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Fenomenologia Del Non-Luogo
Fenomenologia Del Non-Luogo
Introduzione 03
Conclusioni 21
Bibliografia 22
02
Introduzione
03
Cosa si intende per
fenomenologia del non-luogo
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paradossi: l’eccesso di spazio provoca il vuoto, l’eccesso di
tempo provoca l’effimero, l’eccesso di ego provoca l’anonimato,
la realtà si nega nel momento stesso in cui si manifesta.
Se dunque il luogo è inteso come identitario, storico e
relazionale, il non-luogo diventa l’espressione riassuntiva di
quest’epoca non identitaria, non storica e non relazionale.
Espressione multiforme, sempre più utilizzata con accezioni
e riferimenti diversi, occorre in primis definire l’area di
significazione che del “non-luogo” più ci interessa.
Già nell’invenzione del termine, Marc Augè, poneva due strade
di significazione complementari, ma distinte: da una parte
quegli spazi costruiti per un fine ben specifico (solitamente di
trasporto, transito, commercio, tempo libero ecc.) e dall’altra
il rapporto che viene a crearsi fra gli individui e quelli stessi Definire il
non-luogo
spazi.
Non possiamo però più pensare al luogo come spazio
circoscritto nel tempo, in cui l’individuo vive, transita o abita,
perchè tale concetto si è dilatato in modo esponenziale e la
sua modalità essenziale è sempre più labile e diversificata
( pensiamo ai luoghi virtuali, ai social network ecc. ).
Non rimane che affrontare un’indagine sulla percezione che
l’individuo appartenente alla post-modernità ha di questi non-
luoghi. Il termine “fenomenologia del non-luogo” sottolinea il
carattere ossimorico e paradossale di questa percezione
(fenomenologia=manifestazione; non-luogo=assenza) e con
esso intendo proprio il manifestarsi del vuoto, dell’assenza,
che sembra essere uno dei pochissimi punti fermi di questo
presente oscuro ed intricato.
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Il non-luogo come percezione
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Tre stadi di rappresentazione
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Andremo ad indagare questo primo stadio attraverso la
modalità fotografica, in particolare la fotografia architettonica,
con la quale opera Michael Wolf.
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Michael Wolf. “Architecture of density”
Michael Wolf,
Architecture of density,
2011
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Nell’osservare le immagini della più nota serie fotografica
di Michael Wolf, “Architecture of density”, è facilmente
riconoscibile la necessità dell’artista di figurare l’estensione.
I grattaceli di Hong Kong sono catturati frontalmente e
l’eliminazione della linea del cielo e dell’orizzonte, oltre a
sollevare gli edifici dallo spazio reale, soffoca la percezione
dell’altezza e della profondità, producendo un effetto di
inquietudine rispetto alla grandezza ( valore enfatizzato anche
dai grossi formati ).
La lettura dell’opera di Wolf può essere condotta sotto molteplici
aspetti: si può riflettere sulle contraddizioni soggiacenti ad un
inquadratura rigida e formale, ma si può anche godere della
potenza visiva di tutta la serie nell’insieme.
In questo modo l’estensione viene ulteriormente potenziata
nello sguardo, da un livello sincronico, interno all’immagine,
ad un livello diacronico globale.
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Sofia Coppola. Lost in Translation
La solitudine
poco, molto poco, anche quando parliamo la stessa lingua).
Entrambi alloggiano per un breve periodo a Tokyo, una città che
non è la loro, e nelle stanze d’albergo in cui cercano qualcosa di
familiare.
La contraddizione in questo caso, a differenza dell’opera di
Michael Wolf, si sposta sul soggetto.
“In un presente dove la “connessione” sembra rappresentare
la priorità assoluta, non ci si è mai sentiti più soli.” Due anni
dopo l’uscita del film, nel 2011, la psicologa sociale Sherry
Turkle , spiega questo concetto all’interno del suo nuovo libro
intitolato “Alone Together”. L’autrice si concentra su come la
tecnologia si stia configurando come strumento di alienazione
dalla realtà e soprattutto dagli altri. L’iperconnessione e la
costruzione di realtà virtuali hanno causato negli ultimi anni delle
problematiche psicologiche importante, dice la Turkle. In primo
luogo una customizzazione e un rigido controllo del quotidiano (
decido io cosa vedere, chi vedere, con chi parlare.. ) che ci ha reso
vulnerabili rispetto all’inatteso, all’imprevedibile. In secondo
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luogo la connessione come strumento sociale ( Facebook,
Instagram, Twitter ecc. ) ci ha reso incapaci di stare da soli.
Vogliamo sempre la connessione perchè questa ci conforta,
e vogliamo comunicare sui social perchè siamo più sicuri e
possiamo controllare i contenuti. Per ora abbiamo ancora la
possibilità di scegliere cosa è effettivamente reale.
Nella realtà rappresentata dal film, tutte queste degenerazioni
relazionali si risolvono nell’incapacità di comunicare. Siamo
persi in quella costante linea di buio che esiste tra noi e l’altro,
ma persi anche tra noi e le nostre contraddizioni.
La piscina dell’albergo
Frame del film “Lost in
Translation”
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Charlotte nella sua camera d’albergo
Frame del film “Lost in Translation”
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Luigi Ghirri. Paesaggi italiani e Il profilo delle nuvole
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visiva delle immagini, caratteristica sia del soggetto che della
composizione della fotografia. L’unico suono che cent’anni fa
poteva prodursi davanti all’apparecchio fotografico era quello del
vento”. Più avanti individua un nesso preciso tra la qualità dello
spazio e quella dell’operazione fotografica: “Un’altra qualità
dello spazio che ritrovo nelle vecchie fotografie è il ritmo semplice
della vita: lo spazio sembra spesso pressoché immobile – un ritmo
e un tempo appropriati per chiunque speri di fare l’esperienza
dello spazio”. È da citare anche l’opera di Edward Ruscha,
autore slegato dalla corrente, che però, già nel ’62, pubblicò un
volumetto dal titolo Twenty six gasoline station, in cui venivano
esplorati, attraverso la città americana, i concetti di ripetizione
e monotonia.
In definitiva, i nuovi topografi rincorrevano la desolazione, Le influenze
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Luigi Ghirri era un filosofo per immagini. Questo è uno dei
tanti epiteti che i suoi colleghi, i suoi amici, gli assegnarono.
In effetti oltre ad essere un fotografo Ghirri era soprattutto
un profondo pensatore. Molte delle cose che ha scritto sono
fortemente esplicative della sua opera:
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piuttosto nel meccanismo di scelta dei soggetti da fotografare.
Personalmente credo che si possa guardare l’opera di Ghirri
come si guarda fuori dal finestrino di un treno o di un’auto.
All’ingenuità di uno sguardo che non può prevedere, si mostra
un fluire indifferente di pianure, deserti, campagne, spazi vuoti
di significato, che non cercano di essere interpretati, che non
vogliono significare.
Paesaggio italiano -
Marina di ravenna, 1986
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Paesaggio italiano -
Formigine, 1985
Paesaggio italiano -
Marina di ravenna, 1986
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Paesaggio italiano -
Fidenza, 1985
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Conclusioni
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Bibliografia
1) M. Augé, Non-lieux, 1992 (trad. it. Non luoghi, Eléuthera, Milano, 1993, p. 37).
2) Sul problema della distanza ermeneutica, cfr. H.G. Gadamer, Verità e metodo, 1960.
3) S. Freud, Psicologia delle masse e analisi dell'Io, 1921, cap. XI (trad. it. Boringhieri).
4) “I nonluoghi in letteratura” (Stefano Calabrese e Maria Amalia D’Aronco), 2005.
5) Walter Benjamin - L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (E.2011)
6) C. Baudelaire in Il pittore della vita moderna (1863).
7) Giacomo Daniele Fragapane - Lo sguardo inattuale. Fotografia di territorio di fine ’900.
8) Sherry Turkle - Alone Together ( 2011)
9) Peter Osborne - Contemporary art is post-conceptual art.
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