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ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E

VERITÀ
Gv 4,20-26
PONTIFICIA UNIVERSITÀ GREGORIANA
FACOLTÀ DI TEOLOGIA
DIPARTIMENTO DI TEOLOGIA BIBLICA
———————————————————————

ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ

Gv 4,20-26

Tesi di Licenza Presentata da

ANTONIO LIZANDRO FOLCRÀ ZULUAGA


166131

Sotto la direzione della


Professoressa BERNADETA JOJKO

Roma 2020
INTRODUZIONE

Nonostante lo studio assai approfondito fatto nella teologia biblica di


termini fondamentali del vangelo di Giovanni, quali Spirito, verità,
testimoniare, il senso di queste parole, lungi dall’essere esaurito, mostra
ancora sfumature nuove e sorprendenti, che richiamano l’attenzione,
specialmente su ciò che significano queste parole per il nostro tempo
presente, tempo assetato di senso, di domande nuove, di creatività.
Questo lavoro intende soffermarsi sul significato di adorare il Padre in
Spirito e verità, come adorazione fatta nello Spirito e nella verità di Gesù,
senza esaurire l’argomento, ma suggerendo che il messaggio teologico di
questo brano ha una gran importanza per la nostra vita di oggi come
cristiani nel mondo e nella Chiesa.
Ancora di più, lo scopo principale di questo lavoro è fare uno sforzo per
suggerire che il bell’episodio del capitolo 4 di Giovanni, il dialogo di Gesù
con la donna Samaritana, ha un’applicazione pragmatica molto attuale in
questi momenti in cui c’è una crisi mondiale causata dalla la pandemia del
Covid 19, senza dubbio uno dei più importanti segni dei tempi avvenuti
nella storia del presente secolo.
La Parola di Dio non può essere staccata dagli avvenimenti e dalla vita
odierna. Ogni lavoro scientifico e spirituale sulla teologia biblica porta allo
stesso tempo la convinzione che la finalità della Parola di Dio è
principalmente la vita, il fatto che la Parola di Dio esiste solamente per
essere vissuta e per trasformare la nostra vita; per questo ci è stata donata.
Alla fine di questo lavoro si potrà vedere come il senso profondo
dell’adorare il Padre in Spirito e verità vuol gettare luce sulla sofferenza e
sulla solitudine del nostro mondo attuale, in questi momenti così difficili ed
oscuri nei quali si vede coinvolta l’umanità intera. L’adorazione del Padre,
la preghiera, è oggi l’autentica sorgente di forza, di vita, di speranza, per
una umanità assetata. Oggi la sofferenza del mondo trova luce solo nella
4 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

sofferenza di colui che muore assetato, amando tutti e donando il suo


Spirito.
Questa sete di Gesù sull’albero della croce viene mirabilmente anticipata
nella sete di Gesù al pozzo di Sichem, sete rivelata alla donna Samaritana.
Gli adoratori che cercano il Padre adorano «immersi» nello Spirito e nella
verità di Gesù, rendono un culto nuovo «bagnati» nelle acque vive del suo
nuovo stato di vita.
Accanto a questo compito che ha la teologia biblica di essere vicina ai
segni dei tempi c’è anche il compito assai importante di lavorare con un
certo statuto dialogico. Cioè, questo lavoro si svolge principalmente
centrato nell’analisi semantica, come primo metodo di studio, ma la
maniera di fare questa analisi semantica viene aiutata dal mettere in dialogo
le correnti di diverse voci, soprattutto quelle che, provenienti dall’AT,
sboccano nel vangelo di Giovanni.
Così, si intende non sottovalutare la storia, la teologia, la forma letteraria
e il lettore contemporaneo, ma mettere in relazione e in equilibrio tutte
queste dimensioni. Questo si rivela importante nella misura in cui lo studio
di Gv 4,20-26 ci va scoprendo non solo la profondità teologica del vangelo
di Giovanni, ma la meravigliosa ricchezza dell’AT. Ragione per la quale
questo passo del dialogo tra Gesù e la donna Samaritana emerge come un
vero cuore teologico del vangelo di Giovanni, ma anche un centro
teologico nevralgico di tutta la Bibbia.
Perché si può affermare che il nostro testo di Gv 4,20-26 è un cuore
teologico dal vangelo di Giovanni e di tutta la Bibbia? La risposta può
trovarsi nella grande concentrazione teologica dei termini usati nel nostro
brano, i quali portano il lettore ad addentrarsi nelle profondità dell’AT.
Termini come Padre, Spirito, verità, adorare, essere, centrali in Gv 4,20-26,
appartengono a campi semantici varamenti ampi e capitali della rivelazione
biblica, tali come misericordia, amore, culto, timore di Dio, servizio,
prostrarsi.
Nella storia dell’esegesi, molti di questi termini hanno perso la loro
intenzione e il loro senso originario, e sono venuti interpretati di maniera
non adeguata, talvolta secondo categorie astratte, proprie del ragionamento
filosofico, ma lontane dal modo di pensare abituale della Bibbia, la quale in
sé conferisce un senso molto concreto alle espressioni.
D’altra parte, il problema principale che riguarda Gv 4,20-26 è il dove
dell’adorazione in Spirito e verità. Dove bisogna adorare, su questo monte
o a Gerusalemme? La risposta di Gesù a questa domanda supera il conflitto
per il luogo idoneo dell’adorazione, interpretato come posto attaccato a un
determinato luogo nello spazio, a una determinata appartenenza a una etnia
o nazione. Gesù porta la Samaritana e i lettori al di là di queste limitazioni,
INTRODUZIONE 5

per rivelarci che il luogo dell’adorazione in Spirito e verità è lo Spirito,


cioè la stessa persona di Gesù, la sua vita, che è il nuovo e definitivo
Tempio dove l’umanità può entrare in comunicazione e in comunione con
Dio.
Dove adorare? Dove comunicare con Dio, dove stabilire una relazione
vera con Lui? Su questo monte o a Gerusalemme? Certamente il luogo non
è una chiusura solipsista nella propria anima come neanche lo è lo stare
legato a una località o una nazione particolare. Il luogo della nuova
adorazione indicata da Gesù è lo stare nello Spirito nel quale converge la
intera umanità, umanità senza barriere né frontiere, umanità unita e
solidale, umanità che nel cuore del Padre non ha distinzione tra uomo o
dona, schiavo o libero, giudeo o greco. Umanità che a volte fa nascere le
grandi prove, come l’attuale crisi mondiale lo dimostra.
Adorare è anche testimoniare. Arrivati a questo punto è importante
segnalare che il IV Vang. preferisce il linguaggio di testimoniare a quello
di proclamare (Mc 1,4; Mt 4,17) o evangelizzare (Lc 3,18). Non bastava
più proclamare il vangelo (che era messo sistematicamente in dubbio dalla
sinagoga e da altri, ed era necessario difenderlo). Il IV Vang. è scritto in
termini di testimonianza, di confessione intrepida della fede. Questo
emerge come un imperativo in Giovanni: bisogna rendere vera
testimonianza, bisogna testimoniare la verità.
Al termine di queste considerazioni introduttive proponiamo il piano di
studio suddiviso in quattro capitoli: nel Cap. I inquadreremo la pericope di
Gv 4,20-26 nel suo contesto immediato, prossimo e remoto, analizzeremo
una questione testuale e gli elementi linguistico-sintattici. Nel Cap. II ci
concentreremo sul fare l’analisi semantica ed esegetica dei principali
termini presenti nella pericope e il loro sviluppo. Nel Cap. III offriremo la
teologia presente in alcuni temi, come lo Spirito e la verità ed anche
l’adorazione: questi saranno i concetti più espressi e sviluppati in questa
breve tesina, giacché essendo argomenti essenziali della pericope studiata,
ne proporremo le principali conclusioni teologiche. Finalmente, nel Cap.
IV tenteremo di fare una attualizzazione del tema dell’adorazione in Spirito
e verità a partire del suo significato teologico. Tutto questo seguendo
l’appello urgente che ha fatto il Papa Francesco a pensare i cambiamenti e
le nuove condizioni sociali e umane che emergono nell’era post Covid 19,
facendo di essi il principale tema di riflessione teologica.
CAPITOLO I
Caratterizzazione del testo

In questo capitolo analizzeremo la pericope di 4,20-26 partendo dalla sua


situazione nel IV Vang.. Giacché: «un passo va sempre considerato nel
contesto globale […]. È necessario quindi individuare fin dall’inizio il
contesto remoto e prossimo, la posizione occupata dalla pericope nella
progressione tematica dell’intero testo ed eventualmente la collocazione
nello sviluppo narrativo».1 In un secondo momento una breve critica
testuale e l’analisi sintattica ci daranno una prima idea dello scopo che il
testo propone.

1. Struttura
1.1 Struttura generale del Vangelo
La seguente divisione è suggerita dal Vangelo stesso:

1,1-18: prologo. Un primo inno cristiano che serve come introduzione al


racconto evangelico del percorso della Parola incarnata.
1,19-12,50: il libro dei segni. Contiene il ministero pubblico di Gesù, dove
attraverso segni e parole si rivela come l’inviato dal Padre, accolto o rifiutato
dal mondo. questi capitoli riguardano in gran parte i miracoli di Gesù e i
discorsi che li interpretano.
13,1-20,31: il libro della gloria. A coloro che lo accettano Gesù mostra la sua
gloria, mentre si accinge a ritornare dal Padre nell'«ora» della sua
crocifissione, risurrezione e ascensione. Questa parte narra ciò che è accaduto
dal giovedì sera dell'ultima Cena fino all'apparizione di Gesù ai suoi discepoli

1
W. EGGER, Metodologia, 56.
CAP. I: CARATTERIZZAZIONE DEL TESTO 7

dopo la risurrezione. Vi troviamo dappertutto il tema del ritorno di Gesù al


Padre totalmente glorificato, e la comunicazione dello Spirito della vita.
21,1-25: l'epilogo. Un ulteriore racconto delle apparizioni di Cristo risorto in
Galilea.0
1.2 Struttura del libro dei segni
Il libro dei segni si riferisce al ministero pubblico di Gesù, che è rivelato
da segni e parole come Inviato e Figlio di Dio. Questa attività di Gesù è
drammatizzata come una lotta tra luce e oscurità. La presentazione
dell'Inviato pone in evidenza la crisi, il giudizio tra due tipi possibili di
uomini: quelli che accettano Gesù e quelli che lo rifiutano.

1,19-51: La testimonianza di Giovanni Battista e dei primi discepoli.


2,1-4,42: la rivelazione del nuovo ordine in Gesù.
Due segni mostrano questo nuovo ordine, l'acqua convertita in vino e la
purificazione del tempio (cap. 2); il discorso di Nicodemo corrisponde al
primo segno (cap. 3); mentre il dialogo con la Samaritana risponde tanto al
segno dell’acqua come a quello della purificazione del tempio (cap. 4).
4,43-5,47: Gesù, il mediatore della vita e del giudizio. I due segni sono la
guarigione del figlio dell'ufficiale e del paralitico di Bethesda, con il
corrispondente discorso che chiarisce il loro significato in relazione al compito
escatologico di Gesù.
6,1-71: Gesù il pane della vita. Due segni, l'alimentazione della moltitudine e
il cammino di Gesù sull'acqua, con un discorso che espone il loro significato e
rivela Gesù come compimento della festa di Pasqua.
7,1-8,59: Gesù, l'acqua e la luce della vita. Gesù come adempimento della
Festa dei Tabernacoli; il conflitto tra i rappresentanti di Dio e del mondo.
9,1-10,42: Gesù, luce e pastore dell'umanità. Il segno della guarigione
dell'uomo nato cieco, il discorso sul Buon Pastore e Gesù come adempimento
della festa della dedicazione del Tempio.
11,1-54: Gesù risurrezione e vita. Il segno della guarigione di Lazzaro e il
complotto dei sommi sacerdoti contro Gesù.
11,55-12,50: Gesù, Re trionfante attraverso la morte. Due atti significativi:
l'unzione di Gesù e il suo ingresso a Gerusalemme, con un discorso sulla sua
glorificazione e l'epilogo del suo ministero.0
1.3 Struttura del libro della gloria
Coloro che hanno superato lo scandalo e accettato in Gesù di Nazaret la
manifestazione del Padre, ricevono la pienezza della rivelazione,
verbalmente in discorsi di addio, a livello reale con la narrazione della
passione e della risurrezione. I discorsi anticipano il senso della passione e

0
R. E., BROWN, The Gospel according to John, 138-139.
0
Ibid, 139.
8 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

il suo discorso dà una base reale a ciò che si afferma: così arriva il
momento della glorificazione di Gesù, la sua ora (13,1; 17,1). Chi
riconosce nel corpo segnato dalla morte il Signore vivente sarà benedetto; e
per questo non c'è bisogno di mani che tocchino, ma di fede che vede
(20,29).

13,1-20,3: la passione e la risurrezione di Gesù


13:1–17:26: Il Ministero di Gesù ai Discepoli nel Cenacolo
13:1–30: La lavanda dei piedi Un segno di purificazione attraverso la morte di
Gesù e l'esempio da seguire.
13:31–14:31: La partenza e il ritorno di Gesù
15:1–17: Gesù la vera vite
15:18–16:4a: L'odio del mondo per la Chiesa
16:4b–33: La gioia che supera la tribolazione
17:1–26: La preghiera della consacrazione
18:1–20:31: La morte e la risurrezione di Gesù
18:1–11: L'arresto di Gesù
18:12–27: Il processo davanti al Sommo Sacerdote
18:28–19:16a: Il processo davanti a Pilato
19:16b–42: La crocifissione e la sepoltura di Gesù
20:1–31: La risurrezione di Gesù
21:1–25: Epilogo: La Missione della Chiesa e dei suoi apostoli principali0

2. Contesto letterario
Dopo questa proposta di struttura passiamo adesso a studiare il contesto
letterario di Gv 4,20-26. Proponiamo seguire un contesto a tre livelli:
contesto immediato, contesto prossimo e contesto remoto. Questo permette
sottolineare il significato del testo studiato dentro del suo collocamento
all'interno di una particolare struttura, ma soprattutto evidenziare la
connessione tematica con il contesto prossimo, remoto e immediato.
Pertanto, esamineremo il testo (4,20-26) all’interno delle strutture proposte
più sopra per il vangelo giovanneo.
2.1 Contesto immediato
Il contesto immediato fa riferimento a quello che viene immediatamente
dopo e prima di un brano studiato. L’obbiettivo è mettere Gv 4,20-26 in
relazione con quello che lo circonda, perché solo in questa maniera viene
alla luce il senso del testo. Gv 4,20-26 lo si trova nella terza parte del
dialogo di Gesù con la Samaritana, che si trova nel libro dei segni.
L’argomento del dialogo di Gesù con la Samaritana è la rivelazione
0
G. R., BEASLEY-MURRAY, John, 91-92.
CAP. I: CARATTERIZZAZIONE DEL TESTO 9

progressiva di Gesù-Messia alla Samaritana ed è diviso, secondo I. de la


Potterie, in tre parti:

a) Vv. 7-15: Gesù si rivela come colui che dona l’acqua viva;
b) Vv. 16-19: Gesù si mostra profeta;
c) Vv. 20-26: Gesù annunzia il culto nuovo dei tempi messianici e si rivela
come Messia.0

Il testo di 4,20-26 s’incontra in un contesto immediato strettamente


collegato alla prima parte del dialogo con la Samaritana, formando una
unità ben chiara e definita. L’annunzio che Gesù fa alla Samaritana del
culto nuovo in 20-26 si incontra in stretto parallelismo con la rivelazione
che fa di sé stesso come colui che dona l’acqua viva nei vv 7-15.
Nella prima parte del dialogo con la Samaritana l’acqua viva designa la
rivelazione di Gesù, rivelazione fatta nel tempo presente, una rivelazione
che diventa oggetto dell’azione dello Spirito. La seconda parte del dialogo,
parallela alla prima, collega l’immagine dell’acqua viva- rivelazione di
Gesù - con il culto nuovo, culto fatto «in lo Spirito e la Verità».0
Per lo studio dei versetti 20-24 si deve tener presente che il dialogo di
Gesù con la Samaritana si inquadra in un contesto battesimale e geografico:
il viaggio di Gesù verso la Giudea attraverso la Samaria, regione
considerata eretica e scismatica. La missione di Gesù è universale, per ciò
Egli arriva fino agli ultimi e agli esclusi: «Gesù, il viandante, colma della
sua presenza tutta la terra promessa. Riunifica di tal modo la terra delle
promesse, spaccata dal grande scisma tra il regno del nord e il regno del
sud alla morte di Salomone (verso il 931 a.C.)».0
Gesù arriva stanco del viaggio e siede presso il pozzo. Il viaggio di Gesù
è la sua missione salvifica. il viaggio della Parola di Dio che scende dal
Padre per redimere l’umanità. La donna si accosta ad attingere acqua alla
ora sesta, un’ora dove non c’è nessuno al pozzo, scelta dalla donna apposta
per evitare i mormorii delle vicine. Gesù chiede acqua alla donna, la
Samaritana vede in Gesù un giudeo (4,12); in seguito comincia una lenta
rivelazione di Gesù che si accompagnata alla progressione della fede della
donna, progressione che passa attraverso la considerazione di Gesù come
profeta (4,19), Messia (4,26), fino alla confessione che fanno i samaritani
di Gesù come salvatore del mondo (4,42).
Il tema dell’adorazione, cuore di Gv 4,20-26 sta in stretta relazione con
la richiesta che fa la Samaritana dell’acqua viva e con il tema dei mariti
della Samaritana. Come si vedrà più avanti, nell’esposizione dei contesti
0
I. de la POTTERIE, La verità dans Saint Jean, 883.
0
Ibid, 695-696.
0
Y. SIMOENS, Secondo Giovanni, 272.
10 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

prossimo e remoto, l’acqua viva è simbolo di tutto un percorso nell’AT,


fino arrivare a essere simbolo dello Spirito Santo consegnato da Gesù nel
momento della sua morte. La vita matrimoniale della Samaritana è un altro
aspetto di grande portata simbolica, che si collega direttamente al tema
dell’adorazione.
Nel contesto del capitolo 4 di Giovanni il senso che Gesù dà a questa
vita matrimoniale della Samaritana non si riferisce ai mariti che può aver
avuto nella sua vita personale, ma si riferisce a Dio come unico sposo del
suo popolo, e alla storia di infedeltà del popolo di Israele che è presente
nella Bibbia. L’immagine dello sposo allude all’alleanza fatta tra Dio e il
suo popolo, alleanza tante volte rotta, ogni volta che il popolo di Israele si
allontana di Dio quale vero Sposo per seguire gli idoli.
Nella scena ulteriore di Gv 4,35-37 si rafforza questo legame tra
adorazione-culto e vincolo sponsale tra il popolo e il Dio personale rivelato
da Gesù. «Ecco, io vi dico: levate i vostri occhi e guardate i campi che già
biondeggiano per la mietitura. E chi miete riceve salario e raccoglie frutto
per la vita eterna, perché ne godano insieme chi semina e chi miete» (4,35-
36).
Più avanti, nella descrizione del contesto dell’AT verrà notato come nel
profeta Osea questa osservazione di Gesù sui campi che producono i frutti
per la mietitura fa riferimento alla fecondità che nasce dall’avere Dio come
sposo. Così, l’adorazione in Spirito e verità diventa il compimento e la
pienezza delle promesse di vita e di felicità fatte nell’AT.
La scena dei samaritani che vengono da Gesù e lo pregano di restare con
loro (4,40-42) conclude il contesto immediato di 4,20-26. Il viaggio di
Gesù dalla Giudea alla Galilea, passando dalla Samaria, è descritto nel cap.
4, e si conclude con l'ospitalità dei samaritani. Attraverso l’ospitalità, uno
dei valori più importanti della cultura mediterranea, è superata la sfiducia
abituale che c’era tra giudei e samaritani. I samaritani offrono l’ospitalità e
Gesù l’accetta, rimanendo con loro per due giorni.
Gesù come il Messia è il Figlio inviato per il Padre, inviato come la
salvezza del mondo. La Samaritana capisce che Gesù è molto di più che un
maestro, capisce che Lui è la salvezza in persona, perché nel dirle tutto
quello che aveva fatto (Gv 4,29), le offre anche il perdono dei suoi peccati.
Questa è la ragione per la quale Gesù rimane due giorni con i samaritani:
per portar loro la salvezza e il perdono. Con questo gesto resta manifesto
come la salvezza che Gesù porta non è solo per i giudei, ma per tutti i
popoli, una salvezza universale.
2.2 Contesto prossimo
CAP. I: CARATTERIZZAZIONE DEL TESTO 11

Il contesto prossimo fa riferimento alle relazioni che il brano che stiamo


studiando ha nell’insieme del vangelo di Giovanni. Questo contesto può
essere costruito scegliendo alcuni temi importanti nel vangelo di Giovanni,
come Spirito, verità, unità, sete. Più avanti, nell’analisi semantica, ci
soffermeremo specialmente nello studio dei concetti Spirito e verità, i quali
sono essenziali per capire il concetto dell’adorazione nel IV Vang.

2.2.1 Spirito e verità nel vangelo di Giovanni.


Adorare il Padre in Spirito e verità ha delle grandi risonanze nel vangelo
di Giovanni. Nel prologo il Logos, il Figlio Unigenito del Padre, è descritto
come pieno di grazia e di verità, pienezza che sgorga e viene donata a tutti
coloro che credono in Lui (1,14-17). Gesù descrive Giovanni Battista come
colui che dà testimonianza alla verità (5,33). La verità rende liberi tutti
coloro che dimorano nella Parola di Gesù (8,32). Gesù dice la verità che ha
sentito da Dio, verità che non il diavolo non possiede, ma è in Gesù, colui
che non è creduto dai giudei (8,40-46).
Gesù rivela sé stesso come la Via, la Verità e la Vita (14,6). Il mondo
non può ricevere lo Spirito di verità, il quale renderà testimonianza a Gesù
(14,17-15,26). Gesù dice la verità ai discepoli e lo Spirito di verità guiderà i
discepoli alla verità tutta intera (16,7-13). Gesù prega il Padre perché i
discepoli siano consacrati nella verità che è la Parola del Padre (17,17-19).
Gesù è venuto per rendere testimonianza alla verità. Chi è della verità
ascolta la sua voce (18,37). Pilato chiede a Gesù: «Che cos’è la verità?»
(18,38).

2.2.2 Il cammino della Parola di Dio


Il vangelo di Giovanni è il cammino di Gesù tra gli uomini. Questo
viaggio si realizza come un movimento che esce da Dio e torna a Dio. Gesù
sa che è l’Inviato dal Padre, disceso dal celo (3,13), per compiere la
missione di far conoscere il Padre ai suoi discepoli, e dopo tornare al Padre
(7,33-34; 16,5.28). Il vangelo, quindi, descrive Gesù come il viandante che
con il suo camminare colma la distanza che separa l’umano dal divino, la
terra dal cielo. Gesù stesso è la Via per conoscere il Dio che non è mai stato
visto da nessuno (1,18).0
L’evento samaritano si inquadra in questo essere in cammino che
caratterizza lo stesso essere di Gesù. Nel cammino che fa dalla Giudea alla
Galilea (4,1-42) Gesù si rivela come l’Uomo, colui che è veramente
umano. Gesù, il viandante Giudeo, il bisognoso, l’assetato, colui che dopo
il lungo viaggio attraverso una terra religiosamente ostile, incontra la

0
B. JOJKO, Su questo monte o a Gerusalemme?, 200.
12 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

Samaritana e la chiede di dargli di bere. Il camminare di Gesù ha come


scopo insegnare a camminare ai suoi discepoli nella luce e non nelle
tenebre (8,12; 11,10). Gesù percorre un itinerario attraverso le vie della
Palestina, attraverso il mondo, per andare verso il Padre e preparare un
posto ai suoi discepoli nella casa del Padre (14,2-4). Gesù, il viandante, è
allo stesso tempo il cammino, la verità e la vita (14,6). Gesù è la Via che
porta verso il padre, la Verità eterna del padre e la Vita che il padre ci offre
per mezzo di lui.0
Nel vangelo Gesù identifica le sue opere e le sue parole con quelle del
Padre. Gesù è nel Padre e il Padre è in Lui, sicché conoscere e vedere il
Padre è possibile solamente attraverso Gesù, via che conduce al Padre. Solo
a partire da questa radicale identificazione tra Gesù e il Padre si torna ad
aprire il cammino di accesso verso il Padre, giacché la comunicazione tra
Dio e la umanità era stata chiusa dal peccato del mondo. Ma il Padre,
nonostante questa relazione persa, si rivolge all’umanità e la cerca. Il
cercare del Padre coincide con l’essere in cammino del Figlio, il suo essere
Via, Verità e Vita, e in questa maniera il Padre si fa conoscere come amore
misericordioso verso il mondo.

2.2.3 Il cercare l’unità


Il viaggio che Gesù fa per avvicinarsi ai samaritani lo presenta come il
vero buon pastore (Gv 10,14-16) che cerca nella sua propria terra le pecore
smarrite, e così appare anche come il restauratore dell’unità del popolo di
Dio.
Con tutto ciò l’attività di Gesù è anche cercare così come lo fa il Padre.
Cerca la pecora smarrita, cerca i samaritani per portarli alla vera adorazione
del Padre. Insieme al grande rapporto con i sinottici (Mt 15,24), la meta di
questo cercare di Gesù come desiderio di radunare le pecore smarrite di
Israele, non è altro che fare che tutti siano uno come Lui e il Padre sono
uno, il suo desiderio di unità, espresso nella sua orazione sacerdotale (Gv
17). Lui cerca i samaritani perché loro sono figli di Giacobbe (2Re 14,34).
Gesù intende finire con questa divisione tra giudei e samaritani, e in
qualche modo denunzia il fatto che i giudei hanno fatto troppo poco per
costruire l’unità: dovrebbero essere loro a prendere l’iniziativa per aiutare i
samaritani a superare questa opposizione, e in un certo senso Gesù prende
l’iniziativa che dovrebbero prendere i giudei.
Il Dio che Gesù rivela alla Samaritana è l’immagine di un Dio che cerca,
il suo cercare lo caratterizza come redentore, aiuto, Padre e Madre. Questo
0
Ibid, 201-202.
CAP. I: CARATTERIZZAZIONE DEL TESTO 13

Dio che rivela sé stesso al suo popolo come l’aiuto e il redentore è


rappresentato da Gesù come il Padre che cerca. Con questo Gesù segna la
fine della storia del popolo samaritano, la fine di un tempo caratterizzato
dall’ignoranza e l’oscurità di un culto sincretistico, là dove il culto verso
Dio era oscurato dal culto degli idoli. Gesù è la fine di questa epoca oscura
d’idolatria e il principio di una era nuova, era dello Spirito, pienamente
corrispondente all’essere di Dio e al suo Spirito.

2.2.4 Un vangelo per la fede e la testimonianza


Il IV Vang. è stato scritto per condurre i suoi lettori a credere e a
testimoniare, a confessare coraggiosamente la fede in Cristo: «Gesù in
presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti
in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il
Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome»
(20,30-31). La conclusione del IV Vang. svela il programma di tutto il
vangelo: rafforzare la fede e resistere con fermezza nei momenti di prova e
di persecuzione. Gesù rivela progressivamente il Padre e chiama in causa i
suoi interlocutori e i lettori per una decisione personale di fede o di rifiuto
del suo messaggio e, dunque, della sua persona.
Il filo rosso che dà unità semantica al IV Vang. è dunque la progressiva
rivelazione storica di Gesù, Verbo di Dio incarnato, Figlio di Dio inviato
dal Padre, datore della vita eterna mediante segni e discorsi di rivelazione
(Gv 1–12), fino all’elevazione sulla croce e alla gloria (Gv 13–20), col
ritorno al Padre; è il dramma della doppia risposta umana: l’accoglienza
nella fede o il rifiuto della rivelazione.
La prima parte del vangelo tratta della rivelazione che Gesù fa di sé
stesso: negli incontri con Nicodemo e la Samaritana la rivelazione di Gesù
viene fatta attraverso la parola e i segni (primo e secondo miracolo a Cana).
La sua rivelazione viene accolta o rifiutata (fede oppure incredulità),
avendo come effetto la conversione di quelli che non sono giudei (i
samaritani). Questi sono principalmente temi e problemi che saranno poi
sviluppati nell'intero vangelo. Tanto la rivelazione quanto la conoscenza di
Gesù si sviluppano a spirale.0
Così, la spirale della rivelazione di Gesù nel suo incontro con la
Samaritana riprende dei temi già visti nei capitoli precedenti,
approfondendo la rivelazione dell’identità di Gesù. In Gv 1,35-42, i titoli
dati a Gesù durante la sezione narrativa della chiamata dei discepoli, come
Messia, colui di cui hanno scritto Mosè e i profeti, Gesù figlio di Giuseppe
0
R. SCHNACKENBURG, Vangelo, II, 378-379.
14 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

da Nazareth, figlio di Dio e re d’Israele, nel cap. 4 tornano, quando Gesù


viene chiamato giudeo, Signore, profeta, Messia, Salvatore del mondo.
Nelle due pericopi, i protagonisti comunicano l’incontro con Gesù, invitano
a venire e vederlo: Andrea va da Pietro, Filippo da Natanaele, la donna
Samaritana dagli abitanti di Sicar. La comunicazione dell’esperienza che
gli uomini hanno avuto di Gesù, attirandosi gli uni agli altri è una
esperienza comune dei primi discepoli tra loro e della Samaritana con gli
abitanti di Sicar. Lo scopo è triplo: condurre alla fede, testimoniarla, e
vivere una comunione di vita con Gesù.
Da Cana l’immagine dello sposalizio, ripresa poi dal Battista, è in
parallelo con l’incontro del pozzo nel cap. 4. Da Cana anche la immagine
simbolica dell’acqua si sviluppa, intimamente legata allo Spirito: acqua per
la purificazione (2,6); acqua per la rinascita dell’alto (3,5), acqua viva
(4,10.11.14; 7,39), acqua che sgorga del costato trafitto (19,34). L’episodio
della purificazione del tempio (2,13-22) rimanda alla questione del luogo
dell’adorazione posta dalla Samaritana a Gesù (4,20-24). Personaggi come
Natanaele hanno importanti relazioni con la Samaritana. Natanaele come la
Samaritana ha dei pregiudizi, tutti due restano meravigliati: Gesù li
conosce, Gesù conosce il cuore umano, il suo vedere manifesta una
conoscenza precedente soprannaturale. Natanaele, come Nicodemo, è il
giudaismo che accetta la testimonianza delle Scritture su Gesù. La
Samaritana è la rappresentante di un mondo idolatrico e scismatico, che
però accetta la testimonianza delle Scritture su Gesù. L’incomprensione di
entrambi permette a Gesù di approfondire il suo messaggio.
La progressiva rivelazione di Gesù corrisponde alla fede dei vari
personaggi che incontra: i discepoli, Nicodemo, la Samaritana e sui
paesani. Questi brevi appunti introduttivi ci sembrano sufficienti per
ricollocare il testo nel suo contesto prossimo; possiamo adesso passare ad
inquadrarlo nel suo contesto remoto, attraverso alcuni riferimenti all’AT.
2.3 Contesto remoto
Attraverso il contesto remoto vedremo quali sono i testi principali
dell'Antico Testamento che ci aiuteranno a mettere in luce l'interpretazione
di Gv 4,20-26. La storia dei samaritani è narrata in 2 Re 17, dove le ragioni
del culto sincretista dei samaritani sono già documentate. L'obiettivo del
confronto con l'Antico Testamento è di mostrare come l'incontro di Gesù
con la Samaritana sia quello di condurre i samaritani al vero culto del Padre
attraverso Gesù. L'acqua, il pozzo, la mietitura, sono i simboli che vengono
CAP. I: CARATTERIZZAZIONE DEL TESTO 15

utilizzati nell'Antico Testamento per alludere a questo vero rapporto di


amore con Dio e a questa vera adorazione.

2.3.1 La ricezione di 2Re 17 in Gv 4,20-26


L’attuale saggio dello studioso tedesco Michael Theobald mostra che
2Re 17 è un buon fondamento di Gv 4,20-26 e pertanto il testo di Giovanni
si può leggere alla luce di quel testo dell’AT. Dalle diverse interpretazioni
svolte nel suo denso articolo si può capire bene come il testo di Gv 4,20-26
effettivamente ne dipende.
La ricezione di 2Re 17 in Gv 4,20-26 è visibile in quanto la Samaritana
ha una funzione rappresentativa. Quando la Samaritana parla del «nostro
Padre Giacobbe», e quando più tardi parla «dei nostri padri» che vanno a
adorare sulla montagna, dà a sé stessa una funzione di rappresentante di
tutto il popolo di Samaria. Dentro questa idea i cinque mariti della
Samaritana vengono a essere come la infedeltà del popolo di Samaria a
Dio.0
I samaritani dovevano dare culto all’unico Dio d’Israele che era stato
rivelato dai patriarchi. Questo culto rivolto all’unico Dio d’Israele che
doveva essere praticato tanto dai giudei quanto dai samaritani viene
disgregato a causa della divisione tra il regno del Nord e del Sud, dopo la
morte di Salomone. A partire da Geroboamo, il primo re delle dieci tribù
(1Re 12,1-20), che ha eretto vitelli d’oro come simboli di Yahweh (1Re
12,29), comincia una storia d’infedeltà che è stata ripresa da tutti i
successivi re d’Israele.0
La deportazione di molti abitanti samaritani durante la conquista
dell’Assiria (721 a.C), facilitò le introduzioni dei nuovi dei che arrivavano
con gli abitanti dell’impero oppressore (2Re 17,29.32.41). A causa di
questa disastrosa situazione politico-religiosa gli dei delle nazioni straniere
avevano preso parzialmente il posto del culto di Yahweh in Samaria. I
samaritani accettavano solamente il Pentateuco come rivelazione autentica,
escludendo ogni attenzione al resto dei libri che formano il canone ebraico.
I giudei proibivano ai samaritani prender parte della ricostruzione del
tempio di Gerusalemme (Esd 4,2-3), ragione per cui i samaritani

0
M. THEOBALD, 2Kön 17,24-41 als Prätext des Gesprächs Jesu mit der Samaritanerin
(Joh 4,4-26), 161-163.
0
B. JOJKO, Su questo monte o a Gerusalemme?, 33.
16 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

costruiscono il suo proprio tempo sul monte Garizim (388 a.C.), distrutto
dai Giudei (128 a.C.).0
A questo punto è anche importante considerare che l’idea di infedeltà del
popolo di Samaria corrisponderebbe con una religiosità incompleta, che
non si era sviluppata del tutto, che non era arrivata a una rivelazione più
completa a causa della sua accettazione solamente dei primi cinque libri
della Bibbia.
Allora: dove si celebra il vero culto di Dio? Dove adoriamo Dio in
verità? proskune,w è la parola-guida di questa domanda, una parola che
significa adorazione e che si trova copiosamente tanto in Gv 4,20-26
quanto in 2Re 17,24-41: proskune,w già si trova in 2Re 17,24-41 con lo
stesso significato è legata al tema del sincretismo e della monolatria, e
dunque anche a Yahweh.
In un secondo luogo, i due testi sono anche legati dal tema della
conoscenza. I due testi affermano che non si può adorare Dio senza
conoscerlo. In questi due frammenti, la parte dell’adorazione ed il tema
della conoscenza provano che il testo di 2Re è alla base dell’interpretazione
simbolica del dialogo con la Samaritana. Con questo argomento resta
evidente come il testo di 2Re è all’origine, fondamento, del testo della
Samaritana.
Nella discussione ci sembra opportuno affermare il valore della
interpretazione allegorica e simbolica, cioè quella che, come stiamo
vedendo, presenta la Samaritana come una rappresentante del popolo di
Samaria, con la sua storia di sincretismo.

2.3.2 La ricezione di Giosuè 24 in Gv 4,20-26


Dallo sfondo biblico di 2Re 17 Gesù appare come il vero sacerdote
giudeo che insegna la vera adorazione ai samaritani. La donna Samaritana
finisce col riconoscere che, insomma, è stata questa l’incoerenza nella
storia del suo popolo. Insieme a 2 Re 17 anche Giosuè 24 è un testo che
insiste nella decisione di adorare l’unico Dio vero, mostrando una grande
molteplicità di punti di contatto con Gv 4,20-26 (il nome di Gesù in
corrispondenza con quello di Giosuè, la corrispondenza del luogo Sichem).
Nei due testi di Giosuè 24 e Gv 4 l’adeguata adorazione deve essere fatta in
«sincerità e verità» (Gs 24,14), formula che in Gv 4,23 è ripresa e spiegata
a partire dallo stesso essere di Dio, definito come «Spirito». L’adorazione
in Spirito e verità appare come la risposta umana al Dio che rivela sé stesso
come il Signore che guida la storia e redime il suo popolo.
Ma, ancora dobbiamo fare un ulteriore passo. Non è possibile capire
l’adorazione in Spirito e verità se prima non viene compresa la storia della
0
Ibid, 34.
CAP. I: CARATTERIZZAZIONE DEL TESTO 17

salvezza come storia dove appare l’identità di Dio come Padre:


«adorazione in Spirito e verità è l’attività di quelli che sono generati da Dio
attraverso lo Spirito (Gv 3,5) e sono chiamati i suoi figli (Gv 1,12)».0
Dunque, l’unione delle tribù separate dei giudei e dei samaritani in una
Alleanza e una adorazione comune non si avviene in un luogo determinato,
come nel tempio di Gerusalemme o sulla montagna, ma nel rivolgersi al
Dio unico e Padre di tutti come risposta gradita alle sue opere di salvezza.
L’adorazione in Spirito e verità crea quell’unità capace di trascendere le
discordie e le differenze storiche.
Dio cerca, e la sua iniziativa consiste nel dare i doni della sua luce, della
sua verità e del suo Spirito: queste sono le forze spirituali che possono
guidare la gente verso di Lui. Con questi doni spirituali l’adorazione supera
i limiti del tempo e dello spazio. L’adorazione in Spirito e verità, cioè,
l’adorazione escatologica dei nuovi tempi inaugurati da Gesù, non avviene
per forza in un Tempio localizzato, o su una montagna scelta da Dio, ma in
una persona, la persona stessa di Gesù, il Santo unico di Dio (Gv 6,69):
«Dio deve essere cercato e lo Spirito e la verità sono i doni di Dio per i
cercatori».0
Ma questo superamento di uno spazio localizzato non vuole in nessun
modo dire una spiritualizzazione dell’adorazione. Il luogo dell’adorazione
non sparisce, ma si fa concreto nella persona di Gesù, il Figlio inviato dal
Padre. Anzi, la persona stessa e concreta di Gesù si presenta come il vero
luogo della vera adorazione, luogo che si materializza in tutto quello che si
presenta come presenza del Nuovo Tempio, del corpo risuscitato di Gesù,
come la Chiesa, i sacramenti, i fratelli bisognosi…
L’universalità della salvezza portata da Gesù si manifesta
nell’adorazione in Spirito e verità delle comunità post-pasquali,
specialmente nell’adorazione delle comunità dei gentili, che adoravano
fuori del tempio di Gerusalemme. L’adorazione nella potenza e nella verità
dello Spirito prese luogo nelle periferie, in comunità che erano molto
disperse e distanti (1Cor 14; Col 3,26). Dio ha dato lo Spirito Santo ai
gentili (At 25) che hanno formato una casa spirituale con una adorazione
spirituale che non aveva un culto sacrificale.

2.3.3 Il simbolo dell’acqua


Per capire cosa vuol dire l’argomento dell’adorazione in Spirito e verità
dobbiamo prima capire il simbolismo dell’acqua viva, dei pozzi, e la loro
teologia.

0
O. BETZ, To Worship God in Spirit and in Truth: Reflections on John 4,20-26, 428.
0
Ibid, 429.
18 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

«L’acqua viva» (4,10-14) è l’immagine della rivelazione di Gesù. L'AT


usa il simbolo dell’acqua per parlare della Sapienza- vita identificata con la
Tora:
«L'insegnamento del saggio è fonte di vita per sfuggire ai lacci della
morte» (Prov 13,14).
«Quanti si nutrono di me avranno ancora fame e quanti bevono di me
avranno ancora sete» (Sir 24,21).
«Mi condusse poi all'ingresso del tempio e vidi che sotto la soglia del
tempio usciva acqua verso oriente, poiché la facciata del tempio era verso
oriente. Quell'acqua scendeva sotto il lato destro del tempio, dalla parte
meridionale dell'altare». (Ez 47,1)
Ugualmente il pozzo rappresenta la legge e le sue acque simboleggiano
la sapienza di Dio. Questi pozzi- leggi di Mosè arrivano al loro
compimento nell’acqua viva che è la rivelazione dei tempi messianici in
Gesù.
Il Siràcide mostra come la sapienza e la torà convergono, e sono
allegorizzate come fiumi traboccanti (Sir 24,23-29).
«Acqua viva» è anche lo Spirito comunicato da Gesù, come è ben
esplicitato nel testo di 7,38, parallelo e complementare di 4,10-14: «Chi ha
sete venga a me e beva, chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo
grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva». Ed è molto interessante il fatto
che in tutto questo contesto la festa delle capanne e il dialogo con la
Samaritana presentano, con il simbolismo dell’acqua e dei pozzi, un motivo
fortemente battesimale.0
Il fatto che Gesù incontri la donna al pozzo di Giacobbe (4,6) allude al
pozzo dove Giacobbe incontrò la futura matriarca Rachele (Gen 29,10), ed
evoca Gen 24, in cui il servo di Abramo trova una moglie per Isacco.
Questi parallelismi invitano il lettore a vedere una connessione tra le
matriarche più rappresentative d’Israele con la donna Samaritana. Questa
connessione significa che Dio non ha cercato la Samaritana sulla base del
suo passato (questione che non è rivelante per l’oggetto di questo lavoro),
ma sulla base della chiamata di Dio, attraverso la quale i samaritani
diventano una nuova comunità di fede e obbedienza (4,39). Gesù si rivela
maggiore del loro padre Giacobbe, e come scala di Giacobbe (1,50-51),
concedendo la salvezza che la semplice discendenza da Giacobbe non
poteva garantire. Come prima pietra del nuovo tempio e del pozzo nel
deserto, Gesù fornisce acqua viva alla Samaritana, che diventa discepola
rappresentativa.0

0
Ibid, 236.
Ibid, 586.
0
CAP. I: CARATTERIZZAZIONE DEL TESTO 19

2.3.4 Dai falsi mariti al vero marito


Gesù racchiude nell’immagine dell’acqua viva tutta la rivelazione della
sua Parola, della sua verità. In seguito, come una seconda tappa, questa
Parola di Gesù viene interiorizzata nel cuore del credente, compito dello
Spirito, perché la sua Parola possa dare tutti i suoi frutti.0
In fine, è importante dire una parola riguardo a una peculiarità simbolica
dei pozzi nella Bibbia, che ci servirà per capire meglio il senso profondo
della conversazione di Gesù con la Samaritana: tutte le scene di pozzi
dell’AT simboleggiano le nozze, come i matrimoni di Isacco e Rebecca
(Gen 24), di Giacobbe e Rachele (Gen 29,1-14), Mosè e Zippora (Es 2).
L’incontro di Gesù e la Samaritana presso il pozzo simboleggia nozze
d’indole molto diversa: le nozze di Dio con il suo popolo.0
La Samaritana con i suoi numerosi mariti rappresenta la sposa infedele di
Os 2. Lei farà il passo dei falsi mariti e i falsi dei al vero marito e al vero
Dio, il passo del culto falso al culto vero!
7
La loro madre, infatti, si è prostituita,
la loro genitrice si è coperta di vergogna,
perché ha detto: «Seguirò i miei amanti,
che mi danno il mio pane e la mia acqua,
la mia lana, il mio lino,
il mio olio e le mie bevande».
8
Perciò ecco, ti chiuderò la strada con spine,
la sbarrerò con barriere
e non ritroverà i suoi sentieri.
9
Inseguirà i suoi amanti,
ma non li raggiungerà,
li cercherà senza trovarli.
Allora dirà: «Ritornerò al mio marito di prima,
perché stavo meglio di adesso».
10
Non capì che io le davo
grano, vino nuovo e olio,
e la coprivo d'argento e d'oro,
che hanno usato per Baal.
11
Perciò anch'io tornerò a riprendere
il mio grano, a suo tempo,
il mio vino nuovo nella sua stagione;
porterò via la mia lana e il mio lino,
che dovevano coprire le sue nudità (Os 2,7-11).
0
I. de la POTTERIE, La verità dans Saint Jean, 695.
0
Viene fornito un breve riassunto di ciò che viene detto in modo più completo in Gv
14,26 riguardo al ricchissimo simbolo del pozzo nell’AT. Cf. J. L. SKA, La Strada e la
Casa, 205-207.
20 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

In questo testo la sposa infedele crede di ricevere i doni del pane e


dell’acqua, della lana e del lino, dell’olio e delle bevande forti, dai suoi
amanti, dai suoi baal. La sposa infedele, al posto di riconoscere che è da
Dio che vengono tutti questi doni, pensa che sono i baal a darglieli. I baal,
parola che in ebraico significa padrone e marito, si pongono al posto del
Signore. Nelle religioni cananee, essi procuravano la fertilità al suolo,
facendo piovere. Acqua, marito, Baal, amante, sposa infedele sono termini
comuni tanto a Os 2 come a Gv 4.0
Il matrimonio fa parte dello sfondo dell’incontro presso il pozzo. I sei
mariti che ha avuto la donna, come le sei giare di pietra delle nozze di Cana
(2,6), sono chiaramente, per la imperfezione del numero sei (il sette è il
numero perfetto), un richiamo del numero sette in quanto numero perfetto.
Il settimo marito dovrebbe essere il marito unico e definitivo: cioè Dio.

2.3.5 «I campi sono bianchi per la mietitura» (4,35)


Al simbolo del pozzo si aggiunge ancora il simbolo della messe, di cui
parla Gesù ai suoi discepoli al seguito del dialogo con la Samaritana,
simbolo che si trova anche in forma parallela nella profezia di Osea come
simbolo di fecondità tra Dio e il suo popolo, cioè, come simbolo di
riconciliazione, di ritorno del popolo al vero Dio che è il suo vero marito,
espresso nei samaritani che credono, accogliendo la rivelazione di Gesù
nelle sue parole e nella sua propria persona: «Perciò, ecco, io la sedurrò, la
condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore… Ti farò mia sposa per sempre,
ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nell'amore e nella
benevolenza…, la terra risponderà al grano, al vino nuovo e all'olio e questi
risponderanno a Izreèl» (Os 2,16-24).
Troviamo che i principali elementi visti fino qui hanno un quadro: il
simbolo del pozzo spinge il senso del racconto verso le nozze definitive del
popolo con Dio che si esprime con l’adorazione fatta con un culto vero,
fatto in Spirito e verità e il simbolo delle messi simboleggiano i samaritani
che ritornano al vero marito, capace di rendere la vita feconda: «Voi non
dite forse: “Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura”? Ecco, io vi dico:
alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la
mietitura» (Gv 4,35).0

3. Testo e una traduzione

0
J. L. SKA, La Strada e la Casa, 205-207.

0
Ibid, 203-204.
CAP. I: CARATTERIZZAZIONE DEL TESTO 21

oi` pate,rej h`mw/n evn tw/| o;rei tou,tw| proseku,nhsan\ kai. u`mei/j
20

le,gete o[ti evn ~Ierosolu,moij evsti.n o` to,poj o[pou proskunei/n dei/Å


21
le,gei auvth/| o` VIhsou/j\ pi,steue, moi( gu,nai( o[ti e;rcetai w[ra o[te ou;te
evn tw/| o;rei tou,tw| ou;te evn ~Ierosolu,moij proskunh,sete tw/| patri,Å
22
u`mei/j proskunei/te o] ouvk oi;date\ h`mei/j proskunou/men o]
oi;damen( o[ti h` swthri,a evk tw/n VIoudai,wn evsti,nÅ 23avlla. e;rcetai w[ra
kai. nu/n evstin( o[te oi` avlhqinoi. proskunhtai. proskunh,sousin tw/| patri.
evn pneu,mati kai. avlhqei,a|\ kai. ga.r o` path.r toiou,touj zhtei/ tou.j
proskunou/ntaj auvto,nÅ 24pneu/ma o` qeo,j( kai. tou.j proskunou/ntaj auvto.n
evn pneu,mati kai. avlhqei,a| dei/ proskunei/nÅ 25 λέγει αὐτῷ ἡ γυνή· ⸀Οἶδα
ὅτι Μεσσίας ἔρχεται ὁ λεγόμενος Χριστός· ὅταν ἔλθῃ ἐκεῖνος, ἀναγγελεῖ ἡμῖν
⸁ἅπαντα. 26 λέγει αὐτῇ ὁ Ἰησοῦς· Ἐγώ εἰμι, ὁ λαλῶν σοι.
21
‫ ִּכי ָּת בֹוא ָׁש עָה ֶׁש ֹּלא ָּב הָר הֶַּזה וְֹלא ִּבירּוָׁש ַלי ִם ִּת ְׁש ַּת חֲוּו‬,‫ אִָּׁשה‬,‫ָאמַ ר לָּה יֵׁשּועַ׃ ״הַאֲמִינִי לִי‬
‫ (מלכים ב׳ יז׳ מא׳) אֲ נַחְנּו מִ ְׁש ַּת ֲחוִים לְמַה ֶּׁש ָאנּו‬,‫מִַּכירים‬ ִ ‫ אַ ֶּת ם מִ ְׁש ַּת ֲחוִים לְמַה ֶּׁש אֵ ינְכֶם‬22 .‫לָָאב‬
,‫ ְועַָּת ה הִיא‬,‫ אּולָם ָּת בֹוא ָׁש עָה‬23 )‫ (תהילים עו׳ ב׳‬.‫ ֶׁש ה ֲֵרי ַהי ְׁשּועָה מֵאֵת הְַּיהּודִ ים הִיא‬,‫מִַּכירים‬ ִ
24
.‫ ִּכי עֹובְדֵ י אֵל ָּכאֵֶּלה מְ חֵַּפׂש לֹו הָָאב‬,‫ֶׁש עֹובְדֵ י הָאֵל הָאֲ מִִּת ִּיים יְִׁש ַּת חֲוּו לָָאב ְּברּו ַח ּובֶאֱ מֶת‬
25
)‫״ (בראשית מא׳ לח׳–מ׳‬.‫הָאֱֹלהִים הּוא רּו ַח ְוהָעֹובְדִ ים אֹותֹו צ ְִריכִים ְל ָעבְדֹו ְּברּו ַח ּובֶאֱ מֶת‬
‫״ (ישעיהו מב׳‬.‫ הּוא יִַּגיד לָנּו ֶאת הַֹּכל‬,‫ ְּכֶׁש הּוא י ָבֹוא‬.‫ָאמְ ָרה לֹו הָאִָּׁש ה׃ ״אֲ נִי יֹודַ עַת ֶׁש ָּיבֹוא מִָׁש י ַח‬
‫ ֲאנִי הּוא‬,‫ ָאמַ ר לָּה י ֵׁשּועַ׃ ״אֲ נִי הַמְדַ ֵּבר אֵ ַלי ְִך‬26 )‫א׳‬.
I nostri padri adorarono su questo monte e voi dite che è a Gerusalemme il
20

luogo dove si deve adorare». 21Le dice Gesù: «Credimi, donna, che viene
un’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. 22Voi
adorate ciò che non conoscete; noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la
salvezza viene dai Giudei. 23Ma viene un’ora, ed è adesso, in cui i veri
adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità; infatti il Padre cerca tali
persone che l’adorino. 24Dio è Spirito, e coloro che lo adorano, in Spirito e
verità devono adorarlo. 25 Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia
(cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa». 26Le disse Gesù:
Sono io, che ti parlo» (Gv 4,20-26).
3.1 Critica testuale
A livello di critica testuale l’apparato critico del Nestle- Aland preferisce
a proposito del v. 21: «Credimi, donna», in cui si usa l’imperativo presente
pi,steue, mentre in diversi manoscritti maiuscoli si trova l’imperativo
aoristo pi,steuson. Fuori di questo caso, non ci sono più problemi testuali di
maggiore rilevanza, perciò ci limiteremo a segnalare questo unico
problema testuale, ma abbastanza significativo nel nostro testo.
De la Potterie sottolinea il tono solenne della risposta di Gesù: «Credimi,
donna». L’imperativo presente pi,steue ordina di continuare una azione già
iniziata. Non ha il senso di essere una semplice richiesta di fiducia, ha un
vero e proprio appello alla fede. L’imperativo presente esorta a una
22 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

intensificazione della fede, giacché esprime una azione duratura, passare a


credere nella novità nella quale la donna è chiamata a vivere. Per questa
ragione l’uso dell’imperativo aoristo, per trattarsi di una azione puntuale e
non duratura, non corrisponderebbe del tutto correttamente alla richiesta di
fiducia duratura che si svolge nel contesto. Infatti, la donna Samaritana non
crede immediatamente, attraverso una azione puntuale nel presente, se non
attraverso una lenta progressione della rivelazione di Gesù, come si è visto
nel contesto letterario, dove si svolge tutta una serie di scambi quasi
dialettici.
In questa maniera, la scelta che più corrisponde al contesto del brano è
quella del Nestle-Aland, cioè, l’imperativo presente pi,steue, e non
l’imperativo aoristo pi,steuson.
3.2 Analisi linguistico-sintattica
Il pronome personale moi (1pers dat sing m) è un complemento di
termine ed indica la identificazione della fede con la stessa persona di
Gesù, dove l’accoglienza della rivelazione è l’accoglienza della stessa
persona di Gesù. L’imperativo pi,steue con il dativo significa dare fede a la
parola di qualcuno, accogliere la testimonianza di un altro. È la unica volta
che appare questa espressione in tutta la Bibbia greca, è un serio appello
alla fede, ad accogliere con fede la rivelazione di Gesù, quello che Gesù
vuole comunicare alla Samaritana.0 Non è una semplice «ascolta», al
contrario è un accogliere con fede la comunicazione di Gesù.
La ripetizione «viene un’ora... viene un’ora, ed è adesso», indica la
conclusione di una epoca e l’inizio di una altra, quella dove «i veri
adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità». Si tratta di una ora
particolarmente solenne e importante per Giudei, Samaritani, e per tutti gli
uomini. Indica anche la tensione escatologica del già ma non ancora. L’ora
è futura ma tuttavia è prossima.0
Spirito non ha qui un senso interiore, astratto, riferito soltanto alla sfera
antropologica dell’anima e dell’intelligenza, contrapposto all’esteriore, al
corpo, come capita nel dualismo. Qui si tratta dello Spirito di Dio come
dono e comunicazione che Dio fa all’uomo: senso strumentale del dativo
evn pneu,mati. Va bene, ma penso che il dativo ha anzitutto un valore di
luogo. Lo Spirito è il luogo dell’adorazione del Padre, adoriamo il Padre
immersi nello Spirito. Il luogo dell’adorazione non è più «né su questo
monte né a Gerusalemme», perché si passa all’endiadi evn pneu,mati kai.
avlhqei,a|.

0
I. de la POTTERIE, La verità dans Saint Jean, 883
0
R.E. BROWN, Giovanni: Commento al Vangelo Spirituale, 225
CAP. I: CARATTERIZZAZIONE DEL TESTO 23

Adorazione «in Spirito e verità» è un unico concetto svolto in due parole,


una endiadi.0 Anche la verità come lo Spirito rende l’uomo capace di
adorare Dio (Gv 17,17-19). Spirito è verità stanno così intimamente
intrecciati. Gesù è la verità per rivelare la verità di Dio agli uomini e allo
stesso tempo lo Spirito è lo Spirito di Gesù ed è lo Spirito di verità.
Poi, insieme al valore locativo, è pure lecito considerare la possibilità del
valore strumentale del dativo. Lo Spirito è il luogo dell’adorazione, ma allo
stesso tempo appare come «il mezzo», come Colui attraverso il quale il
credente che prega può entrare in relazione con il Padre-Dio e con il Cristo
che è «la verità».0
La frase «né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre»
diventa una ripresa fatta da Gesù dal contesto dell’alleanza. Con l’uso del
verbo al futuro (adorerete) e la doppia negazione locativa del monte e di
Gerusalemme Gesù richiama il grande comandamento positivo «šüma`
yiSrä´ël! Amerai il Signore, tuo Dio» (Dt 6,4), che al negativo è «Non
adorerai questi dei/ Non li servirai» di Es 20,5; Dt 5,9.0
Finalmente, il «voi» con il verbo al futuro va al di là del culto dei
Samaritani e dei Giudei e si riferisce ad una collettività globale e universale
di adoratori e di destinatari della Parola di Dio.0
Questo tema è una ripresa ed una amplificazione del tema dell’acqua e lo
Spirito nel dialogo con Nicodemo.0
Il luogo del vero culto, della vera adorazione e della vera preghiera,
diventa, pertanto, la persona stessa di Cristo, la comunione con Cristo
stesso, nuovo Tempio che sostituisce il santuario del monte Garizim e
quello di Gerusalemme. Questo lo fa preghiera filiale in unione con Cristo
e rivolta al Padre, preghiera dei Figli di Dio.0
Le due prime preposizioni hanno un senso negativo, invece la terza ha un
senso positivo. Le due prime preposizioni hanno un senso fisico, mentre la
terza ha un senso metaforico e spirituale: la nuova adorazione è in spirito e
la verità, dentro un tempio spirituale, un tempio nuovo.

0
Ibid, 237.
0
Y. SIMOENS, Secondo Giovanni, 277.
0
Ibid, 278.
0
Ibid, 278.
0
R.E. BROWN, The Gospel according to John, 238.
0
I. de la POTTERIE, Studi di Cristologia Giovannea, 74-75.
CAPITOLO II
Analisi semantica

L’analisi semantica cerca il significato delle parole, delle frasi e dei testi.
Con questo esercizio scopriremo le diverse relazioni e significati
dell’adorazione in Spirito e verità. L’analisi semantica ha una particolare
utilità per ricavare il senso più originale e genuino dei termini biblici,
radicati nella cultura e la mentalità ben specifica dove sono sorte. Cioè: fa
sì che queste interpretazioni non siano sovra-interpretazioni. 0 In un primo
tempo analizzeremo le parole che nella pericope si riferiscono al culto e
alla salvezza e ci soffermeremo con speciale attenzione al significato dei
termini Spirito e verità, che nel vangelo emergono come i concetti più
profondi e presenti.

1. Prostrarsi
Il senso di questo termine esprime onore e sottomissione, rispetto
profondo e timore reverenziale, nella relazione con Dio (Eb 12,28b- 29).
Suggerisce altre parole come servire, baciare, prostrarsi, avere il rispetto
profondo, avere il timore reverenziale. Il campo semantico di questa parola
ha a che vedere con il linguaggio cultuale e la sua comprensione deve
essere raggiunta a partire di una visione di alcune idee teologiche del
Deuteronomio, specialmente dei dieci Comandamenti.
1.1 Servizio
Il verbo «servire» tanto nell’AT come nel NT ha un senso cultuale,
riferito alla liturgia che esprime l’adorazione del solo Dio. Il sacrificio
pasquale di Gesù è il «servizio» che supera tutti i sacrifici dell’AT, è la
«liturgia» definitiva.2 I sacrifici di animali che caratterizzavano l'AT viene
superato per il dono della propria persona, dell’amore, nel sacrificio di
Cristo.
0
W. EGGER, Metodologia, 95.
CAP. II: ANALISI SEMANTICA 25

1.2 Prostrazione e sottomissione


Designa il movimento del corpo «verso la terra», per baciarla, un gesto
esterno del corpo che esprime i sentimenti interiori riguardo a Dio: di
reverenza, di gratitudine e di sottomissione a Dio. Nel NT questo verbo
indica che Gesù è il re (Mt 2,2), il Signore (Mt 8,2), il Figlio di Dio (Mt
14,33). Il cieco nato esprime con questo gesto di adorazione la sua
gratitudine e la sua fede in Gesù per averlo guarito (Gv 9,38). L’atto fisico
del prostrarsi non è soltanto un gesto esteriore, soprattutto esprime la realtà
più profonda di una confessione e una adesione di fede totale nella persona
di Gesù.0
Si deve dire che il senso profondo di questo linguaggio cultuale nella
Bibbia non ha a che vedere con una costrizione forzata ed esteriore. Anzi,
come viene dimostrato attraverso l’esegesi del Decalogo (Es 20-23) il
senso di tutto questo campo semantico cultuale che veniamo analizzando
non ha a che vedere con un senso di limitazione esteriore imposta di Dio,
ma con un senso profondo di libertà: «Le parole del comandamento
tracciano la strada del uomo libero».0
Il campo semantico del culto insegna che Dio non obbliga. Leggendo il
Decalogo si può ascoltare un energico divieto della violenza, dell’omicidio,
adulterio, furto, falsa testimonianza che costituiscono una privazione della
libertà in uno stesso e negli altri.0
1.3 Timore riverenziale
Nell’A.T. l’adorazione è quella risposta dell’uomo all’iniziativa di amore
di Dio. Sebomai indica timore e tremore. Eusebew include una retta
condotta e rispetto verso l’ambito del trascendente, il mondo, il prossimo e
verso sé stesso, ma non è usato per esprimere la relazione dei cristiani con
Dio. Verbi del gruppo (fob) (fobeomai, fobeo, fobos), hanno un senso
positivo e vogliono esprimere più un senso di timore riverenziale verso Dio
che di paura psicologica, dove il timore di Dio è in qualche maniera la
condotta di una persona che vuole rispondere alla volontà di Dio con
l’obbedienza (Gn 22,12; Es 1,17-21). La sinonimia di queste parole dà al
termine adorare un senso di profondo rispetto verso Dio e verso il
prossimo. Gesù incentra questa relazione di adorazione nella persona del
Padre. Così dona a questo termine un senso di rivelazione. Adorare vuole
dire anche rivelare che Dio è il Padre di Gesù, questo è quello che fa Gesù
nel vangelo di Giovanni: Gesù rivela Dio come Padre.0
0
Ibid, 25-26.
0
P. Bovati, Parole di libertà. Il messaggio biblico della salvezza, 100.
0
P. BEAUCHAMP, La Legge di Dio, 33-34.
0
B. JOJKO, Worshiping the Father in Spirit and Truth, 115-126.
26 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

Ancora più, la concentrazione di questi termini in qualche lettera di


Paolo mette in contrasto la retta adorazione di Dio con l’adorazione della
creatura, emergendo così il problema della idolatria: οἵτινες μετήλλαξαν
τὴν ἀλήθειαν τοῦ θεοῦ ἐν τῷ ψεύδει καὶ ἐσεβάσθησαν καὶ ἐλάτρευσαν τῇ
κτίσει παρὰ τὸν κτίσαντα, ὅς ἐστιν εὐλογητὸς εἰς τοὺς αἰῶνας, ἀμήν (Rom
1,25). Perché hanno scambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno
adorato e servito le creature anziché il Creatore, che è benedetto nei secoli.
Amen» (Rom 1,25).
È interessante porre questa citazione di san Paolo per evidenziare il
paradosso che c’è dentro il campo semantico cultuale. Servire, prostrarsi,
adorare, temere, può significare il retto e liberante volgersi dell’uomo verso
Dio oppure la scelta sbagliata e schiavizzante di scambiare la verità di Dio
con la falsità degli idoli.
4
Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di
quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra. 5Non ti
prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono
un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla
quarta generazione, per coloro che mi odiano, 6ma che dimostra la sua bontà
fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei
comandamenti (Es 20,4-6).

Come capita con il senso di tante altre parole (si può riflettere sul senso
della parola amore) anche il senso del linguaggio cultuale si banalizza
quando rientra nella idolatria. Risulta chiaramente paradigmatico come i
comandamenti rivelano quanto il linguaggio proprio del culto a Dio lo si
faccia servire anche per indicare l’idolatria se si passa dall’essere al fare.
Quando il primato si allontana dall’essere per passare al fare oppure
all’avere, sorge la idolatria. Fare un dio significa porsi al posto di Dio. Fare
una statua nega la dignità della propria persona umana e riduce il Signore a
un semplice oggetto conoscibile e manipolabile.
Facendo un idolo l’uomo poi lo adora, e dato che l’idolo è opera delle
mani dell’uomo (Dt 4,28), nell’idolo l’uomo adora sé stesso: «l’idolo si
presenta allo sguardo dell’uomo per accaparrarsene in tal modo la
rappresentazione e, quindi, la conoscenza». 0 L’idolo spesso vuole uno
spazio, ma Israele viene educato con il tempo e non con lo spazio. L’idolo
tende ad avere la forma di elementi celesti, terrestri o sotterranei (tre livelli
del reale), celebrando così la dimensione dello spazio, mentre la retta,
libera e liberante adorazione rivolta a Dio si realizza nel tempo e nella
storia: «l’idolo dipende dallo sguardo».0
0
J.L. MARION, Dio senza essere, 23.
0
Ibid, 26.
CAP. II: ANALISI SEMANTICA 27

L’idolo è il frutto di un desiderio di visibilità. Dio non può essere visto,


ma può essere ascoltato, giacché è un Dio che parla (Es 3,1-6; Dt 4,15-20),
mentre gli idoli sono muti (Sal 115,5). L’idolo si vede, ma non parla, non
ha niente da dire. Gli idoli vogliono essere serviti, ma non servire; Dio,
invece, è servitore e parla agli uomini: «lo sguardo si lascia colmare: invece
di oltrepassare il visibile, di non vederlo e di renderlo invisibile, si scopre
oltrepassato, contenuto, trattenuto dal visibile».0
La relazione con Dio è una relazione segnata dall’ascolto e non tanto
dalla vista.
Servire, prostrarsi, adorare, temere, è un lessico cultuale, ma paradosso
dell’asservimento. Scambiare il primato dell’essere con quella del fare in
realtà è diventare schiavo e tornare alla condizione dell’Egitto: «l’idolo non
ammette alcun invisibile…, consegna il divino commisurandolo alla misura
di uno sguardo umano».0
Finalmente, è molto significativa la riflessione sull’icona di Marion:
«L’icona non si vede, ma appare… L’invisibile sembra, appare in una
sembianza che però non lo riduce mai all’acqua stagnante del visibile».0
Già questa comprensione che dona l’analisi semantica dei principali
vocaboli che comprendono il campo del culto permette di distinguere assai
bene l’adorazione dalla idolatria, soprattutto nell’ambito dell’Antico
Testamento, specialmente nelle idee fondamentali che dipendono della
teologia dei comandamenti.
Alla luce di questa dialettica tra supremazia del tempo sullo lo spazio,
l’ascolto sopra la visione, si intravede il senso profondo della domanda sul
«luogo» in cui è possibile entrare in comunione e comunicazione con Dio,
che viene fuori nel dialogo della Samaritana con Gesù. In questo dialogo
Gesù distacca il luogo della autentica comunicazione con Dio dalle
categorie esclusivamente spaziali, propense, come la teologia che si ottiene
dai comandamenti finisce per dimostrare, a cadere nella idolatria.

Tutte quelle immagini che legano Dio a uno spazio fisso, come una
località o una nazione particolare, Gesù invita a superarle, Lui stesso si
rivela come il vero luogo dell’adorazione in Spirito e Verità, luogo
spirituale che sorpassa tutti i luoghi meramente fisici o geografici.

2. Il Padre
Nel cuore del dialogo tra Gesù e la Samaritana Dio è il Padre che deve
essere adorato. Dio è il Padre di Gesù. L’immagine paterna di Dio nell’AT
0
Ibid, 28.
0
Ibid, 28-29.
0
Ibid, 32.
28 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

si costruisce a partire dalla cura e dall’amore provvedente che ha per il suo


popolo, principalmente manifestato nella liberazione del popolo d’Israele
dalla schiavitù di Egitto. È anche molto significativo che, subito dopo che il
popolo è stato liberato dall’Egitto, gran parte del cammino del popolo nel
deserto è caratterizzato dalle mormorazioni del popolo. Dio comprende
queste mormorazioni come il grido di un bambino piccolo appena nato,
aggiungendo al suo ruolo paterno anche il volto di un amore materno (Es
15,22-27).
Questa percezione di Dio come un Padre e una madre implica la risposta
al dono dell’amore misericordioso di Dio, con la promessa del popolo di
fare tutto ciò che Dio ha detto, cioè, di ascoltare e mettere in pratica la
Parola di Dio con la propria vita. Questa necessità di rispondere all’amore
di Dio è formulata nel libro dell’Esodo e configura così il fondamento
dell’alleanza (Es 19,8). Certamente, il popolo non è sempre stato all’altezza
di questo dono di Dio e ha rifiutato di dare una risposta all’amore di Dio.
La immagine di Dio che Gesù rivela alla Samaritana è quella di un Dio
che cerca. La professoressa Bernardetta Jojko ha caratterizzato questo
cercare come un ritratto affascinante del Padre.0 Si può aggiungere a questa
immagine paterna e materna di Dio la caratteristica che questo Dio che è
padre e madre nello stesso tempo è un Padre e una madre che cerca. Gesù
rivela Dio come il Padre-Madre che cerca coloro che lo adorino in Spirito e
verità (Gv 4,23-24).
Guardando l’AT si può dire che il Padre che Gesù rivela è un Padre che
cerca, e ancora di più, che mai si stanca di cercare. Così, il verbo cercare fa
come un filo d’oro nel IV Vangelo, dove il «che cercate» (1,38) dell’inizio
del Vangelo si ritrova nel «chi cerchi» che Gesù rivolge a Maria
Maddalena alla fine del Vangelo (20,15)0.
Cercare, dunque, è un verbo relazionale che permette di capire la
rivelazione di Dio come relazione. Il Padre cerca l’umanità attraverso il
Figlio, che esce dal seno κόλπον del Padre. Gesù è colui che è volto verso il
cuore del Padre, vivendo un rapporto mutuo di amore: εἰς τὸν κόλπον τοῦ
πατρὸς (Gv 1,18).

3. In Spirito
L’adorazione rivolta al Padre «in Spirito e verità» ci pone nel centro
delle relazioni tra Dio Padre, Gesù e lo Spirito. In tanto il Padre, che cerca
adoratori che lo adorino in Spirito e verità, ci pone anche davanti alla
0
B. JOJKO, Su questo monte o a Gerusalemme?, 60
0
Ibid, 61.
CAP. II: ANALISI SEMANTICA 29

relazione con il popolo, giacché è il popolo a formare quegli adoratori che


cerca il Padre. L’adorazione del Padre ci pone davanti, pertanto, la
considerazione dei concetti Spirito e verità, che nel IV Vang. sono molto
ampi. Come viene descritto lo Spirito nel IV Vang.?
Per rispondere alla domanda ci aiuta il sapere prima come viene descritto
lo Spirito nei quattro vangeli.
3.1 Lo Spirito nei vangeli sinottici
In Matteo e Luca lo Spirito è colui che dà inizio alla vita umana di Gesù.
Dio sceglie Maria per generare Gesù (Mt 1, 18.20; Lc 1,35). Nel battesimo
di Gesù i quattro vangeli narrano la discesa dello Spirito Santo su Gesù in
forma di colomba. Gesù, che non ha bisogno di battesimo, si sommette ai
piani di Dio (Mt 3,14-15; Mc 1,9). La voce di Dio rappresenta un
intervento autorevole dall’esterno e una manifestazione epifanica che rivela
la speciale figliolanza di Gesù. Gesù è il Figlio di Dio e il Messia che
s’immerge negli abissi della condizione umana peccatrice. Lui, senza
peccato, si fa totalmente solidale dei peccatori, e si mette in fila come uno
di loro per ricevere il battesimo di Giovanni. Prima ancora di essere
immerso nelle acque del Giordano, Gesù si è immerso nella condizione
umana peccatrice.
Dopo questo l’attività dello Spirito è presente nell’annunzio del Regno di
Dio. Con il potere dello Spirito Gesù esorcizza, combatte i demoni, libera
le persone, guarisce i malati. Tutto quello che Dio aveva promesso a favore
dei poveri, degli oppressi e degli esclusi nell’AT si adempie in Gesù. Sono
anche abbondanti i riferimenti ai doni d’ispirazione e profezia che lo
Spirito concede alle persone del popolo di Dio (Giovanni Battista,
Elisabetta, Zaccaria, Simeone e i discepoli sono riempiti dall’azione dello
Spirito, che parla attraverso di loro). Quello che Gesù fa attraverso il suo
ministero carismatico è anche concesso ai discepoli attraverso il dono dello
Spirito (guarire, cacciare demoni, battezzare).
3.2 Lo spirito scende dal cielo e rimane su Gesù (1,32-33)
Dopo un leggero sguardo alla descrizione dello Spirito Santo nei vangeli
sinottici, adesso andiamo ad approfondire l’importanza della discesa dello
Spirito e del suo rimanere su Gesù. Si può costatare come l’attività dello
Spirito, già prefigurata nell’Antico Testamento, è uno dei più importanti
temi del Vangelo di Giovanni. La presenza dello Spirito è sempre presente
nei cuori dei credenti e nella missione della Chiesa dopo la resurrezione di
Gesù, come garanzia di una nuova, intima relazione dei credenti con il
Padre e il Signore risorto.
30 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

3.2.1 Lo Spirito discende dal cielo (ἐξ οὐρανοῦ)


Dopo il sublime Prologo nel IV Vang. viene presentato il ministero
storico di Gesù. Questo ministero comincia con la testimonianza di
Giovanni Battista (1,29-34). Per il IV Vang. l’importante non è il
sottolineare il battesimo di Gesù, ma la testimonianza del Battista. A
differenza dei vangeli sinottici, solo nel IV Vang. si narra che lo Spirito
discende e rimane su Gesù. La discesa dello Spirito dal cielo e il suo
rimanere su Gesù sono il compimento e la perfezione di tutte le profezie
dell’Antico Testamento. La formulazione ἐξ οὐρανοῦ indica un luogo
figurativo, una sfera della presenza divina, il luogo dove è il Padre. Dal
cielo, cioè dal Padre, Gesù viene (6, 38.42) ed a lui torna (17,11). Lo
Spirito è di «origine celeste», come il Padre e Gesù. Il cielo è il luogo da
dove viene lo Spirito, come già è indicato nell’AT (Is 32,15; Sap 9,17). Lo
Spirito è partecipe dell’origine celeste del Padre e di Gesù.0

3.2.2 Lo Spirito rimane su Gesù


Il verbo ἔμεινεν (μενω) «dimorare, restare, resistere», indica che il
rimanere dello Spirito su Gesù non è un semplice momento che passa, ma
uno stato permanente. Il rimanere dello Spirito su Gesù è il sigillo che il
Padre ha messo su di lui (6,27), il segno di un reciproco rapporto duraturo
che indica che Gesù è il Santuario dello Spirito che permanentemente
dimora in lui, e tutta la vita di Gesù è stata radicata e compiuta nella sua
relazione con lo Spirito. Gesù parla ed opera nello Spirito, che è allo stesso
tempo il suo proprio Spirito e lo Spirito di suo Padre. E così come lo
Spirito rimane in Gesù, rimane anche nei discepoli e in tutti coloro ai quali
viene dato (14,17). L’abitazione permanente dello Spirito in Gesù anticipa
la sua abitazione nei discepoli, nella comunità post pasquale. Questo genera
nella comunità post pasquale una realtà di amore, di comunione e di unità
simile a quella che c’è nella relazione tra il Padre, il Figlio e lo Spirito
Santo. In parole concrete, vivere questa realtà di amore trinitario significa
rimanere nell’amore di Gesù (15,5.10) e nella sua parola (8,31; 5,38).
Rimanere in Gesù, pane vivo (6,56) e vera vite (15,4-7).0
Il rimanere attivo permanente dello Spirito su Gesù rendono tutta la sua
vita terrena e tutto il suo ministero pubblico un servizio al Padre. Gesù è il
rivelatore del Padre, è colui che parla le parole di Dio, come dice alla
Samaritana: «Sono io, che parlo con te» (4,26). Per ciò Gesù supera la
0
Ibid, 106-108.
0
Ibid, 108-109.
CAP. II: ANALISI SEMANTICA 31

rivelazione dei profeti e rende la rivelazione del Padre completa, piena:


«Lo Spirito è nelle parole di Gesù come il soffio con cui si dice la parola.
Pertanto, quando Gesù parla, dona lo Spirito con le sue parole»0
Per questo nel IV Vang. la relazione tra i termini parola, Spirito e vita, è
molto stretta. La Parola di Dio è vita e ha un effetto vivificante, perché è
anche Spirito. Yahweh agisce attraverso lo Spirito e la Parola, e per mezzo
di loro rende possibile la vita, la crea e la sostiene. Lo Spirito agisce
insieme con la Parola divina ed è datore di vita con il soffio nelle narici
dell’uomo (Gn 2,7). Quando Gesù dice alla Samaritana: «Sono io, che
parlo con te» (4,26), sta manifestando l’attività dello Spirito. Le sue parole
sono efficaci, perché sono Spirito e vita. Il parlare di Gesù e allo stesso
tempo il dare il suo Spirito e le sue parole sono allo stesso tempo le parole
del Padre (12,49;14,10-24).

3.2.3 Una fenomenologia dall’ascolto


Se lo Spirito, attraverso la Parola, genera la fede nei credenti,
generandoli dall’alto, l’attività dello Spirito come il suo rimanere nei
credenti implica una necessaria fenomenologia dell’ascolto. L’ascoltare lo
Spirito diventa una necessaria risposta umana per essere generati dall’alto e
per partecipare alla vita di origine divina nel Padre, il Figlio e lo Spirito
Santo, ed avere la vita eterna. L’ascolto delle parole di Gesù è allo stesso
tempo fare esperienza dello Spirito, giacché lo Spirito è intimamente unito
alla Parola. Ascoltare le parole di Gesù, dunque, nel contesto post pasquale,
è il fondamento per essere generati a una fede autentica e per dare una
adeguata risposta di adorazione al Padre. La comunione dei credenti con il
Padre si realizza nell’ascolto e l’obbedienza alle parole del suo Figlio, nello
Spirito che dà la vita.

3.2.4 Il significato del verbo βαπτίζω


Il verbo βαπτίζω vuol dire «immersione, oppure anche: sovrabbondare»
o «sopraffare con». Gesù possiede la «piena misura» dello Spirito, in modo
definitivo e permanente, mentre da lo Spirito Santo al popolo in tutto il suo
ministero di rivelazione e di salvezza. La sua missione di «battezzare» non
è simile a quella di Giovanni Battista, «in acqua», perché Gesù è Colui che
riceve lo Spirito, il Portatore dello Spirito e il Trasmettitore dello Spirito.
Perciò egli possiede l’autorità di pronunciare le parole di Dio e di dare lo
Spirito senza misura (3,34). Nell’ampio contesto giovanneo dell’evento
0
Ibid, 120.
32 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

samaritano o della festa dei tabernacoli l’immagine dell’acqua viene


identificata alla presenza dello Spirito, in modo che lo Spirito può essere
bevuto come un torrente di acqua viva. Il dono dello Spirito raggiunge la
sua pienezza quando viene dato da Gesù ai suoi discepoli e alla comunità
post pasquale nell’ora della sua glorificazione (19,20).
3.3 Essere generato dall’acqua e dallo Spirito (Gv 3,5-8)
Il dialogo tra Gesù e Nicodemo si sviluppa come transizione dell’attività
«battesimale» di Gesù e nell’analogia sponsale. L’incontro con Nicodemo
e il discorso sulla «rinascita» porta all’incontro con la Samaritana che crea
la figura simbolica dello sposo, configurando così un vocabolario
appartenente alla famiglia. E anche c’è una forte relazione dell’episodio di
Nicodemo con la sezione precedente nel tempio (2,23-25).

3.3.1 Essere generato ἄνωθεν


Il linguaggio della nascita, comunque scarso nel IV Vang., è molto
importante, perché crea il campo semantico della famiglia di Dio, del fatto
di essere figli di Dio. Il popolo di Dio viene descritto nell’AT come un
bambino che nasce da Dio suo Padre. Yahweh è colui che genera il suo
popolo, generazione che crea una alleanza e una relazione di amore, e che
implica da parte del popolo una risposta di obbedienza e timore
reverenziale, come di un figlio verso il suo Padre.0
Nel IV Vang. questo linguaggio di nascita appare già nel Prologo.
Coloro che ricevono il Logos diventano figli di Dio, generati da Dio, con il
dono di una esistenza totalmente nuova, data dal Padre e dal Figlio (1,12).
Questa generazione da Dio va oltre la nascita naturale.0
L’avverbio ἄνωθεν nell’uso neotestamentario possiede tre significati:
modale «di nuovo» (Gal 4,9.), temporale «dal principio» (Lc 1,3) e spaziale
«dall’alto» (Mt 27,51). Cristo da un senso spaziale a questa parola, un uso
spaziale che fa un forte riferimento religioso a Dio, così che dall’alto
esprime da Dio. Cristo è uno che viene dall’alto; nascere dall’alto vuol
dire nascere da Dio. Nel Prologo «coloro che sono nati dallo Spirito»
(1,13), e in 1Gv 3,9 il fatto «d’essere nato da Dio» si attribuisce all’azione
di Dio, non alle forze umane (1Gv 5,1).

3.3.2 Nascere ἐξ ὕδατος καὶ πνεύματος


L’acqua e lo spirito non devono essere visti come realtà separate.
L’acqua non è uno strumento dello Spirito; sono le due cose assieme che
0
Ibid, 113.
0
Ibid, 114.
CAP. II: ANALISI SEMANTICA 33

danno il dono della vita nuova. Il dono del battesimo non è lo Spirito, ma
una vita nuova. L’acqua in Gv 3 non è solamente un’acqua naturale, fisica;
ugualmente Spirito e verità nell’episodio samaritano. Gv introduce una
endiadi quando parla dell’acqua e dello Spirito. L’acqua come un elemento
fondamentale unito dallo Spirito appare già prima nella Creazione del
mondo, quando lo Spirito alitava sulle superficie delle acque (Gn 1,2). In
questo brano la fecondità e la fluidità dell’acqua servono come paragone
con l’attività dello Spirito: simultaneamente nel soffio dello Spirito è
presente una forza fertilizzante e la sottilezza di un elemento che penetra
tutto. L’unità dei termini Spirito ed acqua è espressa nel IV Vang. con lo
sgorgare fiumi di acqua viva dal grembo di Gesù e dal suo costato trafitto,
quando esce sangue ed acqua nel momento della sua crocifissione (7,38-39;
19,34). In questi due momenti c’è la presenza dello Spirito e del
consegnare lo Spirito.
Gesù parla della necessità assoluta di essere generati dall’acqua e dallo
Spirito per entrare nel Regno di Dio. Questa generazione, molto diversa da
quella dalla carne, rende la persona generata dallo Spirito. La persona
diventa una nuova creazione, che tocca non la sua risposta esteriore o etica,
ma un cambiamento operato nel profondo del cuore. Nell’ora della croce il
Padre darà lo Spirito per mezzo di Gesù, per la generazione di nuovi
credenti-figli nel Figlio, nel periodo post pasquale. Lo Spirito genera la
fede nei credenti e li coinvolge fin d’ora a partecipare della vita del Padre e
di Gesù glorificato.

3.3.3 L’acqua viva (7,37-39)


L’unità tra la verità della rivelazione di Gesù e il dono dello Spirito
diventa ancora più chiara ed esplicita nel contesto della festa dei
tabernacoli: Gesù viene ad insegnare nel Tempio e annuncia il compimento
della festa di Sukkôt nella sua persona: chi ha sete venga a me e beva. Gesù
compie in sé stesso il significato dell’acqua simbolica versata dai sacerdoti
sull’altare. Durante i giorni della festa un corteo si muoveva dal tempio e
scendeva alla piscina di Siloe, per risalire dopo aver attinto l’acqua con una
brocca d' oro. Il sacerdote faceva poi sull'altare la libagione dell’acqua e del
vino, che fluivano fuori del tempio. Questo rito rievoca simbolicamente il
prodigio dell’acqua che scaturiva dalla roccia (Es 17,1-7; Nm 20,6-11) e le
acque della creazione che portarono la vita nel deserto. Questo evento è
interpretato da Paolo nella sua prima lettera ai Corinzi: «tutti bevvero la
stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li
accompagnava, e quella roccia era il Cristo» (1Cor 10,4). Un altro
riferimento biblico fondamentale per l’interpretazione cristologica è la
profezia di Zaccaria: «In quel giorno acque vive sgorgheranno da
34 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

Gerusalemme e scenderanno parte verso il mare orientale, parte verso il


mare occidentale: ve ne saranno sempre, estate e inverno» (Zac 14,8).
L’interpretazione antropologica trova i suoi riferimenti biblici nelle
scritture sapienziali ma anche nella profezia di Isaia: «Ti guiderà sempre il
Signore, ti sazierà in terreni aridi, rinvigorirà le tue ossa; sarai come un
giardino irrigato e come una sorgente le cui acque non inaridiscono» (Is
58,11).
La relazione stretta tra l’immagine dell’acqua e lo spirito sarà compiuta
in Gv 19,34: «ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito
ne uscì sangue e acqua.» L’acqua viva che ha profetizzato il profeta
Zaccaria serve in questo brano per la rivelazione dell’identità di Gesù come
il vero Tempio e la vera roccia da cui sgorgheranno fiumi di acqua viva, e
serve anche per rivelare l’identità dello Spirito Santo come fiume della
nuova creazione in cui l’uomo nasce dell’alto per essere lui stesso una
sorgente d’acqua viva.
3.4 Paraclito
Il termine Paraclito παράκλητος dato allo Spirito sta nel Libro della
Gloria, dove è narrata l’ora della glorificazione di Gesù, nella sezione
«L’ultima cena e il discorso di addio (13,1-17,26)». Nel contesto
immediato (13,31-16,33) Gesù promette lo Spirito ai discepoli come frutto
della sua preghiera e della sua relazione di amore con il Padre. Nel discorso
di addio, questa promessa si rinforza quando Gesù dice ai discepoli che non
li lascerà orfani e che ritornerà da loro: il suo addio è a loro vantaggio.0
Il termine Paraclito παράκλητος ha il senso di essere un alter ego di
Cristo che continua la missione del Cristo storico, aiutando i credenti ad
approfondire la fede. Nella forma passiva e attiva para/kalein vuol dire
«chiamare vicino», «chiamato vicino per aiutare». Il senso significa una
presenza attiva di Gesù con i discepoli e i credenti del tempo post pasquale.
Il Paraclito ha un essere con i discepoli simile, ma non uguale, a quel
rapporto di essere con che il Padre ha con Gesù. La preposizione con
denota la relazione stretta del Paraclito con i discepoli, la sua compagnia,
mentre Gesù torna al Padre. La presenza di Gesù rimane nelle sue parole
(14,16). Ci sono quel essere con dentro la Trinità divina e quell’essere con
dello Spirito come aiuto e assistenza dei singoli credenti. Anche il Paraclito
ha un rimanere. Lo Spirito rimane e fa la sua dimora presso i discepoli per
realizzare in loro la piena comunione divina. La persona di Gesù ottiene
così un senso di prossimità locale, di ospitalità e soggiorno, una presenza

0
Ibid, 139-140.
CAP. II: ANALISI SEMANTICA 35

familiare di rivelazione (14,17). Anche lo Spirito rimane in Gesù, riposa, si


posa (anapausetai) sopra di Lui. Nell’AT il rimanere dello Spirito in Gesù
allude al germoglio che spunta dal tronco di Iesse (Is 11,1-2), che descrive
il re perfetto, che regna con la permanenza dello Spirito in lui. Gesù è il
primo portatore dello Spirito e lo dona a noi, per farci come lui re che
svolgono una missione nel mondo. L’espressione essere in completa la
rivelazione della presenza attiva del Paraclito nei discepoli come presenza
interiore vivente, la più profonda comunione. Il Padre è nel Cristo e il
Cristo è nel Padre e allo stesso tempo le tre persone divine abitano nei cuori
dei credenti. Così lo Spirito è presente come amico, come amore che ispira
e guida i discepoli, come verità, e come presenza essenziale nel profondo
del cuore. Per il IV Vang. il mondo non può né accogliere, né vedere, né
conoscere lo Spirito, perché il mondo non è stato capace di accogliere,
vedere e conoscere Gesù e la sua relazione con il Padre.0
3.5 «Insegnare e Ricordare» (14,26)
«Insegnare e ricordare» sono due azioni dello Spirito molto importanti:
hanno grandi conseguenze nella Chiesa in quanto comunità dei credenti
dell’era post pasquale.
26
Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi
insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
27
Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi.
Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. (14,26-27).
Gesù promette lo Spirito Santo Paraclito nel suo ultimo discorso ai suoi
discepoli nell’ultima cena (13,31-17,26). In tutto questo discorso il clima è
di tristezza e incomprensione davanti all’imminente partenza di Gesù. La
venuta dello Spirito è conseguenza di questa. L’origine dell’invio dello
Spirito è il Padre, una origine divina indicata dall’uso del futuro πέµψει.
Il «Paraclito», cioè, colui che è chiamato a essere con, a fianco, è colui
che aiuta, che assiste ai discepoli dopo la partenza di Gesù, diventando
maestro il Paraclito è l’esegeta per eccellenza della persona di Gesù, il suo
interprete, l’attualizzante la Parola di Gesù.
Per questo la funzione del Paraclito gira intorno a due verbi: insegnare e
ricordare. Ma non sono due diverse funzioni del Paraclito; l’insegnare e il
ricordare sono un parallelismo sinonimico, sono la stessa cosa: lo Spirito
insegna ricordando. Cioè, lo Spirito insegna attraverso il ricordare.

0
Ibid, 147-149.
36 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

L’insegnamento dello Spirito è l’anamnesi, il ricordo, di tutta la rivelazione


terrena di Gesù, di tutte le sue parole.

3.5.1 Insegnare διδάσκω


Giovanni chiama Gesù come maestro e Rabbí, lo fa dall’AT dove
troviamo l’idea di Dio come maestro che insegna attraverso la Legge e la
sapienza. Il Padre insegna a Gesù e Gesù insegna quello che ha imparato
dal Padre, tutto ciò che ha ricevuto dal Padre. Questo insegnamento, che
non ha origine in Gesù, ma nel Padre, che è la fonte della Rivelazione, non
è tanto il contenuto di una dottrina, ma la rivelazione della sua propria
persona in rapporto con la Trinità. Dopo la partenza di Gesù lo Spirito
prenderà questa funzione di Maestro delle relazioni Trinitarie, affinché i
credenti post pasquali possano accedere alla totalità della rivelazione e alla
partecipazione della stessa vita di Dio.0
Lo Spirito insegna interiorizzando la Rivelazione di Gesù. Non insegna
un contenuto quantitativo, come lo fa Gesù o il Padre, ma, con il tempo,
rende capaci ai discepoli di comprendere tutte le parole di Gesù, facendo
ricordare.

3.5.2 Ricordare ὑπομιμνῄσκω


La seconda funzione dello Spirito viene descritta come ricordare. Ma il
ricordare giovanneo non è una ripetizione delle cose dette da Gesù, è una
vera interpretazione nella vita della Chiesa, che ha come finalità mantenere
la fede con tutta la sua purezza. Il ricordo non è una ripetizione storica
degli eventi di Gesù, è una novità che permette di comprendere e spiegare
il presente alla luce del passato. È una comprensione nuova e più profonda
del mistero di Gesù. Il giovanneo ricordare è un processo di
attualizzazione dell’opera salvifica di Dio nelle circostanze concrete della
vita dei discepoli.0
Già nell’AT, nell’alleanza del Sinai, concretamente nel comandamento
che fa riferimento al custodire il giorno di sabato (Es 20,8-11), il ricordo
appare come una facoltà decisiva. Israele si nutre della memoria nei
momenti più difficili della sua storia, in modo che l’alleanza del Sinai
costituisce l’osservanza del giorno di riposo come giorno per il Signore e
per il ricordo. Il ricordo di tutto quello che Dio ha fatto a favore di Israele
diventa una forza decisiva nella sopravvivenza di questo popolo. In
0
Ibid 151-152.
0
Ibid, 152-153.
CAP. II: ANALISI SEMANTICA 37

Giovanni Gesù torna a porre il ricordo in un contesto di chiara prova,


tristezza e turbamento per la imminente dipartita di Gesù: Io vi lascio la
pace, io vi do la mia pace: io non ve la do, come il mondo la dà; il vostro
cuore non sia turbato, e non si spaventi (14,27).
«Era la decima ora» (1,39). L'esperienza dell'incontro con Gesù che
fanno i discepoli è così grande che è ricordata per tutta la vita. L’ora nella
Bibbia rimane per sempre nella memoria, perché è esperienza di salvezza.
Ciò che apre la via del credere e della testimonianza è la memoria
dell'incontro personale con Gesù nella propria vita. Il ricordo di ciò che
Gesù ha compiuto nella propria vita diventa testimonianza, attraverso
scrittura e la comunicazione agli altri.
1
Il Signore disse a Mosè: «Sali verso il Signore tu e Aronne, Nadab e Abiu e
settanta anziani d'Israele; voi vi prostrerete da lontano, 2solo Mosè si
avvicinerà al Signore: gli altri non si avvicinino e il popolo non salga con lui».
3
Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme.
Tutto il popolo rispose a una sola voce dicendo: «Tutti i comandamenti che il
Signore ha dato, noi li eseguiremo!». 4Mosè scrisse tutte le parole del Signore.
Si alzò di buon mattino ed eresse un altare ai piedi del monte, con dodici stele
per le dodici tribù d'Israele. 5Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire
olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il
Signore. 6Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò
l'altra metà sull'altare. 7Quindi prese il libro dell'alleanza e lo lesse alla
presenza del popolo. Dissero: «Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi
presteremo ascolto». 8Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo:
«Ecco il sangue dell'alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di
tutte queste parole!» (Es 24,1-8).
Nella Bibbia il ricordo viene messo fortemente in relazione con la
scrittura. Lo scrivere è una azione che permette una certa maniera di
consegnare lo Spirito ad altri, cioè, consegnare ciò che è più prezioso nella
propria vita ad altri, perché gli altri vengano trasformati. Il libro è per la
memoria, la scrittura è un atto antropologico decisivo, perché fornisce la
memoria di un popolo, costruisce la identità di coloro che vengono dopo.
L’autore dell’Esodo mette in gioco tutti questi elementi, facendo una
immaginaria associazione tra l’atto di aspergere con il sangue e l’atto di
leggere, aspergendo il popolo con la Parola di Dio. Il popolo viene asperso
con il sangue dell’Alleanza, che rappresenta la vita in genere, e la vita
divina. Con lo stesso sangue sono uniti Dio e il popolo. Questo sangue,
unita all’acqua, è la Parola di Dio e lo Spirito Santo che dal costato trafitto
di Cristo asperge tutti i credenti della Nuova Alleanza.
3.6 Lo Spirito Paraclito e il Testimoniare μαρτυρεῖν (15,26-27)
38 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

La descrizione giovannea dell’attività del testimoniare del Paraclito e dei


discepoli si svolge nel quadro dell’ultima cena, dove Gesù a tavola con i
suoi fa il grande discorso d’addio, e promette per cinque volte il dono e
l’assistenza del Paraclito, davanti all’odio e alla persecuzione che vengono
dal mondo. Il crescente clima di odio e di persecuzione del mondo contro
Gesù e i discepoli rivela con più forza la stretta unione tra Gesù e il Padre e
la loro uguale dignità divina. In questo contesto di persecuzione l’attività
dello Spirito Santo è in funzione della testimonianza degli apostoli davanti
agli uomini.
Testimoniare è il terzo ruolo dello Spirito Paraclito, insieme a insegnare
e ricordare. Lo Spirito testimonia con l’insegnare e il ricordare, perché è
una testimonianza interiore, che si fa presente nella coscienza dei
discepoli. Insegnare e far ricordare è agire come lo Spirito che mette luce
nella mente e nei cuori dei discepoli, affinché possano capire il senso
profondo degli eventi della vita di Gesù e il suo significato salvifico.
L’espressione ὃ παρὰ τοῦ πατρὸς ἐκπορεύεται, che procede dal Padre,
indica l’importanza dello Spirito in relazione alla sua missione ad extra,
verso gli uomini.
Tutte queste operazioni dello Spirito, che si svolgono non separatamente,
ma in stretta unità, hanno lo scopo di produrre nei discepoli la
configurazione con la stessa vita e morte di Cristo, affinché loro possano
diventare un altro Cristo. Attraverso questa testimonianza interiore dello
Spirito che si svolge nei curi dei discepoli, essi diventano capaci di
testimoniare Cristo davanti il mondo. I discepoli si fanno strumenti perché
lo Spirito possa testimoniare attraverso loro davanti al mondo. Per questa
ragione la testimonianza dei discepoli non sarà altra da quella che lo Spirito
darà attraverso loro. Il dono dello Spirito diventa la certezza del rimanere di
Cristo in noi e del nostro rimanere in Cristo.0
3.7 La donazione dello spirito nell’ora (19,28-37)
Con la frase «consegnò lo Spirito» παρέδωκεν τὸ πνεῦμα (19,30)
Giovanni indica che Gesù consegna qualcosa nelle mani di qualcun altro:
Gesù, nel momento della sua morte, consegna lo Spirito come dono di
acqua viva nelle mani della prima Chiesa posta ai suoi piedi, formata dalla
madre e il discepolo amato. Questo consegnare lo Spirito ha il senso di
essere il dono dell’acqua viva che sazia la sete degli assetati (4,14; 7,37-
38).
Insieme al dono dell’acqua, il dono del suo sangue (αἷμα) che esce del
suo costato trafitto, sono gli elementi di grazia che stipulano una nuova

0
Ibid, 155-158.
CAP. II: ANALISI SEMANTICA 39

alleanza con Dio, scritta non più sulla pietra ma nei cuori, e che comporta il
perdono dei peccati. Per questo la consegna dello Spirito è il segno che
indica il compimento di tutto, di tutta la intera rivelazione depositata nelle
Sacre Scritture.
Gesù lo sa bene e lo manifesta apertamente con la sua ultima parola: «È
compiuto» (τετέλεσται -19,30). Qui l’uso del verbo τελέω nella forma
perfetta indica, infatti, un compimento perfetto, totale e definitivo della
missione di Gesù: quella di amare i suoi sino alla fine-εἰς τέλος (13,1). Per
questo il verbo non indica la morte, la sofferenza o la desolazione, ma la
vittoria, il culmine di tutta la rivelazione e della missione terrena di Gesù.
Non indica una fine, ma un nuovo inizio, dove la consegna dello Spirito
dona la vita eterna al mondo. Si deve anche annotare che questo
compimento perfetto e definitivo dell’amore che va fino alla fine si realizza
a traverso la sete di Gesù, del suo desiderio di bere il calice dato dal Padre
(18,11). Questa sete alla croce evoca quella sete di Samaria, dove Gesù,
stanco del viaggio, aveva promesso il dono dell’acqua viva-Spirito alla
Samaritana. Nella croce emerge il paradosso della sete di colui che è la
Fonte di acqua viva. La sete esprime il desiderio di Gesù morente di un
bene spirituale senza il quale non si può vivere, un desiderio di salvezza.
Non avere più sete significa desiderio appagato di salvezza. Il verbo διψῶ
indica la sete fisica di Gesù e diviene il simbolo della sua sete spirituale.0
3.8 Delimitazione finale del termine Spirito
Nel vangelo di Giovanni la parola Spirito è molto legata alla parola
verità. Tanto è così che la parola pneu/ma è un unico concetto svolto in due
parole, una endiadi.0 Anche la verità come lo Spirito rendono capace
l’uomo di adorare Dio (Gv 17,17-19). Spirito è verità stanno in tal modo
intimamente intrecciati. Gesù è la verità per rivelare la verità di Dio agli
uomini e allo stesso tempo lo Spirito è lo Spirito di Gesù ed è lo Spirito di
verità.
a) Un primo senso nella storia dell’esegesi è stato segnato
dall’interpretazione di pneu/ma data dei Padri Greci. Sotto l’influenza della
filosofia platonica hanno opposto fortemente lo spirito al corpo ed alla
materia, facendo del culto un culto spirituale e incorporale (Sant’Agostino).
Se tratterebbe di un culto puramente spirituale ed interiore, portato
nell’intimità del cuore, segnato da un forte senso psicologico, che toglie
valore all’uso dei riti esteriori nel culto.
b) Un secondo senso deriva dall’identificare pneu/ma l’anima umana,
con lo spirito dell’uomo.

0
172-173.
0
Ibid, 237.
40 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

c) L’interpretazione odierna, a partire del parallelismo con 7,37,39


riconosce che pneu/ma non si riferisce allo spirito dell’uomo, ma allo
Spirito di Dio, allo Spirito Santo, il quale non si definisce come essenza di
Dio, o natura spirituale di Dio, ma come azione di Dio, per mezzo del suo
Spirito, la maniera con cui Dio entra in relazione con gli uomini, ispirando
lo stesso culto: cioè, come Persona- amore, Persona- dono.0 Nell’azione
continua dello Spirito che guida Gesù si vive la nuova adorazione del
Padre. Il concetto biblico di spirito (ruah) si relaziona sempre con forza,
energia, vita e movimento.
Il culto in spirito è un culto realizzato dallo Spirito in quanto forza
motrice di questo culto. Lo Spirito è dunque la realtà generatrice della fede
dell’uomo (Gv 3,5) e lo Spirito ispira il culto vero come manifestazione
della fede.0
«Dio è Spirito» non è una definizione filosofica o teologica dell’essenza
di Dio. Questa espressione ha invece il senso di «Dio è luce» e «Dio è
amore» (1Gv 1,7; 4,11. 19 s), come espressioni che rivelano un senso di
relazione tra Dio e gli uomini. Nello Spirito Dio agisce verso l’uomo.0
Dio è lo Spirito verso gli uomini perché dà loro lo Spirito che li genera
di nuovo.

4. La Verità
Verità è una delle parole più importanti del vangelo di Giovanni. La
finalità dell’intero vangelo di Giovanni è portare i lettori a credere e
testimoniare Gesù. Nell’analisi semantica di Spirito è diventato chiaro
come sono rilevanti in Giovanni le relazioni tra il Padre, Gesù e lo Spirito
Santo. Gesù consegna il dono dello Spirito-Paraclito ricevuto dal Padre a
tutte le generazioni dei credenti.
4.1 Osservazioni filologiche
La parola greca verità ha un primo senso di sincerità come contrario a
quello che è falso; realtà autentica in contrapposizione a una pseudo realtà,
che può anche essere intesa come la globalità del mondo che passa. La
filosofia greca interpreta la verità come la realtà trascendentale, invisibile,
immortale: l’essenza divina, eterna e celeste che è il Bene assoluto.
Nella Scrittura ebraica la parola più vicina a verità è emet, che significa
stabilità, permanenza, fedeltà. Non ha il significato astratto di verità
metafisica, come nella filosofia greca, ma ha il significato più concreto di
affidabilità, di integrità.
0
GIOVANNI PAOLO II, Dominum et Vivificantem, 12.
0
Ibid, 159.
0
Ibid, 159.
CAP. II: ANALISI SEMANTICA 41

Nell’AT Yahweh è considerato come vero non per la sua sostanzialità,


ma per la sua fedeltà, descritta a traverso immagini come rifugio, fortezza,
roccia (Sal 146,6). Nell’AT la Parola di Dio è totalmente identificata con il
termine verità e con le immagini che denotano concretezza, affidabilità,
integrità, fedeltà e permanenza. La Parola di Dio è assolutamente
affidabile. Dio è sempre fedele e non revoca mai la sua Parola. Il popolo
può confidare assolutamente nella Parola di Dio, che è lo strumento della
rivelazione di Dio. Realtà nell’AT vuol dire soprattutto la fedeltà di Dio in
relazione con la sua Parola, la sua Alleanza e il suo popolo.0
Spesso la verità di Dio sta accanto ad altre parole molto positive di Dio,
come misericordia, perdono, amore. Il termine verità ha una denotazione
soteriologica.
Questo accento sulla fedeltà ha la sua ragione di essere nell’esperienza
della volubilità e la incostanza che aveva avuto il popolo d’Israele. Israele
aveva l’esperienza di vivere in un mondo religioso pieno di dei volubili e
insignificanti. Questa consapevolezza di Yahweh come colui che è
totalmente verità, fedeltà, misericordia, conduce il popolo d’Israele a
costruire la sua testimonianza più fondamentale sul fatto che Yahweh è
colui che è incomparabile. Colui che è incomparabile perché gli altri dei
non sono fedeli come Yahweh. L’esperienza della inconsistenza degli idoli,
porta il popolo a dire: chi è come te?0
4.2 Verità nel Vangelo di Giovanni
Nel vangelo di Giovanni la verità è legata alle persone del Padre, del
Figlio e dello Spirito Santo. Verità nel vangelo di Giovani e anche
strettamente legata alla comunità credente e all’adorazione come sua
risposta.
Nell’Antico Testamento la Parola e lo Spirito Santo dato ai profeti sono
gli strumenti a traverso i quali Dio si rivela al suo popolo. La Parola di Dio
e la verità sono identificate in senso assoluto. Questo legame diventa
esplicito quando Gesù afferma: «la tua parola è verità» (17,17b).
Per sapere che cosa sia la Parola nel Vangelo di Giovanni dobbiamo
andare al Prologo, dove il termine «Parola» appare per prima volta: «In
principio era la Parola, e la Parola era presso Dio, e la parola era Dio»
(1,1). Questo «In principio era la Parola, e la Parola era presso Dio, e la
parola era Dio» è messo in parallelo con il principio (bereshit) nell’Antico
Testamento (Gen1,1). Ma, ancora di più, questo in principio non si riferisce
al momento nel quale Dio comincia a creare il mondo ma alla pre-
temporalità, alla esistenza della Parola insieme a Dio prima della

0
I. de la POTTERIE, La verità dans Saint Jean, 23-30.
0
W., BRUEGGEMANN, Teologia del Antiguo Testamento, 159-162.
42 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

temporalità, in una realtà senza inizio. Questa realtà senza inizio nella quale
Dio e il Logos condividono la stessa esistenza è descritta nel Prologo con la
preposizione eis «presso». Questa preposizione denota che tra la Parola e
Dio c’è una relazione dinamica, una comunione, una intimità, uno stare
rivolto l’uno verso l’altro, come una persona sta di fronte a un’altra. Dio,
pertanto è in sé stesso relazione. Il Verbo è in reciproca comunione con Dio
e Dio è il luogo del Verbo.0
Questa Parola, dunque, che esisteva prima e al di là del tempo, viene al
mondo, viene nel tempo, s’incarna. La Parola si fa storia. Appare la
persona storica di Gesù. Il Dio invisibile entra nella storia umana e si fa
visibile. L’evento della venuta della Parola di Dio nel mondo implica
l’apparizione immediata della grazia e della verità. In questo evento Gesù
non è soltanto il trasmettitore della verità, come erano stati Mosè e i profeti
nel passato. Gesù stesso è la personificazione della grazia e della verità
(1,14). Lui stesso è la pienezza della grazia e la verità già radicata nel suo
essere eterno nel seno del Padre.0
Nella sua vita terrena Gesù dice e testimonia la verità che ha visto e
sentito dal Padre nella pre-temporalità. Questa testimonianza della verità
non è dovuta a una ispirazione, come lo era nei profeti dell’Antico
Testamento, ma alla natura della stessa realtà di Gesù di essere volto verso
il Padre prima e al di là del tempo, e alla stessa realtà di essere venuto dal
Padre. Il Verbo incarnato è il rivelatore del Padre in tutto ciò che dice e fa
(12,45;14,9).
Nel vangelo Gesù stesso è l’esegesi viva di questa identificazione Sua
con il Padre. Questo fatto provoca il forte antagonismo, incredulità e
opposizione dei giudei. Questi si giustificano con l’origine fisica di
Abramo. Ma cercando uccidere Gesù contraddicono la grande
testimonianza di obbedienza e amore alla Parola di Dio di Abramo (Gn
12,1-9; Gn 22,1-17).
Così, intorno al termine verità, appare nel IV Vang. la grande
concentrazione intorno al problema dell’origine. La verità trova la sua
origine in Dio e invita l’uomo ad accoglierla. Il criterio per definire
l’origine di Dio è identificato con l’ascolto, con l’accoglienza della sua
Parola, che è la verità. Ogni persona umana ha due possibilità: ascoltare la
Parola di Gesù, e in questa maniera essere da Dio, o non ascoltare la parola
di Gesù, e pertanto non essere da Dio.

0
B. JOJKO, Su questo monte o a Gerusalemme?, 191-193.
0
Ibid, 194-195.
CAP. II: ANALISI SEMANTICA 43

4.3 Testimoniare la verità (18,37)


Nel processo di Gesù davanti a Pilato, ossia nell’ora culminante della sua
glorificazione e del passaggio da questo mondo al Padre attraverso la sua
morte e resurrezione, il IV Vang. dà una ultima e definitiva opportunità per
conoscere chi è Gesù. Lui stesso dichiara di essere venuto «nel mondo per
rendere testimonianza alla verità» (18,37a). Il verbo testimoniare fa
riferimento a una conoscenza fatta a traverso l’esperienza personale. Il
testimoniare la verità di Gesù ci parla della sua familiarità con il Padre. La
frase testimoniare la verità entra così nella grande ricchezza del linguaggio
relativo alla famiglia. Gesù da testimonio della sua esperienza personale
con il Padre, della sua vita intima con Lui, dal cui seno è venuto. Gesù è
l’unico che conosce questa realtà famigliare con il Padre, è Lui chi la rivela
ai Giudei nel suo ministero terreno, e dopo ai gentili, nel dono universale
della sua ora, nel momento della croce, morte e resurrezione.0
4.4 Lo Spirito di Verità (14,17; 15,26; 16,13)
Lo Spirito insegna e fa ricordare la verità. Queste sono le due attività
principali dello Spirito Santo Paraclito, che insegna e fa ricordare tutta la
verità delle parole del Padre e di Gesù, rendendolo presente nella vita delle
comunità cristiane e di ogni credente. Lo Spirito, abitando all’interno della
comunità cristiana, fa penetrare i credenti nella verità rivelata di Gesù,
spiegando tutto ciò che è misterioso e nascosto. Lo Spirito è la persona che
attualizza, in maniera creativa e dinamica, la verità di Gesù, la rivelazione
del suo Vangelo, ai nostri giorni, alla nostra epoca attuale. Grazie allo
Spirito, la Parola di Dio cresce sempre e si fa ogni volta più grande,
facendo crescere coloro che la leggono e la meditano. Attualizzando la
Parola di Gesù nei cuori dei credenti, lo Spirito rende testimonianza della
verità che è Gesù, e allo stesso tempo è l’agente che fa possibile che i
credenti rendano a sua volta testimonianza di Gesù davanti il mondo.0
4.5 Risposta umana alla verità
Come si realizza la risposta umana alla verità rivelata da Dio? È una
risposta attiva e continua, che rende la persona testimone di Cristo. Solo
attraverso il suo operare atti concreti che rendano testimonianza a Gesù la
persona diventa adoratore in Spirito è verità. Davanti l’innalzamento di
Gesù sulla croce, davanti alla rivelazione dell’immenso amore del Padre
che dona il suo Figlio per amore del mondo (3,1-21), le persone sono
chiamate a dare una risposta positiva o negativa, a scegliere tra la luce e le
tenebre, tra la vita o la morte. La persona che dà una risposta positiva alla
0
B. JOJKO, Su questo monte o a Gerusalemme?, 212-213.
0
Ibid, 215-216.
44 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

verità che è Gesù viene alla luce e diventa luce per gli altri (3,21). La
risposta negativa a Gesù è la mancanza di fede in Gesù (ossia il peccato) e
il rifiuto di colui che è la Luce. La risposta umana alla verità che è Gesù
diventa così un fare la verità. Questo fare la verità non è un atto realizzato
una sola volta, ma un processo continuo e costante, cioè fedele, vero.
L’adesione a Gesù come processo continuo è significata nel vangelo con la
parola meno, rimanere. La persona che rimane nell’adesione di fede nella
persona di Gesù, interiorizza la sua rivelazione e la sua verità.

Questo presuppone che colui che opera la verità è una persona che riceve
attivamente tale amore immenso, offerto da Dio Uno e Trino. Ricevere questa
pienezza di amore e di vita -il dono della Trinità- porta a un cambiamento del
cuore, dimostrato nelle opere concrete, negli atti che sono espressione del
vivere secondo principi nuovi.0
4.6 Testimoniare la verità (5,53)
Nel complesso del IV Vang., questo operare la verità, che è l’adorazione
del Padre in Spirito e verità, riceve anche il nome di testimoniare. Le due
più grandi testimonianze di Gesù come la Parola e la verità il vangelo le
presenta nelle persone di Giovanni Battista e del discepolo amato da Gesù.
Questi due grandi personaggi del IV Vang., oltre essere i paradigmi della
testimonianza ideale di Gesù come Parola e verità, sono anche veri modelli
di quegli adoratori che cerca il Padre per essere adorato in Spirito e verità.

4.6.1 Giovanni Battista, testimone della verità


Nel prologo (1,6-8; 15): Giovanni è un inviato di Dio che viene a
testimoniare il Logos che è la luce degli uomini. «Io non lo sono»,
un'espressione che nasconde l’io di Giovanni, che non è l'ego eimi di Gesù.
A differenza dei sinottici, Giovanni non viene presentato come colui che
battezza, ma come colui che rende testimonianza di Gesù. Giovanni è la
«voce» attraverso la quale la Parola di Dio che è Gesù diventa presente:
con questo la testimonianza di Giovanni riguarda l’origine, la missione, la
identità di Gesù. Presentandosi come la voce, Giovanni si veste con la
magnifica dignità delle Scritture e raccoglie nella sua persona la Promessa.
L'evangelista non descrive le peculiarità del Battista, come fanno i sinottici,
ma lo rende figura dell'Antico Testamento, la testimonianza è la Scrittura
d'Israele che riconosce e indica in Gesù il Messia, tutta la pienezza
dell'esegesi di Dio è data da Gesù, che non è la legge, ma la Verità. Il
Battista è soprattutto la testimonianza di Gesù. Un esempio di estrema
umiltà.
0
Ibid, 217.
CAP. II: ANALISI SEMANTICA 45

La testimonianza di Giovanni Battista dell'identità di Gesù si sofferma


sul significato delle parole: «Ecco l'Agnello di Dio, che toglie il peccato del
mondo» (1,29). È un agnello pasquale e l'agnello del 4 canto del servo (Is
53,7). L’agnello che toglie il peccato del mondo, che in Giovanni è
l’incredulità, ou pisteousin eis emé. Non credere in Giovanni è la radice di
ogni peccato. Solo Gesù e non la Torah può togliere il peccato del mondo.
Con questo e altri annunci simili, lo scopo di Giovanni è attirare
l’attenzione della gente verso la verità che è Gesù.
La conseguenza della testimonianza del Battista è seguire Gesù e
rimanere con Lui. A traverso la domanda di Gesù: «Cosa stai cercando?»
(1,38) si scandagliano le intenzioni più intime del cuore. «Venite e vedrete»
(1,38) è l'invito a stare con Lui e ad essere nel futuro testimoni di una gloria
che sarà gradualmente scoperta. Come conseguenza della testimonianza del
Battista emerge la grande importanza che ha nel vangelo la parola
rimanere. Questo termine indica il senso dell’essere discepoli di Gesù:
rimanere nella sua Parola e nella sua verità, rimanere non solo quel giorno
nel quale i discepoli sono stati invitati, ma in una costante comunione di
vita con Lui. Con Maria Maddalena (20,15) al momento della risurrezione
ci sarà un progresso dalle cose alla persona: «Chi cerchi?». Si crea come
una catena comunicativa, come quella di Filippo, Andrea e Pietro, dove
l'incontro con Gesù diventa testimonio che eleva negli altri il desiderio di
aderire a Gesù, creando così una fratellanza che nasce dallo Spirito, che è
l'amicizia e il discepolato. I primi discepoli sono fratelli per essere un
segno di questa realtà di essere una famiglia di Dio.
Giovanni Battista appare anche come amico di Gesù Messia (3,22-30).
La presenza in questo brano della metafora sponsale di Gesù indica il
rapporto Gesù-Chiesa. Come amico dello Sposo Giovanni Battista indica
che Gesù è venuto a celebrare le nozze con il suo popolo di Israele: «Colui
che ha la sposa è lo sposo, ma l’amico dello sposo, che è presente, e lo
ascolta, si rallegra grandemente della voce dello sposo; ora questa mia
gioia è piena. Conviene ch’egli cresca, e ch’io diminuisca» (3,29-30). La
voce dello Sposo φωνὴν (foné) è la voce del pastore-re (10,3-5). φίλος
(filos), qualifica a Giovanni come amico di Gesù. Sentire la sua voce è
essere suoi amici, perché è permanere nella verità di Gesù. Lazzaro è anche
filos, amico (11,11): Lazzaro sente la voce di Gesù e passa dalla morte alla
vita, perché come amico di Gesù, credente, ha ascoltato la sua Parola e
ascoltato di nuovo dopo la morte corporea.

4.6.2 L’uomo paralitico di Betzatà (5,1-47)


Ascoltare la voce di Gesù, la sua Parola e la sua verità ancora ha delle
conseguenze esegetiche molto ampie nel racconto del paralitico di Betzatà
46 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

(5,1-47)). La scena giovannea della guarigione di un paralitico presso la


piscina di Betzatà a Gerusalemme presenta un inizio di fede che diventerà
matura in un altro personaggio: il cieco nato (Gv 9). Le relazioni che si
stabiliscono con il senso analizzato del termine giovanneo di verità si fanno
evidenti in questo racconto. Ciò che guarisce il paralitico è l’accettazione
della verità di Gesù, della sua parola.
Già il parallelo dei cinque portici della piscina con i cinque portici del
tempio di Gerusalemme, luogo dell’insegnamento della Legge di Mosè,
fanno allusione che la sostituzione della Legge con la persona e la verità di
Gesù è il tema principale di tutto il capitolo 5. La paralisi dell’uomo di
Betzatà è simbolo della malattia di un popolo che è diventato senza vita a
causa di una Legge che è diventata arida, secca (Ez 37,11-14). «Né zoppo
né cieco entri nel tempio» (2Sam 5,8). In casi come questi nel tempio si
praticava l’esclusione sociale. La moltitudine giacente sotto i portici era
esclusa delle feste principali del giudaismo. La Legge ha reso il popolo
senza vita. Il popolo sta per morire a causa della interpretazione dei giudei
della legge mosaica. In questo contesto, il segno operato da Gesù propone
la vita stessa. Diventare sano vuol dire accogliere la verità della Parola di
Gesù, accettare la Vita.
L’acqua della piscina è un fattore di vita, ma solo quando è messa in
relazione con la Verità di Gesù, queste acque diventano veicoli di vita.
Così, possiamo collegare adesso la relazione semantica che c'è tra verità ed
acqua. A partire della narrazione giovannea dell’uomo indebolito di
Betzatà possiamo illuminare meglio il senso dell’evento samaritano e il
senso dell’adorare il Padre in Spirito e verità. L’acqua del pozzo di
Giacobbe, come l’acqua della piscina di Betzatà, diventa immagine per
esprimere la parola e la verità di Gesù che sale verso la vita eterna. Il
Messia dona la verità, l’acqua di vita (4,14).
«λέγει αὐτῷ ὁ Ἰησοῦς· Ἔγειρε ἆρον τὸν κράβαττόν σου καὶ περιπάτει.
Gesù gli dice: Rialzati, porta-via la tua barella e cammina!» (5,8). Questo
verbo ἆρον può assumere anche il significato di «risuscitare» come proprio
accade nella spiegazione di questa guarigione e nella discussione con i
Giudei: «Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così il Figlio dà la vita
a chi vuole» (5,21).
L’imperativo περιπάτει rappresenta la conseguenza del desiderio
continuo dell’ammalato di poter camminare a piacimento. Camminare non
ha qui un senso meramente di movimento fisico. L’ordine di Gesù va al di
là e si tratta di un invito a camminare nella luce, nella Luce del Mondo
(8,12). cioè: nella verità. «Casa di Giacobbe, venite, camminiamo alla luce
del Signore» (Is 2,5). Questi imperativi pronunciati da Gesù indicano al
«paralitico» guarito che non deve più giacere, ma camminare, e non
CAP. II: ANALISI SEMANTICA 47

soltanto gironzolando di qua e di là, ma andando in una direzione precisa,


cioè comportandosi secondo i comandamenti di Dio, secondo la verità.0
Come un morto risuscitato (5,21) l’uomo ritorna alla vita. La parola-
verità di Gesù infonde forza e libertà di agire. La barella (giaciglio) è
portata-via con energia dall’uomo stesso che adesso cammina.
Il camminare dell’invalido indica il superamento della sua condizione,
che rievoca il cammino dell’esodo come liberazione da un’istituzione
oppressiva. Nelle parole e nella verità di Gesù l’uomo trova la vera
liberazione del peccato e da ogni tipo di oppressione. Con la sua verità
Gesù offre una nuova libertà per iniziare un nuovo esodo. Questa verità non
è l’acqua che si agitava sporadicamente, ma la parola di Gesù che dona la
Vita vera, perché è piena dello Spirito Santo che si dona senza misura
(3,34).

4.6.3 La testimonianza alla verità del discepolo amato


Nel vangelo di Giovanni il discepolo amato è presentato con
caratteristiche molto positive. Durante l’ultima cena il discepolo amato
viene caratterizzato come il più vicino a Cristo di ogni altro discepolo o
persona. «ἦν ἀνακείμενος εἷς ἐκ τῶν μαθητῶν αὐτοῦ ἐν τῷ κόλπῳ τοῦ
Ἰησοῦ, ὃν ἠγάπα ὁ Ἰησοῦς. Ora uno dei discepoli, il quale Gesù amava, era
coricato sul seno di Gesù». (13.23). Questa realtà di confidenza intima che
sostiene il discepolo amato verso Gesù (segnalata con la parola κόλπῳ) è la
stessa realtà che descrive il Prologo, usando la stessa parola: εἰς τὸν κόλπον
τοῦ πατρὸς. «Dio, nessuno l’ha mai visto; l’unigenito Figlio, che è nel seno
del Padre, è lui che l’ha rivelato» (1,18).
Il Figlio è orientato e spinto verso il Padre in termini di agapē. Il Figlio
unigenito sta accanto al Padre con una specie di tensione, di tenerezza
verso di Lui: εἰς τὸν κόλπον. Scrive U. Vanni: «Il Figlio tende al Padre
come un bambino al seno della madre. Si tratta allora di un’espressione
particolarmente delicata e tipicamente umana, che viene trasferita al livello
trinitario».0
È proprio il Figlio nel suo atteggiamento verso il Padre che ci rivela la
realtà divina più intima: Dio ama. Per questo il IV Vangelo dichiara
πνεῦμα ὁ θεός «Dio è Spirito» (4,24) e la Prima Lettera ὁ θεὸς ἀγάπη ἐστίν
0
K. WENGST, Il vangelo di Giovanni, Brescia 2005, 201.
0
U., VANNI, Il Tesoro di Giovanni. Un percorso biblico-spirituale nel Quarto Vangelo,
192. Dice questo autore: «Il Padre in questo caso è infatti paragonabile – attraverso il
riferimento quanto mai audace del “petto”, del “seno” – a una madre, affermazione che
trova riscontro nelle parole del profeta Isaia, secondo il quale Dio è un padre con un
cuore di madre (cf. Is 49,15)», 65.
48 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

«Dio è Agapē» (4,8.16). Gesù conosce l’intimità del Padre e sta con Lui in
un rapporto di Agapē. Gesù ci mostra il Padre con le sue parole e con la sua
vita.
Solo Gesù è l’esegeta del Padre. E il discepolo amato, descritto
nell’Ultima Cena in una posizione simile rispetto a Gesù (13, 23.25), è
divenuto il suo «esegeta». Gesù condivide e rivela al discepolo amato la
verità. Il discepolo amato è unito a Gesù come i tralci alla vite (15,1-5), in
uno scambio di amore e d’amicizia: «Non vi dico più servi, perché il servo
non sa ciò che fa il suo signore; invece vi ho detto amici, perché tutte le
cose che ascoltai dal Padre mio ve le feci conoscere» (15,5). Quello che
Gesù ascoltò dal Padre, lo fece conoscere ai suoi, chiamati qui amici, e
anche testimoni veri (19,35; 21,24).
La presenza del discepolo amato alla croce lo qualifica come il vero
testimone. «Gesù dunque, avendo visto la madre e il discepolo lì stante
(quello) che (egli) amava, dice alla madre: Donna, ecco tuo figlio» (19,26).
E anche la scena della croce qualifica il discepolo amato con una altra
realtà: lui emerge come un discepolo modello di tutti gli altri discepoli, non
per essere particolarmente preferito da Gesù, ma perché questo discepolo
accetta tutto l’amore di Gesù: «Gesù ama tutti indistintamente, ma questo
discepolo accetta in modo particolarmente aperto il suo amore».0
Il discepolo amato è l’ideale di discepolo perché accetta al massimo della
sua capacità l’amore del Maestro. Aprirsi all’amore di Gesù e accettarlo è
significato dal verbo lambanein, accogliere. L’accoglienza dell’amore di
Gesù in croce è quello che rende Maria e il discepolo amato madre-figlio.
Questo rapporto di maternità-filiazione (tra i discepoli e Maria) si
svilupperà dopo dell’ora di Gesù. Maria sarà la «madre di Gesù» per tutti i
nuovi discepoli che come il discepolo amato accolgono l’amore di Gesù e
così nascerà la Chiesa.
L’interpretazione del narratore del vangelo sulla profezia di Caifa si
compie. Gesù non muore soltanto per la nazione, ma per raccogliere tutti i
figli di Dio dispersi (11,52) Questo è il senso pieno del brano. Gesù si dona
totalmente. Gesù crocifisso dona anche Maria come madre della Chiesa,
con l’incarico specifico di far crescere nella Chiesa ed in ciascuno dei
cristiani che accettano l’amore di Gesù rivelato al massimo. Quello che si
forma ai piedi della croce è una nuova famiglia. Questo senso seguito fino
adesso di testimoniare la verità ci ha portato sino a un senso di «home»,
casa, focolare, fra i cristiani, un senso di fraternità che deriva da un atto di
amore estremo sulla croce. La comunità giovannea considerò il discepolo
0
Ibid, 191.
CAP. II: ANALISI SEMANTICA 49

amato come il suo testimone di questa grande realtà. Con l’annuncio di


Maria di Magdala di aver visto il Signore risorto (20,17-18) i discepoli
diventano i fratelli di Gesù. La nuova famiglia di Dio si è costituita.
L’ambiente domestico diventa ecclesiale. Nasce la casa – chiesa.
Il discepolo amato figura come mediatore della rivelazione di Gesù sia
come testimone oculare della vita pubblica di Gesù dal suo inizio fino ai
piedi della croce (Gv 19,30) e alla tomba vuota (20,1-10); sia come
testimone credente che comprende il mistero della persona di Gesù e lo
comunica anche agli altri, perché credano. La testimonianza è vera perché
riguarda Gesù, il quale è la Verità (14,6) e la cui testimonianza era vera
(5,31-32). Tale testimonianza è vera poi, non perché proviene da uno che
era presente, ma perché lo Spirito Paraclito si è espresso nei ricordi e nelle
riflessioni teologiche che si trovano nel Vangelo e le ha attualizzate (15,26;
16,13).0
Il Paraclito è il testimone massimo di Gesù, dato che è la presenza di
Gesù risorto ed è stato attivo durante tutto il processo di formazione del IV
Vang. e di tutto il Nuovo Testamento. L’azione sempre attualizzante dello
Spirito Paraclito mostra che Gesù nel fondo è sempre inedito e deve essere
ogni volta riscoperto e testimoniato.

che ogni persona abbia un proprio personale Vangelo da scrivere, cioè un


resoconto analogo a quello del discepolo e capace di rendere testimonianza, di
comunicare tutte le meraviglie che lo Spirito, attualizzando la vita i principi e
la verità di Gesù, opera in ciascuno di noi. Si delinea in questo modo una
prospettiva alquanto ampia che vedrebbe il mondo intero sommerso da una
mole immensa di libri, dal momento che ogni singolo uomo potrebbe
potenzialmente scrivere il proprio vangelo. Questo è in definitiva il messaggio
conclusivo che ci affida il Quarto Vangelo. All’inizio si diceva: «Dio nessuno
l’ha mai visto; proprio il Figlio unigenito, che è verso il seno del Padre, lui lo
ha interpretato»: ebbene, accettiamo la sua interpretazione, la sua preziosa
testimonianza… facciamola nostra e trasmettiamola al nostro prossimo.0
4.7 Delimitazione finale del termine verità
avlh,qeia è stata interpretata in senso soggettivista, riferita soltanto a
una disposizione sincera del cuore. Verità, nel senso greco di realtà, si è
riferita alla realtà del culto cristiano, in opposizione ai tipi o figure dell’AT.
Persino nella modernità si ha dato a avlh,qeia il senso greco di realtà, di

0
J. RATZINGER, BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, 268-269.
0
U. VANNI, Il Tesoro di Giovanni, 258.
50 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

essere, che appartiene alla filosofia greca, ma non a la Bibbia. Invece la


formula evn avlh,qeia non si riferisce qui al senso platonico e greco di
realtà o essenza delle cose, perché la sua origine è biblica e semitica. Il
senso di «in spirito e verità» è, invece, personale e trinitario, non filosofico:
nello spirito e nella verità, in Cristo che è Lui stesso la Verità, il Figlio di
Dio. Tanto lo Spirito come la verità indicano un dinamismo interiore del
credente. Lo Spirito e la verità sono i doppi principi interiori dell’agire e
dell’adorazione del credente. Tanto l’agire quanto l’adorazione del credente
sono sotto l’azione dello Spirito e sotto l’azione della verità: «l’azione dello
Spirito consiste precisamente nell’interiorizzare in noi le parole di Gesù, la
sua verità... l’azione interiore della verità coincide infatti con l’azione dello
Spirito».0
Unicamente dentro il giudaismo e la Bibbia si trova il senso originario
dei termini Spirito e verità. Il senso di verità è collegato alla rivelazione e
alla persona di Gesù. Verità vuol dire la Parola che Gesù rivela, la
rivelazione fatta da Gesù agli uomini. Né Spirito, né verità, hanno un senso
di culto interiore e soggettivista, realizzato dentro della propria anima
individuale, separata dell’adorazione in un tempio e fuori della liturgia
comunitaria. L’interiorità dell’anima umana non cancella il valore della
liturgia comunitaria e dei suoi diversi gesti e riti esteriori. Anzi, l’autentica
adorazione procede dal cuore del credente, come luogo dell’abitazione
dello Spirito.0

5. Ἐγώ εἰμι, ὁ λαλῶν σοι


Con queste parole Gesù si autodefinì come fonte di vita e di salvezza. È
persistente l’uso di Gesù della formula Io sono in tutto il quarto Vangelo,
fino a undici volte: «Io sono il pane di vita» (6,35), «Io sono il pane vivo
disceso dal cielo» (6,51), «Io sono la luce del mondo» (8,12), «Io sono la
porta delle pecore» (10,7-9), «Io sono il buon pastore» (10,11), «Io sono la
resurrezione» (11,25), «Io sono la via, la verità e la vita» (14,6), «Io sono la
vera vite» (15,1.5). Con queste parole Gesù si proclama erede della
tradizione giudaica e allo stesso tempo annunzia la gran novità di essere
Lui stesso la vita, la sapienza, la salvezza che aveva stata proclamata
nell’AT.0
Ancora di più: Gesù stesso, colui che appare davanti gli occhi della
Samaritana assetato, stanco, sofferente, egli stesso è il vero uomo che ci
apre la cruda realtà della croce, cento per cento uomo, e vero Dio, cento per
cento Dio: Ἐγώ εἰμι, ὁ λαλῶν σοι.
0
I. de la POTTERIE, La verità dans Saint Jean, 882.
0
Ibid, 704.
0
N., CALDUCH-BENAGES, Il profumo del Vangelo. Gesù incontra le donne, 170.
CAP. II: ANALISI SEMANTICA 51

5.1 Auto rivelazione nell’adesso


L’analisi semantica dell’espressione di Gesù Ἐγώ εἰμι ci mette davanti a
una delle più importanti caratteristiche dei racconti d’incontro in Giovanni,
cioè l'anagnorisis, oppure il processo che va dal non riconoscere al
riconoscimento.
Culpepper indica che la ripetizione di scene di riconoscimento lungo il
vangelo, e il ruolo che giocano nel tema di Gesù non ancora riconosciuto,
ha a vedere con la tecnica dell’anagnorisis, come motivo letterario che
organizza e sviluppa il dramma. Questa tecnica è una forte caratteristica dei
racconti di incontro, come quella del paralitico e quella del cieco nato, in
Gv 5 e Gv 9, rispettivamente.0
Ἐγώ εἰμι, ὁ λαλῶν σοι. Queste sono le parole di autorivelazione di Gesù,
autorivelazione lenta che ha seguito il progresso della fede della donna.
Così, la Samaritana, come in tutti i racconti d’incontro personale nel quarto
Vangelo, riceve la sfida di riconoscere Gesù come l’Inviato di Dio, di
cercarlo e di trovarlo; tutto questo nel racconto della Samaritana si
evidenzia in una maniera molto forte: Gesù ha l’iniziativa di cercare e
trovare. La Samaritana, dunque, dal vedere in Gesù un semplice giudeo
(4,12), ha esperimentato un progresso nella fede (considerare Gesù come
profeta (4,19), Messia (4,26), fino alla confessione dei samaritani di Gesù
come il salvatore del mondo (4,42). In tutto questo processo, le parole di
Gesù, Ἐγώ εἰμι, costituiscono un vero climax di rivelazione, anzi, di auto
rivelazione. Sono le parole che segnano il cambio di ciò che sarà a ciò che
è già presente, nella stessa persona di Gesù. Alle parole della donna: «Io so
che il Messia, il quale è chiamato Cristo, ha da venire; quando egli sarà
venuto, ci annunzierà ogni cosa» (4,25-26), Gesù le disse: «Sono Io, che ti
parlo». Queste parole di Gesù spostano l’aspettativa futura del Messia al
presente, come tempo della rivelazione della sua propria persona. Gesù si
auto rivela, con Lui le promesse messianiche trovano compimento.
La Samaritana interiorizza in modo personale le parole rivelatrici di
Gesù, Ἐγώ εἰμι, come è evidenziato per quello che viene immediatamente
dopo: «La donna dunque, lasciata la sua secchia, se ne andò alla città, e
disse alla gente: Venite, vedete un uomo che mi ha detto tutto ciò che io ho
fatto; non è costui il Cristo? Uscirono dunque dalla città, e vennero a lui»
(4,28-29). Così, le parole di autorivelazione hanno un significato
fortemente emotivo nella Samaritana, in ugual maniera come le hanno in
Marta, che capisce il senso dell’auto rivelazione di Gesù in un modo molto
0
R.A., CULPEPPER, «The Gospel and the Letters of John», 67-86.
52 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

simile a quella della Samaritana: «Io sono la risurrezione e la vita;


chiunque crede in me, benché sia morto, vivrà. E chiunque vive, e crede in
me, non morrà in eterno» (11,25-26).
La relazione che c’è tra tutti i personaggi del vangelo di Giovanni si vede
ancora più strettamente realizzata nella relazione tra la Samaritana e il
cieco nato (9,1-41). Giunti a questo punto dell’analisi è importante
segnalare che tra la Samaritana e il cieco nato la relazione è esplicita con la
risposta di Gesù al cieco nato: «Tu l’hai visto: colui che parla con te è
proprio lui» (9,38). Nella vicenda del cieco nato Gesù si impegna a rivelare
se stesso come la Parola stessa de Dio, Parola che riempi di luce e di senso
la vita di tutti coloro che sono nella cecità, la cecità che non si riferisce alla
cecità fisica degli occhi, ma alla cecità di non conoscere Dio, il senso
profondo della vita. Solo nella Parola di Dio, nella stessa persona di Gesù,
si trova la luce della fede tramite la quale l’uomo può vedere la faccia di
Dio. L’adorazione in Spirito e verità è praticamente consumata per il cieco
nato, che davanti alla Parola ascoltata da colui che gli parlava dona una
perfetta risposta, piena di maturità nella fede: «Io credo signore!» (9,38).
Questa risposta, piena di maturità nella fede, arriva propriamente al
culmine con l’adorazione esplicita del cieco nato, che si prostra davanti a
Gesù (proskune,w), confermando con questo gesto fisico di amore le sue
parole.
Il parallelismo di questi due episodi è segnato dal progresso nel
cammino di fede che sperimentano le due donne. Nel caso di Marta, questo
progresso viene nel passo dalla fede giudaica tradizionale alla fede nella
persona di Gesù. In modo molto simile, la Samaritana fa il passo dalla fede
Samaritana alla fede nella persona di Gesù. Le due donne interiorizzano
che Gesù è il veniente colui che viene nel mondo. Οἶδα ὅτι Μεσσίας
ἔρχεται ὁ λεγόμενος Χριστός· ὅταν ἔλθῃ ἐκεῖνος, ἀναγγελεῖ ἡμῖν ⸁ἅπαντα.
«So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci
annunzierà ogni cosa» (4,26).
La consapevolezza della venuta di Gesù nel mondo e per la salvezza
universale del mondo risveglia un atteggiamento missionario in quanti
diventano discepoli di Gesù. Già non c’è più per Marta e la Samaritana lo
sguardo fisso e melancolico nel passato oppure la ricerca del futuro nelle
promesse lontane. Il superamento di un passato pieno di dolore e di
immobilità, così come il superamento di un futuro lontano, fanno sì che
queste due donne, accogliendo l’«Io sono», sono rese libere per vivere il
presente. La fede in Gesù non è solo un vivere nella attesa che speriamo, la
fede in Gesù ci dà qualcosa già nel presente:
CAP. II: ANALISI SEMANTICA 53

La fede non è soltanto un personale protendersi verso le cose che devono


venire ma sono ancora totalmente assenti; essa ci dà qualcosa. Ci dà già ora
qualcosa della realtà attesa, e questa realtà presente costituisce per noi una
«prova» delle cose che ancora non si vedono. Essa attira dentro il presente il
futuro, così che quest'ultimo non è più il puro «non-ancora». Il fatto che
questo futuro esista, cambia il presente; il presente viene toccato dalla realtà
futura, e così le cose future si riversano in quelle presenti e le presenti in
quelle future.0
5.2 Il luogo del volto
È necessario, dunque, sottolineare la grande importanza che hanno i due
riferimenti temporali di questo dialogo di Gesù con la Samaritana. L’ora di
Gesù è messa in connessione con l’adorazione del Padre (4,23) nel
momento in cui l’ora futura della sua glorificazione, del suo ritorno al
Padre e dell’invio del Paraclito viene come anticipata alla Samaritana nel
momento presente dell’affermazione Io sono, che indica il momento
presente nel quale Gesù parla e rivela sé stesso.
La formula di autorivelazione di Gesù, «Io sono», si mette in stretta
relazione anche con il campo semantico del termine «volto». Tutto il
messaggio del Quarto Vangelo si gioca nel faccia a faccia tra Dio e l’uomo.
Il prologo mostra come colui che è il totalmente altro, che non è stato mai
visto, prende un volto e un nome, si fa visibile, si incarna nella persona
umana di Gesù di Nazareth. Dio invisibile diventa uomo visibile, volto, per
amore di tutta la umanità. Tutta la fragilità e il limite del volto dell’uomo è
assunto, per amore, da Dio, per condividere gratuitamente la fragile
condizione umana. In questa maniera il volto è il luogo dove sparisce la
frontiera tra Dio e l’uomo. È possibile andare oltre ed affermare che il
volto, cioè, la condizione umana assunta da Dio in Cristo, è anche il nuovo
luogo dell’adorazione, perché il volto è il luogo dove si manifesta la verità
di Dio. Il prologo annunzia questo ammirabile paradosso: «Dio, nessuno
l’ha mai visto; l’unigenito Figlio, che è nel seno del Padre, è lui che l’ha
rivelato» (1,18), che è ulteriormente spiegato a Filippo, quando chiede a
Gesù di mostrargli il Padre: «chi mi ha veduto ha veduto il Padre» (14,9),
perché il Figlio è rivolto verso il volto del Padre.
In tal modo, la Samaritana, e in lei tutti i lettori, è chiamata a riconoscere
nel volto umano di Gesù il mistero della Parola fatta carne.0
5.3 La manifestazione del nome di Dio

0
BENEDETTO XVI, Spes Salvi, 7.
0
M., GRILLI, Il volto: Epifania e mistero. Un itinerario storico-salvifico alla luce del
volto, 122.
54 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

In una nuova fase della storia della manifestazione di sé stesso, Dio


rivela il suo nome, «Io sono», a Mosè sul roveto che non si consuma (Es
3,1-20). Con la rivelazione del suo misterioso nome, Dio viene reso noto
come un Dio personale, un essere personale, un Dio relazionale, il
fondamento di tutto ciò che esiste; il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il
Dio di Giacobbe: il Dio dei genitori che è qualcuno e non qualcosa, il Dio
con noi. Con il nome «Io sono», il Dio di Israele si manifesta come colui
che è, che è il fondamento di tutte le cose e che è al di sopra della
transitorietà. Nel suo nome e nel suo volto, Dio non si rivela come un'idea
o un concetto, ma come qualcuno che viene in contatto con noi: «Il volto,
che irrompe nel mondo mediante la Parola, chiama al dialogo e alla
responsabilità»0.
Il nome di Dio rende possibile avere una relazione con Lui, in modo che
non sia più un Dio sconosciuto: «Per Yahweh, rivelare il suo Nome a
Israele è consegnare per amore la sua vita intima, quella che chiameremmo
la sua personalità».0
Dio si nomina in modo che possa essere invocato, chiamato con il suo
nome. Gesù, nella preghiera sacerdotale del vangelo di Giovanni, sarà lo
stesso roveto infuocato che rivelerà il nome di Dio, lo manifesterà al suo
stesso popolo e lo farà conoscere: «Ed io ho loro fatto conoscere il tuo
nome, e lo farò conoscere ancora, affinché l’amore, col quale tu mi hai
amato, sia in loro, ed io in loro». (Gv 17,26).
Gesù stesso collega la rivelazione del nome di Dio all’amore con il quale
Dio ama tutti gli uomini e li chiama ad amarsi gli uni gli altri con lo stesso
amore di Dio. La manifestazione del nome di Dio vuol dire anche entrare
nella dinamica dell’amore di Dio, amore universale, entrare in dialogo con
colui che è il Tu, la Parola.
Il dialogo tra Gesù e la Samaritana torna a svelare, in qualche modo,
quello che già il vangelo afferma della relazione tra Gesù e Giovanni
Battista, che aveva nominato sé stesso non come la parola, ma come la
voce: davanti a Gesù, colui che è la Parola (1,1-18), tutti coloro che
accettano la sua verità, come Giovanni Battista, diventano la sua voce.
Adorare in spirito e verità vuol dire, in questo senso, essere la voce de colui
che è la Parola, con tutto quello che implica di ascolto e custodia interiore
della Parola. In qualche alcuna maniera capita così alla Samaritana, che
diventa anch’essa voce della Parola, annunciatrice di colui che è Luce,
Parola, Verità, Vita: «Venite, vedete un uomo che mi ha detto tutto ciò
ch’io ho fatto; non è costui il Cristo? Uscirono dunque della città, e
vennero a lui» (4,28-29).
0
Ibid, 124.
0
L., BOUYER, La Bíblia i l’Evangeli. Del Déu que parla al Déu fet home, 35.
CAP. II: ANALISI SEMANTICA 55

È qualcosa di meraviglioso vedere come tante volte nei campi semantici


dei pronomi personali si gioca il senso profondo di un testo. Il volto
stabilisce un io, un tu, un noi, stabilisce la dinamica del dialogo come la
dimensione del rapporto con Dio. In questa dimensione del dialogo, la
Bibbia scopre la falsità degli idoli, perché certamente questi non hanno la
capacità di parlare, di dialogare, di ascoltare, di entrare in comunicazione
con gli uomini. Gesù, dunque, si rivela alla Samaritana come colui che è la
Parola stessa creatrice: sono io che parlo con te. Colui che ha creato i cieli e
la terra con il potere della parola (Gn 1,3) adesso è davanti alla Samaritana
e, parlando con lei, trasforma la sua vita, le dona una vita nuova.

6. «Né su questo monte, né a Gerusalemme adorerete il Padre»


Dopo il percorso che è stato fatto si può vedere come l’ora di Gesù
presenta una novità rispetto al sistema del culto tradizionale. In Gesù,
l’adorazione del Dio Padre è un dono accessibile universalmente a tutti. È
possibile affermare che Gesù fa suo il desiderio di adorazione universale
che già è presente nell’AT., facendolo giungere alla sua pienezza.
Quello che si intende presentare adesso è il significato più profondo di
culto, cioè, si tenterà di fare una analisi del concetto di culto di Israele,
messo in relazione con il culto in Spirito e verità, dove la nozione di culto
diventa pienezza.
6.1 Concetto di culto nell’AT e la sua pienezza nella rivelazione di Gesù
La distruzione del tempio di Gerusalemme, nel 70 d. C., significò
l’assenza di un luogo di culto tanto per il popolo ebraico quanto per le
prime comunità cristiana. La distruzione del tempio, legame tra il cielo e la
terra, fu senza dubbio un’enorme catastrofe a tutti i livelli. Ancora più, i
cristiani venivano scacciati delle sinagoghe. Dove adorare adesso, dove
pregare, dove mantenere vive le tradizioni cultuali? Dove si trova un luogo
per adorare? Per rispondere a un problema così drammatico, Giovanni
riprende il culto di Israele, enfatizzando che la «salvezza viene dai Giudei»
(4,22), e presenta davanti alla comunità post pasquale la solida convinzione
che Gesù è il completamento e la perfezione del culto di Israele.0
Uno dei simboli più importanti dell’abitazione di Dio con il suo popolo
era il tabernacolo. Nel tabernacolo convergeva l’adorazione tanto dei
giudei quanto dei samaritani, ambedue i gruppi lo rispettavano e lo
consideravano una comune eredità. Per questo Giovanni capisce che il
tabernacolo ha una potente forza per unire l’adorazione dei nuovi credenti
nella corrente spirituale di Israele. Infatti, nel Prologo si mette in chiaro che
Gesù è il Verbo che si fa carne tra noi, che assume la nostra condizione
0
B. JOJKO, Su questo monte o a Gerusalemme?, 75-76.
56 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

umana, la nostra fragilità, la nostra morte (1,14). cioè, la presenza del


Verbo nel mondo è una dimora, una abitazione in mezzo a noi, che ha lo
stesso senso dell’immagine nomade del tabernacolo, della tenda
dell’incontro, nella quale Dio aveva camminato in mezzo d’Israele nel
deserto. Gesù, il Logos, il Verbo Incarnato, prende la sua dimora nel
mondo come in una tenda, dove si accampa tra noi e con noi. E ancora di
più: Gesù stesso è la tenda, la dimora, il luogo eterno della abitazione del
Padre tra noi.0
Questo reciproco abitare del Padre in Gesù e di Gesù nel Padre significa
che in Gesù il Dio invisibile si fa visibile a tutti i credenti post pasquali.
Gesù manifesta e riflette perfettamente per i credenti la gloria e la visione
di Dio, fa conoscere il Padre al mondo. Gesù, pienezza della rivelazione
sviluppata nell’AT., pienezza di grazia, di vita, di luce, di misericordia e di
verità, solo Lui è il Tabernacolo di Dio per i credenti, il santuario e il luogo
santo dove adorare il Padre in Spirito e verità, il posto dove sperimentare la
sua presenza.
Per questa ragione, tutte queste immagini del culto d’Israele non sono
semplicemente oggetto di una semplice sostituzione nel vangelo di
Giovanni. Al giorno d’oggi non è più possibile affermare semplicemente
che il culto di Israele viene abolito. Perché, come si può vedere con
chiarezza, è impossibile capire cosa vuol dire il nuovo culto in Gesù, il
culto in Spirito e verità, senza scoprire il profondo significato della
tradizione cultuale di Israele, nella quale l’adorazione di Gesù si inserisce.
Senza capire la bellezza del culto di Israele non è possibile capire
l’adorazione di Gesù.
Perché Gesù stesso era cosciente che il Tempio era la casa del suo Padre,
il quale veniva profanato della corruzione di certa attività economica. Nella
purificazione del Tempio (2,15), Gesù non respinse il culto praticato nel
tempio, ricorda che, per trattarsi del luogo più sacro della terra, non poteva
finire per essere oggettualizzato così. Solo alla luce del tempio di
Gerusalemme si scopre il significato più profondo di culto, cioè il culto del
tempio del corpo di Gesù (2,21), tempio che fu distrutto sulla croce, ma
riconfigurato tre giorni dopo nella resurrezione.0

0
Ibid, 76-78.
0
Ibid, 88-89.
CAPITOLO III
Messaggio teologico

In questo capitolo vogliamo approfondire le principali linee teologiche


che possiamo trarre dallo studio precedente di Gv 4,20-26. La prima è la
cristologia e pneumatologia che conformano la dottrina trinitaria presente
nel racconto. La seconda è la teologia del dono, la terza l’adorazione
trinitaria, la quarta l’ora di Gesù, e la quinta ed ultima riguarda la risposta
umana alla verità e il ruolo della donna samaritana come modello di
testimonianza alla verità evangelica e partner della rivelazione.

1. Cristologia e pneumatologia
1.1 Unità e universalità del nuovo culto in Spirito e verità
Gesù attraversa tre barriere nella storia: una barriera socio etnica di
secoli di pregiudizio ebraico-samaritano, una barriera di genere e una
barriera etica dovuta al comportamento morale di questa donna. Barriere e
stereotipi esteriori, a cui i contemporanei religiosi di Giovanni potrebbero
fare attenzione, come il fatto che la Samaritana fosse una donna, la sua
tradizione religiosa e l’etnia alla quale apparteneva, così come la sua
possibile condizione morale, la sua vita passata o presente. Dio cerca
persone che lo adorino in Spirito e verità, e questo va al di là delle
differenze esclusivamente d’indole esteriori, dei pregiudizi socioculturali,
cosa che può vedersi può vedersi nel fatto che Gesù mangia con i peccatori.

Sotto il sole di mezzogiorno (4,6), il forte caldo era una condizione


spiacevole per impegnarsi in lunghe conversazioni all'aperto1; questa è una
prova che alla donna non mancavano motivazioni interiori per conversare
con Gesù:
58 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

Le barriere che Gesù attraversa qui - genere, etnia (incluso, in Luca, tra i
samaritani) e moralità (mangiare con i «peccatori») - sono tutte coerenti
con il ritratto di Gesù rivelato nel Sinottici.
Secondo i saggi, gli uomini ebrei dovevano evitare inutili conversazioni
con le donne. Era sconveniente per uno studioso della Torah, conversare
con una donna. Una moglie che trovata in privato con un uomo altro da suo
marito poteva essere sospettata di adulterio.0
Lo stesso stupore che manifestano i discepoli quando tornano e trovano
Gesù con la Samaritana è una prova convincente (4,27) di questa oggettiva
barriera di genere che si aggiungeva alla barriera di etnia che molti rabbini
ebraici avevano posto ai samaritani, che dovevano essere trattati come
gentili. Si può dire che questo movimento costante di Gesù verso le
periferie, trasgredendo queste rigide barriere sociali, e attestato in tutti i
vangeli sinottici, è una causa di costante stupore.
1.2 Discendere-rimanere
Il superamento di tutti questi ostacoli e barriere dell’evento samaritano
mostrano una immagine di Gesù umile. Anche la discesa dello Spirito dal
cielo e il suo rimanere su Gesù ha un senso di superamento della barriera
tra cielo e terra, dimensione divina e dimensione umana. Il rimanere dello
Spirito su Gesù, come compimento e perfezione di tutte le profezie
dell’Antico Testamento, unisce già nell’adesso e nella quotidianità il cielo
alla terra. Questa unità tra lo Spirito e Gesù, tra il cielo e la terra, non è un
semplice momento che passa, ma uno stato permanente, un reciproco
rapporto duraturo. Lo Spirito rimane pure nei discepoli (14,17) e nella
comunità post pasquale. Emerge così una realtà di amore, comunione e
unità, simile a quella che c’è nella relazione tra il Padre, il Figlio e lo
Spirito Santo. Vivere questa realtà di amore trinitario significa rimanere
nell’amore di Gesù (15,5.10) e nella sua parola (8,31; 5,38). Rimanere in
Gesù, pane vivo (6,56) e vera vite (15,4-7).
La Parola di Dio è vita e ha un effetto vivificante, perché è anche Spirito.
Le parole di Dio sono efficaci, perché sono Spirito e vita. Il parlare di Gesù
e allo stesso tempo dare il suo Spirito e le sue parole sono allo stesso tempo
parole del Padre (12,49;14,10-24).
Ascoltando lo Spirito, l’essere umano è generato dall’alto e partecipa alla
vita divina nel Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, per avere la vita
eterna. L’ascolto delle parole di Gesù è allo stesso tempo fare esperienza
dello Spirito, giacché lo Spirito è intimamente unito alla Parola. Ascoltare

0
Ibid, 597.
CAP. III: MESSAGGIO TEOLOGICO 59

attivamente e mettere in pratica il Logos è diventare figli di Dio, generati


da Dio (1,12), al di là della nascita naturale.
Il Paraclito παράκλητος continua la missione del Cristo storico, aiutando
i credenti ad approfondire la fede. L’essere con del Paraclito all’interno
della Trinità divina è sorgente di quell’essere con fuori, verso il mondo,
come aiuto e assistenza dei singoli credenti. Il Paraclito rimane e pone la
sua dimora presso i discepoli per realizzare in loro la piena comunione
divina, come presenza interiore e vivente, come amico, come amore, come
verità. Il mondo, inteso come ambito del rifiuto della persona di Gesù, non
può accogliere, né vedere, né conoscere lo Spirito.
1.3 Insegnare, ricordare e testimoniare
Insegnare, ricordare e testimoniare sono i tre ruoli dello Spirito Santo
nella comunità post-pasquale. Con questi ruoli lo Spirito Santo è l’esegeta,
l’interprete, e l’attualizzante la Parola di Gesù. Lo Spirito insegna
ricordando, insegna facendo interiorizzare la Rivelazione di Gesù,
rendendo capaci i discepoli di comprendere tutte le parole di Gesù. Il
ricordo è una novità. Non è una semplice ripetizione di eventi passati, ma
apertura e forza creatrice. Lo Spirito mette il ricordo in un contesto di
chiara prova, tristezza e turbamento per la imminente dipartita di Gesù: la
memoria dell'incontro personale con Gesù nella propria vita spinge a
scrivere, azione che permette di consegnare lo Spirito ad altri, cioè,
consegnare ciò che è più prezioso nell’incontro di Gesù nella propria vita
ad altri, perché questi vengano trasformati. La scrittura è un atto
antropologico decisivo che fornisce la memoria di un popolo. Lo Spirito
Paraclito, con l’insegnare e il ricordare, fornisce una testimonianza
interiore, che emerge nella coscienza dei discepoli, affinché essi a loro
volta rendano una testimonianza esteriore di Cristo. Insegnando e facendo
ricordare, lo Spirito mette luce nella mente e nei cuori dei discepoli,
affinché possano capire il senso profondo degli eventi della vita di Gesù e il
loro significato salvifico, diventando capaci di testimoniare Cristo davanti
un mondo assai ostile e contrario alla verità di Gesù.
1.4 Dimensione comunicativa della rivelazione
Pertanto, la rivelazione di Gesù è dialogica e si svolge negli incontri
interpersonali. Ma la rivelazione di Gesù accade nella quotidianità. Gesù si
presenta alla donna Samaritana nel momento nel quale lei si dispone ad
attingere acqua, è stanco e le chiede da bere. Così, la rivelazione di Gesù è
personalista, accoglierla è superare ogni divisione affinché si possa entrare
60 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

in comunione con gli altri. Il suo sono io che parla con te è una espressione
che si iscrive nell’Alleanza del Dio d’Israele che con il suo Io cerca un tu,
la relazione stretta con un tu. Gesù cerca questa comunione profonda per
mezzo di un rapporto io-tu e così supera le barriere storico religiose. Gesù
riconosce la donna Samaritana nella sua sete esistenziale, entra nella
tradizione della donna e allo stesso tempo va oltre e la guida verso la
verità intera. Gesù, nell’incontro con la Samaritana, rivela che è nel
dialogo che si superano le barriere e i pregiudizi e la comunione diventa
possibile.
La teologia di San Giovanni emerge così come il contrasto dell’essere
rivolto verso l'altro alla chiusura dell’io in sé stesso. Gesù è l'inviato. Tutta
la teologia di San Giovanni è apertura rivolta a un tu che rifiuta la chiusura
nel proprio io. Dio è persona, apertura totale, relazione. Il Gesù di Giovanni
è totalmente aperto a Dio e agli altri, in un'apertura che arriva alla sua cima
sull'albero della croce, dove apre le sue braccia ed effonde e consegna lo
Spirito.
Tutta l'esistenza di Gesù è come una freccia che mostra una direzione,
una relazione. In questo modo l'esistenza di Gesù è quella di un da- verso,
essere Inviato. La parola viene da una persona verso un'altra persona. L’io
di Gesù viene dal Padre che dice «Tu», e dice Tu: «Il tuo io è da una parte
quello che ti è più proprio, e allo stesso tempo ciò che meno possiedi, ciò
che non è più tuo, ciò che può essere solo un io di un Tu».0

2. Teologia del dono


2.1 Il dono dell’acqua-Spirito
Gesù dona un’acqua migliore di quella di Giacobbe e maggiore dei
luoghi santi dei samaritani, perché è un acqua-Spirito. Giacobbe fornì
acqua per i greggi (Gen 29,10), ma l’acqua che dona Gesù è un dono per
tutti quelli che si avvicinano a Lui per bere e vivere in comunione d’amore
con Lui, come i suoi discepoli, vere pecore di Gesù (10,3-4). Il dono di Dio
è maggiore di quello di Giacobbe. È un dono che si realizza attraverso una
richiesta. Gesù, prima di dare, ha chiesto alla donna di dargli da bere (4,7),
mettendo in unità la sua debolezza umana con la grande fonte di
benedizione divina che c’è in Lui.
Proprio mentre la donna Samaritana chiede se Gesù sia «maggiore del
nostro padre Giacobbe», i capi di Gerusalemme si chiedono se Gesù sia
«più grande del nostro padre Abramo» (8,53). La differenza è che questa
donna Samaritana alla fine abbraccia la fede di Gesù e dimostra essere una

0
J., RATZINGER, Palabra en la Iglesia, 172.
CAP. III: MESSAGGIO TEOLOGICO 61

vera adoratrice, mentre i capi di Gerusalemme desiderano la sua morte


(8,59).
Il «dono» supremo (4,10) aveva a che vedere con la Torà, ma Gesù fa il
dono ancora più grande della vita eterna (4,14), attraverso il suo Spirito
(7,37-39), il quale ora compie quel ruolo che era normalmente riservato alla
Torà, anche simbolizzata per mezzo dell’acqua. Gesù promette che chi
riceve la sua acqua non avrà più sete (4,14- 6,35), perché riceve la somma
totale di tutto ciò di cui si ha bisogno spiritualmente.0
L’immagine dell’acqua è essenziale per capire l’importante ruolo della
purificazione nella tradizione ebraica. Gesù promette un tipo più grande di
acqua, un acqua non solo letterale, fisica, ma di vita, che è Dio stesso (Ger
2,13; 17,13), e la saggezza, come fonte di vita (Prov 18,4): in Gesù si
compiono quelle «Acque vive» che fluiranno da Gerusalemme alla fine dei
tempi (Zac 14, 8), anche il fiume che porta vita (Ez 47,9), come acqua che
purifica dal peccato.
Gesù porta una realtà totalmente nuova: il fiume escatologico della vita
non scorre né dal monte Garizim né dal monte Sion, ma da Cristo stesso.
Questo passaggio continua così il motivo acquatico del Vangelo. Le acque
rituali sono impotenti in confronto di ciò che Gesù porta.
Gesù, con l’immagine dell’acqua viva, fontana che zampilla dentro i
cuori dei credenti e li muove ad adorare «in Spirito e in verità», ha voluto
rivelare sé stesso come il dono di Dio, il dono che è stato dato dal Padre. Il
dono dell’acqua viva è il dono della stessa Parola di Gesù, la sua dottrina,
che è interiorizzata nei cuori dei credenti dallo Spirito Santo. Così, «dono
di Dio» ed «acqua viva» designano la stessa realtà.0
Nell’AT il dono di Dio è stata la Legge. Nel Vangelo di Giovanni questo
dono viene messo nella grazia e la verità, nello Spirito e la verità della
stessa persona di Gesù. La parola dono, che nell’AT si riferiva alla Legge,
prende nel Vangelo un significato più grande: la Parola di Dio e lo Spirito
Santo, la persona stessa di Gesù. Il dono di Dio lo conosciamo nella
persona di Gesù, perché nella sua persona ci viene rivelato il mistero del
Padre, e così l’immagine dell’acqua viva della rivelazione e della Verità.
Conoscere il dono di Dio è conoscere la rivelazione definitiva fatta in
Gesù-Verità che sostituisce la legge di Mosè.
Il IV Vang. fa dell’acqua il gran simbolo dello Spirito, e lo identifica
esplicitamente con lo Spirito Santo. L’acqua-Spirito che dona Gesù infonde
la vita nuova che permette di entrare nel regno di Dio. L’acqua-Spirito data
da Gesù disseta l’uomo, perché penetra l’essere profondo dell’uomo, la sua
0
C.S., KEENER, The Gospel of John. A Comentary, 602-603.
0
I. de la POTTERIE, La verità dans Saint Jean, 689-692.
62 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

mente e il suo cuore; non così la legge, che già era stata simboleggiata con
l’immagine dell’acqua nella Scrittura (4,14). L’acqua così viene nel IV
Vang. liberata da un ruolo meramente rituale per convertirsi nell’immagine
concreta del dono de se stesso. L’adorazione in Spirito e in verità si rivela
come amore portato fino all’estremo: dare la propria vita. I discepoli di
Gesù devono seguire il suo stesso esempio di amore estremo e concreto, di
servizio nella la comunità, come è ben presentato nel racconto dell’ultima
cena (13,1-20). Al di fuori dell’acqua del servizio non è possibile adorare il
Padre in Spirito e verità.
2.2 Il dono della Verità
Al dono dell’acqua- Spirito si trova strettamente legato il dono della
verità emet, che significa stabilità, permanenza, fedeltà. La Parola di Dio è
assolutamente affidabile verità: misericordia, perdono, amore. L’«acqua
viva», il «dono di Dio», la Legge nell’economia dell’AT, diventa la Parola,
il Logos, la verità di Gesù come rivelazione definitiva. L’acqua viva dello
Spirito è la verità di Gesù.
Quando Gesù afferma: «la tua parola è verità» (17,17b) si riferisce
chiaramente alla pre-temporalità prima della temporalità. Questa realtà
senza inizio nella quale Dio e il Logos condividono la stessa esistenza è
descritta nel Prologo in termini di una relazione dinamica, che suppone uno
stare rivolto l’uno verso l’altro. Dio è in sé stesso relazione.
Questa Parola, dunque, che esisteva prima e al di là del tempo, viene al
mondo, viene nel tempo, s’incarna, come risultato dell’amore del Padre per
il mondo. La rivelazione del Logos si sviluppa in due tempi: il primo tempo
appartiene al momento presente nel quale si accoglie la rivelazione di
Gesù, la sua Parola, la sua Verità; poi è necessario un secondo tempo, in
cui questa Parola di Gesù possa essere interiorizzata.
La Parola si fa storia e il Dio invisibile entra nella storia umana e si fa
visibile: questo implica l’apparizione immediata della grazia e della verità.
In questo evento Gesù non è soltanto il trasmettitore della verità, come lo
erano stati Mosè e i profeti nel passato. Gesù stesso è la personificazione e
la pienezza della grazia e della verità (1,14) già radicata nel suo essere
eterno nel seno del Padre.
Nella sua vita terrena Gesù dice e testimonia la verità che ha visto e
sentito presso il Padre nella pre-temporalità. Davanti alla verità rivelata
ogni persona umana ha due possibilità: ascoltare la Parola di Gesù, e così
essere da Dio, o non ascoltare, e non essere da Dio. Gesù parla della sua
familiarità con il Padre. Gesù da testimonio, è l’unico che conosce questa
realtà famigliare con il Padre; è Lui che la rivela ai Giudei nel suo
CAP. III: MESSAGGIO TEOLOGICO 63

ministero terreno, e in seguito ai gentili, nel dono universale della sua ora,
nel momento della croce, morte e resurrezione.
Il tempo dello Spirito, come un tempo futuro è il tempo segnato dal
ricordare, insegnare e testimoniare come funzioni illuminanti dello Spirito
dentro il cuore del credente. L’opera dello Spirito Santo è la
interiorizzazione della verità di Gesù nel cuore dei credenti, perché questa
verità sia fruttuosa.0
Lo Spirito è la persona che attualizza, in maniera creativa e dinamica, la
verità di Gesù ai nostri giorni. Grazie allo Spirito, la Parola di Dio cresce e
si fa ogni volta più grande, rendendo possibile ai credenti di rendere a loro
volta testimonianza di Gesù davanti al mondo.

3. Adorazione Trinitaria
L’adorazione cristiana è verso il Padre grazie allo Spirito, che è colui che
ispira questa adorazione, che viene praticata nella luce della verità che è
Gesù. Adorare il Padre è l’adorazione che viene ispirata dallo Spirito e fatta
in intima comunione con Gesù.0 Inoltre si può dire che è una adorazione
fatta nello Spirito e nella verità di Gesù. Il Padre viene adorato nello Spirito
Santo e nella verità che viene per mezzo di Cristo.
Nell’evento samaritano l’adorazione dal Padre in Spirito e verità è la
relazione vitale e trinitaria tra il Padre, Gesù e lo Spirito Santo. Il Padre
dona il «segno» che permette a Giovanni di dare testimonianza della
discesa dello Spirito e del suo rimanere su Gesù, costituendo così il motivo
essenziale per la confessione di fede trinitaria nel Dio che è il Padre in
relazione con Gesù, suo Figlio e nello Spirito Santo, che viene «dal cielo»,
rimane su Gesù, e dopo «l’ora» rimane nei credenti per sempre (14,17)
attirandoli nella vita di fede, aiutandoli a mantenere la parola di Gesù e il
suo comandamento dell’amore reciproco.
Un’altra caratteristica del brano studiato è il forte cristocentrismo: la
presentazione di Cristo stesso come nuovo Tempio, dove il nuovo luogo di
culto è la persona stessa di Cristo. Cristo risorto sostituisce il Tempio del
giudaismo. Il nuovo Tempio sono lo Spirito e la verità che provengono da
Gesù, Spirito e Verità che scaturiscono dall’immagine dell’acqua che esce
dal suo cuore trafitto come nuovo luogo di culto.
Gesù possiede in modo permanente la «piena misura» dello Spirito e,
così, dà lo Spirito a tutti. Egli è colui che battezza in Spirito Santo, che
rivela ciò che ha visto e udito dal Padre, che pronuncia le parole di Dio. Lo
0
Ibid, 694-696.
0
Ibid, 706.
64 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

Spirito scende dal cielo, dal Padre, rimane su Gesù e, allo stesso tempo,
agisce nelle parole di Gesù in modo che i credenti possano accettarle e
credere in Gesù.
3.1 Dio Padre, instancabile cercatore dell’uomo
Il cuore del brano appare in 4, 23-24: il Padre ha cercato veri adoratori
che lo adoreranno in Spirito e verità, ed è per questo che il Padre ha inviato
Gesù (4,4) a questa donna in particolare, che diventa il primo modello di
adoratore in Spirito e verità che il Padre ha cercato. Le caratteristiche
morali, di genere e di religione etnica del passato non sono più quelle del
genere di persona che Dio cerca.0 Dio cerca al di là di queste barriere.
L’immagine di Dio che Gesù rivela alla Samaritana è l’immagine di un Dio
che cerca. Gesù rivela Dio come il Padre-Madre che cerca uomini che lo
adorino in Spirito e verità. In questa ricerca si può dire che il Padre ha uno
zelo che mai si stanca di cercare, giacché Dio è un Dio di amore e di
perdono. La misura dell’amore del Padre è un amore senza misura, perché
ama il mondo fino all’estremo, a dare il suo proprio Figlio, ama tutta la
umanità con lo stesso amore con il quale ama Gesù. Il Padre è rivelato da
Gesù come cercatore perché il Padre è colui che ama il mondo ed invia
Gesù al mondo per salvarlo, non per condannarlo. Perché il Padre è il
cercatore, il Padre è colui al quale appartiene sempre l’iniziativa
nell’amore. Con questo cercare, Gesù ci rivela un volto affascinante del
Padre: possiamo contemplare il suo sguardo rivolto sempre verso l’umanità
come icona dell’amore e della misericordia, icona dove è anche
rappresentato l’incontro di tutta la umanità, radunata in armonia e unità.
Questo cercare del Padre implica una risposta positiva dell’uomo al Dio
che cerca.
L’essere umano certamente da sempre cerca Dio. Ma l’uomo può
scoprire un ammirabile paradosso: quando l’uomo cerca Dio, Dio è già
stato il primo a cercare l’uomo, perché a Dio appartiene sempre l’iniziativa.
Ciò che appartiene all’uomo è, invece, la risposta positiva all’iniziativa
liberamente gratuita dell’amore di Dio. Il Dio che cerca è il Dio che fa
sempre il primo passo verso di noi. Gesù ci rivela come questo cercare del
Padre non ha limiti e si rivolge a tutta la umanità, ma in maniera
preferenziale verso gli ultimi, verso gli esclusi, verso i più marginali. Il
Padre cerca le periferie, in Gesù il suo dinamismo e il suo movimento è
sempre un dinamismo e un movimento di uscita. Se il Padre è colui che
cerca, per estensione si potrebbe affermare che Gesù e lo Spirito Santo
sono anch’essi coloro che cercano. Gesù è il viandante che percorre tutta la
Galilea e la Giudea per riunire nella sua propria persona tutto quello che era
0
C.S., KEENER, The Gospel of John. A Comentary, 619
CAP. III: MESSAGGIO TEOLOGICO 65

stato diviso, il regno del sud e il regno del nord. È il Buon Pastore che
cerca e chiama le pecore, che riconoscono la sua voce. Si potrebbe dire che
il Padre cerca, esce fuori da sé stesso verso le periferie nell’invio del suo
Figlio e nell’invio dello Spirito Santo.
Lo Spirito Santo anche lui è colui che cerca: perciò si rivela come colui
che è in modo preferenziale chiamato a essere accanto agli ultimi, ai
poveri, perché è consolatore e Padre dei poveri.
La risposta dell’umanità al cercare del Padre non è altra
dall’adorazione in Spirito e verità, cioè l’adorazione nello Spirito Santo che
guida Gesù – la Verità in Persona; è l’unica via al Padre. Lo Spirito Santo,
come acqua viva, è presente nel nostro cuore che diventa il suo tempio.
Egli ci guida alla comunione intratrinitaria e ci fortifica in molteplici forme
di testimonianza cristiana.
3.2 Il nuovo luogo dell’adorazione
Gerusalemme era considerata come il vero luogo dell’adorazione, per
essere stata considerata la più alta, la più lodevole delle terre, uno dei doni
più grandi di Dio a Israele, insieme alla Torah. E dentro la terra santa il
tempio di Gerusalemme era considerato il luogo più santo di tutti. Da un
luogo specifico nello spazio, Giovanni, con un salto teologico, in cui
l’adorazione nello Spirito sostituisce quella legata a un luogo determinato
nello spazio, pone lo Spirito come autore della dimora di Dio nel credente;
lo Spirito di Dio sostituisce il magnifico tempio distrutto nel 70.
Questo viene bene indicato dall’analisi della proposizione «in», che ci ha
mostrato precedentemente come, conservando il suo senso locativo, indica
l’adorazione non «in» Gerusalemme o sul Monte Garizim, ma «nel» regno
dello Spirito e della verità. L’adorazione viene potenziata, ispirata, dallo
Spirito, senza il quale la vera adorazione diventa impossibile, e il credente
diventa il luogo in cui il Padre, Gesù e lo Spirito pongono la loro dimora
(14,23). Con questo Giovanni ha realizzato una re-concettualizzazione e
una ridefinizione pneumatologica dell’adorazione che trascende le alleanze
etniche.0
3.3 Adorazione e filiazione divina
La consapevolezza della stretta unità che c’è nel vangelo di Giovanni tra
i suoi personaggi e i diversi episodi ci spinge a considerare una possibile
relazione teologica tra «essere generato dall’acqua e dallo Spirito (3,5-8)» e
l’adorazione in Spirito e verità quale la cerca il Padre. Come Dio è stato
chiaramente definito da Gesù con l’immagine del Padre, la nuova
adorazione che cerca il Padre non è altra da quella di coloro che si

0
Ibid, 615-618.
66 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

rivolgono a lui con la nuova condizione ontologica di figli, di esseri


generati dallo spirito.
Adorare Dio vuol dire relazionarsi con Dio a partire dall’essere i suoi
figli. Infatti, l’idea della nascita dallo spirito, che appartiene al pensiero
sapienziale (Prov 30,4; Qo 11,5; Sir 16,21), viene interpretata alla luce
dalla tradizione sinottica con Mc 10,15 e Lc 18,17: «In verità io vi dico: chi
non accoglie il regno di Dio come l'accoglie un bambino, non entrerà in
esso», che dona origine al sacramento del battesimo. «Diventare come i
bambini» riguarda questa trasformazione ontologica del «rinascere dallo
Spirito», e anche riguarda la nuova relazione con Dio come adorazione in
Spirito e verità. Adorare il Padre significa anche che è necessaria una
nuova origine da Dio, che dà un nuovo essere. In questo caso è interessante
sottolineare la sacramentalità che propone il passaggio. Nicodemo, come la
Samaritana, non può acquistare una rinascita con le sue proprie forze, ma
invece è un dono unilaterale di Dio, un dono nello Spirito. La
sacramentalità dell’acqua viene difesa partendo dal contesto biblico in cui
dare l’acqua appartiene al campo semantico della «Nuova Alleanza» (Ez
36,25-27).
Non è forse oggi, in questi mesi tristi in cui la intera umanità è
duramente provata, sottolineare quanto è opportuna questa teologia di
Giovanni, che ci mostra l’immagine di un Padre misericordioso, per avere
coraggio e fiducia? La fiducia del bambino che nonostante i pericoli si
abbandona nelle mani di suo padre, e lì si sente sicuro.
Karl Rahner sottolinea che l'infanzia non è solo una fase biologica della
vita: è una preparazione per la maturità, ma costituisce anche la apertura a
Dio come Padre. Il bambino interiore è la chiave della filiazione divina
Allo stesso tempo, un uomo maturo deve preservare la sua infanzia per
avere i valori di fiducia, ammirazione, sorpresa, docilità, capacità di
apprendimento e ricettività. Questa presenza di Dio nella fede è afferrata da
una disposizione dell'infanzia. Il bambino è colui che dice: «questo è un
mistero», a cui piace il mistero. La Pasqua unisce meravigliosamente il
bambino che tutti portiamo in noi alla Passione e alla risurrezione di Cristo.
La risurrezione è una rinascita.
Cristo è un uomo adulto che ama i bambini. E, naturalmente, i bambini
riconoscono la presenza protettiva davanti a Lui, riconoscono il Padre
celeste che è il Padre di tutti noi. L'uomo adulto manterrà come dono
grande e prezioso, l'infanzia del bambino. L'infanzia è la pienezza della
fiducia in sé stessi e la pienezza della fede che non ha paura di lasciarsi
andare verso l'ignoto.
Il bambino è un essere aperto, filiale che vive nel dono e per il dono. La
filiazione sicura del bambino agisce sull'adulto e lo mantiene nella fede
CAP. III: MESSAGGIO TEOLOGICO 67

nonostante le tragiche esperienze della vita che vogliono chiuderlo in sé


stesso e diffidare di tutto. L'apertura del bambino interiore è l'apertura
infinita dell'uomo, che si basa sull'auto comunicazione dell'amore di Dio e
che rende l'uomo figlio di Dio, figlio del Padre celeste. L'infanzia matura è
ciò che la teologia chiama filiazione divina nel Figlio.
Quindi, il figlio è un mistero, in quanto si basa sulla filiazione divina,
nella famiglia trinitaria, Padre, Figlio e Spirito Santo, cioè in Dio.
Ecco perché siamo figli di Dio e fratelli e sorelle in mezzo a noi. «Nel
bambino c’è un germe dell’uomo che deve affrontare la meravigliosa
avventura di essere sempre un bambino, di eseguire in questa infanzia la
sua filiazione divina, come compito della sua maturità». 0
Solo in questo bambino eterno che tutti portiamo dentro di noi siamo
radicati in Dio, siamo figli di Dio. La nostra vita riguarda la trasformazione
in questo bambino che abbiamo iniziato ad essere nell'infanzia: «Chiunque
abbia il coraggio di accettare e conservare in sé la pura filiazione e di
portarli con sé per tutta la vita troverà Dio. E chiunque ammetta questa
infanzia con i suoi fratelli e sorelle, l'ha già trovata» 0. «Se diventerete
bambini, entrerete nel Regno dei Cieli» (Mt 18,5).

4. L’ora di Gesù
4.1 Il consegnare lo Spirito sulla croce
Il senso dell’endiadi acqua e Spirito, sarà compiuta in Gv 19,34: «ma
uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e
acqua».
L’immagine dell’acqua è forse il simbolo più importante del vangelo di
Giovanni, perché è il simbolo che questo vangelo usa per esprimere la
effusione dello Spirito, la comunicazione e il dono dello Spirito, che è il
dono stesso della vita di Gesù, della vita eterna, della salvezza.
Il simbolo dell’acqua appare, intrinsecamente collegato alla sete, dunque,
facendo stretto parallelismo tra la stanchezza di Gesù che siede sul pozzo e
l’agonia di Gesù alla croce. La sete di Gesù nelle due scene ha un profondo
significato spirituale che non è capito né dalla Samaritana, né dai soldati.
La sete di Gesù esprime la sua sete di amore per tutti noi, una sete di amore
che è espressa con il dono del suo Spirito, con il quale si compie il
desiderio di Gesù morente di donare lo Spirito alla Chiesa.
Questa dimensione del dono di sé stesso sulla croce, simboleggiato
dall’acqua e dal sangue che escono del suo costato trafitto, che Gesù
esprime come sete di amore per la umanità, viene anche messo in relazione

0
K., RAHNER, Escritos de Teología VII, 355.
0
Ibid, 355.
68 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

con la sete della fede della Samaritana che Gesù esprime accanto al pozzo.
La sete di Gesù non è solo una semplice sete spirituale. È tutto il progetto
di amore di suo Padre per salvare e redimere l’umanità che viene così
espresso nella sete del Figlio, il suo mettersi in camino, fare un lungo
viaggio, un viaggio che traduce in opere i piani eterni del Padre.
Nel momento nel quale questo si presenta in tutta la sua pienezza, cioè
nel momento della crocifissione, colui che è la fonte dell’acqua viva muore
come fonte assetata (Gv 19,28).
«Ho sete», questa parola di Gesù alla croce è la stessa che ha detto alla
Samaritana: «Dammi da bere» (Gv 4,7). La sorgente muore assetata. Gesù
dona chiedendo. È il modo in cui il Padre e il Figlio donano, non
imponendo, non costringendo ad accettare i loro doni. La profonda realtà e
significato del parallelismo tra la richiesta di acqua di Gesù alla Samaritana
e la sua sete nella croce è che nel dare Dio si fa mendicante.
Farsi mendicante e chiedere, «Ho sete», è l’unica forma per far sì che la
risposta dell’uomo all’amore e al dono di Dio sia una risposta di fede,
gratuita, non una risposta condizionata oppure interessata.
È la potenza di Dio che si manifesta nella debolezza, la vita che si
manifesta nella morte di Gesù e dona acqua chiedendo.
4.2 Compimento τετέλεσται
La morte di Gesù sulla croce è l’ora nella quale consegna lo Spirito, come
dono di acqua viva nelle mani della prima Chiesa posta ai suoi piedi,
formata dalla madre e dal discepolo amato, dando l’acqua viva che sgorga
del suo cuore trafitto a tutta la umanità assetata (19,28). L’ora, il momento
di tutto il compimento della sua missione terrena, la vetta del progetto di
amore per il quale era stato inviato dal Padre: «È compiuto» (τετέλεσται -
19,30). Ma non è solo il compimento dell’amore del Padre per la umanità, è
anche il compimento della divina rivelazione, delle sacre Scritture. Il verbo
τελέω indica un compimento perfetto, totale e definitivo della missione di
Gesù: quella di amare i suoi sino alla fine-εἰς τέλος (13,1). Per questo l’ora
annunziata da Gesù alla Samaritana non ha il senso di essere il momento di
una tragedia, il momento della terribile sofferenza nel quale la morte
rappresenta la fine di tutto, l’ultima parola. L’ora ha il senso dell’annunzio
della vittoria, del trionfo, della vita. L’altro elemento che collega l’ora di
Gesù sulla croce con il dialogo con la Samaritana è la sete. Nel grido di
Gesù sulla croce: «Ho sete» (19,28) vi è l’espressione di un tremendo
paradosso: come mai colui che è la Fonte di acqua viva ha sete? Sulla croce
Gesù ha di nuovo sete, come l’aveva avuta quando era arrivato stanco del
viaggio al pozzo di Giacobbe, all’ora sesta (4,6; 19,14), è la sete che
CAP. III: MESSAGGIO TEOLOGICO 69

collega in un tutto il dono dello Spirito, dell’acqua viva e della rivelazione


della Parola di Dio nella stessa persona di Gesù.

4.3 La croce, luogo dell’adorazione in Spirito e verità


Arrivati adesso a questo punto così nevralgico della teologia di Giovanni
scopriamo che la croce, dunque, è il «luogo» teologico del nuovo tempio
escatologico, luogo da dove inizia la nuova era dello Spirito Santo:
«Questo è il cuore stesso della fede cristiana; è il cuore dell’adorazione del
Padre in Spirito e verità (4,23-24)».0 Certamente la croce si rivela come il
luogo ricercato dal dove adorare nel dialogo con la Samaritana, la croce è il
luogo concreto dell’adorazione del Padre, perché è il luogo della consegna
dello Spirito, il luogo del compimento di tutta la rivelazione e il luogo dove
viene realizzato l’amore fino all’estremo, luogo che non è né questo monte
né Gerusalemme. La consapevolezza di questo fatto porta gli adoratori
della comunità post pasquale ad adorare il Padre con le braccia aperte,
imitando così l’immagine di Gesù sulla croce, morendo con le braccia
aperte. Rivolgersi al Padre nella preghiera con le braccia in forma di croce
diventa il simbolo più eccellente dell’adorazione, per la sua espressività
fisica e configurazione del credente con Cristo.
E questo è così perché la croce non è in Giovanni simbolo di abominio o
maledizione, ma innalzamento, gloria ed esaltazione. La corona di spine
diventa la corona regale di colui che è il salvatore del mondo, e la croce il
suo trono. La croce, pertanto, è vittoria e non sconfitta: Io ho vinto il
mondo! (16,33). Alla luce della teologia giovannea della croce adorare
viene ad essere lo stesso che amare. Dio, che è amore, ci insegna che non
possono essere separati l’adorazione e il culto dell’amore concreto e
operoso verso il prossimo, specialmente il prossimo bisognoso, povero e
sofferente. La carità verso i crocifissi di tutti i tempi diventa anche
adorazione e culto del Padre.
Nell’ora della sua crocifissione, Gesù -Figlio di Dio ha sete di suscitare la sete
di Lui in noi; Egli diventa Fonte di acqua viva (4,10.14,7,38). In questo
momento la promessa è compiuta -fiumi di acqua viva zampillano dal costato
trafitto di Gesù crocifisso (19,34), come dal nuovo tempio escatologico.
Mentre il sangue dal suo costato indica la natura del suo sacrificio e il dono
della sua vita donata, l’acqua denota il dono dello Spirito (7,38) che è
consegnato, per saziare la sete per la vita eterna. (4,10. 14). 0

5. La risposta dell’essere umano alla verità


0
B. JOJKO, Su questo monte o a Gerusalemme?, 174.
0
Ibid, 170-174.
70 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

È una risposta attiva e continua, che rende la persona testimone di Cristo


davanti al mondo, che molte volte oppone l’ostacolo dell’ostilità e
dell’incredulità alla rivelazione di Dio in Gesù. Solo attraverso il suo
operare atti concreti che rendano testimonianza di Gesù la persona diventa
adoratore in Spirito è verità. La persona che dà una risposta positiva alla
verità che è Gesù viene alla luce e diventa luce per gli altri (3,21). La
risposta negativa a Gesù è la mancanza di fede in Gesù (ossia il peccato) e
il rifiuto di colui che è la Luce. La risposta umana alla verità che è Gesù
diventa così un fare la verità, che non è un atto realizzato una sola volta, ma
un processo continuo e costante, cioè fedele, vero. L’adesione a Gesù come
processo continuo è significata nel vangelo con la parola meno, rimanere.
La persona che rimane nell’adesione di fede nella persona di Gesù,
interiorizza la sua rivelazione e la sua verità, e questa interiorizzazione
viene operata col ricordare e l’insegnare attuati dallo Spirito attivamente
all’interno dei cuori e delle menti, rendendo in loro un processo di
trasformazione verso la Luce e la Verità.
5.1 Credere e testimoniare
Il IV Vang. presenta quanto i personaggi sono testimoni diversi di Gesù:
Giovanni il Battista, l’evangelista stesso, la donna Samaritana..., le stesse
Scritture, il Padre, Gesù e lo Spirito Paraclito. Gesù, riguardo a se stesso,
attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua
testimonianza. Il primo testimone è Dio Padre, il quale conferma con la
sua testimonianza le parole di Gesù; l’altro testimone è Gesù stesso, il
quale attesta ciò che ha veduto e udito dal Padre, attesta la propria missione
dal Padre e il proprio ritorno a lui; viene infine come testimone il Paraclito,
lo Spirito di verità, la cui attestazione riguarda lo stato filiale di Gesù
presso il Padre. Come il Figlio si riferisce al Padre, così lo Spirito si
riferisce a Gesù. La testimonianza dei discepoli è strettamente connessa e
dipendente dalla testimonianza del Paraclito. C’è una stretta relazione del
Paraclito con Gesù, dal quale riceve la missione e per il quale testimonia, e
allo stesso tempo, c’è uno stretto legame del Paraclito con i discepoli.
La testimonianza del Paraclito illumina e rafforza i discepoli nella fede. I
discepoli saranno sicuri in mezzo alle persecuzioni di un mondo ostile.
Questa sicurezza deriva dalla forza e dall’illuminazione del Paraclito e
dalla persona di Gesù, che glorificato, si trova presso il Padre παρὰ τοῦ
πατρός. La testimonianza dei discepoli è possibile solo dopo che lo Spirito
abbia testimoniato internamente, nell’intimità dei credenti, facendo sì che
la testimonianza dei discepoli sia palese, davanti al mondo intero. Lo
CAP. III: MESSAGGIO TEOLOGICO 71

Spirito sta nei confronti dei discepoli e dei credenti come colui che
operando la testimonianza su Gesù in loro li muove alla proclamazione
della persona e dell’opera del Signore.
La conseguenza della testimonianza è seguire Gesù e rimanere con Lui,
rimanere nella sua Parola e nella sua verità, rimanere non solo quel giorno
nel quale i discepoli sono stati invitati, ma in una costante comunione di
vita con Lui. L'incontro con Gesù diventa il testimone che fa nascere negli
altri il desiderio di aderire a Gesù, creando così una fratellanza che nasce
dallo Spirito, che è l'amicizia e il discepolato. Camminare non è meramente
il movimento fisico, ma camminare nella luce, nella Luce del Mondo
(8,12). cioè: nella verità che è Gesù. Camminare è non gironzolare di qua e
di là, ma andare in una direzione precisa, vivere secondo i comandamenti
di Dio, secondo la verità che è Gesù.
5.2 La Samaritana, modello di testimonianza
Lasciando accanto al pozzo il vaso di acqua che aveva portato, la
Samaritana corse per annunciare ai samaritani l’incontro con Gesù. Questo
gesto di lasciare l’acqua fisica del vaso indica l’accoglienza della
Samaritana del dono più grande di Gesù, del dono più grande della sua
Parola e della sua Persona, un dono più grande delle acque della purezza
rituale e più grande del dono del pozzo di Giacobbe. L’invito che fa al suo
popolo («venite, vedete», 4,29) la relazionano con Filippo, e come lui
anch’essa diventa un modello di testimonianza, modello di testimonianza
simile a quello di Maria Maddalena.
Anche la Samaritana è in relazione con il discepolo amato da Gesù.
Anch’essa partecipa di questa realtà di confidenza intima che sostiene il
discepolo amato verso Gesù nel contesto della ultima cena (segnalata con la
parola κόλπῳ). Gesù, come con il discepolo amato, fa partecipe la
Samaritana di una comunicazione intima, che ha la sfumatura di
appartenere alla stessa realtà che descrive il Prologo, usando la stessa
parola: εἰς τὸν κόλπον τοῦ πατρὸς. «Dio, nessuno l’ha mai visto;
l’unigenito Figlio, che è nel seno del Padre, è lui che l’ha rivelato» (1,18).
Maria Maddalena, chiamata «l’apostola degli apostoli», fu la testimone
oculare del Cristo risorto prima degli apostoli e, per tale ragione, fu anche
la prima a rendergli testimonianza davanti agli apostoli. Il Vangelo mostra
così l’affidamento delle verità divine da parte di Cristo alle donne, al pari
degli uomini. cioè: l’affidamento della verità del mistero di Dio Uno e
Trino.
72 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

Il dono dello Spirito viene tanto sull’uomo quanto sulla donna, senza
distinzioni: «Io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo, e diverranno
profeti i vostri figli e le vostre figlie» (Gl 3,1).0
Il fatto di essere uomo o donna, come il fatto di essere giudeo o greco,
schiavo o libero, non comporta una limitazione: «Poiché tutti voi siete uno
in Cristo Gesù» (Gal 3,28). Questa unità non annulla la diversità, perché
sebbene rimangano le differenze biologiche, a livello profondo le persone
sono unite ontologicamente in Cristo, come membri di un unico organismo
vivente.
Gesù sostiene con la Samaritana un dialogo di incomparabile bellezza,
un dialogo dove Gesù offre alla Samaritana i segreti più profondi del
mistero di Dio, come il dono dell’acqua viva, come l’adorazione in Spirito
e verità. Questi doni e queste offerte trasformano la vita e la condizione
sociale della donna. Che Gesù abbia fatto sperimentare a questa donna la
grandezza d’un amore e d’una felicità uniche, la grandezza dell’amore di
Dio, del Padre che cercava lei, ha degli effetti concreti. La donna,
sperimentando un amore che le faceva scoprire la sua dignità, ascoltando
parlare di Dio come di un Padre, come amore e come Spirito, intuendo che
questo Dio le era davanti, come quel tu personalissimo che le stava
parlando, lascia accanto al pozzo quel vaso che portava e corre verso la sua
città, convertita in discepola di Cristo, annunciandolo agli abitanti di
Samaria, tanto che anch’essi lo ricevono con fede (4,39-42).0
5.3 Un volto femminile della verità
Questo è così perché in una certa maniera la Samaritana è consapevole
che le è stato affidato il compito di essere rappresentante della storia
passata di tutto il suo popolo, e anche della sfida presente di annunciare una
radicale novità, la novità di avere trovato il Messia sperato. Questa
testimonianza della Samaritana va al di là della narrazione biblica e
presenta conseguenze antropologiche di prima importanza. Nel
personaggio della Samaritana si svela una verità molto importante a
riguardo della specificità, della missione e della vocazione della donna. A
partire dalla testimonianza della Samaritana si può affermare che la donna è
in qualche maniera una guardiana dell’umanità, specialmente nel fatto che
essa provvede a che la sensibilità non scompaia negli uomini.0
La sensibilità femminile, la sensibilità materna, capisce meglio e intuisce
quella verità sublime che viene rivelata nel prologo, e che sarà il filo rosso
programmatico di tutto il IV Vang.: il Figlio ha una comunicazione

0
GIOVANNI PAOLO II, Mulieris Dignitatem, 16.
0
Ibid, 15.
0
Ibid, 30.
CAP. III: MESSAGGIO TEOLOGICO 73

particolare con il Padre in termini di agapē. Il Figlio unigenito sta accanto


al Padre con una specie di tensione, di tenerezza verso di Lui: εἰς τὸν
κόλπον. La tensione costante del Figlio verso il Padre come un bambino al
seno della madre rivela così la realtà divina più intima: che Dio ama. Gesù,
l’esegeta del Padre, condivide e rivela al discepolo amato la verità. Nella
Samaritana già appare quell’appello rivolto ai discepoli ad essere uniti a
Gesù come i tralci alla vite (15,1-5), in uno scambio di amore e d’amicizia,
e così diventare esegeti della verità che è Gesù: «Non vi chiamo più servi,
perché il servo non sa ciò che fa il suo padrone; invece vi ho detto amici,
perché tutte le cose che ascoltai dal Padre mio ve le feci conoscere» (15,5).
Quello che Gesù ascoltò dal Padre, lo fece conoscere ai suoi, chiamati qui
amici (19,35; 21,24).
Sì, nel personaggio della Samaritana può vedersi con grande chiarezza
come il «dono di Dio» è affidato specialmente alla donna, ad ogni donna.
Dono nel quale la donna può scoprire l'intero significato della sua
femminilità e disporsi in tal modo al «dono sincero di sé» agli altri, e così
«ritrovare» sé stessa.0
Nel vangelo di Giovanni certamente le donne possono mostrarsi più
fedeli nella testimonianza e nel discepolato che gli stessi dodici. La
testimonianza della Samaritana è anche un modello della dignità della
donna. Un modello che, certamente, non deve essere confuso con un certo
femminismo dei nostri giorni, femminismo che oppone la donna all’uomo.
La dignità femminile che si rivela nella testimonianza della Samaritana
deve essere letta come una sana complementarietà uomo-donna, e anche
come abolizione di una radicale distinzione di sessi a traverso l’adorazione
in Spirito e verità.0
Nella testimonianza della Samaritana si rivela come nel cuore umano c’è
una sete di felicità, di pienezza di vita. 0 Questa sete ontologica di felicità
non può essere esaudita con le acque della mondanità, del possesso, del
piacere, del potere oppure della gloria mondana. La sete più profonda di
felicità che c’è nel cuore umano non può essere estinta da nessun idolo, ma
solo dall’unico Dio che si rivela in Cristo come il Tu. Nel luogo di questo
Tu personalissimo, che trascende ogni barriera spaziale, etnica, si trova la
vera felicità e la vera adorazione, al di fuori delle quali c’è il pericolo della
idolatria.
L’acqua che Cristo offre alla Samaritana non è un’acqua provvisoria,
un’acqua che disseta temporaneamente dando spazio ad una sete più

0
Ibid, 31.
0
M. EDUARDS, John, 54.
0
R., CANTALAMESSA, La Parola e la vita, 73.
74 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

grande. L’acqua di Gesù è un’acqua fedele, che dona la vita eterna, è


l’acqua della sua stessa amicizia, della sua stessa Parola, del suo stesso
amore, del suo stesso Spirito e della sua stessa verità. Ciò che Cristo offre
alla Samaritana è il suo stesso Spirito, Spirito che poi verrà offerto a tutti
sull’albero della croce. Lo Spirito, a sua volta, opera nel cuore della
Samaritana, illuminandolo, svegliando e infondendo in lei la fede in Gesù.
Per questo la Samaritana è una prefigurazione della Maddalena, discepola
di Cristo, che per prima sperimenterà ciò che proveranno i discepoli di
Gesù dopo la sua passione, morte e resurrezione. La Samaritana, che ha
ricevuto per prima questa testimonianza interiore dello Spirito, svolge poi
la testimonianza esterna davanti al mondo, davanti ai suoi concittadini,
proclamando la persona e le opere salvatrici del Signore. Tutti quelli che
bevono di questa acqua diventano anche essi fontane zampillanti, cioè,
persone capaci di trasmettere lo Spirito di Gesù con la testimonianza della
vita.
A traverso la Samaritana, Gesù raggiunge i samaritani; questo era il
compito più urgente della sua missione. La priorità di Gesù è questo poter
raggiungere i samaritani; questa è la volontà del Padre, è una priorità che,
nonostante, la sua stanchezza al pozzo, fa passare prima della propria
comodità, e che già prefigura la sua sete sulla croce (19,28).
CAPITOLO IV
Applicazione pragmatica

In questo capitolo finale proviamo ad attualizzare la pericope studiata al


nostro momento attuale. In questo 2020 il mondo intero si è trovato
sorpreso da una repentina epidemia per la quale non eravamo preparati.
Come la pericope che abbiamo studiato in questa tesina può aiutare a
illuminare questa nuova svolta della storia?

1. Acqua di vita, metafora per il mondo attuale


Nonostante la grande insistenza del brano che abbiamo studiato sulla
parola «adorazione» (che si ripete fino a 10 volte in soli 4 versetti!) il Papa
Francesco ha detto in diverse occasioni che questa è una parola di cui si sa
e si parla molto poco nella vita spirituale della Chiesa.
Perché? Perché sappiamo troppo poco dello Spirito santo. Se non siamo
coscienti dello Spirito, la nostra fede si svuota del suo fondamento più
importante, e anche la nostra adorazione.
L’attuale emergenza storica del coronavirus svela al mondo la grande
menzogna dell’idolatria. Questa è una crisi in cui si mette in evidenza come
il potere, il piacere e la gloria umana non rendono gli esseri umani
veramente felici. Denaro, calcio, politica, divertimento, sono come dei che
mostrano la loro debolezza. Questo momento senza precedenti nella storia,
una epidemia che minaccia tutte le ansie di sicurezza, ci mette davanti alle
più importanti domande esistenziali dell’essere umano: quale è il senso
della vita, perché sono in questo mondo, cosa è la felicità, cosa è la verità?
Adesso ci troviamo in una situazione di vera sete esistenziale, di vera
sete di verità, dove tutti si pongono le domande fondamentali della vita.
Oggi tutti scopriamo la verità dell’essere fragili vasi di creta (realtà che
tante volte dimentichiamo), come quel vaso che porta la Samaritana al
pozzo per riempirlo di una acqua dopo la quale si ricomincia ad avere sete.
76 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

La sete di Gesù al pozzo della Samaritana, vera anticipazione della sua


sete sull’albero della croce, diventa il simbolo per eccellenza di tutti gli
assetati di tutti i tempi, cioè di tutte le sofferenze umane, sofferenze causate
dall’ingiustizia e dall’egoismo degli uomini. Le sofferenze che causano
tante barriere nel nostro mondo odierno, le barriere della povertà,
dell’esclusione sociale, delle emarginazioni delle persone più anziane.
Questa sofferenza globale è la gran sete spirituale dei nostri giorni.
Oggi, davanti la grande sofferenza di questa pandemia, ogni volto umano
dice in un modo personale: «Ho sete, dammi da bere». Queste sono parole
che ci ricordano la nostra fragilità quali vasi di argilla, la necessità che
abbiamo degli altri per poter vivere. Queste sono parole che chiedono
un’acqua che ci purifichi del nostro egoismo. Sono parole che ci ricordano
che senza i medici, le infermiere, le persone che lavorano per
l’alimentazione, non possiamo vivere. Sono parole che ci ricordano che
senza la preghiera, senza una spiritualità, senza speranza, senza adorazione,
non posiamo vivere. Sono parole che ci ricordano che oggi più che mai
abbiamo bisogno di quell’acqua viva che ci dona Gesù tramite i sacerdoti, i
religiosi, le persone consacrate, senza le quali non possiamo vivere.
«Ho sete, dammi da bere» (Gv 4,7), con queste parole Dio si fa
mendicante, mendicando la nostra risposta di amore, la nostra risposta di
misericordia verso la sete dell’umanità, le sofferenze di tutti quelli che ci
stanno accanto. Sono parole bellissime, perché chiedono di dare una
risposta positiva e attiva all’iniziativa di Dio, all’amore di Dio. E così come
la Samaritana risponde facendosi lei stessa come vaso di argilla che
trasporta l’acqua viva di Gesù (la sua verità, la sua rivelazione, la sua
Parola) ai samaritani, così anche noi siamo chiamati a rispondere con una
carità concreta ed effettiva ai bisogni dei fratelli.
In questo senso la figura della Samaritana appare sorprendentemente
vicina a quella del buon samaritano (Lc 10,25-37). L’essenziale per tutti
noi è andare e fare ciò che ha fatto il buon samaritano con l’uomo ferito,
con l’uomo malato, con l’uomo abbandonato da tutti: sentire compassione,
non voltare lo sguardo, imitare il samaritano chi non è passato con
indifferenza, ma prendendosi cura del bisognoso. La sete di Gesù negli altri
ci spinge a operare in questo modo. Ancora di più: la risposta positiva
all’amore assetato di Dio non passa dal dare soltanto le nostre cose, ma dal
darci noi stessi. Questo dono di noi stessi, della nostra propria vita, del
nostro proprio amore, diventa l’acqua che Gesù ci chiede.

2. Parola di Dio nella crisi mondiale


Anche in questa situazione di dura prova nella quale il mondo si è visto
immerso, Dio non può fare altre cosa che manifestare la sua misericordia.
CAP. IV: APPLICAZIONE PRAGMATICA 77

La Parola di Dio si esprime per tutti i sofferenti del nostro mondo con
parole piene di conforto e di speranza. Lo Spirito Santo opera nell’intimo di
ogni cuore umano per illuminare e dare vita e pace. La situazione di forzato
confinamento si è trasformata per la immensa maggioranza dei credenti in
possibilità di leggere la Parola di Dio, meditarla e studiarla, cercando in
essa le forze spirituali per fare fronte alla crisi.
In modo molto particolare, in questi giorni difficili, dove si sono dovute
chiudere tante chiese e sospendere il culto e la presenza all’Eucaristia, è
apparso quanto è importante l’adorazione in Spirito e verità, cioè
l’adorazione che va al di là di uno spazio fisico determinato.
L’adorazione forzatamente ha dovuto staccarsi dalle chiese e dalle
parrocchie, per assumere un nuovo luogo nei mezzi di comunicazione, i
quali stanno facendo il possibile perché l’Eucaristia arrivi nelle case dei
fedeli confinati.
Se direbbe che la chiusura nelle proprie case abbia delle implicazioni
spirituali importanti nei credenti e nelle persone di buona volontà. Un
tempo di quarantena è anche un tempo dove uno può rivolgersi solo verso il
proprio interiore, per scoprire nel più profondo del cuore che lì c’è una
dimora di Dio, una casa nell’intimo del cuore, un tabernacolo, un tempio e
un sacrario, vero luogo di adorazione in Spirito e verità, perché è
l’abitazione della santissima Trinità.
L’attività esteriore e la ricerca dei propri interessi personali si sono
arrestate. Il mondo si è rallentato fino fermarsi. Scopriamo che solo la vita
interiore ha delle fontane di acqua capaci di donarci le forze, e veramente
oggi come mai lo Spirito ci fa ricordare la grandezza delle cose piccole, il
valore straordinario che è nascosto nelle cose più ordinarie. Erano così
importanti le nostre frette? Era così importante la nostra ambizione di
ricchezze, di avere ogni volta ancora di più?
La paura non ci viene tanto dal virus come dal trovarci con noi stessi, e
scoprire che siamo fragili vasi di terracotta.
Infatti, è nel momento del dolore che sorgono più acute nel cuore dell’uomo,
le domande ultime sul senso della propria vita. Se la parola dell’uomo sembra
ammutolire davanti al mistero del male e del dolore e la nostra società sembra
dare valore all’esistenza solo se corrisponde a certi livelli di efficienza e di
benessere, la Parola di Dio ci svela che anche queste circostanze sono
misteriosamente «abbracciate» dalla tenerezza di Dio. La fede che nasce
dall’incontro con la divina Parola ci aiuta a ritenere la vita umana degna di
essere vissuta in pienezza anche quando è fiaccata dal male. Dio ha creato
l’uomo per la felicità e per la vita, mentre la malattia e la morte sono entrate
nel mondo come conseguenza del peccato (Sap 2,23-24). Ma il Padre della
vita è il medico per eccellenza dell’uomo e non cessa di chinarsi
78 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

amorevolmente sull’umanità sofferente. Il culmine della vicinanza di Dio alla


sofferenza dell’uomo lo contempliamo in Gesù stesso.0

3. Guidati dallo Spirito in mesi di oscurità


La risposta della umanità alla ricerca del Padre non è altra che
l’adorazione in Spirito e verità, cioè l’adorazione nello Spirito Santo che
guida Gesù – la Verità in Persona; è l’unica via al Padre. Ma, al posto di
essere condotti a Gesù dallo Spirito Santo, possiamo invece essere
allontanati da Gesù se seguiamo un altro spirito, lo spirito del mondo, e
questo è il cammino contrario dell’adorazione, è il cammino della idolatria.
È un fatto del tutto evidente che anche la pandemia ci sta facendo
imparare a vedere lo sbaglio del seguire tanti cammini di idolatria. Quello
che il credente conosce come quaresima, cioè, quel tempo forte che ogni
anno prepara i credenti a vivere con più intensità la conversione del cuore,
una austerità di vita, la solidarietà con i più poveri e bisognosi della società,
si ha fatto nei nostri giorni attuali un fenomeno universale: la pandemia del
coronavirus ha forzato la società mondiale a vivere una quaresima secolare,
come un’arma per controllare e difenderci del virus.
Questo fenomeno odierno, mai visto prima, del vivere una mondiale
quaresima secolare ha importanti contatti con l’adorazione in Spirito e
verità: perché paradossalmente la pandemia ci insegna lo sbaglio della
nostra mondanità. Al contrario adorare in Spirito e verità vuol dire per
forza rinunziare a ogni mondanità. Il cristiano è nel mondo, ma non
appartiene allo spirito del mondo, che è il contrario dello Spirito Santo, che
deve difenderci da questa mondanità. Lo spirito del mondo ci porta
all’idolatria, a cercare denaro, potere, piacere. E anche lo spirito del mondo
ci tenta di rifugiarci in una falsa salvezza, una salvezza meramente
interiore, gnostica, che ha uno sguardo negativo sulla creazione, che non
riconosce il corpo umano come modellato da Dio.0
Lo Spirito Santo, come acqua viva, è presente nel nostro cuore che
diventa il suo tempio, e ci porta a vivere l’incontro con Gesù, e ci guida alla
comunione intratrinitaria. Noi, come portatori dello Spirito, come templi
dello Spirito, siamo strumenti per facilitare agli altri l’incontro con Gesù?
Portare lo Spirito dentro di noi è una esperienza che non può rimanere solo
per noi stessi, ma che deve aprirci per essere vasi comunicanti di questa
fonte d’acqua viva agli altri. Dobbiamo chiederci se questa acqua viva che
c’è nei nostri cuori la doniamo anche ad altri con lo scopo di calmare la
sete d’amore che c’è nel mondo. Lo Spirito ci fortifica in molteplici forme
0
BENEDETTO XVI, Verbum Domini, 106.
0
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera Placuit Deo ai Vescovi della
Chiesa cattolica su alcuni aspetti della salvezza cristiana, 14.
CAP. IV: APPLICAZIONE PRAGMATICA 79

di testimonianza cristiana, e ciascuna di esse deve essere l’invito a venire e


vedere Gesù, come fa la Samaritana, donna convertita in apostola della
verità.
Quello che è capitale nel considerare il nostro mondo odierno è che il culto
nuovo che ci ha portato Gesù è centrato sull’amore, sulla donazione di se
stesso, e diventa amore fino l’estremo. Gesù realizza questo culto nuovo nella
croce, aprendo le braccia, donando la sua vita per tutti gli uomini. Davvero
tutto è qui! La crisi attuale fa vedere ai credenti che, per tutto ciò che abbiamo
visto nelle relazioni tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, oggi come mai è
presente il Dio Trinità nel nostro mondo sofferente e nei nostri cuori
angustiati. Oggi il mondo è consapevole che solo uniti potremo vedere una
luce di speranza alla fine del tunnel, che solo straordinariamente solidali
potremo sopravvivere. Questo è solamente possibile imitando ed essendo
inspirati dal Dio che è unità, assoluta comunione, che è amore e vicendevole
relazione di Tre Persone. Questo è il culto nuovo al quale ci invita Gesù:
adorare in comunione con colui che è la Verità, adorare in comunione con il
suo Corpo, nel quale lo Spirito Santo ci raduna.0

0
BENEDETTO XVI, discorso nella visita all'abbazia di heiligenkreuz, 9 settembre 2007.
CONCLUSIONE

Attraverso i riferimenti giovannei allo Spirito Santo siamo stati portati a


una chiara evidenza delle relazioni tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo -
relazioni intime che sono dirette verso il mondo, verso le successive
generazioni di credenti post-pasquali. Questo potrebbe essere interpretato
in modo specifico: La rivelazione di Dio viene dal Padre per mezzo di Gesù
nell'azione attualizzante e continua dello Spirito. Il Padre dà al mondo il
Figlio incarnato. L’amore del Padre per il mondo inizia con l’invio del suo
Figlio (3,16), il Figlio a sua volta rivela il Padre nel suo ministero: Gesù,
come l’Inviato del Padre, con il suo amore ardente, dà la propria vita per i
suoi amici (15,13); lo Spirito, poi, è inviato dal Padre e dal Figlio per
insegnare ai discepoli, per ricordare loro tutto ciò che Gesù ha rivelato e
per spiegare il significato più profondo delle parole di Gesù nella realtà
dopo la risurrezione. Lo Spirito Paraclito conduce tutti i credenti post-
pasquali a conoscere e a rispondere all’amore del Padre e all’amore
incondizionato di Gesù.
Grazie al Paraclito Gesù è presente con noi e rimane con noi ed in certo
senso è già ritornato dai discepoli. L’amore reciproco nella Comunità
cristiana, tramite la carità fraterna, diventa un segno visibile della
conoscenza dello Spirito. L’amore concreto e reciproco è l’ambiente in cui
lo Spirito diventa esperienza vivente e attualizzante del mistero del Gesù
della fede.
Così, lo Spirito ci conduce a «tutta la verità», cioè alla rivelazione e alla
persona di Gesù che è la Verità (Gv 14,6). Questa attività dello Spirito è la
base e il fondamento di un’autentica risposta di fede e di un’autentica
adorazione - «adorazione del Padre in Spirito e Verità», cioè adorazione di
una persona che riceve attivamente un tale immenso amore, offerto da Dio
Uno e Trino; questa è vita in uno stato costante di gratitudine e allegria.
Ricevere questa pienezza di amore e di vita -il dono della Trinità- porta a
un cambiamento del cuore che radica fortemente il credente in una gioia
quotidiana, la quale viene testimoniata nelle opere concrete, negli atti che
sono espressione del vivere secondo principi nuovi.
Una prima novità dell’adorare in Spirito e verità è la rinunzia alla
mondanità. Il cristiano è nel mondo, ma non appartiene allo spirito del
mondo, che è la mondanità che porta alla idolatria, il contrario dello Spirito
Santo.
Una seconda novità è la trasformazione del proprio cuore in tempio
dello Spirito Santo, presente come acqua viva nel profondo del cuore, e
CONCLUSIONE 81

conduce a vivere l’incontro con Gesù, guidando alla comunione


intratrinitaria. Essere portatori dello Spirito è anche essere strumenti per
facilitare agli altri l’incontro con Gesù, essere vasi comunicanti di questa
fonte d’acqua viva per gli altri. Lo Spirito fortifica i credenti in molteplici
forme di testimonianza cristiana, e ciascuna di esse deve essere l’invito a
venire e vedere Gesù, come fa la Samaritana, donna convertita in apostola
della verità.
Una terza novità è il culto nuovo portato da Gesù, culto centrato
nell’amore, nella donazione di se stesso che diventa amore fino l’estremo.
Questa novità è ricevuta nel dono d’amore di Gesù sulla croce; è il rapporto
di maternità-filiazione (tra i discepoli e Maria), che si svilupperà dopo l’ora
di Gesù. Maria sarà la «madre di Gesù» per tutti i nuovi discepoli che come
il discepolo amato accolgono l’amore di Gesù e così nascerà la casa-
Chiesa. La Chiesa, col suo volto femminile, emerge come un grande
grembo nelle tenebre del mondo. Quello che si forma ai piedi della croce è
una nuova famiglia, dove la difesa e la promozione della vita diventa la
massima priorità. I cristiani saranno segnati da un senso di «home», casa,
focolare, un senso di fraternità che deriva dall’atto di amore estremo svolto
sulla croce.
La piccola chiesa domestica, dove era nata la fede dei primi cristiani, è
tornata ad essere il luogo in cui adorare il Padre in Spirito e verità nei nostri
giorni, segnati dalla pandemia di coronavirus. In questo nuovo contesto
storico di adorazione, i credenti reagiscono con una particolare sensibilità
alla crisi mondiale, riscoprono la preghiera e l’adorazione vissuta in
famiglia, e rispondono all’appello a donare testimonianza con la solidarietà
e l’amore per il prossimo, molte volte portati sino all’eroismo. La chiusura
del culto nelle grandi chiese ha aperto la piccola chiesa domestica, dove si
riscopre con gran forza il gran valore dell’adorazione nello Spirito e la
verità di Gesù, nella sua stessa persona, nel suo Spirito, nella sua Parola,
nel suo corpo mistico. I media hanno svolto una vera mediazione spirituale,
rendendo possibile seguire le celebrazioni, chiamando ad essere vicini, non
lasciando che la gente si senta sola.
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INDICE

Introduzione........................................................................................................3
Capitolo I .............................................................................................................6
Caratterizzazione del testo....................................................................................6
1. Struttura..........................................................................................................6
1.1 Struttura generale del Vangelo....................................................................6
1.2 Struttura del libro dei segni.........................................................................7
1.3 Struttura del libro della gloria.....................................................................7
2. Contesto letterario...........................................................................................8
2.1 Contesto immediato....................................................................................8
2.2 Contesto prossimo.....................................................................................10
2.2.1 Spirito e verità nel vangelo di Giovanni.............................................11
2.2.2 Il cammino della Parola di Dio...........................................................11
2.2.3 Il cercare l’unità..................................................................................12
2.2.4 Un vangelo per la fede e la testimonianza..........................................13
2.3 Contesto remoto........................................................................................14
2.3.1 La ricezione di 2Re 17 in Gv 4,20-26.................................................15
2.3.2 La ricezione di Giosuè 24 in Gv 4,20-26............................................16
2.3.3 Il simbolo dell’acqua..........................................................................17
2.3.4 Dai falsi mariti al vero marito.............................................................18
2.3.5 «I campi sono bianchi per la mietitura» (4,35)...................................20
3. Testo e una traduzione..................................................................................20
3.1 Critica testuale..........................................................................................21
3.2 Analisi linguistico-sintattica......................................................................22
Capitolo II...........................................................................................................24
Analisi semantica................................................................................................24
1. Prostrarsi.......................................................................................................24
1.1 Servizio.....................................................................................................24
1.2 Prostrazione e sottomissione.....................................................................25
1.3 Timore riverenziale...................................................................................25
86 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ GV 4,20-26

2. Il Padre...........................................................................................................27
3. In Spirito........................................................................................................28
3.1 Lo Spirito nei vangeli sinottici..................................................................29
3.2 Lo spirito scende dal cielo e rimane su Gesù (1,32-33).............................29
3.2.1 Lo Spirito discende dal cielo (ἐξ οὐρανοῦ)............................................30
3.2.2 Lo Spirito rimane su Gesù..................................................................30
3.2.3 Una fenomenologia dall’ascolto.........................................................31
3.2.4 Il significato del verbo βαπτίζω..........................................................31
3.3 Essere generato dall’acqua e dallo Spirito (Gv 3,5-8)...............................32
3.3.1 Essere generato ἄνωθεν......................................................................32
3.3.2 Nascere ἐξ ὕδατος καὶ πνεύματος.......................................................33
3.3.3 L’acqua viva (7,37-39).......................................................................33
3.4 Paraclito....................................................................................................34
3.5 «Insegnare e Ricordare» (14,26)...............................................................35
3.5.1 Insegnare διδάσκω..............................................................................36
3.5.2 Ricordare ὑπομιμνῄσκω......................................................................36
3.6 Lo Spirito Paraclito e il Testimoniare μαρτυρεῖν (15,26-27)....................38
3.7 La donazione dello spirito nell’ora (19,28-37)..........................................38
3.8 Delimitazione finale del termine Spirito...................................................39
4. La Verità........................................................................................................40
4.1 Osservazioni filologiche...........................................................................40
4.2 Verità nel Vangelo di Giovanni................................................................41
4.3 Testimoniare la verità (18,37)...................................................................43
4.4 Lo Spirito di Verità (14,17; 15,26; 16,13).................................................43
4.5 Risposta umana alla verità........................................................................43
4.6 Testimoniare la verità (5,53).....................................................................44
4.6.1 Giovanni Battista, testimone della verità............................................44
4.6.2 L’uomo paralitico di Betzatà (5,1-47).................................................45
4.6.3 La testimonianza alla verità del discepolo amato................................47
4.7 Delimitazione finale del termine verità.....................................................49
5. Ἐγώ εἰμι, ὁ λαλῶν σοι...................................................................................50
5.1 Auto rivelazione nell’adesso.....................................................................51
5.2 Il luogo del volto.......................................................................................53
BIBLIOGRAFIA 87

5.3 La manifestazione del nome di Dio...........................................................53


6. «Né su questo monte, né a Gerusalemme adorerete il Padre»...................55
6.1 Concetto di culto nell’AT e la sua pienezza nella rivelazione di Gesù......55
Capitolo III..........................................................................................................57
Messaggio teologico............................................................................................57
1. Cristologia e pneumatologia.........................................................................57
1.1 Unità e universalità del nuovo culto in Spirito e verità.............................57
1.2 Discendere-rimanere.................................................................................58
1.3 Insegnare, ricordare e testimoniare...........................................................59
1.4 Dimensione comunicativa della rivelazione..............................................59
2. Teologia del dono...........................................................................................60
2.1 Il dono dell’acqua-Spirito.........................................................................60
2.2 Il dono della Verità...................................................................................62
3. Adorazione Trinitaria...................................................................................63
3.1 Dio Padre, instancabile cercatore dell’uomo.............................................64
3.2 Il nuovo luogo dell’adorazione.................................................................65
3.3 Adorazione e filiazione divina..................................................................65
4. L’ora di Gesù.................................................................................................67
4.1 Il consegnare lo Spirito sulla croce...........................................................67
4.2 Compimento τετέλεσται............................................................................68
4.3 La croce, luogo dell’adorazione in Spirito e verità....................................69
5. La risposta dell’essere umano alla verità....................................................69
5.1 Credere e testimoniare..............................................................................70
5.2 La Samaritana, modello di testimonianza.................................................71
5.3 Un volto femminile della verità................................................................72
Capitolo IV..........................................................................................................75
Applicazione pragmatica.....................................................................................75
1. Acqua di vita, metafora per il mondo attuale.............................................75
2. Parola di Dio nella crisi mondiale................................................................76
3. Guidati dallo Spirito in mesi di oscurità......................................................78
Bibliografia.........................................................................................................82
Indice..................................................................................................................85

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