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Psicologia Dello Sviluppo Dell'Educazione
Psicologia Dello Sviluppo Dell'Educazione
Con la rivoluzione cognitiva degli anni '60 le correnti psicologiche più svariate hanno iniziato come
oggetto di ricerca scientifica: sia che si tratti di teorici evoluzionisti, sia che si tratti di cognitivisti, è stata
data una definizione unitaria di emozione: processo multi-componenziale, che coinvolge principalmente
la valutazione cognitiva degli eventi, l'attivazione neurofisiologica, l'espressività, e la tendenza a
compiere azioni.
1. Lo sviluppo emotivo
Quando si vuole affrontare lo studio delle emozioni bambini, la prima cosa da fare è sicuramente quella
di avere un approccio metodologico, soprattutto dato che l'emozione è qualcosa che nasce dall'esperienza
e che quindi non può essere attribuita ai bambini fin da subito. Iniziamo parlando di tre teorie diverse.
La teoria differenziale. Questa teoria è sostenuta principalmente da Izard, il quale sostiene che il
bambino possiede due tipi di emozioni:
• Le emozioni primarie o di base, che sono innate nel bambino è universale, e riguardano la paura,
la collera, la gioia, tristezza e il disgusto;
• le emozioni complesse o secondarie, che invece scaturiscono dalla consapevolezza di sé e sono
attivate solo a partire dalla fine del primo anno di vita: vergogna, colpa, imbarazzo, orgoglio,
odio.
Secondo la prospettiva differenziale esistono quindi delle emozioni innate e universali all'interno del
soggetto, le quali vengono espresse fin dalla nascita. Basti pensare alle espressioni facciali che, secondo
Izard, altro non sono che dei feedback delle esperienze emotive che il bambino sta realizzando suo
interno. In questo modo si comprende che le emozioni innate all'interno del bambino funzionano in modo
indipendente rispetto alla sua formazione cognitiva, senza contare che queste espressioni facciali hanno
anche una valenza sociale, poiché il bambino riesce a comunicare in modo preverbale con gli adulti che
gli stanno intorno.
Nel corso del primo anno di vita fino a tutto il secondo anno il bambino vive tre livelli di sviluppo
emotivo:
• il primo livello (0-2 mesi) chiamato anche esperienza sensorio-affettiva, riguarda quelle
emozioni innate all'interno del soggetto che gli permettono di comunicare i propri bisogni a chi
gli sta intorno, attraverso il disgusto, lo sconforto e l'interesse;
• il secondo livello (3-9 mesi), chiamato anche esperienza percettivo-affettiva, riguarda un
periodo in cui il bambino è in grado di esplorare l'ambiente esterno iniziando a conoscere
emozioni quali la collera, la tristezza la paura;
• il terzo livello (9-24 mesi), chiamato anche esperienza cognitivo-affettiva, vede il bambino
iniziare a costruire delle emozioni complesse, come la colpa, la vergogna, la timidezza, che
attestano la consapevolezza che ha di sé.
Soprattutto all'interno delle neuroscienze affettive oggi l'approccio differenziale viene utilizzato per
studiare i meccanismi neurali delle emozioni, considerando la dimensione emotiva precedente a quella
cognitiva, come se un pacchetto preformato di emozioni universali esistesse all'interno del bambino.
La teoria della differenziazione. Tale teoria, elaborata da Sroufe, considera che alla nascita il bambino
differenzia al suo interno stati di sconforto e stati di piacere. A partire da questa differenziazione vengono
a formarsi le emozioni vere e proprie coinvolgendo tre diversi sistemi psicologici.
Il sistema piacere/gioia, avviene a partire dal secondo mese di vita e produce nel bambino una sorta di
sorriso endogeno, che egli ricava direttamente dagli stati fisiologici interiori che gli procurano benessere.
Si potrà parlare di un sorriso sociale solamente a partire dal terzo mese di vita; mentre una vera e propria
emozione di gioia si avrà solo a partire dal quarto mese di vita, ossia quando il mondo circostante
procurerà benessere al bambino.
Il sistema circospezione/paura, nasce già nel periodo prenatale e riguarda degli stati interiori del
bambino; solo a partire dai sette mesi arriverà la paura vera e propria determinata dall'interazione con
l'ambiente circostante.
Il sistema frustrazione/rabbia, nasce anche in periodo prenatale, tuttavia in un primo momento il
bambino prova una frustrazione dovuta a questione di motricità e di costrizione fisica, solo a partire dai
sei mesi di vita comincerà a provare rabbia in relazione a ciò che subisce dall'esterno, come ad esempio
l'interruzione di un'azione intenzionale.
In merito a questa suddivisione, Sroufe ha proposto un modello di sviluppo emotivo per i primi tre anni
di vita del bambino, un modello che è sempre legato allo sviluppo cognitivo e a quello socio effettivo.
L'approccio funzionalista. Quando si tratta di studiare la natura funzionale delle emozioni nella
regolazione dell'interazione individuo-ambiente, allora ci si riferisce all'approccio funzionalista. In
particolare esistono tre funzioni all'interno dello sviluppo del bambino.
La funzione biologica, grazie alla quale il bambino riesce a mantenere la propria sopravvivenza: ad
esempio attraverso il disgusto si protegge dall'assunzione di cibi nocivi.
La funzione comunicativa, capace di gestire gli scambi interpersonali con il mondo circostante. In merito
a questa funzione è stato studiato il riferimento sociale, ossia l'azione facciale che il bambino produce
per mostrare una determinata emozione in determinati momenti particolari (come quando prova sollievo
a rivedere la madre dopo un periodo di separazione).
La funzione di informare circa il raggiungimento di desideri e scopi, ossia di fronte ad alcuni eventi o
esperienze che il bambino subisce, egli produce delle espressioni emotive.
Si comprende che l'approccio funzionalista studia le emozioni a partire dall'interconnessione tra il
bambino e l'ambiente circostante, enfatizzando il ruolo degli apprendimenti sociali e culturali.
3. La socializzazione emotiva
I primi studi di socializzazione emotiva hanno posto l'accento sulle strategie messe in atto dagli adulti
che interagiscono con il bambino per promuoverne la competenza emotiva. La ricerca degli psicologi si
è focalizzata sui contenuti che vengono socializzati ma anche sui processi di insegnamento-
apprendimento, dando particolare attenzione al contesto familiare, culturale e alle pratiche di
socializzazione di un determinato contesto.
La socializzazione emotiva in famiglia. La dottoressa Saarni, facendo riferimento relazione genitore-
figlio, ha proposto la distinzione di due modalità:
• modalità indirette di socializzazione emotiva riguardano tutti quei comportamenti non
intenzionali che hanno gli adulti e che esprimono emozioni, comportamenti che i bambini
comunque registrano;
• modalità dirette di socializzazione emotiva riguardano invece tutti quegli insegnamenti che il
genitore dà al figlio al fine di fargli conoscere l'emozione, saperla regolare e soprattutto riuscire
ad esprimerla nella società.
Il tema della socializzazione emotiva è stato affrontato anche da Gottman, il quale ha proposto la
filosofia della metaemozione, ossia l'insieme di tutte le opinioni e di tutte le convinzioni che l'adulto
possiede in merito alle azioni e che vuole trasferire al figlio. Le due principali filosofie sono: la guida
alle emozioni e la messa al bando delle emozioni. Si è notato che la cooperazione tra il genitore e il
figlio (laddove il genitore è supportato da una buona consapevolezza delle emozioni) ha prodotto un
abbassamento del livello delle emozioni negative.
Denham ha invece individuato tre tipologie di socializzazione emotiva complementari che non si
autoescludono:
• il modeling, si tratta della capacità che hanno i bambini di osservare gli adulti nel momento in
cui esprimono le proprie emozioni. Anche se non si tratta di un insegnamento intenzionale da
parte dell'adulto, comunque il bambino riesce ad apprendere e a uniformarsi alle emozioni del
genitore: il bambino farà propria l'emozione del genitore soprattutto dopo che l'adulto avrà
etichettato l'emozione e l'avrà fatta conoscere al bambino anche concettualmente;
• il coaching, si tratta dell'intenzionale insegnamento delle emozioni al bambino da parte
dell'adulto. In questo caso sarà il genitore a insegnare il significato di alcune emozioni, ma anche
come queste possano essere esplicitate all'interno del contesto sociale;
• il contingency, riguarda l'apprendimento attraverso le reazioni dell'adulto immediatamente
successive all'espressione emotiva dei bambini. Ad esempio, quando un bambino piange e il
genitore lo conforta, questa risposta al pianto del bambino diventa fonte di apprendimento per il
significato dell'esperienza emotiva, ma diventa anche l'apprendimento della gestione
dell'emozione stessa.
Morris ha poi proposto un modello tripartito dei processi di socializzazione emotiva, basato
sull'osservazione dei comportamenti dei membri familiari, sulle pratiche che quotidianamente vengono
espresse come risposta alle emozioni dei figli, sul clima emotivo familiare. Questi tre elementi aiutano il
bambino nella regolazione emotiva e soprattutto gli permettono l'adattamento sociale.
La socializzazione emotiva nei contesti extrafamiliari. Durante l'età prescolare i bambini si trovano a
contatto con dei contesti extrafamiliari, anche questi fondamentali per la loro socializzazione emotiva.
Una funzione di facilitazione rispetto all'acquisizione delle conoscenze sulle emozioni è data dagli
insegnanti, i quali forniscono un supporto emozionale non tanto individualmente, quanto all'interno di
un contesto di classe. Certamente i genitori e gli insegnanti di scuola dell'infanzia sono elementi
fondamentali della socializzazione emotiva del bambino, tuttavia recenti studi hanno dimostrato che una
tale interazione potrebbe essere confermata già a livello di asilo nido.
gli insegnanti di scuola dell'infanzia dedicano più tempo ai bambini più piccoli che non a quelli d'età
prescolare; in questo modo l'acquisizione emotiva avviene attraverso il modeling, ossia attraverso le
espressioni emotive dell'insegnante. Per quanto riguarda poi il contigency, è stato osservato che gli
insegnanti tendono a minimizzare le emozioni dei più piccoli o a trovare delle scorciatoie con le punizioni
o con il di stordimento dell'attenzione da un determinato oggetto o evento.
Gli insegnanti contribuiscono allo sviluppo della competenza emotiva e lo si vede in quella modalità
teaching (corrispondente al coaching dei genitori) che riguarda la formazione educativa dello sviluppo
di competenze socioemotive dei bambini; all'interno delle scuole vengono elaborati programmi scolastici
per la promozione dell'apprendimento socioemotivo.
CAPITOLO 3: I LEGAMI DI ATTACCAMENTO NEL CICLO DI
VITA
1. Approcci teorici
La cognizione comprende un insieme vasto ed eterogeneo di processi che spiegano come le nostre
funzioni mentali cambino con il passare del tempo all'interno della nostra vita e in che modo ciò avvenga.
Tra i diversi approcci, quelli a cui dare più risalto sono la teoria costruttivista di Piaget e gli approcci
storico-culturale, dell'elaborazione delle informazioni, neopiagetiano e neurocostruttivista. Quando
parliamo di approcci teorici al problema dello sviluppo cognitivo, cioè a come cambiamo cognitivamente
e perché questo accada, non dobbiamo pensare che esistano delle teorie definitive, ma tutto è sempre in
divenire e resta strettamente intrecciato alle scoperte che gli scienziati realizzano con il passare del tempo.
Vi è un'evoluzione storica degli approcci teorici, la quale si è sviluppata nel corso del Novecento e ha
avuto inizio negli Stati Uniti quando prendeva avvio il comportamentismo. Gli psicologi
comportamentisti rinunciarono a studiare il funzionamento della mente e focalizzare uno la loro
attenzione sul comportamento e sui meccanismi di apprendimento del soggetto, un apprendimento che
si basava sul binomio stimolo-risposta, ossia stimolazione ambientale che determinavano alcuni
comportamenti del soggetto. Gli altri approcci teorici che studieremo non si basano sul comportamento,
ma tornano a studiare la mente.
Di particolare importanza sono l'idea costruttivista di sviluppo nata in Svizzera con Piaget, l'approccio
storico-culturale nato in unione sovietica da un gruppo di studiosi, l'approccio dell'elaborazione delle
informazioni che vuole indagare il funzionamento dei processi della mente, l'approccio neopiagetiano
e neurocostruttivista, che mettono insieme le ricerche di Piaget e dell'elaborazione delle informazioni,
integrandole con nuove idee.
Lo stadio preoperatorio tipicamente va dai 2 - 7 anni (il libro dai 2 - 6 anni), ed è lo stadio in cui pensiero
del bambino è egocentrico e precausale. Lo si vede nella sua produzione grafica e nello sviluppo di
questa:
2 anni scarabocchio
3 anni omino testone
4-5 anni figura convenzionale
fino a 7 anni figura a blocchi.
Ad esempio, la psicologia dinamica considera molto importante la produzione grafica. Il bambino
evitando l'approccio verbale esprime comunque se stesso, attraverso il disegno. In realtà, il bambino
attraverso lo scarabocchio esprime se stesso, essere accorta la psicologia dinamica poiché quando i
bambini volevano esprimere delle condizioni di abuso, lo facevano attraverso gli scarabocchi o i primi
disegni.
Lo scarabocchio è composto da linee casuali, spesso tondeggianti e che vengono realizzate con colori
diversi, spesso indicativi di ciò che il bambino vuole trasmetterci. L'omino testone si presenta verso i 3
anni. Verso i 4-5 anni il bambino prende dall'omino testone alcune caratteristiche e compone una figura
più complessa (dorso, mani aperte per indicare un principio di realtà esistente e un contatto con il
mondo); questi disegni manifestano evidentemente un'evoluzione cognitiva da parte del bambino. Infine,
fino a sette anni, il bambino da una rappresentazione della realtà con delle figure a blocchi, manifestando
quale grande cambiamento ci sia stato in soli due anni nel modo di vedere il mondo e di rappresentarlo.
In questa fase troviamo i primi elementi di un ragionamento semilogico nella quale avviene la
rappresentazione di insieme di oggetti o eventi, fino a formare le categorie, vi è l'assenza di
classificazione gerarchica e incrociata, quindi si è in presenza di un preconcetto, e vi è l'assenza di
ragionamento deduttivo e induttivo, ma il bambino conduce un ragionamento di tipo trasduttivo.
Ovviamente, se il pensiero del bambino è ancora ad uno stadio
egocentrico, anche il suo linguaggio sarà egocentrico, tuttavia
piano piano questo linguaggio ancora interiore e silenzioso verrà
sostituito con un linguaggio privato, avviandosi così verso un
linguaggio socializzato. tutto questo viene rappresentato
graficamente:
A questo punto si potrebbe fare un parallelo tra la teoria di Piaget e ciò che avviene nella vita
quotidiana. Nella teoria dello psicologo svizzero le caratteristiche del pensiero sensomotorio e di quello
preoperativo sembra che vengano superate nello stadio operatorio concreto, tuttavia molti aspetti del
ragionamento adulto sono caratterizzati da un pensiero prelogico. Ciononostante, in una condizione
normale di sviluppo cognitivo l'essere umano passa da una fase prelogica ad una fase logica,
considerando il mondo sotto aspetti diversi, molto più maturi e complessi.
Intorno ai sette anni fino agli undici inizia il terzo stadio, quello OPERATORIO CONCRETO, in cui
il bambino comincia a sviluppare un suo pensiero logico. È la fase in cui il bambino acquisisce strutture
logiche, compie operazioni mentali, interiorizza le azioni e comprende la reversibilità. Ad esempio, il
bambino sa distinguere tra l'essere umano e l'animale, e soprattutto comprende che il liquido versato i
due contenitori diversi è lo stesso. In questo stadio fanno anche la loro comparsa l'addizione e la
sottrazione, e la capacità di comprendere la rappresentazione spazio-temporale.
Anche l'egocentrismo del bambino, che prima aveva sviluppato un pensiero rigido, adesso comincia a
cambiare portando il soggetto ha decentrarsi dal proprio punto di vista e ad accogliere quello degli altri.
Le operazioni mentali che il bambino compie sono molto più organizzate, nel senso che tutto ciò che egli
vede nel mondo fisico comincia ad essere interiorizzato come operazioni mentali, le quali sono
caratterizzate dalla reversibilità, ossia la possibilità di annullare l'effetto di un'azione mentale
eseguendone un'altra. Tutte queste operazioni risultano essere concrete, cioè aderenti all'esperienza
diretta e ai casi concreti di essa. Una delle acquisizioni di questo stadio è quella della finitudine delle
cose: il bambino acquisisce consapevolezza che le cose possono anche scomparire e non esserci più,
compressi gli esseri umani e i propri cari, facendo così una prima conoscenza della morte.
Nello stadio operatorio concreto il bambino riesce ad avere delle acquisizioni, una di queste è la
seriazione, ossia la capacità di organizzare mentalmente (mettere in serie) gli elementi della realtà
secondo determinati criteri, congiungendo gli elementi in base a delle inferenze transitive. Un'altra
acquisizione è quella della classificazione degli oggetti all'interno di gruppi che vengono determinati dal
bambino e che si basano su dei criteri logici e non più solo legati alla percezione; questi criteri riescono
a mostrare anche le relazioni fra i gruppi, ormai visibili al bambino. Anche il numero è un'acquisizione,
del quale in questa fase se ne avrà un'idea più matura e di reversibilità. Infine, il bambino riesce ad
acquisire la conservazione, ossia la capacità di metabolizzare volume, lunghezza, numero, dimensione e
massa degli oggetti. queste acquisizioni ci permettono di realizzare attività cognitive più veloci ed
economiche, per affrontare i problemi della vita. Si passa così dal dominio della percezione al dominio
della logica.
In questo modo il bambino riesce a compiere delle operazioni mentali sia su oggetti reali sia su oggetti
d'immaginazione, seguendo però sempre le stesse modalità: vi è il dominio della logica, quindi il dominio
della deduzione sull'intuizione, riesce a comprendere che gli elementi della realtà sono anche reversibili,
il suo punto di vista viene decentralizzato, inizia a conservare le caratteristiche degli oggetti, inoltre le
sue operazioni mentali avvengono in maniera concreta, ossia su cose esperite; il tutto si conclude con le
acquisizioni di seriazione, classificazione e numerazione.
il quarto è lo STADIO DELLE OPERAZIONI FORMALI, che Piaget aveva teorizzato iniziasse a
partire dagli 11 anni. Noi sappiamo che la psicologia dello sviluppo delle origini si fermava a questo
stadio, oggi sappiamo che uno sviluppo cognitivo dell'essere umano avviene per tutta la durata della sua
vita, quindi non solo dalla nascita fino all'adolescenza ma anche dall'adolescenza fino alla senescenza.
In questo stadio il soggetto arriva al massimo livello di pensiero e riesce a condurre dei ragionamenti
corretti senza la necessità di avere una esperienza immediata, soprattutto grazie al fatto che adesso è
riuscito a classificare, a seriare e a conservare le qualità degli oggetti. Su tutti gli oggetti che sono a
disposizione del bambino, sia quelli reali che quelli immaginari, egli è in grado di sviluppare un
ragionamento ipotetico-deduttivo di tipo probabilistico, e riesce anche a gestire concetti matematico-
geometrici riguardanti l'infinito, il luogo geometrico e le operazioni algebriche. Questi cambiamenti
cognitivi sono sempre da considerare come intrecciati ai cambiamenti ormonali e ai cambiamenti fisici
in generali; insieme i due cambiamenti, cognitivo e fisico-ormonale, rappresentano una fase tra le più
delicate e critiche della vita del soggetto.
Le acquisizioni che in questo stadio il bambino realizza sono: il ragionamento sulle astrazioni, ossia la
capacità di ragionare su delle cose che non ha mai sperimentato direttamente, ma che ha solo ipotizzato;
l'applicazione della logica, ossia la capacità di prendere una proposizione generica e calcolare le
conseguenze sulla base dell'implicazione "se.....allora"; avere un problem solving avanzato, ossia la
capacità di costruire ipotesi, elaborare mentalmente risultati e prospettare varie soluzioni possibili prima
di sottoporle a verifica.
Rispetto all'egocentrismo infantile, in questa fase predomina l'egocentrismo adolescenziale: il soggetto
non è più chiuso all'interno del suo rigido pensiero, comprende che esistono punti di vista diversi rispetto
a quello suo, tuttavia tende a imporre il proprio punto di vista su quello degli altri, considerandosi
comunque all'interno di una fase di socializzazione che invece nello stadio sensomotorio e preoperatorio
non esisteva. L'adolescente poi tende a creare attorno a sé un immaginario pubblico e a creare una fiaba
personale magari scrivendo e immaginando la propria vita su dei fogli di carta, iniziando una fase
introspettiva del soggetto, molte volte attraverso la musica, la scrittura e l'arte in generale.
Dall'excursus di questi quattro stadi si comprende come per Piaget non solo la persona si evolve per stadi,
ma soprattutto si vede come il bambino stadio per stadio acquisisca sempre nuovi schemi. Lo psicologo
svizzero descrive anche il modo in cui avvengono questi passaggi tra gli stadi, ovvero quelli sono i
principi per cui tutto ciò accade. Per lui gli schemi possiedono due proprietà: l'assimilazione e
l'accomodamento.
Per assimilazione intendiamo la capacità di applicare ciò che si conosce già, ossia guardare al mondo
attraverso il modo di pensare che già il bambino possiede; per accomodamento si intende, invece, la
capacità di modificare questo schema con delle nuove informazioni: nel primo caso il bambino chiama
"cane" tutti gli animali a quattro zampe, mentre nel secondo caso inizia distinguere il cane dal gatto.
All'interno della mente del bambino si viene a creare una sorta di conflitto cognitivo, cioè un conflitto
tra ciò che era già conosciuto e le nuove acquisizioni. Per fare un esempio possiamo immaginare un
bambino che gioca con delle costruzioni; ad un certo punto, non tenendo conto dei pesi e degli equilibri
all'interno della costruzione, questa crolla. All'interno del bambino può avvenire un conflitto cognitivo,
poiché fino a quel momento le costruzioni hanno retto e ad un certo punto non reggono più. Attraverso
gli accomodamenti il bambino può inserire nuovi schemi di azioni e nuove informazioni per integrare
quelle che fino a quel momento ha avuto a disposizione, rendendosi conto che alcune erano
contraddittorie. Ritornando al nostro esempio, il bambino può sperimentare un nuovo baricentro oppure
la possibilità di sistemare i pesi in maniera più equilibrata.
Si basa proprio su questo l'idea costruttivista di sviluppo, ossia di uno sviluppo cognitivo che procede
utilizzando i feedback negativi che arrivano dall'esterno (la costruzione cede e il bambino ritenta in modi
sempre diversi). Avviene così un vero e proprio salto di qualità, un cambiamento di struttura che lega al
suo interno due processi contraddittori originari che invece adesso rappresentano un cambiamento
qualitativo. In questo modo si assiste a un processo di equilibrazione: il sistema ricerca un nuovo
equilibrio e una nuova organizzazione degli elementi acquisiti, sia quelli vecchi che quelli nuovi.
Vengono creati schemi via via più funzionali e in grado di interagire con la realtà e comprenderla, facendo
del bambino il vero costruttore del proprio sviluppo.
Sebbene ancora oggi le teorie di Piaget influenzino le ricerche sullo sviluppo cognitivo, molti psicologi
tendono a mettere da parte alcune sue ricerche. Ad esempio, molti non pensano più che lo sviluppo del
pensiero infantile si basi su un'aumentata competenza logica, ma pensano che vi siano altre variabili per
comprendere lo sviluppo cognitivo. Ad esempio, gli psicologi neopiagetiani propongono nuove teorie
rispetto a quelle di Piaget.
Aspetti critici della teoria Piagetiana
Gli studi condotti da Piaget sullo sviluppo cognitivo dei soggetti giunge fino ad un'età compresa tra gli
11 e i 12 anni, cioè fino all'inizio dell'età adolescenziale. Se consideriamo che la psicologia dello sviluppo
(o come viene chiamata oggi psicologia del ciclo della vita) oggi non si ferma più all'adolescenza del
soggetto, ma prosegue fino all'età senile, possiamo ben capire che la teoria Piagetiana presenta una
criticità, poiché si ferma alla fase adolescenziale del soggetto.
I punti di debolezza della psicologia Piagetiana sono: la mancanza di chiarezza nei legami costruttivi e
comportamentali; un supporto inadeguato alla nozione di stadio; la spiegazione inadeguata dei
meccanismi di sviluppo; la scarsa attenzione allo sviluppo sociale ed emotivo; inadeguatezze
metodologiche. Ad esempio, una delle criticità di questo sistema riguarda proprio il poco interesse che
Piaget ha dato allo sviluppo sociale ed emotivo, in quanto ha considerato questo aspetto solo nella fase
adolescenziale, trascurando le fasi precedenti.
Per quanto riguarda la questione metodologica, Piaget aveva usato dei metodi per studiare i passaggi tra
gli stadi e le acquisizioni cognitive avvenute: aveva utilizzato la permanenza dell'oggetto, il pensiero
egocentrico e la conservazione delle probità fisiche degli oggetti. Questo tipo di approccio sembra essere
abbastanza limitativo per raggiungere lo scopo della psicologia dello sviluppo vuole raggiungere; infatti,
ad esempio, non si può comprendere pienamente se un bambino sta iniziando a depotenziare il suo
egocentrismo infantile solo se gli si chiede cosa vede l'altro. Per gli studi più recenti non è possibile
comprendere se il bambino passa da uno stadio cognitivo ad un altro solo attraverso la permanenza
dell'oggetto, il pensiero egocentrico e la conservazione, ma occorrono altre metodologie per comprendere
il passaggio da uno stadio cognitivo all'altro.
La metodologia Piagetiana viene criticata proprio a partire da quei tre esempi che non ci permettono di
comprendere esaustivamente se il bambino ha compiuto il passo successivo nel suo stadio evolutivo: i
tre esempi sono le tre montagne, il liquido che si trova in contenitori di diversa altezza e il bambino che
non vedendo qualcosa non pensa all'esistenza di questo qualcosa.
Se da un lato Piaget sosteneva che il bambino percepisce le proprietà fisiche degli oggetti e la loro
permanenza lungo un percorso che dura due anni, dall'altro lato sono state date delle controprove che
disattendono a queste indicazioni dello psicologo svizzero. Inoltre, il bambino conserva un pensiero di
tipo egocentrico fino a sei anni circa e in questo periodo incapace di assumere punti di vista diversi
rispetto al proprio; anche in questo caso sono state mosse delle controprove, come ad esempio il compito
di Haghes, denominato anche il bambino e i poliziotti. Si tratta di un test cognitivo all'interno del quale
si chiede al bambino di posizionarsi in modo tale che i due poliziotti non lo vedano; è stato riscontrato
che anche in età successive ai tre anni i bambini riescono a svolgere positivamente questo test. Ciò
avviene perché quell'età già il bambino inizia a uscire fuori dal suo egocentrismo e inizia a considerare
il punto di vista dell'altro.
Secondo Piaget i bambini conservano le qualità fisiche degli oggetti nonostante le trasformazioni
apparenti dopo i sei anni; l'esperimento di Francoise Frank smentisce questa teoria. Attraverso il pre-test
è stato accertato che i bambini prima dei sei anni riescono a percepire che l'acqua si trova in due
contenitori diversi alla stessa quantità. Il teste viene svolto con uno schermo davanti in modo da impedire
la percezione del liquido; nel momento in cui viene tolto lo schermo il bambino fa esperienza di ciò che
è accaduto e al suo interno avviene quel conflitto cognitivo che con il passare degli anni risolvere nella
percezione esatta.
Vi sono aspetti critici della teoria di Piaget anche per quanto riguarda la cultura e l'educazione, che
Piaget non aveva considerato completamente, ma che invece influenzano notevolmente il bambino in
rapporto alla possibilità di praticare certe operazioni; si è visto anche che ci sono degli effetti
dell'addestramento, ossia l'esperienza di compiti cognitivi che permettono di fare degli accomodamenti.
Il conflitto cognitivo, o dissonanza cognitiva, è quella condizione in cui viene alterata la percezione di
un oggetto di un evento (come nel caso della costruzione di mattoncini); a questo punto è necessario
economizzare all'interno di una dissonanza cognitiva, cioè il soggetto di fronte a questa dissonanza deve
scegliere la strada migliore, il più delle volte riguarda non tanto la percezione ma la memoria di
quell'evento nel passato. Ad esempio, il bastone che immerso nell'acqua sembra spezzato rappresenta
una dissonanza cognitiva, tuttavia nessuno si impaurisce poiché sappiamo dai ricordi passati che il
bastone è dritto.Si comprende, allora, che per economizzare il nostro ragionamento dobbiamo riferirci
ad un pensiero ben strutturato, appunto quello dei nostri ricordi passati. È chiaro che qui la questione
della dissonanza cognitiva viene dichiarata apertamente dalle scuole successive a quella di Piaget.
Piaget aveva dato eccessiva enfasi alla componente maturativa. Vi sono prove a favore della presenza
di strutture innate sia a livello percettivo che a livello motorio all'interno del bambino. Inoltre, i dati sulla
maturazione cerebrale indicano che il neonato possiede un vasto repertorio comportamentale, mentre
Piaget descriveva il neonato come un esercitatore di riflessi. Altri studi si sono accorti della possibilità
di accelerare i processi di sviluppo agendo sui meccanismi di sviluppo stessi, proprio come nel caso della
dissonanza cognitiva.
In effetti, per Piaget lo sviluppo cognitivo avveniva solamente come maturazione del soggetto, lui non
aveva mai pensato che potessero esserci ad esempio delle strutture innate sia a livello percettivo che a
livello motorio, oppure che il neonato già possiede un vasto repertorio comportamentale. Lo psicologo
svizzero aveva messo da parte le componenti fisiologiche dello sviluppo cognitivo, a lui bastava
osservare il bambino nei suoi comportamenti, ecco perché lo considerava come un agglomerato di
riflessi, non andando oltre ciò che si percepisce.
Altri studi hanno dimostrato che le competenze dei bambini e le loro capacità emergono prima di quanto
aveva previsto Piaget, oppure alcune capacità cognitive possono comparire anche dopo. Fu lo stesso
psicologo che sul finire della sua vita comprese che non tutto poteva essere schematizzato come la sua
teoria prevedeva, ma che alcune capacità emergono prima ed altri aspetti cognitivi tardano ad arrivare.
Da ciò si comprende che gli stadi di sviluppo non si presentano sempre come strutture d'insieme, basti
fare l'esempio della conservazione dei liquidi rispetto al volume.
Ad occuparsi dello sviluppo cognitivo del bambino vi è anche un'altra scuola, quella della
PSICOANALISI e di uno dei suoi esponenti più importanti che fu Erikson. La psicoanalisi viene
definita anche psicodinamica poiché pone l'accento su aspetti dinamici e non strutturali, il suo metodo
d'azione è motivazionale e non si basa sulla cognizione, utilizza sistemi di forze in interazione e non sono
invece sistemi statici, la personalità viene considerata come integrata e non come divisa in componenti.
Subito si nota la differenza rispetto la teoria di Piaget, innanzitutto perché lo psicologo svizzero partiva
sempre da assunti cognitivi, mentre la psicodinamica parte dalla motivazione del soggetto. Qui ci si
sofferma sulla dinamica psicologica dei soggetti e sulle motivazioni che inducono a certi comportamenti,
non tanto sulle cognizioni.
Questi cambiamenti si inseriscono perfettamente nel periodo storico di cui stiamo parlando. Siamo
all'inizio del Novecento e gli psicologi varcano nuove frontiere per riuscire a spiegare in modi sempre
più precisi comportamenti degli esseri umani ad esempio viene ideato una NUOVA PSICHIATRIA,
ossia quella scienza che trattava i malati di mente come soggetti pericolosi e che quindi si chiudeva
all'interno di se stessa senza creare interazioni con le altre scienze. A partire dagli inizi del Novecento la
psichiatria comincia ad analizzare i sintomi della malattia mentale in maniera più eterogenea, un
pensando che l'unica causa della malattia potesse essere organica. Inoltre, vi è una maggiore attenzione
per il paziente nel suo essere umano e per il rapporto interpersonale con il terapeuta. Se in passato la
causa della schizofrenia, ad esempio, veniva imputata solo a questioni di tipo organico, adesso questa
nuova psichiatria riflette anche sull'ambiente che il malato frequenta, sui rapporti interpersonali e su tutti
quegli elementi che possono influire con la malattia.
Un enorme cambiamento si ebbe con Sigmund Freud, il quale divise la psicoanalisi in tre parti la teoria
dello sviluppo, la teoria della personalità e la terapia. Soprattutto per quanto riguarda la terapia si ebbero
dei cambiamenti enormi e molte innovazioni, poiché fino a questo momento si agiva terapeuticamente
attraverso dei farmaci che non sempre riuscivano a risolvere il problema. Con la psicanalisi di Freud,
invece, si passa a curare le malattie mentali seguendo altri sentieri terapeutici. Per la prima volta si tratta
il paziente come un essere umano, non gli vengono somministrate dosi di farmaci che possono essere
anche nocivi o letali, ma si attuano nuove terapie, come ad esempio le associazioni libere, lo studio dei
sogni e il transfert.
Ci troviamo, dunque, in quel periodo storico in cui la scienza della mente cambia notevolmente, dando
più spazio alla dimensione emotivo dell'essere umano e non solo esclusivamente a quella cognitiva.
Proprio nel 1920 viene elaborata la prima topica della psicoanalisi, all'interno della quale viene elaborata
la teoria dei luoghi, composta da inconscio, preconscio e conscio. Dopo il 1920 viene elaborata una
seconda topica all'interno della quale troviamo il vero punto di vista dinamico, composto da Es, Io e
Superi-Io. La terza topica, infine, avrà un punto di vista economico e guarderà soprattutto all'energia e
alle fonti.
Con la psicoanalisi per la prima volta si inizia a parlare di personalità, la quale si sviluppa nel corso
dell'infanzia e dell'adolescenza: si nota che anche per Freud, come per Piaget, lo sviluppo della
personalità si arresta al periodo dell'adolescenza, invece gli studi contemporanei dimostrano che lo
sviluppo della personalità giunge fino alla senescenza. Sicuramente fino all'adolescenza gli sviluppi della
personalità sono molto più significativi e avvengono in maniera più repentina, ma, anche se dopo
l'adolescenza subiscono un rallentamento, questi sviluppi della personalità continuano comunque ad
esserci. All'interno della psicanalisi vengono anche analizzate gli adattamenti tra le pulsioni individuali
(bisogni) e le limitazioni della realtà.
La parte fondamentale della psicoanalisi la troviamo all'interno dei concetti di:
• ES, ossia il patrimonio ereditario, la sede e l'origine delle pulsioni
• IO, il quale conosce e valuta esterni
• SUPER-IO, che cresce soprattutto basandosi sulle influenze dei genitori e degli altri.
Da questa successione di stadi
comprendiamo subito che nessuno di
essi deve per durare a lungo, ma che
ognuno deve esprimersi in un tempo
grosso modo stabilito: rimanere
troppo nello stadio anale o nello
stadio orale potrebbe portare dei
problemi fisiologici al bambino,
come ad esempio infezioni
dell'ultima parte dell'intestino oppure
un disequilibrio nella crescita dei
denti.
Anche la fase lo stadio fallico, all'interno del quale troviamo il complesso di Edipo e il complesso di
Elettra, è assolutamente normale, ma deve mantenersi all'interno del periodo che va dai tre ai sei anni,
oltre potrebbe creare dei disturbi psichici al soggetto. In quel periodo che va dai sei ai dodici anni il
bambino vive il periodo di latenza, in cui reprime i suoi impulsi. A partire dai 12 anni il bambino vive
lo stadio genitale, in cui l'istinto sessuale diventa più maturo. È questa la fase in cui si creano degli
equilibri davvero precari, poiché i soggetti si trovano ad avere un corpo maturo, uno sviluppo cognitivo
ancora bambino o comunque adolescenziale, e un istinto sessuale maturo, dunque risulta molto difficile
riuscire a equilibrare delle condizioni individuali così eterogenee.
Freud fu molto chiaro sulla delicatezza di questi stadi e sul fatto che essi devono essere attraversati dal
soggetto secondo quest'ordine; potrebbe accadere che un soggetto prolunghi il suo stadio orale, salti lo
stadio anale e giunga direttamente allo stadio fallico. In questo caso sarà negli anni a venire che lo stadio
anale verrà ripreso dalla psiche del soggetto creando degli squilibri mentali. Dunque, gli stadi bisogna
attraversarli tutti e in maniera sequenziale.
Ricordiamo che una delle proprietà fondamentali della psicodinamica è proprio il mettere al centro di
tutto la persona, rispetto alla vecchia psichiatria che invece curava la malattia e non la persona.
Per comprendere a fondo cosa significhi mettere al centro della terapia il paziente, occorre analizzare qui
due elementi della terapia freudiana che furono il transfert e il contro-transfert. Il transfer è quel
fenomeno attraverso cui il paziente proietta sulla figura dell'analista situazioni affettive già determinatesi
nel corso della vita, e precisamente nell'infanzia. Innanzitutto, la terapia si basa su tre elementi
fondamentali: il paziente deve ripercorrere delle situazioni affettive che già nel corso della sua vita
vissuto, come ad esempio il tendere verso le figure di attaccamento che possono essere le figure
genitoriali, ponendo in primo piano lo stadio fallico e i due complessi che ne fanno parte. Una volta
ripercorsa questa situazione affettiva, il paziente compie una traslazione affettiva nei confronti del
terapeuta. In altre parole, il transfert è un meccanismo mentale per il quale l'individuo tende a spostare
schemi di sentimenti, emozioni e pensieri da una relazione significante passata a una persona coinvolta
in una relazione interpersonale attuale, dove la persona attuale è proprio il terapeuta. Tutta la storia
sentimentale ed emotivo del paziente viene portata all'interno della relazione con il terapeuta che,
secondo Freud, sempre andrà a creare delle difficoltà. Il rapporto che si viene a creare tra il paziente e il
terapeuta riguarda l'esposizione da parte del soggetto analizzato della sua attività inconscia che ha
accumulato durante il corso del suo sviluppo, in particolare riferendosi al proprio ambiente familiare.
Dal canto suo, il terapeuta può capire qual è stata la storia passata del suo paziente solo attraverso il
transfert.
È importante sottolineare che il paziente trasferisce queste sue informazioni inconsce in un modo
assolutamente non cognitivo; egli non si mette a pensare cosa dire cosa non dire al suo terapeuta.
L'elemento fondamentale di questa relazione è la ripetitività: il paziente trasferisce le sue situazioni
inconsce all'interno di una realtà presente ma che viene configurata come una situazione già nota,
ripetitiva, poiché si tratta di ripercorrere qualcosa di già vissuto. Con il transfert, il paziente manifesta
aspetti irrazionali o immaturi della propria personalità, il suo grado di dipendenza, la sua onnipotenza e
il suo pensiero magico. Ad esempio, riguardo al grado di dipendenza, il paziente manifesta il grado di
dipendenza che aveva nei confronti dei genitori e adesso lo manifesta nei confronti del terapeuta; è in
questo senso che il transfert diventa fondamentale per capire la situazione inconscia del paziente, poiché
quest'ultimo trasferisce sul terapeuta il sintomo che porta dentro di sé e che ha delle origini remote. È
sulla base di questi fattori che il terapeuta potrà intuire le aspettative del paziente nei suoi confronti, le
sue fantasie sul colloquio e sull'aiuto che potrebbe ricevere nonché le fantasie patologiche sulla
guarigione, che molto spesso consistono nella realizzazione di aspirazioni nevrotiche. Potrà, inoltre,
individuare anche la resistenza del soggetto a sottoporsi al colloquio, ovvero ad accettare l'aiuto o la cura.
Quando il paziente andrà in terapia non dovrà aspettarsi di eliminare totalmente il sintomo, ma il compito
del terapeuta è quello di spostare un sintomo abbastanza grave su un altro sintomo, o comportamento,
che sia invece più innocuo. Ad esempio, se un soggetto soffre di dipendenza da alcol, questo sintomo
potrà essere spostato su qualcosa di meno dannoso per la sua vita, come ad esempio un sintomo ossessivo-
compulsivo come il riordinare casa continuamente.
elemento altrettanto fondamentale è quello del controtransfert, ossia quel momento in cui il terapeuta
manifesta gli effetti dei fenomeni che gli sono stati descritti dal paziente; è chiaro che il paziente
trasferisce delle emozioni al terapeuta, e questi ne avrà degli effetti. Non vi è dubbio che gli effetti
procurati dalle situazioni descritte dal paziente dipendono in larga misura dalla storia personale del
terapeuta, e il fatto che compaiono in un determinato momento del colloquio manifesta delle motivazioni
specifiche che hanno dei fattori specifici.
Il terapeuta deve essere bravo a valutare qualunque racconto il paziente trasferisca all'interno della seduta
al terapeuta stesso, poiché un qualsiasi evento narrato dal paziente potrebbe innescare processi
psicologici negativi nel terapeuta, fino ad innescare odio nei confronti del paziente; e tutto questo deve
essere evitato anzitempo, ecco perché i terapeuti prima di iniziare la loro attività devono sottoporsi essi
stessi alla terapia. Infatti, sono stati considerati molti elementi di perturbazione all'interno del colloquio
e ci si è resi conto che la comparsa di questi elementi è immancabile e inevitabile nel rapporto tra paziente
e terapeuta. Il clinico deve registrare questi fenomeni (transfert e controtransfert) come emergenti dalla
situazione presente e dalle relazioni che provoca in lui il paziente e poi durante il colloquio l'osservazione
del clinico nei confronti del paziente deve essere parallela all'autoosservazione che il clinico fatti se
stesso.
I meccanismi di difesa
Un corretto inquadramento della personalità normale e patologiche prescindere dalla valutazione dei
meccanismi di difesa. Si deve proprio alla psicoanalisi la scoperta lo studio approfondito dei meccanismi
di difesa intesi tanto come specifiche manovre difensive, quanto come peculiari artifici psichici, originati
dall'inconscio con finalità di salvaguardia.
Da quando i meccanismi di difesa sono stati introdotti all'interno della psicologia, e cioè dal primo Freud
e dalla figlia Anna, si sono succedute ridefinizioni e rivisitazioni in ambito psicodinamico di questo
concetto, soprattutto grazie al contributo delle altre principali scuole di psicologia del profondo, le quali
consentono di dare una definizione sintetica dei meccanismi di difesa.
I meccanismi di difesa sono processi psichici, spesso seguiti da una risposta comportamentale, che
ogni individuo mette in atto, più o meno automaticamente, quando si trova ad affrontare situazioni
particolarmente stressanti e deve mediare i conflitti generati dallo scontro tra impulsi, desideri e affetti
da un lato, e proibizioni interne condizioni della realtà esterna dall'altro.
Inoltre i meccanismi di difesa possono essere considerati come sentimenti, pensieri o comportamenti
appresi, quasi sempre involontari, che si manifestano in risposta alla percezione di "ogni pericolo per
il mondo psichico". Si potrebbero anche considerare come lo strumento preferenziale è automatico che,
senza sforzo e senza consapevolezza soggettiva, viene utilizzato per gestire gli istinti e gli affetti.
Innanzitutto, i meccanismi di difesa possono essere adattivi o patologici (disadattivi) e, nonostante
tendenzialmente siano cristallizzabili, essi sono reversibili (questo è un fattore che legittima la
potenzialità curativa degli interventi di psicoterapia). I meccanismi di difesa intervengono sia nelle
condizioni di malattia, ma anche nei vari rapporti quotidiani, come ad esempio medico-paziente,
insegnante-allievo, educatore-evocando, psicoterapeuta-cliente, psicologo clinico-utente.
Quindi, le tipologie di meccanismi di difesa sono tre. Il primo dei meccanismi di difesa NEVROTICI è
la Rimozione. Qui il soggetto affronta conflitti emotivi e fonte di stress interne o esterne attraverso il
non essere in grado di ricordare ogni non essere cognitivamente consapevole di desideri, sentimenti,
pensieri o esperienze disturbanti. In altre parole, la rimozione riguarda quei casi in cui un trauma vissuto
in un periodo precedente non venga più ricordato dal paziente nel periodo attuale. Un esempio di
rimozione potrebbe essere questo: uno studente un rapporto molto conflittuale con il padre. All'esame di
psicologia dinamica, materia in cui è molto preparato, "dimenticano" la teoria del complesso edipico.
Lo Spostamento. Qui il soggetto generalizza indirizza su un oggetto meno minaccioso, un sentimento
una risposta che invece primariamente erano rivolti a un altro oggetto; tale meccanismo può essere tanto
consapevole quanto inconsapevole (nella fobia entrerebbero in gioco prima la rimozione e poi lo
spostamento). L'esempio potrebbe essere quello di uno studente che litiga pesantemente con una
compagna con la quale sta preparando l'esame di storia e della quale segretamente innamorato. Torna a
casa e brucia il libro di storia,
l'atteggiamento dello studente potrebbe essere quello di chi distrugge quell'oggetto che in realtà lo unisce
alla compagna amata.
La Formazione reattiva è il terzo dei meccanismi di difesa nevrotici. Qui il soggetto, percependo come
inaccettabili propri pensieri, sentimenti e comportamenti, li sostituisce con pensieri, sentimenti e
comportamenti diametralmente opposti. L'esempio che possiamo fare è quello di uno studente che detesta
un suo compagno di corso si comporta in modo esageratamente gentile.
La Somatizzazione, poi, è tipica dei pazienti ipocondriaci, comporta il trasferimento di sentimenti
dolorosi a parti del corpo. In questo senso la psicoterapia con pazienti che somatizza non è spesso
frustrante, in quanto i sentimenti inaccettabili e le loro preoccupazioni emotive possono essere
comunicate socialmente attraverso lamentele fisiche.
La Conversione è solitamente, anche se passivamente, associata all'isteria; essa è caratterizzata dalla
rappresentazione simbolica di un conflitto intrapsichico in termini fisici. L'esempio potrebbe essere
quello di una paziente che sentiva degli aghi dedicati all'interno della gola. In realtà era avvenuta la
conversione sottoforma di rappresentazione simbolica di un'esperienza vissuta anni prima con il marito
in merito ad un rapporto orale; il trauma di questa esperienza era stato convertito in qualcosa di fisico,
ossia degli aghi conficcati nella gola.
L'Intellettualizzazione ecco il meccanismo di difesa in cui il soggetto utilizza in modo eccessivo il
pensiero astratto per evitare di provare sentimenti che lo disturbano. Il soggetto non distorce fatto le
motivazioni, non usa giustificazioni per nascondere, come avviene nella razionalizzazione, ma tende a
presentarli in maniera astratta tale da consentire la spoliazione dei loro aspetti emotivi, riducendo però le
possibilità di compartecipazione emotivo-affettiva da parte degli altri.
Passiamo adesso alla seconda tipologia dei meccanismi di difesa, quelli PRIMITIVI. Il primo dei
meccanismi di difesa primitivi è la Scissione, dove il soggetto, non riuscendo a integrare le caratteristiche
positive o negative di sé e degli altri in immagini coese. Il soggetto considera se stesso e gli altri come
completamente buoni o come completamente cattivi (alternativamente idealizzando e svalutando).
L'esempio che possiamo fare è quello di uno studente che alterna momenti di adorazione a momenti di
disprezzo per una professoressa. A seconda delle loro interazioni, talvolta la mente intelligente potente
(vede se stesso ignorante e debole), altre volte sul punto di vista è diametralmente opposto.
Tra i meccanismi di difesa più primitivi vi è anche l'Identificazione proiettiva. Come nella proiezione,
il soggetto affronta i conflitti emozionali o i fattori stressanti, interni ed esterni, attribuendo erroneamente
a qualcun altro i propri sentimenti, impulsi o pensieri inaccettabili. Il soggetto non disconosce totalmente
ciò che viene proiettato, ma interpreta erroneamente elementi che ha davanti come fossero reazioni
giustificate nei confronti dell'altro. Non di rado il soggetto suscita negli altri quegli stessi sentimenti che
prima attribuiva loro erroneamente rendendo difficile valutare che sia stato a cominciare.
Con l'Introiezione, un soggetto esterno viene simbolicamente preso dentro di sé e assimilato come parte
di se stesso. Può esistere come aspetto dell'identificazione proiettiva, in cui ciò che era stato messo dentro
era stato originariamente proiettato, oppure può sussistere indipendentemente, come contrario della
proiezione. La parte più importante di questo meccanismo di difesa è che un oggetto esterno viene
simbolicamente preso e assimilato come parte di se stesso. Questo meccanismo di difesa si accosta molto
alla somatizzazione, poiché si tratta sempre di un qualcosa di esterno che viene somatizzato.
La terza tipologia riguarda i meccanismi di difesa più MATURI, il primo dei quali è la Repressione. In
questo meccanismo di difesa l'individuo, in situazione di stress, evita "volontariamente" e
temporaneamente di pensare a problemi, desideri, sentimenti o esperienze disturbanti, fino al momento
giusto per affrontarli; rimanda a un momento più opportuno pur non dimenticando il problema (in questo
differenziandosi dalla rimozione). Il soggetto dimentica il problema, ma possiamo dire lo accantona fino
a quando non riterrà giusto farlo emergere e affrontarlo.
Anche l'Altruismo può essere un meccanismo di difesa. In questo caso l'individuo si occupa dei bisogni
degli altri allo scopo, in parte, di soddisfare i propri. Attraverso degli atti altruistici possono venire
incanalati sia gli affetti, quali la rabbia, che le esperienze, quale l'impotenza, che altrimenti genererebbero
scompensi. Va distinto l'altruismo dalla sublimazione soprattutto perché quest'ultima non fornisce un
vero aiuto diretto, quanto piuttosto dei prodotti di cui eventualmente si può godere. L'esempio potrebbe
essere quello di una persona che inizia a fare volontariato all'interno si occupa di malati di SLA, perché
il marito anni prima è morto della stessa malattia. Si potrebbe venire a creare un meccanismo all'interno
della psiche secondo il quale la persona porta dentro di sé un senso di colpa che può smaltire solamente
con questa attività altruistica.
Poi, la Sublimazione è il meccanismo di difesa di quell'individuo che affronta i conflitti incanalando,
più che inibendo, sentimenti o impulsi potenzialmente disattivi verso comportamenti socialmente
accettabili (sport, lavori competitivi, espressioni creativo-artistiche, o altro, dove è possibile dirigere
utilmente gli impulsi ostili-competitivi di collera o sessuale); ad esempio il chirurgo può sublimare la
propria componente "sadica" così come il ginecologo quella "voyeuristica".
L'Umorismo porta l'individuo a enfatizzare gli aspetti divertenti o ironici del conflitto o della fonte di
stress. Egli cerca di alleviare la tensione in modo da consentire agli altri di condividere tale possibilità e
ciò, soprattutto, senza arrecare danno ad alcuno, a differenza dei casi caratterizzati da derisione, da
sarcasmo od atteggiamento sprezzante. Inoltre, l'umorismo va tenuto distinto dallo scherzo dal
divertimento: ad esempio, raccontare una barzelletta non equivale all'umorismo, a meno che essa abbia
come finalità principale quella di mitigare un grave conflitto motivo un'importante situazione di stress.
Con l'Affiliazione il soggetto affronta conflitti espresse rivolgendosi agli altri per aiuto o sostegno, con
la convinta possibilità di confidare, e così sentirsi meno solo ed eventualmente ricevere sia consigli sia
aiuti concreti.
All'interno dei meccanismi di difesa noi riconosciamo innanzitutto il LIVELLO DEL
DISCONOSCIMENTO, ossia quel livello caratterizzato dall'esclusione dalla coscienza di fattori
stressanti, impulsi, idee, affetti o responsabilità spiacevoli o inaccettabili con o senza l'attribuzione
erronea di questi a cause esterne.
Poi, con la Proiezione il soggetto attribuisce erroneamente ad altri i propri sentimenti, impulsi o pensieri
non riconosciuti. Il soggetto rinnega le proprie intenzioni, la propria esperienza, assegnandoli ad altri, di
solito alle persone da cui si sente minacciato o che percepisce in qualche misura affini. Gli esempi della
proiezione possono essere due: da un lato una proiezione non delirante, ad esempio un professore pieno
di rabbia per motivi personali aggredisce alcuni colleghi pensando che stiano tramando alle sue spalle;
dall'altro lato una proiezione delirante, ad esempio un professore pieno di rabbia per motivi personali
aggredisce alcuni colleghi pensando che immettano del gas velenoso nella sua stanza attraverso
l'impianto di condizionamento dell'aria. È da sottolineare la differenza con l'identificazione proiettiva,
infatti in questa il soggetto identifica i propri sentimenti e li trasferisce a qualcun altro, mentre nella
proiezione il pensiero è quello che mi vogliono uccidere. Nel primo caso (identificazione proiettiva) i
sentimenti vengono identificati e attribuiti ad altri, nel secondo caso (proiezione) i sentimenti vengono
semplicemente proiettati.
Con la Razionalizzazione l'individuo escogita spiegazioni rassicuranti o a lui utili, anche se inesatte, per
il proprio o l'altrui comportamento. In questo caso il soggetto utilizza scuse e ragioni che "legittimano"
una plausibilità tale da consentire di nascondere i veri fatti e le autentiche motivazioni rispetto ai quali
sperimenta un conflitto. Talora questo meccanismo comporta una significativa difficoltà nel distinguere
la spiegazione dalla menzogna; probabilmente chi mente è interamente consapevole, mentre chi
"razionalizza" è almeno momentaneamente, inconsapevole. L'esempio potrebbe essere quello di uno
studente che si presenta ad un esame totalmente impreparato e viene respinto. Racconta però se stesso
agli amici che le domande erano così difficili che nessuno avrebbe potuto superare quell'esame.
Con la Negazione l'individuo rifiuta di riconoscere gli aspetti della realtà esterna o della propria
esperienza evidenti per gli altri. Egli negativamente che un sentimento, una reazione comportamentale o
un'intenzione sia stata ossia presente restando all'oscuro del contenuto ideativo ed emotivo di ciò che
viene negato. Ad esempio, uno studente fa domanda presso l'Università straniera per frequentare uno
stages estivo. Dice ai suoi genitori e ai suoi amici che sarebbe un'esperienza per lui molto importante. La
domanda non viene accettata e lo studente dice di non provare alcun sentimento di delusione o tristezza.
Un altro livello dei meccanismi di difesa è il LIVELLO DELL'AZIONE, ossia quel livello
caratterizzato da un tipo di funzionamento difensivo che affronti fattori stressanti interni esterni
utilizzando l'azione o il ritiro da essa.
Altri meccanismi di difesa possono essere:
• Acting out: il soggetto agisce senza riflettere, senza alcun apparente considerazione per le
possibili conseguenze negative, attraverso un comportamento incontrollato e noncurante dei
coinvolgimenti a livello personale sociale (lancio del libro);
• Aggressività passiva: il soggetto esprime la propria aggressività verso gli altri in modo indiretto
e non dichiarato, manifestando risentimento, ostilità, rancori, in modo velato e passivo.
Esiste una scala, la Defense Mechanism Rating Scale, che permette di studiare quei meccanismi
inconsci che non possono essere direttamente visualizzati dallo psicologo ma possono essere solo dedotti
a partire dal comportamento, dall'ideazione, e dalle relazioni interpersonali. Si tratta di una scala che
valuta i disturbi psicotici, come ad esempio il perdersi nel mondo psichico (uso di meccanismi primitivi),
i disturbi di personalità, ossia l'esclusione dalla realtà psichica a favore dell'agire, si tratta di quella difesa
che agisce prevalentemente sull'ambiente sugli altri, e i disturbi nevrotici. Questa scala, introdotta da
Perry, analizza 27 meccanismi di difesa e di ogni difesa dà:
• definizione teorica
• descrizione della sua funzione dinamica
• diagnosi differenziale con le difese più vicine
• scala di valutazione a tre punti (assenza, uso probabile, uso certo).
All'interno della scala viene fatta una valutazione qualitativa, ossia attraverso il colloquio si valuta la
presenza o l'assenza della difesa, e una valutazione quantitativa, ossia con quale frequenza una difesa è
stata utilizzata. La valutazione dei meccanismi di difesa viene utilizzata sia in didattica, sia nella ricerca
che nella psicoterapia, i tre ambiti in cui possibile evolvere nella conoscenza della mente umana.
All'interno della scala viene somministrata un'intervista che al suo interno delle fasi del processo
d'identificazione. Innanzitutto si nota un passaggio insolito nell'intervista, poiché si stabilisce la presenza
di una difesa e si identifica il punto d'inizio e di fine. Poi si passa all'analisi differenziale delle possibili
difese in quel tratto di colloquio. La scelta del terapeuta si basa sul riconoscimento della funzione che
tali attività difensive hanno per il soggetto. Durante il colloquio il terapeuta va ad indagare le anomalie
che vengono riscontrate all'interno del soggetto, anomalie che possono essere espresse attraverso il
linguaggio, l'affettività, il comportamento della cognitività (affetto inaspettato, cambiamento improvviso
della voce, la contraddittorietà sulle idee che vengono espresse dal paziente, il cambiamento improvviso
di argomento, significati oscuri e motivazioni che sembrano distorcere la verità). Ad esempio, la vittima
di un incidente stradale, nel descrivere l'accaduto, potrebbe minimizzare la propria reazione emotiva,
focalizzare la propria descrizione solo sui danni subiti alla sua auto. Il terapeuta deve stare attento a questi
dettagli e al fatto che il paziente tende a minimizzare quei fattori eccessivamente stressanti che si sono
venute verificare durante l'evento, i quali vengono da lui isolati.
In conclusione, questa scala serve a valutare i meccanismi di difesa senza che il terapeuta possa farsi
scappare nulla di quelle anomalie che il paziente palesa durante il colloquio.
3. Approccio storico-culturale
L'approccio storico-culturale considera la cultura di appartenenza, ossia il contesto culturale, storico e
sociale, come elemento fondamentale per lo sviluppo psichico del bambino. Lev Vygotskij fu
l'intellettuale russo che fondò la cosiddetta scuola storico-culturale. Nacque lo stesso anno di Piaget, ma
la sua vita fu molto più breve, poiché morì di tubercolosi all'età di 38 anni. Ebbe un'estrazione culturale
marxista e i suoi studi furono prevalentemente giuridici, infatti si laureò in giurisprudenza. Tuttavia, il
suo grande interesse fu la psicologia applicata all'educazione e si narra che le sue lezioni fossero
frequentate da tantissimi studenti. Nell'ultimo periodo della sua vita, Vygotskij vide un irrigidirsi delle
condizioni sociali del suo paese e anche dopo la sua morte il suo pensiero non potè circolare: bisognerà
aspettare il 1962 per avere una prima traduzione in inglese del suo capolavoro Pensiero e linguaggio.
Se Piaget non riuscì a leggere Vygotskij perché fu censurato, quest'ultimo però riuscì a leggere gli scritti
dello psicologo svizzero, e condivise tantissimo l'idea di Piaget che il bambino non è un piccolo adulto
ma è una piccola intelligenza, dietro la quale si nasconde uno sviluppo. Tuttavia, Vygotskij propone un
nuovo modo di vedere lo sviluppo del bambino, un modo non universale e non assoluto, ma dove i fatti
che costruiscono lo sviluppo del bambino vengono presi direttamente dall'ambiente sociale circostante.
Secondo Vygotskij la teoria di Piaget trascura i fattori sociali e culturali che influenzano lo sviluppo
cognitivo, infatti il pensiero raggiunge il pieno sviluppo nel momento in cui si appropria dei dati culturali
e dei dati sociali che sono messi a disposizione del soggetto all'interno di un determinato contesto.
Sebbene Vygotskij non individua stadi di sviluppo differenti, egli considera fasi diverse nello sviluppo
del bambino: da processi psichici elementari (percezione, memoria, attenzione spontanea) si giunge a
funzioni psichiche superiori (memoria, attenzione volontaria e ragionamento concettuale).
Il dato fondamentale è che questo passaggio dai processi psichici elementari alle funzioni psichiche
superiori non è determinato dall'attività del singolo bambino, bensì dall'interazione sociale; sono i
mediatori sociali, ossia tutte le scoperte e le invenzioni culturali, a influenzare il modo di pensare del
bambino. Un esempio per tutti potrebbe essere quello del linguaggio, al quale Vygotskij diede un ruolo
particolare: in un primo momento linguaggio nasce dall'interazione sociale del bambino con il mondo
esterno, ma in un secondo momento assume la funzione intrapsichica, poiché permette al soggetto di
creare dei pensieri interni.
In questo senso lo sviluppo del bambino e legato all'ambiente circostante, e questo concetto Vygotskij lo
chiama zona di sviluppo prossimale. Si tratta di quel livello superiore di sviluppo psichico che ogni
bambino può raggiungere grazie all'interazione con l'ambiente esterno; la zona di sviluppo prossimale
rappresenta il potenziale di sviluppo che un bambino non ancora scoperto possedere, ma che riesce ad
esprimere grazie al contributo del mondo esterno. Ad esempio, se un bambino inizia a contare alcuni
oggetti potrebbe indicare due volte lo stesso oggetto ma ripetere due numeri vicini; un bambino più
grande potrebbe spostarsi il dito la seconda volta verso un altro oggetto, in modo da fargli notare che ad
ogni numero corrisponde un oggetto.
Gli studi di Vygotskij hanno influenzato la psicologia e la pedagogia successive, e uno dei più illustri
prosecutori dell'approccio storico-culturale è stato Jerome Bruner. Lo psicologo americano presta molta
attenzione al ruolo delle influenze culturali nello sviluppo cognitivo del bambino e considera le
interazioni con gli adulti un elemento di grandissima importanza, poiché attraverso queste interazioni i
bambini riescono a rappresentarsi la conoscenza. Secondo Bruner, i bambini conoscono il mondo
attraverso tre tipi di rappresentazioni:
• le rappresentazioni esecutive, emergono nel primo anno di vita
• le rappresentazioni iconiche, compaiono verso i 12 mesi
• le rappresentazioni simboliche, si affermano tra i 5-7 anni
Di fondamentale importanza sono le rappresentazioni simboliche, poiché grazie ad esse il bambino
supera il dato osservativi e giunge a formulare delle ipotesi facendo delle inferenze.
5. Approccio neopiagetiano
Alcuni ricercatori si sono auto definiti neopiagetiani e hanno prodotto uno studio dello sviluppo
cognitivo usando come base la teoria di Piaget integrandola però con l'approccio dell'elaborazione delle
informazioni. In realtà le spiegazioni fornite da Piaget non risultano del tutto adeguate a spiegare lo
sviluppo cognitivo, poiché non ci si può basare solo sulle competenze logiche dei bambini per spiegare
la loro evoluzione psichica. Se si tratta di spiegare la formulazione delle richieste, il materiale,
l'esperienza specifica, il contesto, la struttura logica della psiche non basta più e bisogna andare al di là;
quindi i neopiagetiani sostengono che le teorie dello psicologo svizzero potrebbero essere ben intrecciate
con l'approccio cognitivista, considerando la mente come uno strumento di elaborazione delle
informazioni.
Il primo di questo gruppo di psicologi è Juan Pascual-Leone, allievo e collaboratore di Piaget. Egli,
nonostante entrò in conflitto con il maestro dopo le critiche alla sua teoria, egli utilizzo del maestro il
concetto di schema come unità di base delle rappresentazioni mentali e delle elaborazioni cognitive. Per
Pascual-Leone i problemi cognitivi complessi possono essere risolti solamente se vengono intrecciati
diversi schemi. Ad esempio il problema della conservazione della quantità dei liquidi fu risolto da Piaget
con l'utilizzo di tre schemi mentali:
• l'uguaglianza iniziale della quantità di liquido nei due contenitori uguali;
• la trasformazione avvenuta, cioè il travaso da un contenitore un altro;
• il fatto che travasando il liquido non avviene nessun cambiamento quantitativo del liquidò
stesso.
Quindi, mentre per Piaget il bambino poteva risolvere questo problema utilizzando questi tre schemi, per
il suo allievo la complessità del ragionamento dipende soprattutto da quanti schemi il soggetto riesce a
coordinare mentalmente, e questa capacità cambia ma mano che cresce l'età.
Per lo psicologo spagnolo si possono venire a creare delle situazioni fuorvianti, in cui alcune apparenze
possono trarre in inganno oppure possono essere applicati erroneamente degli schemi che vengono
utilizzati in maniera appropriata; altre situazioni possono essere facilitanti, ossia che i dati percettivi
facilitano l'attivazione di schemi appropriati. Secondo lui quelli di Piaget sono dei compiti fuorvianti
perché attivano in conflitto cognitivo tra rappresentazioni mentali che possono anche non essere
pertinenti quindi traggono in inganno. In questo modo, l'attività cognitiva del bambino viene influenzata
sia dalla capacità di coordinare più schemi, sia dallo stile cognitivo, ossia dalla differente dipendenza dal
campo: un bambino può essere più dipendente dal campo o meno dipendente dal campo, e questo
influenzerà il suo sviluppo cognitivo.
Pascual-Leon sostiene che il bambino propone differenti stadi di sviluppo in base all'età: a cinque anni il
bambino può attivare contemporaneamente due schemi, questa capacità attentiva (M capacity) cresce di
una unità ogni due anni fino all'adolescenza (3 schemi a 7 anni, fino a 7 schemi a 15 anni); in questa sua
rigida evoluzione il bambino può essere aiutato dalle situazioni facilitanti, le quali permettono di
utilizzare un numero di schemi ancor maggiore.
Halford ha proposto una teoria che per certi versi è simile. Lo psicologo sostiene che dopo il periodo
sensomotorio i bambini accrescono la propria funzione simbolica mediante una serie di stadi, all'interno
dei quali bambini riescono a svolgere compiti e risolvere problemi. Anche secondo Halford ciò è
possibile grazie all'aumento delle risorse attentive e della memoria di lavoro.
Case, il concetto di strutture concettuali centrali, ossia delle reti di schemi che inizierà ebbero a
emergere intorno ai quattro anni e che contengono al loro interno le connessioni tra più rappresentazioni
del bambino: esiste una struttura concettuale delle relazioni spaziali, una struttura dei concetti
quantitativi, una struttura per la conoscenza sociale, una struttura per il pensiero narrativo, insomma le
strutture concettuali centrali servono a organizzare le conoscenze anche in domini molto diversi. Tutte
queste strutture concettuali centrali si sviluppano indipendentemente le une dalle altre, soprattutto in base
alle esperienze, gli interessi e alle attitudini del bambino. Tuttavia, tutte le strutture concettuali centrali
dipendono da una sola risorsa, ossia la capacità della memoria di lavoro, la quale viene sostituita alla M
capacity utilizzata da Pascual-Leane e Halford.
Come abbiamo visto le teorie neopiagetiane riprendono molti dei concetti espressi da Piaget: stadio
sensomotorio, funzione simbolica, schemi. Si potrebbe dire dunque che questo approccio è una
continuazione della teoria di Piaget, in quanto il bambino acquisisce nuove conoscenze, nuovi schemi
soprattutto grazie all'esperienza attiva che fa dell'ambiente circostante e grazie alle operazioni mentali
che realizza. A differenza di Piaget, questo approccio considera fondamentale il sistema di elaborazione
delle informazioni del bambino, superando così molte debolezze della teoria di Piaget, basata troppo
rigidamente sulle competenze logiche del bambino.
6. Approccio neurocostruttivista
Questo approccio si prefigge di coniugare insieme lo sviluppo della mente con lo sviluppo del cervello.
In altre parole ci si interroga se lo sviluppo cognitivo del bambino sia legato al suo substrato neurale. La
diffusione dell'approccio neurocostruttivista si deve soprattutto alle teorie della dottoressa Karmiloff-
Smith, collaboratrice di Piaget. La lezione di Piaget non viene dimenticata infatti il bambino viene
considerato come costruttore del proprio sviluppo, ma al contempo il sistema cognitivo non è slegato dal
sistema neurale, infatti entrambi si modificano grazie al loro stesso funzionamento, ovvero all'attività del
soggetto interazione con l'ambiente.
Tuttavia a differenza della teoria degli stadi di Piaget, il neurocostruttivismo non pensa che lo sviluppo
del bambino coinvolga simultaneamente tutto il sistema cognitivo, ma considera la mente come divisa in
diversi domini di conoscenza, proprio come voleva l'approccio dell'elaborazione delle informazioni: la
mente lavora secondo diverse aree cerebrali che sono coinvolte separatamente nell'apprendimento.
Nonostante ciò il neurocostruttivismo non pensa che queste aree siano innate, come vuole l'approccio
dell'elaborazione delle informazioni, ma pensa che le aree cerebrali vadano incontro ad una progressiva
specializzazione dovuta al crescere dell'età e all'interazione con l'ambiente. La dottoressa Karmiloff-
Smith pensa però che nel bambino vi siano delle predisposizioni che gli permettono di interagire con
l'ambiente circostante. Una di queste predisposizioni è sicuramente l'attenzione che i bambini pongono
nell'osservare i volti umani.
Potremmo parlare anche di modularizzazione, un termine introdotto proprio dalla dottoressa, per
indicare che all'interno della mente non esistono moduli innati, ma che questa modularizzazione avviene
attraverso l'esperienza. In questo senso la mente si evolve secondo delle fasi (e non secondo gli stadi di
Piaget) a costruire i moduli è il processo di ridescrizione rappresentazionale: ossia, lo sviluppo
cognitivo viene inteso come la progressiva capacità di creare rappresentazione del mondo e di se stessi.
In questo modo avviene quel passaggio dalle rappresentazioni implicite, che si trovano nella mente del
bambino e sono inconsapevoli, alle rappresentazioni esplicite di cui abbiamo consapevolezza.
Di sicuro è l'interazione con l'ambiente circostante a determinare questa ridescrizione rappresentazionale
e la dottoressa propone un esperimento. Alcuni bambini compresi tra i quattro anni e mezzo e i nove anni
e mezzo devono posizionare dei blocchi sopra un supporto in modo che potessero stare in equilibrio.
Alcuni blocchi però sono stati modificati e il loro peso non è perfettamente in equilibrio con il baricentro.
Si è visto che i bambini a livello I (implicito) prendono il blocco nelle proprie mani e cercano il posto
più adatto per farlo tenere in equilibrio: si comprende che a questo livello le azioni del bambino sono
guidate dalle informazioni che riceve dall'ambiente circostante. Il livello E-1 (esplicito 1) vede il
bambino cominciare a creare all'interno della propria mente una teoria ricavata sicuramente
dall'interazione con l'ambiente: il blocco modificato viene posizionato con cura sopra la base per farlo
tenere in equilibrio, pensando che sia la cura con cui lo sistemano e non il punto di equilibrio il problema.
A questo livello il bambino comincia a sviluppare una propria rappresentazione unitaria del problema,
poi vi sono i livelli E-2 ed E-3, dove i bambini diventano consapevoli della propria teoria e sanno
comprendere la differenza tra i blocchi modificati e i blocchi originali. Ancora una volta e l'interazione
con l'ambiente e l'esperienza a creare le loro rappresentazioni.
7. Abilità e sviluppo
A questo punto è importante considerare un punto di vista generale come avviene lo sviluppo del soggetto
considerandolo fino all'adolescenza, non dimenticando mai però che lo sviluppo non termina con il
passaggio all'età adulta, ma prosegue per l'intero ciclo di vita.
Prima infanzia. Gli studi condotti sull'infanzia mostrano come i bambini a soli due anni dalla nascita
acquisiscono numerose complesse competenze: sviluppo motorio, abilità comunicative linguistiche,
sviluppo emotivo e sociale. Piaget si era dedicato a comprendere le caratteristiche cognitive dei bambini
nelle diverse fasi della vita, considerando l'evoluzione dai riflessi primari, cioè quei comportamenti
automatici che consentono al bambino di sopravvivere e di interagire con l'ambiente nonostante la sua
organizzazione biologica non permette ancora delle attività complesse, a comportamenti sempre più
controllati e intenzionali. Con il finire della prima infanzia il bambino poi riesce a rappresentarsi la realtà
percepita e usare i simboli, l'esempio più importante è quello di poter incrementare le proprie abilità
comunicative linguistiche che emergono dall'imitazione degli adulti. Secondo Piaget il passaggio dai
riflessi primari alla rappresentazione mentale della realtà è molto delicato e lento: il neonato deve
innanzitutto acquisire e gestire le informazioni che riceve dei propri organi di senso, sono infatti gli
organi di senso che gli permettono di acquisire un insieme di immagini che scompaiono le appaiono
senza un ordine. In un primo momento infatti gli oggetti appaiono e poi scompaiono, solo in un secondo
momento il bambino può rappresentarsi la realtà e pensare alle azioni da compiere.
Dagli studi sulla percezione si è compreso quanto importante sia il periodo percettivo per l'evoluzione
cognitiva del bambino. Ad esempio è stato studiato il fenomeno dell'abituazione: si mettono due oggetti
diversi davanti un bambino e se egli rinnova il suo interesse quando si presenta un nuovo stimolo, allora
si può dedurre che il bambino abbia colto la differenza tra lo stimolo a cui è stato abituato e lo stimolo
nuovo.
Fondamentali sono anche le abilità che il bambino acquisisce dal punto di vista sensoriale. Alla nascita
le abilità uditive sono molto ridotte, infatti, mentre nei primi momenti di vita i bambini si girano verso i
suoni in modo confuso, verso i 4-5 mesi il loro atteggiamento risulta più controllato. Le abilità visive
risultano molto ridotte al momento della nascita, ma già verso i 2-3 mesi i bambini riescono a focalizzare
oltre un metro; anche il riconoscimento dei colori aumenta progressivamente con l'aumentare dell'età,
fino agli otto mesi quando le abilità visive migliorano considerevolmente rispetto ai mesi precedenti.
Esistono poi nei bambini due funzionalità diverse degli organi di senso:
• la coordinazione intersensoriale, ossia quando il bambino si gira verso la fonte sonora;
• e la percezione transmodale, ossia la capacità di integrare le informazioni che provengono dai
diversi sensi.
Inoltre, molti studi hanno fatto emergere che i bambini hanno delle preferenze verso certi stimoli: ad
esempio preferiscono i suoni linguistici ad altri tipi di suoni, infatti preferiscono il suono della voce della
madre che poi sarà il primo elemento a costruire la lingua madre. Poi bambini preferiscono volgersi verso
i volti umani, soprattutto quelli familiari. In questo modo ogni bambino comincia a fare la propria
conoscenza del mondo circostante e a conoscere le proprie abilità relazionali.
Esperimenti come l'abituazione e il paradigma della preferenza visiva hanno permesso agli psicologi di
notare la differenza di stimolo nel bambino. Quando l'interesse cresce verso un determinato suono o una
determinata visione, allora il bambino non ha compreso la differenza rispetto a quell'oggetto se lo stesso
mostrato in precedenza. Se invece il suo livello di interesse diminuisce, allora il bambino ha riconosciuto
quell'oggetto già visto in precedenza. Piaget, ad esempio, pensava che i bambini entrassero a contatto
con il mondo fisico nei diversi stadi del loro sviluppo. Ad esempio nella seconda metà del primo anno di
vita il bambino riesce a comprendere che un oggetto esiste anche se non è più visibile. Altri esperimenti
sono quelli impossibili, come oltrepassare le leggi della fisica facendo in modo che una barretta riesca
ad attraversare un oggetto: in questo caso l'attenzione del bambino di circa quattro mesi aumenta
sensibilmente. Tutto questo fa notare che i bambini hanno delle rappresentazioni del mondo esterno
molto prima di quanto pensasse Piaget, cioè già a partire dai primi mesi di vita. In realtà nuovi esperimenti
dimostrano che già nei primissimi anni di vita i bambini hanno dei tempi di fissazione più lunghi in
successioni di eventi che in un primo momento sono stati dati sempre allo stesso modo, e in un secondo
momento cambiano: a cambiare della sequenza degli eventi la fissazione diventa più lunga.
Abbiamo anche visto che l'approccio neurocostruttivista integra insieme lo sviluppo cognitivo con lo
sviluppo cerebrale: è stato rilevato che nei primissimi momenti di vita i bambini attivano aree neurali più
vaste rispetto ai mesi successivi, dove invece si attivano delle aree più ristrette e specifiche, dimostrando
così la modularizzazione della mente.
A questo punto si comprende come gli studi svolti nella prima infanzia da Piaget hanno subito
un'evoluzione dovuta soprattutto alle nuove teorie e ai nuovi esperimenti condotti. Ad esempio, lo
sviluppo cognitivo oggi considera più variabili, tra le quali le predisposizioni, le stimolazione ambientale,
la maturazione del cervello, ma anche l'emergere di diverse abilità cognitive.
Se Piaget considerava l'errore A-non-B (ossia lo spostamento spaziale di un oggetto da un posto A a un
posto B, e il bambino pur vedendo lo spostamento cerca l'oggetto laddove stato abituato a vederlo) come
il non sviluppo cognitivo da parte dei bambini di comprendere che gli oggetti hanno una continuità nel
tempo e nello spazio (permanenza dell'oggetto), oggi si sa che questo errore non ha nulla a che fare con
il concetto di permanenza spazio-temporale degli oggetti, ma questo comportamento dei bambini può
essere ipotizzato introducendo altre variabili, come ad esempio utilizzare due posti completamente
diversi per nascondere l'oggetto. Alcuni pensano che l'errore sia dovuto ad un numero troppo basso di
schemi utilizzati dal bambino, altri pensano che sia la memoria regolare questo comportamento, altri
ancora che non si è giunti ad una maturazione della corteccia prefrontale tale da poter permettere questa
azione.
Tutto ciò ci porta a riflettere sul fatto che considerare lo sviluppo cognitivo dell'essere umano non è
qualcosa di semplice, ma che nasconde molteplici spiegazioni.
Seconda infanzia (età prescolare). Oltre che alla prima infanzia, i nuovi studi si sono dedicati anche alla
seconda infanzia, o età prescolare, la quale va fino ai 5-6 anni. Già Piaget si era accorto che nel passaggio
dalla prima alla seconda infanzia il bambino riusciva ad acquisire la funzione simbolica (18 mesi), la
quale diventa fondamentale per la costruzione del proprio sviluppo e per l'interazione con l'ambiente
circostante, poiché riguarda la capacità di rappresentarsi in qualcosa tramite simboli; inoltre la funzione
simbolica sarà attiva lungo tutto il corso dell'esistenza. Grazie all'uso di questa funzione il bambino può
incrementare diverse attività, tra le quali il linguaggio, il gioco di finzione e il disegno.
Il gioco di finzione riguarda la capacità del bambino di sovrapporre una situazione ipotetica a una
situazione reale con finalità ludiche. Ad esempio un bambino potrebbe prendere mattoncino lego e far
finta che sia un'automobile: fa camminare e rumoreggiare il mattoncino come fosse una reale macchina,
in questo caso il bambino ha utilizzato la funzione simbolica sovrapponendo alla reale esistenza del
mattoncino un'esistenza ipotetica che quella dell'automobile. Questa funzione si svolge fino ai primi due
anni di vita e con il passare del tempo il bambino si sente sempre più capace di gestire la finzione rispetto
al piano della realtà, e lo fa innanzitutto in maniera solitaria utilizzando i giochi, e progredisce fino a
creare delle situazioni immaginarie di gruppo con altri bambini. Si comprende che il gioco di finzione è
un'ottima palestra per l'immaginazione, la creatività, per le sue competenze cognitive, emotive e sociali.
Tuttavia bisogna riconoscere che in età prescolare ancora i bambini non hanno piena padronanza delle
proprie rappresentazioni mentali, e il gioco di finzione si basa solo sulle rappresentazioni mentali, dunque
può capitare che durante il gioco se qualcuno si maschera e il bambino non ha mai visto quella maschera,
non comprende che si tratta di una finzione e potrebbe provare paura. Attraverso il gioco di finzione il
bambino riesce ad incrementare la funzione simbolica, l'abilità nell'intrecciare insieme più
rappresentazioni e tutte quelle capacità e conoscenze che servono al bambino per interagire con il mondo.
Un maggiore grado di controllo della situazione circostante i bambini lo acquisiscono attraverso gli scrips
(copione), ossia tutte quelle attività ripetitiva quotidianamente vengono compiute, come il bagnetto, l'ora
del pranzo, l'ora della cena, la passeggiata, e in questo modo i bambini riescono a sapere in anticipo cosa
accadrà in una determinata situazione. Gli esperimenti svolti attraverso gli scrips hanno dimostrato come
in età prescolare i bambini iniziano a incrementare la loro capacità di concettualizzare, ossia utilizzare
la rappresentazione mentale per creare delle categorie attraverso la somiglianza tra vari oggetti. Piaget
pensava che i bambini in età prescolare costruissero ancora il loro pensiero a partire dati percettivi, invece
studi moderni hanno fatto vedere che già bambini di quattro anni riescono a cogliere gli aspetti diversi
degli oggetti e quindi a concettualizzarli. Un esempio potrebbe essere quello di alcuni ricercatori che
mostrano ha più bambini le foto di un pesce tropicale e di un delfino, spiegando che il pesce respira
sott'acqua e il delfino respira in superficie. Dopo mostrano la foto dello squalo e molti bambini non
chiamano pesce e non più delfino, evidenziando la loro capacità di aver concettualizzato.
Poi, sempre in età prescolare i bambini acquisiscono l'abilità di contare, un'abilità che in fase embrionale
era già arrivata durante la prima infanzia quando i bambini erano capaci di discriminare quantità
numeriche differenti. L'abilità di contare non riguarda solo mettere i numeri in ordine progressivo ma ha
tre aspetti diversi:
• la sequenza dei numeri deve essere pronunciata sempre lo stesso ordine;
• ci deve essere corrispondenza tra il numero profferito e l'oggetto indicato, sapendo che ogni
numero corrisponde un oggetto;
• sapere che l'ultima cifra pronunciata non è semplicemente un numero a sé, ma riguarda tutto
l'insieme.
Oggi sappiamo che il nostro sistema cognitivo e capace di memorizzare informazioni anche a lungo
termine, una memoria che ci serve per eseguire le operazioni. Tra queste funzioni vi è la memoria di
lavoro, cioè la capacità di mantenere ed elaborare le informazioni al fine di eseguire un'azione. Il
bambino di tre anni può memorizzare una sola informazione per volta, ma già tra i quattro e i cinque anni
si possono memorizzare due diverse informazioni.
Nel controllo e nella gestione delle proprie azioni un ruolo fondamentale è quello delle funzioni
esecutive. Si tratta di quelle abilità funzionali che permettono al bambino di controllare le risposte
impulsive, di non farsi distrarre da stimoli irrilevanti, di saper modificare le informazioni contenute nella
memoria di lavoro, e di passare da un set mentale a un altro.
Infine un'attività cognitiva importantissima che si sviluppa in età prescolare è il disegno. Questa attività
subisce diverse modifiche durante l'età prescolare: verso i due anni e mezzo il bambino traccia una specie
di palla più o meno rotonda, definendola come il sole; verso i quattro anni comincia a creare delle forme
più schematiche, come ad esempio il pupazzo testone, dove la palla adesso rappresenta sia la testa che il
corpo di un personaggio. Verso i cinque anni, poi, il bambino comincia a creare delle figure sempre più
complesse, utilizzando anche delle linee rette, come ad esempio la casa o l'albero.
Gli psicologi spiegano la realizzazione del disegno nello sviluppo del bambino come risultato di più
elementi che si intrecciano insieme: la funzione simbolica, lo sviluppo della memoria di lavoro che
permette di coordinare l'immagine con il pensiero e le funzioni esecutive, chiamata in causa per inibire
modalità grafiche primitive.
Fanciullezza (o età scolare). La fanciullezza è quella che viene definita come l'età della ragione, dove si
esprimono funzionamenti cognitivi diversi rispetto a quelli dell'età prescolare. Piaget considerava il
pensiero del bambino in età prescolare come immaturo, costruito solo su indizi percettivi, a volte
fuorvianti; mentre il pensiero del bambino in età scolare è molto più maturo e riesce a gestire insieme
più situazioni diverse, come ad esempio riconoscere che nei due contenitori diversi vi è lo stesso liquido.
Mentre in età prescolare i bambini focalizzano la loro attenzione solo su ciò che sta avvenendo, in età
scolare i bambini si chiedono il perché e vogliono rintracciare le cause di un determinato evento. Come
per le altre età del bambino, anche per la fanciullezza la rigida divisione di Piaget non è più esaustiva
dello sviluppo cognitivo, infatti si è visto che anche bambini in età prescolare non si facciano ingannare
dai dati percettivi e riescano a utilizzare un loro ragionamento. Tuttavia è fuor di dubbio che i bambini
in età scolare riescono a ragionare valutando su più dimensione rispetto i bambini di età prescolare.
I sistemi simbolici che si evolvono in età scolare sono soprattutto il linguaggio e il disegno. Per quanto
riguarda quest'ultimo, il bambino acquisisce l'organizzazione spaziale del disegno, ossia riesce, verso i
sette anni, a rappresentare le diverse distanze degli oggetti, infatti gli oggetti più lontani vengono
rappresentati nella parte alta del foglio, mentre quelli vicini nella parte inferiore del foglio. Tra i 9 e i 12
ann il bambino riesce a utilizzare non solo due dimensioni ma coordinare nello spazio le tre dimensioni,
rappresentando oggetti in proiezione obliqua e forme che vengono costruite secondo la prospettiva.
Anche il pensiero narrativo risulta essere sempre più complesso in età scolare, inducendo i bambini a
narrare delle storie sempre più articolate.
Un ruolo fondamentale è quello dell'esperienza in tutti gli ambiti. La dell'esperienza il bambino riesce
ad acquisire una serie di procedure utili in diverse situazioni, queste procedure vengono memorizzate e
poi utilizzate al momento giusto, pianificando e categorizzando le diverse attività che si trova a compiere.
In età scolare, poi, aumenta la capacità di elaborare le informazioni: i bambini più piccoli hanno difficoltà
a risolvere certi problemi, mentre queste difficoltà diminuiscono con l'avanzare dell'età. Anche la
memoria di lavoro viene incrementata e i bambini oltre a saper risolvere certi problemi riescono anche
a memorizzarne le soluzioni per utilizzarle in un secondo momento. Non si deve sottovalutare neppure
l'importanza della velocità con cui elaboriamo le informazioni, una velocità che aumenta nel passaggio
dalla seconda infanzia all'età scolare, capacità che sembra aumentare con la maturazione del cervello.
Cambiano pure le strategie per riuscire a conoscere a memorizzare il mondo: infatti proprio i bambini
di età scolare comincia a utilizzare la strategia della ripetizione ad alta voce per memorizzare ciò che
hanno appreso, aumentando così la capacità di dominio, di elaborazione e di velocità con cui si elaborano
le informazioni. Ad esempio, se un bambino di sei anni chiediamo quanto fa 3 + 5, allora il bambino
comincerà a utilizzare le sue mani e a rappresentare i numeri sulla mano destra e sulla mano sinistra; col
passare del tempo riesce però a memorizzare una linea dei numeri senza l'utilizzo delle mani: la capacità
di gestire questa linea dei numeri e quelle che lo ha fine era nelle abilità di calcolo che continuano a
svilupparsi anche dopo l'età scolare. Se tra i 7-8 anni i bambini comprendono decine e unità, tra 9-10
anni riescono a concettualizzare i numeri razionali. Ovviamente questo è possibile grazie all'educazione
formale impartita dagli adulti, i quali gli danno la possibilità di comprendere cosa siano le misure nello
spazio e nel tempo. Vygostkij pensava che i numeri avessero il ruolo di mediatori culturali, ossia quello
strumento che permette al bambino avere una relazione con il mondo circostante.
Nel corso dell'età scolare viene incrementata anche la metacognizione, ossia le conoscenze che il
bambino ha sul proprio funzionamento e sulla capacità costruire e gestire il proprio pensiero. Ad esempio
in età prescolare se ai bambini viene chiesto come riescono a ricordare, focalizzano la propria attenzione
solo sull'oggetto da ricordare; in età scolare invece i bambini diventano più consapevoli dell'attività della
loro mente e comprendono quali modi esistano per poter ricordare. Dopo 10 anni si rendono conto di
quali strategie utilizzare, come ad esempio le associazioni, e che gli aspetti emotivi possono influenzare
sul ricordo.
Adolescenza. Una delle sfide evolutive più importanti e certamente l'adolescenza. In questo periodo il
soggetto si trova ad affrontare trasformazioni somatiche psicologiche davvero importanti che gli daranno
accesso ad una autonomia psicologica, alla definizione della propria identità e all'acquisizione dello
status di adulto. Durante l'adolescenza avvengono dei cambiamenti a livello cognitivo: se in età
prescolare il bambino aveva la capacità di rappresentarsi mentalmente la realtà percepita in età scolare
la capacità di saper gestire più rappresentazioni, durante il periodo dell'adolescenza il soggetto riesce a
ragionare in modo sempre più astratto, comprendendo sufficientemente cosa sia reale e cosa non lo è,
cosa sia possibile e cosa non lo è.
Piaget aveva identificato questa età come il passaggio al pensiero operatorio formale, dove il soggetto
riesce ad avere una maggiore strategicità e ad elaborare dei piani per la riuscita del suo scopo.
L'esperimento condotto da Piaget riguardava bambini di età scolare ed adolescenti nel difficile compito
di riprodurre un colore. Veniva chiesto i bambini di età scolare di mischiare insieme dei colori fino a
raggiungerne uno che i ricercatori avevano descritto: i bambini operavano senza alcun piano e se
riuscivano nel loro intento era solo per caso; gli adolescenti cominciavano ad avere un piano e a
comprendere quali risultati si sarebbero tenuti mischiando determinati colori. Quindi, gli adolescenti
dimostravano di saper utilizzare in modo sistematico il pensiero ipotetico-deduttivo, in grado di slegarli
dal dato percettivo e di farli lavorare puramente su premesse ipotetiche, dove la soluzione di un problema
poteva essere acquisita in via del tutto logica e senza l'utilizzo dell'esperienza (implicazione se allora).
È stato dimostrato che anche riguardo la competenza logica degli adolescenti la teoria di Piaget non è
stata molto precisa, in quanto anche bambini di otto anni possono risolvere problemi di ragionamento
combinatorio, a patto che non vi sia un carico di informazioni eccessivo per la loro memoria di lavoro.
La capacità degli adolescenti di saper gestire il pensiero astratto aumenta la loro capacità di pensare tutti
i casi possibili e tutte le combinazioni, l'abilità di saper utilizzare una sola variabile all'interno di un
determinato contesto, saper utilizzare il concetto di proporzionalità è saperlo applicare. Inoltre, una delle
capacità più importanti che si sviluppano durante l'adolescenza e quella dell'abilità di comprensione, la
quale si sviluppa anche a partire da fattori esperienziale, poiché le scuole frequentate, le esperienze
lavorative, il contatto con gli adulti possono far variare questa abilità.
Una particolarità degli adolescenti e quella di arricchire le loro narrazioni: i bambini fino a 10 anni
riescono a raccontare delle storie complesse ma senza mai riportare fatti che riguardano la vita interiore
dei personaggi; intorno ai 12 anni, invece, queste narrazioni sono arricchite dai tratti della personalità dei
personaggi, fino a giungere ai 14 anni quando le narrazioni diventano sempre più complesse.
In ambito matematico vengono registrate diverse evoluzioni da parte del soggetto: se fino a 10 anni
riesce a comprendere cosa sia una funzione, gli assi cartesiani, le variabili quantitative, verso i 12 anni i
ragazzi riescono a svolgere operazioni più complesse, utilizzando più variabili, producendo grafici e
risolvendo formule algebriche più complesse.
Gli adolescenti sviluppano anche la capacità di considerare più rappresentazioni possibili, all'interno
delle quali vengono inseriti i valori universali, i valori della propria cultura i loro bisogni, sapendo così
gestire un ampio spettro delle proprie scelte di vita.
CAPITOLO 5: LO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO E DELLA
COMUNICAZIONE
1. Riflessioni preliminari
Uno degli interessi maggiori per i ricercatori che si occupano dello sviluppo cognitivo degli esseri umani
è l'attenzione posta al linguaggio e alla comunicazione. Certamente è il linguaggio ad essere più studiato,
poiché tramite il suo utilizzo e possibile costruire una comunicazione; tuttavia, negli ultimi decenni è
aumentato l'interesse intorno alla comunicazione nei diversi ambiti della conoscenza umana. In questo
capitolo sarà importante osservare lo sviluppo delle abilità comunicative dei bambini non verbali e
verbali considerando il linguaggio verbale come un'istituzione sociale di natura simbolica che nata
storicamente da attività sociocomunicative preesistenti.
6. Il ruolo dell'adulto
Oramai è chiaro che l'adulto e il bambino collaborano insieme nella costruzione delle abilità linguistiche
del piccolo, e lo fanno biologicamente attraverso l'intersoggettività primaria e attraverso la cooperazione
dell'intersoggettività secondaria. Alcuni studi hanno rivelato che il bambino che segue il volto dell'adulto
mentre parla apprende in maniera più veloci linguaggio. È chiaro anche che tra l'adulto il bambino esiste
una sorta di asimmetricità, poiché il bambino non possiede le competenze linguistiche dell'adulto e quindi
l'adulto deve diventare un supporto è una guida nell'apprendimento della lingua.
Molto importante è il baby talk, ossia il linguaggio specifico che la madre utilizza nei confronti del
bambino. Il piccolo riconosce il linguaggio materno perché ha dei caratteri specifici: semplificazione,
ridondanza, Toni acuti, ritmo più lento, intonazione enfatica e prosodia. In questo modo il bambino riesce
a distinguere il linguaggio della madre dal linguaggio del mondo esterno. Le madri, poi, possono
utilizzare due tipi diversi di stili comunicativi nei confronti del bambino: uno stile espressivo, incentrato
sugli aspetti emotivi dello scambio interpersonale, è uno stile referenziale, ossia un approccio cognitivo
al contesto. Sono stati anche individuate due strategie diverse che la madre utilizza nei confronti del
bambino: la contingenza tematica, ossia l'aderenza al contesto, e la contingenza semantica, ossia
l'esposizione del linguaggio attraverso le parole.
Altri studi dimostrano che emerge dalla madre una funzione tutoriale nei confronti del bambino per
quanto riguarda l'apprendimento del linguaggio. Questa funzione si mantiene dai 16 ai 20 mesi, mentre
la funzione di controllo inizia a scemare man mano che il bambino aumenta le sue funzioni didattiche e
sviluppa le sue capacità di conversazione.
8. Linguaggio e cognizione
Secondo Piaget il linguaggio socializzato è l'espressione di un pensiero egocentrico, che poi si trasforma
in una costruzione endogena di strutture di pensiero reversibili e generalizzanti. Vygotskij, invece,
sottolinea come il linguaggio sociale sia da supporto al pensiero: prima di tutto per creare delle
connessioni Interpsichiche, ossia con il mondo circostante, e successivamente intrapsichiche,
nell'interazione con se stesso. Lo psicologo svizzero considera prioritari i meccanismi cognitivi del
bambino nell'apprendimento del linguaggio (assimilazione e accomodamento), la funzione di
condivisione sociale arriva in un secondo momento; lo psicologo russo riconosce invece l'origine
culturale della lingua e come questa poi si mette al servizio della costruzione del pensiero.
Alla fine del secondo anno di vita il linguaggio ha due funzioni fondamentali: organizzare le conoscenze
cristallizzate (knowledge) e influenzare il sistema cognitivo (cognition). Attraverso linguaggio individuo
riesce a metabolizzare la cultura e ad assimilarla rendendo possibili le condivisioni intersoggettive. Tutto
ciò avviene, ovviamente, grazie alla scolarizzazione, poiché è la scuola che permette al linguaggio di
diventare il mezzo insostituibile sia per la comunicazione quotidiana, sia per la comunicazione scolastica,
ma anche per l'elaborazione di teorie scientifiche altamente formalizzate.
9. Conclusioni
Si è visto come lo sviluppo del linguaggio verbale permette allo sviluppo delle abilità comunicative
intersoggettiva. Inoltre si è potuto constatare che a prevalere non è un modello interpretativo
deterministico, ma un modello interpretativo multifattoriale, che rende compatibile i diversi percorsi di
sviluppo attraverso il linguaggio. Attualmente la teoria più accreditata è quella dell'interdipendenza tra
fattori innati e fattori ambientali: all'interno del bambino esistono dei dispositivi innati che permettono
lo sviluppo del linguaggio che però senza i fattori ambientali non potrebbe mai realizzarsi.
In sintesi possiamo dire che il linguaggio svolge una funzione fondamentale nella scoperta
dell'interpersonalità e dell'intrapersonalità, avendo delle caratteristiche importantissime: una funzione
referenziale che permette la designazione della realtà, una funzione cognitiva che permette
l'organizzazione pensiero, una funzione metalinguistica che permette di comprendere il linguaggio
stesso. Inoltre vi è una funzione di individuazione che permette al soggetto di avere autoconsapevolezza
e di formare la propria identità personale.
CAPITOLO 6: CAPIRSI, LA TEORIA DELLA MENTE
2. Le tappe evolutive della TOM: dagli studi centrali sulle età evolutiva alla prospettiva del ciclo
di vita
Gli studiosi si sono impegnati a stabilire a quale età i bambini raggiungessero la capacità di ragionare sul
comportamento in termini metarappresentazionali. Ad esempio, il compito di falsa credenza divenne uno
dei dispositivi di verifica del possesso della Tom. Infatti le credenze e i desideri sono quegli Stati mentali
fondamentali per poter comprendere la visione (rappresentazioni) della realtà che ognuno di noi ha, e a
partire da questa visione della realtà si può comprendere anche il nostro comportamento: la mente
rappresenta il mondo e le rappresentazioni determinano le azioni.
All'interno della nostra vita sociale le credenze hanno una centralità enorme, poiché grazie ad esse è
possibile predire il comportamento altrui, spiegare il comportamento e manipolare il comportamento,
in quanto conoscere le credenze dell'altro ci consente di intervenire su di esse. Dagli studi svolti è emerso
che i bambini fino a tre anni e cinque mesi non riescono a superare il compito di falsa credenza, mentre
i bambini di quattro anni rispondono correttamente a questo problema, facendo diventare i quattro anni
il momento di passaggio verso un grado cognitivo superiore, poiché il soggetto in grado di ragionare a
livello metarappresentazionale sulla credenza.
Già nei primi due anni di vita i bambini dimostrano uno sviluppo cognitivo che prepara la comparsa della
Tom: ad esempio l'attenzione condivisa e i gesti deittici, oppure l'agency, o ancora la comprensione della
percezione visiva, o il gioco di finzione.
L'attenzione condivisa e i gesti deittici, i quali costituiscono tappe fondamentali dello sviluppo
comunicativo e linguistico, poiché il soggetto riesce a condividere il mondo esterno con l'altro. Bisogna
precisare però che l'attenzione condivisa è un meccanismo protocomunicativo, ma non lo possiamo
ancora considerare una vera e propria Tom; mentre i gesti deittici, come indicare o salutare (sono gesti
ritualizzati), svolgono una funzione imperativa o richiestiva. Ad esempio, il bambino che indica un
oggetto lontano o alterna lo sguardo tra l'oggetto l'adulto sta attuando un'azione per formativa richiestiva,
nel senso che chiede all'adulto di dare di quell'oggetto. Tra gli 11 e i 14 mesi si assiste ad un cambiamento:
il bambino usa il gesto per indicare, ma non in senso imperativo, ma in senso dichiarativo (performativo
dichiarativo), nel senso che vuole portare l'attenzione dell'adulto verso quell'oggetto: in questo modo il
bambino non guarda all'adulto come un agente di azione, bensì come un agente di contemplazione,
cercando di intrecciarsi con la sua struttura mentale.
Con il termine agency indichiamo la comprensione che gli esseri animati agiscono autonomamente, cioè
il bambino entro il primo anno di vita riesce a distinguere un essere animato da un essere inanimato,
comprende l'intenzione, la volontà e vede l'altro come un essere autonomo, il cui comportamento e
motivato dagli Stati mentali.
La comprensione della percezione visiva è un prerequisito fondamentale per la capacità di lettura della
mente, poiché il bambino capisce a quali condizioni una persona può percepire un oggetto e che tale
percezione può essere diversa dalla propria. Attraverso questa comprensione il bambino inizia ad
acquisire delle informazioni che gli fanno comprendere come la costruzione della conoscenza sia legata
a come gli altri già conoscono la realtà (vedere porta a sapere), e questa comprensione avviene intorno
ai quattro anni.
Infine, il gioco di finzione permette al bambino di creare un mondo possibile accanto ad un mondo reale
e quindi di creare delle rappresentazioni che si riferiscono al mondo reale. Se un bambino fa finta di
telefonare con una banana ha compiuto l'azione metarappresentativa di utilizzare un oggetto reale diverso
in luogo di un oggetto che in quel momento non è presente. Attraverso il gioco di finzione si
comprendono maggiormente le capacità di comprensione della mente e quindi risulta essere uno dei primi
contributi semantici sulla tom.
Un ulteriore dispositivo che dalla capacità al bambino di poter leggere la mente altrui e la propria è il
linguaggio. Attraverso il linguaggio il bambino passa da una fase in cui considera la credenza come vera
e attraverso la quale può leggere il mondo, alla capacità di poter comprendere quando si tratta di una
falsa credenza, in modo da poter comprendere ancora meglio i comportamenti altrui: quest'ultima fase
avviene a quattro anni circa.
A partire dagli anni 90 il discorso sulla Tom si è aperto alla prospettiva del ciclo di vita, cioè non viene
più arrestato al momento dell'adolescenza e alla prima età adulta, ma viene studiato anche nei soggetti di
età adulta e anziana. Si è visto come la capacità mentalistica degli anziani sia ridotta rispetto a quella dei
giovani in ragione dell'avanzare dell'età, tuttavia un esperimento condotto nel 1998 dimostrò l'esatto
contrario, e cioè che gli anziani possedevano una Tom più progredita dei ventenni. La discordanza di
questi risultati e imputata soprattutto a livello socioculturale del campione scelto per l'esperimento; oggi
i cambiamenti della Tom nelle varie età costituiscono una delle frontiere della ricerca nella psicologia
dello sviluppo.
6. Prospettive future
Riuscire a padroneggiare la Tom vuol dire anche spostarsi verso il futuro nei diversi campi di indagine.
Gli studi sulla teoria della mente vengono utilizzati a scopo educativo ma anche a scopo riabilitativo, al
fine di amplificare questa abilità.
Una prima prospettiva è quella del training, secondo il quale vengono svolti interventi direttamente a
soggetti che sono in condizioni evolutive tipiche, per amplificare la metarappresentazione, sia a persone
di anziana età per fare in modo che si abbia più consapevolezza di un'abilità che posseggono.
Una seconda prospettiva è quella che riguarda i rapporti tra Tom e processi decisionali nel ciclo di vita:
quando si tratta di studiare il nostro adattamento alla vita sociale, la teoria della mente entra in gioco nei
processi decisionali sul nostro comportamento.
Infine una terza prospettiva riguarda il rapporto tra Tom e la robotica. Già nel 1978 il primo articolo
che parlava di teoria della mente poneva la questione da un punto di vista evoluzionistico, tanto che ci si
domandava se gli scimpanzé utilizzano effettivamente una Tom. Oggi di fronte ai robot, e soprattutto
davanti ai robot umanoidi, la robotica non può fare a meno di confrontarsi con gli studi sulla tomba, in
quanto i software dei robot sono programmati sui comportamenti e sulla meta rappresentazione simile a
quella dell'uomo.
CAPITOLO 7: LO SVILUPPO MORALE SOCIALE
3. La cognizione morale
Abbiamo visto come gli studi più recenti sulla moralità si sono focalizzati sulla dimensione emotivo; ma
sappiamo che gli approcci classici dello sviluppo morale erano incentrati sostanzialmente sulla
dimensione cognitiva.
I modelli stadiali. Autori di impostazione costruttivista e cognitivo-evolutiva sostengono che i
ragionamenti di tipo morale sono legati allo sviluppo delle abilità cognitive.
Piaget pensava che all'interno di tutti gli uomini esiste una sequenza stadi alle comuni che influisce sullo
sviluppo morale e in particolar modo attraverso quelle connessioni che si instaurano con i coetanei. Per
lo psicologo svizzero fino ai cinque anni il bambino vive in una condizione di anomia morale, senza
interesse per le regole e il cui comportamento viene regolato dall'adulto. fino a 7-8 anni il bambino vive
il primo stadio di moralità, denominato realismo morale, la cui moralità è regolata da un'autorità esterna,
l'adulto, il quale regole comportamenti attraverso il binomio premio-punizione, quindi questa moralità si
basa soprattutto sul principio di obbedienza. L'ultimo stadio di sviluppo morale e quello di relativismo
morale, che giunge intorno ai 10 anni, in cui comincia a svilupparsi l'idea di una moralità autonoma
basata sulla cooperazione, sulla reciprocità e sulla negoziazione sociale.
Kohlberg, producendo diversi esperimenti di tipo strutturale, avanzò la sua teoria stadiale di moralità.
Tutto parte dal concetto di convenzionalità, secondo il quale lo sviluppo morale riguarda l'adeguamento
del soggetto alle norme morali della società, che vengono divisi in tre livelli, e due stadi ogni livello.
• Il primo livello è quello preconvenzionale (9-10 anni di età), dove il bambino manifesta un pensiero
superficiale e autocentrato, gestito dalle regole che vengono impartite dall'adulto. Nel primo stadio il
bambino obbedisce alla norma per evitare le punizioni; nel secondo stadio le regole vengono rispettate
solo quando ne derivò un vantaggio.
• Il secondo livello è quello convenzionale (13-20 anni di età), dove il ragazzo interiorizza le regole
sociali e le comprende orientandosi come bravo ragazzo (stadio 3) e mantenendo l'autorità e l'ordine
(stadio 4). Nello stadio 3 ragazzo si conforma al gruppo sociale di appartenenza e agisce per sentirsi
come tutti gli altri; nello stadio 4 il ragazzo mantiene un comportamento responsabile verso le istituzioni
verso l'ordine.
• Il terzo livello è quello postconvenzionale (dopo i 20 anni), dove il giovane acquisisce una concezione
molto complessa dei valori morali e dove fanno il loro ingresso le leggi nazionali, i principi etici
universali. Nello stadio 5, denominato orientamento contrattuale-legalistico, il giovane pienamente
consapevole dell'esistenza di opinioni e di valori diversi a seconda del gruppo sociale di appartenenza,
ma riconosce anche dei valori assoluti anche quando entrano in contrasto con la maggioranza. Nel sesto
stadio infine avviene l'orientamento di coscienze di principio: i principi etici universali sono concepiti
come il più profondo fondamento della legge e quando vi è un contrasto con le regole sociali ad avere la
meglio sono sempre questi principi universali.
Gibbs, proprio come i primi due psicologi, ritiene che il ragionamento morale si evolva seguendo un
percorso stadiale, ma distingue due soli aspetti.
La fase dello sviluppo morale standard, ossia la componente di base che riguarda la comprensione delle
regole e la valutazione dell'azione giusta o sbagliata. In questa fase vi sono due stadi detti superficiali:
nello stadio 1 il pensiero morale e influenzato da motivazioni egocentrica, mentre nello stadio 2 è già
presente una morale pragmatica che segue il principio di operare per gli altri se gli altri hanno operato
per me. Nei due stadi successivi avviene invece una maturità lo sviluppo morale, infatti lo stadio 3 si
fonda sulla fiducia sul rispetto reciproci come base delle relazioni interpersonali; e nello stadio 4 si
riconoscono e si accettano i valori e le istituzioni presenti all'interno di un sistema sociale.
La fase di sviluppo esistenziale, riguarda la comparsa e l'evoluzione di abilità di riflessione
contemplativa, grazie alle quali il soggetto può riflettere sulle ragioni dell'etica ed elaborare dei principi
morali che corrispondono al livello postconvenzionale di Kohlberg.
Essendo una evoluzione che procede per stadi, alcuni soggetti possono rimanere bloccati in un ritardo
morale, all'interno dei primi stadi di moralità immatura. In questa prospettiva si comprende che l'ipotesi
che lo sviluppo morale dipenda solamente dallo sviluppo cognitivo sarebbe una condizione necessaria
ma non sufficiente.
Dal ragionamento all'azione morale. I ricercatori si chiedono come possa avvenire che un soggetto
comprenda quale sia l'azione giusta da realizzare, ma poi non agiscono secondo quell'idea di giustezza.
Su questo orizzonte è stata formulata la teoria dei domini, secondo la quale lo sviluppo morale non
procede secondo una sequenza di stadi, ma nella valutazione di un'azione giusta vengono coinvolti
domini cognitivi separati. Nello specifico vi sono tre regole che fanno riferimento a domini diversi:
• regole morali, secondo le quali non si deve fare male agli altri ma si deve operare per il loro bene,
queste vengono accettate come regole universali;
• regole socioconvenzionali, che servono a mantenere l'ordine sociale, e la cui trasgressione e vista come
qualcosa di grave, ma meno grave rispetto alla trasgressione delle regole morali;
• principi di scelta personale, che non sono soggetti ad alcuna autorità ma dipendono esclusivamente
dalla decisione della persona.
In questo senso viene operata una differenza all'interno della moralità: da un lato una moralità eteronoma
che si riferisce sempre ad un'autorità che impone una norma; dall'altro una moralità autonoma in cui è la
norma ad avere valore in se stessa, quindi assoluta. Secondo uno studio svolto nel 1990 i bambini già a
42 mesi riescono a comprendere la differenza tra una regola morale più seria la cui violazione è molto
grave, da una regola socioconvenzionale la cui violazione non è grave come nel primo caso.
Naturalmente i bambini più piccoli spesso confondono le regole morali con le regole socioconvenzionali,
mentre negli adolescenti questa differenziazione si fa più netta. Dobbiamo poi aggiungere che sono poche
le situazioni in cui ci si trova davanti ha un dominio che non ha nulla a che vedere con un altro, invece
più delle volte ci si trova davanti ha un caso di morale condominio misto, dove sarà il soggetto a dover
discernere se si tratta di regole morali o socioconvenzionali.
Bandura considera l'impostazione dei modelli stadiali come troppo razionalistica, e contrappone la sua
teoria sociocognitiva, secondo la quale lo sviluppo della morale dipende essenzialmente dalle interazioni
del soggetto con il contesto sociale, in primo luogo la famiglia e il gruppo dei coetanei. In questo modo
diventa fondamentale il ruolo degli adulti che fanno sentire la loro presenza attraverso premi, rinforzi,
proibizioni e sanzioni, guidando così il comportamento del bambino. Attraverso l'interazione con la
società bambino riesce a sviluppare i propri criteri di comportamento e di autocontrollo morale. Dal
contesto sociale il bambino riesce anche a sviluppare processi cognitivi di disimpegno morale che
evitano la reazione interna conseguente all'aver trasgredito gli standard di condotta già interiorizzati, e
possono comportare un cambiamento della condotta morale del soggetto.
Il comportamento aggressivo come azione immorale. Come abbiamo già detto, i meccanismi di
disimpegno morale ipotizzati da Bandura possono produrre anche dei comportamenti immorali, come ad
esempio l'aggressione. Infatti molti bambini e adolescenti hanno dei comportamenti aggressivi e
prepotenti nei confronti dei loro coetanei, si comportano come bulli e questo deriva dal ricorrere
maggiormente al disimpegno morale. Per comprendere meglio la relazione tra cognizione morale e
condotta aggressiva occorre fare alcune distinzioni. Una prima distinzione riguarda:
• l'aggressione, l'atto che procura danno agli altri:
• l'aggressività, che è invece la tendenza come stile personale di condotta a essere aggressivi nei confronti
degli altri.
Esiste poi:
• aggressività reattiva, ossia la tendenza a reagire in maniera distruttiva come risposta ad una situazione
percepita come una minaccia;
• aggressività proattiva, ossia l'aggressività utilizzata per avere un beneficio materiale, sociale ed
emotivo.
Molte volte nello stesso soggetto possono coesistere due tipi di aggressività; mentre nel caso del bullo
riscontriamo un'chiaro caso di aggressività proattiva.
La condotta aggressiva può essere spiegata attraverso il modello dell'elaborazione dell'informazione
sociale, secondo il quale le interazioni sociali altro non sono che problemi da risolvere, in cui il soggetto
deve comprendere le intenzioni dell'altro soggetto e poi decidere che risposta dare. Questo modello
descrive queste risposte che si attivano in maniera automatica e si svolgono in sei passi:
1. Codifica dello stimolo sociale, dove si presta attenzione comportamenti del partner e agli elementi che
fanno comprendere cosa sta accadendo;
2. L'interpretazione dello stimolo, dove viene interpretata l'azione del partner;
3. Definizione degli obiettivi, dove si definiscono gli obiettivi che si vogliono raggiungere rispetto
all'altro;
4. Ricerca di una risposta, dove si elaborano tutte le possibili risposte per raggiungere gli obiettivi;
5. Scelta della risposta, che avviene sulla base dell'analisi della situazione e in base alla predisposizione
della persona mettere in atto un determinato comportamento;
6. Messe in atto della risposta, la risposta viene realizzata e si attendono i feedback da parte degli astanti.
Tutto questo processo è chiaramente influenzato da fattori emotivi che possono spingere a scegliere una
risposta rispetto a un'altra, e le influenzato anche dalle nostre conoscenze sociali e morali. Gli elaboratori
di questo modello (Crick e Dodge) sostengono che è alla base del comportamento aggressivo vi siano
delle distorsioni cognitive e delle alterazioni dell'elaborazione dell'informazione sociale.
Dal punto di vista della relazione tra lo sviluppo cognitivo e comportamenti aggressivi, risulta chiaro che
i soggetti possono avere degli atteggiamenti aggressivi sia come risposta alle minacce altrui, sia per
raggiungere degli obiettivi egoistici, ed è proprio in questo secondo caso che viene utilizzato il
ragionamento edonistico.
Anche la teoria dei domini spiega la condotta aggressiva: il soggetto realizza una sorta di scivolamento
di dominio, passando da una regola socioconvenzionale a una scelta personale, quindi, nel momento in
cui una regola diventa una scelta personale non ci sono più autorità che possono impedirla.
2. I genitori oggi
Affrontare la questione della genitorialità oggi significa fare i conti innanzitutto con la conformazione
demografica delle figure genitoriali attuali. Rispetto al passato oggi si diventa genitori in un'età molto
più tarda, 31,8 anni per la madre al momento del primo parto. Ciò è dovuto al cambiamento della nostra
società, infatti chi decide di avere una famiglia non lo fa più solo per la procreazione, ma mette in primo
piano i bisogni desideri di autorealizzazione professionale di ciascun partner; ecco perché diventare
genitori oggi vuol dire scegliere di diventarlo. Importanti sono anche le risorse economiche disponibili,
poiché rispetto al passato si raggiunge una sicurezza economica intorno ai 30-40 anni. Tutto ciò ha fatto
in modo che si diventasse genitori in età più tarda, un fattore che viene incrementato anche dai progressi
nella fecondazione assistita, che permette la gravidanza a donne di età più avanzata, facendo aumentare
però il rischio di patologie per il nascituro. Diventare genitori in età più tarda non vuol dire solo entrare
all'interno di un circuito negativo, poiché vi sono degli aspetti certamente positivi: genitori più maturi
hanno un atteggiamento più sereno e posseggono più esperienze conoscenze per assumersi la
responsabilità di mettere al mondo dei figli.
Se si considera più da vicino la conformazione demografica dei genitori, ci si accorge che la figura della
madre è cambiata tantissimo a partire dagli anni 60-70 dello scorso secolo, ossia quando è stata attuata
quella rivoluzione culturale ancora attiva ai nostri giorni. La donna non è più la madre che resta in casa
ad accudire i figli e non ha nessun altro spazio se non quello domestico; oggi la donna oltre al lavoro di
madre assume su di sé anche il compito di essere lavoratrice, e questo lo si deve soprattutto al capitale
scolastico che la donna è riuscita ad ottenere grazie alla rivoluzione culturale. A parte alcune società
ancora troppo tradizionaliste, il nostro Occidente ha visto un raddoppiamento del lavoro nella figura della
donna, poiché deve dividersi tra il tempo da dedicare alla cura dei figli e il tempo da dedicare alla
professione lavorativa. E non mancano neppure i casi in cui una donna trascura l'una o l'altra delle sue
attività, giungendo così ad una mancanza di cura nei confronti dello sviluppo psichico del bambino,
oppure ad essere maggiormente discriminata all'interno del luogo di lavoro, poiché è molto difficile
conciliare in maniera efficace queste due delicate attività.
Può accadere anche che una donna decide di intraprendere la carriera lavorativa ma che dopo il primo
figlio non riprenda il suo lavoro. Questo dato è certamente legato alle politiche che vengono realizzate
in merito al lavoro femminile, come ad esempio il congedo di maternità: nel 2011 si è riscontrato un calo
drastico dell'allattamento al seno in Italia le donne che ritornano a lavorare dopo il parto non possono
seguire l'allattamento poiché all'interno delle aziende non vi sono luoghi predisposti per i bambini; le
istituzioni appaiono carenti anche nei confronti della figura paterna che ancora oggi ha diritto a soli due
giorni di congedo parentale, facendo vedere come ancora oggi la nostra società pensi che lo sviluppo del
bambino si è legato solamente alla madre.
Contro questa idea, occorre sottolineare che la figura paterna è essenziale per la rivoluzione della figura
materna, poiché un padre attivo all'interno della famiglia permette non solo che la madre possa continuare
con il proprio lavoro, ma anche che lo sviluppo del bambino non subisca alcuna alterazione negativa. I
dati Istat confermano che nel 2009 vi è stato un innalzamento della partecipazione domestica della figura
paterna all'interno della famiglia: gli uomini aiutano molto di più in casa rispetto al passato e sgravano
la donna di molte preoccupazioni. In tutto questo si occupano anche dei figli in maniera più presente
rispetto al passato, tuttavia però la figura di riferimento della crescita del bambino rimane sempre la
madre. Questi dati confermano che una madre lavoratrice non per forza deve essere motivo di
trascuramento del figlio. Purtroppo questo cambiamento è avvenuto in quelle categorie socioeconomiche
più elevate, dove ci sono livelli di istruzione più alti, invece, laddove vi sono categorie socioeconomiche
più basse e un livello di istruzione più basso, si continua a vedere la figura dell'uomo lavoratore che si
contrappone a quella della donna-madre. In questo senso si è parlato di rivoluzione di genere incompiuta.
Occorre ancora sottolineare che per quanto riguarda l'educazione del figlio la madre assorbe quasi tutto
lo spazio educativo, mentre l'aiuto che può dare il padre è quello relativo le questioni familiari, come la
pianificazione, il controllo e la preoccupazione per gli aspetti finanziari.
Dai ricercatori viene sempre più consigliato il modello della cogenitorialità, ossia quel modello in cui i
genitori costituiscono una vera e propria alleanza che permette una crescita efficace dei figli; i genitori
si sostengono reciprocamente e questo li porta al raggiungimento di scopi comuni. Certo è che avere dei
genitori che collaborano e si sostengono a vicenda per la crescita dei figli non può che portare a una
solida crescita, soprattutto in questa società contemporanea dove esiste una pluralità di valori e di modelli
educativi, dove tutto è costruito sull'imperativo del consumo, dove la società ci porta sempre ad
omologarci ad un pensiero comune. Di fronte a questi imperativi sociali i bambini che crescono in una
famiglia dove esiste la collaborazione tra i genitori riescono ad affrontare il mondo in maniera più sicura.
Ecco perché diciamo che educazione dei bambini da parte dei genitori oggi rappresenta una delle sfide
più importanti.
3. I figli oggi
L'educazione dei figli non può prescindere da quei cambiamenti sociali ed economici di cui abbiamo
parlato finora, dei cambiamenti che non riguardano solamente le figure genitoriali, ma che investono
notevolmente anche la figura dei figli. Le nuove relazioni genitore-figlio possono portare all'emergere di
due poli opposti:
• da un lato vi è la tendenza da parte dei genitori a costruire per loro un mondo ovattato, sollevandoli da
ogni possibile responsabilità; una scelta che si potrebbe ripercuotere nel futuro perché cresceranno figli
con una bassa tensione per la responsabilità e la cura;
• dall'altro lato vi è la tendenza a incentivare sempre più prematuramente nei figli una sorta di autonomia,
portando a quella che gli psicologi chiamano precocità della crescita.
Nel primo caso si potrebbe fare un esempio di mondo ovattato che spesso si presenta ai nostri occhi. Di
fronte a un rimprovero da parte dell'insegnante nei confronti del figlio, il genitore tende di proteggere il
figlio e di sollevarlo da qualsiasi responsabilità. Oggi molto spesso il ruolo degli insegnanti viene
delegittimato dalla presenza dei genitori e questo atteggiamento può provocare nel bambino la sottrazione
del senso di responsabilità individuale e l'idea che tutte le sue richieste possono essere soddisfatte, tanto
che si parla di un fenomeno tipico di questa epoca, cioè l'abolizione dell'attesa e la possibilità del tutto e
subito.
Nel secondo caso si assiste al fenomeno della precocità nella crescita, ossia la responsabilizzazione dei
genitori verso dei figli che lasciano l'età dell'infanzia per assumere atteggiamenti da adolescenti. Anche
in questo caso possono esserci dei rischi, poiché il giovane che viene immerso in età adolescenziale
troppo presto, potrebbe non volerne più uscire e rifiutarsi di diventare adulto.
In entrambi questi poli fondamentale il ruolo che gioca la tecnologia, ossia la caratteristica vera e propria
della nostra società. Infatti, l'idea con cui crescono i bambini oggi è quella del tutto e subito, favorita
certamente dei mezzi tecnologici. Ad esempio in televisione non esiste più una fascia oraria per i
programmi per bambini, ma esistono interi canali che ventiquattr'ore al giorno propinano cartoni animati;
e se questo non bastasse si potrebbe stare tutto il giorno sul YouTube a farsi assorbire completamente
dalle immagini. In questo scenario il compito dei genitori di saper equilibrare le ore davanti ai cartoni
animati diventa molto difficile, poiché si al bambino viene concesso tutto si andrebbe ad intaccare il
senso del desiderio e dell'attesa nella realizzazione di quel desiderio, e un domani potrebbe crescere un
uomo che non riesce a separare il mondo ideale dal mondo reale, pensando che anche da adulti vige la
regola del tutto e subito. Fondamentale è anche il ruolo che gioca nella mente dei bambini la pubblicità
che passa in questi programmi. Molti studi hanno dimostrato che la pubblicità innesca nei bambini il
fattore assillo (nag factor): i bambini cominciano ad assillare i genitori per poter avere un determinato
oggetto pubblicizzato; i genitori più delle volte acconsentono per diversi motivi: o perché non vogliono
vedere diversi propri figli rispetto agli altri, oppure perché cercano di mitigare il proprio senso di colpa
dovuto al fatto che non trascorro molto tempo con i propri figli. Inoltre, la pubblicità gioca un ruolo
fondamentale nella precocità della crescita, poiché non di rado appaiono nelle pubblicità dei bambini che
vengono trattati come degli adulti, il cui corpo viene oggettivato e anche gli atteggiamenti sembrano
quelli di uomini e donne adulti, togliendo anni d'infanzia ai bambini.
L'età dell'adolescenza ha tantissime criticità, non più legate alle questioni tipiche dell'infanzia, ma
possiede degli elementi molto pericolosi sia per la vita che per la crescita psichica del soggetto. Ad
esempio l'adolescenza è l'età in cui vengono assunte delle sostanze oppure si inizia a guidare ad alta
velocità; e anche in questo caso non manca l'apporto della tecnologia, che in questo caso assume l'abito
dei social network, particolarmente importanti nella costruzione dell'identità.
I social network danno accesso a un mondo virtuale che rappresenta in tutto e per tutto il mondo reale,
all'interno del quale l'adolescente vive quel fenomeno già studiato in passato dell'egocentrismo
adolescenziale: il giovane si trova in un palcoscenico dove mette in scena la propria favola personale,
però non esiste un pubblico immaginario come in passato, oggi il pubblico è reale. Tutto questo può
essere positivo per gli adolescenti quando si tratta di creare la propria identità, tuttavia il rischio è quello
di essere legati troppo alla considerazione del giudizio altrui. Un ulteriore rischio è quello di creare la
propria identità a partire dal numero di like che vengono espressi su Facebook o su Instagram, dove a
creare la personalità del giovane è sicuramente il pensiero comune veicolato da questi strumenti: ad
esempio, si dà sempre più peso all'immagine esteriore, la quale si costruisce su determinati canoni, come
ad esempio la magrezza, la muscolatura, la perfetta forma fisica.
1. La storia
L'origine dell'asilo nido in Italia è fatta risalire all'OMNI (Opera Nazionale Maternità e Infanzia), voluta
dal regime fascista nel 1925. Quest'istituzione si occupava di asilo nido e consultori per arrestare la
mortalità infantile, infatti il loro ruolo era igienico-sanitario, senza dare attenzioni alle necessità educative
dei bambini. Negli anni 60 e negli anni 70 la gestione degli asili nido passò ai comuni, attraverso la legge
1044/1971, al fine di dare un servizio di accudimento per le madri lavoratrici e di riconoscere il valore
dell'infanzia. Da questo momento in poi gli asili nido verranno gestiti dal Comune con una quota di
iscrizione a carico delle famiglie.
In questo stesso periodo veniva divulgata la teoria sull'attaccamento e molti psicologi pensavano che,
per avere delle conseguenze positive nello sviluppo del bambino, la relazione con la madre non doveva
essere interrotta. Vengono prodotti moltissimi studi anche in Italia che favoriscono la riflessione
sull'attaccamento, la quale riflessione si traduce in un'attenzione al momento dell'inserimento all'interno
degli asili nido, un momento in cui è necessaria la presenza della madre accanto bambino per introdurlo
in questo nuovo spazio di vita e per favorire la costruzione di nuove relazioni di fiducia con la nuova
educatrice. L'educatrice, però, non deve sostituire la madre, ma favorisce una integrazione di quelli che
sono i ruoli della famiglia e soprattutto della madre. L'idea è quella di creare un ambiente, l'asilo nido,
che possa offrire un contesto di gioco e di relazione al bambino pari a quello familiare. Con la legge
107/2015 gli asili nido hanno il riconoscimento della funzione educativa nei confronti del bambino: si
tratta di un'istituzione in piena continuità con la scuola dell'infanzia, all'interno della quale vige un
sistema integrato di educazione ed istruzione per le bambine e per i bambini fino a sei anni di età.
A tal proposito si potrebbe fare un esempio. I ragazzi delle scuole medie di primo e secondo grado
svolgono i compiti a casa in maniera individuale, tuttavia condividono tra di loro attraverso i social
network i propri lavori. L'insegnante potrebbe intrecciarsi con questo nuovo modo di approcciarsi allo
svolgimento dei compiti scolastici: potrebbe proporre attività individuali e poi fare in modo che questa
attività vengono condivise la triste; potrebbe anche l'insegnante essere inserito in queste reti informali di
condivisione; si potrebbero utilizzare dei canali formali scolastici per far interagire l'intera classe in
maniera virtuale, ad esempio con le piattaforme che si trovano sul Web.
Certamente questi dispositivi si evolvono e cambiano in continuazione, e non solo gli insegnanti, ma
anche gli studenti, devono essere sempre pronti ad aggiornarsi sulle nuove evoluzioni della tecnologia;
basti pensare che, in ambito lavorativo e non, oggi vengono sempre più utilizzati i robot. L'aspetto
positivo di questa società basata anche sull'utilizzo della tecnologia e l'equilibrio dinamico che si è
venuto a creare: ogni qual volta le regole norme di questo sistema di attività umane intrecciate con le
nuove tecnologie vengono meno, allora sarà il sistema stesso a dotarsi di altre regole che possono
sostituire quelle non più efficaci: questa spinta viene definita apprendimento espansivo, ed è l'anima di
qualsiasi sistema di attività umano.
Questa spinta espansiva verso la rimodulazione delle norme del sistema tecnologico ha però dei rischi,
poiché l'intelligenza artificiale o il robot riescono ad adattarsi all'ambiente umano in maniera velocissima,
mentre gli esseri umani non hanno una velocità tale di adattamento e loro tempi risultano essere più
lunghi (basti pensare al film Lei in cui la intelligenza artificiale, scoperto che ci si può innamorare, si
innamora di tantissime altre persone contemporaneamente).
Con il concetto di fragilità genitoriale si intendono quelle situazioni in cui i genitori presentano delle
difficoltà o delle sofferenze psichiche, difficoltà sociali ed educative, le quali possono sfociare in forme
di disagio cronico o in disadattamento, tutti elementi che potrebbero creare ostacolo allo sviluppo del
bambino. Il termine fragilità deve essere inteso come riferentesi sia a qualcuno di delicato e gracile, ma
anche a qualcuno che ha bisogno e richiede aiuto. Forme di fragilità genitoriale possono manifestarsi
attraverso azioni omissive o azioni con missive nei confronti dei figli: ad esempio genitori che
trascorrono i figli oppure che praticano violenza fisica, verbale e sessuale.
Se l'apprendimento della lettura della scrittura avviene nello stesso periodo dello sviluppo psicomotorio,
cognitivo e linguistico, un elemento fondamentale di tale apprendimento è l'alfabetizzazione emergente,
ossia tutte quelle competenze e conoscenze su linguaggio scritto e parlato che il bambino ha appreso in
età prescolare. In questo caso si valutano la consapevolezza fonologica e la consapevolezza testuale,
nonché una conoscenza notazionale, ossia la capacità che il bambino ha avuto in età prescolare di
produrre dei segni grafici simili alla lingua di riferimento.
Stati elaborati dei modelli di lettura e di scrittura che non hanno solo una valenza teorica, ma servono
anche a comprendere i processi e i meccanismi che sono coinvolti nei disturbi specifici di apprendimento.
7. La capacità di soluzione dei problemi: il ruolo della memoria di lavoro, delle funzioni
esecutive e delle abilità metacognitive
Studiare l'apprendimento matematico non vuol dire soltanto focalizzare l'attenzione sul calcolo, ma anche
sulla soluzione dei problemi. Sia scuola che nella vita quotidiana abbiamo sempre bisogno di risolvere
problemi, ma in questo caso specifico si tratta di problemi matematici, la cui soluzione richiede
l'applicazione di una procedura matematica, come ad esempio le operazioni algebriche o aritmetiche. I
ricercatori hanno diviso il processo di soluzione di un problema in cinque fasi che coinvolgono diversi
processi cognitivi, generali o specifici, che sono necessari per giungere alla risoluzione del problema
matematico.
La comprensione del testo del problema, ossia le informazioni che vi sono contenute;
la rappresentazione delle informazioni attraverso uno schema coerente e unitario di tipo matematico;
la categorizzazione del problema, ossia individuare la categoria di appartenenza del problema;
la pianificazione, ossia individuare le operazioni necessarie, le strategie e gli obiettivi per giungere alla
soluzione;
La valutazione della correttezza della procedura applicata.
La soluzione di un problema matematico non coinvolge solamente le aree del cervello deputate
all'apprendimento matematico, ma coinvolge anche la memoria di lavoro le funzioni esecutive e le abilità
metacognitive.
Per quanto riguarda la memoria di lavoro, essa è deputata alla conservazione di informazioni che
riguardano i dati del problema e le operazioni che devono essere svolte per lo svolgimento del problema.
La memoria di lavoro è implicata in tutti i passaggi e deve essere in grado di mantenere disponibili tutte
le informazioni necessarie per la soluzione del problema.
Anche le funzioni esecutive, in particolare la capacità di aggiornamento e di inibizione delle
informazioni, risultano connesse alla soluzione del problema matematico. Per giungere alla soluzione il
bambino inserisce sempre delle nuove informazioni che aggiornano il suo procedimento, allora deve
scartare quelle superflue e irrilevanti e tenersi quelle importanti. Gli studi hanno rilevato che molti
bambino riescono a risolvere il problema matematico perché introducono informazioni non pertinenti
allo svolgimento dell'operazione. Ad esempio i bambini con disturbo di attenzione o di iperattività
riscontrano più difficoltà nel selezionare le informazioni appropriate allo svolgimento del calcolo.
Sono fondamentali anche le abilità metacognitive, le quali riguardano l'uso il controllo consapevole da
parte del soggetto delle proprie funzioni cognitive. Queste abilità riguardano la consapevolezza
metacognitiva, ossia la conoscenza del funzionamento della propria mente, sia i processi di controllo che
riguardano la guida che il bambino può dare a se stesso nell'applicazione di strumenti cognitivi per
giungere alla soluzione del problema.
Tra le abilità metacognitive, quelle più importanti sono la previsione, ossia prevedere il proprio livello
di prestazione in un determinato compito; la pianificazione, ossia la consapevolezza delle operazioni da
utilizzare; il monitoraggio, cioè riuscire a monitorare le proprie attività cognitive; la valutazione, ossia
valutare l'efficacia delle strategie utilizzate.
8. Traiettorie atipiche nello sviluppo dell'apprendimento matematico: verso una visione globale
e integrata
Oggi la necessità della psicologia e quella di avere una visione sempre più integrata dello sviluppo atipico
dell'apprendimento matematico, che non tenga conto solamente degli aspetti cognitivi di questo
apprendimento, ma anche dei fattori emotivo-motivazionali, dei fattori socioculturali e dei fattori
educativi. In tal senso Rubimsten ha proposto un inquadramento diagnostico che può servire sia dal
punto di vista teorico che dal punto di vista clinico. In particolare, questo inquadramento diagnostico
presuppone tre macrocategorie.
La prima corrisponde alla cosiddetta discalculia pura, ossia il disturbo primario del senso del numero e
della rappresentazione della quantità, caratterizzato da una persistente difficoltà nella capacità di
apprendimento, rappresentazione e di informazione del materiale. Di recente gli studiosi hanno ipotizzato
che questo disturbo non sia caratterizzato solo dal concetto di senso del numero, ma anche dalla
incapacità di elaborazione della durata temporale degli eventi, poiché gli eventi vengono sempre tempo
realizzati matematicamente. Diciamo che ad essere coinvolte in questo disturbo sono tutte quelle aree
della corteccia fronto-parietale che riguardano la misurazione e la grandezza.
La seconda corrisponde ad una classe di disturbi più ampia che interessa i disturbi dell'apprendimento
matematico, non associati ad altri disturbi dell'apprendimento. In questo caso il disturbo è legato alle
abilità cognitive dominio-specifiche, ma anche ad abilità cognitive più generali, come la memoria di
lavoro, e funzioni esecutive.
La terza riguarda i casi di comorbidità, in cui la discalculia si presenta in associazione con altri disturbi,
quali la dislessia, il deficit di attenzione, oppure la coordinazione motoria.
Anche i fattori ambientali, culturali e sociali contribuiscono ai disturbi dell'apprendimento matematico.
In età adolescenziale i soggetti sono a rischio di dipendenza non solo nel coinvolgimento di sostanze
psicoattive, ma possono anche sviluppare delle dipendenze nei confronti di comportamenti. In questi casi
ciò che conta è riuscire a rifugiarsi da qualche parte, cercarono base sicura, cercare anche un senso
inesauribile di ricompensa per alleviare le ansie, le angosce e le frustrazioni. Dunque, quando si parla di
dipendenza lo si fa in due modi: dipendenza verso una sostanza, come alcol e droghe, e dipendenze
verso un comportamento, come l'Internet addiction, il gioco d'azzardo o la vigoressia.
Il concetto di addiction comportamentali viene spesso associato al concetto di nuove dipendenze, ossia
quelle dipendenze che vengono sviluppate nelle nuove forme di interazione della società, nelle nuove
possibilità di relazione, cercando nuovi modi di gratificazione istantanea e nuovi modi di sfuggire al
vuoto.
Tra le nuove dipendenze incontriamo innanzitutto la dipendenza da Internet, sviluppata soprattutto dagli
adolescenti, i quali restano sempre connessi per paura di perdersi. Legata alla dipendenza da Internet vi
è anche la vigoressia, ossia la ricerca continua di un fisico perfetto dovuto soprattutto ai messaggi che i
media mandano come modelli culturali ed estetici da dover emulare. Accanto a queste due dipendenze
vi è anche il gioco d'azzardo, anch'esso legato alla dipendenza da Internet, il quale riguarda la possibilità
di arricchirsi senza il minimo sforzo e facendolo in molti casi dalla stessa abitazione. Tutte e tre queste
addiction vengono sviluppate dal soggetto per ridurre gli stati d'ansia e di frustrazione, egli servono per
riuscire a mantenere un certo benessere personale ma anche per condurre relazioni sociali di un certo
tipo.
Queste nuove forme di dipendenza vengono anche definite come comportamenti atipici, proprio perché
manca ancora una definita categoria diagnostica e soprattutto perché si deve evitare di considerare
patologie dei comportamenti che non possono rientrare all'interno di parametri diagnostici e non hanno
delle accurate diagnosi.
2. Dipendenza da Internet
Certamente lo sviluppo tecnologico ha cambiato la vita di tutti gli esseri umani, ma la fascia più
interessata alla dipendenza da Internet e quella che va dalla pubertà alla prima età adulta. In questa fascia
di età avviene lo sviluppo psicosociale più delicato, ed è anche il momento in cui si possono sviluppare
queste dipendenze. Da uno studio condotto in Europa risulta che il 4,4% degli adolescenti fa un uso
patologico di Internet.
In Giappone poi è diventato diffusissimo il termine hikikomori, per indicare tutti quegli adolescenti che
praticano l'auto isolamento della vita sociale punti sono giovani che arrivano fino al rifiuto della scuola
e del lavoro, per chiudersi in casa e non avere nessun contatto col mondo, se non attraverso i dispositivi
tecnologici, passando la maggior parte delle ore della giornata, ho tutto il giorno a contatto con computer,
giochi e social network, comunque sempre connessi a Internet.
Per i ragazzi affetti da Internet addiction, la rete diventa l'unica fonte per instaurare legami, l'unico mondo
da poter esplorare, l'unico dispositivo per sperimentare il proprio se. In poco tempo quello che è un mezzo
per l'instaurazione di relazioni, diventa l'oggetto di desiderio senza il quale la vita non avrebbe più senso
né valore, ma con il quale si può giungere a momenti di riconosciuta sofferenza (sintomi egodistonici).
Studi specifici hanno dimostrato che l'isolamento sociale e l'uso eccessivo di Internet possono causare la
perdita della percezione di sé e la perdita del senso di autocontrollo.
La dipendenza da Internet ha tre fasi:
• il coinvolgimento, ossia la curiosità di provare;
• la sostituzione, ossia la ricerca di quegli elementi nella vita virtuale che la vita reale non riesce a dare;
• la fuga dal mondo reale.
Chi fa un uso patologico di Internet non riesce a controllare i propri impulsi, una caratteristica che viene
descritta anche nel fenomeno del problem gaming. In altre parole, il bisogno irrefrenabile di utilizzare
la rete viene spesso accompagnato da una perdita di controllo, poiché vi è una richiesta sempre costante
di essere connessi. Altre caratteristiche della dipendenza da Internet sono il ritiro sociale, la vergogna e
l'inibizione.
Ma il problema centrale della dipendenza da Internet è la sostituzione della realtà con una realtà virtuale
e la saturazione dei bisogni emotivi attraverso esperienze virtuali. Il ragazzo cerca di trovare se stesso e
gli altri attraverso Internet, ma non si accorge che sta creando problemi nella costruzione della propria
identità che adesso diventa diffusa e confusa. Non riuscire più a differenziare la vita reale della vita
virtuale potrebbe compromettere gli aspetti più importanti della vita del soggetto, da quello lavorativo a
quello accademico, da quello familiare a quello relazionale in genere.
Vi è anche una stretta relazione tra la dipendenza da Internet e i comportamenti di tipo internalizzante ed
esternalizzante, in quanto Internet diventa il modo per sfuggire ai problemi e alleviare i sentimenti di
impotenza, ansia e depressione. Inoltre, la mente dell'adolescente, anche quando non è più on-line, resta
proiettata nella dimensione virtuale e ne avverte mancanza e bisogno.
4. Vigoressia
I nuovi media propongono continuamente paradigmi culturali e sociali talvolta stereotipati, che inducono
uomini e donne a cercare un'immagine perfetta di sé. Eventi di questo genere intaccano soprattutto la
psiche dell'adolescente che si trova nel momento dello sviluppo della propria identità, e cerca di
raggiungere dei livelli di soddisfazione corporea volti a migliorare la propria autostima e il proprio senso
di autoefficacia. Fino a questo livello non ci sono disturbi di tipo psicologico, poiché la propria immagine
può diventare fonte di soddisfazione e va a soddisfare quel bisogno evolutivo che riguarda il piacersi il
sentirsi accettato. Infatti chi ha una cura del proprio corpo non disfunzionale cerca sempre dei feedback
positivi nel gruppo di riferimento, feedback che in età adolescenziale aiutano alla costruzione del proprio
sé.
La soddisfazione corporea è un fattore cruciale in adolescenza e può portare dei comportamenti atipici,
come il desiderio utopistico di raggiungere un corpo perfetto. Gli adolescenti possono raggiungere questo
desiderio in due modi diversi: o attraverso condotte alimentari distorte che portano all'anoressia o alla
bulimia, oppure attraverso l'allenamento sfrenato e l'intolleranza nei confronti di ogni minima
imperfezione.
La Vigoressia è un disturbo psichico già studiato negli anni 90, dove è emerso che uomini bodybuilders,
nonostante avessero una struttura muscolare fuori dal normale, continuavano a sentirsi gracili e quindi
insoddisfatti (reverse anorexia). I sintomi di questa addiction sono perlopiù estetici, poiché l'uomo e la
donna che ne sono affetti tendono a coprire il proprio corpo in spiaggia, vestono con abiti lunghi anche
in piena estate, poiché si sentono sempre gracili. Le loro giornate passano in palestra con esercizi di
potenziamento muscolare fuori dalla norma, si guardano perennemente allo specchio e conducono diete
iperproteiche, utilizzando anche farmaci anabolizzanti per aumentare la propria massa muscolare.
Ancora oggi non vi è un'etichetta diagnostica per la vigoressia, poiché appare sia come un disturbo
dell'alimentazione, legato all'anoressia e alla bulimia, sia come un disturbo ossessivo-compulsivo. Anche
in questo caso, come nelle altre addiction, le conseguenze del disturbo coinvolgono le relazioni sociali,
affettive,, con perenni stati di angoscia e frustrazione, nonché con problemi di salute legati agli steroidi
anabolizzanti.
6. Conclusioni
Sebbene le addiction elencate in questo capitolo non corrispondano a delle categorie diagnostiche
accertate, non vi è dubbio che esse abbiano delle conseguenze notevoli e drammatiche nello sviluppo
emotivo, sociale relazionale delle persone. Hanno un impatto negativo nella strutturazione del sé in
adolescenza e possono portare ad altre patologie.
CAPITOLO 15: DAI BAMBINI AI ROBOT: MODELLI DI ROBOTICA DELLO SVILUPPO
Il nostro mondo vede sempre più l'arrivo di minori all'interno del nostro paese e in generale di tutta
l'Europa. Il minore si trova a vivere in una condizione di vulnerabilità, sia perché è un minore, sia perché
è uno straniero, e la partita si gioca all'interno di un contesto sociale multiculturale all'interno del quale
il minore appartiene alla parte minoritaria.
Affinché il bambino non viva situazioni negative è necessario porre attenzione ai processi di
accudimento e di cura che i genitori riescono a dargli anche in una situazione di minoranza etnica
all'interno di un paese straniero. È chiaro che anche in una situazione del genere il bambino è totalmente
dipendente dalle cure dell'adulto e che l'adulto esercita un'influenza decisiva nel suo sviluppo.
Un'altra sfida fondamentale per le società multiculturali e quella di analizzare lo sviluppo del bambino
che in un'età molto critica si trova a vivere con contesti culturali differenti, oltre a quello di origine.
Essendo un momento fondamentale per lo sviluppo della propria identità, è necessario preservare l'unità
del sé nelle diverse situazioni. La sfida di queste società è quella di permettere al bambino di mantenere
una forte integrità, di poter esprimere il proprio se producendo delle comparazioni tra codici culturali
diversi.
1. Il Parenting
Il parenting può essere definito come l'insieme delle pratiche genitoriali specifiche che influiscono sulla
strutturazione dei comportamenti infantili. Non vi è dubbio che siano proprio i genitori i primi a
contribuire allo sviluppo dei figli, non solo per il patrimonio genetico che danno loro in eredità, ma anche
per le modalità di interazione con il mondo circostante. Ed è proprio la cultura in cui sono immersi
genitori a giocare un ruolo determinante, e diventa ancora più complesso se questa cultura da
monoculturale diventa multiculturale.
A tal proposito è stato proposto il concetto di nicchia evolutiva, ossia il modo che hanno i genitori di
rappresentare a se stessi lo sviluppo del loro bambino ma anche il loro ruolo di essere genitori. Della
nicchia fanno parte le abitudini, i luoghi, le contingenze materiali, le personalità il temperamento di chi
si prende cura del bambino, e tutti questi elementi sono fondamentali per lo sviluppo della sua psiche. I
genitori inoltre hanno delle teorie con cui cercano di crescere il proprio figlio, teorie che risentono della
tradizione culturale d'origine, definite etnoteorie parentali. In altre parole si tratta delle idee che i genitori
si formano per crescere i propri figli, delle idee che risentono molto della cultura di appartenenza. La
questione si fa molto più complessa se ci sono dei genitori migranti, poiché il genitore deve intrecciare
insieme la cultura di appartenenza con la cultura del luogo di migrazione, due culture che da un lato si
sovrappongono, dall'altro lato si differenziano notevolmente.
Chiaramente genitori non devono mai perdere di vista il loro obiettivo, cioè quello di un parenting
positivo per la crescita fisica e psichica del proprio bambino, per questo motivo vengono utilizzate il più
delle volte delle formule culturalmente standardizzate, utili ai genitori per far crescere il proprio figlio
all'interno dei canoni culturali del paese che li ospita. I genitori, dunque, all'interno di una società
differente rispetto alla propria propongono differenti strategie per educare i propri figli.
Sono stati proposti tre modelli per descrivere il complesso intreccio tra sviluppo individuale e processi
culturali:
• il modello psicoculturale di Beatrice e John Whiting;
• il modello ecologico di Bronfenbrenner;
• il modello storico-culturale di Lev Vygotskij.
Genitorialità e contesti di sviluppo del bambino. L'approccio dei coniugi Whiting si preoccupa di
analizzare i processi culturali in cui vive il bambino, cercando di analizzare il rapporto tra l'individualità
del bambino e il contesto culturale in cui vive. Era necessario acquisire informazioni dettagliate sulle
condizioni di vita immediate del soggetto, ma anche sui processi culturali più ampi che lo hanno
preceduto. Secondo i due studiosi lo sviluppo è il risultato delle condizioni sociali e culturali in cui il
bambino viene immerso. Insieme a queste condizioni più generali vi sono anche le condizioni che
riguardano l'individuo stesso, ossia le sue abilità, i suoi valori e i suoi stili di comportamento. Sono state
mosse delle critiche a questo modello, poiché sembra che i processi individuali e culturali venissero
considerati come se esistessero indipendentemente l'uno dall'altro, quando invece sappiamo che per lo
sviluppo del bambino entrambi si intrecciano.
Il secondo modello è quello proposto da Bronfenbrenner, ossia la teoria ecologica. A differenza del
precedente modello, qui lo psicologo sottolinea il ruolo di interazione tra individui ambiente, poiché
l'ambiente in cui vive il bambino lo influenza totalmente: si pensi alla casa, la scuola, al luogo di lavoro.
Il modello viene rappresentato con una serie di cerchi concentrici dove i contesti più ampi influenzano
quelli più piccoli.
Mentre questi due modelli, seppur in maniera diversa, tengono separati il bambino-individuo dal contesto
sociale in cui vive, il modello della zona di sviluppo prossimale proposto da Vygotskij, invece,
presuppone un intreccio inscindibile tra lo sviluppo del bambino e il suo contesto storico, sociale e
culturale. Il bambino all'interno del suo contesto culturale riesce a impossessarsi degli strumenti culturali
che il suo contesto gli fornisce, quali la scrittura, la matematica, i tipi di ragionamento. E da questo
processo inizia lo sviluppo delle sue attività cognitive, dove pensare vuol dire usare gli strumenti culturali
che gli appartengono. Questa per lo psicologo russo e la zona di sviluppo prossimale, ossia quella serie
di strumenti che i genitori e l'ambiente circostante mettono nelle mani del bambino per il suo sviluppo.
In questo senso gli strumenti culturali vengono ereditati dai genitori e dalle precedenti generazioni e si
danno in eredità alle generazioni future, facendo della cultura qualcosa di dinamico. Così lo sviluppo del
bambino è legato intrinsecamente allo sviluppo della comunità culturale, e questi due elementi non
possono mai essere considerati separatamente. È in questo scenario inscindibile di natura e cultura che
si colloca l'attività di parenting del genitore, resa ancora più delicata dalle diverse etnoteorie parentali,
considerando il rapporto tra cultura d'origine e cultura ospitante.
2. L'identità etnica
Sono stati svolti molti studi sulle dinamiche culturali che vengono generate dall'incontro tra migranti e
autoctoni; una delle prospettive teoriche più utilizzate è quella di Barry, la quale descrive gli
atteggiamenti e comportamenti dei migranti nell'interazione con la società che li accoglie. In queste
dinamiche il minore con un background migratorio cerca delle soluzioni e si sforza per mantenere
quell'unità del sé nelle diverse situazioni, cercando di mantenere il proprio benessere e il proprio sviluppo
positivo. Oggi un concetto molto diffuso a livello scientifico ma anche a livello di linguaggio comune è
quello di identità etnica, ossia il sentimento di appartenenza ad un gruppo etnico. Oggi si assiste a una
sorta di etnicizzazione generalizzata che coinvolge più gruppi sociali, relazioni interpersonali e sviluppo
individuale.
Dal punto di vista dello sviluppo sono fondamentali processi di acculturazione e di contaminazione tra
le pratiche culturali, i percorsi educativi interculturali, formazione dell'identità e le relazioni con gli
autoctoni.
Il concetto di identità etnica è fondamentale nel bambino che si trova ad avere genitori che migrano per
la prima volta, poiché è l'elemento principale della costruzione della propria identità. Tuttavia, il trovarsi
in un altro contesto culturale può causare un processo di erosione culturale, che riguarda soprattutto la
prima generazione di coloro che migrano. Questi infatti giungono nel paese che li ospita con un
atteggiamento difensivo, molte volte non vengono neppure riconosciuti e cercano di non abbandonare le
proprie pratiche culturali e le proprie strutture sociali. I bambini allora crescono in una condizione in cui
la loro identità si basa su una etnicità senza radici, poiché i genitori continuano a promuovere il modello
di origine.
In questo contesto i minori stranieri, nel corso della loro socializzazione, sono costretti a confrontarsi con
diverse ipotesi di identità etnica: quella del paese d'origine della famiglia e quella del paese dove adesso
vivono. Si possono venire a creare delle diverse proposte di identità, dovute a un'identità etnica che i
genitori non vogliono abbandonare e trasmettono ai figli, ma anche alla impossibilità che questa identità
etnica possa essere riproducibile, andando così a intaccare le loro aspettative, i loro progetti sul futuro e
anche le loro relazioni. Se poi la comunità di accoglienza produce atteggiamenti di discriminazione,
allora il rischio di disagio sono notevoli, infatti le seconde generazioni sono quelli che pagano più di tutti
i costi psicologici dell'immigrazione, senza riuscire a ottenere benefici come invece avviene per la terza
e la quarta generazione.
Divisi tra la cultura d'origine e la cultura del paese ospitante, i minori con un background migratorio
patiscono la lacerazione dell'io, lo scontro tra due mondi nettamente differenti, e molte volte spetta
proprio al minore, da solo, trovare le difficili soluzioni per una mediazione tra questi due universi così
diversi. Il minore straniero tenta allora di ricomporre le lacerazioni che si trova a vivere e adotta quattro
possibili soluzioni, che dipendono da molteplici fattori che intervengono in queste complesse relazioni:
il minore, la sua famiglia, il paese d'origine, il paese di immigrazione, le relazioni con i connazionali nel
paese d'arrivo e i parenti rimasti nel paese d'origine.
Identità reattiva. Con questo termine si sottolinea l'atteggiamento assunto dal minore nel contrapporsi
alla cultura del paese ospitante attraverso l'enfatizzazione dei contenuti culturali del proprio paese
d'origine. Dalla lingua alla cucina, dall'abbigliamento ai costumi, i minori che reagiscono al paese che li
ospita tendono a escludere i coetanei autoctoni e a privilegiare i connazionali. I genitori appoggiano
questa scelta del minore e tendono a creare delle situazioni culturali in cui gli scambi avvengono solo
con i soggetti della propria etnia. Gli studiosi invece avvertono che occorrerebbe promuovere lo scambio
culturale con l'esterno, permettendo così al minore di sviluppare una maggiore stima di sé, in modo da
poter convivere anche in futuro con una società realmente multiculturale. Per questi minori la resistenza
culturale rappresenta un rafforzamento dell'identità etnica, anche se di riflesso porta una chiusura
ghettizzante nei confronti delle diversità.
Assimilazione. La seconda soluzione è quella del processo di assimilazione: il minore aderisce
pienamente alla cultura della società d'arrivo e rifiuta e rinnega la cultura d'origine della famiglia,
trasformando completamente la propria lingua, i propri valori e le proprie tradizioni, poiché questo
cambiamento viene visto come un passo verso la libertà e il futuro. In molti casi i giovani vivono una
sorta di socializzazione anticipatoria, cioè già nei paesi d'origine, ancor prima di partire, acquisiscono i
valori e la cultura della terra che li ospiterà. Il dato positivo dell'assimilazione è che i minori non fanno
fatica ad assimilare la cultura e la lingua del paese di immigrazione; inoltre questo fenomeno accade in
quei soggetti che giungono nel paese d'arrivo nei primi anni di vita, quando il legame con la cultura
d'origine non è forte e possono vedere nel paese che li ospita la soluzione alla propria identità.
Marginalità. La terza soluzione è quella della marginalità, che, secondo alcuni studiosi, è quella più
frequentemente usata tra i minori di seconda generazione. Si tratta di quei minori che vivono ai confini
dell'una e dell'altra cultura, rifiutano la cultura d'origine perché considerata quella perdente e non
vengono stimolati dalla cultura che li ospita perché troppo eccessiva, sono questi i casi in cui il benessere
psichico del minore rischia delle disfunzioni, poiché non si riescono a creare relazioni ne con i coetanei
connazionali ne con i coetanei autoctoni. L'identità unitaria viene pregiudicata e lo si vede soprattutto dal
fatto che utilizzano un imperfetto bilinguismo. Esiste una marginalità da frustrazione dovuta al fatto
che il minore non è riuscito a inserirsi nella nuova società, o dal fatto di non essere più riconosciuto dalla
famiglia, è una marginalità di passaggio, utilizzata come fase di cambiamento verso le nuove identità.
In questo secondo caso non si tratta di una condizione psichica negativa, poiché si è in attesa di un nuovo
scenario culturale. Tuttavia la condizione di marginalità diventa patologica quando perdura nel tempo,
esprimendo una totale incapacità di mediazione tra le due culture.
Doppia etnicità. La quarta soluzione è quella della doppia etnicità, e sembrerebbe essere quella che dal
soggetto maggiore libertà di modellare la propria identità a partire dall'incontro e dall'armonizzazione
delle due tradizioni culturali. Il soggetto si trova ad armonizzare integrare i valori delle due culture, infatti
coinvolgono quei minori che sono riuscite a integrarsi nel paese ospitante e soprattutto hanno trovato i
genitori coinvolti in questo processo di integrazione. Sembrerebbe essere la soluzione migliore perché
permetterebbe al minore con un background migratorio un maggiore equilibrio, una solida capacità
critica e una fine stabilità. Questa soluzione appare come il frutto di una situazione complessiva basata
sulla reale possibilità di scegliere ed elaborare diverse proposte identitarie.
3. Conclusioni
Da questo capitolo è emerso che la sfida del multiculturalismo e quella di garantire un supporto ai genitori
migranti per il benessere lo sviluppo dei minori con un background migratorio.
Una prima risposta delle società multiculturali potrebbe essere quella di favorire forme di
associazionismo familiare, in cui le famiglie di entrambe le culture possano incontrarsi e scambiare
vicendevolmente confronti e condivisione, favorendo il contatto, la conoscenza il dialogo tra le diverse
presenze familiari, in modo da prevenire o mitigare l'isolamento di alcuni nuclei familiari.
Una seconda risposta riguarda le attività extrascolastiche che possono essere proposte ai minori con un
background migratorio. Si tratta di attività informali che la scuola non può realizzare ma che riguardano
comunque contesti di gioco, disposte e di creatività artistica, in modo di sviluppare la resilienza dei
minori. Ad esempio una delle attività possibili sarebbe la conoscenza della lingua italiana, capace di
valorizzare l'integrazione, ma anche considerare la diversità all'interno di una cornice interculturale.
Una terza risposta potrebbe essere quella di favorire i metodi di apprendimento peer-to-peer, sia
all'interno del contesto scolastico, sia nelle attività extrascolastiche.
Non c'è dubbio che le società occidentali sono ormai avviate verso una composizione eterogenea dal
punto di vista etico e culturale, se si vogliono contenere le difficoltà e i problemi di quei giovani che
nascono in Italia da genitori provenienti da altre culture, allora le istituzioni, e anche la scuola, non
possono non pensare al futuro di questi giovani, che sono gli adulti di domani.