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Lezione 3 Storia romana

Gli etruschi
Gli etruschi sono la più importante popolazione dell’Italia preromana. Erano noti ai greci
come “Tirreni”. Erodoto pensava che questa popolazione di Etruschi fosse un gruppo di Lidi
che, provenienti dall’Asia Minore navigarono alla volta dell’Italia; per Dionigi di Alicarnasso li
riteneva genti autoctone, indigene, della penisola italica. Le ipotesi moderne collocano
l'origine degli etruschi intorno al VIII secolo a.c. come il punto di incontro di due tipi di
processi:
- evoluzione della struttura interna della società e delle economie locali
- l’importanza che su queste esercitarono influenze esterne (colonie greche nell’Italia
meridionale)
Nella fase tra il VII e VI secolo a.c. gli etruschi controllavano gran parte dell’Italia
centro-occidentale e competevano con i Greci e i Cartaginesi per il controllo delle principali
rotte militari.
Gli etruschi si organizzavano in città indipendenti governate da sovrani “Lacumini”. che
furono poi sostituiti da magistrati eletti annualmente “zilath”.
Il governo era nelle mani di un gruppo ristretto di proprietari terrieri e di ricchi commercianti.
Il processo di espansione degli Etruschi subì una prima direzione di arresto attorno al 530
a.c. a seguito di una battaglia navale con i Focei. Neppure l’alleanza con i Cartaginesi fu
sufficiente per avere la meglio sui Focei (abili navigatori). Il termine di questo periodo va
posto alla battaglia navale di Cuma nel 474 a.C. perduta dagli Etruschi contro la flotta della
colonia greca di Siracusa.

Roma arcaica
La nascita di questa città dovette essere il risultato di un processo lento e graduale, una città
nata dall’aggregazione di più villaggi che vivevano sparse sui singoli colli (sinecismo).
Alcuni villaggi che già vivevano sul colle Palatino possono essere considerati come il nucleo
originario della fondazione di Roma. Il colle Palatino è un luogo ben difeso (da colli e paludi)
e ben collegato grazie al Tevere mare così come all’entroterra. Le saline alle foci del Tevere
(l’importante via di comunicazione costituita dalla Via Salaria).

Il pomerio e i riti di fondazione


Il rito di fondazione di una città è descritto da Marco Varrone, l'erudito latino attivo nel I
secolo a.c.
“Nel Lazio molti erano soliti fondare le città attenendosi al rito etrusco: con due buoi
aggiogati, un toro e una vacca, tracciavano tutt’intorno un solco con la parte interna
dell’aratro (lo facevano per motivi religiosi, in un giorno di auspici favorevoli), per essere
protetti da una fossa e da un muro. Chiamavano «fossa» il luogo da dove avevano scavato
la terra e «muro» la terra gettata all’interno . Il perimetro che risultava dietro questi due
elementi era considerato il principio della città; e poiché esso si trovava dopo il muro [post
murum] venne chiamato postmoerium; lì era il limite degli auspici urbani”.
Nella fondazione di una città un’importanza fondamentale dal punto di vista religioso era
rivestita da pomerio, era in origine la linea sacra che ne delimita il perimetro in
corrispondenza con le mura. Però non sempre coincideva con le mura, in quanto esso era
tracciato secondo la procedura religiosa, cioè secondo gli auspici che avevano preso gli
àuguri. Le mura invece rispondevano ad esigenze di difesa in rapporto al territorio.
- urbs (la città): ciò che è racchiuso da un confine giuridico-sacrale. Al suo interno si
possono tenere attività e detenere poteri che all’infuori non si possono tenere e
viceversa, tra cui la modulazione dei poteri dei magistrati (così come i loro auspicia
sono tra essi).
- oppidum (l’abitato): ciò che difeso da mura.

Organizzazione sociale
C’è un’organizzazione per famiglie dove a capo stava il pater.
La familia
- La familia proprio iure è l’unità base, elementare della società romana. Si tratta di
una famiglia più allargata del concetto moderno di famiglia nucleare.
- La logica patriarcale fa si che il vincolo di parentela sia stabilito secondo la parentela
agnatizia - dal termine latino adgnatus - che indica appunto il vincolo di sangue
secondo questa parentela maschile (i figli di un fratello e di una sorella non sono
agnati tra di loro).
- Tutti i membri della familia erano sottoposti al potere del pater familias cioè alla sua
potestas: moglie, figli, figlie non sposate, e i successivi discendenti per linea
maschile, nonché le loro mogli.
- Compito del pater familias è riconoscere i figli e trasmettere i riti familiari (sacra
privata) ai figli maschi
- Tutti i rapporti giuridici con l’esterno, compresi quelli economici della familia, sono
gestiti in modo esclusivo dal pater familias.
- Il sistema giuridico romano tuttavia non prevedeva un unico successore per tutti i
beni della familia (ad esempio in presenza di diversi figli maschi), suddividendoli per
quanti sono gli immediati discendenti.
- La familia romana era fortemente coesa, ma transeunte: non superava una
generazione e per questo non poteva assumere valenza altamente politica,
ponendosi come entità autonoma rispetto all’ordinamento politico unitario.
Tutte le famiglie che riconoscevano di avere un antenato comune costituiva la gens, un
gruppo organizzato politicamente e religiosamente.
La gens
• La gens non è un gruppo parentale. Essa costituisce l’aggregazione di famiglie
che portano lo stesso nomen (Iulius, Cornelius, Claudius, il secondo elemento del
sistema onomastico romano (➔ onomastica romana vedi più avanti nel corso).
• La sua origine va rintracciata nella ridefinizione di identità dovute al processo di
aggregazione di minuscoli villaggi in unità più vaste, fino al sincretismo che portò
alla formazione della città.
• Si afferma il riferimento al sepolcro comune, a riti e culti ancestrali, a mitici antenati
comuni, quali elementi qualificanti dei vari gruppi all’interno della città. Tali
gruppi vennero poi individuati mediante l’uso generalizzato del nomen.
La popolazione dello Stato romano era divisa in gruppi religiosi e militari “curie” :
comprendeva tutti gli abitanti del territorio, a esclusione degli schiavi. Molto incerta risulta
la loro origine: si sa che praticavano propri riti religiosi e che rappresentano il fondamento
della più antica assemblea politica cittadina, quella dei comizi curiati. Non conosciamo la
loro funzione in età arcaica.

Gli auspicia
- Annunciatori del volere divino dalla direzione del volo, dal numero, dalla specie e dalla
voce degli uccelli, poi anche dalle nubi e dai tuoni. I sacerdoti deputati a tale pratica erano gli
auguri.
- L'auspicazione non cerca di penetrare il segreto dell'avvenire, ma, controllando la
conservazione del patto con gli dei (pax deorum), tende solo a ottenere la sanzione divina
ad azioni umane. In origine erano privati e pubblici.
- Gli auspici pubblici in epoca monarchica erano certamente afferenza al re: secondo la
tradizione fu Romolo a nominare i primi tre auguri.
- Gli auspici pubblici in epoca repubblicana appartenevano allo stato, ma erano affidati dallo
stato ai singoli magistrati; in origine erano indissolubilmente legati all'imperium, denotando
l'imperium la parte umana e gli auspici la parte divina dello stesso potere.
- I magistrati ricevevano gli auspici entrando in carica e uscendo li trasmettevano ai loro
successori; Tutti i magistrati e promagistrati, e probabilmente anche il pontefice massimo,
avevano diritto agli auspici per gli atti di loro competenza (tranne i tribuni della plebe).

La Roma delle origini come sistema aperto


• Nelle tradizioni leggendarie vengono ricordati in molti aspetti che rimandano all’origine
composita della Roma primordiale tra Latini, Sabini ed Etruschi.
• In questa prima fase dell’espansione e della creazione della città, la vittoria su altri
insediamenti del Latium vetus (l’antico Lazio) comportano la scomparsa degli stessi e
l’inclusione nella cittadinanza romana dei suoi abitanti.
• L’esempio della mitica Alba Longa, centro federale delle comunità latine, integralmente
dissolto e assorbito da Roma, dopo la vittoria conseguita da Tullio Ostilio. La sua
popolazione diverrà romana e i suoi maggiorenti (tra cui la gens Iulia) integrati
nell’aristocrazia romana.
• Ancora in epoca storica, il capo di una grande gens Sabina, Appio Claudio, si sarebbe
spostato a Roma da una località semisconosciuta Regillum con tutto il suo gruppo,
ottenendo la cittadinanza per sé e per tutti i suoi, dando così origine alla gens Caludia che
attraverserà tutta la storia di Roma sino all’impero.
Roma conobbe uno sviluppo notevole nel corso del VI secolo a.c. nel periodo in cui risente
dell’influenza etrusca. La rilevazione della presenza etrusca a Roma in questo periodo
traspare anche nella vicenda relativa all’ascesa al potere di Tarquinio Prisco . Una versione
simile, che avvalora una prospettiva “latina” della nascita di una monarchia etrusca a Roma,
conserva il ricordo di un’epoca in cui Roma era inserita in un contesto più ampio di quello
delle origini (Italia centro-meridionale sede di relazioni tra Greci ed Etruschi).
Tomba di Francois di Vulci
Sono raffigurati i fratelli Vibenna che lottano insieme ad un personaggio chiamato Mastarna
(capo dell’esercito) compagno d’armi del condottiero etrusco tale Celio Vibenna rifugiatisi, al
termine di alterne vicende belliche, sul Monte Celio a Roma. Mastarna avrebbe poi ottenuto
il regno e cambiato il proprio nome etrusco, assumendo quello latino di Servio Tullio.

La monarchia arcaica
La caratteristica principale della monarchia romana era quella di essere elettiva:
- l’elezione del re era demandata all’assemblea dei rappresentanti delle famiglie più in
vista (gentes). Con la monarchia etrusca subentra un carattere più marcatamente
militare (fasces).
- Secondo una tradizione riferita a Numa Pompilio, il re ascende alla carica
attraverso la solenne cerimonia dell’inauguratio. Secondo questo rituale l’augure,
operando in relazione a uno spazio sacro appositamente creato (templum), tocca
con la destra il capo del re e chiede a Giove di manifestargli la volontà che Numa sia
re di Roma.
- Dopo l’inauguratio, il re si presenta al popolo riunito nella forma dei comizi
curiati, i quali assegnano il potere al re tramite un atto formale: la lex curiata de
imperio (atto che sopravviverà e che in età repubblicana porterà servirà ai consoli e
ai pretori per l’ottenimento formale dell’imperium).

Originariamente il re doveva essere affiancato nelle sue funzioni da un consiglio di anziani


composto dai capi di quelle più ricche (patres); questi uomini rappresentano il nucleo di
quello che poi sarebbe stato il senato. Il re era anche il supremo capo religioso e nella
celebrazione del culto veniva affiancato dai collegi dei pontefici di cui doveva essere
membro. Della realtà storica di una fase monarchica a Roma rimangono, in età successiva,
due testimonianze fondamentali: la prima è data dall’esistenza di un sacerdote che portava il
nome di rex sacrorum e che aveva il compito di dare realizzazione ai riti prima eseguiti dal
re; la seconda è che col termine interrex veniva definito il magistrato che subentra nel caso
di indisponibilità di entrambi i consoli.

Il lapis niger - La più antica iscrizione monumentale


latina
• Lapis Niger è un’area quadrata in marmo nero circondato da
lastre di marmo che la distingueva dal resto della
pavimentazione augustea in travertino, posta nel Foro
Romano sul luogo dei Comizi a poca distanza dalla Curia Iulia.
• Scoperto nel 1899; il ritrovamento fu riferito a un passo
mutilo di Sesto Pompeo Festo, che accennava ad una «pietra
nera nel Comizio» (lapis niger in Comitio) indicante un luogo
funesto, la tomba di Romolo o almeno il luogo dove venne
ucciso.
• Lo scavo al di sotto del pavimento in marmo nero portò alla
luce un complesso monumentale molto arcaico, costituito da:
una piattaforma con un altare a tre ante e a forma di U, con un
basamento e un piccolo cippo fra le ante; due basamenti
minori su cui sono sovrapposti un cippo a tronco di cono, forse
il basamento per una statua, e un cippo piramidale,
quest'ultimo con la famosa iscrizione bustrofedica (scrittura da
destra sinistra e viceversa nel rigo successivo).
L’iscrizione maledice, consacrando alle divinità infernali, chi violasse il luogo. «Chi violerà
questo luogo sia maledetto [...] al re / l’araldo [...] prenda il bestiame […] giusto [?]» • La
dedica al re si riferisce quasi certamente a un vero e proprio monarca e non al Rex
sacrorum. L’iscrizione per i caratteri paleografici si riferisce al VI sec. a.C.

Rafforzamento della monarchia


Il predominio etrusco su Roma portò a un rafforzamento dell’istituto monarchico: lo provano
le insegne stesse del potere regio, quali la corona, il trono, il manto, lo scettro, i fasci. Si
realizza una prima pavimentazione di battuto rudimentale che altro non è se non il primo
Foro nella parte nord-occidentale, area riservata all’attività politica del popolo e del senato.
Le prime case permanenti in pietra e tetti di tegole, un indizio dell’esistenza di forme di
lavoro specializzato. Tra il VII e VI secolo a.c. Si sostiene che sia stato creato il comitium,
luogo dove il popolo si riuniva per deliberare; di fronte a esso fu costruito lo spazio della
curia Hostilia, la prima sede delle assemblee del senato. Viene costruito il più antico edificio
che risale alla fine del VII secolo la Regia sede ufficiale del re.
La costruzione del tempio più antico finora scoperto a Roma, vicino alla chiesa di
Sant’Omobono nel Foro Boario. Il primo tempio di Giove sul Campidoglio.

Servio Tullio
La sua figura ha un risalto del tutto particolare nella tradizione sui re di Roma. Questo
sovrano opera tali trasformazioni nella città, sia a livello monumentale sia a livello
politico-istituzionale, da poter essere considerato quasi un riformatore.
• divisione della città e del territorio in circoscrizioni amministrative (tribù).
• ripartizione della cittadinanza in unità (centurie, in origine composte ciascuna da 100
uomini) accorpate per classi di reddito (in origine forse tre: cavalieri, fanti, nullatenenti),
funzionali alla ripartizione degli obblighi militari.

Patrizi e plebei
Per la tradizione i patrizi erano semplicemente i discendenti dei primi senatori (patres), la cui
nomina si faceva risalire a Romolo. Tra le ipotesi che sono state avanzate c’è quella che fa i
plebei i clienti dei padroni patrizi. Un ‘ulteriore ipotesi tra le più accreditate mette in primo
piano il fattore economico: i patrizi sarebbero stati grandi proprietari terrieri, mentre i plebei
corrisponderebbero alle classi degli astigiani e dei ceti emergenti economicamente.
• Alle gentes detentrici di risorse e terre, identificate con la primitiva aristocrazia, si
affiancò un insieme di individui relativamente ai margini, dipendenti dalla prime in qualità
di «clienti».
• Tale vertice aristocratico fu in seguito indicato dai Romani con il termine patricii (patrizi) o
patres, mentre il secondo insieme, ad esso contrapposto, plebei.

La nascita della Repubblica


La storiografia antica ci presenta un quadro molto chiaro della nascita della Repubblica:
Sesto Tarquinio, figlio dell’ultimo re etrusco di Roma, respinto dall’aristocratica Lucrezia, la
violenta. Quest’ultima, prima di suicidarsi, narra il misfatto al padre, Spurio Lucrezio e al
marito Lucio Tarquinio Collatino e ai loro amici Lucio Giunio Bruto e Publio Valerio Publicola.
Guidata da questi aristocratici, scoppia una rivolta che porta alla caduta della monarchia, un
evento canonicamente datato al 510 a.C. Tarquinio il Superbo, in quel momento impegnato
in operazioni militari attorno ad Ardea, non è in grado di rispondere con prontezza. Nell’anno
successivo, il 509 a.C., primo della Repubblica, i poteri del re passano a due magistrati eletti
dal popolo, i consoli, uno dei quali è lo stesso Bruto. Il tentativo intrapreso da Porsenna, re
della città etrusca di Chiusi, di restaurare il potere di Tarquinio su Roma viene frustrato
dall’eroismo della neonata Repubblica.
In questa dettagliata narrazione troviamo un’incoerenza perché troviamo tracce di una
stratificazione nella versione canonica della leggenda, con l’unione di racconti
originariamente distinti, di cui erano protagonisti personaggi diversi, le numerose incertezze
ammesse dagli stessi autori e il fatto che i loro racconti vennero scritti solo diversi dopo gli
avvenimenti, mettono in dubbio la veridicità della fonte.
Evento traumatico o passaggio graduale?
Il ruolo preminente che un ristretto gruppo di aristocratici ebbe nella cacciata dei Tarquini e il
dominio che il patriziato sembra aver esercitato sulla prima Repubblica, a livello sia politico
che religioso, inducono a pensare che la fine della monarchia sia da attribuire ad una rivolta
del patriziato romano. L’odio che l’aristocrazia romana dimostrò per tutto il corso dell’età
repubblicana contro l’istituto monarchico sembra indicare che il mutamento di regime sia
stato il risultato di un evento traumatico, di una vera e propria «rivoluzione».
Questo non significa che, alla caduta dei Tarquini, si sia immediatamente stabilito un regime
repubblicano nelle forme già ben definite che appaiono nella tradizione storiografica. Alcuni
elementi lasciano piuttosto pensare che alla cacciata di Tarquinio il Superbo sia succeduto
un breve, ma confuso periodo, in cui Roma appare in balìa di re e condottieri, come
Porsenna di Chiusi.
La sconfitta inflitta dai Latini e dal loro alleato Aristodemo di Cuma ad Arrunte, figlio di
Porsenna, presso la città latina di Aricia (506/507 a.C.), che la tradizione colloca pochi anni
dopo la cacciata dei Tarquini da Roma, assestò un duro colpo all’influenza politica degli
Etruschi nel Lazio.

La data della creazione della Repubblica


Gli antichi avevano notato una curiosa coincidenza cronologica tra la storia di Roma e quella
di Atene: il 510 a.C. era anche l’anno in cui il tiranno Ippia, della famiglia dei Pisistratidi, era
stato cacciato da Atene. Da qui il sospetto che la cronologia della caduta di Tarquinio il
Superbo sia stata adattata per creare un parallelismo con le vicende della più celebre polis
greca. Diversi studiosi hanno proposto di collocare la nascita della Repubblica qualche
decennio più tardi, notando in particolare come intorno al 470-450 a.C. la documentazione
archeologica proveniente da Roma dimostri una interruzione dei contatti culturali con
l’Etruria.
Un primo argomento a sostegno della datazione tradizionale è desumibile da una singolare
cerimonia ricordata da Livio:
Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione, VII, 3, 5-8
“È antica legge, scritta in lettere e parole arcaiche, che il supremo magistrato [praetor
maximus] alle idi di settembre conficchi il chiodo; essa venne affissa sul lato destro del
tempio di Giove Ottimo Massimo, dalla parte dove si trova il sacello di Minerva. Dicono che
questo chiodo, poiché rari erano in quell’epoca gli scritti, fosse il segno indicativo del numero
degli anni e che la legge fosse consacrata al sacello di Minerva perché invenzione di
Minerva è il numero [...]. Il console Marco Orazio dedicò il tempio di Giove Ottimo Massimo
secondo il disposto di quella legge un anno dopo la cacciata del re”.
Secondo lo storico una legge scritta in caratteri arcaici prescriveva che il massimo
magistrato della Repubblica infiggesse un chiodo nel tempio di Giove Capitolino, ogni anno
alle idi di settembre , anniversario della consacrazione del tempio.

Il conflitto tra patrizi e plebei


Cause economiche
La caduta dei Tarquini e i mutamenti nel quadro internazionale della prima metà del V secolo
ebbero pesanti ripercussioni in primo luogo sul piano economico.
La sconfitta subita dagli Etruschi ad opera di Ierone di Siracusa nella battaglia navale
combattuta nelle acque davanti a Cuma, nel 474 a.C. e il tramonto della Campania etrusca,
causò un grave danno a Roma, al centro dei traffici nord-sud. La vendita del sale raccolto
nelle saline di Ostia soffrì assai probabilmente per il protrarsi delle ostilità con i Sabini, che
controllavano il percorso che sarà noto col nome di via Salaria.
Lo stato quasi permanente di guerra tra Roma e i suoi vicini provocò poi continue razzie e
devastazioni dei campi. La crisi economica è dimostrata anche da prove archeologiche: in
particolare il numero delle ceramiche greche di importazione sembra crollare nel corso della
prima metà del V secolo a.C.
L’istituto del nexum

Gli effetti dei cattivi raccolti e delle malattie colpivano in particolare i piccoli agricoltori, che
avevano minori possibilità di fronteggiare le temporanee difficoltà e spesso, per
sopravvivere, si trovavano costretti a indebitarsi nei confronti dei più ricchi proprietari terrieri,
in particolare chiedendo loro in prestito le sementi. Il debitore, incapace di estinguere il
proprio debito, fosse costretto a porsi al servizio del creditore per ripagarlo del prestito e dei
forti interessi maturati. Si tratta dell’istituto del nexum, che riduceva coloro che ne erano
vincolati ad una condizione non dissimile a quella di uno schiavo.

Rivendicazioni politiche da parte plebea


Davanti alla crisi economica, le richieste della plebe concernenti una mitigazione delle
norme sui debiti, in particolare riguardanti il tasso massimo di interesse e la condizione dei
debitori insolventi, e una più equa distribuzione dei terreni di proprietà dello stato: ages
publicus.
Il patriziato aveva assunto progressivamente il monopolio della magistratura della neonata
Repubblica. La necessità di un codice scritto di leggi, che ponesse i cittadini al riparo delle
arbitrarie applicazioni delle norme da parte di coloro che, fino a quel momento, erano stati
depositari del sapere giuridico, i patrizi riuniti nel collegio dei pontefici.

Le strutture militari
I problemi politici ed economici non furono gli unici fattori ma vi era anche la progressiva
presa di coscienza della propria importanza da parte della plebe.
- Ciascuna centuria doveva fornire il medesimo numero di reclute per l’esercito (in origine,
almeno teoricamente, tale numero doveva essere fissato a 100 uomini).
- È possibile che l’antichissimo esercito repubblicano si basasse sulla fanteria pesante
fornita dalle centurie di iuniores (gli uomini tra i 17 e i 45 anni) delle prime tre classi di censo:
queste 60 centurie (40 di iuniores della I classe + 10 di iuniores della II classe + 10 di
iuniores della III classe) potevano fornire 6.000 uomini, gli effettivi di due legioni, ciascuna
composta da circa 3.000 opliti.
- La legione era reclutata su base censitaria, dunque indifferentemente tra
aristocratici e gente del popolo, tra patrizi e plebei. Nelle guerre quasi sempre vittoriose
del V e del IV secolo a.C. si rinsalda la convinzione che gli uomini decisivi sul campo di
battaglia non potessero essere ridotti ad un ruolo di comprimari nella vita politica, economica
e sociale dello Stato.
La secessione dell'Aventino
Il conflitto tra i due ordini si apre nel 494 a.C., la plebe esasperata dalla crisi economica,
ricorse a quella che si rivelerà essere l’arma più efficace nel confronto tra i due ordini: una
sorta di sciopero in cui la plebe si ritirato sul colle Aventino, lasciando città priva della sua
forza lavoro e, soprattutto, indifesa contro le aggressioni esterne. I plebei presero alcune
risoluzioni che la tradizione storiografica romana faceva rientrare nella categoria delle
cosiddette leges sacratae (chi avesse contravvenuto a queste stesse disposizioni sarebbe
stato sacer, consacrato agli dèi, ovvero in pratica, che potesse essere ucciso impunemente).
In occasione della prima secessione la plebe si diede proprio organismo politici: in primo
luogo l'assemblea generale delle plebe, che dapprima votava probabilmente per curie, poi,
a partire forse dal 471 a.C., per tribù, ed è dunque nota col nome di concilia plebis tributa.
Il meccanismo di voto per tribù, che ben presto si impose definitivamente, assicurava nei
concilia plebis la prevalenza dei proprietari terrieri iscritti nelle più numerose circoscrizioni
rustiche. L’assemblea poteva emanare dei provvedimenti assunti dell’assemblea erano i
plebiscita («decisioni della plebe»); inizialmente non avevano valore vincolante per lo
Stato, solo a partire dal 287 a.C. con la lex Hortensia.
Al tempo della prima secessione furono poi scelti come rappresentanti ed esecutori della
volontà dell’assemblea i tribuni della plebe (concilium plebis) i tribuni della plebe,
inizialmente forse in numero di due, anche se in seguito crebbero fino a raggiungere i dieci.
Il nome dei capi della plebe deriva forse da quello dei tribuni militari che comandavano
i reparti militari in cui era suddivisa la legione.
Per dare forza concreta, e non solo formale, ai diritti dei tribuni della plebe è per fronteggiarli
da un eventuale reazione da parte dello stato Patrizio, la plebe accordò loro li inviolabilità
personale (sacrosantitas) dei tribuni della plebe: in conseguenza di ciò, chi avesse osato
commettere violenza contro i rappresentanti della plebe dopo un regolare voto del concilium
plebis sarebbe divenuto sacer, consacrato alla divinità e poteva essere messo a morte
impunemente e le sue proprietà confiscate a favore del tempio di Cerere, Libero e Libera
sull’Aventino.
I poteri dei tribuni della plebe:
• Ius auxili: il diritto di rispondere a richieste di aiuto.
• Ius intercessionis: il diritto di veto sulle decisioni dei magistrati.
• Ius coercitionis: la possibilità di comminare pene.

La nascita degli edili plebei


Secondo la tradizione storiografica già nel corso della prima secessione vennero creati
anche altri due rappresentanti della plebe, gli edili plebei: è possibile che in questo caso
le nostre fonti anticipino la nascita di una magistratura che in realtà è posteriore.
Nella tarda età repubblicana si occupavano dell’organizzazione dei giochi, della
sorveglianza sui mercati (e di conseguenza dell’approvvigionamento alimentare della
città), del controllo sulle strade, i templi e gli edifici pubblici). Le loro funzioni originarie
rimangono oscure. Dal loro nome di aediles, da aedes «tempio, casa» è probabile fossero i
custodi del tempio di Cerere, Libero e Libera nel quale venivano conservate le somme delle
multe inflitte a coloro che avevano recato offesa alla plebe, nonché copia dei plebisciti votati
dai concilia plebis.

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