiezione ventricolare.
Ricordiamo che il volume di eiezione ventricolare moltiplicato per la frequenza cardiaca
dà la gittata cardiaca, possiamo concludere così che l’azione dell’ortosimpatico è quella di
aumentare la gittata cardiaca agendo su entrambi i fattori responsabili (pacemaker e
miocardio ventricolare).
Se invece l’attività del simpatico diminuisce e aumenta l’attività del parasimpatico al cuore
avremo una riduzione di eiezione del volume ventricolare una riduzione della frequenza
cardiaca che quindi comporta una diminuzione della gittata cardiaca agendo però solo a
livello della frequenza cardiaca (solo su strutture pacemaker)
A livello del bulbo sono presenti delle interazioni reciproche inibitorie fra centri
parasimpatici e centri di controllo che vanno a stimolare poi neuroni pre-gangliari
ortosimpatici; per cui contemporaneamente avremo la stimolazione dell’parasimpatico e
l’inibizione del simpatico (quindi il parasimpatico indirettamente agisce sulla contrattilità,
non tramite innervazione diretta, ma tramite l’inibizione del simpatico)

110
L’attività nervosa può regolare gittata cardiaca, la frequenza e la contrattilità, ricordiamo
attività fasica (stimolazione del nervo vago rispettivo, esempio stimolazione del vago
rallenta frequenza cardiaca e stimolazione nervi simpatici aumenta attività cardiaca) e
attività tonica, cioè una stimolazione sempre presente di bassa intensità che modula
costantemente attività cardiaca (si può verificare questa situazione visto che non si
possono sezionare i nervi andando a bloccare i recettori su cui andranno ad agire
acetilcolina, usi l’atropina e noradrenalina, usi il propanolo).

Adrenalina rappresenta altro meccanismo estrinseco regolatore sul cuore (Porta gli
stessi effetti del simpatico).
Sono presenti dei centri di controllo cardiovascolari nel bulbo formati da neuroni
parasimpatici che alla fine rilasceranno acetilcolina (post-gangliari), sia dei neuroni pre-
gangliari simpatici che poi proietteranno nel midollo spinale ai neuroni sinaptici post-
gangliari che rilasceranno noradrenalina.
Questo centro di controllo regola la liberazione di NA e Ach a seconda delle afferenze di
informazioni provenienti da recettori.
Rilascio NA, si lega ai recettori beta delle cellule autoritmiche (pacemaker), determina un
ingresso prima di sodio poi di calcio, abbiamo così un aumento di velocità di
depolarizzazione che porta un aumento delle FC.
I neuroni parasimpatici rilasciano Ach, si lega ai recettori muscarinici delle cellule
autoritmiche, provoca un aumento dell’uscita potassio ed una diminuzione dell’entrata di
di calcio, ciò causa un iperpolarizazione delle cellule che porta ad una diminuzione della
velocità di depolarizzazione e quindi si riduce la frequenza cardiaca.
Sia l’adrenalina della midollare del surrene sia la NA dei neuroni simpatici si legano ai
recettori beta 1 sulle cellule miocardiche contrattili, che attivano il sistema messaggero che
porta alla sintesi del Camp, il quale fosforila i canali del calcio voltaggio-dipendente che
così rimangono aperti più a lungo e fanno aumentare l’ingresso di calcio dall’esterno.
Fosforilano anche il fosfolambano che provoca l’aumento dell’attività del reticolo
sarcoplasmatico (la pompa che recupera il calcio), quindi il calcio viene rimosso più
velocemente dal citoplasma e inoltre il calcio viene liberato dai depositi intracellulari, ciò è
anche dovuto dall’aumento del calcio dall’esterno.
Quindi aumentando la concentrazione di calcio abbiamo una maggiore forza di
contrazione del cuore e contemporaneamente il calcio verrà rimosso più velocemente e
quindi abbiamo una durata di contrazione più breve.

Meccanismi intrinseci
C'è un altro meccanismo di regolazione della gittata cardiaca che è il riflesso di Starling
(del cuore) che dice che più il cuore viene stirato più aumenta la sua forza di contrazione.
Consiste in un aumento della contrazione del ventricolo che produce l'allungamento delle
fibre del ventricolo e provoca aumento della forza di contrazione in seguito ad un
aumentato riempimento di sangue nel ventricolo e così espelle una maggiore quantità di
sangue.
Dipende dalle fibre del ventricolo che lavorano in fase ascendente: se abbiamo uno
stiramento della fibra prima della contrazione aumenta poi la forza di contrazione.
(Dovuto all’organizzazione delle fibre)
Questo stiramento è dovuto ad un aumento del volume telediastolico, cioè maggiore
riempimento ventricolare alla fine delle diastole, provocando così maggior forza di
contrazione e quindi più sangue viene espulso (aumento volume di eiezione ventricolare)

111
Nello scheletrico poco aumento della forza a stiramento prima della contrazione.
Curva di Starling:
Ascisse: volume telediastolico;
Ordinate: volume di eiezione ventricolare.

Riflesso di bainbridge: dice che se aumenta il riempimento ventricolare aumenta anche la


frequenza cardiaca; per evitare che del sangue ristagni nel cuore, cioè il sangue in più
presente nel cuore venga mandato ugualmente in circolo. Conosciuto anche con il nome di
riflesso atriale è l’aumento della frequenza cardiaca dovuto all’aumento della pressione
venosa centrale.

Il controllo intrinseco permette di controllare il flusso ematico in funzione del


metabolismo dell'organo e ne esistono due tipi con cause diverse:
- Iperemia attiva: aumento del flusso di sangue dovuto all'aumento di attività
metabolica. L'iperemia attiva funziona in periferia degli organi periferici con
l'aumento dell'attività metabolica: comporta l'aumento dell'assunzione di ossigeno
e diminuisce la pressione parziale, nel tessuto, di ossigeno. Questo è uno stimolo
per far dilatare la arteriola, diminuendo la resistenza al flusso e questo aumenta
portando più ossigeno. Anche le variazioni di anidride carbonica danno lo stesso
effetto dell'ossigeno;
- Iperemia reattiva: aumento del flusso di sangue conseguente ad una precedente
riduzione. L'iperemia reattiva invece è un aumento del flusso ematico per
compensare uno squilibrio: se viene occluso un vaso si accumula CO2 che
provocano una vasodilatazione, un aumento del flusso e la rimozione
dell'occlusione.

Cooperazione meccanismi intrinseci/estrinseci:


Questo meccanismo intrinseco di controllo della gittata cardiaca tramite il controllo della
gittata sistolica si può combinare con meccanismo estrinseco soprattutto dovuto all’attività
simpatica che aumenta la forza di contrazione.
Per ogni dato volume telediastolico all’aumento dell’attività simpatica provoca un
incremento del volume di eiezione ventricolare, ciò si riflette sulla curva di Starling
spostandola verso l’alto; nelle stesse condizioni in una diminuzione di attività simpatica
provoca una diminuzione del volume di eiezione ventricolare e la curva si sposta verso il
basso.

Abbiamo il muscolo a riposo no carico, poi abbiamo il muscolo che si trova stirato fase
detta di precarico (riempimento di sangue nel ventricolo); poi abbiamo la fase di post
carico rappresentato dalla pressione nell’aorta/arteria polmonare e il muscolo si trova a
riposo e stirato; quando la pressione all’interno del ventricolo supera quella dell’aorta il
muscolo si può contrarre e abbiamo l’eiezione ventricolare. (Il muscolo deve vincere per
funzionare correttamente da pompa il precarico cioè la pressione interna ventricolare e la
pressione dovuta al sangue nell’aorta)
Le cellule cardiache hanno bisogno di un meccanismo ossidativo quindi di glucosio, acidi
grassi e così via.
112
Riassunto: Fattori che influenzano volume eiezione ventricolare: contrattilità
ventricolare, volume telediastolico e il post carico (pressione nell’arteria).
La pressione ventricolare telediastolica (precarico) è influenzata dal tempo di riempimento
e dalla pressione atriale.
La pressione atriale dipende dalla contrazione atriale e dal ritorno venoso; il ritorno
venoso a sua volta dipende dalla pressione venosa centrale.

Il flusso coronarico

È quello che porta i nutrienti al cuore stesso, inizia dalle arterie coronarie che si diramano
dall’aorta subito all’uscita dal ventricolo: proprio per la posizione dell’arteria coronaria
può avvenire solo durante la diastole perché quando ho la sistole la contrazione delle fibre
e i lembi della valvola aortica che si apre chiudono l'orifizio delle vene coronarie (in
prossimità dell'aorta) e il flusso aumenta. (Quindi la pressione aortica aumenta, cioè arriva
il sangue al ventricolo e le valvole sono aperte, il flusso coronario è nullo)
Quando la valvola aortica si chiude, abbiamo prima un calo di pressione e poi subito un
aumento; la valvola si chiude in un determinato punto di chiusura che è marcato
dall’incisura dicrotica: cioè la pressione nell’aorta è leggermente ridotta perché il
ventricolo pompa meno ma è subito presente un lieve incremento che è dovuto alla
chiusura della valvola aortica perché non arrivando più sangue dal ventricolo, le pareti
dell’aorta che si erano dilatate per l’arrivo del grande volume di sangue, per le loro
proprietà elastiche ritornano alla loro posizione iniziale e ciò porta un lieve incremento di
pressione al loro interno.
Ciò è molto importante per garantire flusso di sangue agli organi periferici anche durante
la diastole ma soprattutto perché si rendono accessibili al sangue gli orifizi dell’arteria
coronarie e così aumenta il flusso.

Attività e flusso di sangue dovuto al fatto che attività cardiaca metabolica è di natura
ossidativa, richiede ossigeno, quindi man mano che aumenta attività cardiaca, aumenta
frequenza e forza di contrazione aumenterà anche la richiesta di ossigeno.
Questo stimolo di aumento della richiesta di ossigeno è a rilascio di adenosina che provoca
vasodilatazione i vasi delle coronarie e questo comporta un aumento del flusso sanguigno,
così che l’aumento della richiesta metabolica ha subito come conseguenza l’aumento del
flusso ematico.

Alcune sostanze nel sangue possono causare aterosclerosi e se ciò avviene nelle coronarie
si forma un trombo che si può staccare e trasportare come emboli in capillari più piccoli
fino a chiuderli del tutto (ischemia del miocardio che può portare a infarto).
Patologie aterosclerotiche causate dalla presenza eccessiva di LDL nel sangue, cioè una
lipoproteina che contiene grandi quantità di colesterolo.
C’è il rischio che questa LDL in grandi quantità penetri sotto l’endotelio, si ossida (agenti
ossidanti causano ciò), e dà origine ad una reazione di infiammazione cronica con la
successiva formazione dell’ateroma, poi in seguito ad un processo coagulativo a livello
dell’ateroma abbiamo il rischio che si stacchi il coagulo (soprattutto in soggetti ipertensivi)
e che causi un’ischemia a valle.
Finché il coagulo è attaccato alla parte si chiama trombo e causa una parziale ostruzione
del vaso, se si stacca dalla parete si chiama embolo e può provocare ostruzione totale di un
113
vaso più piccolo a valle e impedisce quindi l’irrorazione di sangue e quindi nutrienti di
quei tessuti irrorati dal vaso otturato causandone la necrosi. (Ischemia)
L’ischemia del miocardio causa la morte dei miocardiociti e anche la morte del soggetto
senza possibilità di recupero di quest’ultimo.

È presente un autoregolazione del flusso coronarico, per mantenere pressoché costante la


perfusione cardiaca indipendentemente dalle variazioni della pressione arteriosa media
(Map); l’aumento della resistenza (tramite vasocostrizione arteriole) compensa
l’incremento della Map e per questo motivo il flusso torna ad un valore più basso simile a
quello in condizioni normali.
Meccanismi intrinseci che agiscono su vasi coronarici:
 Le cellule muscolari lisce che vengono stimolate dai recettori alfa adrenergici,
inibite dai recettori beta-adrenergici e inibite dal nervo vago;
 È presente un meccanismo miogeno che può aumentare/diminuire la contrattilità
delle cellule muscolari che risponde in maniera inversa alla pressione, cioè se
aumenta la pressione le cellule si contraggono, mentre se diminuisce le cellule si
rilasciano.
 Aumento metabolismo cardiaco, che si verifica quando aumenta frequenza
cardiaca, che porta ad una riduzione della pressione parziale dell’ossigeno che
stimola apertura canali potassio, con rilascio ossido nitrico e rilascio di adenosina
che provocano vasodilatazione (porta ad un aumento del flusso coronarico)

Sistema linfatico

Sistema di condotti che scorrono parallelamente al sistema circolatorio, è costituito da vasi


e da linfonodi (in cui troviamo linfociti), ha la funzione di scovare ed eliminare
microorganismi potenzialmente dannosi (ruolo di difesa) ma ha anche la funzione di
mantenere un bilancio idrico adeguato drenando l’acqua.
Soprattutto a livello dei tessuti l’acqua filtrata nel versante capillare non riesce ad essere
totalmente riassorbita nel versante venoso, perché più corto di quello arteriolare, quindi
quella che si accumula in eccesso viene drenata e recuperata nel sistema circolatorio a
livello del dotto toracico, che si trova nella vena cava ascendente. (Se non funziona bene è
una delle cause della formazione di edemi)
I capillari linfatici sono a fondo cieco con direzione centripeta.

Apparato respiratorio

Lavora con il circolatorio per rifornire il corpo di ossigeno ed eliminare la CO2 che viene
riversata nel sangue, portata negli alveoli polmonari e poi eliminata.
È composto dai polmoni e dalle vie aeree divise in superiori (cavità nasali, bocca, faringe,
laringe) ed inferiori (trachea, 2 bronchi, bronchioli e alveoli). Con le vie aeree il sangue
viene condotto dall'esterno all'interno oppure dai polmoni all'esterno. (Ricordiamo che la
trachea si trova anteriormente rispetto all’esofago)

114
I polmoni sono il serbatoio dell’aria si trovano nella cavità toracica, poggiano sul
diaframma ed hanno un parenchima fatto da cavità dette alveoli; il polmone è formato da
un tessuto apparentemente spugnoso che contiene fibre elastiche, ciò è importante per la
loro funzione.
Bronchi, bronchioli e polmoni stanno nella cavità toracica separata da quella addominale
dal diaframma, principale muscolo inspiratorio. Nel torace inoltre la pressione è minore
che nell'addome e il sangue tende ad andare dall'addome al torace.
Tra gli altri confini ricordiamo il confine muscolo-scheletrico fondamentale per consentire
la meccanica respiratoria della cavità toracica, ed è formato dalle coste, dallo sterno, dalla
colonna vertebrale e dalle diverse muscolature (inspiratori come gli intercostali esterni, gli
scaleni, lo sternocleidomastoideo e il diaframma, tra gli espiratori invece ci sono gli
intercostali interni e gli addominali). Gli espiratori a differenza degli inspiratori non sono
sempre attivi sono attivi con la respirazione forzata quindi con l'attività fisica intensa o
durante un’espirazione volontaria, con certe patologie come l'asma; solo l'ispirazione ha
sempre bisogno della contrazione muscolare.

Il ciclo respiratorio è formato da 2 fasi, l’inspirazione cioè quando l’aria entra e


l’espirazione cioè quando l’aria esce dai polmoni e inizia quando l’aria entra; l’aria può
entrare sia dal naso che dalla bocca, ma la via preferenziale è il naso perché è un po’ più
lunga e quindi l’aria può riscaldarsi di più, umidificarsi di più e inoltre nell’epiteli del
naso sono presenti ciglia che possono trattenere impurità. Poi abbiamo la laringe e poi la
faringe come vie aeree superiori.
Le vie inferiori partono da qui in giù e abbiamo la trachea, 2 bronchi che dipartono dalla
trachea (uno va a destra l’altro a sinistra), poi abbiamo i bronchi secondari fino ad arrivare
ai bronchioli e ai bronchioli terminali.
Dai bronchioli terminali si ramificano bronchioli ancora più piccoli che possono avere un
alveolo, questi sono detti bronchioli respiratori; i bronchioli terminano nel sacco alveolare
cioè un grappolo di alveoli
Gli alveoli sono delle strutture sferiche formato da un endotelio sottile e sono piene di aria
al loro interno e sono riccamente vascolarizzate; negli alveoli avvengono gli scambi di gas,
infatti sono perfusi da una rete di capillari che portano sangue con l'anidride carbonica ed
escono con l'ossigeno. Le vie aeree sono dette sistema di conduzione mentre bronchioli e
alveoli sono la superficie di scambio. L'area trasversale di queste strutture fa variare il
flusso di aria che passa.

La trachea è formata da anelli a C fatti di cartilagine (interruzione dietro dove c'è l'esofago)
che le permettono di rimanere sempre aperta; nei bronchi principali è ancora presente
cartilagine ma non è organizzata a C ma ad anello: i bronchi principali sono due ed hanno
un'area trasversale maggiore della trachea che è di 2 cm e mezzo. (Ricordiamo che la
laringe è quasi tutta cartilaginea)
I bronchi si ramificano in bronchi più piccoli e qui le strutture cartilaginee diminuiscono e
assumono una forma di placche rigide presenti fino ai bronchioli: questi ultimi hanno gli
alveoli (alveoli sprovvisti di placche cartilaginee) e sono molto numerosi.
Tutte queste strutture sono rivestite da un epitelio in cui le cellule hanno le ciglia che con il
loro movimento possono spostare verso la cavità orale il muco, prodotto dalle cellule a
calice, che serve per pulire le vie aeree, perché trattiene le impurità; sono presenti fino ai
bronchioli respiratori e più ti avvicini ad essi meno sono presenti.
Dalla trachea in giù è presente la muscolatura liscia soprattutto nei bronchioli sprovvisti di
placche. Tutte queste strutture sopra citate sono assenti negli alveoli che infatti hanno un
115
epitelio pavimentoso (mentre nelle altre strutture l’epitelio è cilindrico) semplice rivestito
di acqua in cui si può disciogliere il surfactante. L'alveolo è rivestito da cellule epiteliali di
tipo 1 (pneumociti 1) e da cellule epiteliali di tipo 2 che producono il surfactante che riduce
la tensione superficiale esercitata dall'acqua nell'alveolo. Questa tensione infatti porterebbe
l'alveolo a collassare perché ne impedisce l'espansione.
Tra il capillare e l'alveolo c'è una separazione piccola, di 0,2 micron, detta membrana
respiratoria formata da epitelio alveolare, cellule epiteliali, cellule endoteliali del capillare
e nel mezzo ci sono le due membrane basali fuse: è una barriera che i gas devono
attraversare.
L’ossigeno deve passare l’alveolo, pneumocita di I tipo, lamine basali e endotelio del
capillare, mentre l’anidride carbonica fa il percorso inverso.

Riassunto struttura vie aeree inferiori: Bronco formato da cellule ciliate, da epitelio
cilindrico, da fibrocellula muscolare liscia, da una ghiandola mucosa e poi da un rinforzo
cartilagineo; il bronchiolo ha molte meno ghiandole e non ha il rinforzo di cartilagine e poi
c’è l’alveolo che ha epitelio piatto, non ha ciglia, non ha cartilagine è formato da cellule
endoteliali dette pneumociti di tipo 1 (che sono quelle piatte) e da cellule epiteliali di tipo 2
(quelle che secernono surfactante).

È presente una grande differenza tra le componenti delle vie aeree inferiori: la via a partire
dalla trachea fino i bronchioli è detta nel suo insieme sistema di conduzione, infatti ha la
funzione di portare aria nelle 2 direzioni a seconda della fase del ciclo respiratorio in cui ci
troviamo, mentre la parte alveolare rappresentano la superficie di scambio nella quale
l’ossigeno passa all’interno del sangue e la Co2 esce dal circolo.
Ha differenze anche a livello morfologico, per quanto riguarda il numero di strutture e di
divisioni (più vai verso gli alveoli, più il numero di strutture e divisioni aumenta): la
trachea è solo 1 e non si divide, bronchi principali sono 2 e originano da una divisione
della trachea...; la differenza riguarda anche la dimensione, infatti la trachea ha un
diametro di 2 centimetri, i bronchi principali di un centimetro fino ad arrivare agli alveoli
che hanno un diametro di 3 mm.
E poi c’è l’area della sezione trasversa che aumenta di gran lunga passando dalla trachea i
condotti più piccoli fino ad arrivare agli alveoli.

Meccanica respiratoria
Riguarda i movimenti quindi l'attività muscolo-scheletrica della cavità toracica e
comprende l'insieme di meccanismi che generano i flussi d'aria dati dalle differenze di
pressione tra interno ed esterno; ricordiamo che l’aria essendo un gas si muove per
diffusione passiva secondo gradiente pressione, cioè si sposta da zone di pressione più alta
a zone di pressione più bassa: quindi per creare questo movimento d’aria bisogna creare
un gradiente di pressione tra interno ed esterno.
Si può modificare solo la pressione interna con diverse leggi come quella di Boyle secondo
cui la pressione moltiplicata per il volume è costante.
La parete toracica contiene i polmoni, ognuno rivestito da un sacco pleurico formato da
due strati, uno viscerale adeso al polmone e uno parietale adeso con la parete toracica. Tra
i 2 strati del sacco pleurico è presente un liquido che ha un proprio volume e che quindi
non può essere né dilatato e né compresso; questo liquido permette il movimento associato
del polmone e della cassa toracica.

116
Durante l’inspirazione ogni movimento della cassa toracica è seguito dal movimento
corrispondente del polmone; ciò avviene anche se il polmone non è legato a muscoli.
Durante l’espirazione è il polmone che si muove che in seguito a varie forze, lo impongono
di tornare nel suo stato originale e sempre grazie alla presenza del liquido anche la casa
toracica seguirà il polmone e farà lo stesso movimento (passivo).

L'aria fluisce in queste strutture interne o all’esterno in base al gradiente: quando la


pressione esterna è maggiore della pressione alveolare l'aria entra (inspirazione) mentre
quando la pressione esterna è minore della pressione alveolare l'aria esce (espirazione).
Bisogna considerare quindi una pressione atmosferica (760 mmHg) che è considerata lo
zero, cioè il valore di riferimento, una intralveolare di solito uguale a quella esterna
perché ambiente esterno e alveoli sono sempre in comunicazione e una nello spazio
pleurico inferiore a quella atmosferica (valore che va da 4 a 6/7 mmHg di meno rispetto a
quella atmosferica).
Questa pressione è detta intrapleurica ed è negativa, perché polmone e parete toracica
sono uniti per la presenza del liquido che non può né dilatarsi né comprimersi ma
entrambi vorrebbero spostarsi: il polmone è soggetto ad una forza elastica che tende a
farlo collassare, quindi una forza diretta verso l’interno ma essendo attaccato alla parete
toracica non può collassare; la parete toracica invece per la sua struttura muscolo-
scheletrica tende ad espandersi ma non riesce a farlo per la presenza del liquido tra le due
pareti; durante l’inspirazione la pressione può diventare ancora più negativa perché si
aggiunge la forza muscolare e aumenta la tensione. (Per la presenza di questo liquido le
due forze non possono esprimersi, diciamo che il sacco pleurico mantiene l’unità
funzionale tra polmone e cassa toracica)
Nel caso il polmone si staccasse dalla gabbia toracica in seguito l’entrata di aria nello
spazio pleurico, il polmone non potrà più dilatarsi e sarà soggetto alle sue forze interne,
per questo motivo collasserebbe su stesso, quindi non parteciperebbe più alla respirazione;
questa situazione è detta pneumotorace e può essere dovuto a traumi esterni ma anche a
lesioni interne.
Esiste anche la pressione transpolmonare che è la differenza tra quella alveolare e quella
intrapleurica: è una misura della tendenza del polmone ad espandersi, ma non è la causa.

Leggi dei gas: anche se sono valide per gas perfetti e l’aria non lo è.
 I gas singoli o miscele si spostano da un’area ad alta pressione verso un’area a bassa
pressione;
 Legge di dalton: la pressione totale di una miscela di gas è data dalla somma delle
pressioni dei singoli gas;
 Legge di Boyle: la pressione di un contenitore è inversamente proporzionale al suo
volume; quindi se il volume di un gas cambia, la pressione de gas cambierà in
maniera inversa. (La formula semplificata è PV= nRT = costante, in questo caso la
legge vale quando n e T sono costanti)
La meccanica respiratoria è formato da una serie di processi che fanno variare il
volume della gabbia toracica: nella inspirazione si espande portando i polmoni ad
espandersi che, secondo la legge di Boyle, porta alla riduzione della pressione e alla
creazione di un gradiente di pressione rispetto all'esterno e si può generare il flusso
d'aria. Quando l'area entra il numero di moli aumenta e Boyle non vale più perché
aumenta la pressione fino al punto in cui le due pressioni sono uguali. L'espirazione
a riposo invece è passiva: le forze che hanno fatto espandere il polmone vengono

117
meno e prevalgono altre che fanno diminuire il volume al polmone e, secondo
Boyle, aumentare la pressione. Si crea un gradiente di pressione rivolto verso
l'esterno e l'aria esce. A riposo nell'ispirazione non intervengono muscoli.

Inspirazione

I muscoli sono sempre attivi e la respirazione inizia con la loro contrazione che può essere
anche volontaria e questo porta ad una espansione della cassa toracica a cui segue
l'espansione del polmone perché nello spazio pleurico c'è un liquido.
Si ha una contrazione del diaframma (muscolo a cupola), in questo caso punto fisso è la
sua inserzione alle coste, quindi si abbassa e avremo un espansione verticale delle coste
superiori poi abbiamo un cambio di punto fisso che dall’inserzione esterna diventa la
parte interna tendinea del diaframma, quindi una sua contrazione determina il movimento
orizzontale delle coste.
Anche i muscoli intercostali esterni si contraggono e permettono il sollevamento delle
coste anteriormente e lateralmente; trapezio e SCOM contribuiscono al sollevamento delle
prime coste ciò fa aumentare il volume della cassa toracica anterolateralmente.
Perché il polmone si espande? Per la presenza della pleura polmonare in cui uno strato è
adeso ai polmoni, mentre l’altro è adesso alla cassa toracica, quindi se la cassa toracica si
espande per la presenza di forze muscolari avremo anche un’espansione dei polmoni,
quindi un aumento del volume dei polmoni, ciò accade perché il liquido presente tra i 2
strati della pleura che non può né dilatarsi né comprimersi, se nello spazio pleurico finisse
l’aria non avremo più l’espansione dei polmoni. (Quindi anche se nel polmone non sono
presenti inserzioni muscolari, una loro contrazione provoca indirettamente l’aumento del
volume dei polmoni)
Ciò provoca una diminuzione di pressione (per la legge di Boyle essendo PV= costante, se
aumenta V in questo caso V dei polmoni, diminuisce la pressione all’interno dei polmoni),
si crea così un gradiente di pressione fra esterno ed interno e l'area entra facendo risalire la
pressione: alla fine dell'inspirazione il torace e i polmoni sono espansi e le pressioni
intralveolare e atmosferica sono uguali.
I muscoli inspiratori sono scheletrici, quindi per eseguire la loro azione vengono innervati
da afferenze nervose di motoneuroni del midollo spinale che ricevono gli stimoli da
strutture sovraspinali nel bulbo. (Centri respiratori)
Il diaframma è innervato dai nervi frenici destro e sinistro, che originano dai motoneuroni
che si trovano nei segmenti spinali molto alti tra C3 e C5.

Espirazione

Di solito è passiva a riposo (i muscoli espiratori di solito non sono attivi). I muscoli
inspiratori si rilassano e le coste si abbassano intervengono due forze: quella di ritenzione
elastica e la tensione superficiale.
Quella di ritenzione elastica del polmone che tende a riportare il polmone in una posizione
collassata. Inoltre aumentando la dimensione del polmone il tensioattivo si è diluito e la
sua efficacia si è ridotta e quindi aumenta anche la tensione superficiale, diminuisce il
volume del polmone, la pressione aumenta e l'aria esce. Un ciclo respiratorio dura circa
4/5 secondi a riposo con una maggiore presenza dell'espirazione.

118
Se i muscoli espiratori si contraggono provocano l’effetto opposto di quelli inspiratori, la
contrazione degli addominali spinge i visceri in dentro e verso l’alto, quindi spinge in alto
il diaframma riducendo il diametro verticale della cassa toracica, gli intercostali interni si
contraggono abbassando le coste, quindi si riduce il diametro anterolaterale della cassa
toracica.
Il volume polmonare dipende dalla pressione transpolmonare dalla forza elastica dei
polmoni, dalla parete toracica e dalla dispersibilità che viene determinata dalla tensione
superficiale e dal tessuto elastico.
Quindi ciò fa sì che il volume all’interno del polmone diminuisca, quindi per la legge di
Boyle la pressione aumenta, si crea un gradiente di pressione fra interno ed esterno e l’aria
esce per diffusione e abbassando la pressione. (Cosi pressione intralveolare e atmosferica
sono uguali)

Movimenti delle coste:

Il sollevamento delle coste fa aumentare il diametro anteroposteriore e quella laterale: si


dice che le coste seguono una traiettoria a manico di pompa le superiori, mentre le
inferiori a manico di secchio; ciò e dovuto al differente orientamento delle faccette
articolari dell’articolazione costovertebrale.

Ciclo respiratorio

È costituito da un’inspirazione e da un espirazione, a riposo dura circa 4/5 secondi (durata


espirazione è leggermente maggiore dell’inspirazione).
Durante l’inspirazione aumenta il volume della cassa toracica e quindi per la legge di
Boyle la pressione alveolare diminuisce (circa di 1 mmHg), ciò fa sì che si crei un gradiente
di pressione tra interno ed esterno e quindi un flusso d’aria diretto verso l’interno e
siccome i 2 ambienti sono sempre in comunicazione il flusso d’aria è quasi immediato.
L’ingresso di questa aria fa sì che il valore di pressione all’interno degli alveoli ritorni
quello fisiologico.
A questo punto finisce inspirazione, non si ha gradiente i polmoni sono dilatati e la
pressione intrapleurica è diminuita di qualche mmHg perché è aumentata la forza diretta
verso l’esterno esercita sulla cassa toracica per effetto della contrazione muscolare, a
questo punto si rilassano i muscoli inspiratori; perciò adesso entrano i gioco 2 forze: quella
di ritenzione elastica polmonare e la forza dovuta alla tensione superficiale, questo forze
fanno sì che i polmone ritorni a volume ridotto, quindi la pressione intralveolare aumenta
e quindi l’aria esce.
Contemporaneamente nella pleura siccome le forze dirette verso l’esterno vengono ridotte
si osserva un aumenta della pressione intrapleurica che ritorna ai valori fisiologici, sempre
negativo.
Durante inspirazione in un ciclo in un individuo sano a riposo entrano nei polmoni circa
500 ml di aria e la stessa quantità esce durante espirazione.
La pressione esofagea (misurata con un nanometro esofageo) può dare un’idea
dell’andamento della pressione intrapleurica.

L’impulso per l’attività del sistema respiratorio parte dai centri respiratori del bulbo, che
inviano proiezioni ai motoneuroni del midollo spinale che innervano i muscoli inspiratori;
119
il meccanismo che segue l’annullamento del gradiente di pressione tar interno ed esterno è
un meccanismo a feedback negativo.

Volume polmonare
Il volume polmonare dipende dalla pressione transpolmonare (tendenza del polmone ad
espandersi), quindi anche dalla pressione intrapleurica che a sua volta è soggetto dalla
fora elastica di ritorno dei polmoni, dalla forza elastica di ritorno della parete toracica, già
queste due forze fanno sì che il valore della pressione pleurica sia negativo di qualche
mmHg (-4 mmHg); quando inizia l’inspirazione la pressione intrapleurica è soggetta
anche dall’attività contrattile dei muscoli respiratori che si somma all’attività delle altre 2
forze (tendenza maggiore all’espansione che fa diminuire a -7 mmHg pressione
intrapleurica) e che è determinata dall’attività dei motoneuroni che innervano diaframma
e intercostali esterni.
Il volume polmonare è influenzato anche dalla complianza polmonare (o distensibilità)
che la possiamo definire come la differenza di volume provocata da una differenza di
pressione; su questa complianaza agiscono sia le caratteristiche istologiche del polmone
(che contiene molte fibre elastiche che se vengono stirate si allungano, ma appena manca
la forza che le ha allungate ritornano al loro stato iniziale) sia la tensione superficiale del
liquido che bagna gli alveoli.
Infatti all’interno dei polmoni oltre ai gas (ossigeno/CO2…) è presente anche un elevata
concentrazione di vapore acqueo al 100% di saturazione, ciò significa che è presente un
elevata quantità di acqua allo stato liquido che riveste gli alveoli: ciò serve sia a facilitare il
passaggio dei gas dallo stato gassoso come si trovano negli alveoli allo stato liquido per
andare nel sangue ma serve anche perché questo liquido a contatto con un ambiente
gassoso come l’interno dei polmoni sviluppa una tensione superficiale che provoca
l’instaurarsi di una pressione che tende a far collassare l’alveolo (quindi impedire anche
espansione). Questa pressione dipende in maniera diretta dalla tensione superficiale e in
maniera inversa dal raggio, quindi più il raggio è piccolo maggiore sarà la pressione.
(Quindi sarà più difficile far espandere alveoli piccoli)
Esiste una sostanza che si oppone alla tensione superficiale e la riduce e si chiama
tensioattivo alveolare (o surfactante), che è formata da una miscela di fosfolipidi prodotta
dai pneumociti di tipo II che formano la superficie dell’alveolo; questo tensioattivo ha
quantità fisse per ogni alveolo, quindi se l’alveolo in questione sarà piccolo più il
surfactante esercita una maggiore azione e viceversa.
Quando il polmone si espande nell’inspirazione la presenza del surfactante facilita
l’espansione riducendo la tensione superficiale, ma man mano che l’alveolo si espande
aumenta la sua superficie quindi il surfactante viene diluito e diminuisce la sua azione
(alla fine dell’inspirazione l’azione del tensioattivo è molto ridotte perché un numero fisso
di particelle è distribuito in una superficie molto grande), quindi appena cessa la forza
della muscolatura prendono il sopravvento sia la ritenzione elastica sia la tensione visto
che il tensioattivo ha fora molto ridotta.

Come nel sistema circolatorio il flusso d’aria dipende dal gradiente pressorio e dalla
resistenze delle vie aeree (dipende soprattutto dalla 4° potenza del raggio); se aumenta la
resistenza per assicurare un flusso adeguato occorrerà aumentare la pressione e quindi ci
sarà un maggior lavoro respiratorio, i muscoli inspiratori dovranno contrarsi di più per

120
dilatare di più il polmone e quindi può succedere che anche durante l’espirazione sia
necessaria la contrazione dei muscoli espiratori.
Un esempio di ciò è l’asma, una patologia molto comune in cui si ha una broncocostrizione
dovuta spesso a fattori allergici, se quindi i bronchi diventano più stretti diminuisce il loro
raggio e quindi aumenta la resistenza, per questo sia durante inspirazione che durante
espirazione per un soggetto asmatico è necessario più sforzo.
Il flusso di aria che scorre nelle varie porzioni può essere di varia natura, può essere
turbolento e quindi scorre velocemente e in maniera disordinata nelle vie più grandi,
mentre nelle vie più piccole l’aria è più lenta quindi il flusso è laminare. (Nelle vie aeree
medie come i bronchi di medio carico, abbiamo un flusso con caratteristiche intermedie
detto flusso di transizione)
La resistenza delle vie aeree è influenzata dalla lunghezza del sistema che però in un
adulto ormai è costante, dalla viscosità dell’aria ma che di solito è costante (umidità e
altitudine possono cariarla solo lievemente), il vero fattore importante è il diametro delle
vie aeree che a seconda se ci troviamo nelle vie aeree superiori o inferiori abbiamo vari
fattori che lo modificano:
 Nelle vie aeree superiori la riduzione di resistenza è data dall’otturazione fisica di
muco o altri fattori;
 Nei bronchioli possiamo avere broncocostrizione che riduce il diametro e quindi fa
aumentare la resistenza che può essere dovuta o da i neuroni parasimpatici
mediante l’azione dell’acetilcolina sui recettori muscarinici, oppure da fattori che
vengono rilasciati durante dalle allergie o da prodotti rilasciati durante le infezioni
(leucotrieni);
 Nei bronchioli possiamo anche avere broncodilatazione che causa una diminuzione
di resistenza e può essere provocata dall’azione dell’adrenalina sui recettori
adrenergici beta 2 (infatti si interviene con l’adrenalina in seguito ad una forte
risposta allergica che coinvolge respirazione) o da un aumento della Co2 che
provoca la dilatazione dei bronchioli per favorire maggiormente l’aerazione del
polmone.

Legge di Laplace: spiega la relazione tra il raggio dell’alveolo e l'effetto della tensione
superficiale.
Infatti la legge di Laplace dice che la pressione che si sviluppa in una struttura sferica in
cui è presente liquido e aria dipende da 2 volte la tensione superficiale diviso il raggio; se
per esempio ho due bolle con diversi diametri contenenti acqua con la stessa tensione la
legge mi dice la pressione che si sviluppa per la tensione superficiale che tende a far
collassare la bolla; più il raggio è piccolo e più la pressione aumenta; nel caso degli alveoli
quello più piccolo tenderebbe a collassare e ad essere assorbito da quello più grande.
Il tensioattivo riduce la tensione superficiale e quindi si ha una situazione in cui la
pressione è più bassa dove è presente più surfactante (in questo caso nella bolla con
diametro più piccolo, perché come detto sopra il surfactante ha valori costanti in tutti gli
alveoli sia in quelli più piccoli che in quelli più grandi, quindi più un alveolo sarà grande
più il tensioattivo sarà diluito)
Con il surfactante le pressioni tra i due alveoli sono uguali anche se hanno raggio diverso.

Spirometria: si invita il soggetto a respirare (chiudendo il naso) in un boccaglio su un


circuito chiuso inviando l’aria all’interno di uno spirometro; lo strumento misura la
quantità di aria che entra e esce mediante il movimento di una campana il cui bordo

121
inferiore è immerso in acqua, questo movimento viene registrato su carta ottenendo una
stima di vari volumi respiratori. Questi volumi possono essere sommati in vare
combinazioni e dare origine alle capacità polmonari. (Questo era il vecchio modello,
adesso sono tutti computerizzati ma i dati riportati nella carta sono gli stessi)
Al soggetto si chiede di fare prima respirazioni normale, poi inspirazione massimale e in
seguito una espirazione massimale soffiando rapidamente tutta l’aria.

I volumi respiratori che si riescono a misurare in questo modo sono 4 (in realtà 3, ma noi
possiamo definirne 4):
 Volume corrente (indicato in italiano con Vc o in inglese con Vt cioè tidal volume)
ed è la quantità di aria che entra ed esce nei polmoni durante una respirazione a
riposo e in un individuo sano a riposo è di circa 0,5 L.
 Volume di riserva inspiratoria cioè la quantità di aria che può essere immessa nei
polmoni al termine di una inspirazione normale, con una inspirazione massimale e
questo volume è circa 3 L.
 Volume di riserva espiratoria cioè la quantità di aria che può essere espirata alla
fine di una normale espirazione con una espirazione forzata e questo volume è circa
1L.
 Infine c’è il Volume residuo, cioè ciò che rimane nei polmoni alla fine di una
espirazione massimale, non si può misurare con la spirometria perché rimane nei
polmoni ed è di circa 1,2L.

Questi volumi possono essere sommati e danno le capacità polmonari:


 Capacità inspiratoria: volume corrente + volume di riserva inspiratoria= 3,5L;
 Capacità vitale: volume corrente + riserva inspiratoria + riserva espiratoria=4,5 L;
 Capacità funzionale residua: riserva espiratoria + volume residuo= 2,2 L;
 Capacità polmonare totale: è la somma di tutti e quattro= 5,7 L.
Questi valori riguardano un maschio sano del peso di 70 kg, nella femmina sono inferiori
di circa 25%.
Il volume residuo può essere misurato con varie tecniche, ad esempio con la tecnica della
diluizione dell’elio: in pratica si fa respirare ad un soggetto una miscela di elio e ossigeno
contenuto in un contenitore di cui si conosce la concentrazione dell’elio e il volume della
miscela definito V1.
Si fanno fare delle respirazioni in un tubo (6/7) fino a che l’elio non si è distribuito
omogeneamente anche nei polmoni (si usa l’elio perché è un gas nobile che non riesce ad
attraversare la barriera respiratoria, cioè non passa nel sangue e rimane nei polmoni).
Ci si basa sull’equazione che dice che la concentrazione del I compartimento per il volume
del compartimento è uguale alla concentrazione del secondo per il volume del secondo.
(C1 x V1= C2 x (V1+ V2), V1 + V2 è il volume di tutto il sistema, V1 è il volume di
ossigeno + elio contenuto nel contenitore, mentre V2 è il volume polmonare totale del
contenitore delle vie aeree superiori ed inferiori degli alveoli.
Se poi a V2 sottraggo V1 trovo la capacità polmonare totale, poi tramite la pirometria
otteniamo questi valori e dalla capacità polmonare totale tolgo il volume corrente, la
riserva inspiratoria e quella espiratoria trovo il volume residuo.

Ventilazione

122
È la quantità di aria che entra ed esce nei polmoni nell’unità di tempo; possiamo
distinguere la ventilazione polmonare che è il volume corrente moltiplicato per la
frequenza respiratoria (0,50 L x 12 atti ventilatori a minuto), circa 6L al minuto, cioè l'aria
che esce dai polmoni in un minuto a riposo. Non partecipa agli scambi gassosi.
Poi distinguiamo la ventilazione alveolare: cioè il volume di aria che raggiunge gli alveoli,
si calcola facendo volume corrente - spazio morto moltiplicati per la frequenza
respiratoria. È circa 4200 mL/min.
Il volume dello spazio morto è tutto il volume di aria presente nelle vie di conduzione (da
cavità nasale fino bronchioli terminali, non sono compresi gli alveoli); si chiama spazio
morto perché non partecipa agli scambi gassosi. Di solito questo volume è di circa 150 mL,
ma in condizione patologiche cioè che qualche polmone diventa incapace di effettuare gli
scambi gassosi, anche l’aria presente in quegli alveoli del polmone danneggiato entra a far
parte dello spazio morto, quindi quel valore aumenta. Per distinguere le 2 situazioni si
parla di spazio morto anatomico, cioè il volume dell’aria che riempie strutture che per loro
natura non sono in grado di effettuare scambi gassosi, e poi abbiamo lo spazio morto
fisiologico, cioè il reale volume di aria presente nelle strutture che non effettuano scambi
gassosi; in condizioni normali spazio morto fisiologico e anatomico sono uguali e il loro
valore è 150 mL, mentre in condizioni patologiche aumenta lo spazio morto fisiologico.
Dobbiamo tenere conto però che è un valore approssimato perché a seconda delle
situazioni possono variare frequenza ventilatoria, nel calcolo abbiamo tenuto conto 12, ma
la frequenza può andare da 8 a 20 atti ventilatori/min; la profondità (cioè il volume
corrente) perché in un respiro normale il valore è 0,5 L, se effettuiamo un respiro
superficiale è di 0,3 L mentre se effettuiamo un respiro profondo il valore è di 0,75 L.

La ventilazione alveolare normale al minuto è 4,2 litri e considerando un respiro normale


quindi con volume corrente normale (0,5 L) e la frequenza ventilatoria è di circa 12
atti/min.
Se effettuiamo respiri profondi (volume corrente 0,75 L) la ventilazione polmonare totale
rimane 6 L perciò avremo una frequenza ventilatoria minore rispetto quando facciamo un
respiro normale (8 atti/min) e notiamo che la ventilazione alveolare è aumentata e il
valore arriva a 4800 mL/min.
Mentre se effettuiamo un respiro superficiale (volume corrente circa 0,3L) la ventilazione
polmonare totale rimane comunque 6 L, perciò aumenta la frequenza ventilatoria (circa 20
atti/min), in questo caso la ventilazione alveolare diminuisce e arriva circa a 3000
mL/min.
Tutti questi valori sono trovati assumendo che il valore dello spazio morto anatomico
coincida con lo spazio morto fisiologico.
Le variazioni di frequenza ventilatoria possono essere dovute da esigenze metaboliche
dell’organismo, stati emotivi, depressioni centri del respiro.

Questa normale ventilazione alveolare di 4,2 L/min fa sì che nel sangue siano presenti
determinate pressioni parziali dei 2 gas, infatti di ossigeno 100 mentre di CO2 40; se la
pressione parziale di O2 aumenta e quella di CO2 diminuisce possiamo essere in presenza
di iperventilazione, mentre l’ipoventilazione provoca una riduzione marcata della
pressione parziale di O2 e un aumento della CO2.

Riassunto: la meccanica respiratoria comprende tutti quei meccanismi che portano l’aria
dall’esterno ai polmoni, ciò si può definire la ventilazione alveolare al minuto; la

123
ventilazione alveolare al minuto dipende dal volume dello spazio morto di solito 150 mL e
dalla ventilazione al minuto (cioè il prodotto del volume corrente per la frequenza
respiratoria).
La frequenza respiratoria è determinata dal sistema nervoso centrale o modulata dai
riflessi, mentre il volume corrente è il flusso d’aria in entrata e in uscita dai polmoni
(dipende dal gradiente di pressione e dalla resistenza delle vie aeree).
La resistenza delle vie aeree dipende dal raggio influenzato dal contrazione della
muscolatura liscia dei bronchioli ed è dovuta da: fattori locali come l’aumento della PCo2
(pressione parziale Co2) che fa dilatare i bronchioli o l’aumento dell’ossigeno che riduce il
raggio; l’adrenalina dilata i bronchioli e infine il parasimpatico e fattori liberati durante
risposte infiammatorie possono ridurre il raggio delle vie aeree.
Il gradiente di pressione invece è la differenza tra la pressione atmosferica e la pressione
alveolare che dipende dalla quantità di aria negli alveoli e dal volume polmonare; il
volume polmonare dipende dalla complianza polmonare e dalla pressione
transpolmonare.

Terminologia respirazione
Apnea: sospensione transitoria della respirazione;
Arresto respiratorio (o Asfissia): deprivazione di ossigeno dei tessuti (provocata da una
carenza di ossigeno nell’aria, compressioni respiratoria o incapacità dei tessuti di
utilizzare l’ossigeno);
Cianosi: colorazione bluastra della pelle provocata da un insufficienza di ossigenazione
del sangue arterioso;
Tachipnea: aumento ventilazione respiratoria, di solito aumenta la frequenza ma
diminuisce la profondità del respiro;
Dispnea: sensazione oggettiva di mancanza d’aria accompagnata da un respiro
difficoltoso e affannoso (fisiologico post attività fisica intensa), viene associata anche
all’infarto;
Eupnea: respirazione normale;
Ipercapnia: eccesso di anidride carbonica nel sangue arterioso;
Iperpnea: aumento della ventilazione che soddisfa l’aumento della richiesta metabolica
(esempio durante esercizio fisico);
Iperventilazione: aumento della ventilazione in eccesso rispetto richiesta metabolica
(prima di immergersi, prima di gonfiare un palloncino o può essere emotiva) e causa una
diminuzione della pressione parziale di CO2 arteriosa e alcalosi respiratoria;
Ipocapnia: livelli ridotti di CO2 nel sangue arterioso;
Ipossia: quantità insufficiente di ossigeno a livello cellulare;
Ipoventilazione: ventilazione inferiore alle richieste metaboliche, provoca un aumento
della pressione parziale di Co2 arteriosa e acidosi respiratoria (con ventilazione
superficiale come nell’asma);
Soffocamento: privazione di ossigeno per la mancanza di possibilità di respirare l’aria
carica di ossigeno.

Scambio dei gas

Avvengono 3 scambi:
 Uno tra atmosfera e polmone;
124
 Uno negli alveoli tra il sangue e l'aria con ossigeno, CO2 e azoto; l’ossigeno passa
nel sangue e la CO2 nell'alveolo, lo scambio avviene per diffusione semplice perché
entrambi possono attraversare la membrana. Sono le due membrane epiteliali, la
basale e quella delle cellule endoteliali che rivestono i capillari. La forza che muove
i gas è la differenza di pressione parziale tra il compartimento aereo dell'alveolo e
quello liquido del sangue;

 Uno nei tessuti inoltre c'è un altro scambio tra le cellule e i capillari sistemici:
l'ossigeno passa alle cellule che lo usano per il loro metabolismo ossidativo e
producono CO2 che passa nel sangue per diffusione semplice (la pressione dei
singoli gas è detta pressione parziale).

Ricordiamo la Legge di Henry molto importante negli scambi gassosi: la quantità di gas
dissolto in liquido è direttamente proporzionale al valore della pressione di quel gas nella
miscela gassosa al di sopra della soluzione (riguarda la solubilità e la quantificazione dei
gas nel liquido).
C= kP. C= la solubilità dei gas espressa in moli (unità di misura M); k= costante della
legge di Henry; P= pressione parziale del gas.
La costane di Henry varia a seconda dei gas, a 25°C per l’azoto è bassa 8,42 x10-7, per
l’ossigeno è meno bassa 1,66 x 10-6, per l’anidride carbonica è 4,48 x 10-5; l’unità di misura è
M/mmHg.ù
Da questo capiamo che a parità di temperatura e pressione parziale la CO2 è la più
solubile delle 3, se la pressione parziale è 100 troveremo molte più CO2 che ossigeno.
Ipotizziamo di avere un sistema con un liquido con pressione parziale di ossigeno= 0 (non
c’è ossigeno quindi) ed una miscela gassosa con pressione parziale di ossigeno di 100
mmHg; l’ossigeno in parte si discioglie nell’acqua finché il sistema non raggiunge
l’equilibrio (cioè quando non sarà più presente aumento di ossigeno nell’acqua), in questo
caso finché la pressione parziale dell’ossigeno nl liquido non diventa 100 mmHg.
Per convezione si dice che se la pressione parziale di ossigeno nella miscela gassosa è 100,
all’equilibrio anche la pressione parziale di ossigeno nell’acqua sarà 100 mmHg; ma la
bassa solubilità in questo caso di O2 fa sì che le 2 concentrazione non siano uguali: nel
liquido la concentrazione è di 5,20 mmol/L, mentre nel liquido 0,15 mmol/L.
Se al posto dell’ossigeno consideriamo la CO2 alle medesime situazioni, quindi quando
sarà in equilibrio con il liquido la pressione parziale sarà uguale sia nel gas che nel liquido,
ma saranno presenti molte più molecole di CO2, infatti la concentrazione di CO2 nel
liquido è molto maggiore rispetto l’ossigeno, perché la CO2 è più solubile: la
concentrazione di CO2 nel gas è di 5,20 mmol/L, mentre nel liquido è di 3,0 mmol/L.
(Quindi alla medesima pressione parziale la quantità di CO2 che entra in soluzione è
maggiore)

Pressione parziale dei gas atmosferici a 760 mmHg:


 Se l’aria è secca a 25°C: l’ossigeno è 160 mmHg, l’anidride carbonica è di 0,25
mmHg mentre nel vapore acqueo è 0;
 In aria a 25°C con il 100% di umidità: l’ossigeno è 155 mmHg, la CO2 è 0,24 mmHg
mentre nel vapore acqueo è i 24 mmHg;

125
 In aria a 37°C con il 100% di umidità (condizione dell’aria simile a quella degli
alveoli): ossigeno è 150 mmHg, CO2 è 0,235 mmHg mentre nel vapore acqueo è 47
mmHg.

La pressione totale di una miscela di gas è data dalla somma delle pressioni parziali dei
singoli gas (legge di Dalton). La pressione parziale di un gas in un liquido è la pressione
parziale della miscela gassosa a contatto con il liquido. L'aria atmosferica è formata (aria
secca non umida) da azoto al 78%, ossigeno al 21% e anidride carbonica 0,033%, non c'è
vapore acqueo e siamo a 25 gradi. Nei capillari però la temperatura è a 37° quindi si
scambiano i valori con 100% di umidità. Nell'organismo le pressioni sono diverse nell'area
alveolare l'ossigeno è a 100 mmHg e la CO2 è a 40mmHg, nei capillari l'ossigeno è a
40mmHg e la CO2 è a 46 mmHg.
La composizione dell'aria alveolare è diversa da quella atmosferica perché l’aria alveolare
non si rinnova mai del tutto infatti i polmoni non sono mai vuoti d'aria ma rimane un
residuo quindi c'è sempre una parte di aria che non si rinnova. (100 mmHg quella
alveolare contro 155/160 mmHg quella atmosferica)
Inoltre l'aria che entra nei polmoni non va tutta negli alveoli: l'aria nuova che arriva (500
mL) spinge indietro un po’ di quella vecchia, perché non tutta è stata eliminata e poi la
nuova si mescola con quella vecchia (l'aria nuova ha una pressione parziale più alta di
quella dell'aria vecchia ma venendo in contatto con questa si abbassa).
L’aria nuova è 350 mL e non 500 mL, perché 150 mL rimangono a riempire le vie aeree.
Quando avremo l’espirazione questi 150 mL di aria fresca non usati verranno mandati
all’esterno insieme a 350 mL di aria consumata; ma 150 mL di aria consumata rimangono;
per questo motivo la pressione parziale di ossigeno alveolare è più bassa di quella dell’aria
atmosferica.
Ciò è il contrario con l’anidride carbonica la cui pressione parziale è molto più alta rispetto
quella atmosferica (da 0,3 mmHg a 40 mmHg).
Avvengono poi gli scambi e con l'espirazione l'aria che esce per prima è quella fresca che
non ha subito gli scambi e parte dell'area vecchia rimane nelle vie aeree.
I tessuti a riposo consumano 250 ml di ossigeno al minuto e produce 200 ml di Co2, oi
sappiamo che il sangue arterioso riesce a trasportare 1L di ossigeno al minuto (quindi
molto di più di quello che serve a riposo, ma se effettuiamo un attività minima che non
comporti variazioni del respiro, siamo sicuri di essere coperti da un rifornimento adeguato
di ossigeno), ogni due litri di sangue abbiamo 200 ml di ossigeno e 500 ml di CO2. Il
sangue venoso invece porta 750 ml di ossigeno al minuto e 200 ml di CO2.

Scambi alveolari: avvengono per diffusione semplice secondo un gradiente di


pressione parziale attraverso la barriera alveolo capillare formata dall'epitelio dell'alveolo
e dall'endotelio del capillare; noi sappiamo quindi che la barriera endoteliale capillare e
alveolo è permeabile ai gas (più alla CO2 che O2).
Il gradiente di pressione parziale di ossigeno va dall’alveolo al sangue, perché la pressione
parziale nell’alveolo è 100 mmHg mentre nel sangue è 40 mmHg; dopo di che la pressione
nel sangue diventa 100 mHg e rimane alterata fino a che non arriva ai distretti periferici.
Sempre nei distretti periferici avvengono gli scambi per diffusione dove l’ossigeno passa
dal sangue (pressione parziale di O2 100 mmHg) ai tessuti (pressione parziale di O2 è 40
mmHg); cosi la Pp di O2 nel sangue scende fino a 40 mmHg e rimane così fino a che non
raggiunge di nuovo gli alveoli.

126
La CO2 passa dagli alveoli al sangue dall’alvolo con un gradiente di 6 mmHg (46 mmHg
nel sangue e 40 mmHg negli alveoli); il gradiente è molo ridotto e questo può suggerire
che la permeabilità della barriera alveolo-capillare è molto maggiore per la Co2 che per
l’O2.
Una volta che la CO2 è stata eliminata nel sangue venoso diventa 40 mmHg e rimane così
fino ai capillari tissutali, perché le cellule producono CO2 e il valore torna 46 mmHg.
Se un alveolo non riceve più aria aumenta CO2 e diminuisce l'ossigeno. La CO2 e
l'ossigeno hanno lo stesso percorso ma in direzione opposta.
La barriera alveolo-capillare è composta dall’epitelio alveolare coperto da uno strato di
liquido in cui è sciolto il surfactante, poi abbiamo le membrane basali dell’epitelio
endoteliale e l’endotelio capillare (di solito struttura molto sottile poco più di un micron)

Questi scambi sono influenzati:


 Dall’ossigeno che raggiunge gli alveoli (composizione aria);
 Dalla ventilazione alveolare che dipende a sua volta da complianza polmonare,
dalla resistenza delle vie aeree, e dalla frequenza e profondità della respirazione;
 Dalla diffusione dei gas tra alveoli e sangue che è influenzata dall’area della
superficie e dalla distanza di diffusione (determinata dallo spessore della barriera e
dalla quantità di liquido interstiziale presente);
 Adeguata perfusione alveolare.

Nei processi che avvengono per diffusione oltre al gradiente di pressione parziale, gli altri
fattori che influenzano l’entità dello scambio cioè quanto ossigeno riesce ad attraversare la
barriera sono lo spessore della barriera stessa, la permeabilità della barriera la distanza che
comprende sia spessore barriera ma anche la distanza delle 2 strutture coinvolte (alveolo e
capillare), infatti di solito sono molto vicini ma ci sono delle condizioni in cui sono
distanziati e l’rea della superficie disponibile (cioè quanti alveoli sono in grado di
effettuare questo scambio).
Gli scambi i condizioni normali sono quasi completi già dopo 1/3 della lunghezza del
capillare, è importante nel caso ci fosse un rallentamento o un ostacolo sono ancora
presenti 2/3 della lunghezza dove possono avvenire scambi; lo stesso discorso vale per la
CO2 ad 1/3 del capillare alveolare già la pressione della Co2 è scesa.

Scambi tissutali: avvengono a livello dei capillari sistemici con le cellule, sempre per
diffusione secondo gradiente di pressione parziale; l’ossigeno andrà verso i tessuti (PO2
nel capillari è di 100 mmHg mentre nelle cellule sarà circa 40 mmHg) e rimarrà nel sangue
venoso una Pp di 40 mmHg, mentre la CO2 andrà dai tessuti al sangue venoso (nella
cellula la PCO2 è 46 mmHg mentre nel sangue è 40 mmHg) e la PCO2 nel sangue passa da
40 mmHg a 46 mmHg.

Ventilazione-Perfusione alveoli

La ventilazione degli alveoli è accoppiata alla perfusione (arrivo del sangue) dei capillari
polmonari, se uno o ventilazione o perfusione viene a mancare si ha il disaccoppiamento
della ventilazione-perfusione; se per esempio un alveolo viene poco ventilato succederà
che in questo alveolo aumenta la PCO2 e diminuisce la PO2 e quindi qui non avremo
un’ossigenazione del sangue e il sangue che lascia questo distretto sarà poco ossigenato.
127
La mancata ossigenazione e la riduzione della PO2 provocherà una vasocostrizione
apossica cioè la costrizione delle loro arteriole, e il sangue sarà convogliato verso altri
alveoli funzionanti
Infatti se è presente qualche problema di ventilazione o perfusione ci saranno degli
aggiustamenti nelle 2 strutture in modo da non perfondere alveoli non ventilati oppure da
non ventilare alveoli dove non arriva un adeguata ventilazione.
Un aumento della PCo2 provoca una dilatazione dei bronchioli, mentre alle arteriole
polmonari provoca una costrizione, mentre un aumento della PO2 provoca una costrizione
dei bronchioli ed una dilatazione delle arteriole polmonari. (Una diminuzione sia di PCo2
provoca gli effetti inversi cioè costrizione bronchioli e dilatazione arteriole polmonari,
stessa cosa vale per una diminuzione della PO2)
L’aumento o la diminuzione della PO2 e della PCO2 provoca anche effetti alle arteriole
sistemiche: un aumento della PCo2 provoca dilatazione, mentre una diminuzione il
contrario, un aumento della PO2 provoca costrizione mentre una diminuzione il contrario.

Poiché gli scambi di gas sia a livello tissutale sia a livello alveolare avvengono per
diffusione, ogni fattore che influenza la diffusione (descritto nella legge di Fick) può
influenzare lo scambio di gas.
a) Polmone normale: di un soggetto sano (membrana normale, distanza normale…),
nessun parametro è alterato;
b) Polmone con enfisema: è una patologia per cui si distruggono gli alveoli e di
conseguenza viene ridotta l’area totale disponibile per lo scambio di gas e di
conseguenza meno scambio; anche se la PO2 è normale essendoci meno area
disponibile per lo scambio l’ossigeno che passa nel angue sarà minore di un
soggetto sano, quindi la PO2 nel sangue sarà più bassa.
c) Patologia polmonare fibrotica: si ha l’ispessimento della membrana alveolare, che
può avere 2 effetti, cioè rendere più difficile il passaggio dei gas (rallenta lo scambio
dei gas) e provocare un irrigidimento, quindi perdita di complianza polmonare che
può ridurre la ventilazione alveolare (PO2 sanguigna bassa).
d) Edema polmonare: accumulo di liquido nello spazio interstiziale tra la membrana
alveolare e l’endotelio capillare che di solito sono attaccati, provoca un aumento
della distanza tra i 2 compartimenti, quindi avremo una maggiore difficolta dei gas
a passare la membrana, soprattutto dell’ossigeno; la PO2 pur essendo normale
nell’alveolo sarà più bassa nel sangue. (La PCO2 arteriosa può essere normale per
via della maggiore solubilità di CO2)
e) Asma: aumento della resistenza (a causa di broncocostrizione) offerta dalle vie
aeree che riduce la ventilazione, infatti avremo una PO2 bassa già negli alveoli,
quindi essendoci un gradiente ridotto per lo scambio meno ossigeno andrà nel
sangue e anche la PO2 nel sangue sarà bassa.

Legge di Fick: il flusso molecolare in ogni punto è proporzionale alla variazione di


concentrazione per unità di percorso nella direzione in cui tale variazione è massima ha
verso opposto a quello in cui diminuiscono le concentrazioni.
In parole povere questa legge dice che se sono presenti 2 soluzioni a diversa
concentrazione chiusi in 2 camere (soluzione di sinistra più concentrata) separate da una
parete permeabile, le molecole che passano dalla parte permeabile che andranno a destra
cioè verso la soluzione più diluita saranno molte di più delle molecole che si sposteranno
nel lato opposto; questo processo termina solo quando la concentrazione diventa uguale in
entrambe le parti.
128
Trasporto dell’ossigeno

L'ossigeno è trasportato nel sangue in due modalità:


1. Disciolto nel plasma (siccome è poco solubile, di solito meno del 2%) ed è questa
quantità che determina la sua pressione parziale.
2. La maggior parte dell’ossigeno viaggia legato all'emoglobina (legame reversibile) e
si forma un composto chiamato ossiemoglobina, la quale dipende dalla pressione
parziale per cui se è bassa rilascia ossigeno. Infatti a livello dei tessuti l’ossigeno
libero (quello disciolto nel plasma) passa la barriera e raggiunge i tessuti, perciò
avremo una diminuzione della PO2; questo provoca il distacco dell’ossigeno
dall’emoglobina che andrà prima nel plasma e poi passerà la barriera raggiungendo
i tessuti.
In 1 L di sangue ci sono 200 ml di ossigeno di cui 3ml sono nel plasma e 197ml si
legano all'emoglobina (98,5%) e questo avviene nei capillari alveolari, mentre nei
capillari tissutali l’ossigeno dal plasma passa nella cellula e si scatena il meccanismo
descritto sopra.

L'emoglobina (Hb) è una proteina con struttura quaternaria con quattro catene: 2 alfa e 2
beta, ogni catena peptidiche ha una sua struttura terziaria in cui è presente in ognuna un
gruppo -Eme (detto anello porfirinico) con al centro un atomo di ferro (valore 2+). Questo
vale per l’emoglobina di una persona adulta perché quella fetale è diversa.
Ogni molecola di emoglobina ha 4 gruppi –Eme, e in ogni gruppo è possibile effettuare un
legame con l’ossigeno (4 siti di legame per l’ossigeno, l’atomo di ferro avendo carica 2+
può effettuare legame con ossigeno che ha carica -2)
Tenendo conto una PO2 di 100 mmHg notiamo che l’emoglobina non è totalmente
saturata, infatti non tutti i siti di legame dell’ossigeno sono occupati (il 98% dei siti è
occupato), mentre nel sangue venoso dove la PO2 è di 40 mmHg la saturazione
dell’emoglobina è ancora minore infatti è al 75% (cioè ¼ dei siti per l’ossigeno presenti
sull’emoglobina sono liberi).
Se non ci fosse l’emoglobina il sangue potrebbe trasportare solo ossigeno disciolto nel
plasma ma il valore è sempre lo stesso, cioè 3 mL ogni litro di sangue, contando che la
gittata cardiaca è di 5L/min ogni minuto arriverebbero ai tessuti solamente 15 ml di
sangue; sapendo che i tessuti a riposo necessitano di 250 ml di ossigeno a minuto, capiamo
come questa situazione sia incompatibile con la vita. Grazie all’emoglobina riusciamo a
portare 1 L di ossigeno a minuto ai tessuti, che è molo superiore alla richiesta metabolica
dei tessuti a riposo.
È stato visto che in presenza di una PO2 che riesce a saturare solo la metà dei siti
dell’emoglobina (ciò avviene con una PO2 di 28 mmHg), riesce comunque a trasportare
100 mL di ossigeno ogni L di sangue, quindi riesce a trasportare 500 mL ogni minuto ai
tessuti (il doppio di quello che serve ai tessuti a riposo). Il valore di PO2 che riesce a
saturare il 50% dei siti di legame per l’ossigeno è detta P50.
La quantità di O2 legata all’emoglobina dipende:
 Dall’O2 plasmatico che determina la percentuale di saturazione dell’emoglobina;
 Dalla quantità di emoglobina che determina il numero totale dei siti di legame per
l’ossigeno, questo a sua volta dipende dal numero di Hb in ogni eritrocita e dal
numero di eritrociti.

129
IL legame ossigeno-emoglobina segue una curva di dissociazione dell'emoglobina
(descrive il suo comportamento attraverso una curva sigmoide): sulle ordinate c'è la
percentuale di saturazione dell'emoglobina da parte dell'ossigeno mentre sulle ascisse c'è
la pressione parziale dell'ossigeno.
Sono presenti dei valori evidenziati nelle ascisse, 40 è il valore di PO2 nel sangue venoso,
mentre 100 il valore di PO2 nel angue arterioso. Notiamo che sul 100 abbiamo dei valori di
saturazione del quasi 100%, mentre sul 40 un valore di saturazione del 75%; per avere una
saturazione del 100% dovremo far sì che la PO2 del sangue raggiunga 250 mmHg.
Un’altra proteina avida di ossigeno è la mioglobina, presente nelle cellule muscolari rosse,
ha un affinità per l’ossigeno molto superiore all’emoglobina, infatti per arrivare al 50%di
saturazione basta una P50 di pochi mmHg, mentre quando la PO2 è 100 mmHg la
mioglobina è saturata al 95% (questa cosa ha senso perché dee sottrarre l’ossigeno dal
sangue per portarlo ai muscoli)
L’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno cambia e ciò viene indicato dalla curva che si può
spostare a destra e sinistra e dipende da alcuni parametri: lo spostamento a destra indica
una diminuzione dell'affinità per l'ossigeno e a tutte le pressioni parziali, quello a sinistra
invece indica un aumento dell'affinità.
Ciò significa che a parità di PO2 si avranno valori differenti di saturazione
dell’emoglobina; per esempio normalmente con la saturazione del 80% la pressione
parziale dell'ossigeno è circa 43 mmHg, se l'affinità è diminuita ci vuole una PO2 più alta
quasi 60 mmHg, Mentre se l'affinità aumenta basta una PO2 più bassa circa 40 mmHG.

I parametri che influenzano l’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno sono 4: la pressione


parziale della CO2, la temperatura, il pH e la concentrazione del 2,3 bisfosfoglicerato.
 La temperatura di un organismo è 37°: se la T° aumenta l'affinità diminuisce per
favorire il maggior distacco di ossigeno dall'emoglobina (la temperatura denatura le
proteine e ciò può modificare l'accesso di ossigeno al gruppo eme) mentre se la
temperatura si abbassa c'è un aumento dell'affinità dell'emoglobina per l'ossigeno; i
tessuti dove abbiamo un aumento di temperatura sono i tessuti metabolicamente
attivi, ed è utile che l’Hb sia meno affine almeno lo rilascia con più facilità per le
loro esigenze; mentre un abbassamento della T si può verificare negli alveoli se
respiriamo aria fredda o se respiriamo con la bocca, ed è utile che aumenta l’affinità
perché almeno l’Hb si carica più facilmente di ossigeno.
 Il pH (valore normale 7,4): se aumenta (da 7,6), fa aumentare anche l'affinità e
viceversa (se diminuisce, quindi da sotto 7,2, diminuisce affinità). Il pH si alza nei
capillari alveolari e si abbassa nei tessuti; il pH è collegato alla CO2, nei tessuti
essendoci più CO2 abbiamo anche il pH più acido e questo fa staccare più
facilmente l’ossigeno dall’emoglobina; mentre nei polmoni, a livello dei capillari
alveolari abbiamo una concentrazione minore di CO2 perché viene eliminata quindi
avremo un pH maggiore e quindi avremo anche un’affinità più elevata.
 La pressione parziale della Co2 (valore normale 40 mmHg): se aumenta la
pressione, l'affinità diminuisce e viceversa (se pressione diminuisce aumenta
affinità).
 2,3 difosfoglicerato: è un intermedio della glicolisi anaerobica, quando questo
aumenta riduce l’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno, quando questo diminuisce
significa che diminuisce la glicolisi quindi l’affinità per l’ossigeno aumenta.

130
L'emoglobina fetale è diversa perché invece delle catene beta ci sono le catene gamma. Ha
inoltre un affinità maggiore per l’ossigeno rispetto quella adulta, per un motivo funzionale
per il feto che prende ossigeno dall'emoglobina materna, infatti per riuscire a prendere
l’ossigeno dal sangue materno deve essere per forza più avida rispetto quella materna. In
prossimità del parto l'emoglobina inizia cambiare, le catene gamma iniziano ad essere
sostituite dalle catene beta; al momento della nascita si ha la sostituzione completa.

L’emoglobina presenta un affinità altissima per il monossido di carbonio, un gas che si


sviluppa quando si ha combustione in atmosfere povere di ossigeno; per questo motivo è
molto tossico perché avendo un affinità superiore all’ossigeno, si lega all’Hb nello stesso
sito dell’ossigeno, cioè all’atomo di ferro, con un legame irreversibile occupando il sito
all’ossigeno.
Quindi le molecole che si sono legate con il monossido di carbonio, non possono più essere
riutilizzate e quindi l’Hb viene inattivata.
Il danno del CO al trasporto dell’ossigeno appare chiaramente quando la concentrazione
di O2 nel sangue viene confrontata con la PO2, quando l’hb è per metà saturata dal
monossido di carbonio la quantità di ossigeno diventa la metà.

Trasporto dell’anidride carbonica

La CO2 entra nel sangue per diffusione al livello dei tessuti e deve raggiungere gli alveoli.
Può venire trasportata in tre modi:
 Disciolta nel plasma (5-6% del totale);
 Legata all'emoglobina (circa il 5-20%) e forma la carboamminoemoglobina (il nome
ci indica il sito di legame, cioè nella posizione proteica, nei residui aminici);
 Il resto dell’emoglobina (circa 75-90%) si combina con l’acqua e grazie all’enzima
anidrasi carbonica, presente nei globuli rossi, si trasforma prima in acido carbonico
e poi si dissocia rapidamente in ione bicarbonato e ione idrogeno. Lo ione
bicarbonato esce dal globulo rosso scambiandosi con uno ione cloro e il protone
viene tamponato dall’Hb; anche in questo caso il protone si lega ai gruppi NH2
dell’emoglobina. Questa reazione può avvenire anche al di fuori del globulo rosso,
ma non essendoci l’enzima avviene in maniera più lenta.
Quindi la maggior parte della CO2 viaggia sotto forma di ione bicarbonato.

A livello dei capillari alveolari avviene il contrario, la quantità di CO2 disciolta nel plasma
diffonde nell’alveolo e viene eliminata, questo favorisce sia il distacco di CO2 dall’Hb e sia
lo spostamento della reazione citata sopra catalizzata dall’anidrasi carbonca nel senso
opposto perché a questo livello si riduce la PCO2 e la P02 aumenta.
Quindi il protone si ricombina con lo ione bicarbonato e si riforma acido carbonico e
tramite l’enzima anidrasi carbonica si riformano CO2 e acqua; poi la CO2 si stacca
dall’emoglobina perché un aumento della pressione parziale di ossigeno nel sangue
diminuisce l'affinità dell'emoglobina per l'anidride carbonica.
Lo ione bicarbonato e il protone anche se non sono legati nello stesso punto influenzano
l’affinità per l’ossigeno, perché modificano la conformazione spaziale della molecola e
rendono più difficoltoso il legame dell’ossigeno con il sito, che si trova piuttosto nascosto
all’interno dell’Hb; quindi quando a livello degli alveoli si staccano rendono più facile il
legame con l’ossigeno.

131
Di solito un aumento della PO2 nel sangue diminuisce l’affinità dell’emoglobina per la
CO2, diminuendo la capacità di sangue di trasportare CO2; ciò significa che ad un data
PCO2 viene trasportata più anidride carbonica con una PO2 di 0 mmHg che con una PO2
di 100 mmHg.

Riassunto:
A livello dei tessuti l’ossigeno disciolto nel plasma diffonde, si abbassa la PO2 che ha
come effetto diretto la diminuzione dell’affinità dell’Hb per l’O2, come effetto indiretto
provoca un aumento dell’affinità dell’Hb per la CO2;(si ha il cosiddetto effetto haildane
che descrive la relazione di questi 2 gas con l’Hb).
La CO2 legata all’Hb esercita un effetto carbaminico che riduce ulteriormente affinità
dell’Hb per l’O2 provocando un ulteriore distacco.
Contemporaneamente nei a livello dei capillari tissutali abbiamo l’aumento della PCO2
che ha come effetto diretto u aumento dell’affinità dell’Hb per la CO2 e inoltre si ha un
aumneto degli H+ (perché la CO2 si lega con l’acqua formando protoni e ioni bicarbonato);
il protone legandosi con l’Hb provoca il cosiddetto effetto Bohr che riduce ulteriormente
l’affinità dell’Hb per l’ossigeno (quindi avremo più ossigeno dissociato che diffonde nei
tessuti).
A livello dei polmoni la PO2 aumenta questo come effetto diretto provoca un aumento
dell’affinità dell’Hb per l’ossigeno, mentre l’effetto haildane (quindi l’effetto indiretto) si
esplica sulla CO2 che sarà più dissociata perché l’Hb legata all’ossigeno sarà meno affine
alla CO2 e quindi per effetto carbaminico viene ancora aumentata l’affinità dell’Hb per
l’ossigeno.
Contemporaneamente abbiamo una riduzione della PCO2 nel sangue che diffonde negli
alveoli, come effetto diretto ciò provoca un aumento della CO2 dissociata, provocando una
riduzione degli H+ (perché i protoni e lo ione bicarbonato verranno riconvertiti in CO2 e
acqua) e quindi avremo un aumento del pH, che per effetto Bohr fa aumentare ancora
l’affinità dell’Hb per l’ossigeno (perché diminuisce il numero di protoni).

Effetto Bohr: quando si forma il protone a seguito della reazione tra CO2 e acqua, il
protone si lega nella parte proteica dell’emoglobina (anche la CO2 si lega nei siti proteici) e
come abbiamo detto quando questi ioni sono legati l’affinità dell’Hb per l’ossigeno
diminuisce.

Contenuto totale di ossigeno arterioso dipende dall'ossigeno contenuto nel plasma e


dall’ossigeno legato all’Hb.
L’ossigeno disciolto nel plasma è influenzato da diversi fattori: dalla composizione
dell'aria inspirata, dalla ventilazione alveolare (che comprende frequenza e profondità
ventilazione, resistenza vie aeree e complianza polmonare), dalla diffusione dell'ossigeno
tra alveoli e sangue (dipende da area di diffusione e superficie di diffusione) e
dall'adeguata perfusione degli alveoli.
L'ossigeno contenuto nel plasma influenza sua volta la percentuale di saturazione
dell'emoglobina che insieme al numero totale di siti di legame influenzano l'ossigeno
legato all'emoglobina.

132
Controllo della respirazione

È presente un controllo nervoso che riguarda i muscoli respiratori ed un controllo chimico


che riguarda l’influenza che hanno i parametri ematochimici (quindi pressione parziale
gas respiratori nel sangue) può modulare l’attività dei centri nervosi in modo tale da
adattare la respirazione per mantenere costate quanto più possibile questi valori.

L'attività respiratoria non può andare avanti in modo autonomo ma dipende da muscoli
scheletrici innervati da motoneuroni con il corpo nel midollo. Sono inclusi (a riposo) solo i
muscoli inspiratori mentre sotto sforzo anche gli espiratori e anche questi sono innervati
da motoneuroni che ricevono input dalle strutture superiori.
Il centro di controllo respiratorio è nel tronco dell'encefalo: nel bulbo e nel ponte.

 Nel bulbo si trova il gruppo ventilatore dorsale con motoneuroni attivi in fase
inspiratoria e ventrale la cui attività è associata a motoneuroni attivi in fase
espiratoria (questo centro scarica sempre durante l’espirazione anche se i comandi
non vengono trasmessi ai motoneuroni se siamo nella situazione di respirazione
tranquilla);
 Nel ponte questo centro si trova in posizione rostrale; questo centro è formato da
strutture che agiscono sul centro dorsale, una è il centro pneumotassico
(anatomicamente corrisponde con il nucleo parabrachiale mediale e il nucleo di
Kolker-Fuse), l’altra si trova caudalmente ed è il centro apneostico (anatomicamente
corrisponde al nucleo magnocellulare).
 Rostralmente alle 2 strutture bulbari è presente una struttura che genera il ritmo
ventilatorio; non sono cellule pacemaker come nel cuore ma c’è una mescolanza di
cellule capaci di depolarizzarsi spontaneamente e di circuiti che generano un
alternanza di eccitazione/inibizione.

In questo sistema che regola il ritmo possono arrivare afferenze:


Dalla corteccia, sia area motoria del controllo volontario, infatti entro certi limiti siamo in
grado di modificare il respiro (trattenerlo e interromperlo) e dalla corteccia del cingolo che
gestisce gli stati emotivi che possono influenzare la respirazione.
Dai centri encefalici superiori, compreso il sistema limbico.
Poi sono presenti meccanismi riflessi che a partire dal contenuto nel sangue di CO2, O2 e
pH tramite strutture periferiche centrali chiamate chemiocettori mandano le loro efferenze
al centro che regola il ritmo e lo possono alterare. Chemocettori bulbari, carotidei e aortici
che rilevano le pressioni parziali dell'ossigeno (centrali-bulbari), di CO2 e il pH (periferici-
aortici).
Inoltre sono presenti sia nei muscoli intercostali e diaframma, sia nelle articolazioni della
cassa toracica e sia nei polmoni sono presenti questi recettori di distensione che tramite il
vago mandano informazioni a questi centri.

Muscoli respiratori innervazione.


Diaframma innervato dal nervo frenico (motoneuroni da C3-C5);
Scaleni e SCOM innervati dal nervo frenico (motoneuroni da C1-C8);
Intercostali innervati dai nervi intercostali (T1 a T12)
Addominali (T6 a L3).

133
(Vie aeree sono formati da muscoli scheletrici innervati da componenti somatiche dei nervi
cranici)

Attività nervo frenico e nervi intercostali


Il nervo frenico scarica ritmicamente (in una respirazione tranquilla), ogni scarica consiste
in un potenziale d’azione e consiste nell’inspirazione, a seguito la scarica è presente poi
una pausa che consiste nell’espirazione (Lo stesso fa il nervo intercostale esterno). Nella
respirazione a riposo il nervo intercostale interno non scarica.
Avremo una contrazione dei muscoli inspiratori ed un rilassamento quando i nervi
smettono di scaricare mentre i muscoli espiratori non si contraggono.
Nel caso di ventilazione attiva abbiamo un aumento della scarica dei nervi che innervano i
muscoli inspiratori e abbiamo la comparsa della scarica del nervo che innerva i muscoli
espiratori (intercostale interno); in questo caso avremo una contrazione maggiore da parte
dei muscoli inspiratori ed una contrazione anche dei muscoli espiratori che si verifica
quando gli inspiratori si rilassano. (Avremo un maggior volume polmonare)

Il centro nel bulbo manda impulsi ai motoneuroni del midollo spinale che innervano i
muscoli respiratori; i muscoli respiratori provocano espansione gabbia toracica e del
polmone (quindi si attivano i meccanocettori, detti anche recettori di distensione che
comunicano la loro attività al centro respiratorio bulbare.
La ventilazione provoca ingresso di aria, poi avremo o scambio di gas quindi cambiano le
pressioni parziali dei 2 gas e il Ph; queste variabili sono monitorate dai chemiocettori (che
si trovano sia in alcuni vasi periferici che in strutture centrali) che mandano informazioni
al centro respiratorio bulbare. Inoltre anche la corteccia cerebrale come abbiamo visto
informa il centro respiratorio.
Queste afferenze alterano il ritmo a seconda delle esigenze, ad esempio se viene registrata
una carenza di ossigeno nel sangue, modificano il respirano aumentando il numero di atti
respiratori e la profondità; se viene monitorato un eccesso di O2 succede il contrario.

Esperimento
La localizzazione dei centri respiratori è stata scoperta per caso in animali decerebrati o
privi di midollo che non sempre riuscivano a mantenere la respirazione spontanea.
Ad alcuni animali si separava il midollo dall'encefalo con una sezione a livello di C1, in
modo da separare il midollo spinale dall’encefalo per vedere come venivano controllati i
riflessi; ma gli animali sottoposti a questo esperimento non respiravano più
autonomamente. (Quindi già ciò dava indicazione che sopra il midollo spinale erano
presenti strutture per il mantenimento della respirazione spontanea)
Ad altri animali i cosiddetti decerebrati venivano asportati i collicoli del mesencefalo: gli
animali venivano selezionati e mantenevano un respiro autonomo normale ma non
riuscivano a mantenere il controllo della temperatura corporea.
Hanno fatto esperimenti anche sezionando il vago perché controlla molte funzioni
vegetative e volevano vedere se controllava anche il respiro; negli animali in cui veniva
sezionato il midollo, sezionare il vago non cambiava nulla, sia con che senza non era
presente respirazione spontanea (da ciò hanno capito che il vago non è in grado di
134
generare il ritmo respiratorio), mentre in quelli in cui veniva sezionato il collicolo
tagliando il vago si osservava un rallentamento del respiro ed un aumento della frequenza
respiratoria.
Il vago infatti ha un ruolo importante inibitorio, che limita l’espansione del torace e quindi
provoca un atto respiratorio meno ampio e quindi gli atti respiratori sono più numerosi
nello stesos periodo temporale.
Avendo capito che il centro che regola il respiro si poteva trovare o nel bulbo o nel ponte
hanno fatto un altro esperimento in cui lo sezione era tra ponte e bulbo, si è notato che il
ritmo era presente ma alterato, sia a vago presente che sezionato. Hanno così ipotizzato
che nel bulbo ci fosse una struttura che genera frequenza respiratoria che però aveva
bisogno il contributo di strutture pontine che rendessero ordinato il ritmo respiratorio.
In un esperimento ancora successivo hanno sezionato il ponte, per vedere quale porzione
del ponte fosse coinvolta con il centro del controllo del respiro, il risultato è stato che a
vaghi intatti si notava un aumento della profondità del respiro ed un riduzione della
frequenza (come quella osservata a vaghi sezionati), quindi l’idea fu che nella parte
rostrale del ponte ra presente una struttura che aveva azione inibitoria sulle strutture più
caudali, mentre nelle parti caudali del ponte ci fosse una struttura in grado di mettere in
ordine il ritmo respiratorio.
A vaghi sezionati si osservava un arresto del respiro in fase inspiratoria (la cosiddetta
apneosi), per questo motivo si è definito che nella parte rostrale (del ponte c’era un centro
detto pneumotassico con effetto inibitorio sulle strutture sottostanti, mentre nella parte
caudale (più in basso), un altro centro detto apneustico (in grado di regolarizzare il ritmo,
che però è generato da strutture bulbari).
Un altro esperimento si è fatto sul gatto anestetizzato, bloccando con il freddo una regione
rostrale del bulbo ventrolaterale di un lato, definita come regione dell’apnea (Il freddo
provoca un blocco reversibile); si osservava un blocco dell’attività sia del nervo frenico
controlaterale che quello omolaterale.

Alla fine si è individuata la regione dove nasce il ritmo nel bulbo ed è stata chiamata
regione di pre-Botzinger che si trova tra il gruppo respiratorio ventrale e il gruppo
espiratorio dorsale ed è formato con neuroni che riescono a depolarizzarsi
autonomamente e si trovano nella parte rostrale del bulbo: sono organizzati in reti che
favoriscono questo ritmo e quindi la scomparsa della scarica.

Tipi di neuroni (si trovano tutti nel complesso pre-Botzingher ad eccezione di quelli
inspiratori ed espiratori che si trovano nei centri dorsale e laterale)
È presente un modello in cui è presente una rete neuronale formata da neuroni
autoritmici, questa struttura è in grado di generare quindi un ritmo respiratorio che però
non è regolare; questa rete di neuroni autoritmici è collegata ai neuroni inspiratori ed
espiratori (sono loro a mandare il loro assone al midollo).
Sono presenti in questa rete i neuroni Pre-inspiratori (scaricano prima dell’inspirazione),
inspiratori precoci (che cominciano a scaricare abbastanza prima dell’inspirazione), i
neuroni inspiratori (si trovano nel gruppo ventrale) e inspiratori tardivi (scaricano nella
fase finale dell’inspirazione).
Poi sono presenti anche neuroni espiratori precoci (scaricano all’inizio dell’espirazione) e
infine gli espiratori (si trovano nel centro dorsale bulbare).
Tra tutti questi neuroni sopra citati sono presenti delle relazioni sinaptiche eccitatorie e
inibitorie per cui si genera un ritmo tra i neuroni inspiratori (si trovano nel centro dorsale

135
bulbare) e quelli espiratori (si trovano nel centro ventrale bulbare) e di tutti questi neuroni
sono gli unici il cui assone esce dal bulbo e si porta ai motoneuroni del midollo spinale.
Gli assoni dei centri espiratori e inspiratori decorrono nella sostanza bianca antero-laterale
del midollo spinale (quelli del gruppo ventrale espiratorio decorrono anteriormente
rispetto quelli del gruppo dorsale inspiratorio che decorrono più lateralmente)

Il ritmo respiratorio che si crea consiste nell’attivazione dei neuroni del centro inspiratorio
dorsale durante l’inspirazione e l’attivazione del gruppo ventrale durante l’espirazione
che eventualmente se siamo nella fase di respirazione forzata manda i comandi ai
motoneuroni dei muscoli espiratori, in caso fossimo nella respirazione a riposo (non
forzata) ha solo la funzione di partecipare all’inibizione del gruppo dorsale, generando
così l’alternanza dell’attività.
La regolarizzazione del ritmo creato dal complesso pre-Botzingher avviene grazie al
centro apneostico che si trova nella porzione caudale del ponte, mentre il gruppo
pneumotassico inibisce sia il gruppo apneostico sia il gruppo dorsale respiratorio; cosicchè
abbiamo il ritmo definitivo che è più rapido rispetto quello generato dal centro apneostico.
Le afferenze in questo complesso arrivano o al centro pneumotassico o direttamente alle
strutture bulbari.

I neuroni inspiratori sono caratterizzati ad un aumento “a rampa” nella frequenza dei


potenziali d’azione durante l’inspirazione e dalla terminazione repentina di tutta l’attività
alla fine dell’inspirazione, quindi all’inizio dell’espirazione (Scarica inspirazione 2 secondi,
espirazione dura 3 secondi). La scarica precede l’aumento del volume corrente, prima
aumenta la scarica poi aumenta il volume.

I neuroni inspiratori mandano il comando motoneuroni dei muscoli inspiratori nel


midollo spinale, i quali provocano l’espansione della gabbia toracica e quindi del
polmone; l’espansione del polmone viene monitorata dai recettori di distensione del
polmone che tramite il nervo vago vanno ad informare il centro pneumotassico che
inibisce il centro apneostico.
A sua volta il centro apneostico attiva i neuroni inspiratori e inibisce dei neuroni
interruttore (che fanno parte del gruppo di neuroni del complesso pre-Botzingher) che
inibiscono i neuroni inspiratori.
I neuroni inspiratori informano anche il centro penumotassico della loro attività, quindi è
presente anche un circuito riverberante di questo tipo.

Controllo chimico del respiro


Riguarda la descrizione di quei meccanismi che permetto di rimanere costante i valori
ematici dei gas grazie ad adattamento dell’attività respiratoria.
PO2= nelle arterie e nelle vene polmonari 100 mmHg, nelle vene e nelle arterie polmonari
40 mmHg;
PCO2= nelle arterie e vene polmonari 40 mmHg, mentre nelle vene e nella arterie
polmonari 46 mmHg;
pH= nelle arterie 7,4 e nelle vene 7,37.

Classificazione delle forme di ipossia: (mancanza di ossigeno)

136
 Ipossia ipossica: bassa PO2 arteriosa, può essere dovuta ad un elevata altitudine
(meno O2 nell’aria), ipoventilazione alveolare, riduzione della capacità della
diffusione polmonare, rapporto ventilazione-perfusione aterato;
 Ipossia anemica: riduzione della quantità di O2 legata all’emoglobina, può essere
dovuto a emorragia, anemia, alterazione legame HbO2 (come nelle talassemie in cui
l’Hb è alterata), intossicazione da CO;
 Ipossia ischemica: riduzione del flusso ematico, dovuto da scompenso cardiaco
(generale), shock (periferica), trombosi (occlusione di un vaso, ipossia in un singolo
organo);
 Ipossia istotossica: incapacità delle cellule di utilizzare O2, perché le cellule sono
state avvelenate; causato da cianuro e altri veleni metabolici.

Chemocettori:

- Chemocettori periferici: controllano i valori di PO2, PCO2 e pH nel sangue, sono


localizzati nel glomo carotideo, cioè a livello della biforcazione della carotide
comune (si trovano vicino ai barocettori che controllano la pressione del sangue
all’interno del vaso) nel glomo aortico (anche qua sono vicino ai barocettori):
Queste strutture sono innervate da fibre afferenti, quelle del glomo carotideo
decorrono nel nervo glossofaringeo, mentre quelle del glomo aortico decorrono nel
nervo vago (Stesso percorso delle fibre dei barocettori); queste informazioni
arrivano al bulbo dove sono presenti i centri controllo respiratori e a seconda se
registrano una diminuzione di qualche valore possono indurre un aumento o una
diminuzione dell’attività respiratoria.
Aumento dell’O2 l’attività respiratoria si riduce e se aumenta viceversa, se CO2
aumenta attività respiratoria aumenta e se diminuisce viceversa e per il Ph un
abbassamento provoca un aumento dell’attività respiratoria mentre se si alza il
contrario.
Il pH è il log negativo della quantità di H+ presenti nel sangue, ed è strettamente
correlato con la CO2 secondo la reazione in cui si combina con l’acqua e dà origine
a protoni e ione bicarbonato.
Se abbiamo una diminuzione dell’ossigeno nel capillare del glomo carotideo, si ha
una risposta dei recettori delle cellule per la quale si chiudono i canali del potassio,
questo porta ad accumulo di potassio, poi ad una depolarizzazione della cellula,
quindi all’apertura dei canali calcio voltaggio dipendenti: il calcio entra provoca il
rilascio del trasmettitore che è la dopamina che va a stimolare il neurone afferente e
informa il centro del respiro che bisogna aumentare la ventilazione.

- Chemocetori centrali: si trovano sul pavimento del 4 ventricolo, sono neuroni che
sono sensibili soprattutto alle variazioni del pH; ma il pH dipende dalla
concentrazione dei protoni: i protoni non possono attraversare la barriera
ematoencefalica dal sangue al liquido cerebrospinale all’interno dei ventricoli.
Infatti una variazione di pH deriva da una variazione della PCO2; ricordiamo che la
CO2 attraversa facilmente la barriera ematoencefalica, quini grazie alla reazione
citata prima con l’acqua citata prima possiamo dir che un aumento della CO2 si
traduce anche con un aumento di H+ e quindi una riduzione del pH che è in grado
di stimolare i chemocettori centrali.
137
Supponiamo ci sia una riduzione del pH nel sangue: abbiamo uno stimolo diretto
sui chemocettori periferici che però sono debolmente stimolati e vanno stimolare il
cento respiratori del bulbo, abbiamo anche uno stimolo sui chemocettori centrali in
quanto la CO2 diffonde nel liquido cefalorachidiano, si trasforma in H + e questo
stimola i chemocettori centrali che a loro volta stimolano il centro respiratorio nel
bulbo; questo centro respiratorio nel bulbo fa aumentare la ventulazione (aumenta
frequenza e profondità respiro) rimuove quindi più facilmente la CO2 e quindi la
PCO2 diminuisce.
Se abbiamo un aumento della PCO2, abbiamo più CO2 nel sangue, quest’ultima
passa la barriera ematoencefalica e arriva al liquido cerebrospinale; a questo punto
la CO2 si combina con l’acqua e tramite l’anidrasi carbonica abbiamo la formazione
di protoni e ione bicarbonato.
Il protone interagisce con il chemocettore centrale, un neurone che viene stimolato e
comunica al centro generatore del ritmo che bisogna aumentare la ventilazione.
Se abbiamo un aumento della PCO2 abbiamo una stimolazione sia dei chemocettori
centrali come visto sopra, ma abbiamo anche una stimolazione dei chemocettori
periferici, ciò quindi porta una risposta ancora più forte di riduzione di PCO2 e
aumento della PO2

La quantità di PO2 nel sangue arterioso fisiologica come abbiamo detto è 100 mmHg, se si
abbassa anche fino a 80 mmHg ciò non provoca variazioni a livello respiratorio, se però la
PO2 arriva a 60 mmHg la respirazione inizia a essere abbastanza stimolata; ricordiamo che
con questo valore di PO2 abbiamo anche una riduzione della saturazione dell’Hb.
Al di sotto di 60 mmHg l’emoglobina si satura male quindi l’attività dei chemocettori è
elevata e abbiamo un compenso ventilatorio.
Mentre anche piccole variazione della CO2 abbiamo grande influenza sula ventilazione,
gia se la CO2 aumenta di 10 mmHg la ventilazione raddoppia, perché la CO2 è molto
pericolosa: infatti la quantità di CO2 deve essere attentamente monitorata perché se la
PCO2 supera 90 mmHg abbiamo la depressione del centro respiratorio, questo provoca un
ulteriore aumento di CO2, ciò può portare al coma e se aumenta ancora alla morte.
Inoltre un aumento della CO2 provoca una diminuzione del pH (sotto i 7,35) che causa
una situazione definita acidosi che anche questa può essere letale se il pH scende sotto il
valore di 6,8.
Anche un valore di pH superiore a quello fisiologico (sopra 7,45) è pericoloso perché può
portare ad una situazione di alcalosi e quando supera il valore di 8 è letale.
Ricordiamo che queste situazione di acidosi e alcalosi sono causate anche da disfunzioni ai
centri respiratori, ma soprattutto sono causate da patologie metaboliche come l’acidosi
metabolica (diabete mellito, dieta ricchissima di grassi e proteine, attività fisica estrema,
alterazione funzione renale…), il sistema respiratorio può concorrere modificando
l’attività respiratoria e compensare questa acidosi.
Anche come l’alcalosi metabolica (vomito eccessivo, alterazioni funzione renale…), in
questo caso la riduzione dell’attività respiratoria può aiutare a riportare la situazione alla
normalità.
Sono presenti anche interazione della PCO2 e PO2 nella variazione della ventilazione, se
per caso oltre un aumento della PCo2 viene associata una diminuzione della PO2 la
ventilazione sarà ancora più stimolate. Se laPO2 si riduce sotto 60 mmHg anch’essa può
stimolare i chemocetori periferici ad aumentare la ventilazione.

138
Se viene aumentata la PCO2 i bronchioli si dilatano e le arteriole polmonari fanno una
modesta vasocostringono;
Ridotta PCO2 avremo una costrizione ridotta dei bronchioli e avremo una modesta
vasodilatazione nelle arteriole polmonari;
Aumentata PO2 avremo modesta costrizione dei bronchioli e una dilatazione delle
arteriole polmonari;
Se la PO2 diminuisce il contrario avremo modesta dilatazione dei bronchioli e una
costrizione delle arteriole polmonari.
A livello dei bronchioli sono più efficaci le variazioni della PCO2, mentre e livello delle
arteriole polmonari sono più efficaci le variazioni di PO2.

Le variazioni delle pressioni parziali dei gas e anche sul pH possono essere dovute anche a
variazioni della ventilazione per altri motivi, ad esempio se è presente un ipoventilazione
avremo un accumulo di CO2 e quindi un aumento della PCO2, un aumento dei protoni ed
una diminuzione della PO2, questo stimola i chemocettori e modifica l’attività dei centri di
respiro, in questo caso l’aumenta. (Ha un controllo a feedback negativo)

Riflessi protettivi delle vie aeree: servono ad eliminare particelle che potrebbero
entrare nell’apparato respiratorio.
Starnuto: serve ad allontanare particelle irritanti dalle vie aeree superiori; è scatenato da
particelle che stimolano e irritano la mucosa del naso provocando questi riflessi.
Si nota come la ine dell’attività inspiratoria del diaframma e l’inizio di quelli espiratoria da
parte dei muscoli addominali portino ad un rapido aumento della pressione subglottica a
causa della chiusura delle corde vocali (contrazione del muscolo tiroaritenoideo) e
contemporaneamente si contrae l’elevatore del velo palatino che solleva il palato molle e
abbiamo una contrazione dei muscoli addominali (fase 1); poi cessa l’attivazione dei
muscoli costrittori della glottide si aprono le corde vocali (il muscolo dilatatore
cricoaritenoideo posteriore) e si rilassa l’elevatore del velo palatino; infine abbiamo la
contrazione dei muscoli stiloglosso e palatoglosso che permettono la fuoriuscita di un
flusso d’aria a gran velocità che porta con se le particelle da eliminare (fase 2).

Chiusura della glottide: serve a prevenire l’entrata di particelle nelle vie aeree ed è
accompagnata dalla deglutizione e anche dalla chiusura del palato molle (cioè la chiusura
delle vie nasali), provocato da stimoli meccanici o chimici a livello della faringe; efficace
soprattutto nei neonati per proteggere le vie aeree da sostanze diverse. (Sono attivati da
acqua, urea ma non dalla soluzione fisiologica)

Tosse: stimolata dalla presenza di particelle nelle vie aeree inferiori, è preceduta da vari
respiri, quello prima della tosse è più profondo (le particelle potrebbero andare ancora più
giù quindi la tosse non basta) con chiusura della glottide e dilatazione della laringe,
abbiamo così un aumento della pressione subglottica che genera un flusso che dovrebbe
portare via particelle presenti. È una contrazione del diaframma, dei muscoli addominali e
del muscolo che tiene aperte le corde vocali che provoca un rapido flusso d'aria per
portare via le particelle.
Il riflesso della tosse è generato nel nucleo del tratto solitario, ma può essere anche
provocato volontariamente e ciò è dovuto all’attivazione delle aeree motorie.
Le particelle possono essere sia nelle vie aeree inferiori, ma anche nei bronchi; le
informazioni viaggiano nel nervo vago, raggiungono sia il nucleo del tratto solitario

139
(provoca la risposta riflessa) sia le aeree corticali somatosensoriali che sono collegati ai
motoneuroni dei muscoli respiratori che provocano il riflesso della tosse.

RENE

I reni sono organi molto importanti che svolgono molte funzioni al servizio
dell’organismo. Si trovano nella cavità addominale, in sede posteriore e piuttosto alta.
Sono sotto al diaframma e in posizione centrale, molto vicini all’aorta addominale e alla
vena cava inferiore. Sopra ai reni ci sono le ghiandole surrenali.
Sono organi pari e attraverso i processi che si svolgono al loro interno producono le urine.
Si inizia a parlare di urine da quando il prodotto dell’attività renale viene riversato negli
ureteri, che sono due canali che convogliano l’urina alla vescica. La vescica è un organo
muscolare di accumulo che si svuota all’esterno periodicamente attraverso un meccanismo
riflesso che nell’adulto viene controllato dalla volontà. La vescica manda l’urina all’esterno
tramite l’uretra. La vescica è chiusa da 2 sfinteri: sfintere uretrale interno, fatto di
muscolatura liscia e sfintere uretrale esterno, fatto di muscolatura striata e fa parte del
pavimento pelvico.
FUNZIONI dei reni:
- Escrezione di sostanze di scarto metabolico presenti nel plasma (es i protoni in
eccesso per evitare che il plasma diventi troppo acido)
- Escrezione di farmaci, tossine e altre sostanze estranee all’organismo presenti nel
plasma
- Regolazione del volume di acqua e della concentrazione degli elettroliti (equilibrio
idro-elettrolitico)
- Regolazione dell’equilibrio acido-base
- Gluconeogenesi (=sintesi ex novo di glucosio a partire da precursori non glucidici)
- Produzione di ormoni: eritropoietina (controllo della produzione di eritrociti e
viene stimolata da una riduzione della pressione parziale di ossigeno), 1,25-
didrossivitamina D (regolazione dell’assorbimento intestinale di Ca 2+), renina
(regolazione della pressione sanguigna e dell’omeostasi del Na +)

STRUTTURA INTERNA DEL RENE


Si distinguono due zone: la corticale e la midollare. Queste due zone sono diverse
anatomicamente e hanno anche un’osmolarità dei liquidi interstiziali diversa. Poi ci sono
le piramidi renali, i calici minori e i calici maggiore e la pelvi renale. Da qui in poi il
prodotto dell’attività renale non subisce più modificazioni quindi si può parlare di urina.
La vascolarizzazione è attuata dall’arteria renale che si suddivide in varie arterie e il
sangue che poi ha perfuso le porzioni renali, ritorna al sistema circolatorio attraverso la
vena renale che confluisce nella vena cava inferiore. L’arteria renale e la vena renale sono
molto corte, questo soprattutto è importante per l’arteria perché vuol dire che il calo di
pressione passando dall’aorta addominale ai vasi renali è piccolo perché la distanza
percorsa è breve (la distanza è un fattore che compone la resistenza quindi se la distanza è
breve, la resistenza è più breve e la caduta di pressione è minore).
Le unità funzionali del rene sono i nefroni che è una struttura mista che ha una
componente vascolare e una tubulare. La componente vascolare è rappresentata da un
gomitolo di capillari che originano da un’arteriola afferente e tornano ad un’arteriola
efferente. A livello di questi capillari non avvengono scambi gassosi e il sangue non perde
ossigeno e a questo livello avviene il processo di filtrazione. La componente tubulare
140
invece è formata da vari segmenti: una capsula di Bowman che è il primo comparto dove
si raccoglie il liquido filtrato, un tubulo contorto prossimale che ai trova tutto nella zona
corticale, un’ansa di Henle che si trova prevalentemente nella zona midollare, un tubulo
contorto distale che ritorna nella zona corticale e si riavvicina al glomerulo e sbocca nel
dotto collettore che scorre prevalentemente nella zona midollare e raggiunge il calice
minore. Il dotto collettore riceve i tubuli distali di diversi nefroni.
Dove il tubulo distale ritorna verso il glomerulo si trova l’apparato iuxaglomerulare.
(iuxa=in prossimità)
Il glomerulo è avvolto dalla capsula di Bowman che è una dilatazione del tubulo
prossimale che è a fondo cieco e poi una introflessione. Quindi la capsula di Bowman ha
un lume, una cavità e è delimitata da due foglietti, viscerale e parietale. L’insieme del
glomerulo e della capsula di Bowman costituisce il corpuscolo renale.
Il glomerulo e i tubuli renali si trovano tutti nella porzione corticale, l’ansa di Henle ha
una porzione che si approfonda in quella midollare e la porzione è diversa in base al tipo
di nefrone.

I nefroni renali sono divisi in 2 categorie:


-nefroni corticali: in cui l’ansa di Henle è quasi tutta nella porzione corticale, solo una
piccola parte sta nella midollare. Sono circa l’80%.
-nefroni iuxamidollari: in cui l’ansa di Henle è quasi tutta nella porzione midollare.

A livello del glomerulo c’è una capillarizzazione che non dà luogo a scambi gassosi.
Intorno ai tubuli e all’ansa c’è una seconda capillarizzazione e questi si chiamano capillari
peritubulari quelli intorno ai tubuli e capillari vasa recta intorno all’ansa di Henle. Il
sangue a questo livello cede ossigeno e assume CO2 e quindi si impoverisce di ossigeno e
confluisce nella vena. I vasa recta sono molto importanti e hanno una forma caratteristica e
sono importanti per mantenere il gradiente osmotico.

Il rene svolge le sue funzioni attraverso 4 processi fondamentali:


1. FILTRAZIONE: avviene solamente a livello del glomerulo. È un processo passivo
che non richiede energia e sfrutta i gradienti di pressione. Consiste nel passaggio
dal sangue dei capillari glomerulari al lume della capsula di Bowman di plasma con
la gran parte dei soluti tranne le proteine. Il filtrato quindi è plasma
deproteinizzato.
2. RIASSORBIMENTO: avviene a livello dei tubuli e capillari. È un processo che
richiede energia e è selettivo.
3. SECREZIONE: avviene a livello dei tubuli e capillari. È un processo che richiede
energia e è selettivo.
4. ESCREZIONE: è l’eliminazione all’esterno di tutto quello che rimane alla fine del
dotto collettore.

141
Una differenza dei processi che avvengono nel tubulo prossimale e nel tubulo distale e
dotto collettore è che quelli del tubulo prossimale vengono definiti obbligatori o non
regolati, quelli che avvengono nel tub distale e dotto collettore invece possono essere
regolati.
La quantità di soluto che viene escreta è data dalla quantità che viene filtrata meno la
quantità riassorbita più la quantità secreta. Non tutti i soluti vengono secreti o riassorbiti e
alcuni vengono solo filtrati. Per esempio l’acqua e il sodio vengono riassorbiti ma non
vengono secreti, il potassio viene sia riassorbito che secreto.
Quindi questi processi possono essere tutti presenti per una data sostanza o possono
mancare per altre. La filtrazione (ad eccezione delle proteine) e l’escrezione c’è sempre per
tutte le sostanze.
A livello della filtrazione non c’è modificazione della concentrazione: i soluti che vengono
filtrati che si trovano nella capsula di Bowman hanno la stessa concentrazione che hanno
nel plasma, poi con riassorbimento e secrezione si può modificare la concentrazione. La
filtrazione riguarda solo il 20% del plasma che entra nel glomerulo. L’80% del plasma che
entra nel glomerulo non viene filtrato ed esce attraverso l’arteriola efferente. Solo l’1% del
liquido che viene filtrato viene poi eliminato.
In entrambi i reni arriva circa 1/5 della gittata cardiaca (cioè 1/1,25 L) quindi arriverà circa
625 mL di plasma al minuto. E di questi vengono filtrati il 20%.
la filtrazione avviene con un meccanismo passivo attraverso una barriera di filtrazione e
grazie alle forze delle pressioni, chiamate forze di Starling. la capsula di Bowman è
formata da un foglietto parietale e uno viscerale. L’epitelio parietale è piatto mentre quello
viscerale è fatto da cellule particolari chiamate podociti che abbracciano i capillari
glomerulari e hanno numerosi prolungamenti chiamati pedicelli che si protendono e
circondano il capillare. Tra i vari pedicelli rimangono degli spazi che si chiamato
finestrature. All’interno del capillare c’è l’endotelio che non è continuo nei capillari renali
ma sono presenti dei pori o fenestrature. Quindi La barriera di filtrazione o filtro renale è
costituita da endotelio con spazi chiamati fenestrature, le lamine basali continue e i
pedicelli dei podociti delle cellule epiteliali che presentano spazi chiamati pori e poi il
lume. Sulla barriera ci sono anche molte cariche negative che limitano la filtrazione delle
sostanze negative.

142
Le molecole più piccole tipo acqua, urea, glucosio filtrano liberamente perché il rapporto
tra la concentrazione del filtrato e la concentrazione del filtrando è uguale a 1. Le molecole
di grandi dimensioni invece hanno libertà di filtrazione ridotta perché il rapporto
diminuisce. Le molecole tonde, sferiche passano più facilmente a parità di peso
molecolare.
Il plasma che viene filtrato è il 20% e è quello che si chiama frazione di filtrazione e si
calcola facendo il rapporto tra la quantità di filtrato prodotto che è di 125 mL/min e il
flusso plasmatico renale che è 625mL/min e il risultato è di 0,2 quindi il 20%.

FILTRAZIONE
La filtrazione è un processo che avviene nel glomerulo tra i capillari e lo capsula di
Bowman. È un processo passivo e non selettivo e consiste nel passaggio di alcuni
componenti del plasma dal capillare allo spazio di Bowman. Le forze (forze di Starling)
che determinano la filtrazione sono: pressioni idrostatiche e pressioni oncotiche
-pressione idrostatica si trova all’interno del capillare ed è di 50/60 mmHg quindi molto
più elevata di quella dei capillari sistemici perché l’arteria renale è breve e la caduta di
pressione dall’aorta all’arteria renale è minima. Questa pressione favorisce la filtrazione
-pressione oncotica o colloidosmotica nella capsula di Bowman: è la pressione osmotica
dovuta alle proteine, visto che le proteine nella capsula di Bowman non ci sono, la
pressione oncotica è 0.
-pressione idrostatica nella capsula di Bowman: si oppone alla filtrazione ed è di circa 15
mmHg (indicata con il segno – perché si oppone)
-pressione oncotica del plasma: si oppone alla filtrazione ed è di -30 mmHg
La differenza tra la pressione idrostatica del capillare meno la pressione idrostatica nella
capsula meno la pressione oncotica del plasma è 10 mmHg ed è chiamata pressione netta
di filtrazione.

Il processo di secrezione può aggiungere filtrato quindi aumenta i soluti ma non viene
secreta l’acqua che rimane la stessa.
Il processo di riassorbimento può riguardare sia il soluto che l’acqua.

Alcune percentuali…
L’80% del plasma rimane nei vasi, il 20% viene filtrato, più del 19% del totale del plasma
viene riassorbita quindi la maggior parte ritorna nella circolazione sistemica, meno dell’1%
del plasma che è arrivato al dotto collettore è escreto nell’ambiente esterno.

AUTOREGOLAZIONE RENALE
La filtrazione glomerulare produce un flusso che viene chiamato velocità di filtrazione
glomerulare che dipende dalla pressione arteriosa che influenza a sua volta la pressione
dei capillari glomerulari ed è un processo che si mantiene costante nonostante variazioni
possibili della pressione arteriosa media. La velocità di filtrazione glomerulare che è in
media 125 mL/min rimane costante per un ampio intervallo di variazioni della pressione
arteriosa media. Questo serve a garantire che la funzionalità renale sia costante nonostante
alterazioni della funzione renale che possono essere più o meno patologiche. Quando la
pressione arteriosa media diventa notevolmente diversa dai valori medi, quindi inferiore a
80 e superiore a 180, l’autoregolazione renale viene meno e diventa prevalente l’interesse
generale dell’organismo

143
L’autoregolazione renale mantiene la velocità di filtrazione glomerulare VFG quasi
costante quando la pressione media del sangue arterioso è compresa tra 80 e 180 mmHg.
Un altro processo che fa parte dell’autoregolazione renale è il feedback tubulo-
glomerulare che può modificare automaticamente la filtrazione grazie a quello che viene
trovato nel tubulo distale e che viene percepito dai sensori della macula densa.
Se aumenta la VFG, aumenta la quantità di cloruro di sodio nell’ansa di Henle e nel tubulo
distale e questo porta a generale dei segnali da parte dell’apparato iuxaglomerulare che,
rilasciando sostanze paracrine, possono provocare vasocostrizione dell’arteriola efferente e
quindi riduzione della filtrazione glomerulare, aumento della resistenza quindi
diminuzione del flusso a valle e quindi mantenimento della costanza della filtrazione.

APPARATO IUXAGLOMERULARE
È composto da macula densa che è parte del tubulo distale e è formata da cellule
dell’epitelio che hanno delle specializzazioni. Sono una quarantina di cellule che hanno un
ciglio rigido ma flessibile, che non si muove attivamente ma può essere mosso dal flusso
(+ flusso veloce, + si muove il ciglio). Questo nella porzione luminale. Mentre nella
porzione basolaterale presenta delle entroflessioni e sono in grado di secernere delle
sostanze che agiscono sulle cellule granulari e mioepiteliali dell’arteriola afferente.

BASE DEL BILANCIO TUBULO-GLOMERULARE


Per esempio se aumenta VFG; il flusso nel tubulo aumenta; aumenta anche il flusso a
livello della macula densa; sostanze paracrine diffondono dalla macula densa all’arteriola
afferente; l’arteriola afferente si costringe; la resistenza dell’arteriola afferente aumenta e il
flusso diminuisce; la pressione idrostatica nel glomerulo diminuisce; la VFG diminuisce.

Un altro processo che fa parte dell’autoregolazione renale è la variazione della resistenza


arteriolare.
La pressione della statica del capillare glomerulare viene modificata attraverso la capacità
delle arteriole di modificare lo stato di contrazione in base alla pressione. Se aumenta la
pressione sistemica, aumenta la pressione della statica nel capillare glomerulare, quindi
aumenta la VFG. L’arteriola risponde con una vasocostrizione che riduce il flusso di
sangue che si oppone al precedente aumento, quindi diminuisce la pressione nel capillare
glomerulare e la pressione netta di filtrazione e questo riporta la VFG a una riduzione.
Se invece la pressione sistemica diminuisce, le arteriole afferenti sono meno dilatate dalla
pressione e quindi sono meno stimolate a contrarsi e quindi si dilatano, fanno aumentare il
flusso e quindi aumenta la pressione sanguigna nel capillare glomerulare e la pressione
netta di filtrazione. Quindi possono far aumentare la VFG nonostante una riduzione della
pressione sistemica.

Un’emorragia o sudorazione (quindi perdita di liquidi) si traduce in una riduzione della


pressione arteriosa che va ad esercitare un effetto diretto sulla VFG. Questa può essere una
situazione in cui l’autoregolazione renale viene meno e la riduzione della filtrazione
glomerulare serve a conservare i liquidi e ridurre ulteriori perdite. Questo effetto diretto è
potenziato da riflessi dai barocettori arteriosi e venosi che stimolano l’attività simpatica la
quale va a provocare vasocostrizione delle arteriole afferenti renali. Entra in gioco quando
le esigenze sistemiche diventano più importanti.
La riduzione della pressione arteriosa mette in moto una regolazione a breve termine in
cui c’è un riflesso barocettivo e una regolazione a lungo termine in cui viene coinvolto il
144
rene perché la riduzione della pressione sistemica provoca la riduzione di VFG, per cui
avremo riduzione di escrezione urinaria, ritenzione di liquidi e sale e questo contribuisce a
far aumentare la pressione arteriosa o comunque a non farla abbassare ulteriormente.

RIASSORBIMENTO
Riguarda sostanze che erano nel sangue, sono passate nel tubulo grazie alla filtrazione ma
siccome sono sostanze importanti per l’organismo, vengono recuperate. Ed è molto più
conveniente in spesa energetica per il nostro organismo permettere la filtrazione di queste
sostanze e poi recuperarle piuttosto che impedire proprio la filtrazione.
Carico filtrato che viene riassorbito è la quantità di sostanza che viene filtrata nell’unità di
tempo e si ottiene moltiplicando la concentrazione plasmatica per la velocità di filtrazione
glomerulare.
Vengono riassorbite l’acqua, il sodio, il potassio, il calcio, il bicarbonato, il glucosio, l’urea.
Il riassorbimento avviene a livello tubulare, sia nel tubulo prossimale, sia nell’ansa, sia nel
tubulo distale e sia nel dotto collettore. È un processo selettivo (=ci sono meccanismi
diversi per le varie sostanze).
Le cellule epiteliali del tubulo prossimale presentano un orletto a spazzola nella
membrana apicale con dei microvilli sviluppati, mentre nel tubulo distale i microvilli sono
meno lunghi. Tra le cellule ci sono poi delle giunzioni serrate per impedire il passaggio
delle sostanze da una cellula all’altra. Queste giunzioni sono meno serrate nel tubulo
prossimale e più serrate nel tubulo distale perché in quello distale il riassorbimento è
controllato, regolato, dove intervengono gli ormoni.
La sostanza per passare dal lume al sangue deve attraversare la membrana apicale delle
cellule epiteliali, il citoplasma, la membrana basolaterale e la lamina basale, il liquido
interstiziale e l’endotelio. L’endotelio dei capillari è liberamente permeabile alle sostanze
che vengono riassorbite. I problemi ci possono essere o nella membrana apicale o in quella
basolaterale.
Il liquido filtrato che arriva nel tubulo prossimale è simile per composizione, osmolarità e
pH a quello del plasma.
1.Il Na+ viene riassorbito per trasporto attivo
2.il gradiente elettrochimico (creato dal passaggio del sodio verso il liquido interstiziale) e
il loro gradiente di concentrazione consente il riassorbimento di anioni (principalmente
cloro e bicarbonato) o attraversando la cellula o seguendo la via paracellulare
3.l’acqua fluisce per osmosi, seguendo il gradiente osmotico (creato dal passaggio degli
ioni dal lume al liquido interst)
4.le concentrazioni di altri soluti aumentano man mano che il volume del liquido nel lume
decresce. I soluti permeabili sono riassorbiti per diffusione seguendo il loro gradiente
elettrochimico.

• RIASSORBIMENTO DEL GLUCOSIO


Il glucosio è uno zucchero, è il principale substrato energetico delle cellule, in particolare
delle cellule nervose. Il glucosio viene riassorbito completamente solo nel tubulo
prossimale, ma può non essere completo se aumenta la concentrazione nel plasma.
Facendo la curva di carico del glucosio si aumenta la concentrazione di glucosio nel
sangue per via endovenosa e si ha a un certo punto la comparsa di glucosio nelle urine
(questo è sintomo di qualche patologia che riguarda il controllo della glicemia).

145
Questa curva rappresenta il riassorbimento del glucosio con la velocità di trasporto del
glucosio in funzione della concentrazione del glucosio nel plasma. Inizialmente c’è una
proporzionalità diretta e poi si ha la saturazione. Il valore di concentrazione, che è poco
superiore a 300 mg/mL, in corrispondenza del quale si ha la saturazione si chiama
SOGLIA RENALE e il livello massimo di trasporto (=di riassorbimento) che può essere
raggiunto si chiama TRASPORTO MASSIMO. In realtà per il glucosio non è così netto il
passaggio da riassorbimento proporzionale alla concentrazione a saturazione.

a) La filtrazione è un processo passivo quindi il suo andamento è direttamente


proporzionale alla concentrazione plasmatica

146
b) Il riassorbimento è fino ad un certo livello direttamente proporzionale alla
concentrazione plasmatica e poi si ha la saturazione e il riassorbimento non
aumenta più nonostante la concentrazione plasmatica di glucosio aumenti. Quindi
il glucosio presente nel sangue che il rene non riesce a riassorbire comparirà nelle
urine.

c) L’escrezione del glucosio è nulla finchè non si arriva alla soglia renale. Da lì in poi
comparirà glucosio nelle urine.

In realtà però si è visto sperimentalmente che il glucosio compare nelle urine ben prima
del valore soglia, a un valore inferiore a 200 mg/mL e questa è stata definita la SOGLIA
RENALE REALE.
Questa è la curva effettiva

La soglia renale è a circa 160 e in corrispondenza di questa concentrazione plasmatica la


curva del riassorbimento inizia a discostarsi dalla retta della filtrazione quindi vuol dire
che non tutto il glucosio filtrato viene riassorbito e vuol dire che una parte verrà escreto
infatti comincia a comparire glucosio nelle urine. Il raggiungimento del trasporto
massimo non è con un angolo netto ma c’è un andamento curvo e si raggiunge la
saturazione un po’ dopo il valore di 300 quindi dopo la soglia renale teorica.
L’andamento dell’escrezione diventa parallelo a quello della filtrazione, quindi
proporzionale alla concentrazione plasmatica un po’ dopo la soglia teorica.
Il motivo di questo andamento sta nel fatto che il riassorbimento del glucosio avviene con
un trasporto attivo secondo un meccanismo di trasporto attivo secondario, quindi servono
dei trasportatori. I trasportatori sono in numero limitato e questo spiega la saturazione, ma
siccome non tutti i nefroni hanno lo stesso numero di trasportatori può succedere che in
alcuni nefroni i trasportatori sono di meno e quindi lasciano sfuggire il glucosio prima di
arrivare a 300, altri hanno più trasportatori e quindi riescono a riassorbire il glucosio anche
oltre alla soglia teorica.
La soglia teorica si calcola dividendo il trasporto massimo che nell’uomo è 375 mg/mL per
la velocità di filtrazione glomerulare che è di 125 mL/min.
Il meccanismo di trasporto attivo a livello cellulare nel tubulo prossimale per il glucosio
consiste in un processo di trasporto attivo secondario basato sulla presenza di un
trasportatore di membrana sulla membrana apicale che ha un sito di legame per il glucosio
147
e un sito di legame per il sodio. Il Na+ entra nella cellula e segue il suo gradiente di
concentrazione e elettrochimico, quindi trascina dentro anche il glucosio, trasportati
all’interno grazie al trasportatore SGL T1 o T2. La concentrazione del Na+ all’interno della
cellula è bassa e quindi favorisce l’entrata, quella del glucosio all’interno è alta quindi è
necessario un aiuto. Una volta dentro la cellula tubulare prossimale, il glucosio passa
attraverso la membrana basolaterale verso il liquido interstiziale grazie alla diffusione
facilitata con un trasportatore chiamato Glut 5, invece il Na+ viene espulso dalla pompa
sodio-potassio.

• RIASSORBIMENTO DEL SODIO


Il sodio viene riassorbita quasi completamente perché è uno ione importante per i liquidi
extracellulari. Il Na+ viene riassorbito sia nel tub prossimale che nell’ansa che nel tub
distale e nel dotto collettore.
Il Na+ viene riassorbito con meccanismi diversi: nel tub prossimale è riassorbito in
accoppiamento con altre sostanze (con glucosio o con amminoacidi o in scambio con
protoni) perché la membrana apicale non è permeabile al Na+ quindi serve un sistema per
rendere possibile l’entrata al Na+. Sulla membrana basolaterale invece c’è la pompa sodio-
potassio.
Nel tubulo distale e nel dotto collettore invece il trasporto può venire o in cotrasporto con
lo ione cloro ma anche grazie alla presenza di un canale (che non è voltaggio dipendente e
la cui presenza dipende dalla presenza dell’aldosterone).
Il riassorbimento del Na+ è associato ad altri tipi di riassorbimento come quello degli
amminoacidi, del fosfato, alla secrezione dell’H+. Questi processi nella membrana apicale.
Nella membrana basolaterale il riassorbimento del Na+ è associato al cotrasporto con il
fosfato o alla pompa o il cotrasporto con il bicarbonato.
Nel tratto ascendente spesso dell’ansa di Henle il riassorbimento del Na + è attivo ed è una
pompa che riassorbe sodio, potassio e due clori. Questo non serve tanto al riassorbimento
del sodio ma serve più che altro a creare un gradiente osmotico nella midollare.
Nel tubulo distale il sodio entra e viene riassorbito solo se è presente aldosterone. Il canale
ENaC viene inserito nella membrana solo in presenza di aldosterone, questo canale
permette l’ingresso del sodio, poi sodio può essere seguito anche dal cloro.

148
Il riassorbimento del Na+ è regolato dall’aldosterone e il controllo dell’aldosterone si attua
nel tub distale e nel dotto collettore. Il controllo della secrezione dell’aldosterone è sotto il
controllo del sistema renina-angiotensina-aldosterone. L’aldosterone viene prodotto dalla
porzione più esterna della corticale del surrene e lo stimolo è la presenza di angiotensina 2
nel plasma, che è un peptide che deriva dall’angiotensina 1 che a sua volta deriva dalla
trasformazione di un altro peptide plasmatico di origine epatica ad opera della renina che
è secreta dal rene, dalle cellule iuxaglomerulari. Lo stimolo che induce le cellule a
secernere renina è rappresentato da una riduzione di contenuto di sodio nel filtrato, dalla
riduzione del volume del liquido extracellulare e dalla riduzione di pressione arteriosa che
risulta in una diminuzione della VFG. Sia il ridotto flusso del filtrato a livello del tubulo
distale, sia la ridotta concentrazione di sodio sono percepiti dalle cellule della macula
densa che emette dei segnali paracrini che stimolano le cellule granulari a secernere
renina. La renina stacca degli amminoacidi dell’angiotensinogeno, diventa angiotensina I
che viene trasformata dall’enzima ACE in angiotensina II che va a stimolare la porzione
corticale della ghiandola surrenale la zona più esterna che secerne aldosterone che va ad
agire sul rene, sui tubuli distali e dotti dove favorisce il riassorbimento di sodio e il cloro
segue passivamente. Quindi abbiamo ritenzione di sodio e cloro. Sodio e cloro trattengono
osmoticamente più acqua nel liquido extracellulare e quindi c’è ritenzione di acqua.
L’angiotensina II ha anche altri effetti: stimola la secrezione di ormone antidiuretico dalla
parte posteriore dell’ipotesi che va ad agire sul dotto collettore aumentando la
permeabilità delle pareti all’acqua quindi ne favorisce il riassorbimento; stimola il senso di
sete quindi induce un comportamento che ci porta ad introdurre liquidi e questo porta ad
un aumento del contenuto di liquido; esercita azione vasocostrittrice sulle arteriole.

C’è anche un altro peptide che controlla il riassorbimento del sodio che è il peptide atriale
natriuretico (ANP) prodotto dalle cellule muscolari dell’atrio destro. Questo peptide viene
secreto quando aumenta il contenuto di sodio nei liquidi extra cellulari, quando aumenta il
volume e quando aumenta la pressione arteriosa. Questo peptide viene rilasciato nel
sangue e va a inibire il riassorbimento di sodio da parte dei tubuli renali, inibisce il sistema
renina-angiotensina-aldosterone, fa rilassare il muscolo liscio delle arteriole afferenti,
inibisce il sistema nervoso simpatico. Quindi avremo nel rene un ridotto riassorbimento di
sodio quindi aumento dell’escrezione urinaria di sodio e aumento di escrezione di acqua.
Nelle arteriole invece avremo vasodilatazione quindi aumenta il flusso e la VFG e
aumento della filtrazione di acqua e sodio e siccome non c’è riassorbimento aumenta
l’escrezione. Nel sistema simpatico avremo diminuzione della gittata cardiaca e
diminuzione della resistenza periferica totale quindi una diminuzione della pressione
arteriosa.

• RIASSORBIMENTO DEL POTASSIO


Il potassio viene riassorbito nel tubulo prossimale. Ancora non è noto il meccanismo: può
passare nella membrana apicale secondo un gradiente di concentrazione che richiede un
trasporto attivo e nella membrana basolaterale attraverso dei canali, oppure può seguire la
via paracellulare.
Nel tubulo distale avviene prevalentemente la secrezione che è il processo inverso del
riassorbimento, cioè il passaggio di sostanze dal sangue nel liquido interstiziale, attraverso
la cellula tubulare poi nel lume. La secrezione può riguardare sia sostanze che vengono
filtrate sia sostanze come il potassio. La secrezione serve ad aumentare l’escrezione di
sostanze che devono essere eliminate. La secrezione del potassio avviene solamente nel
149
tubulo distale e nel dotto collettore ed è sotto il controllo ormonale dell’aldosterone. La
presenza di aldosterone nel sangue permette l’inserimento di canali per il potassio sulla
membrana apicale della cellula del tub distale. La secrezione di aldosterone, oltre che dal
sistema renina-angiotensina-aldosterone, può anche essere stimolata in maniera più
diretta da un aumento della concentrazione plasmatica di potassio. Il K+ nel liquido
extracellulare del sangue deve essere presente in quantità molto molto basse perché
altrimenti può provocare scompensi, alterazioni dell’attività cardiaca e anche cerebrale.
Per cui c’è un meccanismo di controllo diretto per cui se aumenta la concentrazione di K+,
la ghiandola surrenale secerne aldosterone che va a determinare un aumento
dell’escrezione di questo ione a livello del tubulo distale. Quindi il K+ passa per diffusione
secondo gradiente di concentrazione attraverso la membrana basolaterale, entra nella
cellula tubulare attraverso la pompa sodio-potassio e se sono presenti dei canali entra nel
lume per trasporto passivo e viene escreto.

L’urea è una molecola che viene sintetizzata dal fegato per poter eliminare l’ammoniaca in
maniera non tossica. L’ammoniaca è in forma tossica quindi per renderla non tossica deve
essere in forma molto diluita e questo richiederebbe l’eliminazione di grandi quantità di
acqua che invece non è conveniente per il nostro organismo. Per questo è stata inventata
questa soluzione formata da due molecole di CO2 e una di ammoniaca. L’urea viene
filtrata e si trova ad essere concentrata soprattutto nella parte distale del tubulo perché
sono stati riassorbiti sodio e acqua, quindi circa la metà dell’urea riesce a rientrare nel
sangue. Questo non è ideale dal punto di vista della sua eliminazione però ha un effetto
che può essere utile in quanto la sua presenza determina un aumento dell’osmolarità nella
porzione più profonda della midollare del rene.

CLEARANCE RENALE
Ci permette di valutare la funzionalità renale e di valutare come il rene elabora certe
sostanze.
Clearance= depurazione
La clearance è una misura della capacità del rene di ripulire il sangue da determinate
sostanze.

150
Queste frasi derivano da questa equazione:

La clearance è il volume di plasma che viene ripulito da una determinata sostanza


nell’unità di tempo, quindi l’unità di misura è 1 volume/min.
Se una sostanza non viene né riassorbita né secreta, tutta la sostanza che è stata filtrata si
ritrova poi nelle urine e quindi si può dire che la clearance di questa sostanza è uguale alla
clearance dell’inulina. L’inulina è una sostanza che viene filtrata ma non viene né
riassorbita né secreta e poi viene eliminata. Quindi la clearance della sostanza che non è né
riassorbita né secreta è uguale alla filtrazione glomerulare.

Q= carico escreto

L’inulina è un polisaccaride del fruttosio, che si trova per esempio nelle cipolle, che non è
presente nel nostro organismo ma può essere introdotto perché ha le proprietà di essere
liberamente filtrata, non essere riassorbita e non essere secreta. Quindi tutta l’inulina che
viene filtrata sarà poi escreta nelle urine.

Clearance dell’inulina
151
Clearance del glucosio

Clearance dell’acido para-amminoippurico (PAH)

Nella pratica clinica la valutazione della clearance dell’inulina è utile per vedere la
funzionalità renale, quindi la velocità di filtrazione glomerulare. Nella pratica clinica si usa
152
comunemente per una prima valutazione la creatinina, anziché l’inulina perché l’inulina
non è presente nel nostro organismo quindi bisognerebbe iniettarla, invece la creatinina
deriva dal metabolismo muscolare. La differenza è che la creatinina è leggermente secreta
quindi la sua clearance sarebbe un po’ superiore a quella dell’inulina.
Se da questo primo dosaggio viene fuori che la clearance è molto diversa dal valore atteso
allora bisogna andare con altre indagini.
La clearance del glucosio serve per capire se il glucosio è completamente riassorbito.
La clearance dell’acido para-amminoippurico (PAH) serve per valutare il flusso
plasmatico renale perché questa sostanza, che non è presente nell’organismo quindi deve
essere iniettata, viene liberamente filtrata e poi viene completamente secreto a livello dei
tubuli e nel sangue che esce dal rene non c’è quasi più PAH.

a) Inulina: viene filtrata, viene riassorbito il plasma, l’acqua ma non l’inulina, quindi
l’inulina che lascia l’organismo ha liberato un certo volume di plasma che è la
clearance.
b) Glucosio: viene completamente riassorbito quindi la sua clearance è 0 perché
nessun volume di plasma è stato ripulito dall’inulina
c) Urea: viene riassorbita per metà e solo una parte del plasma filtrato viene depurata
da quella sostanza.
d) Ione idrogeno: viene sia filtrato che secreto quindi la quantità di plasma ripulito è
la quantità che conteneva tutte queste molecole che sono state eliminate. Quindi
l’intero volume di plasma filtrato viene depurato dalla sostanza e anche il plasma
peritubulare da cui la sostanza è rimossa per secrezione ne viene depurato.

RIASSORBIMENTO DELL’ACQUA
Avviene lungo tutto il nefrone. Ci sono tratti in qui il riassorbimento dell’acqua è
obbligatorio, quindi non soggetto a controllo e altri tratti come il tub distale e dotto
collettore in cui il riassorbimento è soggetto a controllo ormonale.
Nella corticale l’osmolarità è uguale a quella plasmatica cioè 300mOsm/L, mentre nella
midollare c’è un gradiente verticale da 300 fino a 1200 mOsm/L. questo gradiente è
fondamentale per il riassorbimento dell’acqua e questo gradiente è generato da un
meccanismo chiamato moltiplicazione controcorrente che sfrutta le diverse proprietà
dell’ansa di Henle nei due tratti ascendente e discendente per creare questo gradiente.
Per il riassorbimento dell’acqua occorrono dei canali specifici chiamati acquaporine. Nel
tubulo prossimale non è importante che ci sia questo gradiente verticale perché il tub
prossimale si trova tutto nella corticlale quindi l’ambiente esterno è 300mOsm/L. il
passaggio degli ioni come sodio che entrano e escono cloro, calcio creano un gradiente
osmotico e questo permette all’acqua di passare dal lume al liquido interstiziale. È
possibile questo passaggio perché nelle cellule del tub prossimale ci sono canali per
l’acqua sia sulla membrana apicale che in quella basolaterale. Nel tub prossimale l’acqua
può passare anche tra le cellule perché le giunzioni serrate sono poco serrate.
Nel tubulo distale invece ci sono canali per il sodio, anche qui la forza che fa spostare
l’acqua è il gradiente osmotico. Anche il tub distale si trova nella corticale ma si può
verificare una differenza di gradiente osmotico perché precedentemente c’è stato il
riassorbimento di soluti e l’acqua può passare se sono presenti le acquaporine che sono
presenti solo se c’è l’ormone antidiuretico. Anche a questo livello il passaggio dell’acqua
dal lume al liq interst avviene per gradiente osmotico.

153
Nella midollare c’è un’osmolarità che cresce dal confine con la corticale all’apice della
piramide renale e va da 300 fino a 1200/1400mOsm/L.
Le proprietà funzionali dell’ansa di Henle che partecipano alla generazione del gradiente
osmotico:
- nel tratto discendente: ci sono le cellule che sono permeabili all’acqua ma non c’è
trasporto di soluti  permeabilità all’acqua, impermeabilità ai soluti;
- nel tratto ascendente: la parete è impermeabile all’acqua ma ci sono meccanismi di
trasporto attivo di soluti che portano 1 Na+, 1 K+, 2 Cl- dal lume verso il liq interst 
impermeabilità all’acqua, permeabilità ai soluti.

MOLTIPLICAZIONE CONTROCORRENTE
Si chiama moltiplicazione perché il gradiente che c’è ad ogni livello di circa 200mOsm/L a
livello orizzontale tra l’interno e l’esterno del tubulo viene moltiplicato in verticale. È
controcorrente perché nell’ansa di Henle nei due tratti il liquido scorre in direzioni
opposte.
Si parte dalla situazione ipotetica in cui l’osmolarità è uguale dappertutto e bisogna tenere
presente il riassorbimento attivo di soluti nel tratto ascendente dell’ansa e il
riassorbimento passivo di acqua nel tratto discendente. Immaginiamo che il fluido sia
fermo. Abbiamo il riassorbimento attivo di soluti che porta l’osmolarità all’interno del
fluido a 200mOsm/L e quella all’esterno a 400mOsm/L. l’aumento di osmolarità
all’esterno richiama acqua dal tratto discendente dell’ansa che quindi passerà da 300 a
400mOsm/L. poi immaginiamo di far riprendere lo scorrimento del fluido, quindi nuovo
liquido filtrato a 300mOsm/L entra nell’ansa di Henle e una parte ne esce a 200mOsm/L.
immaginiamo poi di fermare di nuovo il liquido e far si che riprendano i processi di
riassorbimento attivo, quindi nel tratto ascendente l’osmolarità diventa 150mOsm/L e
all’esterno 350mOsm/L. La massima differenza di osmolarità contro cui possono avvenire
i trasporti attivi è di 200mOsm/L. Contemporaneamente nel tratto discendente il liquido
si metterà in equilibrio con il liquido nell’interstizio. Poi si ricomincia con il movimento e
nuovo fluido arriva, poi riprendono i movimenti di soluti e acqua e si arriva quindi ad un
ulteriore stratificazione dell’osmolarità fino a che si arriva ad una situazione stazionaria,
non più modificabile, dove si avrà all’apice del tratto ascendente dove sbocca il tub distale
si può raggiungere un’osmolarità di 100mOsm/L, all’apice dell’ansa, nella parte più
profonda si può raggiungere un’osmolarità di 1200 o 1400 mOsm/L, all’apice del tratto
discendente dove sbocca il tub prossimale si può raggiungere un’osmolarità di 300
mOsm/L.
Quindi seguendo il flusso del filtrato nel tratto discendente abbiamo un’osmolarità
crescente, nel tratto discendente andando verso l’alto si avrà un’osmolarità discendente. Se
abbiamo cambiamenti nell’interstizio, questi si ripercuotono nel tratto discendente perché
è permeabile all’acqua ma non si ripercuotono nel tratto ascendente.

- Se non c’è l’ormone antidiuretico le pareti del tubulo distale e del dotto collettore
sono impermeabili all’acqua quindi il liquido che vi scorre rimane iposmotico. In
queste condizioni avremo l’eliminazione di una grande quantità d’urina con bassa
osmolarità
- Se c’è l’ormone antidiuretico le pareti del tubulo distale e del dotto collettore
diventano permeabili all’acqua, quindi l’acqua può essere riassorbita e l’osmolarità
154
del liquido nei condotti si mette in equilibrio con quella esterna. In questa
condizione si può avere l’escrezione di una ridotta quantità di urina con elevata
osmolarità. Il minimo volume di urina che può essere prodotta è di 400/500mL e la
più elevata osmolarità è 1400 mOsm/L.

Normalmente abbiamo una situazione intermedia con la produzione di 1,5 L di urina con
un’osmolarità variabile dai 500 agli 800 mOsm/L.

L’ormone antidiuretico o vasopressina (Adh) è prodotto dall’ipofisi posteriore in risposta


a determinati stimoli e si trova nel sangue. È un ormone peptidico. Raggiunge le cellule
del tub distale e del dotto collettore e si lega a recettori di membrana. Questo legame
provoca l’attivazione di una proteina G che attiva l’adenilato ciclasi che sintetizza l’AMP
ciclico che favorisce attraverso la fosforilazione la sintesi e l’inserimento di acquaporine 2
sulla membrana apicale della cellula. Queste acquaporine possono già essere presenti in
vescicole intracitoplasmatiche e quindi quando arriva il segnale rappresentato dal secondo
messaggero queste vescicole vanno a fondersi con la memb plasmatica e queste
acquaporine verranno a trovarsi nella memb apicale. Oppure possono essere sintetizzate
ex novo. Le acquaporine 3 invece sono sempre presenti nella membrana basolaterale.
L’Adh, oltre a stimolare l’inserimento delle acquaporine già presenti, si può arrivare a
stimolare la sintesi di nuove acquaporine 2.
I vasa recta sono capillari che hanno andamento parallelo a quello dell’ansa di Henle.
Questa tipica conformazione permette ai capillari di non disperdere il gradiente osmotico.
I capillari sono permeabili quindi l’acqua che viene riassorbita passa nei capillari, come
anche tutti i soluti accumulati nell’interstizio. A livello dei capillari avviene lo scambio
controcorrente che evita di disperdere il gradiente osmotico.
Il capillare, vasa recta, entra nella corticale e poi nella midollare. Man a mano che entra
nella midollare si mette in equilibrio il plasma con l’interstizio quindi assorbe soluti e cede
acqua. Poi man a mano che sale verso la corticale avviene il processo inverso, cioè i soluti
vengono ceduti e l’acqua viene riassorbita.
Quindi alla fine il capillare che lascia la midollare si porta via solo 25mOsm/L e questo
spiega perché il meccanismo deve continuamente funzionare per mantenere questa
differenza di osmolarità.
Questo meccanismo è analogo a quello che viene sfruttato nei vasi del nostro corpo,
soprattutto quelli degli arti per limitare la dissipazione del calore.

155
REGOLAZIONE DEL RIASSORBIMENTO DELL’ACQUA
La regolazione avviene nel tubulo distale e dotto collettore.
Il gradiente osmotico creato dalla moltiplicazione controcorrente è un requisito
indispensabile, che c’è sempre. Se è presente l’ormone, l’acqua può essere riassorbita in
virtù del gradiente osmotico.
L’ormone antidiuretico (ADH) o vasopressina è prodotto dall’ipotalamo e liberato a
livello dell’ipofisi posteriore. Gli stimoli che inducono la secrezione di ADH sono:
1- aumento di osmolarità superiore a 280mOsm  l’osmolarità viene percepita da
osmocettori ipotalamici che sono dei neuroni che quando registrano un aumento di
osmolarità dell’interstizio si raggrinzano e costituisce lo stimolo per una scarica di
potenziale d’azione che viene comunicata ai neuroni neurosecretori che rilasciano
vasopressina che poi a livello dell’ipofisi posteriore viene immessa nel sangue,
tramite il sangue raggiunge il tubulo distale e il dotto collettore e favorisce
l’inserimento delle acquaporine 2 sulla membrana apicale. Visto che il gradiente è
già presente l’acqua si può spostare dal lume del tubulo all’interstizio e poi al
capillare. I fluidi corporei hanno un’osmolarità di 300mOsm e questo ci dice che c’è
sempre una secrezione tonica basale di una minima quantità di ADH e questo viene
dimostrato dal fatto che le urine hanno un’osmolarità maggiore di quella del
plasma, quindi vuol dire che c’è un riassorbimento di acqua.
2- riduzione dello stiramento atriale dovuto ad un ridotto volume ematico  è
innescata da barocettori di volume dell’atrio nelle grandi vene
3- riduzione della pressione arteriosa  è innescata da barocettori aortici e carotidei
2 e 3 trasportano queste informazioni tramite fibre afferenti sensoriali che viaggiano nel IX
e X nervo cranico e raggiungono l’ipotalamo dove stimolano la secrezione di vasopressina.
Questi tre stimoli, una volta raggiunti i neuroni ipotalamici che sintetizzano vasopressina,
condividono poi lo stesso percorso, cioè la vasopressina viene rilasciata dall’ipofisi
posteriore e viene immessa nel sangue, tramite il sangue raggiunge il tubulo distale e il
dotto collettore e favorisce l’inserimento delle acquaporine 2 sulla membrana apicale.
Visto che il gradiente è già presente l’acqua si può spostare dal lume del tubulo
all’interstizio e poi al capillare. I fluidi corporei hanno un’osmolarità di 300mOsm e questo
ci dice che c’è sempre una secrezione tonica basale di una minima quantità di ADH e
questo viene dimostrato dal fatto che le urine hanno un’osmolarità maggiore di quella del
plasma, quindi vuol dire che c’è un riassorbimento di acqua.
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Questi tre stimoli possono anche non verificarsi tutti e tre, cioè si può avere riduzione di
volume ematico senza variazione di osmolarità o si può avere variazione di osmolarità
senza riduzione di volume, mentre riduzione di volume e riduzione di pressione arteriosa
sono collegati.

Per esempio se mangiamo cibo salato o mangiamo ma non beviamo, possiamo avere un
aumento di osmolarità del sangue. Quindi avremouna serie di risposte:

157
RIFLESSO DELLA MINZIONE

La minzione è lo svuotamento della vescica.


Il prodotto dell’attività dei reni, quindi tutto quello che arriva alla fine del dotto collettore
quindi nella pelvi renale viene poi eliminato. Viene inviato alla vescica tramite gli ureteri e
raccolto nella vescica che poi periodicamente si svuota verso l’esterno.
La vescia è un organo cavo la cui parete è di muscolatura liscia ed è chiamato muscolo
detrusore e ha il compito di raccogliere l’urina per evitare una perdita continua. È chiusa
da due sfinteri: uno sfintere uretrale interno costituito da un anello di muscolatura liscia
che viene tonicamente tenuto chiuso da una stimolazione simpatica e poi c’è lo sfintere
uretrale esterno che è un ispessimento della muscolatura scheletrica nel pavimento pelvico
ed è tonicamente tenuto chiuso da una scarica dei motoneuroni spinali.
Nella parete della vescica ci sono anche dei meccanocettori di distensione. La vescica può
contenere fino a 300/400 mL di urina senza variare apprezzabilmente la pressione al suo
interno. Oltre i 300/400 mL di urina la pressione inizia a salire e può addirittura arrivare a
provocare l’apertura degli sfinteri senza che ci sia l’attivazione del riflesso.
In condizioni normali lo svuotamento avviene con un meccanismo riflesso.
158
Questo meccanismo riflesso ha il suo circuito nel midollo spinale sacrale e che può essere
controllato grazie alle vie discendenti della corteccia cerebrale. È una capacità che si
acquisisce intorno ai 2 anni di età e si può perdere in condizioni di lesioni del midollo
spinale.
Il riflesso avviene in questo modo: man a mano che la vescica si riempie vengono stimolati
i recettori di stiramento che con le fibre arrivano al midollo spinale e stimolano una via
parasimpatica che innerva la muscolatura liscia della vescica provocandone la contrazione.
Contemporaneamente viene inibito a livello del midollo spinale il motoneurone somatico
che innerva lo sfintere esterno, che quindi si apre, e anche la via simpatica che innerva lo
sfintere interno, quindi gli sfinteri si aprono, la muscolatura liscia della vescica si contrae e
l’urina viene spinta fuori e si ha la minzione.
Ci può essere un’inibizione di questo riflesso se il momento non è opportuno a che si
verifichi lo svuotamento. Quindi la corteccia cerebrale può stimolare fortemente il
motoneurone che chiude lo sfintere uretrale esterno, superando l’azione inibitoria dei
meccanocettori. Quindi lo sfintere esterno rimane chiuso e non si ha la minzione.

La corteccia motrice viene informata del riempimento della vescica grazie alle fibre
afferenti sensitive che inviano delle proiezioni ai centri superiori. Le fibre sensitive
afferenti hanno 3 effetti: stimolano la via parasimpatica che fa contrarre la muscolatura
liscia della vescica, inibiscono la via simpatica tramite i nervi pelvici che tiene tonicamente
chiuso lo sfintere interno e quindi questo si apre, inibiscono il motoneurone somatico che
tiene tonicamente chiuso lo sfintere esterno e quindi anche questo si apre. Se il momento
non è opportuno prevale il controllo corticale sul motoneurone spinale che continuerà
quindi a tener chiuso lo sfintere.

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Domande prof Fabri appello 5.02.2021
1) Riflessi spinali? Innervazione anulospirale che avvolge le fibre
2) Che fibra è?
3) Cartteristiche della fibra 1°
4) Riflesso tendineo del Golgi
5) La fibre afferente del riflessopatellare dove va ? Passa per Clark (nucleo toracico di
clark) passa omolaterlamente perché al cervelletto gli stimoli sono omolaterali o
hano una doppia decussaszione partono le due vie cuneo cerbellare.
6) Dove vanno le afferenze ascendenti? Al cervelletto le incoscenti. Con queste
informazioni cosa fa? Arrivano allo spinocerebellum se ne occupa, nel verme degli
arti nella parvermiana il collo, in particolare i nuclei ne se occupano. Cosa fanno?
Controllano l’esecuzione, il piano arriva al cerebrocerebellum controlaterale. Le
coscienti vanno alla corteccia nel cordone con il fascicolo gracile e cuneato ma non
fanno sinapsi nel midollo ma salgono direttamente. GUARDA COSA SUCCEDE
NEL CONFRONTO.
7) Segregazione delle informazioni?
8) Le 4 aree della corteccia somatosensoriale primaria? Sono la 3a (riceve infromazioni
propriocettive da tendineo di goldi e fusi neuromuscolari) 3b (riceve infro
somatosensitive) 2 1, che afferenze vanno in ognuna di queste? STA NEL
PARIETALE
9) Pressione arteriosa media e controllo (chemocettori)

10) Vie dolorifiche descrizione, a che fibre fanno capo? Percorso delle vie
11) In che parte del talamo arrivano?
12) Dove sta la corteccia somtosensoriale
13) Dal midollo al talamo questo fascio fa delle tappe dove emette collaterali? Nella
sostanza nera che poi va al nucleo del rafe
14) Modulazione del dolore mediante controlo centrale (discorso encefalina) e con
teoria cancello
15) Recettori vestibolari
16) Accelerazione lineare e angolare chi è sensibile a cosa? Accelerazione verticale
compare quando siamo in ascensore e cosa succede? Come avviene la trasduzione
cioè dalla cellula recettrice alla fibra?
17) Riflesso vestibolo oculare come test clinico diagnostico. Cosa è? Avviene anche al
buio e avviene in entrambi gli occhi. Si irriga acqua fredda e calda
18) Meccanica respiratoria con focus inspirazione ed espirazione
19) Perché aumenta la tensione superficiale? Legge di Laplace
20) Quando l’alveolo si espande il sufractante si diluisce perché deve distribuirsi quindi
aumenta la tensone superficiale

21) Vie visive centrali. Recezione dello stimolo e tasmissione


22) Le proiezioni in che lamine del genicolato arrivano?
23) Colonne di dominanza -> organizzazione colonnare
24) Dove sta l’area visiva frontale primaria? OCCIPITALE è LA 17
25) Orgnizzazione retinotopica cosa vuol dire ? Es fovea ricca di recettori ha una area di
proiezione maggiore
26) Come si dividono le vie delle cellule P e M, via dorsale e via ventrale percorso. Ma
dove finiscono? Nel temporale
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27) Ripassa area 5 7
28) Riflesso flessorio in dettaglio, che fibre ci sono
29) Fibre C e Adelta differenza
30) Viene definito anche polisegmentale
31) Uno stimolo dolorifico molto forte oltre al riflesso flessorio può provocare
attivazione del sistema vegetativo e come si manifesta? L’ortosimpatico
l’attivazione aumenta frequenza cardiaca oppure all’opposto il parasimaico ci può
far avere una reazione di schock vagale
32) Ciclo cardiaco
33) Chi modifica la frequenza cardiaca? Il sistema vegetativo simpatico
34) Senza innervazione il cuore batte lo stesso?

35) Vie motorie discendenti


36) Dove si trovano i nervi cranici? Da qui fasciocortico bulbare
37) Differenza rubrospinale e corticospinale perche movimenti delle dita dove sono?
38) Fascio vestibolo spinale?
39) Riflessi anticipatori
40) Attivazione via reticolo spinale anticipa la risposta?
41) Riflesso vestibolo oculare? Recettori effettori vie afferenti ed efferenti e centro di
integrazione bulbo 6, mesecefalo terzo
42) Emoglobina
43) Variazioni dell’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno in base a 4 fattori
44) Riflesso minzione, chi innerva la parete dell vescica? Chi sono i recettori coinvolti?
45) I motoneuroni che cotrollano lo sfintere esterno dove sono? Nel midollo sacrale
46) Come possiamo inibire lo stimolo? Corteccia motrice permette cosa? Con che
fascio?
47) Se ho lesione a livello del midollo spinale si può perdere questo controllo?
48) A che età avviene il controllo di questo riflesso?

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