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CAPITOLO 1: LO SVILUPPO MOTORIO

1. Le teorie dello sviluppo motorio


Non è da molto tempo gli psicologi dello sviluppo si concentrano sull'evoluzione del controllo motorio
rispetto ai processi cognitivi di base del bambino. Fu David Rosenbaum nel 2005 a scrivere un articolo
in merito alle connessioni tra sviluppo motorio e sviluppo cognitivo. Oggi possiamo tracciare due punti
cardine di questo rapporto:
• da una parte l'analisi della relazione tra sviluppo motorio e sviluppo cognitivo,
• dall'altra parte l'approccio multidisciplinare, che mette insieme discipline come la psicologia e le
neuroscienze, e che considera anche le scienze dell'educazione e le scienze sociali.
Non vi è dubbio che dallo studio dello sviluppo motorio e possibile comprendere quali cambiamenti
cognitivi abbia il bambino: il movimento è causa ed effetto di cambiamenti cognitivi e, rispetto molti
processi psicologici, risulta essere osservabile direttamente e misurabile. Inoltre, attraverso il movimento
il bambino scopre il binomio corpo-ambiente, attraverso il quale riesce ad elaborare processi di
percezione e di apprendimento.
Ad oggi conosciamo tre macroapprocci teorici, maturativo, cognitivo ed ecologico, i quali si rifanno ai
tre approcci classici teorizzate da Thelen che caratterizzano lo studio dello sviluppo motorio:
1. Età dell'oro, corrispondente a un periodo fecondo ricco di studi;
2. Età dormiente, corrispondente ad una riduzione di interesse da parte degli psicologi dello sviluppo;
3. Età della rinascita, corrispondente ad un rinnovato interesse.
I primi studi (età dell'oro) furono svolti da Gesell e da McGraw e si inseriscono nell'approccio
maturativo. Secondo questi psicologi lo sviluppo motorio processo innato all'interno del soggetto, si
articola in diversi stadi che possono essere accelerati ritardati dalle caratteristiche dell'ambiente. Piaget
pensa che nei primi 18 mesi di vita del bambino comincia a definirsi lo stadio senso-motorio, fase in cui
il bambino comincia ad avere un approccio con il mondo esterno e a costruire la propria base percettiva.
In seguito, è stata formulata la teoria dell'Elaborazione delle informazioni, secondo la quale il processo
motorio viene spiegato come un processo di risoluzione di problemi, all'interno del quale il soggetto
coordini sui movimenti per raggiungere un obiettivo. In questa prospettiva, ad esempio, i Gibson pensano
che il bambino possa estrapolare delle informazioni dall'ambiente circostante, le quali poi si trasformano
nella diade percezione-azione. Vi è poi la Teoria dei sistemi dinamici, secondo la quale le abilità
motorie devono essere realizzate all'interno di fattori particolari quali l'attività neurale per il controllo dei
muscoli, i fattori fisici e i fattori biomeccanici, in quanto sono questi fattori che determinano il
cambiamento del soggetto considerando anche il rapporto massa muscolare/massa grassa e relazione con
il mondo esterno. Ad esempio, Adolph mette in rapporto le abilità motorie del bambino con la
stimolazione sociale: si viene a creare un rapporto bidirezionale che si sviluppa in due sensi: da un lato
l'informazione sociale stimola il movimento, dall'altro lato e il movimento del bambino che scaturisce
comportamenti sociali da parte degli altri.
Alle tre fasi elaborate da Thelen se ne aggiunge una quarta, l'approccio multidisciplinare, ossia l'incontro
di kinesiologica, anatomia, neuroscienze e scienze dello sviluppo all'ambito educativo. Il contributo di
queste scienze per smettere lo svolgimento regolare di alcune attività che conducono ai benefici del
bambino, considerando soprattutto lo svolgimento regolare di attività motorie all'interno della sua
quotidianità.
Condurre una vita in cui è presente un'attività motoria regolare produce, da un punto di vista neurologico,
il rilascio di sostanze (noreprinefine e noradrenalina) che permettono una maggiore esecuzione delle
funzioni cerebrali; da un punto di vista psicologico sia invece un'azione positiva sulla dimensione
emotivo-motivazionale, stimolando la gioia, l'orgoglio, la soddisfazione e la comunione con gli altri. In
questo modo aumenta l'autostima e l'auto efficienza del bambino, permettendogli anche di avere una
migliore percezione delle proprie qualità fisiche e corporee.

2. Le componenti del movimento


Lo sviluppo motorio rappresenta l'insieme dei cambiamenti nei comportamenti motori dalla nascita, dalla
vita intrauterina, fino aggiungere alla senescenza. Attraverso l'attività motoria il sistema nervoso,
soprattutto le aree corticali inviano degli impulsi al midollo spinale permettendo ad esempio i riflessi
primitivi; il cervelletto, poi, esercita un'azione di controllo sul movimento sulla postura e regola il tono
muscolare.
Il movimento ha delle componenti che si articolano in schemi motori e schemi posturali. Gli schemi
motori sono dinamici e si sviluppano in lunghezza, larghezza e altezza, sono fondamentali per tutte quelle
dinamiche che verranno all'inizio della vita del bambino: camminare, correre, strisciare, rotolare, saltare,
arrampicarsi. Invece, gli schemi posturali possono essere statici o dinamici e si sviluppano nelle tre
dimensioni dello spazio (lunghezza, larghezza e altezza), e riguardano flettere, estendere, spingere,
slanciare, inclinare, ruotare.
Le capacità motorie rappresentano le caratteristiche motorie, fisiche o sportive dell'individuo. Si tratta
di capacità senso-percettive, capacità condizionali, capacità coordinative, capacità di mobilità articolare.
Per capacità senso-percettive si intendono quelle capacità che riguardano il rapporto tra il corpo e il
mondo esterno e il trasferimento di informazioni che provengono dall'ambiente esterno; le capacità
condizionali sono invece i processi di produzione, trasporto utilizzo dell'energia affinché si possa
compiere il movimento: capacità di forza, velocità e resistenza: queste sono influenzate dall'età, dal sesso,
dal peso, della statura, della massa muscolare. Le capacità coordinative riguardano i movimenti
grossolani e fini del soggetto, movimenti che possono avvenire in modo rapido, fluido e finalizzato. I
movimenti grossolani sono quelli che coinvolgono un'ampia parte della muscolatura, come ad esempio
la corsa; i movimenti fini, invece, coinvolgono gruppi muscolari circoscritti, come ad esempio le dita.

3. Le fasi dello sviluppo motorio


Lo sviluppo motorio si realizza attraverso l'evoluzione progressiva e cumulativa durante tutto il percorso
di vita del soggetto, acquisendo padronanza dei movimenti ed efficienza fisiologica, biomeccanica
psicologica, permettendo così al soggetto l'adattamento alle condizioni ambientali.
Clark e Metcalfe hanno ideato la metafora della scalata della montagna per delineare lo sviluppo motorio
nel suo percorso evolutivo. Certamente tutto inizia già all'interno del grembo materno, quando a partire
dal terzo mese di gestazione inizia lo sviluppo degli strumenti motori del soggetto; tuttavia, la vera scalata
inizia alle pendici della montagna e viene sin da subito influenzata dalle condizioni di vita, dalle
condizioni dell'ambiente, ed ha come i genitori sono capaci di influenzare le prime fasi della vita. Si tratta
di sei tappe:
1. Periodo dei riflessi
2. Periodo dei movimenti preadattati
3. Periodo degli schemi di base
4. Periodo dei movimenti contesto-specifici
5. Periodo dei movimenti abili
6. Periodo di compensazione
Il periodo dei riflessi, inizia al terzo mese di gestazione e si conclude a circa due settimane dopo la
nascita. Si tratta dell'adattamento del soggetto all'ambiente intrauterino e a quello extrauterino, cercando
di diventare sempre più autonomo e servono ad aprire un dialogo con il mondo.
Il periodo dei movimenti preadattati, giunge fino ai 12 mesi ed è caratterizzato da movimenti volontari
con l'obiettivo di raggiungere autonomia nei confronti dell'ambiente circostante; in questo periodo si
raggiunge la posizione eretta e la capacità di locomozione.
Il periodo degli schemi di base, giunge fino a sette anni di età e il suo obiettivo riguarda l'evoluzione
degli schemi di locomozione e la padronanza delle proprie attività motorie. Anche in questo caso la
stimolazione ambientale e fondamentale per raggiungere le vette della montagna.
Il periodo dei movimenti contesto-specifici, giunge fino all'inizio della pubertà e il suo obiettivo è quello
di adattare gli schemi motori di base alle situazioni che si vengono a creare nell'ambiente circostante,
considerando i fattori familiari, culturali e sociali.
Il periodo dei movimenti abili, ha inizio con l'età puberale intorno ai 13 anni. Il suo scopo è quello di
massimizzare la prestazione motoria riducendo lo sforzo fisico ed è caratterizzato soprattutto dalla
crescita del corpo, dall'incremento della forza e dei cambiamenti cognitivo-emozionali.
Il periodo di compensazione, infine, è caratterizzato dalla capacità del sistema motorio di riorganizzarsi
a causa dei processi di invecchiamento o causati da danni che possono presentarsi all'interno del sistema.
In questo caso il sistema si riadatta anche a condizioni di disabilità.

4. Lo sviluppo motorio 0-2 anni


Le tappe fondamentali dello sviluppo si avvia alla nascita fino ai cinque anni. È questo il periodo in cui
il bambino comincia ad avere conoscenza del proprio corpo e conoscenza del mondo circostante, subendo
soprattutto l'evoluzione più accelerata durante il corso della sua vita: si stima che nei primi 12 mesi di
vita il bambino riesca a crescere da 50 cm a 75 cm e a raggiungere un peso da 3,4 kg a 10 kg. In questo
periodo il neonato presenta un repertorio di riflessi, ossia risposte involontarie a degli specifici stimoli
esterni, che stanno in continuità con le azioni involontarie che compiva all'interno del grembo materno.
Questi riflessi gli permettono di vivere all'interno del mondo circostante e di acquisire una progressiva
padronanza del proprio corpo. Ad esempio, proprio nei primi due anni vita il bambino acquisirà
competenze motorie, alcune grossolane, come ad esempio il controllo della postura, la capacità di
posizione seduta, di posizione eretta e di locomozione; altre di motricità fine, quali la manipolazione e la
prensione degli oggetti. Questo sviluppo è regolato dalla legge della progressione cefalo-caudale, data
dall'anticipazione cronologica del controllo della testa del tronco sul controllo degli arti, e dalla
progressione prossimo-distale, data dall'anticipato sviluppo dei movimenti degli arti rispetto alle parti
distali (estremità, punto più lontano dal luogo di origine). I movimenti di manipolazione, come ad
esempio i tentativi di raggiungere afferrare, sono segnati all'inizio da un basso livello di coordinazione
delle fasce muscolari poiché manca il livello di coordinazione occhio-mano, una coordinazione che è
gestita dalla postura ed alla stabilizzazione del tronco. Da ciò si comprende che il miglioramento della
postura è un'azione motorie di cruciale importanza poiché permette l'avvio di azioni motorie a cascata
che consentono maggiori possibilità di esplorazione, di interazione sociale, di azioni manuali e
locomozione.

5. Lo sviluppo motorio 3-5 anni


Questo periodo è segnato dalla frequenza della scuola d'infanzia e quindi da un nuovo impatto con
l'ambiente esterno. Vengono affinate le competenze di motricità grossolana e fine e soprattutto il bambino
comincia a vedere i propri cambiamenti fisici corporei, poiché assiste alla sua crescita e all'aumento del
peso. Inoltre, in questo periodo sono molto più varie, complesse e sofisticate le abilità che può acquisire,
rispetto all'età precedente: ad esempio riesce a usare il triciclo con entrambi i piedi e successivamente
riesce a fare delle inversioni a U.
Sebbene si possa generalizzare e creare uno schema della sequenza evolutiva si è per quanto riguarda lo
schema motorio sia per quanto riguarda quello posturale, questi fattori cambiano da bambino a bambino
e dipendono dallo sviluppo percettivo, cognitivo e sociale, ma anche dalle pratiche educative che
vengono svolte nei confronti del soggetto. Ad esempio, le prove di velocità e di agilità sono legate alle
migliori abilità di attenzione e di memoria che il bambino realizza durante un lavoro; pure delle capacità
più elevate di equilibrio dinamico sono legate a maggiori capacità di memoria di lavoro. Le abilità
prescolare di motricità fine sono invece associate all'abilità cognitive scolastiche, come ad esempio
prestazioni in matematica e lettura nei primi due anni di scuola primaria.
Le pratiche educative di alfabetizzazione motoria in età prescolare riguardano giochi di movimento,
percorsi circuiti, per allenare sia le capacità motorie sia le capacità cognitive del bambino, ed essi
avvengono in spazi piccoli e poi in spazi sempre più grandi, seguendo delle traiettorie diverse, a volte
con linee curve, a volte in diagonale, cambiando anche i tempi, da lento a veloce, fino a velocissimo.
Cambiano anche le condizioni ambientali in cui questi giochi vengono realizzati in modo da creare delle
informazioni acustiche, visive, uditive, tattili in un solo tempo.

6. Lo sviluppo motorio in età scolare


Gli schemi motori di base che il bambino costruisce in età prescolare verranno poi utilizzate in età scolare,
soprattutto per ampliare le sue capacità di locomozione e controllo degli oggetti. Gli schemi motori,
dunque, rappresentano la base per quelle capacità motorie mature che riguardano la vita di ogni individuo
e che si esprimono nelle attività di gioco e nelle attività sportive, in quelle artistiche è in quelle quotidiane,
capaci di dare autonomia alla persona e benessere anche nel rapporto con il mondo esterno. Avere delle
buone capacità di base vuol dire anche costruire una forte personalità, una forte autostima, una buona
immagine corporea anche in età adolescenziale.
Studi recenti hanno dimostrato che delle buone competenze motorie intensificano le abilità scolastiche
di lettura, scrittura e calcolo, facendo aumentare le capacità cognitive di ogni soggetto, la sua
concentrazione, la sua memoria, le capacità di pianificazione. Si comprende allora che l'attività fisica che
viene svolta nella scuola primaria, ossia circa 40 minuti al giorno, ha come obiettivo quello di
incrementare e migliorare le prestazioni cognitive dei bambini, sviluppando soprattutto l'attività delle
aree prefrontali e parietali.
Già all'inizio dell'età scolare si comincia a vedere quanto sia stretta la relazione tra le attività motorie e
le influenze ambientali, culturali e familiari a cui il bambino è sottoposto. All'interno della scuola si
cominciano a vedere le differenze tra i bambini che hanno avuto una educazione motoria significativa i
bambini che invece sono carenti di questa educazione; i primi sono certamente più sciolti nella
coordinazione della loro motricità, sia grossolana che fine; i secondi sviluppano invece dei movimenti
lenti e manifestano incapacità locomotori. In questo secondo caso i genitori potrebbero avere il sospetto
di disturbo della coordinazione motoria, ossia un insieme di disturbi che riguardano la goffaggine, la
lentezza, e l'imprecisione nella realizzazione di alcune attività motorie, non solo a scuola, ma anche nella
vita quotidiana. Il più delle volte i bambini si trovano ad avere disturbi di coordinazione motoria in
relazione al loro peso corporeo, il quale, quando raggiunge i livelli di sovrappeso o di obesità, influenza
la geometria del corpo e i movimenti grossolani che vengono eseguiti con difficoltà. Questa condizione
favorisce al limitare o a ridurre i livelli di attività fisica, incrementando ancora di più il livello di
sovrappeso. Sono proprio questi indici di obesità e di inattività che possono portare a dei problemi di
salute legati alle età successive.

7. Lo sviluppo motorio in età adolescenziale


Il passaggio dall'infanzia alla preadolescenza e poi all'adolescenza piena è un periodo di grandi
cambiamenti fisici e di conquiste intellettuali e sociali da parte del soggetto. In questo preciso momento
lo sviluppo motorio è fondamentale per dare al soggetto un nuovo incontro con la sua nuova identità
corporea, con la sua crescita fisica, con la sua maturazione sessuale, tutte attività legate al suo rapporto
con l'ambiente esterno e con una presa di autonomia sempre crescente.
I cambiamenti che ragazzi e ragazze vedono nella propria persona variano da soggetto a soggetto, ma
comunque vedono un aumento del peso dell'altezza, una maturazione sessuale, l'aumento dei seni nelle
donne e la crescita della barba negli uomini. Tuttavia, le ragazze presentano uno sviluppo puberale più
precoce (15-16 anni), mentre i ragazzi possono incrementare la loro altezza fino a 19 anni. Questo tipo
di maturazione puberale rientra all'interno di determinati margini, poiché una maturazione precoce o
tardiva può creare dei disturbi ai soggetti, come ad esempio condotte antisociali o squilibri alimentari.
Certamente l'avere un'immagine positiva del proprio corpo conduce l'adolescenza a non generare
inadeguatezza e inferiorità nei confronti del mondo e dei propri pari; tuttavia, quando questo avviene,
cioè che non si accetta il proprio corpo, si può sfociare in disturbi del comportamento alimentare o
vigoressia.

8. Lo sviluppo motorio in età adulta e senescenza


Generalmente si è portati a pensare che la competenza motorie del soggetto subisce un'inversione a U
nella fase regressiva della vita, ossia dopo l'età adulta. Si pensa che questa regressione motoria sia dovuta
al cambiamento delle strutture periferiche, dei muscoli, dei nervi, delle strutture centrali del cervello,
quali la riduzione di materia bianca la riduzione di materia grigia, ossia da tutti quei cambiamenti che
avvengono con l'invecchiamento.
Tuttavia, bisogna fare una distinzione tra:
• Prestazione motoria, ossia i peggioramenti che avvengono in età senile, caratterizzati da
maggiore lentezza e movimenti sempre più goffi, con difficoltà di coordinazione e di elaborazione
visuo-motoria. A subire questi cambiamenti sono l'equilibrio della natura, le quali sono causa di
ferite o cadute nel 20-30% dei casi.
• Apprendimento motorio, ossia la capacità di apprendimento di compiti motori. Questa capacità,
a differenza delle prestazioni motorie in peggioramento, non peggiora affatto in età senile.
Sembra che gli anziani riescano ad apprendere nuovi compiti motori anche se nello svolgerli
registrano molte difficoltà.
Con l'aumento della durata e della qualità della vita, sono stati attuati dei programmi di attività motoria
adattata, finalizzati alla prevenzione del rischio di cadute e di decremento muscolare, finalizzate anche
al miglioramento dell'equilibrio e al controllo della postura e della flessibilità articolare.
CAPITOLO 2: LO SVILUPPO DELLE EMOZIONI E DELLA
COMPETENZA SOCIOEMOTIVA

Con la rivoluzione cognitiva degli anni '60 le correnti psicologiche più svariate hanno iniziato come
oggetto di ricerca scientifica: sia che si tratti di teorici evoluzionisti, sia che si tratti di cognitivisti, è stata
data una definizione unitaria di emozione: processo multi-componenziale, che coinvolge principalmente
la valutazione cognitiva degli eventi, l'attivazione neurofisiologica, l'espressività, e la tendenza a
compiere azioni.

1. Lo sviluppo emotivo
Quando si vuole affrontare lo studio delle emozioni bambini, la prima cosa da fare è sicuramente quella
di avere un approccio metodologico, soprattutto dato che l'emozione è qualcosa che nasce dall'esperienza
e che quindi non può essere attribuita ai bambini fin da subito. Iniziamo parlando di tre teorie diverse.
La teoria differenziale. Questa teoria è sostenuta principalmente da Izard, il quale sostiene che il
bambino possiede due tipi di emozioni:
• Le emozioni primarie o di base, che sono innate nel bambino è universale, e riguardano la paura,
la collera, la gioia, tristezza e il disgusto;
• le emozioni complesse o secondarie, che invece scaturiscono dalla consapevolezza di sé e sono
attivate solo a partire dalla fine del primo anno di vita: vergogna, colpa, imbarazzo, orgoglio,
odio.
Secondo la prospettiva differenziale esistono quindi delle emozioni innate e universali all'interno del
soggetto, le quali vengono espresse fin dalla nascita. Basti pensare alle espressioni facciali che, secondo
Izard, altro non sono che dei feedback delle esperienze emotive che il bambino sta realizzando suo
interno. In questo modo si comprende che le emozioni innate all'interno del bambino funzionano in modo
indipendente rispetto alla sua formazione cognitiva, senza contare che queste espressioni facciali hanno
anche una valenza sociale, poiché il bambino riesce a comunicare in modo preverbale con gli adulti che
gli stanno intorno.
Nel corso del primo anno di vita fino a tutto il secondo anno il bambino vive tre livelli di sviluppo
emotivo:
• il primo livello (0-2 mesi) chiamato anche esperienza sensorio-affettiva, riguarda quelle
emozioni innate all'interno del soggetto che gli permettono di comunicare i propri bisogni a chi
gli sta intorno, attraverso il disgusto, lo sconforto e l'interesse;
• il secondo livello (3-9 mesi), chiamato anche esperienza percettivo-affettiva, riguarda un
periodo in cui il bambino è in grado di esplorare l'ambiente esterno iniziando a conoscere
emozioni quali la collera, la tristezza la paura;
• il terzo livello (9-24 mesi), chiamato anche esperienza cognitivo-affettiva, vede il bambino
iniziare a costruire delle emozioni complesse, come la colpa, la vergogna, la timidezza, che
attestano la consapevolezza che ha di sé.
Soprattutto all'interno delle neuroscienze affettive oggi l'approccio differenziale viene utilizzato per
studiare i meccanismi neurali delle emozioni, considerando la dimensione emotiva precedente a quella
cognitiva, come se un pacchetto preformato di emozioni universali esistesse all'interno del bambino.
La teoria della differenziazione. Tale teoria, elaborata da Sroufe, considera che alla nascita il bambino
differenzia al suo interno stati di sconforto e stati di piacere. A partire da questa differenziazione vengono
a formarsi le emozioni vere e proprie coinvolgendo tre diversi sistemi psicologici.
Il sistema piacere/gioia, avviene a partire dal secondo mese di vita e produce nel bambino una sorta di
sorriso endogeno, che egli ricava direttamente dagli stati fisiologici interiori che gli procurano benessere.
Si potrà parlare di un sorriso sociale solamente a partire dal terzo mese di vita; mentre una vera e propria
emozione di gioia si avrà solo a partire dal quarto mese di vita, ossia quando il mondo circostante
procurerà benessere al bambino.
Il sistema circospezione/paura, nasce già nel periodo prenatale e riguarda degli stati interiori del
bambino; solo a partire dai sette mesi arriverà la paura vera e propria determinata dall'interazione con
l'ambiente circostante.
Il sistema frustrazione/rabbia, nasce anche in periodo prenatale, tuttavia in un primo momento il
bambino prova una frustrazione dovuta a questione di motricità e di costrizione fisica, solo a partire dai
sei mesi di vita comincerà a provare rabbia in relazione a ciò che subisce dall'esterno, come ad esempio
l'interruzione di un'azione intenzionale.
In merito a questa suddivisione, Sroufe ha proposto un modello di sviluppo emotivo per i primi tre anni
di vita del bambino, un modello che è sempre legato allo sviluppo cognitivo e a quello socio effettivo.
L'approccio funzionalista. Quando si tratta di studiare la natura funzionale delle emozioni nella
regolazione dell'interazione individuo-ambiente, allora ci si riferisce all'approccio funzionalista. In
particolare esistono tre funzioni all'interno dello sviluppo del bambino.
La funzione biologica, grazie alla quale il bambino riesce a mantenere la propria sopravvivenza: ad
esempio attraverso il disgusto si protegge dall'assunzione di cibi nocivi.
La funzione comunicativa, capace di gestire gli scambi interpersonali con il mondo circostante. In merito
a questa funzione è stato studiato il riferimento sociale, ossia l'azione facciale che il bambino produce
per mostrare una determinata emozione in determinati momenti particolari (come quando prova sollievo
a rivedere la madre dopo un periodo di separazione).
La funzione di informare circa il raggiungimento di desideri e scopi, ossia di fronte ad alcuni eventi o
esperienze che il bambino subisce, egli produce delle espressioni emotive.
Si comprende che l'approccio funzionalista studia le emozioni a partire dall'interconnessione tra il
bambino e l'ambiente circostante, enfatizzando il ruolo degli apprendimenti sociali e culturali.

2. Lo sviluppo della competenza socioemotiva


Fino a questo momento la psicologia si è focalizzata sull'origine delle emozioni, tuttavia vi è una
dimensione di studi che ha riflettuto molto sulla funzione che le esperienze emotive assumono all'interno
della vita quotidiana. Per guardare a questa funzione stato necessario analizzare il rapporto che il soggetto
ha con la società e come sia proprio la società scaturire al suo interno delle emozioni, lo si è fatto
attraverso il concetto di cultura emotiva e attraverso il concetto di intelligenza emotiva, due diverse
ricerche della psicologia.
Essendo che le emozioni derivano dalla società esterna al bambino, si può parlare di competenza
socioemotiva, una disciplina che è stata studiata profondamente dalla dottoressa Saarni, secondo la
quale la competenza emotiva si costruisce a partire da alcune abilità necessarie per gestire i rapporti
sociali, e da questa gestione si producono delle emozioni che hanno la funzione di dare significato agli
eventi sociali.
La dottoressa approfondisce principalmente otto abilità emotive che vengono sviluppate da bambino e
che possono essere ricondotte a tre macroaree:
• l'espressione emotiva, ossia la manifestazione delle emozioni attraverso dei canali verbali e non
verbali;
• la regolazione emotiva, ossia processi estrinseci intrinseci che servono al bambino per
monitorare, valutare e modificare le emozioni al suo interno, sia per intensità che per durata;
• la comprensione delle emozioni, ossia la conoscenza della natura delle emozioni, loro cause e
le strategie che possono essere utilizzate per regolarle.
Lo sviluppo dell'espressione delle emozioni. L'espressione delle emozioni avviene in maniera non
verbale fino al secondo anno di vita, partire dal secondo anno di vita anche in maniera verbale. Attraverso
l'utilizzo della tecnologia, nella fattispecie di videoregistrazioni, si sono potute studiare tutte quelle
emozioni facciali che il bambino scambia con il mondo circostante per creare delle relazioni emotivo-
affettive. Dagli studiosi è stata data particolare attenzione al volto, lo sguardo, i gesti, ai movimenti
corporei, alla voce e al contatto, che il bambino ha con il mondo esterno, tutti elementi che permettono
la costruzione delle sue emozioni, le quali avvengono in tre fasi.
Nella prima fase le emozioni sono regolate dei processi biologici, soprattutto dalla dimensione del gusto,
dell'udito, del dolore e dei volti umani, in questa fase si vede il sorriso endogeno o automatico che nasce
da stimoli interni e non da stimoli esterni.
Nella seconda fase, che inizia intorno ai due mesi di vita, il bambino inizia a instaurare un vero e proprio
dialogo emotivo con il proprio caregiver, trattandosi soprattutto di emozioni intenzionali che vuole
esprimere all'altro. In questa fase compare il sorriso sociale, attivato soprattutto dal volto dell'adulto che
sorride al bambino; dopo i due mesi cominciano a comparire la sorpresa, la rabbia, la tristezza, mentre la
gioia e la paura dopo il quarto e il quinto mese.
Nella terza fase, che inizia a partire dal secondo anno di vita fino ai tre anni, compaiono quelle che
vengono dette espressioni di emozioni sociali o complesse, come la vergogna, l'imbarazzo e la colpa
sono queste certamente delle emozioni che nascono nel bambino attraverso la consapevolezza di sé; solo
alla fine di questo periodo il bambino comincerà a provare le emozioni di disprezzo e delle emozioni
miste.
A partire dal terzo anno di età il bambino riesce a controllare modificare volontariamente le espressioni
delle proprie emozioni, soprattutto per cercare sempre una connessione con il mondo circostante; queste
modificazioni volontarie vengono chiamate regole di esibizione e consentono al soggetto di apparire
adeguato sotto il profilo emotivo all'ambiente che lo circonda: comincia a utilizzare espressioni facciali
che possono manifestare gioia o dispiacere, ma sono espressioni facciali che vengono gestite governate
dal bambino stesso.
Lo sviluppo della regolazione delle emozioni. Thompson ha definito la regolazione delle emozioni
come l'insieme di quei processi che sono coinvolti nel monitoraggio, nella valutazione e nella modifica
delle risposte emotive, considerando soprattutto la loro intensità e la loro durata. In questa regolazione
un ruolo fondamentale è svolto dal caregiver, basti pensare all'interazione tra la madre e il bambino. A
questo proposito lo scienziato, insieme ad altri ricercatori, ha messo a punto un paradigma sperimentale
chiamato still face paradigm (paradigma del volto immobile), per osservare, in condizioni normali questa
interazione. Si è notato come il bambino entra in uno stato di confusione e di sconcerto nel momento in
cui cerca di portare su di sé l'espressione del volto della madre, ma la confusione subentra nel momento
in cui il volto della madre rimane immobile.
Tronick ha proposto il modello di regolazione reciproca, nel quale si considera il sistema emotivo del
bambino come auto organizzato, cioè capace di darsi delle regole nell'interazione emotiva con la madre.
In questo modo si è compreso che madre e bambino vengono inseriti in un sistema diatico di mutua
regolazione e nel momento in cui la madre mostra il suo volto immobile, allora il bambino modifica
immediatamente le sue modalità comunicative.
Anche in questo caso possiamo cogliere cinque fasi di sviluppo della regolazione emotiva che
rappresentano il processo evolutivo dello sviluppo psicologico del bambino e dei suoi cambiamenti.
Una prima fase riguarda il primo anno di vita del bambino, nella quale il ruolo dell'adulto è fondamentale
e permette al bambino di esprimere le proprie emozioni. In un primo momento solo pianti e sorrisi, poi
arrivano le emozioni auto regolate, come ad esempio la suzione del pollice o il distogliere lo sguardo da
uno stimolo molto eccitante. Con il passare del tempo il bambino produce volontariamente delle
emozioni, come quando si copre gli occhi per difendersi da stimoli sgradevoli.
Una seconda fase, che va fino ai tre anni, risulta essere quella più importante, poiché è il momento in
cui il bambino acquisisce le competenze motorie, quelle cognitive, quelle linguistiche e quelle emotivo-
affettive. Qui il bambino comincia a comunicare in maniera verbale e comincia anche a creare delle
rappresentazioni mentali legate all'attaccamento con il mondo circostante. In questo momento il bambino
comincia ad attaccarsi alle persone, chiede il conforto fisico, la consolazione e l'adulto ricopre un ruolo
minore rispetto a quello della prima fase, ma comunque importante per sostenere le sue esperienze
emotive.
Una terza fase è quella dell'età prescolare, dove il bambino acquisisce e incrementa nuove capacità
linguistiche cognitive e comincia a comprendere che l'altro ha un suo mondo interno fatto di pensieri,
credenze, desideri le emozioni. È il momento in cui il bambino attraverso il gioco riesce a creare le sue
esperienze emotive.
Una quarta fase, che giunge fino ai sei anni, riguarda l'ingresso nella vita scolastica del soggetto,
momento in cui vengono incrementate le sue abilità di autoregolazione, adattandosi così alle complesse
situazioni che di volta in volta si presenteranno nella vita sociale.
Una quinta fase è quella della preadolescenza, dove le esperienze emotive si fanno particolarmente
intenso soprattutto a causa dello sviluppo ormonale e neurologico. Si intensificano le strategie di
regolazione riconducibili a certe strategie interne funzionali, strategie interne disfunzionali, strategie
esterne funzionali e strategie esterne disfunzionali. Anche in quest'ultima fase l'obiettivo è quello di
creare una relazione con l'ambiente esterno tanto adeguata da poter dare benessere psicologico al
soggetto.
Lo sviluppo della comprensione delle emozioni. Una certa psicologia si è dedicata anche alla
conoscenza delle cause e della possibilità di regolazione emozionale. Denham ha visto che i bambini già
tra i due e i tre anni riescono a riconoscere le proprie espressioni emozionali attraverso le espressioni
facciali. Harris ha invece indagato nove componenti che riguardano la comprensione delle emozioni e
tutti i suoi aspetti, coprendo una fascia di età che va dai 3 agli 11 anni, e dividendo la in tre livelli definiti:
• il livello esterno e raggiunto dai bambini tra i tre e i cinque anni
• il livello mentale e raggiunto tra i cinque e gli otto anni
• il livello riflessivo e raggiunto entro gli undici anni.

3. La socializzazione emotiva
I primi studi di socializzazione emotiva hanno posto l'accento sulle strategie messe in atto dagli adulti
che interagiscono con il bambino per promuoverne la competenza emotiva. La ricerca degli psicologi si
è focalizzata sui contenuti che vengono socializzati ma anche sui processi di insegnamento-
apprendimento, dando particolare attenzione al contesto familiare, culturale e alle pratiche di
socializzazione di un determinato contesto.
La socializzazione emotiva in famiglia. La dottoressa Saarni, facendo riferimento relazione genitore-
figlio, ha proposto la distinzione di due modalità:
• modalità indirette di socializzazione emotiva riguardano tutti quei comportamenti non
intenzionali che hanno gli adulti e che esprimono emozioni, comportamenti che i bambini
comunque registrano;
• modalità dirette di socializzazione emotiva riguardano invece tutti quegli insegnamenti che il
genitore dà al figlio al fine di fargli conoscere l'emozione, saperla regolare e soprattutto riuscire
ad esprimerla nella società.
Il tema della socializzazione emotiva è stato affrontato anche da Gottman, il quale ha proposto la
filosofia della metaemozione, ossia l'insieme di tutte le opinioni e di tutte le convinzioni che l'adulto
possiede in merito alle azioni e che vuole trasferire al figlio. Le due principali filosofie sono: la guida
alle emozioni e la messa al bando delle emozioni. Si è notato che la cooperazione tra il genitore e il
figlio (laddove il genitore è supportato da una buona consapevolezza delle emozioni) ha prodotto un
abbassamento del livello delle emozioni negative.
Denham ha invece individuato tre tipologie di socializzazione emotiva complementari che non si
autoescludono:
• il modeling, si tratta della capacità che hanno i bambini di osservare gli adulti nel momento in
cui esprimono le proprie emozioni. Anche se non si tratta di un insegnamento intenzionale da
parte dell'adulto, comunque il bambino riesce ad apprendere e a uniformarsi alle emozioni del
genitore: il bambino farà propria l'emozione del genitore soprattutto dopo che l'adulto avrà
etichettato l'emozione e l'avrà fatta conoscere al bambino anche concettualmente;
• il coaching, si tratta dell'intenzionale insegnamento delle emozioni al bambino da parte
dell'adulto. In questo caso sarà il genitore a insegnare il significato di alcune emozioni, ma anche
come queste possano essere esplicitate all'interno del contesto sociale;
• il contingency, riguarda l'apprendimento attraverso le reazioni dell'adulto immediatamente
successive all'espressione emotiva dei bambini. Ad esempio, quando un bambino piange e il
genitore lo conforta, questa risposta al pianto del bambino diventa fonte di apprendimento per il
significato dell'esperienza emotiva, ma diventa anche l'apprendimento della gestione
dell'emozione stessa.
Morris ha poi proposto un modello tripartito dei processi di socializzazione emotiva, basato
sull'osservazione dei comportamenti dei membri familiari, sulle pratiche che quotidianamente vengono
espresse come risposta alle emozioni dei figli, sul clima emotivo familiare. Questi tre elementi aiutano il
bambino nella regolazione emotiva e soprattutto gli permettono l'adattamento sociale.
La socializzazione emotiva nei contesti extrafamiliari. Durante l'età prescolare i bambini si trovano a
contatto con dei contesti extrafamiliari, anche questi fondamentali per la loro socializzazione emotiva.
Una funzione di facilitazione rispetto all'acquisizione delle conoscenze sulle emozioni è data dagli
insegnanti, i quali forniscono un supporto emozionale non tanto individualmente, quanto all'interno di
un contesto di classe. Certamente i genitori e gli insegnanti di scuola dell'infanzia sono elementi
fondamentali della socializzazione emotiva del bambino, tuttavia recenti studi hanno dimostrato che una
tale interazione potrebbe essere confermata già a livello di asilo nido.
gli insegnanti di scuola dell'infanzia dedicano più tempo ai bambini più piccoli che non a quelli d'età
prescolare; in questo modo l'acquisizione emotiva avviene attraverso il modeling, ossia attraverso le
espressioni emotive dell'insegnante. Per quanto riguarda poi il contigency, è stato osservato che gli
insegnanti tendono a minimizzare le emozioni dei più piccoli o a trovare delle scorciatoie con le punizioni
o con il di stordimento dell'attenzione da un determinato oggetto o evento.
Gli insegnanti contribuiscono allo sviluppo della competenza emotiva e lo si vede in quella modalità
teaching (corrispondente al coaching dei genitori) che riguarda la formazione educativa dello sviluppo
di competenze socioemotive dei bambini; all'interno delle scuole vengono elaborati programmi scolastici
per la promozione dell'apprendimento socioemotivo.
CAPITOLO 3: I LEGAMI DI ATTACCAMENTO NEL CICLO DI
VITA

1. Alle origini della teoria dell'attaccamento


Da un punto di vista storico la teoria dell'attaccamento venne formulata dagli anni 70 agli anni 80 da
John Bowlby e da Mary Ainsworth, ed essa può essere considerata una teoria dello sviluppo della
personalità basata sull'analisi dei percorsi evolutivi e delle differenze individuali. Rispetto alle altre
teorie dello sviluppo, la teoria dell'attaccamento si basa molto sui contributi dell'etologia, della psicologia
cognitiva, della teoria dell'informazione e della biologia evoluzionista.
I due autori partono dall'ipotesi che il bambino sia dotato di una predisposizione biologica innata
all'attaccamento, cioè cerca il contatto fisico e la prossimità a partire proprio dai suoi caregivers, al fine
di ottenere conforto e protezione. In questo senso, l'attaccamento al genitore, ad esempio, rappresenta
quella base sicura per l'esplorazione del mondo e per poter acquisire competenze relazionali ed emotive
che poi il bambino svilupperà durante gli anni della sua vita, sino a diventare un adulto. I due autori
affermavano anche che la separazione precoce dalla madre poteva essere rischiosa per la salute mentale
del bambino, portando con se delle conseguenze per tutta la sua vita.
Molte sono state le prove che attestano come la separazione precoce dal genitore possa portare a squilibri
mentali nel futuro: basti pensare agli studi condotti da Anna Freud sugli orfani della Seconda Guerra
Mondiale, oppure alle ipotesi dello stesso Bowlby sui comportamenti delinquenziali degli
adolescenti, i quali, secondo lo psicologo, sono l'effetto di esperienze di deprivazione affettiva subite
durante l'infanzia. Fondamentali negli studi dello psicologo inglese sono stati i rapporti con la psicologia
comparata e l'etologia: Bowlby apprese da alcuni etologi delle scoperte fondamentali sull'attaccamento
delle scimmie alle madri, e da questi esperimenti trovò la verifica alle sue ipotesi sull'attaccamento.

2. Sviluppo e tipologie di attaccamento


Dagli studi dei due autori risulta che il bambino è spinto a formare legami di attaccamento con quelle
figure che sono capaci di proteggerlo: sin dai primi mesi di vita il bambino attraverso il pianto, il sorriso
e le vocalizzazioni attira l'intervento dei caregivers al fine di avere la loro protezione. Quando poi il
bambino inizia il suo sviluppo locomotorio, sarà attraverso l'andare incontro, il seguire l'aggrapparsi che
cercherà la protezione degli adulti; inoltre, attraverso l'attaccamento il bambino inizia l'approccio
esplorativo verso l'ambiente che lo circonda, facendo dell'adulto sempre la sua base sicura.
In questa fase è fondamentale l'equilibrio che l'adulto viene a creare con il bambino: occorre che ci sia
un equilibrio per quanto riguarda la prossimità che l'adulto deve avere nei confronti del bambino ma
anche il distanziamento che permetterà al piccolo di esplorare il mondo; proprio su questo equilibrio si
gioca la regolazione delle emozioni di paura e di stress, ma anche la possibilità di una esplorazione
dell'ambiente in condizioni di tranquillità.
Bowlby e Ainsworth evidenziano quattro fasi di attaccamento:
• nella prima fase, caratteristica dei primi due mesi di vita, il bambino cerca protezione attraverso
il repertorio comunicativo che ha a disposizione, pianto, sorriso e vocalizzazioni;
• nella seconda fase, che va fino ai tre mesi, il bambino privilegia la figura genitoriale più vicino
a lui, il più delle volte è la madre;
• nella terza fase, che va fino ai due anni, il bambino perfeziona il suo attaccamento attraverso
l'utilizzo della locomozione, strumento con il quale cerca l'attaccamento e la protezione, ma anche
con il quale esplora il mondo;
• nella quarta fase si delinea il rapporto reciproco con le figure di attaccamento e l'attività del
bambino si fa sempre più intenzionale e orientata al raggiungimento di alcuni scopi simili a quelli
del caregiver.
I pattern di attaccamento. Molti sono stati gli studi che i due autori hanno fatto in diverse parti del
mondo si sono accorti dei bambini rispondono in maniera diversa l'attaccamento. Uno degli esperimenti
è stato chiamato Strange Situation, ossia creare delle situazioni di particolare stress nei bambini per
vedere quale sia la loro risposta. Da questo esperimento sono state ricavate tre tipologie (pattern) di
attaccamento:
il pattern sicuro: in questa tipologia il bambino trova nel genitore la base sicura per esplorare il mondo
esterno, trova protezione anche nel momento in cui qualcosa è andato male. La relazione con l'estraneo
e vissuta in maniera perlopiù stressante e i comportamenti dei bambini si dividono tra quelli che danno
segno di evitamento o ambivalenza e quelli che non danno segni di questo genere:
il pattern insicuro evitante: in questa tipologia il bambino non condivide il gioco con il genitore e non
lo considera base sicura per l'esplorazione del mondo; il più delle volte evita anche il suo sguardo e
questo suo avvitamento può essere più o meno marcato;
il pattern insicuro ambivalente o resistente: in questa tipologia il bambino si attacca in maniera
significativa al genitore e mostra disagio nell'esplorare l'ambiente e a creare relazioni con gli altri. Anche
in questo caso vi sono due sottogruppi: il primo in cui il bambino mostra segni di rabbia nei confronti
dei genitori e il secondo in cui si mostra inconsolabile;
Il pattern disorganizzato-disorientato: questa tipologia è stata studiata soprattutto in quei bambini
maltrattati o che provengono dal livello socioeconomico più basso; a un attaccamento disorganizzato o
disorientato e mostra dei comportamenti incoerenti nei confronti del genitore: da un lato lo cerca dall'altro
lato lo evita. Si comprende che in questo caso manchi la strategia di attaccamento coerente, dovuta
principalmente modo alla paura che il bambino può provare nei confronti dell'adulto. Il bambino è posto
davanti a un conflitto senza soluzione: da un lato il genitore che dovrebbe essere fonte di consolazione,
dall'altro lato il genitore che invece diventa fonte di paura.
I precursori dell'attaccamento sicuro vs insicuro. L'appartenenza a una delle tipologie analizzate
dipende in gran parte, secondo la dottoressa Ainsworth, alla sensibilità che la madre ha dimostrato nei
confronti del bambino soprattutto nel primo anno di vita. Le ricerche condotte dalla dottoressa
nell'utilizzo della strange situation hanno mostrato come i bambini che fanno parte del pattern sicuro
avevano delle madri che si erano dimostrate stabilmente sensibili nei loro confronti; al contrario i bambini
del pattern insicuro avevano delle madri con una sensibilità intermittente e imprevedibile nei loro
confronti.
I bambini del pattern disorganizzato, invece, avevano delle madri disorganizzate esse stesse, che
mostravano una scarsa comunicazione interazione e una mancata consolazione nei confronti dei loro
bambini; il più delle volte questi atteggiamenti provenivano da traumi o da lutti subiti da parte della
madre.
Gli studi hanno dimostrato che i bambini sicuri utilizzano la comunicazione di cui dispongono per
attaccarsi alla madre, come ad esempio lo sguardo, l'orientamento del corpo, le espressioni affettive.
Tutto ciò è stato visto in quelle madri che hanno avuto una certa stabilità e una certa sensibilità a
organizzare l'attaccamento del figlio; al contrario, questa sintonizzazione emotiva non è stata possibile
con quelle madri che avevano una minore stabilità e che non hanno permesso una comunicazione efficace
con il bambino; in questo secondo caso sono state riscontrate delle conseguenze rilevanti
sull'organizzazione del se del bambino.
Si comprende, allora, come sia cruciale la figura di attaccamento nei confronti del bambino nella
formazione dei pattern, come risulta fondamentale anche lo stile comunicativo diadico tra madre e figlio.
Attaccamento e regolazione emotiva. Dagli studi svolti si è compreso che il ruolo del caregiver nella
prima infanzia è anche quello di regolare le emozioni negative del bambino e mantenere quelle positive,
inducendo in lui un sentimento di sicurezza emotiva e fisica. Nel momento in cui il bambino vuole
consolazione riesce anche ad autoconsolarsi, ad esempio attraverso la suzione del pollice, il toccarsi i
capelli o la manipolazione delle orecchie. Tuttavia, la consolazione può essere anche di tipo
eteroregolatoria, ossia deve essere il genitore a regolare la sua attività emotiva, e lo può fare attraverso
l'espressione del volto, la tonalità della voce e la gestualità. A formare all'interno del bambino la sua
fiducia e il suo rapporto con il mondo esterno è proprio la disponibilità dell'adulto rispetto a queste
comunicazioni; ovviamente il genitore che manifesta più sensibilità questa comunicazione induce il
bambino ad un pattern sicuro.

3. I modelli operativi interni di attaccamento nel ciclo di vita


Durante il primo anno di vita il bambino che all'interno della sua mente dei modelli mentali delle sue
figure di attaccamento. In altre parole, il bambino organizza tutte le esperienze che ha vissuto con i
genitori e con gli altri adulti all'interno di schemi specifici che portano alla costruzione di un modello
sintetico di queste interazioni, utilizzando nel primo caso una memoria episodica, nel secondo caso una
memoria semantica. Gli schemi di queste interazioni vengono definiti dagli psicologi come modelli
operativi interni. Ad esempio, il bambino crea un modello operativo interno del rapporto che ha con la
madre: se la madre si dimostra in grado di poterlo accudire il bambino formerà differenti modelli di sé
in corrispondenza con le figure di attaccamento e con la loro disponibilità emotiva.
I modelli operativi interni, risultanti sempre dall'interazione del bambino con le sue figure di
attaccamento, hanno un doppio ruolo:
• organizzano le informazioni e le emozioni che il bambino acquisisce dall'attaccamento;
• hanno una funzione motivazionale nelle relazioni che il bambino strutturerà con il prossimo.
Attaccamenti multipli. La formazione dei modelli operativi interni non avviene solamente durante il
periodo preverbale, ma prosegue anche nelle fasi successive dello sviluppo del soggetto. Anzi, proprio
nelle fasi successive il bambino crea dei modelli operativi interni che riassumono le figure di
attaccamento che ha incontrato durante il suo sviluppo. Proprio per questo motivo negli anni '90 sono
stati realizzati degli esperimenti sull'attaccamento alla figura paterna, riscontrando che il pattern
sicuro e il pattern insicuro dipendono anche dall'attaccamento al padre, dimostrando soprattutto che
l'attaccamento del bambino alla madre al padre sono tra loro indipendenti.
Nei primi anni di vita figure di attaccamento possono essere anche dei caregivers non familiari, come ad
esempio le educatrici della scuola per l'infanzia, le quali diventano base sicura e fonte di consolazione
fisica ed emotiva per il bambino; anche in questo caso il reciproco rapporto tra il bambino e l'adulto
determina la costruzione del suo Sé e la fiducia che avrà nel mondo.
L'Adult Attachment Interview. Dagli anni '80 in poi gli psicologi hanno intensificato le ricerche
sull'attaccamento e hanno prodotto degli esperimenti non solo nel bambino in età scolare e
adolescenziale, ma anche nell'adulto. A tal proposito la dottoressa Mary Main ha messo a punto l'Adult
Attachment interview, un'intervista che permette di analizzare l'attaccamento che gli adulti hanno
rispetto a dei soggetti nella loro attualità, cioè non relativamente all'attaccamenti passati. Questa
intervista è stata molto importante perché è stata utilizzata in campo clinico e poi ha dato nuove
informazioni agli studi sulla trasmissione intergenerazionale dei modelli di attaccamento da genitore a
figlio.
L'intervista indaga le esperienze vissute dal soggetto nell'infanzia rispetto le sue figure di attaccamento,
ma indaga anche qual è stata l'evoluzione di questo attaccamento rispetto a queste figure negli anni
successivi fino all'età adulta; inoltre sono importanti per la realizzazione dell'intervista anche gli eventi
traumatici e i lutti dell'intervistato.
Altri test sono stati realizzati per comprendere i modelli di attaccamento nell'età preadolescenziale, come
ad esempio il Separation Anxiety Test, il quale consiste nel somministrare una serie di immagini che
raffigurano situazioni di separazione del bambino dal genitore e in questo modo individuare quali modelli
di attaccamento, sicuri o insicuri, il bambino ha maturato dentro di sé.
Nuovi legami di attaccamento nell'adolescente e nel giovane adulto. I nuovi studi hanno dimostrato
che in età adolescenziale l'attaccamento alle figure genitoriali viene sostituita dall'attaccamento agli
amici e successivamente, nel giovane adulto, ai partner sentimentali. Queste nuove figure di
attaccamento hanno l'obiettivo di
• ricercare il contatto fisico per mantenere il senso di sicurezza;
• essere una base sicura per l'esplorazione del mondo;
• essere un porto sicuro per ottenere conforto e regolazione emotiva.
Alcuni studi hanno dimostrato come in età adolescenziale la funzione della madre continua ad essere
quella di base sicura, mentre la funzione del migliore amico risulta essere quella di porto sicuro. Dopo la
fase infantile e adolescenziale, nei giovani adulti spiccano delle relazioni di attaccamento di tipo
sentimentale dalle quali il soggetto ricava sicurezza o insicurezza, rispetto alle interazioni che si
realizzano.

4. Attaccamento e sviluppo socio emotivo


Recentemente sono stati realizzati degli studi riguardanti l'attaccamento e lo sviluppo socio emotivo del
soggetto uno studio condotto nel Minnesota da Sroufe ha dimostrato che se un bambino sviluppo modello
di attaccamento sicuro alla madre nei primi 12 mesi di vita, accertato con la strange situation, avrà una
significativa probabilità di avere un attaccamento sicuro anche in età adulta nei confronti delle altre figure
di attaccamento, come stato accertato dall'Adult Attachment interview. In altre parole, quell'attaccamento
sicuro che il bambino ha mostrato nei confronti di una madre sensibile all'interno dei primi 12 mesi di
vita ha procurato una significativa adeguatezza psicologica, fiducia in se stessi, autostima, capacità di
regolazione emotiva e capacità di relazioni sociali con adulti e con i vari, tutti elementi che sono stati
visibili in età scolare. Insomma, il rapporto che il bambino avrà con il mondo esterno a partire dall'età
scolare, e in gran parte determinato dall'attaccamento che il bambino avuto alla figura genitoriale nei
mesi dell'infanzia. Tutti i rapporti che il soggetto realizza con il mondo esterno nella media infanzia e
nella preadolescenza, ad esempio scuole, ad esempio cui adulti, con i pali, nelle amicizie nelle relazioni
sentimentali, quindi tutto ciò che riguarda le competenze sociali, è determinato in gran parte
dall'attaccamento sviluppato nella prima infanzia.
La trasmissione intergenerazionale dell'attaccamento. Uno studio comparato tra l'Adult Attachment
Interview e la Strange Situation ha dimostrato che i genitori utilizzano i propri modelli di attaccamento
nei confronti del proprio figlio ancora nella prima infanzia. I risultati sono stati eclatanti: genitori che
avevano un modello di attaccamento sicuro hanno riscontrato un'elevata probabilità di avere un bambino
a sua volta con un attaccamento sicuro, allo stesso modo, un genitore con un modello di attaccamento
insicuro ha riscontrato un'elevata probabilità di avere un figlio con un modello di attaccamento insicuro.
Un ulteriore motivo di attaccamento nella trasmissione intergenerazionale e data dalla capacità dei
genitori di saper riflettere sugli Stati mentali del figlio, ossia la capacità di saper leggere i desideri, le
emozioni e pensieri del proprio bambino. Vi sono diversi fattori che permettono la trasmissione
intergenerazionale dell'attaccamento, uno di questi è la qualità della responsività dimostrata da un
genitore rispetto ai bisogni fisici del bambino, oppure la capacità di sapersi sintonizzare con le emozioni
che il bambino manifesta.
Attaccamento e rischio psicopatologico. Gli studi condotti finora analizzano le problematiche
psicopatologiche che possono derivare da un attaccamento insicuro. Ad esempio, proprio l'attaccamento
insicuro risulta essere un fattore di rischio per esiti psicopatologici: sia da un punto di interno, che esterno
del soggetto, l'assenza di un rapporto vissuto con la madre o la creazione di altre reti familiari o
extrafamiliari, oppure ancora l'aver vissuto una psicopatologia della madre o problemi di depressione,
potrebbe portare ad una inadeguata relazione con il mondo esterno anche negli anni dell'età adulta. Per
quanto riguarda invece l'attaccamento disorganizzato, questo porterà sempre a fattori di rischio senza
bisogno che ci siano altri elementi collaterali, come invece è accaduto nel primo caso.
Fondamentale è anche il rapporto tra l'attaccamento e la regolazione delle emozioni. E stato studiato che
disporre di un attaccamento sicuro equivale per il soggetto ad avere un'adeguata capacità di regolazione
delle emozioni, al contrario, un attaccamento insicuro resistente o insicuro evitante porterà ad una minore
capacità di regolazione emotiva e sarà un fattore di rischio fondamentale per problematiche di tipo
psicopatologico.
Non solo ricerca: interventi di prevenzione basati sulla teoria dell'attaccamento. La teoria
dell'attaccamento ha avuto degli esiti eclatanti anche all'interno della dimensione clinica, in quanto molti
psicoterapeuti adottano queste teorie poiché hanno compreso che la qualità delle relazioni che il soggetto
può avere dipende anche dall'attaccamento sviluppato in età infantile, proprio l'adeguatezza dello
sviluppo socio emotivo e il rischio psicopatologico dipendono anche dall'attaccamento. Il terapeuta
organizza interventi mirati proprio per creare un'adeguata relazione tra il bambino il genitore avendo
come finalità il favorire il legame di attaccamento sicuri.
CAPITOLO 4: LO SVILUPPO COGNITIVO

1. Approcci teorici
La cognizione comprende un insieme vasto ed eterogeneo di processi che spiegano come le nostre
funzioni mentali cambino con il passare del tempo all'interno della nostra vita e in che modo ciò avvenga.
Tra i diversi approcci, quelli a cui dare più risalto sono la teoria costruttivista di Piaget e gli approcci
storico-culturale, dell'elaborazione delle informazioni, neopiagetiano e neurocostruttivista. Quando
parliamo di approcci teorici al problema dello sviluppo cognitivo, cioè a come cambiamo cognitivamente
e perché questo accada, non dobbiamo pensare che esistano delle teorie definitive, ma tutto è sempre in
divenire e resta strettamente intrecciato alle scoperte che gli scienziati realizzano con il passare del tempo.
Vi è un'evoluzione storica degli approcci teorici, la quale si è sviluppata nel corso del Novecento e ha
avuto inizio negli Stati Uniti quando prendeva avvio il comportamentismo. Gli psicologi
comportamentisti rinunciarono a studiare il funzionamento della mente e focalizzare uno la loro
attenzione sul comportamento e sui meccanismi di apprendimento del soggetto, un apprendimento che
si basava sul binomio stimolo-risposta, ossia stimolazione ambientale che determinavano alcuni
comportamenti del soggetto. Gli altri approcci teorici che studieremo non si basano sul comportamento,
ma tornano a studiare la mente.
Di particolare importanza sono l'idea costruttivista di sviluppo nata in Svizzera con Piaget, l'approccio
storico-culturale nato in unione sovietica da un gruppo di studiosi, l'approccio dell'elaborazione delle
informazioni che vuole indagare il funzionamento dei processi della mente, l'approccio neopiagetiano
e neurocostruttivista, che mettono insieme le ricerche di Piaget e dell'elaborazione delle informazioni,
integrandole con nuove idee.

2. La teoria costruttivista di Piaget


Influenzato dalla filosofia dialettica e dalla filosofia costruttivista, l'approccio costruttivista considera lo
sviluppo come il frutto delle operazioni che il soggetto compie per conoscere la realtà, e in ambito
psicologico il suo ideatore fu Jean Piaget.
Già a partire dai suoi primi studi, Piaget aiutato dalla biologia pensa che lo sviluppo intellettivo debba
essere inteso come processo di adattamento dell'individuo all'ambiente. Lo studioso si accorse che
bambini della stessa età ma cresciuti in ambienti diversi tendevano a dare risposte simili ai quesiti che
egli stesso gli poneva. Secondo Piaget non era il contesto a determinare queste risposte, bensì lo stadio
evolutivo in cui i bambini si trovavano. Ad esempio, se in due contenitori di forma diversa viene versata
la stessa quantità di liquidi, ma un contenitore più alto e uno più basso, i bambini pensano che nel
contenitore più alto vi sia più acqua. Questa deduzione fu data allo psicologo da più bambini che non
venivano esaminati contemporaneamente. Se invece lo stesso quesito viene posto bambini più grandi,
esse si accorgono della differenza di forma del contenitore e della stessa quantità di liquido. Ciò dimostra,
secondo lo psicologo, che i bambini attraversano diverse fasi evolutive del loro sviluppo cognitivo. Per
i bambini più piccoli era molto difficile percepire contemporaneamente la differenza di forma del
contenitore e la stessa quantità di acqua che ne veniva versata, mentre invece i bambini più grandi
riuscivano a distinguere queste due percezioni.
Piaget sosteneva che dalla nascita fino all'adolescenza ogni bambino incontra quattro stadi che
corrispondono a periodi di vita differenti. Ovviamente non bisogna pensare che questi stadi siano uguali
per tutti, ma essi cambiano da soggetto a soggetto; inoltre, non sono stati che passano dall'uno all'altro in
maniera improvvisa, ma c'è bisogno di un arco di tempo a volte molto lento e laborioso affinché possano
verificarsi le singole operazioni mentali che fanno transitare il soggetto da uno stadio all'altro.
Il primo stadio va dalla nascita fino a un anno e mezzo o due anni ed è chiamato STADIO
SENSOMOTORIO. Lo stadio sensomotorio a sua volta è diviso in sei sottostadi:
1. Nel primo, che va da 0-1 mese si notano i primi riflessi primari, come ad esempio il riflesso di
prensione
2. Nel secondo, che va da 1-4 mesi il bambino compie ripetutamente alcuna azione, come ad esempio
aprire e chiudere la mano ed emergono le prime coordinazione di schemi, come succhiare o afferrare
3. Nel terzo, che va da 4-8 mesi il bambino inizia a ripetere qualcosa che ha trovato interessante
nell'ambiente esterno, come far urtare continuamente un giocattolo per terra
4. Nel quarto, che va da 8-12 mesi il bambino riesce a coordinare le proprie capacità per raggiungere
degli obiettivi, come ad esempio rimuovere un oggetto che ne ostacola un altro
5. Nel quinto, che va da 12-18 mesi il bambino introduce delle variazioni a ciò che trova nell'ambiente
esterno in modo da poter studiare ciò che sta avvenendo intorno a lui, ad esempio fa cadere un oggetto
per vedere quale sarà il risultato
6. Nel sesto, che va da 18-24 mesi il bambino sembra avere progettato da sé delle azioni da compiere.
Gli schemi, che all'inizio sono solo sensomotori, col passare delle fasi diventano schemi di azioni pensate
che il bambino vuole mettere in atto, culminando con l'emergere della funzione simbolica, ossia il far
finta di, la quale si esprime con il gioco oppure nella forma linguistica.
Il secondo è lo STADIO PREOPERATORIO (o intuitivo), all'interno del quale il bambino inizia a
usare simboli, possiede già i primi concetti e usa delle regole semplici, tuttavia non sa ancora utilizzare
il pensiero logico. Questo periodo viene definito anche come egocentrismo infantile, in cui il bambino
non è in grado di considerare altri punti di vista oltre al suo. All'interno di questo stadio si vengono a
creare anche delle forme di animismo, cioè pensare che alcuni oggetti possono essere animati (una
bicicletta dorme), oppure che gli eventi accadano in favore delle persone, ossia il finalismo (una palla
che rotola va incontro al bambino); fino a pensare che gli elementi della natura sono stati costruiti da noi,
ossia l'artificialismo.
[Prove Piagetiane sulla Conservazione – stadio preoperatorio (Lezione del 12.03.20)] Per quanto
riguarda l’egocentrismo infantile possiamo aggiungere che il bambino presenta un pensiero
assolutamente rigido, incentrato su se stesso, poiché ha una cognizione sociale limitata. Il bambino non
ha una percezione dell’altro ancora completa, amplificando un pensiero di tipo egocentrico, in cui esiste
solo lui. Vista l’età del bambino, ancora la socialità del soggetto è limitata alla madre, e solo in un
secondo momento al padre, mentre tutte le altre componenti sociali, sono ancora lontane per influenzare
il suo sviluppo (nonni, vicini, pari).
Da ciò si comprende che la cognizione sociale del bambino è limitata, amplificando la rigidità di
pensiero:
• Irreversibilità: tendenza a pensare gli oggetti e gli eventi nell’ordine in cui sono stati
originariamente sperimentati, non potendo invertire mentalmente le sequenze.
• Difficoltà ad adattarsi al cambiamento nell’aspetto: il loro pensiero sembra dominato da un
tratto percettivo irrilevante, che non riescono ad ignorare.
(Questo comportamento può essere presente anche negli adulti e si chiama dissonanza cognitiva, ossia
la difficoltà ad adattarsi ad una nuova situazione: tutto deve seguire il filo logico del soggetto, qualsiasi
cambiamento lo mette in crisi)
Una delle caratteristiche di questo pensiero prelogico è quella di ostacolare l’acquisizione di alcune
nozioni fondamentali, tra cui quella della CONSERVAZIONE, ossia la comprensione che alcune
caratteristiche di base della materia non vengono modificate nel loro aspetto esteriore.
Ad esempio, il bambino non comprende che il liquidò che si trova all'interno della tazza è lo stesso che
si trova all'interno di una bottiglia allungata, nella quale il libro è stato versato, amplificando, come si
nota, quella rigidità di pensiero che è propria del bambino in questa fase del suo sviluppo. Infatti, il
bambino conserva all'interno della propria mente sia il numero e la quantità degli oggetti, sia il volume
della materia, sia la lunghezza, egli risulta difficile potersi adattare ad un nuovo cambiamento
(ragionamento prelogico).

Lo stadio preoperatorio tipicamente va dai 2 - 7 anni (il libro dai 2 - 6 anni), ed è lo stadio in cui pensiero
del bambino è egocentrico e precausale. Lo si vede nella sua produzione grafica e nello sviluppo di
questa:
2 anni scarabocchio
3 anni omino testone
4-5 anni figura convenzionale
fino a 7 anni figura a blocchi.
Ad esempio, la psicologia dinamica considera molto importante la produzione grafica. Il bambino
evitando l'approccio verbale esprime comunque se stesso, attraverso il disegno. In realtà, il bambino
attraverso lo scarabocchio esprime se stesso, essere accorta la psicologia dinamica poiché quando i
bambini volevano esprimere delle condizioni di abuso, lo facevano attraverso gli scarabocchi o i primi
disegni.
Lo scarabocchio è composto da linee casuali, spesso tondeggianti e che vengono realizzate con colori
diversi, spesso indicativi di ciò che il bambino vuole trasmetterci. L'omino testone si presenta verso i 3
anni. Verso i 4-5 anni il bambino prende dall'omino testone alcune caratteristiche e compone una figura
più complessa (dorso, mani aperte per indicare un principio di realtà esistente e un contatto con il
mondo); questi disegni manifestano evidentemente un'evoluzione cognitiva da parte del bambino. Infine,
fino a sette anni, il bambino da una rappresentazione della realtà con delle figure a blocchi, manifestando
quale grande cambiamento ci sia stato in soli due anni nel modo di vedere il mondo e di rappresentarlo.
In questa fase troviamo i primi elementi di un ragionamento semilogico nella quale avviene la
rappresentazione di insieme di oggetti o eventi, fino a formare le categorie, vi è l'assenza di
classificazione gerarchica e incrociata, quindi si è in presenza di un preconcetto, e vi è l'assenza di
ragionamento deduttivo e induttivo, ma il bambino conduce un ragionamento di tipo trasduttivo.
Ovviamente, se il pensiero del bambino è ancora ad uno stadio
egocentrico, anche il suo linguaggio sarà egocentrico, tuttavia
piano piano questo linguaggio ancora interiore e silenzioso verrà
sostituito con un linguaggio privato, avviandosi così verso un
linguaggio socializzato. tutto questo viene rappresentato
graficamente:
A questo punto si potrebbe fare un parallelo tra la teoria di Piaget e ciò che avviene nella vita
quotidiana. Nella teoria dello psicologo svizzero le caratteristiche del pensiero sensomotorio e di quello
preoperativo sembra che vengano superate nello stadio operatorio concreto, tuttavia molti aspetti del
ragionamento adulto sono caratterizzati da un pensiero prelogico. Ciononostante, in una condizione
normale di sviluppo cognitivo l'essere umano passa da una fase prelogica ad una fase logica,
considerando il mondo sotto aspetti diversi, molto più maturi e complessi.
Intorno ai sette anni fino agli undici inizia il terzo stadio, quello OPERATORIO CONCRETO, in cui
il bambino comincia a sviluppare un suo pensiero logico. È la fase in cui il bambino acquisisce strutture
logiche, compie operazioni mentali, interiorizza le azioni e comprende la reversibilità. Ad esempio, il
bambino sa distinguere tra l'essere umano e l'animale, e soprattutto comprende che il liquido versato i
due contenitori diversi è lo stesso. In questo stadio fanno anche la loro comparsa l'addizione e la
sottrazione, e la capacità di comprendere la rappresentazione spazio-temporale.
Anche l'egocentrismo del bambino, che prima aveva sviluppato un pensiero rigido, adesso comincia a
cambiare portando il soggetto ha decentrarsi dal proprio punto di vista e ad accogliere quello degli altri.
Le operazioni mentali che il bambino compie sono molto più organizzate, nel senso che tutto ciò che egli
vede nel mondo fisico comincia ad essere interiorizzato come operazioni mentali, le quali sono
caratterizzate dalla reversibilità, ossia la possibilità di annullare l'effetto di un'azione mentale
eseguendone un'altra. Tutte queste operazioni risultano essere concrete, cioè aderenti all'esperienza
diretta e ai casi concreti di essa. Una delle acquisizioni di questo stadio è quella della finitudine delle
cose: il bambino acquisisce consapevolezza che le cose possono anche scomparire e non esserci più,
compressi gli esseri umani e i propri cari, facendo così una prima conoscenza della morte.
Nello stadio operatorio concreto il bambino riesce ad avere delle acquisizioni, una di queste è la
seriazione, ossia la capacità di organizzare mentalmente (mettere in serie) gli elementi della realtà
secondo determinati criteri, congiungendo gli elementi in base a delle inferenze transitive. Un'altra
acquisizione è quella della classificazione degli oggetti all'interno di gruppi che vengono determinati dal
bambino e che si basano su dei criteri logici e non più solo legati alla percezione; questi criteri riescono
a mostrare anche le relazioni fra i gruppi, ormai visibili al bambino. Anche il numero è un'acquisizione,
del quale in questa fase se ne avrà un'idea più matura e di reversibilità. Infine, il bambino riesce ad
acquisire la conservazione, ossia la capacità di metabolizzare volume, lunghezza, numero, dimensione e
massa degli oggetti. queste acquisizioni ci permettono di realizzare attività cognitive più veloci ed
economiche, per affrontare i problemi della vita. Si passa così dal dominio della percezione al dominio
della logica.
In questo modo il bambino riesce a compiere delle operazioni mentali sia su oggetti reali sia su oggetti
d'immaginazione, seguendo però sempre le stesse modalità: vi è il dominio della logica, quindi il dominio
della deduzione sull'intuizione, riesce a comprendere che gli elementi della realtà sono anche reversibili,
il suo punto di vista viene decentralizzato, inizia a conservare le caratteristiche degli oggetti, inoltre le
sue operazioni mentali avvengono in maniera concreta, ossia su cose esperite; il tutto si conclude con le
acquisizioni di seriazione, classificazione e numerazione.
il quarto è lo STADIO DELLE OPERAZIONI FORMALI, che Piaget aveva teorizzato iniziasse a
partire dagli 11 anni. Noi sappiamo che la psicologia dello sviluppo delle origini si fermava a questo
stadio, oggi sappiamo che uno sviluppo cognitivo dell'essere umano avviene per tutta la durata della sua
vita, quindi non solo dalla nascita fino all'adolescenza ma anche dall'adolescenza fino alla senescenza.
In questo stadio il soggetto arriva al massimo livello di pensiero e riesce a condurre dei ragionamenti
corretti senza la necessità di avere una esperienza immediata, soprattutto grazie al fatto che adesso è
riuscito a classificare, a seriare e a conservare le qualità degli oggetti. Su tutti gli oggetti che sono a
disposizione del bambino, sia quelli reali che quelli immaginari, egli è in grado di sviluppare un
ragionamento ipotetico-deduttivo di tipo probabilistico, e riesce anche a gestire concetti matematico-
geometrici riguardanti l'infinito, il luogo geometrico e le operazioni algebriche. Questi cambiamenti
cognitivi sono sempre da considerare come intrecciati ai cambiamenti ormonali e ai cambiamenti fisici
in generali; insieme i due cambiamenti, cognitivo e fisico-ormonale, rappresentano una fase tra le più
delicate e critiche della vita del soggetto.
Le acquisizioni che in questo stadio il bambino realizza sono: il ragionamento sulle astrazioni, ossia la
capacità di ragionare su delle cose che non ha mai sperimentato direttamente, ma che ha solo ipotizzato;
l'applicazione della logica, ossia la capacità di prendere una proposizione generica e calcolare le
conseguenze sulla base dell'implicazione "se.....allora"; avere un problem solving avanzato, ossia la
capacità di costruire ipotesi, elaborare mentalmente risultati e prospettare varie soluzioni possibili prima
di sottoporle a verifica.
Rispetto all'egocentrismo infantile, in questa fase predomina l'egocentrismo adolescenziale: il soggetto
non è più chiuso all'interno del suo rigido pensiero, comprende che esistono punti di vista diversi rispetto
a quello suo, tuttavia tende a imporre il proprio punto di vista su quello degli altri, considerandosi
comunque all'interno di una fase di socializzazione che invece nello stadio sensomotorio e preoperatorio
non esisteva. L'adolescente poi tende a creare attorno a sé un immaginario pubblico e a creare una fiaba
personale magari scrivendo e immaginando la propria vita su dei fogli di carta, iniziando una fase
introspettiva del soggetto, molte volte attraverso la musica, la scrittura e l'arte in generale.
Dall'excursus di questi quattro stadi si comprende come per Piaget non solo la persona si evolve per stadi,
ma soprattutto si vede come il bambino stadio per stadio acquisisca sempre nuovi schemi. Lo psicologo
svizzero descrive anche il modo in cui avvengono questi passaggi tra gli stadi, ovvero quelli sono i
principi per cui tutto ciò accade. Per lui gli schemi possiedono due proprietà: l'assimilazione e
l'accomodamento.
Per assimilazione intendiamo la capacità di applicare ciò che si conosce già, ossia guardare al mondo
attraverso il modo di pensare che già il bambino possiede; per accomodamento si intende, invece, la
capacità di modificare questo schema con delle nuove informazioni: nel primo caso il bambino chiama
"cane" tutti gli animali a quattro zampe, mentre nel secondo caso inizia distinguere il cane dal gatto.
All'interno della mente del bambino si viene a creare una sorta di conflitto cognitivo, cioè un conflitto
tra ciò che era già conosciuto e le nuove acquisizioni. Per fare un esempio possiamo immaginare un
bambino che gioca con delle costruzioni; ad un certo punto, non tenendo conto dei pesi e degli equilibri
all'interno della costruzione, questa crolla. All'interno del bambino può avvenire un conflitto cognitivo,
poiché fino a quel momento le costruzioni hanno retto e ad un certo punto non reggono più. Attraverso
gli accomodamenti il bambino può inserire nuovi schemi di azioni e nuove informazioni per integrare
quelle che fino a quel momento ha avuto a disposizione, rendendosi conto che alcune erano
contraddittorie. Ritornando al nostro esempio, il bambino può sperimentare un nuovo baricentro oppure
la possibilità di sistemare i pesi in maniera più equilibrata.
Si basa proprio su questo l'idea costruttivista di sviluppo, ossia di uno sviluppo cognitivo che procede
utilizzando i feedback negativi che arrivano dall'esterno (la costruzione cede e il bambino ritenta in modi
sempre diversi). Avviene così un vero e proprio salto di qualità, un cambiamento di struttura che lega al
suo interno due processi contraddittori originari che invece adesso rappresentano un cambiamento
qualitativo. In questo modo si assiste a un processo di equilibrazione: il sistema ricerca un nuovo
equilibrio e una nuova organizzazione degli elementi acquisiti, sia quelli vecchi che quelli nuovi.
Vengono creati schemi via via più funzionali e in grado di interagire con la realtà e comprenderla, facendo
del bambino il vero costruttore del proprio sviluppo.
Sebbene ancora oggi le teorie di Piaget influenzino le ricerche sullo sviluppo cognitivo, molti psicologi
tendono a mettere da parte alcune sue ricerche. Ad esempio, molti non pensano più che lo sviluppo del
pensiero infantile si basi su un'aumentata competenza logica, ma pensano che vi siano altre variabili per
comprendere lo sviluppo cognitivo. Ad esempio, gli psicologi neopiagetiani propongono nuove teorie
rispetto a quelle di Piaget.
Aspetti critici della teoria Piagetiana
Gli studi condotti da Piaget sullo sviluppo cognitivo dei soggetti giunge fino ad un'età compresa tra gli
11 e i 12 anni, cioè fino all'inizio dell'età adolescenziale. Se consideriamo che la psicologia dello sviluppo
(o come viene chiamata oggi psicologia del ciclo della vita) oggi non si ferma più all'adolescenza del
soggetto, ma prosegue fino all'età senile, possiamo ben capire che la teoria Piagetiana presenta una
criticità, poiché si ferma alla fase adolescenziale del soggetto.
I punti di debolezza della psicologia Piagetiana sono: la mancanza di chiarezza nei legami costruttivi e
comportamentali; un supporto inadeguato alla nozione di stadio; la spiegazione inadeguata dei
meccanismi di sviluppo; la scarsa attenzione allo sviluppo sociale ed emotivo; inadeguatezze
metodologiche. Ad esempio, una delle criticità di questo sistema riguarda proprio il poco interesse che
Piaget ha dato allo sviluppo sociale ed emotivo, in quanto ha considerato questo aspetto solo nella fase
adolescenziale, trascurando le fasi precedenti.
Per quanto riguarda la questione metodologica, Piaget aveva usato dei metodi per studiare i passaggi tra
gli stadi e le acquisizioni cognitive avvenute: aveva utilizzato la permanenza dell'oggetto, il pensiero
egocentrico e la conservazione delle probità fisiche degli oggetti. Questo tipo di approccio sembra essere
abbastanza limitativo per raggiungere lo scopo della psicologia dello sviluppo vuole raggiungere; infatti,
ad esempio, non si può comprendere pienamente se un bambino sta iniziando a depotenziare il suo
egocentrismo infantile solo se gli si chiede cosa vede l'altro. Per gli studi più recenti non è possibile
comprendere se il bambino passa da uno stadio cognitivo ad un altro solo attraverso la permanenza
dell'oggetto, il pensiero egocentrico e la conservazione, ma occorrono altre metodologie per comprendere
il passaggio da uno stadio cognitivo all'altro.
La metodologia Piagetiana viene criticata proprio a partire da quei tre esempi che non ci permettono di
comprendere esaustivamente se il bambino ha compiuto il passo successivo nel suo stadio evolutivo: i
tre esempi sono le tre montagne, il liquido che si trova in contenitori di diversa altezza e il bambino che
non vedendo qualcosa non pensa all'esistenza di questo qualcosa.
Se da un lato Piaget sosteneva che il bambino percepisce le proprietà fisiche degli oggetti e la loro
permanenza lungo un percorso che dura due anni, dall'altro lato sono state date delle controprove che
disattendono a queste indicazioni dello psicologo svizzero. Inoltre, il bambino conserva un pensiero di
tipo egocentrico fino a sei anni circa e in questo periodo incapace di assumere punti di vista diversi
rispetto al proprio; anche in questo caso sono state mosse delle controprove, come ad esempio il compito
di Haghes, denominato anche il bambino e i poliziotti. Si tratta di un test cognitivo all'interno del quale
si chiede al bambino di posizionarsi in modo tale che i due poliziotti non lo vedano; è stato riscontrato
che anche in età successive ai tre anni i bambini riescono a svolgere positivamente questo test. Ciò
avviene perché quell'età già il bambino inizia a uscire fuori dal suo egocentrismo e inizia a considerare
il punto di vista dell'altro.
Secondo Piaget i bambini conservano le qualità fisiche degli oggetti nonostante le trasformazioni
apparenti dopo i sei anni; l'esperimento di Francoise Frank smentisce questa teoria. Attraverso il pre-test
è stato accertato che i bambini prima dei sei anni riescono a percepire che l'acqua si trova in due
contenitori diversi alla stessa quantità. Il teste viene svolto con uno schermo davanti in modo da impedire
la percezione del liquido; nel momento in cui viene tolto lo schermo il bambino fa esperienza di ciò che
è accaduto e al suo interno avviene quel conflitto cognitivo che con il passare degli anni risolvere nella
percezione esatta.
Vi sono aspetti critici della teoria di Piaget anche per quanto riguarda la cultura e l'educazione, che
Piaget non aveva considerato completamente, ma che invece influenzano notevolmente il bambino in
rapporto alla possibilità di praticare certe operazioni; si è visto anche che ci sono degli effetti
dell'addestramento, ossia l'esperienza di compiti cognitivi che permettono di fare degli accomodamenti.
Il conflitto cognitivo, o dissonanza cognitiva, è quella condizione in cui viene alterata la percezione di
un oggetto di un evento (come nel caso della costruzione di mattoncini); a questo punto è necessario
economizzare all'interno di una dissonanza cognitiva, cioè il soggetto di fronte a questa dissonanza deve
scegliere la strada migliore, il più delle volte riguarda non tanto la percezione ma la memoria di
quell'evento nel passato. Ad esempio, il bastone che immerso nell'acqua sembra spezzato rappresenta
una dissonanza cognitiva, tuttavia nessuno si impaurisce poiché sappiamo dai ricordi passati che il
bastone è dritto.Si comprende, allora, che per economizzare il nostro ragionamento dobbiamo riferirci
ad un pensiero ben strutturato, appunto quello dei nostri ricordi passati. È chiaro che qui la questione
della dissonanza cognitiva viene dichiarata apertamente dalle scuole successive a quella di Piaget.
Piaget aveva dato eccessiva enfasi alla componente maturativa. Vi sono prove a favore della presenza
di strutture innate sia a livello percettivo che a livello motorio all'interno del bambino. Inoltre, i dati sulla
maturazione cerebrale indicano che il neonato possiede un vasto repertorio comportamentale, mentre
Piaget descriveva il neonato come un esercitatore di riflessi. Altri studi si sono accorti della possibilità
di accelerare i processi di sviluppo agendo sui meccanismi di sviluppo stessi, proprio come nel caso della
dissonanza cognitiva.
In effetti, per Piaget lo sviluppo cognitivo avveniva solamente come maturazione del soggetto, lui non
aveva mai pensato che potessero esserci ad esempio delle strutture innate sia a livello percettivo che a
livello motorio, oppure che il neonato già possiede un vasto repertorio comportamentale. Lo psicologo
svizzero aveva messo da parte le componenti fisiologiche dello sviluppo cognitivo, a lui bastava
osservare il bambino nei suoi comportamenti, ecco perché lo considerava come un agglomerato di
riflessi, non andando oltre ciò che si percepisce.
Altri studi hanno dimostrato che le competenze dei bambini e le loro capacità emergono prima di quanto
aveva previsto Piaget, oppure alcune capacità cognitive possono comparire anche dopo. Fu lo stesso
psicologo che sul finire della sua vita comprese che non tutto poteva essere schematizzato come la sua
teoria prevedeva, ma che alcune capacità emergono prima ed altri aspetti cognitivi tardano ad arrivare.
Da ciò si comprende che gli stadi di sviluppo non si presentano sempre come strutture d'insieme, basti
fare l'esempio della conservazione dei liquidi rispetto al volume.

Ad occuparsi dello sviluppo cognitivo del bambino vi è anche un'altra scuola, quella della
PSICOANALISI e di uno dei suoi esponenti più importanti che fu Erikson. La psicoanalisi viene
definita anche psicodinamica poiché pone l'accento su aspetti dinamici e non strutturali, il suo metodo
d'azione è motivazionale e non si basa sulla cognizione, utilizza sistemi di forze in interazione e non sono
invece sistemi statici, la personalità viene considerata come integrata e non come divisa in componenti.
Subito si nota la differenza rispetto la teoria di Piaget, innanzitutto perché lo psicologo svizzero partiva
sempre da assunti cognitivi, mentre la psicodinamica parte dalla motivazione del soggetto. Qui ci si
sofferma sulla dinamica psicologica dei soggetti e sulle motivazioni che inducono a certi comportamenti,
non tanto sulle cognizioni.
Questi cambiamenti si inseriscono perfettamente nel periodo storico di cui stiamo parlando. Siamo
all'inizio del Novecento e gli psicologi varcano nuove frontiere per riuscire a spiegare in modi sempre
più precisi comportamenti degli esseri umani ad esempio viene ideato una NUOVA PSICHIATRIA,
ossia quella scienza che trattava i malati di mente come soggetti pericolosi e che quindi si chiudeva
all'interno di se stessa senza creare interazioni con le altre scienze. A partire dagli inizi del Novecento la
psichiatria comincia ad analizzare i sintomi della malattia mentale in maniera più eterogenea, un
pensando che l'unica causa della malattia potesse essere organica. Inoltre, vi è una maggiore attenzione
per il paziente nel suo essere umano e per il rapporto interpersonale con il terapeuta. Se in passato la
causa della schizofrenia, ad esempio, veniva imputata solo a questioni di tipo organico, adesso questa
nuova psichiatria riflette anche sull'ambiente che il malato frequenta, sui rapporti interpersonali e su tutti
quegli elementi che possono influire con la malattia.
Un enorme cambiamento si ebbe con Sigmund Freud, il quale divise la psicoanalisi in tre parti la teoria
dello sviluppo, la teoria della personalità e la terapia. Soprattutto per quanto riguarda la terapia si ebbero
dei cambiamenti enormi e molte innovazioni, poiché fino a questo momento si agiva terapeuticamente
attraverso dei farmaci che non sempre riuscivano a risolvere il problema. Con la psicanalisi di Freud,
invece, si passa a curare le malattie mentali seguendo altri sentieri terapeutici. Per la prima volta si tratta
il paziente come un essere umano, non gli vengono somministrate dosi di farmaci che possono essere
anche nocivi o letali, ma si attuano nuove terapie, come ad esempio le associazioni libere, lo studio dei
sogni e il transfert.
Ci troviamo, dunque, in quel periodo storico in cui la scienza della mente cambia notevolmente, dando
più spazio alla dimensione emotivo dell'essere umano e non solo esclusivamente a quella cognitiva.
Proprio nel 1920 viene elaborata la prima topica della psicoanalisi, all'interno della quale viene elaborata
la teoria dei luoghi, composta da inconscio, preconscio e conscio. Dopo il 1920 viene elaborata una
seconda topica all'interno della quale troviamo il vero punto di vista dinamico, composto da Es, Io e
Superi-Io. La terza topica, infine, avrà un punto di vista economico e guarderà soprattutto all'energia e
alle fonti.
Con la psicoanalisi per la prima volta si inizia a parlare di personalità, la quale si sviluppa nel corso
dell'infanzia e dell'adolescenza: si nota che anche per Freud, come per Piaget, lo sviluppo della
personalità si arresta al periodo dell'adolescenza, invece gli studi contemporanei dimostrano che lo
sviluppo della personalità giunge fino alla senescenza. Sicuramente fino all'adolescenza gli sviluppi della
personalità sono molto più significativi e avvengono in maniera più repentina, ma, anche se dopo
l'adolescenza subiscono un rallentamento, questi sviluppi della personalità continuano comunque ad
esserci. All'interno della psicanalisi vengono anche analizzate gli adattamenti tra le pulsioni individuali
(bisogni) e le limitazioni della realtà.
La parte fondamentale della psicoanalisi la troviamo all'interno dei concetti di:
• ES, ossia il patrimonio ereditario, la sede e l'origine delle pulsioni
• IO, il quale conosce e valuta esterni
• SUPER-IO, che cresce soprattutto basandosi sulle influenze dei genitori e degli altri.
Da questa successione di stadi
comprendiamo subito che nessuno di
essi deve per durare a lungo, ma che
ognuno deve esprimersi in un tempo
grosso modo stabilito: rimanere
troppo nello stadio anale o nello
stadio orale potrebbe portare dei
problemi fisiologici al bambino,
come ad esempio infezioni
dell'ultima parte dell'intestino oppure
un disequilibrio nella crescita dei
denti.
Anche la fase lo stadio fallico, all'interno del quale troviamo il complesso di Edipo e il complesso di
Elettra, è assolutamente normale, ma deve mantenersi all'interno del periodo che va dai tre ai sei anni,
oltre potrebbe creare dei disturbi psichici al soggetto. In quel periodo che va dai sei ai dodici anni il
bambino vive il periodo di latenza, in cui reprime i suoi impulsi. A partire dai 12 anni il bambino vive
lo stadio genitale, in cui l'istinto sessuale diventa più maturo. È questa la fase in cui si creano degli
equilibri davvero precari, poiché i soggetti si trovano ad avere un corpo maturo, uno sviluppo cognitivo
ancora bambino o comunque adolescenziale, e un istinto sessuale maturo, dunque risulta molto difficile
riuscire a equilibrare delle condizioni individuali così eterogenee.
Freud fu molto chiaro sulla delicatezza di questi stadi e sul fatto che essi devono essere attraversati dal
soggetto secondo quest'ordine; potrebbe accadere che un soggetto prolunghi il suo stadio orale, salti lo
stadio anale e giunga direttamente allo stadio fallico. In questo caso sarà negli anni a venire che lo stadio
anale verrà ripreso dalla psiche del soggetto creando degli squilibri mentali. Dunque, gli stadi bisogna
attraversarli tutti e in maniera sequenziale.
Ricordiamo che una delle proprietà fondamentali della psicodinamica è proprio il mettere al centro di
tutto la persona, rispetto alla vecchia psichiatria che invece curava la malattia e non la persona.
Per comprendere a fondo cosa significhi mettere al centro della terapia il paziente, occorre analizzare qui
due elementi della terapia freudiana che furono il transfert e il contro-transfert. Il transfer è quel
fenomeno attraverso cui il paziente proietta sulla figura dell'analista situazioni affettive già determinatesi
nel corso della vita, e precisamente nell'infanzia. Innanzitutto, la terapia si basa su tre elementi
fondamentali: il paziente deve ripercorrere delle situazioni affettive che già nel corso della sua vita
vissuto, come ad esempio il tendere verso le figure di attaccamento che possono essere le figure
genitoriali, ponendo in primo piano lo stadio fallico e i due complessi che ne fanno parte. Una volta
ripercorsa questa situazione affettiva, il paziente compie una traslazione affettiva nei confronti del
terapeuta. In altre parole, il transfert è un meccanismo mentale per il quale l'individuo tende a spostare
schemi di sentimenti, emozioni e pensieri da una relazione significante passata a una persona coinvolta
in una relazione interpersonale attuale, dove la persona attuale è proprio il terapeuta. Tutta la storia
sentimentale ed emotivo del paziente viene portata all'interno della relazione con il terapeuta che,
secondo Freud, sempre andrà a creare delle difficoltà. Il rapporto che si viene a creare tra il paziente e il
terapeuta riguarda l'esposizione da parte del soggetto analizzato della sua attività inconscia che ha
accumulato durante il corso del suo sviluppo, in particolare riferendosi al proprio ambiente familiare.
Dal canto suo, il terapeuta può capire qual è stata la storia passata del suo paziente solo attraverso il
transfert.
È importante sottolineare che il paziente trasferisce queste sue informazioni inconsce in un modo
assolutamente non cognitivo; egli non si mette a pensare cosa dire cosa non dire al suo terapeuta.
L'elemento fondamentale di questa relazione è la ripetitività: il paziente trasferisce le sue situazioni
inconsce all'interno di una realtà presente ma che viene configurata come una situazione già nota,
ripetitiva, poiché si tratta di ripercorrere qualcosa di già vissuto. Con il transfert, il paziente manifesta
aspetti irrazionali o immaturi della propria personalità, il suo grado di dipendenza, la sua onnipotenza e
il suo pensiero magico. Ad esempio, riguardo al grado di dipendenza, il paziente manifesta il grado di
dipendenza che aveva nei confronti dei genitori e adesso lo manifesta nei confronti del terapeuta; è in
questo senso che il transfert diventa fondamentale per capire la situazione inconscia del paziente, poiché
quest'ultimo trasferisce sul terapeuta il sintomo che porta dentro di sé e che ha delle origini remote. È
sulla base di questi fattori che il terapeuta potrà intuire le aspettative del paziente nei suoi confronti, le
sue fantasie sul colloquio e sull'aiuto che potrebbe ricevere nonché le fantasie patologiche sulla
guarigione, che molto spesso consistono nella realizzazione di aspirazioni nevrotiche. Potrà, inoltre,
individuare anche la resistenza del soggetto a sottoporsi al colloquio, ovvero ad accettare l'aiuto o la cura.
Quando il paziente andrà in terapia non dovrà aspettarsi di eliminare totalmente il sintomo, ma il compito
del terapeuta è quello di spostare un sintomo abbastanza grave su un altro sintomo, o comportamento,
che sia invece più innocuo. Ad esempio, se un soggetto soffre di dipendenza da alcol, questo sintomo
potrà essere spostato su qualcosa di meno dannoso per la sua vita, come ad esempio un sintomo ossessivo-
compulsivo come il riordinare casa continuamente.
elemento altrettanto fondamentale è quello del controtransfert, ossia quel momento in cui il terapeuta
manifesta gli effetti dei fenomeni che gli sono stati descritti dal paziente; è chiaro che il paziente
trasferisce delle emozioni al terapeuta, e questi ne avrà degli effetti. Non vi è dubbio che gli effetti
procurati dalle situazioni descritte dal paziente dipendono in larga misura dalla storia personale del
terapeuta, e il fatto che compaiono in un determinato momento del colloquio manifesta delle motivazioni
specifiche che hanno dei fattori specifici.
Il terapeuta deve essere bravo a valutare qualunque racconto il paziente trasferisca all'interno della seduta
al terapeuta stesso, poiché un qualsiasi evento narrato dal paziente potrebbe innescare processi
psicologici negativi nel terapeuta, fino ad innescare odio nei confronti del paziente; e tutto questo deve
essere evitato anzitempo, ecco perché i terapeuti prima di iniziare la loro attività devono sottoporsi essi
stessi alla terapia. Infatti, sono stati considerati molti elementi di perturbazione all'interno del colloquio
e ci si è resi conto che la comparsa di questi elementi è immancabile e inevitabile nel rapporto tra paziente
e terapeuta. Il clinico deve registrare questi fenomeni (transfert e controtransfert) come emergenti dalla
situazione presente e dalle relazioni che provoca in lui il paziente e poi durante il colloquio l'osservazione
del clinico nei confronti del paziente deve essere parallela all'autoosservazione che il clinico fatti se
stesso.

I meccanismi di difesa
Un corretto inquadramento della personalità normale e patologiche prescindere dalla valutazione dei
meccanismi di difesa. Si deve proprio alla psicoanalisi la scoperta lo studio approfondito dei meccanismi
di difesa intesi tanto come specifiche manovre difensive, quanto come peculiari artifici psichici, originati
dall'inconscio con finalità di salvaguardia.
Da quando i meccanismi di difesa sono stati introdotti all'interno della psicologia, e cioè dal primo Freud
e dalla figlia Anna, si sono succedute ridefinizioni e rivisitazioni in ambito psicodinamico di questo
concetto, soprattutto grazie al contributo delle altre principali scuole di psicologia del profondo, le quali
consentono di dare una definizione sintetica dei meccanismi di difesa.
I meccanismi di difesa sono processi psichici, spesso seguiti da una risposta comportamentale, che
ogni individuo mette in atto, più o meno automaticamente, quando si trova ad affrontare situazioni
particolarmente stressanti e deve mediare i conflitti generati dallo scontro tra impulsi, desideri e affetti
da un lato, e proibizioni interne condizioni della realtà esterna dall'altro.
Inoltre i meccanismi di difesa possono essere considerati come sentimenti, pensieri o comportamenti
appresi, quasi sempre involontari, che si manifestano in risposta alla percezione di "ogni pericolo per
il mondo psichico". Si potrebbero anche considerare come lo strumento preferenziale è automatico che,
senza sforzo e senza consapevolezza soggettiva, viene utilizzato per gestire gli istinti e gli affetti.
Innanzitutto, i meccanismi di difesa possono essere adattivi o patologici (disadattivi) e, nonostante
tendenzialmente siano cristallizzabili, essi sono reversibili (questo è un fattore che legittima la
potenzialità curativa degli interventi di psicoterapia). I meccanismi di difesa intervengono sia nelle
condizioni di malattia, ma anche nei vari rapporti quotidiani, come ad esempio medico-paziente,
insegnante-allievo, educatore-evocando, psicoterapeuta-cliente, psicologo clinico-utente.

Quindi, le tipologie di meccanismi di difesa sono tre. Il primo dei meccanismi di difesa NEVROTICI è
la Rimozione. Qui il soggetto affronta conflitti emotivi e fonte di stress interne o esterne attraverso il
non essere in grado di ricordare ogni non essere cognitivamente consapevole di desideri, sentimenti,
pensieri o esperienze disturbanti. In altre parole, la rimozione riguarda quei casi in cui un trauma vissuto
in un periodo precedente non venga più ricordato dal paziente nel periodo attuale. Un esempio di
rimozione potrebbe essere questo: uno studente un rapporto molto conflittuale con il padre. All'esame di
psicologia dinamica, materia in cui è molto preparato, "dimenticano" la teoria del complesso edipico.
Lo Spostamento. Qui il soggetto generalizza indirizza su un oggetto meno minaccioso, un sentimento
una risposta che invece primariamente erano rivolti a un altro oggetto; tale meccanismo può essere tanto
consapevole quanto inconsapevole (nella fobia entrerebbero in gioco prima la rimozione e poi lo
spostamento). L'esempio potrebbe essere quello di uno studente che litiga pesantemente con una
compagna con la quale sta preparando l'esame di storia e della quale segretamente innamorato. Torna a
casa e brucia il libro di storia,
l'atteggiamento dello studente potrebbe essere quello di chi distrugge quell'oggetto che in realtà lo unisce
alla compagna amata.
La Formazione reattiva è il terzo dei meccanismi di difesa nevrotici. Qui il soggetto, percependo come
inaccettabili propri pensieri, sentimenti e comportamenti, li sostituisce con pensieri, sentimenti e
comportamenti diametralmente opposti. L'esempio che possiamo fare è quello di uno studente che detesta
un suo compagno di corso si comporta in modo esageratamente gentile.
La Somatizzazione, poi, è tipica dei pazienti ipocondriaci, comporta il trasferimento di sentimenti
dolorosi a parti del corpo. In questo senso la psicoterapia con pazienti che somatizza non è spesso
frustrante, in quanto i sentimenti inaccettabili e le loro preoccupazioni emotive possono essere
comunicate socialmente attraverso lamentele fisiche.
La Conversione è solitamente, anche se passivamente, associata all'isteria; essa è caratterizzata dalla
rappresentazione simbolica di un conflitto intrapsichico in termini fisici. L'esempio potrebbe essere
quello di una paziente che sentiva degli aghi dedicati all'interno della gola. In realtà era avvenuta la
conversione sottoforma di rappresentazione simbolica di un'esperienza vissuta anni prima con il marito
in merito ad un rapporto orale; il trauma di questa esperienza era stato convertito in qualcosa di fisico,
ossia degli aghi conficcati nella gola.
L'Intellettualizzazione ecco il meccanismo di difesa in cui il soggetto utilizza in modo eccessivo il
pensiero astratto per evitare di provare sentimenti che lo disturbano. Il soggetto non distorce fatto le
motivazioni, non usa giustificazioni per nascondere, come avviene nella razionalizzazione, ma tende a
presentarli in maniera astratta tale da consentire la spoliazione dei loro aspetti emotivi, riducendo però le
possibilità di compartecipazione emotivo-affettiva da parte degli altri.
Passiamo adesso alla seconda tipologia dei meccanismi di difesa, quelli PRIMITIVI. Il primo dei
meccanismi di difesa primitivi è la Scissione, dove il soggetto, non riuscendo a integrare le caratteristiche
positive o negative di sé e degli altri in immagini coese. Il soggetto considera se stesso e gli altri come
completamente buoni o come completamente cattivi (alternativamente idealizzando e svalutando).
L'esempio che possiamo fare è quello di uno studente che alterna momenti di adorazione a momenti di
disprezzo per una professoressa. A seconda delle loro interazioni, talvolta la mente intelligente potente
(vede se stesso ignorante e debole), altre volte sul punto di vista è diametralmente opposto.
Tra i meccanismi di difesa più primitivi vi è anche l'Identificazione proiettiva. Come nella proiezione,
il soggetto affronta i conflitti emozionali o i fattori stressanti, interni ed esterni, attribuendo erroneamente
a qualcun altro i propri sentimenti, impulsi o pensieri inaccettabili. Il soggetto non disconosce totalmente
ciò che viene proiettato, ma interpreta erroneamente elementi che ha davanti come fossero reazioni
giustificate nei confronti dell'altro. Non di rado il soggetto suscita negli altri quegli stessi sentimenti che
prima attribuiva loro erroneamente rendendo difficile valutare che sia stato a cominciare.
Con l'Introiezione, un soggetto esterno viene simbolicamente preso dentro di sé e assimilato come parte
di se stesso. Può esistere come aspetto dell'identificazione proiettiva, in cui ciò che era stato messo dentro
era stato originariamente proiettato, oppure può sussistere indipendentemente, come contrario della
proiezione. La parte più importante di questo meccanismo di difesa è che un oggetto esterno viene
simbolicamente preso e assimilato come parte di se stesso. Questo meccanismo di difesa si accosta molto
alla somatizzazione, poiché si tratta sempre di un qualcosa di esterno che viene somatizzato.
La terza tipologia riguarda i meccanismi di difesa più MATURI, il primo dei quali è la Repressione. In
questo meccanismo di difesa l'individuo, in situazione di stress, evita "volontariamente" e
temporaneamente di pensare a problemi, desideri, sentimenti o esperienze disturbanti, fino al momento
giusto per affrontarli; rimanda a un momento più opportuno pur non dimenticando il problema (in questo
differenziandosi dalla rimozione). Il soggetto dimentica il problema, ma possiamo dire lo accantona fino
a quando non riterrà giusto farlo emergere e affrontarlo.
Anche l'Altruismo può essere un meccanismo di difesa. In questo caso l'individuo si occupa dei bisogni
degli altri allo scopo, in parte, di soddisfare i propri. Attraverso degli atti altruistici possono venire
incanalati sia gli affetti, quali la rabbia, che le esperienze, quale l'impotenza, che altrimenti genererebbero
scompensi. Va distinto l'altruismo dalla sublimazione soprattutto perché quest'ultima non fornisce un
vero aiuto diretto, quanto piuttosto dei prodotti di cui eventualmente si può godere. L'esempio potrebbe
essere quello di una persona che inizia a fare volontariato all'interno si occupa di malati di SLA, perché
il marito anni prima è morto della stessa malattia. Si potrebbe venire a creare un meccanismo all'interno
della psiche secondo il quale la persona porta dentro di sé un senso di colpa che può smaltire solamente
con questa attività altruistica.
Poi, la Sublimazione è il meccanismo di difesa di quell'individuo che affronta i conflitti incanalando,
più che inibendo, sentimenti o impulsi potenzialmente disattivi verso comportamenti socialmente
accettabili (sport, lavori competitivi, espressioni creativo-artistiche, o altro, dove è possibile dirigere
utilmente gli impulsi ostili-competitivi di collera o sessuale); ad esempio il chirurgo può sublimare la
propria componente "sadica" così come il ginecologo quella "voyeuristica".
L'Umorismo porta l'individuo a enfatizzare gli aspetti divertenti o ironici del conflitto o della fonte di
stress. Egli cerca di alleviare la tensione in modo da consentire agli altri di condividere tale possibilità e
ciò, soprattutto, senza arrecare danno ad alcuno, a differenza dei casi caratterizzati da derisione, da
sarcasmo od atteggiamento sprezzante. Inoltre, l'umorismo va tenuto distinto dallo scherzo dal
divertimento: ad esempio, raccontare una barzelletta non equivale all'umorismo, a meno che essa abbia
come finalità principale quella di mitigare un grave conflitto motivo un'importante situazione di stress.
Con l'Affiliazione il soggetto affronta conflitti espresse rivolgendosi agli altri per aiuto o sostegno, con
la convinta possibilità di confidare, e così sentirsi meno solo ed eventualmente ricevere sia consigli sia
aiuti concreti.
All'interno dei meccanismi di difesa noi riconosciamo innanzitutto il LIVELLO DEL
DISCONOSCIMENTO, ossia quel livello caratterizzato dall'esclusione dalla coscienza di fattori
stressanti, impulsi, idee, affetti o responsabilità spiacevoli o inaccettabili con o senza l'attribuzione
erronea di questi a cause esterne.
Poi, con la Proiezione il soggetto attribuisce erroneamente ad altri i propri sentimenti, impulsi o pensieri
non riconosciuti. Il soggetto rinnega le proprie intenzioni, la propria esperienza, assegnandoli ad altri, di
solito alle persone da cui si sente minacciato o che percepisce in qualche misura affini. Gli esempi della
proiezione possono essere due: da un lato una proiezione non delirante, ad esempio un professore pieno
di rabbia per motivi personali aggredisce alcuni colleghi pensando che stiano tramando alle sue spalle;
dall'altro lato una proiezione delirante, ad esempio un professore pieno di rabbia per motivi personali
aggredisce alcuni colleghi pensando che immettano del gas velenoso nella sua stanza attraverso
l'impianto di condizionamento dell'aria. È da sottolineare la differenza con l'identificazione proiettiva,
infatti in questa il soggetto identifica i propri sentimenti e li trasferisce a qualcun altro, mentre nella
proiezione il pensiero è quello che mi vogliono uccidere. Nel primo caso (identificazione proiettiva) i
sentimenti vengono identificati e attribuiti ad altri, nel secondo caso (proiezione) i sentimenti vengono
semplicemente proiettati.
Con la Razionalizzazione l'individuo escogita spiegazioni rassicuranti o a lui utili, anche se inesatte, per
il proprio o l'altrui comportamento. In questo caso il soggetto utilizza scuse e ragioni che "legittimano"
una plausibilità tale da consentire di nascondere i veri fatti e le autentiche motivazioni rispetto ai quali
sperimenta un conflitto. Talora questo meccanismo comporta una significativa difficoltà nel distinguere
la spiegazione dalla menzogna; probabilmente chi mente è interamente consapevole, mentre chi
"razionalizza" è almeno momentaneamente, inconsapevole. L'esempio potrebbe essere quello di uno
studente che si presenta ad un esame totalmente impreparato e viene respinto. Racconta però se stesso
agli amici che le domande erano così difficili che nessuno avrebbe potuto superare quell'esame.
Con la Negazione l'individuo rifiuta di riconoscere gli aspetti della realtà esterna o della propria
esperienza evidenti per gli altri. Egli negativamente che un sentimento, una reazione comportamentale o
un'intenzione sia stata ossia presente restando all'oscuro del contenuto ideativo ed emotivo di ciò che
viene negato. Ad esempio, uno studente fa domanda presso l'Università straniera per frequentare uno
stages estivo. Dice ai suoi genitori e ai suoi amici che sarebbe un'esperienza per lui molto importante. La
domanda non viene accettata e lo studente dice di non provare alcun sentimento di delusione o tristezza.
Un altro livello dei meccanismi di difesa è il LIVELLO DELL'AZIONE, ossia quel livello
caratterizzato da un tipo di funzionamento difensivo che affronti fattori stressanti interni esterni
utilizzando l'azione o il ritiro da essa.
Altri meccanismi di difesa possono essere:
• Acting out: il soggetto agisce senza riflettere, senza alcun apparente considerazione per le
possibili conseguenze negative, attraverso un comportamento incontrollato e noncurante dei
coinvolgimenti a livello personale sociale (lancio del libro);
• Aggressività passiva: il soggetto esprime la propria aggressività verso gli altri in modo indiretto
e non dichiarato, manifestando risentimento, ostilità, rancori, in modo velato e passivo.
Esiste una scala, la Defense Mechanism Rating Scale, che permette di studiare quei meccanismi
inconsci che non possono essere direttamente visualizzati dallo psicologo ma possono essere solo dedotti
a partire dal comportamento, dall'ideazione, e dalle relazioni interpersonali. Si tratta di una scala che
valuta i disturbi psicotici, come ad esempio il perdersi nel mondo psichico (uso di meccanismi primitivi),
i disturbi di personalità, ossia l'esclusione dalla realtà psichica a favore dell'agire, si tratta di quella difesa
che agisce prevalentemente sull'ambiente sugli altri, e i disturbi nevrotici. Questa scala, introdotta da
Perry, analizza 27 meccanismi di difesa e di ogni difesa dà:
• definizione teorica
• descrizione della sua funzione dinamica
• diagnosi differenziale con le difese più vicine
• scala di valutazione a tre punti (assenza, uso probabile, uso certo).
All'interno della scala viene fatta una valutazione qualitativa, ossia attraverso il colloquio si valuta la
presenza o l'assenza della difesa, e una valutazione quantitativa, ossia con quale frequenza una difesa è
stata utilizzata. La valutazione dei meccanismi di difesa viene utilizzata sia in didattica, sia nella ricerca
che nella psicoterapia, i tre ambiti in cui possibile evolvere nella conoscenza della mente umana.
All'interno della scala viene somministrata un'intervista che al suo interno delle fasi del processo
d'identificazione. Innanzitutto si nota un passaggio insolito nell'intervista, poiché si stabilisce la presenza
di una difesa e si identifica il punto d'inizio e di fine. Poi si passa all'analisi differenziale delle possibili
difese in quel tratto di colloquio. La scelta del terapeuta si basa sul riconoscimento della funzione che
tali attività difensive hanno per il soggetto. Durante il colloquio il terapeuta va ad indagare le anomalie
che vengono riscontrate all'interno del soggetto, anomalie che possono essere espresse attraverso il
linguaggio, l'affettività, il comportamento della cognitività (affetto inaspettato, cambiamento improvviso
della voce, la contraddittorietà sulle idee che vengono espresse dal paziente, il cambiamento improvviso
di argomento, significati oscuri e motivazioni che sembrano distorcere la verità). Ad esempio, la vittima
di un incidente stradale, nel descrivere l'accaduto, potrebbe minimizzare la propria reazione emotiva,
focalizzare la propria descrizione solo sui danni subiti alla sua auto. Il terapeuta deve stare attento a questi
dettagli e al fatto che il paziente tende a minimizzare quei fattori eccessivamente stressanti che si sono
venute verificare durante l'evento, i quali vengono da lui isolati.
In conclusione, questa scala serve a valutare i meccanismi di difesa senza che il terapeuta possa farsi
scappare nulla di quelle anomalie che il paziente palesa durante il colloquio.

3. Approccio storico-culturale
L'approccio storico-culturale considera la cultura di appartenenza, ossia il contesto culturale, storico e
sociale, come elemento fondamentale per lo sviluppo psichico del bambino. Lev Vygotskij fu
l'intellettuale russo che fondò la cosiddetta scuola storico-culturale. Nacque lo stesso anno di Piaget, ma
la sua vita fu molto più breve, poiché morì di tubercolosi all'età di 38 anni. Ebbe un'estrazione culturale
marxista e i suoi studi furono prevalentemente giuridici, infatti si laureò in giurisprudenza. Tuttavia, il
suo grande interesse fu la psicologia applicata all'educazione e si narra che le sue lezioni fossero
frequentate da tantissimi studenti. Nell'ultimo periodo della sua vita, Vygotskij vide un irrigidirsi delle
condizioni sociali del suo paese e anche dopo la sua morte il suo pensiero non potè circolare: bisognerà
aspettare il 1962 per avere una prima traduzione in inglese del suo capolavoro Pensiero e linguaggio.
Se Piaget non riuscì a leggere Vygotskij perché fu censurato, quest'ultimo però riuscì a leggere gli scritti
dello psicologo svizzero, e condivise tantissimo l'idea di Piaget che il bambino non è un piccolo adulto
ma è una piccola intelligenza, dietro la quale si nasconde uno sviluppo. Tuttavia, Vygotskij propone un
nuovo modo di vedere lo sviluppo del bambino, un modo non universale e non assoluto, ma dove i fatti
che costruiscono lo sviluppo del bambino vengono presi direttamente dall'ambiente sociale circostante.
Secondo Vygotskij la teoria di Piaget trascura i fattori sociali e culturali che influenzano lo sviluppo
cognitivo, infatti il pensiero raggiunge il pieno sviluppo nel momento in cui si appropria dei dati culturali
e dei dati sociali che sono messi a disposizione del soggetto all'interno di un determinato contesto.
Sebbene Vygotskij non individua stadi di sviluppo differenti, egli considera fasi diverse nello sviluppo
del bambino: da processi psichici elementari (percezione, memoria, attenzione spontanea) si giunge a
funzioni psichiche superiori (memoria, attenzione volontaria e ragionamento concettuale).
Il dato fondamentale è che questo passaggio dai processi psichici elementari alle funzioni psichiche
superiori non è determinato dall'attività del singolo bambino, bensì dall'interazione sociale; sono i
mediatori sociali, ossia tutte le scoperte e le invenzioni culturali, a influenzare il modo di pensare del
bambino. Un esempio per tutti potrebbe essere quello del linguaggio, al quale Vygotskij diede un ruolo
particolare: in un primo momento linguaggio nasce dall'interazione sociale del bambino con il mondo
esterno, ma in un secondo momento assume la funzione intrapsichica, poiché permette al soggetto di
creare dei pensieri interni.
In questo senso lo sviluppo del bambino e legato all'ambiente circostante, e questo concetto Vygotskij lo
chiama zona di sviluppo prossimale. Si tratta di quel livello superiore di sviluppo psichico che ogni
bambino può raggiungere grazie all'interazione con l'ambiente esterno; la zona di sviluppo prossimale
rappresenta il potenziale di sviluppo che un bambino non ancora scoperto possedere, ma che riesce ad
esprimere grazie al contributo del mondo esterno. Ad esempio, se un bambino inizia a contare alcuni
oggetti potrebbe indicare due volte lo stesso oggetto ma ripetere due numeri vicini; un bambino più
grande potrebbe spostarsi il dito la seconda volta verso un altro oggetto, in modo da fargli notare che ad
ogni numero corrisponde un oggetto.
Gli studi di Vygotskij hanno influenzato la psicologia e la pedagogia successive, e uno dei più illustri
prosecutori dell'approccio storico-culturale è stato Jerome Bruner. Lo psicologo americano presta molta
attenzione al ruolo delle influenze culturali nello sviluppo cognitivo del bambino e considera le
interazioni con gli adulti un elemento di grandissima importanza, poiché attraverso queste interazioni i
bambini riescono a rappresentarsi la conoscenza. Secondo Bruner, i bambini conoscono il mondo
attraverso tre tipi di rappresentazioni:
• le rappresentazioni esecutive, emergono nel primo anno di vita
• le rappresentazioni iconiche, compaiono verso i 12 mesi
• le rappresentazioni simboliche, si affermano tra i 5-7 anni
Di fondamentale importanza sono le rappresentazioni simboliche, poiché grazie ad esse il bambino
supera il dato osservativi e giunge a formulare delle ipotesi facendo delle inferenze.

4. Approccio dell'elaborazione delle informazioni


Secondo questo approccio è importante comprendere come il nostro sistema cognitivo riesce a
metabolizzare i dati della realtà, i quali sono codificati, immagazzinati ed elaborati della nostra mente.
Questo sistema venne proposto all'inizio riguardo all'attività cognitiva degli adulti e successivamente
anche riguardo all'attività cognitiva dei bambini. A rendere l'idea di questo tipo di approccio è la metafora
mente-computer: i primi modelli cognitivisti pensavano che la mente umana funzionasse proprio come
un computer, capace di codificare informazioni e trasformarle in rappresentazioni, dove per
rappresentazione si intende l'informazione che è stata acquisita da sistema cognitivo. Non vi è
differenza, dunque, tra la mente e il software di un computer, e lo psicologo diventa come un tecnico che
cerca di scoprire in che modo quel computer è stato programmato.
Secondo i cognitivisti i processi di codifica migliorano con il passare del tempo, tanto che man mano che
lo sviluppo psichico aumenta si è in grado di creare delle rappresentazioni sempre più complesse. Un
esempio potrebbe essere quello dell'automatizzazione, ossia la capacità del soggetto di utilizzare le
proprie risorse mentali per altri scopi. Ad esempio il bambino che impara a leggere è impegnato nella
decodifica delle lettere scritte e non riesce bene a creare una rappresentazione simultanea del suono
corrispondente: col passare del tempo, però, il bambino riesce con un minimo sforzo cognitivo ad
associare la lettera al fonema (suono).
Un altro esempio potrebbe essere quello dell'uso delle strategie: gli adulti quando vogliono ricordare
qualcosa ripetono continuamente quella cosa ad alta voce. I bambini chiaramente non possono utilizzare
questa strategia perché ancora le loro rappresentazioni sono molto semplici, questa strategia verrà
utilizzato solamente a partire dai sette anni, ossia in età scolare.
Come si comprende questo approccio considera lo sviluppo del bambino come risultato di momenti
diversi e di diverse abilità del soggetto, e si contrappone alla teoria degli stadi di Piaget in cui lo sviluppo
è inteso principalmente come un cambiamento qualitativo dell'intero sistema.

5. Approccio neopiagetiano
Alcuni ricercatori si sono auto definiti neopiagetiani e hanno prodotto uno studio dello sviluppo
cognitivo usando come base la teoria di Piaget integrandola però con l'approccio dell'elaborazione delle
informazioni. In realtà le spiegazioni fornite da Piaget non risultano del tutto adeguate a spiegare lo
sviluppo cognitivo, poiché non ci si può basare solo sulle competenze logiche dei bambini per spiegare
la loro evoluzione psichica. Se si tratta di spiegare la formulazione delle richieste, il materiale,
l'esperienza specifica, il contesto, la struttura logica della psiche non basta più e bisogna andare al di là;
quindi i neopiagetiani sostengono che le teorie dello psicologo svizzero potrebbero essere ben intrecciate
con l'approccio cognitivista, considerando la mente come uno strumento di elaborazione delle
informazioni.
Il primo di questo gruppo di psicologi è Juan Pascual-Leone, allievo e collaboratore di Piaget. Egli,
nonostante entrò in conflitto con il maestro dopo le critiche alla sua teoria, egli utilizzo del maestro il
concetto di schema come unità di base delle rappresentazioni mentali e delle elaborazioni cognitive. Per
Pascual-Leone i problemi cognitivi complessi possono essere risolti solamente se vengono intrecciati
diversi schemi. Ad esempio il problema della conservazione della quantità dei liquidi fu risolto da Piaget
con l'utilizzo di tre schemi mentali:
• l'uguaglianza iniziale della quantità di liquido nei due contenitori uguali;
• la trasformazione avvenuta, cioè il travaso da un contenitore un altro;
• il fatto che travasando il liquido non avviene nessun cambiamento quantitativo del liquidò
stesso.
Quindi, mentre per Piaget il bambino poteva risolvere questo problema utilizzando questi tre schemi, per
il suo allievo la complessità del ragionamento dipende soprattutto da quanti schemi il soggetto riesce a
coordinare mentalmente, e questa capacità cambia ma mano che cresce l'età.
Per lo psicologo spagnolo si possono venire a creare delle situazioni fuorvianti, in cui alcune apparenze
possono trarre in inganno oppure possono essere applicati erroneamente degli schemi che vengono
utilizzati in maniera appropriata; altre situazioni possono essere facilitanti, ossia che i dati percettivi
facilitano l'attivazione di schemi appropriati. Secondo lui quelli di Piaget sono dei compiti fuorvianti
perché attivano in conflitto cognitivo tra rappresentazioni mentali che possono anche non essere
pertinenti quindi traggono in inganno. In questo modo, l'attività cognitiva del bambino viene influenzata
sia dalla capacità di coordinare più schemi, sia dallo stile cognitivo, ossia dalla differente dipendenza dal
campo: un bambino può essere più dipendente dal campo o meno dipendente dal campo, e questo
influenzerà il suo sviluppo cognitivo.
Pascual-Leon sostiene che il bambino propone differenti stadi di sviluppo in base all'età: a cinque anni il
bambino può attivare contemporaneamente due schemi, questa capacità attentiva (M capacity) cresce di
una unità ogni due anni fino all'adolescenza (3 schemi a 7 anni, fino a 7 schemi a 15 anni); in questa sua
rigida evoluzione il bambino può essere aiutato dalle situazioni facilitanti, le quali permettono di
utilizzare un numero di schemi ancor maggiore.
Halford ha proposto una teoria che per certi versi è simile. Lo psicologo sostiene che dopo il periodo
sensomotorio i bambini accrescono la propria funzione simbolica mediante una serie di stadi, all'interno
dei quali bambini riescono a svolgere compiti e risolvere problemi. Anche secondo Halford ciò è
possibile grazie all'aumento delle risorse attentive e della memoria di lavoro.
Case, il concetto di strutture concettuali centrali, ossia delle reti di schemi che inizierà ebbero a
emergere intorno ai quattro anni e che contengono al loro interno le connessioni tra più rappresentazioni
del bambino: esiste una struttura concettuale delle relazioni spaziali, una struttura dei concetti
quantitativi, una struttura per la conoscenza sociale, una struttura per il pensiero narrativo, insomma le
strutture concettuali centrali servono a organizzare le conoscenze anche in domini molto diversi. Tutte
queste strutture concettuali centrali si sviluppano indipendentemente le une dalle altre, soprattutto in base
alle esperienze, gli interessi e alle attitudini del bambino. Tuttavia, tutte le strutture concettuali centrali
dipendono da una sola risorsa, ossia la capacità della memoria di lavoro, la quale viene sostituita alla M
capacity utilizzata da Pascual-Leane e Halford.
Come abbiamo visto le teorie neopiagetiane riprendono molti dei concetti espressi da Piaget: stadio
sensomotorio, funzione simbolica, schemi. Si potrebbe dire dunque che questo approccio è una
continuazione della teoria di Piaget, in quanto il bambino acquisisce nuove conoscenze, nuovi schemi
soprattutto grazie all'esperienza attiva che fa dell'ambiente circostante e grazie alle operazioni mentali
che realizza. A differenza di Piaget, questo approccio considera fondamentale il sistema di elaborazione
delle informazioni del bambino, superando così molte debolezze della teoria di Piaget, basata troppo
rigidamente sulle competenze logiche del bambino.

6. Approccio neurocostruttivista
Questo approccio si prefigge di coniugare insieme lo sviluppo della mente con lo sviluppo del cervello.
In altre parole ci si interroga se lo sviluppo cognitivo del bambino sia legato al suo substrato neurale. La
diffusione dell'approccio neurocostruttivista si deve soprattutto alle teorie della dottoressa Karmiloff-
Smith, collaboratrice di Piaget. La lezione di Piaget non viene dimenticata infatti il bambino viene
considerato come costruttore del proprio sviluppo, ma al contempo il sistema cognitivo non è slegato dal
sistema neurale, infatti entrambi si modificano grazie al loro stesso funzionamento, ovvero all'attività del
soggetto interazione con l'ambiente.
Tuttavia a differenza della teoria degli stadi di Piaget, il neurocostruttivismo non pensa che lo sviluppo
del bambino coinvolga simultaneamente tutto il sistema cognitivo, ma considera la mente come divisa in
diversi domini di conoscenza, proprio come voleva l'approccio dell'elaborazione delle informazioni: la
mente lavora secondo diverse aree cerebrali che sono coinvolte separatamente nell'apprendimento.
Nonostante ciò il neurocostruttivismo non pensa che queste aree siano innate, come vuole l'approccio
dell'elaborazione delle informazioni, ma pensa che le aree cerebrali vadano incontro ad una progressiva
specializzazione dovuta al crescere dell'età e all'interazione con l'ambiente. La dottoressa Karmiloff-
Smith pensa però che nel bambino vi siano delle predisposizioni che gli permettono di interagire con
l'ambiente circostante. Una di queste predisposizioni è sicuramente l'attenzione che i bambini pongono
nell'osservare i volti umani.
Potremmo parlare anche di modularizzazione, un termine introdotto proprio dalla dottoressa, per
indicare che all'interno della mente non esistono moduli innati, ma che questa modularizzazione avviene
attraverso l'esperienza. In questo senso la mente si evolve secondo delle fasi (e non secondo gli stadi di
Piaget) a costruire i moduli è il processo di ridescrizione rappresentazionale: ossia, lo sviluppo
cognitivo viene inteso come la progressiva capacità di creare rappresentazione del mondo e di se stessi.
In questo modo avviene quel passaggio dalle rappresentazioni implicite, che si trovano nella mente del
bambino e sono inconsapevoli, alle rappresentazioni esplicite di cui abbiamo consapevolezza.
Di sicuro è l'interazione con l'ambiente circostante a determinare questa ridescrizione rappresentazionale
e la dottoressa propone un esperimento. Alcuni bambini compresi tra i quattro anni e mezzo e i nove anni
e mezzo devono posizionare dei blocchi sopra un supporto in modo che potessero stare in equilibrio.
Alcuni blocchi però sono stati modificati e il loro peso non è perfettamente in equilibrio con il baricentro.
Si è visto che i bambini a livello I (implicito) prendono il blocco nelle proprie mani e cercano il posto
più adatto per farlo tenere in equilibrio: si comprende che a questo livello le azioni del bambino sono
guidate dalle informazioni che riceve dall'ambiente circostante. Il livello E-1 (esplicito 1) vede il
bambino cominciare a creare all'interno della propria mente una teoria ricavata sicuramente
dall'interazione con l'ambiente: il blocco modificato viene posizionato con cura sopra la base per farlo
tenere in equilibrio, pensando che sia la cura con cui lo sistemano e non il punto di equilibrio il problema.
A questo livello il bambino comincia a sviluppare una propria rappresentazione unitaria del problema,
poi vi sono i livelli E-2 ed E-3, dove i bambini diventano consapevoli della propria teoria e sanno
comprendere la differenza tra i blocchi modificati e i blocchi originali. Ancora una volta e l'interazione
con l'ambiente e l'esperienza a creare le loro rappresentazioni.

7. Abilità e sviluppo
A questo punto è importante considerare un punto di vista generale come avviene lo sviluppo del soggetto
considerandolo fino all'adolescenza, non dimenticando mai però che lo sviluppo non termina con il
passaggio all'età adulta, ma prosegue per l'intero ciclo di vita.
Prima infanzia. Gli studi condotti sull'infanzia mostrano come i bambini a soli due anni dalla nascita
acquisiscono numerose complesse competenze: sviluppo motorio, abilità comunicative linguistiche,
sviluppo emotivo e sociale. Piaget si era dedicato a comprendere le caratteristiche cognitive dei bambini
nelle diverse fasi della vita, considerando l'evoluzione dai riflessi primari, cioè quei comportamenti
automatici che consentono al bambino di sopravvivere e di interagire con l'ambiente nonostante la sua
organizzazione biologica non permette ancora delle attività complesse, a comportamenti sempre più
controllati e intenzionali. Con il finire della prima infanzia il bambino poi riesce a rappresentarsi la realtà
percepita e usare i simboli, l'esempio più importante è quello di poter incrementare le proprie abilità
comunicative linguistiche che emergono dall'imitazione degli adulti. Secondo Piaget il passaggio dai
riflessi primari alla rappresentazione mentale della realtà è molto delicato e lento: il neonato deve
innanzitutto acquisire e gestire le informazioni che riceve dei propri organi di senso, sono infatti gli
organi di senso che gli permettono di acquisire un insieme di immagini che scompaiono le appaiono
senza un ordine. In un primo momento infatti gli oggetti appaiono e poi scompaiono, solo in un secondo
momento il bambino può rappresentarsi la realtà e pensare alle azioni da compiere.
Dagli studi sulla percezione si è compreso quanto importante sia il periodo percettivo per l'evoluzione
cognitiva del bambino. Ad esempio è stato studiato il fenomeno dell'abituazione: si mettono due oggetti
diversi davanti un bambino e se egli rinnova il suo interesse quando si presenta un nuovo stimolo, allora
si può dedurre che il bambino abbia colto la differenza tra lo stimolo a cui è stato abituato e lo stimolo
nuovo.
Fondamentali sono anche le abilità che il bambino acquisisce dal punto di vista sensoriale. Alla nascita
le abilità uditive sono molto ridotte, infatti, mentre nei primi momenti di vita i bambini si girano verso i
suoni in modo confuso, verso i 4-5 mesi il loro atteggiamento risulta più controllato. Le abilità visive
risultano molto ridotte al momento della nascita, ma già verso i 2-3 mesi i bambini riescono a focalizzare
oltre un metro; anche il riconoscimento dei colori aumenta progressivamente con l'aumentare dell'età,
fino agli otto mesi quando le abilità visive migliorano considerevolmente rispetto ai mesi precedenti.
Esistono poi nei bambini due funzionalità diverse degli organi di senso:
• la coordinazione intersensoriale, ossia quando il bambino si gira verso la fonte sonora;
• e la percezione transmodale, ossia la capacità di integrare le informazioni che provengono dai
diversi sensi.
Inoltre, molti studi hanno fatto emergere che i bambini hanno delle preferenze verso certi stimoli: ad
esempio preferiscono i suoni linguistici ad altri tipi di suoni, infatti preferiscono il suono della voce della
madre che poi sarà il primo elemento a costruire la lingua madre. Poi bambini preferiscono volgersi verso
i volti umani, soprattutto quelli familiari. In questo modo ogni bambino comincia a fare la propria
conoscenza del mondo circostante e a conoscere le proprie abilità relazionali.
Esperimenti come l'abituazione e il paradigma della preferenza visiva hanno permesso agli psicologi di
notare la differenza di stimolo nel bambino. Quando l'interesse cresce verso un determinato suono o una
determinata visione, allora il bambino non ha compreso la differenza rispetto a quell'oggetto se lo stesso
mostrato in precedenza. Se invece il suo livello di interesse diminuisce, allora il bambino ha riconosciuto
quell'oggetto già visto in precedenza. Piaget, ad esempio, pensava che i bambini entrassero a contatto
con il mondo fisico nei diversi stadi del loro sviluppo. Ad esempio nella seconda metà del primo anno di
vita il bambino riesce a comprendere che un oggetto esiste anche se non è più visibile. Altri esperimenti
sono quelli impossibili, come oltrepassare le leggi della fisica facendo in modo che una barretta riesca
ad attraversare un oggetto: in questo caso l'attenzione del bambino di circa quattro mesi aumenta
sensibilmente. Tutto questo fa notare che i bambini hanno delle rappresentazioni del mondo esterno
molto prima di quanto pensasse Piaget, cioè già a partire dai primi mesi di vita. In realtà nuovi esperimenti
dimostrano che già nei primissimi anni di vita i bambini hanno dei tempi di fissazione più lunghi in
successioni di eventi che in un primo momento sono stati dati sempre allo stesso modo, e in un secondo
momento cambiano: a cambiare della sequenza degli eventi la fissazione diventa più lunga.
Abbiamo anche visto che l'approccio neurocostruttivista integra insieme lo sviluppo cognitivo con lo
sviluppo cerebrale: è stato rilevato che nei primissimi momenti di vita i bambini attivano aree neurali più
vaste rispetto ai mesi successivi, dove invece si attivano delle aree più ristrette e specifiche, dimostrando
così la modularizzazione della mente.
A questo punto si comprende come gli studi svolti nella prima infanzia da Piaget hanno subito
un'evoluzione dovuta soprattutto alle nuove teorie e ai nuovi esperimenti condotti. Ad esempio, lo
sviluppo cognitivo oggi considera più variabili, tra le quali le predisposizioni, le stimolazione ambientale,
la maturazione del cervello, ma anche l'emergere di diverse abilità cognitive.
Se Piaget considerava l'errore A-non-B (ossia lo spostamento spaziale di un oggetto da un posto A a un
posto B, e il bambino pur vedendo lo spostamento cerca l'oggetto laddove stato abituato a vederlo) come
il non sviluppo cognitivo da parte dei bambini di comprendere che gli oggetti hanno una continuità nel
tempo e nello spazio (permanenza dell'oggetto), oggi si sa che questo errore non ha nulla a che fare con
il concetto di permanenza spazio-temporale degli oggetti, ma questo comportamento dei bambini può
essere ipotizzato introducendo altre variabili, come ad esempio utilizzare due posti completamente
diversi per nascondere l'oggetto. Alcuni pensano che l'errore sia dovuto ad un numero troppo basso di
schemi utilizzati dal bambino, altri pensano che sia la memoria regolare questo comportamento, altri
ancora che non si è giunti ad una maturazione della corteccia prefrontale tale da poter permettere questa
azione.
Tutto ciò ci porta a riflettere sul fatto che considerare lo sviluppo cognitivo dell'essere umano non è
qualcosa di semplice, ma che nasconde molteplici spiegazioni.
Seconda infanzia (età prescolare). Oltre che alla prima infanzia, i nuovi studi si sono dedicati anche alla
seconda infanzia, o età prescolare, la quale va fino ai 5-6 anni. Già Piaget si era accorto che nel passaggio
dalla prima alla seconda infanzia il bambino riusciva ad acquisire la funzione simbolica (18 mesi), la
quale diventa fondamentale per la costruzione del proprio sviluppo e per l'interazione con l'ambiente
circostante, poiché riguarda la capacità di rappresentarsi in qualcosa tramite simboli; inoltre la funzione
simbolica sarà attiva lungo tutto il corso dell'esistenza. Grazie all'uso di questa funzione il bambino può
incrementare diverse attività, tra le quali il linguaggio, il gioco di finzione e il disegno.
Il gioco di finzione riguarda la capacità del bambino di sovrapporre una situazione ipotetica a una
situazione reale con finalità ludiche. Ad esempio un bambino potrebbe prendere mattoncino lego e far
finta che sia un'automobile: fa camminare e rumoreggiare il mattoncino come fosse una reale macchina,
in questo caso il bambino ha utilizzato la funzione simbolica sovrapponendo alla reale esistenza del
mattoncino un'esistenza ipotetica che quella dell'automobile. Questa funzione si svolge fino ai primi due
anni di vita e con il passare del tempo il bambino si sente sempre più capace di gestire la finzione rispetto
al piano della realtà, e lo fa innanzitutto in maniera solitaria utilizzando i giochi, e progredisce fino a
creare delle situazioni immaginarie di gruppo con altri bambini. Si comprende che il gioco di finzione è
un'ottima palestra per l'immaginazione, la creatività, per le sue competenze cognitive, emotive e sociali.
Tuttavia bisogna riconoscere che in età prescolare ancora i bambini non hanno piena padronanza delle
proprie rappresentazioni mentali, e il gioco di finzione si basa solo sulle rappresentazioni mentali, dunque
può capitare che durante il gioco se qualcuno si maschera e il bambino non ha mai visto quella maschera,
non comprende che si tratta di una finzione e potrebbe provare paura. Attraverso il gioco di finzione il
bambino riesce ad incrementare la funzione simbolica, l'abilità nell'intrecciare insieme più
rappresentazioni e tutte quelle capacità e conoscenze che servono al bambino per interagire con il mondo.
Un maggiore grado di controllo della situazione circostante i bambini lo acquisiscono attraverso gli scrips
(copione), ossia tutte quelle attività ripetitiva quotidianamente vengono compiute, come il bagnetto, l'ora
del pranzo, l'ora della cena, la passeggiata, e in questo modo i bambini riescono a sapere in anticipo cosa
accadrà in una determinata situazione. Gli esperimenti svolti attraverso gli scrips hanno dimostrato come
in età prescolare i bambini iniziano a incrementare la loro capacità di concettualizzare, ossia utilizzare
la rappresentazione mentale per creare delle categorie attraverso la somiglianza tra vari oggetti. Piaget
pensava che i bambini in età prescolare costruissero ancora il loro pensiero a partire dati percettivi, invece
studi moderni hanno fatto vedere che già bambini di quattro anni riescono a cogliere gli aspetti diversi
degli oggetti e quindi a concettualizzarli. Un esempio potrebbe essere quello di alcuni ricercatori che
mostrano ha più bambini le foto di un pesce tropicale e di un delfino, spiegando che il pesce respira
sott'acqua e il delfino respira in superficie. Dopo mostrano la foto dello squalo e molti bambini non
chiamano pesce e non più delfino, evidenziando la loro capacità di aver concettualizzato.
Poi, sempre in età prescolare i bambini acquisiscono l'abilità di contare, un'abilità che in fase embrionale
era già arrivata durante la prima infanzia quando i bambini erano capaci di discriminare quantità
numeriche differenti. L'abilità di contare non riguarda solo mettere i numeri in ordine progressivo ma ha
tre aspetti diversi:
• la sequenza dei numeri deve essere pronunciata sempre lo stesso ordine;
• ci deve essere corrispondenza tra il numero profferito e l'oggetto indicato, sapendo che ogni
numero corrisponde un oggetto;
• sapere che l'ultima cifra pronunciata non è semplicemente un numero a sé, ma riguarda tutto
l'insieme.
Oggi sappiamo che il nostro sistema cognitivo e capace di memorizzare informazioni anche a lungo
termine, una memoria che ci serve per eseguire le operazioni. Tra queste funzioni vi è la memoria di
lavoro, cioè la capacità di mantenere ed elaborare le informazioni al fine di eseguire un'azione. Il
bambino di tre anni può memorizzare una sola informazione per volta, ma già tra i quattro e i cinque anni
si possono memorizzare due diverse informazioni.
Nel controllo e nella gestione delle proprie azioni un ruolo fondamentale è quello delle funzioni
esecutive. Si tratta di quelle abilità funzionali che permettono al bambino di controllare le risposte
impulsive, di non farsi distrarre da stimoli irrilevanti, di saper modificare le informazioni contenute nella
memoria di lavoro, e di passare da un set mentale a un altro.
Infine un'attività cognitiva importantissima che si sviluppa in età prescolare è il disegno. Questa attività
subisce diverse modifiche durante l'età prescolare: verso i due anni e mezzo il bambino traccia una specie
di palla più o meno rotonda, definendola come il sole; verso i quattro anni comincia a creare delle forme
più schematiche, come ad esempio il pupazzo testone, dove la palla adesso rappresenta sia la testa che il
corpo di un personaggio. Verso i cinque anni, poi, il bambino comincia a creare delle figure sempre più
complesse, utilizzando anche delle linee rette, come ad esempio la casa o l'albero.
Gli psicologi spiegano la realizzazione del disegno nello sviluppo del bambino come risultato di più
elementi che si intrecciano insieme: la funzione simbolica, lo sviluppo della memoria di lavoro che
permette di coordinare l'immagine con il pensiero e le funzioni esecutive, chiamata in causa per inibire
modalità grafiche primitive.
Fanciullezza (o età scolare). La fanciullezza è quella che viene definita come l'età della ragione, dove si
esprimono funzionamenti cognitivi diversi rispetto a quelli dell'età prescolare. Piaget considerava il
pensiero del bambino in età prescolare come immaturo, costruito solo su indizi percettivi, a volte
fuorvianti; mentre il pensiero del bambino in età scolare è molto più maturo e riesce a gestire insieme
più situazioni diverse, come ad esempio riconoscere che nei due contenitori diversi vi è lo stesso liquido.
Mentre in età prescolare i bambini focalizzano la loro attenzione solo su ciò che sta avvenendo, in età
scolare i bambini si chiedono il perché e vogliono rintracciare le cause di un determinato evento. Come
per le altre età del bambino, anche per la fanciullezza la rigida divisione di Piaget non è più esaustiva
dello sviluppo cognitivo, infatti si è visto che anche bambini in età prescolare non si facciano ingannare
dai dati percettivi e riescano a utilizzare un loro ragionamento. Tuttavia è fuor di dubbio che i bambini
in età scolare riescono a ragionare valutando su più dimensione rispetto i bambini di età prescolare.
I sistemi simbolici che si evolvono in età scolare sono soprattutto il linguaggio e il disegno. Per quanto
riguarda quest'ultimo, il bambino acquisisce l'organizzazione spaziale del disegno, ossia riesce, verso i
sette anni, a rappresentare le diverse distanze degli oggetti, infatti gli oggetti più lontani vengono
rappresentati nella parte alta del foglio, mentre quelli vicini nella parte inferiore del foglio. Tra i 9 e i 12
ann il bambino riesce a utilizzare non solo due dimensioni ma coordinare nello spazio le tre dimensioni,
rappresentando oggetti in proiezione obliqua e forme che vengono costruite secondo la prospettiva.
Anche il pensiero narrativo risulta essere sempre più complesso in età scolare, inducendo i bambini a
narrare delle storie sempre più articolate.
Un ruolo fondamentale è quello dell'esperienza in tutti gli ambiti. La dell'esperienza il bambino riesce
ad acquisire una serie di procedure utili in diverse situazioni, queste procedure vengono memorizzate e
poi utilizzate al momento giusto, pianificando e categorizzando le diverse attività che si trova a compiere.
In età scolare, poi, aumenta la capacità di elaborare le informazioni: i bambini più piccoli hanno difficoltà
a risolvere certi problemi, mentre queste difficoltà diminuiscono con l'avanzare dell'età. Anche la
memoria di lavoro viene incrementata e i bambini oltre a saper risolvere certi problemi riescono anche
a memorizzarne le soluzioni per utilizzarle in un secondo momento. Non si deve sottovalutare neppure
l'importanza della velocità con cui elaboriamo le informazioni, una velocità che aumenta nel passaggio
dalla seconda infanzia all'età scolare, capacità che sembra aumentare con la maturazione del cervello.
Cambiano pure le strategie per riuscire a conoscere a memorizzare il mondo: infatti proprio i bambini
di età scolare comincia a utilizzare la strategia della ripetizione ad alta voce per memorizzare ciò che
hanno appreso, aumentando così la capacità di dominio, di elaborazione e di velocità con cui si elaborano
le informazioni. Ad esempio, se un bambino di sei anni chiediamo quanto fa 3 + 5, allora il bambino
comincerà a utilizzare le sue mani e a rappresentare i numeri sulla mano destra e sulla mano sinistra; col
passare del tempo riesce però a memorizzare una linea dei numeri senza l'utilizzo delle mani: la capacità
di gestire questa linea dei numeri e quelle che lo ha fine era nelle abilità di calcolo che continuano a
svilupparsi anche dopo l'età scolare. Se tra i 7-8 anni i bambini comprendono decine e unità, tra 9-10
anni riescono a concettualizzare i numeri razionali. Ovviamente questo è possibile grazie all'educazione
formale impartita dagli adulti, i quali gli danno la possibilità di comprendere cosa siano le misure nello
spazio e nel tempo. Vygostkij pensava che i numeri avessero il ruolo di mediatori culturali, ossia quello
strumento che permette al bambino avere una relazione con il mondo circostante.
Nel corso dell'età scolare viene incrementata anche la metacognizione, ossia le conoscenze che il
bambino ha sul proprio funzionamento e sulla capacità costruire e gestire il proprio pensiero. Ad esempio
in età prescolare se ai bambini viene chiesto come riescono a ricordare, focalizzano la propria attenzione
solo sull'oggetto da ricordare; in età scolare invece i bambini diventano più consapevoli dell'attività della
loro mente e comprendono quali modi esistano per poter ricordare. Dopo 10 anni si rendono conto di
quali strategie utilizzare, come ad esempio le associazioni, e che gli aspetti emotivi possono influenzare
sul ricordo.
Adolescenza. Una delle sfide evolutive più importanti e certamente l'adolescenza. In questo periodo il
soggetto si trova ad affrontare trasformazioni somatiche psicologiche davvero importanti che gli daranno
accesso ad una autonomia psicologica, alla definizione della propria identità e all'acquisizione dello
status di adulto. Durante l'adolescenza avvengono dei cambiamenti a livello cognitivo: se in età
prescolare il bambino aveva la capacità di rappresentarsi mentalmente la realtà percepita in età scolare
la capacità di saper gestire più rappresentazioni, durante il periodo dell'adolescenza il soggetto riesce a
ragionare in modo sempre più astratto, comprendendo sufficientemente cosa sia reale e cosa non lo è,
cosa sia possibile e cosa non lo è.
Piaget aveva identificato questa età come il passaggio al pensiero operatorio formale, dove il soggetto
riesce ad avere una maggiore strategicità e ad elaborare dei piani per la riuscita del suo scopo.
L'esperimento condotto da Piaget riguardava bambini di età scolare ed adolescenti nel difficile compito
di riprodurre un colore. Veniva chiesto i bambini di età scolare di mischiare insieme dei colori fino a
raggiungerne uno che i ricercatori avevano descritto: i bambini operavano senza alcun piano e se
riuscivano nel loro intento era solo per caso; gli adolescenti cominciavano ad avere un piano e a
comprendere quali risultati si sarebbero tenuti mischiando determinati colori. Quindi, gli adolescenti
dimostravano di saper utilizzare in modo sistematico il pensiero ipotetico-deduttivo, in grado di slegarli
dal dato percettivo e di farli lavorare puramente su premesse ipotetiche, dove la soluzione di un problema
poteva essere acquisita in via del tutto logica e senza l'utilizzo dell'esperienza (implicazione se allora).
È stato dimostrato che anche riguardo la competenza logica degli adolescenti la teoria di Piaget non è
stata molto precisa, in quanto anche bambini di otto anni possono risolvere problemi di ragionamento
combinatorio, a patto che non vi sia un carico di informazioni eccessivo per la loro memoria di lavoro.
La capacità degli adolescenti di saper gestire il pensiero astratto aumenta la loro capacità di pensare tutti
i casi possibili e tutte le combinazioni, l'abilità di saper utilizzare una sola variabile all'interno di un
determinato contesto, saper utilizzare il concetto di proporzionalità è saperlo applicare. Inoltre, una delle
capacità più importanti che si sviluppano durante l'adolescenza e quella dell'abilità di comprensione, la
quale si sviluppa anche a partire da fattori esperienziale, poiché le scuole frequentate, le esperienze
lavorative, il contatto con gli adulti possono far variare questa abilità.
Una particolarità degli adolescenti e quella di arricchire le loro narrazioni: i bambini fino a 10 anni
riescono a raccontare delle storie complesse ma senza mai riportare fatti che riguardano la vita interiore
dei personaggi; intorno ai 12 anni, invece, queste narrazioni sono arricchite dai tratti della personalità dei
personaggi, fino a giungere ai 14 anni quando le narrazioni diventano sempre più complesse.
In ambito matematico vengono registrate diverse evoluzioni da parte del soggetto: se fino a 10 anni
riesce a comprendere cosa sia una funzione, gli assi cartesiani, le variabili quantitative, verso i 12 anni i
ragazzi riescono a svolgere operazioni più complesse, utilizzando più variabili, producendo grafici e
risolvendo formule algebriche più complesse.
Gli adolescenti sviluppano anche la capacità di considerare più rappresentazioni possibili, all'interno
delle quali vengono inseriti i valori universali, i valori della propria cultura i loro bisogni, sapendo così
gestire un ampio spettro delle proprie scelte di vita.
CAPITOLO 5: LO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO E DELLA
COMUNICAZIONE

1. Riflessioni preliminari
Uno degli interessi maggiori per i ricercatori che si occupano dello sviluppo cognitivo degli esseri umani
è l'attenzione posta al linguaggio e alla comunicazione. Certamente è il linguaggio ad essere più studiato,
poiché tramite il suo utilizzo e possibile costruire una comunicazione; tuttavia, negli ultimi decenni è
aumentato l'interesse intorno alla comunicazione nei diversi ambiti della conoscenza umana. In questo
capitolo sarà importante osservare lo sviluppo delle abilità comunicative dei bambini non verbali e
verbali considerando il linguaggio verbale come un'istituzione sociale di natura simbolica che nata
storicamente da attività sociocomunicative preesistenti.

2. Specificità del linguaggio verbale


Tutti gli esseri viventi dispongono di un linguaggio naturale che permette la comunicazione tra i vari
individui della stessa specie. Anche gli esseri umani hanno sviluppato un linguaggio attraverso la loro
facoltà simbolica: vengono utilizzati dei simboli convenzionali che servono a rappresentare verbalmente
una realtà concreta, considerando sempre la condivisibilità di questi singoli. Le caratteristiche principali
del linguaggio verbale sono la combinabilità illimitata e di tipo arbitrario di tutti i simboli che vengono
utilizzate all'interno del nostro linguaggio: vengono utilizzati suoni, elementi morfologici sintattici, fino
a poter creare un numero infinito di parole. Da sempre gli uomini si sono occupati del proprio linguaggio,
sia per costruirlo sia per capire da dove deriva: ad esempio nel medioevo Agostino d'Ippona aveva scritto
nelle sue confessioni in che modo si era sviluppato il suo linguaggio a partire da un complesso legame
sociale e culturale con l'ambiente circostante. Il filosofo racconta di come scoprì da se stesso il
linguaggio, senza l'ausilio di alcun maestro: gemiti grida, gesti degli arti, furono questi le prime
manifestazioni del linguaggio del filosofo, i quali poi andavano a ricadere sempre all'interno della
memoria. Man mano che un oggetto veniva chiamato con uno specifico nome, la mente lo ricordava e
poteva far emergere allo ogni volta che si voleva.
Da queste brevissime considerazioni tratte dalle confessioni, Agostino pone alcune delle questioni più
importanti della psicologia:
1. La priorità temporale ed esperienziale della comunicazione non verbale rispetto alla comunicazione
verbale e la priorità della comprensione rispetto alla produzione delle parole scritte;
2. Il passaggio dalla comunicazione non intenzionale quell'intenzionale;
3. L'importanza del contesto e dell'adulto nello svolgimento delle abilità linguistiche;
4. L'implicazione delle attività cognitive, ossia la memoria in questo caso;
5. Il ruolo di specifici meccanismi riproduttivi dei modelli linguistici adulti.

3. Definizione, prerequisiti e funzioni dello scambio comunicativo


Si possono distinguere due concezioni complementari della comunicazione:
• lo scambio interpersonale di qualcosa che preesiste allo scambio (comunicazione fondata);
• la costruzione e fondazione della soggettività, frutto di esperienze condivise (comunicazione
fondante).
Mentre la comunicazione fondata possibile in maniera innata attraverso dei segnali naturali che ogni
specie possiede, la comunicazione fondante comporta la costruzione di nuove rappresentazioni e
l'interazione partecipativa con gli altri membri del gruppo, utilizzando simboli analogici e segni digitali
codificati che fanno del linguaggio quel medium che introduce la cultura del pensiero umano.
È solo grazie al linguaggio e alla comunicazione che si riesce a creare la relazione interpersonale con
gli altri e la relazione intrapsichica con se stessi. Il bambino nel suo sviluppo grazie al linguaggio riesce
a colmare quel gap generazionale con l'adulto; infatti è proprio grazie al linguaggio alla comunicazione
che il bambino intreccia insieme le proprie risorse cognitive con la realtà socioculturale in cui si trova
immerso.
Sono state avanzate due ipotesi relativa linguaggio:
• Per alcuni studiosi il linguaggio rappresenta il passo finale di un processo evolutivo di
adattamento della specie ricavato da sistemi di comunicazione non verbale preesistenti e già
presenti negli animali;
• Per altri studiosi il linguaggio e l'espressione di una facoltà emessa ex novo, risultante
dall'adattamento a un determinato ambiente.
Nelle prime fasi dello sviluppo infantile i bambini comunicano attraverso delle disposizioni
comportamentali innate che si attivano automaticamente in risposta ad alcuni stimoli interni ed esterni.
Si tratta di riflessi automatici che col tempo il bambino riesce sempre più a gestire. Mentre per Piaget i
riflessi sono la base per lo sviluppo di schemi cognitivi senso-motori, per Bowlby i riflessi sono i
precursori dei comportamenti comunicativi volti a favorire il contatto sociale e il legame di attaccamento
con l'adulto. Per quest'ultimo linguaggio non verbale esprime due situazioni diverse:
• le condotte di segnalazione, ossia le azioni-reazioni del bambino per richiamare l'attenzione
dell'adulto (pianto, sorriso, vocalizzo);
• le condotte di vicinanza, ossia i tentativi di impedire che l'adulto si allontani.
Sin dalla nascita il bambino, in collaborazione con l'adulto, prepara il terreno comune su cui poi si
costruirà la sua interazione con il mondo esterno, e di questa preparazione il linguaggio risulta essere
l'elemento principe, l'elemento di mediazione che permette la comunicazione del bambino, prima con
l'adulto e poi con l'intero ambiente. All'inizio tutto questo si struttura a partire da segnali che provengono
dai neonati e che gli adulti sono biologicamente programmati per ascoltarli e rispondere. È stato
dimostrato che gli esseri umani di sesso femminile riescono a rispondere ai segnali dei neonati in maniera
più sciolta e sensibile, mentre i maschi risultano essere più rigidi a questi segnali.
Il bambino deve acquisire nella maniera più veloce possibile la capacità di identificare gli elementi della
comunicazione. Vi è certamente un'emittente, che è l'adulto, e vi è un ricevente che è il bambino stesso.
Da subito il bambino comprende quale importanza abbiano la voce umana e il volto umano e sono gli
elementi della realtà a cui egli si rivolge principalmente. Attraverso, poi, l'utilizzo di neuroni specchio,
il bambino è in grado di dare i movimenti facciali e della bocca dell'adulto in modo da non essere solo il
ricevente della comunicazione, ma si trasforma in un'emittente, anche se ancora non ha alcuna intenzione
comunicativa.
Si inizia così una protoconversazione con l'adulto più vicino al bambino, che la madre. La poppata, gli
sguardi, i vocalizzi, i sorrisi sono gli elementi della comunicazione principali con i quali il bambino inizia
la sua comunicazione con il mondo. Inizialmente il bambino non piange per attirare l'attenzione della
madre, ma piange perché è questo il sistema comunicativo che la natura gli ha fornito; solo in seguito
vedendo che allo stimolo del pianto viene ricevuta la risposta delle attenzioni, il bambino utilizzerà
sempre questo modo comunicativo per mantenere la propria sopravvivenza e per instaurare un
collegamento con il mondo.
Negli ultimi decenni sono state studiate le abilità comunicative del bambino ed è stato accertato che viene
una continuità tra la comunicazione verbale e quella verbale. Tutto parte dalla funzione di contatto,
ossia dal fatto che la madre risponde alla comunicazione innescata dal bambino: se il bambino sorride e
la madre risponde allo stesso modo, allora il bambino comprende di essere simile alla madre e di poter
instaurare una comunicazione. È chiaro allora che uno dei dispositivi più importanti in questa
comunicazione diventa l'interpretazione che la madre (o l'adulto) può fare nei confronti del bambino: il
bambino emette dei segnali che non sono intenzionale (messaggi espressivi), ma scopre che questi
messaggi possono influenzare l'adulto e pertanto rinforza i suoi messaggi per ottenere anche quello che
desidera (messaggi imperativi); quando poi scopre che l'adulto interagisce con questi messaggi inizia ad
avere le prime esperienze con il mondo esterno (messaggi frequenziali). In questo modo il bambino
inizia la progressiva conquista dell'individuazione e del decentramento, ossia del conoscere se stesso e
dal saper distinguere il sé dall'altro.

4. Gesti comunicativi e intenzionalità comunicativa


Anche per quanto riguarda i suoni si assiste ad un passaggio che vede il bambino protagonista di una
intenzionalità comunicativa. Attraverso i suoni il bambino esplora il mondo esterno: all'inizio il tutto
viene fatto in maniera assolutamente casuale, ma in un secondo tempo l'emissione dei suoni a uno scopo
comunicativo, ossia cercare l'attenzione dell'adulto. Secondo Tomasello questo passaggio va dall'intento
comunicativo che riguarda la riproduzione di un'azione casuale, all'intenzione comunicativa, attraverso
la quale il bambino richiede qualcosa di specifico all'adulto: questa viene chiamata la Tomasello
rivoluzione sociocognitiva del nono mese.
Si comprende, allora, che il bambino sviluppo il suo sistema cognitivo in modo da poter avere
un'intenzione precedente allo scopo dell'azione, poiché il bambino attraverso l'emissione di quel suono
vuole anticipare l'azione dell'adulto.
Lo stesso studio è stato compiuto per i gesti: esiste infatti un gesto richiestivo attraverso il quale il
bambino allunga il palmo della mano per volere qualcosa, esprimendo una sua intenzione imperativa; il
gesto dichiarativo, invece, è quello che il bambino utilizza per indicare qualcosa, e da un valore di
condivisione. Queste funzioni comunicative del bambino sono sempre accompagnate da segnali che egli
si scambia con l'adulto, in cui gli elementi della comunicazione sono tre i, tu e l'oggetto di interesse:
interazione triadica.

5. Sviluppo del linguaggio verbale: modelli teorici


Sulla questione del linguaggio vi è un dibattito tuttora aperto su innatismo e ambientalismo. Già Platone
nel Cratilo si chiedeva se il linguaggio fosse per natura o per convenzione, e oggi vi sono dei dibattiti
fondamentali su questa questione. Il linguista Chomsky attacca il comportamentista Skinner, il quale
sosteneva che il linguaggio fosse acquisito solo per imitazione degli adulti, quindi come stimolo-risposta
con l'ambiente esterno. Per Chomsky invece il linguaggio e la parte di una facoltà simbolica più generale
che esiste all'interno della nostra mente e che fa parte di quella grammatica universale generativa. Il
linguista si accorse che i bambini a tre anni riuscivano a creare delle frasi complesse che non avevano
mai sentito e che quindi non potevano emulare dagli adulti, dunque metteva la parte la teoria
comportamentista di Skinner.
Bruner ha voluto mediare tra le due teorie creando un modello teorico, denominato sociocostruttivista,
secondo il quale il bambino acquisisce linguaggio come risultato della sintesi tra le sue capacità e le
strategie interattive dell'adulto. In questo senso Bruner ha posto l'accento sul ruolo dell'interazione
sociale, ossia come la società sia fondamentale come supporto per l'apprendimento del linguaggio: LASS
(Linguage Aqcquisition Support System). Secondo lo psicologo il linguaggio sarebbe nato nel corso
dell'evoluzione allo scopo di dirigere l'attenzione e le azioni comune degli esseri umani; il bambino,
vedendo e sentendo che l'adulto nomina e descrive gli oggetti, apprendere il linguaggio.
Vi sono altre scuole psicologiche che si sono occupati del linguaggio come meccanismo innato all'interno
del soggetto, considerando il linguaggio stesso come un dominio specifico dell'essere umano. Importante
è l'assunto dell'oggetto intero, secondo cui una parola udita per la prima volta viene attribuita un oggetto
nella sua globalità; l'assunto tassonomico, secondo il quale una parola presa viene generalizzata e
attribuita all'esemplare più simile; l'assunto del contrasto, secondo il quale una parola presa non viene
sostituita da una parola utilizzabile per lo stesso referente ma viene attribuita a un altro referente.
Vi è anche la scuola psicologica che ha fornito l'approccio teorico epigenetico: questa scuola sostiene
che i bambini nascano internazionali e che abbiano uguali militare di apprendere qualsiasi delle 7000
lingue esistenti nel mondo. Ciò avviene per la congiunzione di fattori innati-genetici e fattori ambientali-
esperienziale del comportamento. A sei mesi il bambino è predisposto ad acquisire i suoni vocalici, a
nove mesi i suoni consonantici; per imparare a parlare acquisisce e impara a distinguere i 40 fonemi della
lingua madre; dopo i sette-otto anni diventa più difficile imparare una seconda lingua.
Recenti studi hanno messo in evidenza come l'acquisizione del linguaggio dipende da due elementi:
• l'abilità di calcolo statistico-probabilistico del cervello
• l'immersione in un universo sociale parlante.
Per provare questa teoria è stato svolto un interessante esperimento a Seattle. Sono stati costituiti quattro
piccoli gruppi di bambini di nove mesi di madre lingua inglese:
1. Il primo gruppo ascoltava degli adulti parlare il cinese mentre giocavano con loro;
2. Il secondo gruppo guardavo un video in cui delle persone parlavano il cinese tra loro;
3. Il terzo gruppo ascoltava solo la registrazione della stessa conversazione tra adulti;
4.Il quarto gruppo era di controllo e interagiva con persone che parlavano inglese.
I risultati dell'esperimento sono stati che solo il primo gruppo, ossia quello che ascoltava e vedeva dal
vivo gli adulti parlare, aveva appreso la capacità di discriminare alcuni fonemi; mentre il video e la
registrazione audio non avevano condotto a nessun apprendimento. Questo esperimento manifesta che
l'acquisizione del linguaggio non è soltanto un'attività passiva del soggetto ma riguarda soprattutto le
interazioni sociali: solo nel momento in cui il bambino può associare ai fonemi una situazione sociale e
in grado di apprendere il linguaggio.

6. Il ruolo dell'adulto
Oramai è chiaro che l'adulto e il bambino collaborano insieme nella costruzione delle abilità linguistiche
del piccolo, e lo fanno biologicamente attraverso l'intersoggettività primaria e attraverso la cooperazione
dell'intersoggettività secondaria. Alcuni studi hanno rivelato che il bambino che segue il volto dell'adulto
mentre parla apprende in maniera più veloci linguaggio. È chiaro anche che tra l'adulto il bambino esiste
una sorta di asimmetricità, poiché il bambino non possiede le competenze linguistiche dell'adulto e quindi
l'adulto deve diventare un supporto è una guida nell'apprendimento della lingua.
Molto importante è il baby talk, ossia il linguaggio specifico che la madre utilizza nei confronti del
bambino. Il piccolo riconosce il linguaggio materno perché ha dei caratteri specifici: semplificazione,
ridondanza, Toni acuti, ritmo più lento, intonazione enfatica e prosodia. In questo modo il bambino riesce
a distinguere il linguaggio della madre dal linguaggio del mondo esterno. Le madri, poi, possono
utilizzare due tipi diversi di stili comunicativi nei confronti del bambino: uno stile espressivo, incentrato
sugli aspetti emotivi dello scambio interpersonale, è uno stile referenziale, ossia un approccio cognitivo
al contesto. Sono stati anche individuate due strategie diverse che la madre utilizza nei confronti del
bambino: la contingenza tematica, ossia l'aderenza al contesto, e la contingenza semantica, ossia
l'esposizione del linguaggio attraverso le parole.
Altri studi dimostrano che emerge dalla madre una funzione tutoriale nei confronti del bambino per
quanto riguarda l'apprendimento del linguaggio. Questa funzione si mantiene dai 16 ai 20 mesi, mentre
la funzione di controllo inizia a scemare man mano che il bambino aumenta le sue funzioni didattiche e
sviluppa le sue capacità di conversazione.

7. Acquisizione e sviluppo del lessico


Tra i 12 e i 18 mesi i bambini cominciano a proferire le prime parole; dopo 18 mesi il loro vocabolario
unge a 50 parole, e da qui in poi il bambino diventerà un parlante competente. Le prime parole che
acquisisce le possiamo dividere in tre gruppi:
• nomi concreti, ossia quelle parole che il bambino può associare direttamente a oggetti senso realmente
esperibili (persone, oggetti, animali, cibi);
• parole-contenuto, ossia i verbi gli aggettivi che possono essere compresi in maniera più astratta e che
hanno bisogno di maggiori capacità da parte del bambino;
• parole-funzione, ossia articoli, preposizioni, pronomi, congiunzioni, che sono quegli elementi morfo-
sintattici che servono al bambino per costruire frasi sempre più articolate.
A partire dalla modificabilità delle parole e dalla loro capacità combinatoria il bambino comincia a creare
delle unità semantiche differenziate, ossia un lessico in grado di fargli codificare un numero sempre
crescente di informazioni. Queste unità gli permettono di nominare le emozioni, poi di fare delle
valutazioni morali e infine di entrare all'interno di una dimensione cognitiva, come il pensare il
desiderare. Sebbene il linguaggio nasca dall'aderenza del bambino al contesto esperienziale, egli molto
presto comincerà a creare delle rappresentazioni mentali astratte delle parole capaci di far suddividere
gli oggetti in tipi di oggetti o concetti.
Linguaggio tra concetto significato. Concetto e significato sono due elementi interdipendenti tra di loro
ma anche molto diversi: il concetto alla una funzione adattiva rispetto alla realtà, mentre il significato
svolge una funzione comunicativo-sociale. Per quanto riguarda il significato, esso ha due componenti:
la denotazione che il nucleo cognitivo del significato, la connotazione che riguarda invece la
convenzione culturale e storica del linguaggio.
I concetti danno al bambino la capacità di poter differenziare e categorizzare i fenomeni della realtà, e lo
fanno a partire da una gerarchia ben precisa:.
• Il livello subordinato e il livello Basic, fanno riferimento alle proprietà funzionali percettive, ossia il
bambino concettualizza a partire dai dati percettivi;
• il livello superordinato, invece, classifica gli stimoli a partire da proprietà più generale, più astratta,
facendo diventare quel che prima era cane, adesso diventa animale.
Possiamo aggiungere che il linguaggio nelle sue componenti più astratte e generali, cioè nel caso dei
concetti superordinati alla funzione di costruire la socializzazione attraverso le rappresentazioni mentali,
si tratta di una funzione insostituibile all'interno del sistema cognitivo dell'essere umano.
Il sistema semantico, invece, a differenza del sistema concettuale, è organizzato linguisticamente, e al
suo interno avvengono delle connessioni linguistiche che cambiano e si modificano continuamente,
partendo sempre dagli oggetti concreti e da eventi tipici.
Il rapporto tra le parole e i loro significati riguarda soprattutto l'abilità metalinguistica, ossia la capacità
di spiegare la funzionalità del linguaggio con un altro linguaggio (analisi di una lingua, giudizi di
grammatica). Quando si vuole comunicare il contenuto di un termine si deve utilizzare sia un
atteggiamento metalinguistico, ossia spiegare la parola, ma anche un atteggiamento
metarappresentativo che rispetti le regole di comunicazione tra gli individui.

8. Linguaggio e cognizione
Secondo Piaget il linguaggio socializzato è l'espressione di un pensiero egocentrico, che poi si trasforma
in una costruzione endogena di strutture di pensiero reversibili e generalizzanti. Vygotskij, invece,
sottolinea come il linguaggio sociale sia da supporto al pensiero: prima di tutto per creare delle
connessioni Interpsichiche, ossia con il mondo circostante, e successivamente intrapsichiche,
nell'interazione con se stesso. Lo psicologo svizzero considera prioritari i meccanismi cognitivi del
bambino nell'apprendimento del linguaggio (assimilazione e accomodamento), la funzione di
condivisione sociale arriva in un secondo momento; lo psicologo russo riconosce invece l'origine
culturale della lingua e come questa poi si mette al servizio della costruzione del pensiero.
Alla fine del secondo anno di vita il linguaggio ha due funzioni fondamentali: organizzare le conoscenze
cristallizzate (knowledge) e influenzare il sistema cognitivo (cognition). Attraverso linguaggio individuo
riesce a metabolizzare la cultura e ad assimilarla rendendo possibili le condivisioni intersoggettive. Tutto
ciò avviene, ovviamente, grazie alla scolarizzazione, poiché è la scuola che permette al linguaggio di
diventare il mezzo insostituibile sia per la comunicazione quotidiana, sia per la comunicazione scolastica,
ma anche per l'elaborazione di teorie scientifiche altamente formalizzate.

9. Conclusioni
Si è visto come lo sviluppo del linguaggio verbale permette allo sviluppo delle abilità comunicative
intersoggettiva. Inoltre si è potuto constatare che a prevalere non è un modello interpretativo
deterministico, ma un modello interpretativo multifattoriale, che rende compatibile i diversi percorsi di
sviluppo attraverso il linguaggio. Attualmente la teoria più accreditata è quella dell'interdipendenza tra
fattori innati e fattori ambientali: all'interno del bambino esistono dei dispositivi innati che permettono
lo sviluppo del linguaggio che però senza i fattori ambientali non potrebbe mai realizzarsi.
In sintesi possiamo dire che il linguaggio svolge una funzione fondamentale nella scoperta
dell'interpersonalità e dell'intrapersonalità, avendo delle caratteristiche importantissime: una funzione
referenziale che permette la designazione della realtà, una funzione cognitiva che permette
l'organizzazione pensiero, una funzione metalinguistica che permette di comprendere il linguaggio
stesso. Inoltre vi è una funzione di individuazione che permette al soggetto di avere autoconsapevolezza
e di formare la propria identità personale.
CAPITOLO 6: CAPIRSI, LA TEORIA DELLA MENTE

1. Un costrutto, tante etichette: breve excursus storico


Quando utilizziamo il verbo capirsi vediamo subito che si tratta di un verbo polisemico: da un lato indica
il capire se stessi, dall'altro lato indica la comprensione dell'altro o il pensiero dell'altro.
L'espressione Theory of Mind (Tom) si riferisce a quell'abilità psicologica fondamentale per la vita
sociale: ossia la capacità di capire prevedere il comportamento sulla base della comprensione degli Stati
mentali propri e altrui (intenzioni, emozioni, desideri, credenze). Questo filone di studi inizia nel 1978
con il lavoro pionieristico di Premack e Woodruff, i quali erano impegnati nello studiare la
comprensione intenzionale del comportamento degli scimpanzé. Anni dopo il filosofo della mente
Dennett propose il concetto di itencional stance, ossia la consapevolezza che le azioni pensieri non sono
casuali ma si riferiscono sempre a qualcosa e che sono spiegabili in base alle intenzioni, i desideri e alle
credenze dei soggetti. Da qui in poi la Tom comincerà a far parte della psicologia dell'età evolutiva.
Il primo concetto che troviamo è quello di compito di falsa credenza. Viene svolto un esperimento: al
soggetto si chiede di prevedere come il protagonista di una storia gira tenendo conto della falsa credenza
di questo e non del dato di realtà, noto soltanto a lui e allo sperimentatore. Possono esserci due versioni:
• nella versione dello spostamento inatteso, il soggetto deve predire dove il protagonista della
storia andare a cercare un oggetto, da lui inizialmente riposto in un contenitore e poi spostato in
un altro contenitore da un altro personaggio;
• nella versione della scatola ingannevole, lo sperimentatore mostra soggetto sperimentare una
scatola chiusa di caramelle il cui contenuto è stato sostituito a insaputa del soggetto medesimo
(la scatola contiene matite). Dopo che il soggetto ha risposto alla domanda circa il contenuto della
scatola chiusa, e le ha poi constatato il reale contenuto, gli viene chiesto di prevedere che cosa
un'altra persona penserà vi sia nella scatola quando lo sperimentatore gliela mostra chiusa, come
appena fatto lui.
Per risolvere questo problema il bambino deve momentaneamente sospendere la propria conoscenza
della realtà e immedesimarsi nell'altro, cercando di rappresentarsi il contenuto della sua mente, cioè
realizzando una credenza falsa rispetto alla realtà, così da prevedere correttamente come l'altro si
comporterà sulla base della propria falsa credenza. Grazie alla falsa credenza si possono compiere delle
previsioni circa i comportamenti dei soggetti e, nel caso della Tom, si può mettere in atto un processo di
metarappresentazione degli Stati mentali: l'individuo si sforza di inferire i contenuti della mente,
giungendo così ha poter predire spiegazioni più o meno accurate dei comportamenti. Tutto questo viene
condotto anche attraverso uno strumento fondamentale, il pensiero ricorsivo, cioè un pensiero che
implica la metarappresentazione (o rappresentazione di una rappresentazione mentale).
Il pensiero ricorsivo e la metaconoscenza sono alla base di quelle concezioni che ogni individuo ha di
comprendere il funzionamento della mente e i suoi nessi con il comportamento, qualcosa che ha a che
fare con una sorta di psicologia del senso comune. Può succedere, ad esempio, che un bambino di quattro
anni riesca a comprendere in modo in cui l'altro agisce, le sue credenze e riesca a capire anche che queste
credenze non sono lo specchio fedele della realtà; in questo caso si dice che il bambino possiede una
Tom, ossia la capacità di comprensione della soggettività. Gli approcci teorici alla tom sono diversi.
Una visione cognitivo-metarappresentazionale, definita anche Theory-Theory, che mette in rapporto
il bambino che vuole costruire una comprensione è una spiegazione della mente e lo scienziato che
impegnato elaborare un sistema teorico. Vi è poi un approccio di tipo innatista-modulare, all'interno
del quale viene utilizzato il termine mindreding. Secondo questo approccio all'interno della mente vi
sono dei moduli gerarchicamente organizzati che permettono la capacità di lettura della mente.
L'approccio della simulazione propone la teoria secondo la quale il bambino riuscirebbe a comprendere
gli Stati mentali attraverso l'immaginazione, cioè attraverso un processo di simulazione mentale. In
questo modo il soggetto ha la capacità di riconoscere che un altro soggetto possa avere una cadenza che
si discosta sia dalla propria, ma anche dal dato di realtà (falsa credenza); in questo modo si apre la strada
verso la comprensione e la consapevolezza della soggettività degli Stati mentali, una strada fondamentale
per uscire fuori all'egocentrismo intellettivo del soggetto.
Questi tre approcci sono stati più utilizzate fino ai primi anni 90, ma poi vi sono state altre teorie.
L'approccio delle forme di vita attribuisce un notevole peso ai processi di socializzazione; il punto di
vista narrativo pone l'accento sugli strumenti culturali che il bambino ha a disposizione per la
costruzione della comprensione della mente; la prospettiva interazionista sostiene quanto importanti
siano i contesti affettivi nel guidare il bambino verso la costruzione della capacità di saper leggere la
mente.
Poi: Elizabeth Meins ha creato una simbiosi tra la teoria di Vygotskij la teoria dell'attaccamento:
secondo lei la mente materna protende a trattare il figlio come un soggetto attivo e utilizza dei termini
che si riferiscono in modo appropriato gli Stati mentali. In questo modo le madri favoriscono
l'attaccamento sicuro del bambino che possono aiutarlo a dare un senso al compito che vogliono portare
a termine nella progressiva costruzione dell'intersoggettività tra madre e figlio: questa è la svolta socio-
contestualizzata della Tom.
All'interno della tom vi è stata anche una componente affettivo-relazionale che mette insieme il concetto
bowlbiano di base sicura con il concetto vygostkijano di zona di sviluppo prossimale: si è visto che i
bambini con attaccamento sicuro superano il compito di falsa credenza in una percentuale molto più
elevata rispetto a quelli con attaccamento insicuro.
Peter Fonagy mette insieme tre teorie differenti con lo scopo di comprendere i gravi disturbi di
personalità dell'adulto. All'interno del suo approccio confluiscono la teoria dell'attaccamento di Bowlby,
alcune concezioni psicoanalitiche sulla funzione della madre nello sviluppo del se del bambino e gli studi
sulla tom. Fonagy assegna un'importanza fondamentale alla responsività materna, la quale riesce ad
aprire la strada alla costruzione della comprensione mentalistica da parte del piccolo. Secondo questo
approccio la madre considera il bambino come un soggetto mentale, e riesce a restituire al bambino
un'immagine di sé come soggetto dotato di mente, attraverso interazioni madre-figlio. Se questo tipo di
interazione non si verifica allora si potrebbe giungere al fallimento nello sviluppo del bambino della
capacità di mentalizzazione. Fonegy ha introdotto i due termini funzione riflessiva del se e
mentalizzazione, indicando con quest'ultima la capacità intersoggettiva di comprensione di sé e degli
altri.

2. Le tappe evolutive della TOM: dagli studi centrali sulle età evolutiva alla prospettiva del ciclo
di vita
Gli studiosi si sono impegnati a stabilire a quale età i bambini raggiungessero la capacità di ragionare sul
comportamento in termini metarappresentazionali. Ad esempio, il compito di falsa credenza divenne uno
dei dispositivi di verifica del possesso della Tom. Infatti le credenze e i desideri sono quegli Stati mentali
fondamentali per poter comprendere la visione (rappresentazioni) della realtà che ognuno di noi ha, e a
partire da questa visione della realtà si può comprendere anche il nostro comportamento: la mente
rappresenta il mondo e le rappresentazioni determinano le azioni.
All'interno della nostra vita sociale le credenze hanno una centralità enorme, poiché grazie ad esse è
possibile predire il comportamento altrui, spiegare il comportamento e manipolare il comportamento,
in quanto conoscere le credenze dell'altro ci consente di intervenire su di esse. Dagli studi svolti è emerso
che i bambini fino a tre anni e cinque mesi non riescono a superare il compito di falsa credenza, mentre
i bambini di quattro anni rispondono correttamente a questo problema, facendo diventare i quattro anni
il momento di passaggio verso un grado cognitivo superiore, poiché il soggetto in grado di ragionare a
livello metarappresentazionale sulla credenza.
Già nei primi due anni di vita i bambini dimostrano uno sviluppo cognitivo che prepara la comparsa della
Tom: ad esempio l'attenzione condivisa e i gesti deittici, oppure l'agency, o ancora la comprensione della
percezione visiva, o il gioco di finzione.
L'attenzione condivisa e i gesti deittici, i quali costituiscono tappe fondamentali dello sviluppo
comunicativo e linguistico, poiché il soggetto riesce a condividere il mondo esterno con l'altro. Bisogna
precisare però che l'attenzione condivisa è un meccanismo protocomunicativo, ma non lo possiamo
ancora considerare una vera e propria Tom; mentre i gesti deittici, come indicare o salutare (sono gesti
ritualizzati), svolgono una funzione imperativa o richiestiva. Ad esempio, il bambino che indica un
oggetto lontano o alterna lo sguardo tra l'oggetto l'adulto sta attuando un'azione per formativa richiestiva,
nel senso che chiede all'adulto di dare di quell'oggetto. Tra gli 11 e i 14 mesi si assiste ad un cambiamento:
il bambino usa il gesto per indicare, ma non in senso imperativo, ma in senso dichiarativo (performativo
dichiarativo), nel senso che vuole portare l'attenzione dell'adulto verso quell'oggetto: in questo modo il
bambino non guarda all'adulto come un agente di azione, bensì come un agente di contemplazione,
cercando di intrecciarsi con la sua struttura mentale.
Con il termine agency indichiamo la comprensione che gli esseri animati agiscono autonomamente, cioè
il bambino entro il primo anno di vita riesce a distinguere un essere animato da un essere inanimato,
comprende l'intenzione, la volontà e vede l'altro come un essere autonomo, il cui comportamento e
motivato dagli Stati mentali.
La comprensione della percezione visiva è un prerequisito fondamentale per la capacità di lettura della
mente, poiché il bambino capisce a quali condizioni una persona può percepire un oggetto e che tale
percezione può essere diversa dalla propria. Attraverso questa comprensione il bambino inizia ad
acquisire delle informazioni che gli fanno comprendere come la costruzione della conoscenza sia legata
a come gli altri già conoscono la realtà (vedere porta a sapere), e questa comprensione avviene intorno
ai quattro anni.
Infine, il gioco di finzione permette al bambino di creare un mondo possibile accanto ad un mondo reale
e quindi di creare delle rappresentazioni che si riferiscono al mondo reale. Se un bambino fa finta di
telefonare con una banana ha compiuto l'azione metarappresentativa di utilizzare un oggetto reale diverso
in luogo di un oggetto che in quel momento non è presente. Attraverso il gioco di finzione si
comprendono maggiormente le capacità di comprensione della mente e quindi risulta essere uno dei primi
contributi semantici sulla tom.
Un ulteriore dispositivo che dalla capacità al bambino di poter leggere la mente altrui e la propria è il
linguaggio. Attraverso il linguaggio il bambino passa da una fase in cui considera la credenza come vera
e attraverso la quale può leggere il mondo, alla capacità di poter comprendere quando si tratta di una
falsa credenza, in modo da poter comprendere ancora meglio i comportamenti altrui: quest'ultima fase
avviene a quattro anni circa.
A partire dagli anni 90 il discorso sulla Tom si è aperto alla prospettiva del ciclo di vita, cioè non viene
più arrestato al momento dell'adolescenza e alla prima età adulta, ma viene studiato anche nei soggetti di
età adulta e anziana. Si è visto come la capacità mentalistica degli anziani sia ridotta rispetto a quella dei
giovani in ragione dell'avanzare dell'età, tuttavia un esperimento condotto nel 1998 dimostrò l'esatto
contrario, e cioè che gli anziani possedevano una Tom più progredita dei ventenni. La discordanza di
questi risultati e imputata soprattutto a livello socioculturale del campione scelto per l'esperimento; oggi
i cambiamenti della Tom nelle varie età costituiscono una delle frontiere della ricerca nella psicologia
dello sviluppo.

3. La TOM in prospettiva life-span: questioni emergenti


Parlare di tom in una prospettiva life-span, ossia che riguarda tutto il ciclo della vita significa superare
innanzitutto il compito di falsa credenza di secondo ordine, che viene somministrato ai bambini di età tra
7-8 anni. Gli studiosi devono creare un compito di false credenze di terzo ordine, in modo da mettere
insieme dei compiti più avanzati più complessi per persone che rientrano in fasce di età più mature.
Tuttavia, mentre gli studi riguardanti la teoria della mente nei bambini e nei ragazzi ha come scopo
l'accertarsi effettivamente se i soggetti hanno la capacità di mentalizzare, ossia di giungere ad una
condizione di metarappresentazione, negli adulti la metarappresentazione è già conclusa, visto che
quattro anni li hanno superati da un bel po'. Ciò che si vuole raggiungere con il compito di false credenze
di terzo ordine è scoprire in che modo gli adulti riescono a utilizzare la tom. In realtà negli adulti avviene
qualcosa di diverso: essi sono vittime della maledizione della conoscenza (curse of knowledge), ossia la
tendenza dell'adulto ha sopra stimare la conoscenza dell'altro sulla base della propria, compiendo quindi
errore di valutazione e di decisione. Ad essere coinvolte nella mentalizzazione degli adulti sono anche le
neuroscienze, in quanto alcuni studi hanno rilevato che le regioni cerebrali interessate nella tom sono
ristrette, come ad esempio la corteccia mediale prefrontale e la corteccia paracingolata anteriore. Altri
studi si sono occupati della connessione tra il decadimento della tom e l'invecchiamento delle principali
funzioni cognitive dell'essere umano, volendo individuare il momento d'inizio e l'iter del declino di
questa abilità.
4. La TOM oggi: un oggetto di studio in continua espansione
Dal 1978, quando è nata la teoria della mente, fino ad oggi gli studi e i lavori pionieristici su questa
dimensione della psicologia sono aumentati a dismisura. Soprattutto dopo gli anni 2000, moltissime
rassegne e metanalisi si sono susseguite, interessando i principali filoni di indagine: il versante clinico, i
problemi di maltrattamento infantile, i legami della tomba con il linguaggio, con le connessioni di
socializzazione, e molto altro.

5. Linguaggio e Tom: aspetti tipici e atipici


Il legame tra linguaggio e Tom è ancora oggi studiato in maniera approfondita, anche perché se il
compito di falsa coscienza è lo strumento principale per poter comprendere fino a che punto bambino
utilizza la metarappresentazione, è anche vero che questo compito fa perno proprio sulla capacità
linguistica del bambino, in quanto innanzitutto il bambino deve comprendere la storia e poi deve saper
dare una giustificazione alla risposta fornita allo sperimentatore.
A tal proposito, gli studiosi distinguono due dimensioni del linguaggio:
• una dimensione di tipo funzionale, che interessa sia il piano intraindividuale, ossia le rappresentazioni
mentali, sia il piano interindividuale, ossia la comunicazione sociale;
• una dimensione di tipo strutturale, che riguarda gli aspetti semantici e gli aspetti sintattici degli
enunciati (la comprensione e la struttura del linguaggio).
Il risultato del compito di falsa credenza dipende, quindi, anche dall'abilità linguistica e dalla
comprensione che il bambino attua nei riguardi di questo compito. Da alcuni esperimenti che sono stati
fatti in Inghilterra risulta chiara l'esistenza di una relazione tra abilità linguistica e risposte al compito di
falsa credenza, abilità che non riguardano fattori come l'età e il genere; un secondo risultato riguarda
sempre la sfera linguistica e più specificamente quali moderatori vengono utilizzati tra linguaggio e Tom
(semantica, vocabolario, sintassi, memoria). Esperimenti di questo genere aprono una riflessione su
ulteriori elementi che riguardano il legame tra linguaggio e Tom, applicabili soprattutto nella sfera
clinica.
Questo elemento drammatico-conversazionale non è visibile solamente in lingua inglese, ma anche le
altre lingue europee e molti studi sono stati condotti anche in Cina, dove sempre viene spostato il focus
sull'elemento linguaggio come fondamentale per riuscire a comprendere l'utilizzo della Tom da parte del
bambino.
Vi sono poi i bambini che hanno uno sviluppo atipico e anche su di loro sono stati svolti degli esperimenti
per comprendere il legame tra linguaggio e il loro modo di utilizzare la Tom. Si è visto, da alcuni
esperimenti, che i bambini con disturbo del linguaggio tra i 4 e i 12 anni risolvevano statisticamente in
maniera inferiore il compito della falsa credenza rispetto a bambini con uno sviluppo tipico della stessa
età. Inoltre, anche nella condizione di sordità sono stati svolti degli esperimenti e i risultati sono stati
che, considerando il linguaggio sempre come fattore fondamentale dello sviluppo della Tom, i bambini
avevano prestazioni significativamente peggiori rispetto i bambini che non soffrivano di sordità; un
secondo esperimento ha rivelato che nei bambini con una sordità congenita si sviluppa un ritardo nella
capacità di comprendere la falsa credenza, fino al punto che i bambini con sordità raggiungerebbero verso
i 13-16 anni, ciò che i bambini con uno sviluppo tipico raggiungono nei canonici quattro anni.
Il legame tra il deficit e il ritardo nello sviluppo nella metarappresentazione sarebbe, allora, imputabile
alla scarsa partecipazione alle conversazioni quotidiane, ricche lessico psicologico, alle quali i bambini
con deficit uditive non possono partecipare. A tal proposito sono stati realizzati due esperimenti con un
esito paradossale. Da un lato sono stati visti i progressi di un bambino con deficit uditivo all'interno di
una famiglia con nessun deficit di sordità: lo sviluppo metterrappresentazionale è stato significativamente
rallentato; dall'altro lato sono stati fatti degli studi su un bambino con deficit uditivo che vive all'interno
di una famiglia dove già il deficit è stato conosciuto. Bene in questo secondo caso l'utilizzo della tom da
parte del bambino con deficit uditivo è stato uguale a quello dei bambini con lo sviluppo tipico; ciò è
dovuto al fatto che all'interno della famiglia già si conosceva linguaggio dei segni e quindi bambino avuto
uno sviluppo regolare. Ovviamente tutto questo è legato all'impossibilità del bambino di prendere parte
ai dialoghi quotidiani che si svolgono in famiglia, laddove all'interno della famiglia non si parli il
linguaggio dei segni.
Infine, si sono registrati dei ritardi nello sviluppo della Tom anche in bambini affetti da deficit cerebrali,
dove la parte interessata e quella relativa linguaggio, allora anche la capacità di metarappresentazione
subisce delle alterazioni in negativo.

6. Prospettive future
Riuscire a padroneggiare la Tom vuol dire anche spostarsi verso il futuro nei diversi campi di indagine.
Gli studi sulla teoria della mente vengono utilizzati a scopo educativo ma anche a scopo riabilitativo, al
fine di amplificare questa abilità.
Una prima prospettiva è quella del training, secondo il quale vengono svolti interventi direttamente a
soggetti che sono in condizioni evolutive tipiche, per amplificare la metarappresentazione, sia a persone
di anziana età per fare in modo che si abbia più consapevolezza di un'abilità che posseggono.
Una seconda prospettiva è quella che riguarda i rapporti tra Tom e processi decisionali nel ciclo di vita:
quando si tratta di studiare il nostro adattamento alla vita sociale, la teoria della mente entra in gioco nei
processi decisionali sul nostro comportamento.
Infine una terza prospettiva riguarda il rapporto tra Tom e la robotica. Già nel 1978 il primo articolo
che parlava di teoria della mente poneva la questione da un punto di vista evoluzionistico, tanto che ci si
domandava se gli scimpanzé utilizzano effettivamente una Tom. Oggi di fronte ai robot, e soprattutto
davanti ai robot umanoidi, la robotica non può fare a meno di confrontarsi con gli studi sulla tomba, in
quanto i software dei robot sono programmati sui comportamenti e sulla meta rappresentazione simile a
quella dell'uomo.
CAPITOLO 7: LO SVILUPPO MORALE SOCIALE

1. La complessità dell'architettura morale


Quando parliamo di moralità ci riferiamo qualcosa di altamente complesso all'interno della struttura
umana. Infatti la moralità ha:
• una dimensione cognitiva, poiché sono interessati processi di ragionamento per giungere a una
decisione su ciò che sia giusto o sbagliato;
• una cognizione morale, ossia comprendere quali sono le norme che definiscono l'obbligo dell'azione;
• una dimensione emotiva, ossia quelle emozioni che riguardano i comportamenti morali, come la colpa
e la vergogna.
L'azione morale, tuttavia, non è qualcosa che riguarda solamente processi psicologici, ma è il risultato di
influssi sociali differenti che vengono introiettati dal soggetto. Per questo motivo le varie scuole
psicologiche si sono chieste com'è possibile che nello sviluppo del soggetto si possa costruire
un'architettura morale:
1. Piaget focalizzava la sua attenzione soprattutto sul pensiero il suo ragionamento;
2. Hoffmann si incentrava sulla sfera emotiva;
3. Bandura, sul rapporto tra cognizione, emozione e azione morale;
4. Hauser, sulle basi bioneurologiche del funzionamento morale.

2. Le origini della moralità


Elliot Turiel sostiene che la moralità sia il risultato dell'incontro di due relazioni:
• la cura, ossia quel sentimento di preoccupazione nei confronti degli altri e di aiuto nei casi in cui un
individuo soffre;
• l'equità, ossia il rispetto delle regole, secondo le quali tutti gli individui dovrebbero godere degli stessi
diritti e nessuno dovrebbe essere avvantaggiato rispetto agli altri.
Secondo il senso comune i bambini sono naturalmente egoisti e tendono ad apportare il massimo profitto
verso se stessi, senza comportarsi mai in modo morale. Questa concezione del senso comune viene
supportata dalle idee del filosofo inglese Thomas Hobbes, il quale considerava che gli esseri umani sono
per natura egoisti, che promuovono l'annientamento reciproco al fine di raggiungere i propri scopi, e che
solo l'istituzione di norme sociali e morali può mettere fine a questo egoismo. Anche Freud sosteneva
che l'essere umano deve affrontare quel passaggio dal principio del piacere al principio della realtà, dove
rinuncia al soddisfacimento delle proprie pulsioni naturali a beneficio delle istituzioni sociali.
Oggi la situazione ben cambiata rispetto ai tempi passati: la moralità nei bambini viene adesso studiata
partire da presupposti evoluzionisti. Alcune ricerche hanno rivelato che i bambini tendono
spontaneamente a mettere in atto condotte altruistiche e ad avere dei comportamenti che si ispirano alla
correttezza e all'equità.
L'empatia. Si potrebbe pensare che l'empatia sia il cardine di tutta la moralità, poiché il soggetto si tuffa
dentro la sofferenza e il sentimento dell'altro; lo stesso termine deriva dal greco antico e riguarda la
partecipazione emozionale tra il cantore e il suo pubblico in un flusso continuo di emozioni. Nei secoli
successivi filosofi ed economisti si sono occupati dell'empatia e ne hanno visto il centro di tutta la
socialità (Hume e Smith).
Grazie alle nuove ricerche psicologiche oggi possiamo dividere l'empatia in tre componenti diverse:
• l'empatia affettiva, ossia la condivisione emozionale nei confronti dell'altro;
• l'empatia cognitiva, attraverso la quale sia consapevolezza cognitiva degli stati d'animo dell'altra
persona;
• l'empatia fisiologica, che è caratterizzata dal coinvolgimento delle attività del sistema nervoso
autonomo.
In seguito, con la scoperta di neuroni specchio si è potuto ipotizzare che il soggetto in cui si attivano i
neuroni specchio attivo un processo innato di imitazione dell'altro che gli sta davanti, potendo così
comprendere e condividere anche le emozioni altrui.
Nei bambini esiste uno stadio zero dell'empatia e si manifesta quando un bambino inizia a piangere e gli
altri lo seguono a ruota, come se si venisse a creare un processo empatico tra il primo bambino che inizia
a piangere e poi, come effetto domino, tutti gli altri. A partire dai sei mesi di vita si innesca un processo
denominato empatia egocentrica, secondo il quale un bambino manifesta disagio davanti al malessere
dell'altro bambino e si aggrappa alla madre per evitare che quello stesso disagio possa coinvolgerlo.
Esiste poi uno stadio di empatia quasi egocentrica che si sviluppa nei bambini di due anni, dove si
manifestano i primi segni di altruismo, ad esempio quando un bambino più piccolo vede piangere un
bambino più grande e gli offre il proprio gioco. Vi è un empatia veridica, che un empatia molto più
mature si sviluppa verso i tre anni, dove un bambino ad esempio può offrire il proprio gioco davanti a un
altro bambino in lacrime e può chiamare anche un adulto in suo soccorso. Infine vi è lo stadio di empatia
per la condizione esistenziale dell'altro: si tratta di uno stadio molto avanzato di sviluppo, quando il
bambino ha raggiunto le forme più astratte di pensiero; l'esempio può essere quello di un bambino che si
immedesima nella condizione del mendicante che vede davanti, anche se il mendicante in quel momento
sta sorridendo.
Il comportamento prosociale. Hoffmann ha cercato di integrare lo sviluppo dell'empatia con lo sviluppo
delle abilità di Tom, dando origine all'abilità di prespective-taking, ossia la capacità di comprendere lo
stato mentale dell'altro. Si potrebbe infatti ipotizzare che, una volta compreso lo stato emotivo dell'altro,
ci si dovrebbe attivare per un comportamento d'aiuto o prosociale. In realtà i risultati degli esperimenti
non sono stati univoci.
Chi ha messo in relazione empatia, prosocialità e moralità è stata Nancy Eisenberg, la quale ha rivolto
attenzione al concetto di sympathy, ossia la compassione: un sentimento che si origina dall'empatia ma
che porta all'immedesimarsi nella condizione dell'altro fino a generare un comportamento prosociale.
Alcuni esperimenti condotti dalla dottoressa hanno rilevato che non sempre l'immedesimarsi all'interno
del disagio personale soggetto porta ad un comportamento prosociale, poiché ci si può impaurire di quel
disagio personale e ritirarsi in maniera egoistica. Un altro esperimento ha visto come l'empatia possa
trasformarsi in sympathy se un certo tipo di comportamento prosociale viene realizzato in continuazione.
Secondo Nancy Eisenberg questo passaggio potrebbe portare a delle capacità di self-regulation delle
capacità emotive; si tratta di un'autoregolazione che viene determinata da un tratto del carattere
denominato effortful-control: nel momento in cui un soggetto si trova davanti ha un'altra persona con un
disagio emotivo enorme, può adottare due strade: o ritirarsi egoisticamente oppure regolare il proprio
effortful-control e trasformare quell'esperienza empatica in un'esperienza di sympathy.
In questo passaggio che coinvolge pienamente la psicologia dello sviluppo sono fondamentali i fattori
biologici, i fattori educativi e quelli relazionali. Infatti è stato dimostrato che in un clima familiare
improntato sul calore e sulla sicurezza, i bambini crescono con livelli più elevati di sympathy. Inoltre
stato dimostrato che si i bambini vanno incontro a stati d'animo negativi, ma sono supportati dall'aiuto di
un adulto, allora riescono ad accrescere i loro livelli di sympathy.
Le origini naturali del Buono e del giusto. La moralità può essere studiata, come abbiamo detto, anche
su basi evoluzionistiche. Infatti è risaputo che nella specie umana, ma anche in altre specie, vi è una
propensione alla socialità, alla cooperazione e alla solidarietà, poiché sono questi gli elementi che
permettono la conservazione della specie. Ad esempio molti animali come operano insieme quando
devono sfuggire a una preda, oppure altri animali predatori se devono cacciare. Alcuni studiosi hanno
rintracciato pure la kin selection, ossia quella propensione degli individui che agiscono in modo
altruistico nei confronti di altri individui con i quali hanno un legame parentale.
Ad esempio il cognitivista Tomasello ha spiegato che esiste un modulo all'interno della mente deputato
al principio che aiutare gli altri è giusto e che negli esseri umani il noi ben presto sostituisce l'io (morale
nel modo della seconda persona).
Esperimenti molto legati hanno dimostrato che non è vero che il sentimento egoistico sia presente nei
bambini. Molti studi hanno fatto vedere che nel momento in cui due bambini co operano per avere una
determinata ricompensa, poi la dividono equamente. Oppure, alla visione di un cartone animato dove un
personaggio animale e iniquo e un altro personaggio animale è giusto, i bambini scelgono come
pupazzetto quello del personaggio giusto.

3. La cognizione morale
Abbiamo visto come gli studi più recenti sulla moralità si sono focalizzati sulla dimensione emotivo; ma
sappiamo che gli approcci classici dello sviluppo morale erano incentrati sostanzialmente sulla
dimensione cognitiva.
I modelli stadiali. Autori di impostazione costruttivista e cognitivo-evolutiva sostengono che i
ragionamenti di tipo morale sono legati allo sviluppo delle abilità cognitive.
Piaget pensava che all'interno di tutti gli uomini esiste una sequenza stadi alle comuni che influisce sullo
sviluppo morale e in particolar modo attraverso quelle connessioni che si instaurano con i coetanei. Per
lo psicologo svizzero fino ai cinque anni il bambino vive in una condizione di anomia morale, senza
interesse per le regole e il cui comportamento viene regolato dall'adulto. fino a 7-8 anni il bambino vive
il primo stadio di moralità, denominato realismo morale, la cui moralità è regolata da un'autorità esterna,
l'adulto, il quale regole comportamenti attraverso il binomio premio-punizione, quindi questa moralità si
basa soprattutto sul principio di obbedienza. L'ultimo stadio di sviluppo morale e quello di relativismo
morale, che giunge intorno ai 10 anni, in cui comincia a svilupparsi l'idea di una moralità autonoma
basata sulla cooperazione, sulla reciprocità e sulla negoziazione sociale.
Kohlberg, producendo diversi esperimenti di tipo strutturale, avanzò la sua teoria stadiale di moralità.
Tutto parte dal concetto di convenzionalità, secondo il quale lo sviluppo morale riguarda l'adeguamento
del soggetto alle norme morali della società, che vengono divisi in tre livelli, e due stadi ogni livello.
• Il primo livello è quello preconvenzionale (9-10 anni di età), dove il bambino manifesta un pensiero
superficiale e autocentrato, gestito dalle regole che vengono impartite dall'adulto. Nel primo stadio il
bambino obbedisce alla norma per evitare le punizioni; nel secondo stadio le regole vengono rispettate
solo quando ne derivò un vantaggio.
• Il secondo livello è quello convenzionale (13-20 anni di età), dove il ragazzo interiorizza le regole
sociali e le comprende orientandosi come bravo ragazzo (stadio 3) e mantenendo l'autorità e l'ordine
(stadio 4). Nello stadio 3 ragazzo si conforma al gruppo sociale di appartenenza e agisce per sentirsi
come tutti gli altri; nello stadio 4 il ragazzo mantiene un comportamento responsabile verso le istituzioni
verso l'ordine.
• Il terzo livello è quello postconvenzionale (dopo i 20 anni), dove il giovane acquisisce una concezione
molto complessa dei valori morali e dove fanno il loro ingresso le leggi nazionali, i principi etici
universali. Nello stadio 5, denominato orientamento contrattuale-legalistico, il giovane pienamente
consapevole dell'esistenza di opinioni e di valori diversi a seconda del gruppo sociale di appartenenza,
ma riconosce anche dei valori assoluti anche quando entrano in contrasto con la maggioranza. Nel sesto
stadio infine avviene l'orientamento di coscienze di principio: i principi etici universali sono concepiti
come il più profondo fondamento della legge e quando vi è un contrasto con le regole sociali ad avere la
meglio sono sempre questi principi universali.
Gibbs, proprio come i primi due psicologi, ritiene che il ragionamento morale si evolva seguendo un
percorso stadiale, ma distingue due soli aspetti.
La fase dello sviluppo morale standard, ossia la componente di base che riguarda la comprensione delle
regole e la valutazione dell'azione giusta o sbagliata. In questa fase vi sono due stadi detti superficiali:
nello stadio 1 il pensiero morale e influenzato da motivazioni egocentrica, mentre nello stadio 2 è già
presente una morale pragmatica che segue il principio di operare per gli altri se gli altri hanno operato
per me. Nei due stadi successivi avviene invece una maturità lo sviluppo morale, infatti lo stadio 3 si
fonda sulla fiducia sul rispetto reciproci come base delle relazioni interpersonali; e nello stadio 4 si
riconoscono e si accettano i valori e le istituzioni presenti all'interno di un sistema sociale.
La fase di sviluppo esistenziale, riguarda la comparsa e l'evoluzione di abilità di riflessione
contemplativa, grazie alle quali il soggetto può riflettere sulle ragioni dell'etica ed elaborare dei principi
morali che corrispondono al livello postconvenzionale di Kohlberg.
Essendo una evoluzione che procede per stadi, alcuni soggetti possono rimanere bloccati in un ritardo
morale, all'interno dei primi stadi di moralità immatura. In questa prospettiva si comprende che l'ipotesi
che lo sviluppo morale dipenda solamente dallo sviluppo cognitivo sarebbe una condizione necessaria
ma non sufficiente.
Dal ragionamento all'azione morale. I ricercatori si chiedono come possa avvenire che un soggetto
comprenda quale sia l'azione giusta da realizzare, ma poi non agiscono secondo quell'idea di giustezza.
Su questo orizzonte è stata formulata la teoria dei domini, secondo la quale lo sviluppo morale non
procede secondo una sequenza di stadi, ma nella valutazione di un'azione giusta vengono coinvolti
domini cognitivi separati. Nello specifico vi sono tre regole che fanno riferimento a domini diversi:
• regole morali, secondo le quali non si deve fare male agli altri ma si deve operare per il loro bene,
queste vengono accettate come regole universali;
• regole socioconvenzionali, che servono a mantenere l'ordine sociale, e la cui trasgressione e vista come
qualcosa di grave, ma meno grave rispetto alla trasgressione delle regole morali;
• principi di scelta personale, che non sono soggetti ad alcuna autorità ma dipendono esclusivamente
dalla decisione della persona.
In questo senso viene operata una differenza all'interno della moralità: da un lato una moralità eteronoma
che si riferisce sempre ad un'autorità che impone una norma; dall'altro una moralità autonoma in cui è la
norma ad avere valore in se stessa, quindi assoluta. Secondo uno studio svolto nel 1990 i bambini già a
42 mesi riescono a comprendere la differenza tra una regola morale più seria la cui violazione è molto
grave, da una regola socioconvenzionale la cui violazione non è grave come nel primo caso.
Naturalmente i bambini più piccoli spesso confondono le regole morali con le regole socioconvenzionali,
mentre negli adolescenti questa differenziazione si fa più netta. Dobbiamo poi aggiungere che sono poche
le situazioni in cui ci si trova davanti ha un dominio che non ha nulla a che vedere con un altro, invece
più delle volte ci si trova davanti ha un caso di morale condominio misto, dove sarà il soggetto a dover
discernere se si tratta di regole morali o socioconvenzionali.
Bandura considera l'impostazione dei modelli stadiali come troppo razionalistica, e contrappone la sua
teoria sociocognitiva, secondo la quale lo sviluppo della morale dipende essenzialmente dalle interazioni
del soggetto con il contesto sociale, in primo luogo la famiglia e il gruppo dei coetanei. In questo modo
diventa fondamentale il ruolo degli adulti che fanno sentire la loro presenza attraverso premi, rinforzi,
proibizioni e sanzioni, guidando così il comportamento del bambino. Attraverso l'interazione con la
società bambino riesce a sviluppare i propri criteri di comportamento e di autocontrollo morale. Dal
contesto sociale il bambino riesce anche a sviluppare processi cognitivi di disimpegno morale che
evitano la reazione interna conseguente all'aver trasgredito gli standard di condotta già interiorizzati, e
possono comportare un cambiamento della condotta morale del soggetto.
Il comportamento aggressivo come azione immorale. Come abbiamo già detto, i meccanismi di
disimpegno morale ipotizzati da Bandura possono produrre anche dei comportamenti immorali, come ad
esempio l'aggressione. Infatti molti bambini e adolescenti hanno dei comportamenti aggressivi e
prepotenti nei confronti dei loro coetanei, si comportano come bulli e questo deriva dal ricorrere
maggiormente al disimpegno morale. Per comprendere meglio la relazione tra cognizione morale e
condotta aggressiva occorre fare alcune distinzioni. Una prima distinzione riguarda:
• l'aggressione, l'atto che procura danno agli altri:
• l'aggressività, che è invece la tendenza come stile personale di condotta a essere aggressivi nei confronti
degli altri.
Esiste poi:
• aggressività reattiva, ossia la tendenza a reagire in maniera distruttiva come risposta ad una situazione
percepita come una minaccia;
• aggressività proattiva, ossia l'aggressività utilizzata per avere un beneficio materiale, sociale ed
emotivo.
Molte volte nello stesso soggetto possono coesistere due tipi di aggressività; mentre nel caso del bullo
riscontriamo un'chiaro caso di aggressività proattiva.
La condotta aggressiva può essere spiegata attraverso il modello dell'elaborazione dell'informazione
sociale, secondo il quale le interazioni sociali altro non sono che problemi da risolvere, in cui il soggetto
deve comprendere le intenzioni dell'altro soggetto e poi decidere che risposta dare. Questo modello
descrive queste risposte che si attivano in maniera automatica e si svolgono in sei passi:
1. Codifica dello stimolo sociale, dove si presta attenzione comportamenti del partner e agli elementi che
fanno comprendere cosa sta accadendo;
2. L'interpretazione dello stimolo, dove viene interpretata l'azione del partner;
3. Definizione degli obiettivi, dove si definiscono gli obiettivi che si vogliono raggiungere rispetto
all'altro;
4. Ricerca di una risposta, dove si elaborano tutte le possibili risposte per raggiungere gli obiettivi;
5. Scelta della risposta, che avviene sulla base dell'analisi della situazione e in base alla predisposizione
della persona mettere in atto un determinato comportamento;
6. Messe in atto della risposta, la risposta viene realizzata e si attendono i feedback da parte degli astanti.
Tutto questo processo è chiaramente influenzato da fattori emotivi che possono spingere a scegliere una
risposta rispetto a un'altra, e le influenzato anche dalle nostre conoscenze sociali e morali. Gli elaboratori
di questo modello (Crick e Dodge) sostengono che è alla base del comportamento aggressivo vi siano
delle distorsioni cognitive e delle alterazioni dell'elaborazione dell'informazione sociale.
Dal punto di vista della relazione tra lo sviluppo cognitivo e comportamenti aggressivi, risulta chiaro che
i soggetti possono avere degli atteggiamenti aggressivi sia come risposta alle minacce altrui, sia per
raggiungere degli obiettivi egoistici, ed è proprio in questo secondo caso che viene utilizzato il
ragionamento edonistico.
Anche la teoria dei domini spiega la condotta aggressiva: il soggetto realizza una sorta di scivolamento
di dominio, passando da una regola socioconvenzionale a una scelta personale, quindi, nel momento in
cui una regola diventa una scelta personale non ci sono più autorità che possono impedirla.

4. La socializzazione morale: contesti di crescita


Nel corso della sua vita l'essere umano si trova sempre davanti a scegliere quale azione realizzare, per il
benessere degli altri, per far valere principi di giustizia e di equità, tuttavia le persone non hanno tutte le
stesse opinioni, e molte di queste scelte dipendono dai modelli culturali e familiari a cui il soggetto è
stato sottoposto nella socializzazione.
Il ruolo della cultura. Ci si potrebbe chiedere se lo sviluppo morale venga influenzato dai modelli
culturali che esistono all'interno delle società, inoltre ci si potrebbe chiedere se le diverse culture
condividano gli stessi principi morali di base, oppure se siamo di fronte a principi di base che sono
inconciliabili tra di loro.
Una prima risposta giunge dall'approccio evoluzionistico (teoria stadiale), secondo la quale lo sviluppo
morale segue una stessa sequenza che vale per tutti gli individui. In questo senso lo sviluppo morale
viene influenzato dalla struttura economica e sociale che può creare diversi livelli di moralità, ma tuttavia
individuo raggiunge un ordine gerarchico personale che non può essere influenzato dalla struttura
economica e sociale.
L'approccio culturalista, invece, sostiene che i principi morali sono il risultato delle pratiche discorsive
e relazionali che avvengono all'interno di una cultura. Ad esempio vi sono delle culture con un
orientamento individualistico, secondo le quali i principi di base riguardano la libertà individuale e il
perseguimento dei propri obiettivi personali; al contrario, le culture con un orientamento collettivistico
strutturano lo sviluppo morale a partire da principi che riguardano la famiglia la comunità e dove la
norma morale viene costruita a partire dal rispetto dei doveri nei confronti della comunità.
Si comprende allora che contrapporsi solo due diversi modelli etici:
• L'etica dell'autonomia, incentrata sulla difesa dei diritti inalienabili dell'individuo, i principi di equità
e il valore della libertà;
• L'etica della comunità, dove le norme morali vengono costruite per un maggior raccordo all'interno
della comunità, considerando soprattutto che la comunità viene prima dell'individuo e che vi è un'autorità
che determina i valori morali.
Da studi scientifici è emerso che i bambini già dai primi anni di vita cominciano a formulare dei giudizi
su temi morali che sono conformi alla cultura di appartenenza. È stato svolto un esperimento su bambini
tedeschi e indonesiani: primi sostenevano che occorresse adottare tutte le persone, i secondi erano molto
più riluttanti a questo tipo di morale, dubitavano che si dovesse aiutare lo straniero ed erano fortemente
legati alla propria famiglia la propria comunità.
Non sono mancate le critiche a questa dicotomia tra l'individualismo e collettivismo; infatti non si può
pensare che all'interno di uno stesso contesto sociale esista un'omogeneità di orientamento morale, poiché
tutti i contesti umani hanno al loro interno sia un orientamento individualista che un orientamento
collettivista, anche se distribuito in quantità differenti.
La teoria dei domini critica il fatto che possono esserci più moralità all'interno di uno stesso contesto,
essa sostiene che la capacità di distinguere tra norme morali e norme convenzionali e già presente nei
bambini in età prescolare indipendentemente dalla cultura di appartenenza. Su questo versante è stato
condotto un esperimento su dei bambini appartenenti a una cultura collettivista: ai bambini fu detto se
erano disposti a rubare nel momento in cui le leggi del proprio paese lo avessero consentito; i bambini
non erano d'accordo a rubare, tuttavia avrebbero cambiato altri costumi del proprio paese, come ad
esempio funzioni religiose e abbigliamento. Questo esperimento condotto secondo la teoria dei domini
vorrebbe mettere in luce come per i bambini esistono già delle regole morale inviolabili, mentre quelle
convenzionali possono essere modificabili.
Il ruolo della famiglia. Risulta essere indubbio il fatto che i genitori sono per i bambini i primi portatori
di informazioni morali, sono i primi a far comprendere quali comportamenti sono giusti e quali sbagliati.
Sin dall'età di 18-24 mesi i genitori cominciano a coltivare i valori morali dei propri figli e i bambini
vedono questi valori morali come autogeneratisi; li considerano come valori indipendenti rispetto ai
valori sociali. Si potrebbe dire che i bambini non acquisiscono questi valori in maniera passiva, ma
attuano un processo di riproduzione interpretativa, in quanto il bambino che metabolizza il valore morale,
lo seleziona, lo elabora e lo mette a confronto con i valori sociali.
Un primo elemento che bisogna considerare nell'acquisizione dei valori morali da parte dei genitori è
l'accuratezza della percezione: all'interno della famiglia deve esserci un elevato accordo tra i due genitori
affinché i figli possano percepire i valori genitoriali; al contrario, se vi è un disaccordo valoriale i figli
entreranno in confusione sui valori di riferimento. Un altro aspetto importante è quello della ridondanza,
ossia i genitori devono ricordare continuamente quali siano i valori morali scelti; in questo senso è
necessaria anche una certa coerenza dei genitori a mostrare dei principi che vengono professati ma anche
concretamente realizzati. Affinché i valori vengano metabolizzati dai bambini occorre anche una certa
flessibilità educativa, poiché se vi è una eccessiva rigidità genitoriale l'internalizzazione dei valori può
venire maniera distorta e i bambini possono scegliere anche altri valori. In merito a quest'ultimo elemento
è stato riscontrato che un clima familiare in cui viene creato un attaccamento sicuro produce nel bambino
delle condotte prosociali e alti livelli di simpatia sociale; contrario dove l'attaccamento è insicuro il
bambino sviluppa minori livelli di empatia nei confronti degli altri.
L'internalizzazione morale passa anche dallo stile educativo e dalle pratiche disciplinari che i genitori
sono in grado di dare al bambino. I genitori diventano dei regolatori esterni del comportamento del
bambino, infatti, se un bambino piange per qualche motivo, il genitore subito lo prende in braccio e cerca
di consolarlo. Allo stesso modo se un bambino ha un atteggiamento morale negativo il genitore cerca di
regolare dall'esterno questo comportamento negativo e di fare in modo che il bambino sviluppi un'abilità
di autoregolazione. Questo secondo esempio viene definito da Hoffmann come incontro disciplinare: il
bambino mette in atto un comportamento negativo e il genitore interviene per prevenirlo, reprimerlo o
modificarlo. Sempre secondo Hoffmann esistono tre tipi di discipline che i genitori possono attuare per
fare in modo che il bambino internalizzi i principi morali.
La disciplina basata sul potere, la quale viene attuata attraverso imperativi autoritari, e ne sono elementi
le punizioni fisiche, le privazioni, la cessazione di privilegi. In questa disciplina il genitore non dà
spiegazioni, ma tutto viene eseguito secondo un principio di autorità, provocando il bambino sentimenti
di rabbia, ma anche di timore per la punizione.
La disciplina basata sul ritiro dell'amore, dove il bambino viene portato a comportarsi in un
determinato modo altrimenti rischia la perdita dell'amore da parte del genitore. In questa disciplina
vengono creati sentimenti di ansia per la perdita dell'affetto.
Il terzo approccio è quello induttivo. A differenza dei primi due ma anche il principio di autorità, infatti
il bambino viene condotto autonomamente ad avere rispetto della norma, portando il più delle volte
bambino a mettersi nei panni della vittima che ha subito il danno morale. Questo processo avviene in tre
tempi: prima si porta l'attenzione sulla condizione della vittima, poi si invita il bambino a mettersi nei
panni della vittima creando un attivazione empatica, e infine al bambino viene chiesto come si sentirebbe
se lui si trovasse al posto della vittima. In questo modo il bambino da solo riesce a generalizzare una
regola morale di comportamento, che lui stesso poi applica come regola universale.
Il ruolo dei coetanei. Oltre alla famiglia, anche coetanei riescono ad intervenire dello sviluppo morale
del soggetto attraverso dei rinforzi comportamentali informazioni per l'elaborazione degli standard
morali (Bandura). È stato dimostrato che in età adolescenziale l'influenza dei coetanei porta ad uno
sviluppo del disimpegno morale, attraverso il quale i ragazzi cercano di seguire i loro amici.
CAPITOLO 8: LE FAMIGLIE DI FRONTE ALLA SFIDA EDUCATIVA

1. Le famiglie di fronte alla sfida educativa


Ancora oggi la famiglia rappresenta il nucleo fondante della società, anche se, rispetto al passato, la
famiglia si presenta con un aspetto molto diverso: oggi si parla di famiglie monogenitoriali, famiglie con
le genitori omosessuali e famiglie ricostituite (famiglie in cui un partner o entrambi hanno figli da passate
relazioni). Oggi diventare genitori anche in una famiglia tradizionale è qualcosa di molto delicato
complesso, poiché i genitori si trovano costantemente davanti ad un contesto articolato, dove è presente
l'incertezza per il futuro è una pluralità e di norme valori di riferimento che rendono il compito genitoriale
molto più difficile.
Bisognerà guardare ai cambiamenti di livello sociale, culturale ed economico sempre più repentini nella
nostra società, e bisogna guardare soprattutto al cambiamento di stile di vita della madre e del padre: le
donne sono entrate nel mondo del lavoro e hanno un tempo sempre più ristretto dedicarono figli, anche
se rimangono le principali caregivers; i padri invece non rispecchiano l'immagine evasiva e anaffettiva
del passato, ma oggi rivediamo molto più presenti e accudenti nella vita dei propri figli.
Per quanto riguarda i figli, oggi le famiglie si trovano davanti ha una nuova relazione genitori-figli
costellata di una serie di elementi che magari in passato non erano presenti. Ad esempio per protezione,
oppure l'abolizione dell'attesa legata alla soddisfazione di ogni richiesta del bambino, oppure ancora la
precocità nella crescita e l'iperresponsabilizzazione si dà ai figli; questi elementi sono tutti legati alla
pervasività della tecnologia che è diventata la caratteristica fondamentale della nostra società.
Se poi vogliamo far partire il nostro discorso da quelle sfide educative tradizionali, non possiamo non
iniziare con la transizione alla genitorialità: come in passato, anche oggi diventare genitori è un
compito molto arduo che presuppone un cambiamento nel modo di rappresentarsi e nel modo di mostrarsi
alla società. I genitori sono i fautori dello sviluppo emotivo, cognitivo è fisico del bambino e la loro
figura spesso viene circondata da un alone di onnipotenza, ecco perché devono sempre farsi trovare
competenti e preparati in queste sfide.
Quando si tratta di diventare genitori non si può non ricorrere alla memoria, cioè al modo che in passato
gli attuali genitori sono stati cresciuti dai loro genitori. In questo senso vengono trasmessi dei modelli
educativi positivi che passano dai genitori ai figli, e dai nuovi genitori verso i loro figli. Tuttavia la
trasmissione di questa eredità può essere anche un rischio, poiché alcune volte inconsapevolmente può
accadere che modelli negativi vengano trasmessi ai nuovi figli. Si comprende allora che il sistema di
attaccamento è fondamentale nella crescita dei bambini e si riflette in tutte le aree della vita e soprattutto
nell'educazione dei propri figli. Certamente un figlio cresciuto con un attaccamento sicuro da adulto sarà
responsabile e trasferirà questa eredità ai propri figli. Dunque memoria e attaccamento sono due
elementi fondamentali nella genitoriali da, poiché chiamo in causa le esperienze del passato per diventare
oggi genitori consapevoli.
È fuor di dubbio che diventare genitori oggi significa accogliere una grande sfida, una sfida che
presuppone l'utilizzo di nuovi strumenti insieme alla capacità e all'ingegno degli individui. Tuttavia non
tutti possono usufruire di questi strumenti e ciò comporterebbe dei rischi nella costruzione della famiglia
nello sviluppo psichico del bambino.

2. I genitori oggi
Affrontare la questione della genitorialità oggi significa fare i conti innanzitutto con la conformazione
demografica delle figure genitoriali attuali. Rispetto al passato oggi si diventa genitori in un'età molto
più tarda, 31,8 anni per la madre al momento del primo parto. Ciò è dovuto al cambiamento della nostra
società, infatti chi decide di avere una famiglia non lo fa più solo per la procreazione, ma mette in primo
piano i bisogni desideri di autorealizzazione professionale di ciascun partner; ecco perché diventare
genitori oggi vuol dire scegliere di diventarlo. Importanti sono anche le risorse economiche disponibili,
poiché rispetto al passato si raggiunge una sicurezza economica intorno ai 30-40 anni. Tutto ciò ha fatto
in modo che si diventasse genitori in età più tarda, un fattore che viene incrementato anche dai progressi
nella fecondazione assistita, che permette la gravidanza a donne di età più avanzata, facendo aumentare
però il rischio di patologie per il nascituro. Diventare genitori in età più tarda non vuol dire solo entrare
all'interno di un circuito negativo, poiché vi sono degli aspetti certamente positivi: genitori più maturi
hanno un atteggiamento più sereno e posseggono più esperienze conoscenze per assumersi la
responsabilità di mettere al mondo dei figli.
Se si considera più da vicino la conformazione demografica dei genitori, ci si accorge che la figura della
madre è cambiata tantissimo a partire dagli anni 60-70 dello scorso secolo, ossia quando è stata attuata
quella rivoluzione culturale ancora attiva ai nostri giorni. La donna non è più la madre che resta in casa
ad accudire i figli e non ha nessun altro spazio se non quello domestico; oggi la donna oltre al lavoro di
madre assume su di sé anche il compito di essere lavoratrice, e questo lo si deve soprattutto al capitale
scolastico che la donna è riuscita ad ottenere grazie alla rivoluzione culturale. A parte alcune società
ancora troppo tradizionaliste, il nostro Occidente ha visto un raddoppiamento del lavoro nella figura della
donna, poiché deve dividersi tra il tempo da dedicare alla cura dei figli e il tempo da dedicare alla
professione lavorativa. E non mancano neppure i casi in cui una donna trascura l'una o l'altra delle sue
attività, giungendo così ad una mancanza di cura nei confronti dello sviluppo psichico del bambino,
oppure ad essere maggiormente discriminata all'interno del luogo di lavoro, poiché è molto difficile
conciliare in maniera efficace queste due delicate attività.
Può accadere anche che una donna decide di intraprendere la carriera lavorativa ma che dopo il primo
figlio non riprenda il suo lavoro. Questo dato è certamente legato alle politiche che vengono realizzate
in merito al lavoro femminile, come ad esempio il congedo di maternità: nel 2011 si è riscontrato un calo
drastico dell'allattamento al seno in Italia le donne che ritornano a lavorare dopo il parto non possono
seguire l'allattamento poiché all'interno delle aziende non vi sono luoghi predisposti per i bambini; le
istituzioni appaiono carenti anche nei confronti della figura paterna che ancora oggi ha diritto a soli due
giorni di congedo parentale, facendo vedere come ancora oggi la nostra società pensi che lo sviluppo del
bambino si è legato solamente alla madre.
Contro questa idea, occorre sottolineare che la figura paterna è essenziale per la rivoluzione della figura
materna, poiché un padre attivo all'interno della famiglia permette non solo che la madre possa continuare
con il proprio lavoro, ma anche che lo sviluppo del bambino non subisca alcuna alterazione negativa. I
dati Istat confermano che nel 2009 vi è stato un innalzamento della partecipazione domestica della figura
paterna all'interno della famiglia: gli uomini aiutano molto di più in casa rispetto al passato e sgravano
la donna di molte preoccupazioni. In tutto questo si occupano anche dei figli in maniera più presente
rispetto al passato, tuttavia però la figura di riferimento della crescita del bambino rimane sempre la
madre. Questi dati confermano che una madre lavoratrice non per forza deve essere motivo di
trascuramento del figlio. Purtroppo questo cambiamento è avvenuto in quelle categorie socioeconomiche
più elevate, dove ci sono livelli di istruzione più alti, invece, laddove vi sono categorie socioeconomiche
più basse e un livello di istruzione più basso, si continua a vedere la figura dell'uomo lavoratore che si
contrappone a quella della donna-madre. In questo senso si è parlato di rivoluzione di genere incompiuta.
Occorre ancora sottolineare che per quanto riguarda l'educazione del figlio la madre assorbe quasi tutto
lo spazio educativo, mentre l'aiuto che può dare il padre è quello relativo le questioni familiari, come la
pianificazione, il controllo e la preoccupazione per gli aspetti finanziari.
Dai ricercatori viene sempre più consigliato il modello della cogenitorialità, ossia quel modello in cui i
genitori costituiscono una vera e propria alleanza che permette una crescita efficace dei figli; i genitori
si sostengono reciprocamente e questo li porta al raggiungimento di scopi comuni. Certo è che avere dei
genitori che collaborano e si sostengono a vicenda per la crescita dei figli non può che portare a una
solida crescita, soprattutto in questa società contemporanea dove esiste una pluralità di valori e di modelli
educativi, dove tutto è costruito sull'imperativo del consumo, dove la società ci porta sempre ad
omologarci ad un pensiero comune. Di fronte a questi imperativi sociali i bambini che crescono in una
famiglia dove esiste la collaborazione tra i genitori riescono ad affrontare il mondo in maniera più sicura.
Ecco perché diciamo che educazione dei bambini da parte dei genitori oggi rappresenta una delle sfide
più importanti.

3. I figli oggi
L'educazione dei figli non può prescindere da quei cambiamenti sociali ed economici di cui abbiamo
parlato finora, dei cambiamenti che non riguardano solamente le figure genitoriali, ma che investono
notevolmente anche la figura dei figli. Le nuove relazioni genitore-figlio possono portare all'emergere di
due poli opposti:
• da un lato vi è la tendenza da parte dei genitori a costruire per loro un mondo ovattato, sollevandoli da
ogni possibile responsabilità; una scelta che si potrebbe ripercuotere nel futuro perché cresceranno figli
con una bassa tensione per la responsabilità e la cura;
• dall'altro lato vi è la tendenza a incentivare sempre più prematuramente nei figli una sorta di autonomia,
portando a quella che gli psicologi chiamano precocità della crescita.
Nel primo caso si potrebbe fare un esempio di mondo ovattato che spesso si presenta ai nostri occhi. Di
fronte a un rimprovero da parte dell'insegnante nei confronti del figlio, il genitore tende di proteggere il
figlio e di sollevarlo da qualsiasi responsabilità. Oggi molto spesso il ruolo degli insegnanti viene
delegittimato dalla presenza dei genitori e questo atteggiamento può provocare nel bambino la sottrazione
del senso di responsabilità individuale e l'idea che tutte le sue richieste possono essere soddisfatte, tanto
che si parla di un fenomeno tipico di questa epoca, cioè l'abolizione dell'attesa e la possibilità del tutto e
subito.
Nel secondo caso si assiste al fenomeno della precocità nella crescita, ossia la responsabilizzazione dei
genitori verso dei figli che lasciano l'età dell'infanzia per assumere atteggiamenti da adolescenti. Anche
in questo caso possono esserci dei rischi, poiché il giovane che viene immerso in età adolescenziale
troppo presto, potrebbe non volerne più uscire e rifiutarsi di diventare adulto.
In entrambi questi poli fondamentale il ruolo che gioca la tecnologia, ossia la caratteristica vera e propria
della nostra società. Infatti, l'idea con cui crescono i bambini oggi è quella del tutto e subito, favorita
certamente dei mezzi tecnologici. Ad esempio in televisione non esiste più una fascia oraria per i
programmi per bambini, ma esistono interi canali che ventiquattr'ore al giorno propinano cartoni animati;
e se questo non bastasse si potrebbe stare tutto il giorno sul YouTube a farsi assorbire completamente
dalle immagini. In questo scenario il compito dei genitori di saper equilibrare le ore davanti ai cartoni
animati diventa molto difficile, poiché si al bambino viene concesso tutto si andrebbe ad intaccare il
senso del desiderio e dell'attesa nella realizzazione di quel desiderio, e un domani potrebbe crescere un
uomo che non riesce a separare il mondo ideale dal mondo reale, pensando che anche da adulti vige la
regola del tutto e subito. Fondamentale è anche il ruolo che gioca nella mente dei bambini la pubblicità
che passa in questi programmi. Molti studi hanno dimostrato che la pubblicità innesca nei bambini il
fattore assillo (nag factor): i bambini cominciano ad assillare i genitori per poter avere un determinato
oggetto pubblicizzato; i genitori più delle volte acconsentono per diversi motivi: o perché non vogliono
vedere diversi propri figli rispetto agli altri, oppure perché cercano di mitigare il proprio senso di colpa
dovuto al fatto che non trascorro molto tempo con i propri figli. Inoltre, la pubblicità gioca un ruolo
fondamentale nella precocità della crescita, poiché non di rado appaiono nelle pubblicità dei bambini che
vengono trattati come degli adulti, il cui corpo viene oggettivato e anche gli atteggiamenti sembrano
quelli di uomini e donne adulti, togliendo anni d'infanzia ai bambini.
L'età dell'adolescenza ha tantissime criticità, non più legate alle questioni tipiche dell'infanzia, ma
possiede degli elementi molto pericolosi sia per la vita che per la crescita psichica del soggetto. Ad
esempio l'adolescenza è l'età in cui vengono assunte delle sostanze oppure si inizia a guidare ad alta
velocità; e anche in questo caso non manca l'apporto della tecnologia, che in questo caso assume l'abito
dei social network, particolarmente importanti nella costruzione dell'identità.
I social network danno accesso a un mondo virtuale che rappresenta in tutto e per tutto il mondo reale,
all'interno del quale l'adolescente vive quel fenomeno già studiato in passato dell'egocentrismo
adolescenziale: il giovane si trova in un palcoscenico dove mette in scena la propria favola personale,
però non esiste un pubblico immaginario come in passato, oggi il pubblico è reale. Tutto questo può
essere positivo per gli adolescenti quando si tratta di creare la propria identità, tuttavia il rischio è quello
di essere legati troppo alla considerazione del giudizio altrui. Un ulteriore rischio è quello di creare la
propria identità a partire dal numero di like che vengono espressi su Facebook o su Instagram, dove a
creare la personalità del giovane è sicuramente il pensiero comune veicolato da questi strumenti: ad
esempio, si dà sempre più peso all'immagine esteriore, la quale si costruisce su determinati canoni, come
ad esempio la magrezza, la muscolatura, la perfetta forma fisica.

4. Affrontare le sfide educative: quali strumenti?


Da quanto detto sinora si comprende che la sfida a diventare genitori nel mondo attuale è molto ardua.
Tuttavia, i ricercatori offrono alcuni strumenti ai genitori per fare in modo che questa sfida possa essere
portata a termine con il migliore dei risultati. Uno di questi strumenti è sicuramente il modello della
cogenitorialità, dove madre e padre collaborano reciprocamente per la crescita del bambino. Inoltre sono
importanti gli stili genitoriali e i ricercatori hanno definito alcuni pattern di questi stili genitoriali.
Sicuramente è necessario avere nei confronti dei figli un atteggiamento di cura e responsività, ma anche
un atteggiamento di supervisione. I genitori devono essere per i figli quel porto sicuro che gli dia certezza
affettiva ma anche capacità di entrare all'interno della società; i genitori si assumono il compito di una
crescita sana e funzionale dei figli rendendoli sempre più competenti autonomi per vivere nell'ambiente
esterno. In questo caso uno degli strumenti più importanti e quello dell'ascolto dell'accoglienza, ossia la
narrazione delle emozioni e dei sentimenti che i figli possono esprimere verso i genitori. Da questo punto
di vista bisogna superare il tradizionale doppio standard educativo, secondo cui solo alle figlie femmine
e possibile parlare di questioni che riguardano emozioni sentimenti: i bambini devono essere cresciuti
allo stesso modo, maschi e femmine hanno bisogno di riconoscere le proprie emozioni e di avere una
guida per saperle gestire.
In questo senso, uno strumento è fondamentale è quello della narrazione. I ricercatori hanno rilevato
che nel caso di esperienze negative il genitore e il bambino utilizzano un vocabolario molto più emotivo,
diventano più profonde le riflessioni in merito a quell'evento negativo, cercando così di risanare
un'affettività negativa. Al contrario, quando si tratta di parlare di eventi positivi, il linguaggio non usa
parole emotive, diventa meno riflessiva e meno complessa. Sia nell'uno che nell'altro caso la condivisione
delle emozioni e fondamentale per creare unione sintonia tra genitore figlio, e aiuta il bambino a crescere
all'interno di una storia coerente. La narrazione condivisa, dunque, diventa uno strumento efficace per
creare l'unione tra il genitore e il figlio: se il genitore manifesta questo suo desiderio di aprirsi al figlio
con le sue narrazioni, ben presto il figlio si troverà a suo agio e aprirà il dialogo con il genitore, un
passaggio fondamentale soprattutto in età adolescenziale, poiché è questo il periodo in cui si costruisce
l'identità. I genitori così diventano degli ascoltatori empatici, capaci di costruire insieme loro figli una
narrazione coerente ed efficace che sia capace di dare un'identità forte al soggetto.
CAPITOLO 9: SERVIZI EDUCATIVI PER LA PRIMA INFANZIA

1. La storia
L'origine dell'asilo nido in Italia è fatta risalire all'OMNI (Opera Nazionale Maternità e Infanzia), voluta
dal regime fascista nel 1925. Quest'istituzione si occupava di asilo nido e consultori per arrestare la
mortalità infantile, infatti il loro ruolo era igienico-sanitario, senza dare attenzioni alle necessità educative
dei bambini. Negli anni 60 e negli anni 70 la gestione degli asili nido passò ai comuni, attraverso la legge
1044/1971, al fine di dare un servizio di accudimento per le madri lavoratrici e di riconoscere il valore
dell'infanzia. Da questo momento in poi gli asili nido verranno gestiti dal Comune con una quota di
iscrizione a carico delle famiglie.
In questo stesso periodo veniva divulgata la teoria sull'attaccamento e molti psicologi pensavano che,
per avere delle conseguenze positive nello sviluppo del bambino, la relazione con la madre non doveva
essere interrotta. Vengono prodotti moltissimi studi anche in Italia che favoriscono la riflessione
sull'attaccamento, la quale riflessione si traduce in un'attenzione al momento dell'inserimento all'interno
degli asili nido, un momento in cui è necessaria la presenza della madre accanto bambino per introdurlo
in questo nuovo spazio di vita e per favorire la costruzione di nuove relazioni di fiducia con la nuova
educatrice. L'educatrice, però, non deve sostituire la madre, ma favorisce una integrazione di quelli che
sono i ruoli della famiglia e soprattutto della madre. L'idea è quella di creare un ambiente, l'asilo nido,
che possa offrire un contesto di gioco e di relazione al bambino pari a quello familiare. Con la legge
107/2015 gli asili nido hanno il riconoscimento della funzione educativa nei confronti del bambino: si
tratta di un'istituzione in piena continuità con la scuola dell'infanzia, all'interno della quale vige un
sistema integrato di educazione ed istruzione per le bambine e per i bambini fino a sei anni di età.

2. Cura ed educazione, la prospettiva europea


Ad occuparsi dell'educazione della crescita dei bambini ci pensa anche la comunità europea con il termine
Early Child Education and Care, fornendo una regolamentazione dell'educazione e della cura dei
bambini in età prescolare. Non importa che si tratti di enti privati o pubblici, con questa regolamentazione
vengono gestite tutte le attività che riguardano l'educazione del bambino fuori dal nucleo familiare e
all'interno di queste istituzioni educative. Quello dell'unione europea è un investimento sociale sui
bambini, grazie al quale la condivisione di uno spazio con altri bambini e con gli educatori riduce le
disuguaglianze e si affermano i diritti dei bambini. L'Unione europea stabilisce dei punti fondamentali:
• il servizio deve essere accessibile e di inclusione, ossia la possibilità deve essere data alla più ampia
parte delle famiglie, proponendo delle offerte inclusive e non esclusive;
• fondamentale diventa la qualificazione delle educatrici e dei professionisti che operano nei servizi;
• deve essere sviluppato un curriculum che faccia raggiungere il bambino quegli scopi di sviluppo
favorevole la sua crescita;
• deve esserci un attento monitoraggio;
• la disponibilità di risorse supporto dalle scelte politiche sui servizi, ossia per rendere questi servizi
accessibili a tutti le politiche nazionali devono entrare in relazione con le politiche europee. Grazie
all'intervento della comunità europea si è cercato di dare un'offerta qualitativamente adeguate per la
educazione dei bambini, grazie ha dei servizi che vengono gestiti per quanto riguarda la struttura,
l'organizzazione, formazione del personale e l'inclusione delle famiglie.

3. Gli effetti delle cure extrafamiliari


Anche se le madri hanno un'attività lavorativa che non permette loro di dedicarsi costantemente
l'educazione del figlio, alcuni studi condotti negli Stati Uniti d'America hanno rilevato che non ci sono
rischi per i bambini che frequentano servizi educativi per l'infanzia, soprattutto se questi servizi sono di
buona qualità. Se da un lato il bambino acquisisce un'educazione stabile sicura da parte dei genitori,
l'educazione che viene data dai servizi educativi per l'infanzia non è da meno.
In Italia sono stati condotti degli studi secondo i quali gli asili nido rappresentano un fattore di
protezione per i bambini: là dove vi sono delle disuguaglianze di tipo socioeconomico all'interno della
società, gli asili nido cercano di appianare queste disuguaglianze, trattando i bambini tutti alla stessa
maniera.

4. Cosa ci dice la psicologia?


Vedendo aumentare il ricorso alle strutture educative per la prima infanzia, anche il nostro paese ha
iniziato a produrre delle ricerche sui progetti educativi che possono essere utilizzato all'interno di queste
strutture, e i contributi che la psicologia può dare nei servizi per i piccolissimi sono davvero molteplici.
L'attaccamento e la relazione professionale con il bambino. Uno degli elementi fondamentali e quello
dell'inserimento, attraverso il quale viene superata quella diffidenza che magari molti genitori avevano
nei confronti degli asili nido, perché possibili responsabili di un impoverimento dei legami familiari. La
prima azione da muovere quando un bambino entri un asilo nido e quella di dare attenzione ai momenti
di routine, alla scelta di una figura di riferimento che può fungere da base sicura all'interno del nuovo
ambiente. Nello stesso tempo è necessario che si venga a creare una relazione solida tra i genitori e le
educatrici, la quale diventa il sostegno al ruolo genitoriale.
Da alcuni studi è emerso che i bambini producono un attaccamento l'educatrice pari all'attaccamento che
si potrebbe avere nei confronti del genitore. Questo attaccamento risulta essere sicuro, e conferma che il
pattern di attaccamento non è qualcosa di individuale, ma di relazionale. Il ruolo dell'educatrice diventa
quello di maternage professionale, ossia di supporto alla maternità vera e propria. Da un punto di vista
evoluzionistico è stato studiato che l'homo sapiens è una delle pochissime specie di mammiferi che
pratica l'allogenitorialità, ossia l'assistenza materna in senso ampio, riscontrabile quando un esemplare
femmina accudisce la prole di un altro esemplare femmina.
Per l'uomo, l'allogenitorialità deve esserci, ma deve rispondere ad alcune caratteristiche: ad esempio
l'educatrice deve riuscire a dare certezza di saper accudire il cucciolo, deve manifestare il suo genere
femminile, soprattutto deve evitare un eccessivo coinvolgimento emotivo nei confronti del piccolo per
non rischiare di entrare in collisione con la figura genitoriale delle proprie. È importante far comprendere
al bambino che la figura dell'educatrice è una figura a termine, e che il suo sviluppo la sua sicurezza
passano sempre dai genitori.
L'importanza dell'esperienza del nido come stimolo allo sviluppo. Da un punto di vista neuroscientifico,
l'esperienza del nido risulta essere importante è fondamentale per lo sviluppo del bambino, in quanto
proprio nel primo anno di età accade lo sviluppo della maggior parte delle connessioni neurali. Dunque
questo diventa un periodo in cui il bambino deve avere molte cure, deve incontrare un ambiente ricco e
cognitivamente stimolante che possa favorire il suo sviluppo, e gli asili nido sembrano rispondere a
queste esigenze, laddove la madre non è presente.
La relazione fra pari. Il nido per i bambini rappresenta anche il luogo in cui poter realizzare la prima
interazione tra pari in età precoce. Ovviamente, quando un bambino viene cresciuto dalla madre, in
situazioni tradizionali, il confronto con i propri pari viene meno; invece, i servizi per l'infanzia sembrano
favorire questo rapporto, anche se ancora oggi sappiamo poco sull’interazione dei bambini tra di loro.

5. L'osservazione come strumento professionale


Ancora una volta la psicologia fornisce degli strumenti utili alle educatrici dei servizi per l'infanzia al
fine di dare una educazione quanto migliore possibile al bambino. Lo strumento che deve essere
prediletto e sicuramente quello dell'osservazione: osservare il bambino vuol dire conosce, vuol dire
apprezzarne lo sviluppo e proporre a lui esperienze ricche adeguate alla sua crescita. Inoltre, attraverso
l'osservazione del bambino, l'educatrice può riflettere sul proprio operato, una componente essenziale
per migliorare la qualità del servizio.
Occorre però fare differenza tra quell'osservazione che l'educatrice da come vigilanza, ossia
un'attenzione costante al gioco del bambino, finché tutto prosegua nel modo migliore, e l'osservazione
sistematica, la quale riguarda il prestare attenzione in maniera più profonda al bambino, in modo da
accorgersi se la sua crescita si realizza in maniera positiva oppure no. L'osservazione sistematica deve
essere condotta con uno degli strumenti che gli esseri umani hanno a disposizione, ossia la selezione. Noi
sappiamo che quando avviene un atto percettivo non tutto possiamo osservare, dunque molte cose
potrebbero sfuggire. Nel caso dell'osservazione sistematica, l'osservazione non deve essere di tipo
casuale, ma si deve fare attenzione a un determinato comportamento del bambino, sia durante la veglia
che durante il sonno. Affinché l'osservazione sia efficace e veritiera, occorre un gruppo di lavoro coeso,
che sappia evitare le interpretazioni precipitose, realizzando delle osservazioni che siano quanto più
oggettive possibili (può succedere che un’educatrice si affezioni esageratamente ad un bambino, e quindi
non sarebbe più oggettiva).
CAPITOLO 10: LE TECNOLOGIE DELL'INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE A
SCUOLA

1. Ricostruzione storica dell'implementazione delle tecnologie dell'informazione e della


comunicazione nella scuola.
Con l'acronimo TIC, ci riferiamo alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, ossia ai
metodi alle tecnologie, via Web e digitali, che vengono utilizzati all'interno delle scuole. Negli ultimi
anni le classi italiane sono state dotate della LIM (lavagna interattiva multimediale), di ambienti virtuale
di apprendimento, di giochi educativi computerizzati e di metodi di insegnamento via Internet, possibili
da raggiungere anche la casa, poiché le famiglie italiane posseggono Internet nelle loro case.
Grazie all'apporto della tecnologia, diversi ricercatori sottolineano la necessità di compiere il passaggio
dall'istruzione tradizionale ad una istruzione che vede allo studente come partecipante attivo della
lezione, che sappia collaborare e condividere le informazioni, proprio attraverso questi strumenti
interattivi. Tuttavia, sebbene molti educatori abbiano scelto di utilizzare le tecnologie dell'informazione
della comunicazione, le domande sull'efficacia di questi strumenti risultano essere ancora tante.
Sicuramente grazie all'utilizzo dei computer sono state diversificate le strategie di insegnamento, poiché
adesso è lo studente a controllare il proprio apprendimento attraverso il computer. L'utilizzo delle TIC,
poi, può modificare la natura delle materie, il tipo di domande il tipo di risposta, e i modi in cui si può
aggiungere la conoscenza.
La scienza riconosce che da un punto di vista cognitivo le TIC migliorerebbero i processi di
memorizzazione e renderebbero interattivo l'insegnamento facendo collaborare gli studenti tra di loro, e
quindi aumentando la produttività della classe. Creare degli ambienti di apprendimento attivi, significa
incoraggiare lo sviluppo negli studenti di alcune competenze, come ad esempio il pensiero critico e il
problem solving; materie come la matematica o le lingue vengono adesso supportate dall'informatica e
tutto diventa più collaborativo, più interattivo, possono essere creati degli ambienti sperimentali e dei
laboratori che coinvolgono anche emotivamente lo studente. A tal proposito sappiamo che un
coinvolgimento emotivo del soggetto migliora la capacità cognitiva e l'apprendimento.
Nonostante le tecnologie all'interno delle scuole si stiano sempre più diffondendo, bisogna riconoscere
che questa diffusione non avviene omogeneamente in tutto il territorio, anzi vi sono alcune zone in cui
la reale conversione alla tecnologia da parte delle scuole non è ancora avvenuta. Tuttavia sono stati fatti
alcuni studi a livello europeo nel 2011 che rilevano il grado di attenzione elevato a livello di politiche di
finanziamenti nel rendere le scuole quanto più tecnologicamente avanzate possibile, in modo che gli
studenti e gli insegnanti possono sempre più entrare in confidenza con le modalità didattiche digitali.
Fondamentale, livello tecnologico, è stata l'introduzione dei dispositivi mobili come i tablet, i quali,
grazie alla connessione Internet ormai in tutte le scuole, facilitano l'apprendimento e rendono le elezioni
sempre più interattive. Grazie dispositivi mobili l'apprendimento viene contestualizzato, personalizzato,
e sganciato dalle restrizioni temporali o dai limiti ambientali; discipline quali la scienza, la matematica,
storia, l'arte possono essere comunicate attraverso l'intreccio di spiegazione e utilizzo dei dispositivi
mobili. Inoltre è emerso che l'utilizzo del tablet da parte dei ragazzi favorisce l'apprendimento auto diretto
e la personalizzazione del dispositivo contribuisce alla motivazione degli studenti allo studio.
Uno studio del 2004 individua quattro approcci teorici collegate l'apprendimento attraverso i dispositivi
mobili:
• L'apprendimento comportamentale, utilizzato per presentare il materiale e ottenere dei
feedback da parte degli studenti;
• l'apprendimento costruttivista, secondo il quale gli studenti vengono incoraggiati a ricercare
in prima persona le conoscenze e gli ambienti di apprendimento;
• l'apprendimento situato, il quale considera la conoscenza come un'attività che deve essere
presentata in contesti autentici reali e gli studenti devono partecipare come comunità;
• l'apprendimento collaborativo, secondo il quale la conoscenza viene favorita dalla
collaborazione tra gli studenti.
Certamente con l'introduzione dei dispositivi mobili si è creato un modello di apprendimento più
flessibile, all'interno del quale docenti e studenti interagiscono e promuovono le informazioni; tuttavia,
per evitare che le tecnologie possano complicare i processi di apprendimento, è stato proposto da alcuni
ricercatori di integrare l'utilizzo dei dispositivi mobili con le strategie di apprendimento tradizionali.

2. Implicazioni delle TIC nei setting formativi e sull'apprendimento


Nuove strategie educative e didattiche. Come abbiamo già accennato, il dibattito sull'utilizzo delle TIC
è ancora aperto e non tutti sono convinti che la tecnologia possa effettivamente potenziare
l'apprendimento degli studenti. Ad esempio negli anni 80 Richard Clark ha sostenuto che l'utilizzo della
tecnologia nei processi di apprendimento non avrebbe cambiato assolutamente nulla nella formazione
degli studenti. Tuttavia la differenza che sottolinea lo psicologo non è nel semplice utilizzo delle
tecnologie, quanto nei progetti educativi e pedagogici. Dall'altro lato, molti ricercatori sostengono che vi
è un efficace contributo all'apprendimento che i dispositivi tecnologici riescono a dare agli studenti.
Ancora oggi la questione è aperta e le ricerche svolte non portano a nulla di definitivo, e nei casi migliori
è stato evidenziato un effetto positivo che va dal piccolo al moderato in favore dell'utilizzo delle
tecnologie nelle situazioni di apprendimento. Sulla scia di quanto ha detto Clark, altri studiosi sostengono
che l'utilizzo delle tecnologie porta a una varietà di modalità, strumenti strategie per l'apprendimento, e
ne consegue che questi dispositivi aiutano insegnanti e studenti al raggiungimento degli obiettivi, ma non
è certo che possano intensificare l'apprendimento. Uno studio condotto nel 2017 ha rilevato che l'utilizzo
delle TIC ha portato ad un generale miglioramento dell'apprendimento e nello sviluppo delle competenze
di base, ma ancora la pedagogia non si è espressa in modo scientifico sull'apporto positivo delle
tecnologie all'interno dell'apprendimento. Fra le principali variabili che i ricercatori considerano per
studiare il fenomeno delle tecnologie a scuola vi è sicuramente quello dell'ordine di scuola: è emerso
che negli istituti dei primi anni di scuola i risultati risultano essere migliori rispetto agli ultimi anni di
scuola, nell'introduzione delle tecnologie. Un'altra variabile è quella del setting più o meno formale in
cui vengono utilizzate le tecnologie: è emerso che l'utilizzo delle tecnologie nei contesti informali risulta
essere migliorativo dell'apprendimento, oppure un utilizzo delle tecnologie nell'ambiente formale
(classe) però svolto nel breve termine porta anche a dei miglioramenti dell'apprendimento.
Infine l'ultima variabile è quella della materia: in questo caso l'utilizzo dei dispositivi tecnologici
favorisce di più l'apprendimento delle materie scientifiche rispetto a quelle umanistiche; ma il tutto deve
essere sempre relazionato all'ordine di scuola, alla durata dell'intervento, il dispositivo utilizzato, e alla
strategia didattica messa in atto, tanto che non si può ancora arrivare a conclusioni coerenti univoche.
Nuovi insegnanti. Fondamentale per la diffusione delle tecnologie nelle scuole e sicuramente il rapporto
che gli insegnanti hanno con le tecnologie stesse. Infatti, un dato da non sottovalutare è quello relativo a
tutti quegli insegnanti che non accettano l'utilizzo delle TIC e inevitabilmente lo trasferiscono agli
studenti. A tal proposito è stato possibile distinguere due tipologie di insegnanti:
• coloro che hanno un approccio costruttivista, e utilizzano le tecnologie concentrandosi sullo
studente;
• coloro che hanno un approccio comportamentale, e utilizzano delle metodologie didattiche più
direttive.
L'utilizzo delle TIC all'interno delle classi è in gran parte sottoposto alla familiarità che gli insegnanti
hanno con le nuove tecnologie. Alcuni studi hanno rilevato che non esiste un vero utilizzo didattico dei
dispositivi mobili, ma il più delle volte si tratta semplicemente di trasformare i contenuti tradizionali in
contenuti digitali. Equipes pedagogisti hanno sottolineato che bisogna agire nella dimensione
dell'impegno che gli insegnanti pongono nell'utilizzo delle nuove tecnologie: non è favorevole accettare
le tecnologie in maniera passiva e acritica, ma occorrerebbe condurre gli studenti a nuove relazioni sociali
proprio attraverso l'utilizzo di questi dispositivi.
Nuovi studenti. Certamente nelle scuole è entrata una nuova generazione di studenti che è cresciuta con
le nuove tecnologie e che ha fatto della tecnologia una parte integrante della propria vita. Sono questi i
cosiddetti nativi digitali, i quali presenterebbero, secondo alcuni studiosi, delle caratteristiche distintive
riguarda le competenze tecnologiche. E sono proprio queste competenze che permettono ai nuovi studenti
di avere migliori competenze e performance cognitive. Non tutti gli studiosi sono però d'accordo: alcuni
sostengono che i nuovi studenti non hanno più la capacità di condurre uno studio approfondito e
produttivo, altri sostengono che se gli studenti non giungono a questi risultati la responsabilità è
principalmente degli educatori e non dei dispositivi tecnologici. Certamente vedere i giovani essere così
vicini alle nuove tecnologie non può che portare ad una scuola che deve aprirsi a queste novità, altrimenti
rischierebbe di creare alienazione all'interno dei giovani. D'altrocanto però non sono emersi dati
omogenei, ma risulta un quadro molto variegato per quanto riguarda il rapporto tra apprendimento e
nuove tecnologie, un quadro legato soprattutto ai fattori socioculturali ed economici della popolazione.
Dagli studi è emerso che si possono avere due diverse accezioni della competenza digitale: da un lato
per competenza digitale si può intendere la capacità dei ragazzi di svolgere passivamente e acriticamente
alcune delle funzioni più importanti dei computer (mail, social network, Internet), allora in questo caso
gli studenti risultano essere capace di grande competenza digitale; se invece per competenza digitale si
intende un aumento sensibile della capacità cognitiva di ordine superiore e anche l'accrescimento delle
capacità creative, allora lo scenario si fa molto diverso.

3. Ruolo dell'atteggiamento verso le TIC sull'efficacia del loro utilizzo


In merito all'utilizzo delle tecnologie all'interno della scuola, un elemento fondamentale è sicuramente
l'atteggiamento che sia nei confronti della tecnologia stessa. A tal proposito sono stati realizzati quattro
modelli teorici.
La teoria dell'azione ragionata, secondo la quale una persona nell'adottare un certo comportamento
valuta l'intenzione, l'atteggiamento e le norme soggettive dell'utilizzo di quel comportamento.
La teoria del comportamento pianificato, considerando la fiducia che un individuo ha nel ritenere di
possedere le capacità necessarie per portare a termine un compito specifico.
Il modello di accettazione della tecnologia, il quale individua nell'utilità percepita e nella facilità d'uso
i due fattori fondamentali per determinare l'accettazione o meno da parte di una persona di una tecnologia
e la sua intenzione di adottarla.
La teoria unificata dell'accettazione e dell'uso della tecnologia, che utilizza le teorie precedenti e che
individua nelle aspettative di utilità, nelle aspettative di sforzo, dell'influenza sociale e nelle condizioni
facilitanti i fattori che maggiormente influiscono sull'accettazione e l'utilizzo di una nuova tecnologia.
Indipendentemente dal modello e dalla teoria utilizzata, ciò che emerge è che sia più capacità e voglia di
utilizzare una nuova tecnologia quanto più la si ritenga utile, facile da utilizzare e con dei risvolti sociali
chiari. Ovviamente tutto questo riflette moltissimo nell'attività che gli insegnanti svolgono all'interno
della classe, e molti ricercatori suggeriscono che per aumentare il livello di utilizzo delle tecnologie a
scuola occorre la formazione degli insegnanti: quanto più insegnanti verranno formati tanto più
aderiranno all'utilizzo di questi strumenti, perché riusciranno a padroneggiarli e a rendersi conto
dell'effettivo vantaggio pedagogico.
Un insegnante, affinché entri in contatto con la nuova tecnologia, deve innanzitutto sentirsi a proprio
agio e non utilizzare schemi critici e passivi nei confronti di questi dispositivi; deve rendersi conto quanto
gli altri desiderino e pensino importante sia una certa tecnologia; devono avere un supporto tecnico
adeguato e non pensare che le nuove tecnologie possono rallentare il loro lavoro.
Da questo capitolo è risultato che il dibattito sull'utilizzo delle tecnologie e sul loro apporto
all'apprendimento degli studenti è ancora aperto. Certamente studi significativi potranno essere fatti solo
quando le tecnologie verranno utilizzate all'interno delle classi in maniera omogenea, elemento che
ancora non è presente nella nostra scuola. È difficile ancora oggi sapere se l'utilizzo delle tecnologie a
scuola sia fondamentale o secondario, tuttavia quello che non possiamo dimenticare, come suggeriva
Clark, e che non dipende solo dal rapporto fra tecnologie pedagogia, ma tutto si gioca all'interno delle
strategie pedagogiche utilizzate.
CAPITOLO 11: CRESCERE NELL'ERA DEI NEW MEDIA

1. Evoluzione degli artefatti tecnologici e sviluppo umano


Lo sviluppo degli esseri umani è stato determinato in gran parte dall'utilizzo degli artefatti culturali,
ossia quegli strumenti e quei segni grazie ai quali comprendiamo come funziona l'ambiente circostante
e ci rendono più adatti a vivere in questo ambiente. Pensiamo ad esempio all'utilizzo dell'orologio: grazie
a questo artefatto, cioè a questo strumento, possiamo organizzare tutta la nostra vita, il lavoro, lo studio,
il tempo libero, inserendoci perfettamente all'interno della società in cui viviamo.
Non bisogna però pensare che gli artefatti culturali siano solo qualcosa di esterno che passivamente
potenzia le azioni umane. Gli artefatti culturali riescono invece attivamente a modificare il nostro
comportamento le nostre attività, e per comprendere tale dinamica dobbiamo rifarci al concetto
vygotskijano di zona di sviluppo prossimale, ossia quel potenziale di sviluppo che caratterizza i processi
cognitivi umani laddove l'individuo, anziché agire autonomamente, interagisce con un altro individuo,
lo supporto lo aiuta durante lo svolgimento delle attività. Ad esempio, Vygotskij pensò al linguaggio
come all'artefatto culturale che più di tutti riesce mediare lo sviluppo cognitivo umano. Si comprende
bene che il passaggio dal linguaggio come strumento per lo sviluppo umano agli artefatti tecnologici che
hanno lo stesso ruolo per l'uomo è molto breve. Infatti fu proprio un collaboratore di Vygotskij, Leont'ev,
a suggerire il concetto di organo funzionale: si tratta di quel concetto che favorisce l'integrazione tra
l'abilità umana e lo strumento che aumenta la prestazione; nel abilità nello strumento potrebbero garantire
l'aumento di prestazione, ma solo l'integrazione dei due elementi. Pensiamo ad esempio alle forbici che
permettono alle dita di diventare un organo tagliente; oppure agli occhiali, che compensano una carenza
umana e rendono possibile la prestazione.
Le attività umane che vengono avvantaggiate dagli artefatti tecnologici sono caratterizzate da un
individuo che persegue un obiettivo all'interno di una comunità di riferimento. Gli artefatti tecnologici,
in questo senso, possono influire su quattro specifici elementi:
1. L'interazione dell'individuo con la comunità
2. Le modalità in cui si agisce per raggiungere l'obiettivo
3. Le norme che regolano l'attività
4. I ruoli che caratterizzano le persone che partecipano all'attività.

A tal proposito si potrebbe fare un esempio. I ragazzi delle scuole medie di primo e secondo grado
svolgono i compiti a casa in maniera individuale, tuttavia condividono tra di loro attraverso i social
network i propri lavori. L'insegnante potrebbe intrecciarsi con questo nuovo modo di approcciarsi allo
svolgimento dei compiti scolastici: potrebbe proporre attività individuali e poi fare in modo che questa
attività vengono condivise la triste; potrebbe anche l'insegnante essere inserito in queste reti informali di
condivisione; si potrebbero utilizzare dei canali formali scolastici per far interagire l'intera classe in
maniera virtuale, ad esempio con le piattaforme che si trovano sul Web.
Certamente questi dispositivi si evolvono e cambiano in continuazione, e non solo gli insegnanti, ma
anche gli studenti, devono essere sempre pronti ad aggiornarsi sulle nuove evoluzioni della tecnologia;
basti pensare che, in ambito lavorativo e non, oggi vengono sempre più utilizzati i robot. L'aspetto
positivo di questa società basata anche sull'utilizzo della tecnologia e l'equilibrio dinamico che si è
venuto a creare: ogni qual volta le regole norme di questo sistema di attività umane intrecciate con le
nuove tecnologie vengono meno, allora sarà il sistema stesso a dotarsi di altre regole che possono
sostituire quelle non più efficaci: questa spinta viene definita apprendimento espansivo, ed è l'anima di
qualsiasi sistema di attività umano.
Questa spinta espansiva verso la rimodulazione delle norme del sistema tecnologico ha però dei rischi,
poiché l'intelligenza artificiale o il robot riescono ad adattarsi all'ambiente umano in maniera velocissima,
mentre gli esseri umani non hanno una velocità tale di adattamento e loro tempi risultano essere più
lunghi (basti pensare al film Lei in cui la intelligenza artificiale, scoperto che ci si può innamorare, si
innamora di tantissime altre persone contemporaneamente).

2. La funzione delle tecnologie digitali nello sviluppo umano


Sulle tecnologie digitali vengono condotti diversi studi, e molti ricercatori sono concordi nell'affermare
che quando la tecnologia e di supporto dell'attività umana, per raggiungere un obiettivo, allora questa
tecnologia e funzionale allo sviluppo. Si parla invece di strumentalità inversa quando l'obiettivo per cui
viene utilizzata si discosta dalla sua funzione originaria. Ogni strumento tecnologico, poi, a due
dimensioni diverse: quella del produttore, che assegna allo strumento determinate caratteristiche, e chi
lo utilizza, che invece immagine che lo strumento possa avere della caratteristiche che si legano alle
esigenze personali.
A tal proposito lo psicologo Norman ha mostrato due distinti modelli concettuali per il funzionamento
delle tecnologie:
• il modello progettuale, cioè il modello concettuale del progettista
• il modello dell'utente, cioè il modello mentale sviluppato dall'utente durante l'interazione con lo
strumento.
Certamente il progettista vuole dare una serie di strumenti per permettere lo svolgimento di determinate
attività dell'utente, il più delle volte queste due componenti si incrociano. Tuttavia può capitare che l'idea
che il progettista aveva dato il suo strumento tecnologico non viene colta dall'utente, il quale nel realizza
un uso completamente diverso. Ad esempio Facebook è stato progettato per creare un potenziamento
sociale, ma alcune persone lo utilizzano per compensare carenze e lacune che sento nella vita quotidiana;
in questo caso si passa dal potenziamento sociale che voleva il progettista alla compensazione sociale
che l'utente trova nel dispositivo. Dunque si comprende che molti supporti tecnologici vengono utilizzati
in un modo assolutamente diverso rispetto al modello progettuale: ad esempio potrebbero riscontrarsi nei
dispositivi tecnologici una funzione di crescita di autostima oppure una funzione di rivalsa sociale; o
ancora molti adolescenti potrebbero utilizzare i videogames per accrescere la propria autostima, oppure
per sfuggire alle critiche della società.
Se consideriamo ancora i social network, ad esempio Facebook, ci rendiamo conto che sono stati
realizzati per creare delle interazioni immediate superando le barriere spazio-temporali; tuttavia, molte
persone di utilizzano per sentirsi socialmente approvati, cercando di aumentare il loro livello di
autostima. In questo modo la funzione originaria della tecnologia è stata deviata su un'esigenza
secondaria, compensative rispetto alle carenze che si hanno nella vita quotidiana. Certamente le relazioni
on-line sono molto differente rispetto a quelle reali, poiché sono basate su proiezioni di desideri anziché
su dati oggettivi, per cui si possono generare delle aspettative che alcune volte non rispecchiano la reale
possibilità. Ad esempio quando noi comunichiamo attraverso Facebook dando un "mi piace", lo facciamo
in maniera molto superficiale perché comunque vi è una barriera invalicabile che proprio il dispositivo
stesso. In questo senso è stata formulata la teoria della giusta distanza nelle relazioni con gli altri, una
giusta distanza che può essere introdotta all'interno della comunicazione virtuale. Mentre nella
comunicazione diretta tutto diventa tempestivo e imprevedibile, nella comunicazione on-line tutto è più
gestibile, e possono essere utilizzate varie scuse che altrimenti non reggerebbero. Si era creare così una
sorta di paradosso: la comunicazione virtuale nasce per superare le barriere spazio-temporali, e invece
permette che queste barriere esistano ancora ma posto in maniera diversa, appunto la giusta distanza.

3. Rischi e potenzialità delle tecnologie digitali durante lo sviluppo


Per comprendere quanta importanza abbia la tecnologia digitale nello sviluppo di un soggetto possiamo
fare un esempio. All'interno di una famiglia in cui nessuno è un nativo digitale si viene a creare la
seguente situazione: l'adolescente (non nativo) esce con gli amici e rispetta tutte quelle regole che gli
vengono impartiti dai genitori; acquisisce una certa autonomia, una certa responsabilità, poiché sa che
deve tornare a casa un certo orario altrimenti andrà incontro a una punizione. Inoltre c'è qualcuno che lo
sta aspettando a casa e che è preoccupato per lui, e questo aumenta il legame con la famiglia nonché la
sua autostima.
Nel caso dei nativi digitali il legame con il genitore è permanente, poiché sia il figlio che il genitore
stanno continuamente davanti allo smartphone potendosi comunicare. Tutto questo non sempre ha
risvolti positivi nello sviluppo dell'adolescente. Innanzitutto un genitore che può sempre comunicare col
figlio in qualsiasi momento non permette l'accrescimento della responsabilizzazione e dell'autostima
dell'adolescente; in secondo luogo i genitori molte volte utilizzano i social network per controllare la vita
dei figli e invadere così lo spazio privato; infine non esiste più l'orario di rientro che responsabilizzato
gli adolescenti di una volta, poiché in qualsiasi momento il genitore può richiamare il figlio, facendo
diminuire l'autocontrollo degli adolescenti e la loro responsabilità.
Si comprende, allora, come nascano tantissime domande alle quali è molto difficile rispondere, domande
che riguardano il rapporto triadico tra genitori, Internet e figli. Ad esempio si potrebbe chiedere a quale
tale allo smartphone un bambino, quante ore dovrebbe passare connesso ai social, e soprattutto se è
opportuno controllare gli smartphone dei figli. Dal punto di vista legislativo, gli Stati cercano di creare
delle leggi che possano regolare questa triade, tuttavia l'evoluzione dei dispositivi digitali è talmente
veloce che le leggi fanno fatica a tenere il passo.

4. Rischi connessi all'utilizzo delle tecnologie digitali durante lo sviluppo


Riguardo al primo interrogativo circa l'età alla quale consegnarono smartphone, la psicologia pone una
domanda importante: non si chiede cosa la tecnologia può fare per un bambino o un adolescente, ma cosa
un bambino un adolescente può fare con quella tecnologia. Posta in questi termini la questione diventa
molto più complicata, poiché bisognerebbe affidare la tecnologia al bambino o alla adolescente seguendo
lo sviluppo della sua crescita: se un dispositivo tecnologico viene dato troppo in anticipo, questo potrebbe
o non essere utilizzato secondo lo scopo per cui stato progettato, addirittura essere dannoso.
Sulla base di questa distinzione allora potremmo dire che in un bambino della scuola primaria uno
smartphone è assolutamente inutile, mentre sarebbe molto più tablet, poiché attraverso il tablet e possibile
eseguire dei giochi interattivi, guardare video, guardare immagini, tutto con la guida dei genitori. In
questo senso si sta parlando di un utilizzo attivo del dispositivo, tanto che il bambino può costruire il
suo mondo esperienziale, in questo caso sia un utilizzo funzionale a suo sviluppo. Al contrario se si
svolge un utilizzo passivo del tablet, cioè solo perché i genitori hanno altro da fare lasciano il bambino
con il tablet, allora si viene a creare un utilizzo disfunzionale che può avere dei risvolti negativi:
• in primo luogo il bambino viene isolato e le potenzialità educative che può fornire la tecnologia
svaniscono;
• in secondo luogo il bambino non imparerà mai a gestire la frustrazione, determinato dal fatto di dover
attendere per poter giocare con i genitori;
• in terzo luogo il bambino non impara a gestire i momenti di attesa e la noia, fondamentali per lo sviluppo
della creatività.
Lo stesso vale per gli adolescenti che invece si trovano a confrontarsi con la realtà degli smartphone. Un
adolescente dentro lo smartphone a tutta la sua vita, per questo non accetta che il suo telefono possa
essere sequestrato, o ancor peggio se il telefono dovesse andare distrutto, resterebbe impietrito dallo
sgomento. Si pensi a tutti i contatti, ai social network, alle immagini, ai filmati, che sono all'interno di
uno smartphone: se un giovane non ha praticato il backup del dispositivo e il dispositivo dovrebbe andare
distrutto, in un attimo la sua vita da online passerebbe a offline.
Diversa è la vita condotta on-line, rispetto alla vita reale: al di qua dello schermo un adolescente deve
fare i conti, per esempio, con la propria autostima o con una percezione distorta della realtà causata
proprio dai dispositivi tecnologici, e non sempre l'atteggiamento che si vede nello schermo è quello della
persona che sta interagendo. Vi sono due elementi: la consapevolezza delle proprie azioni e una buona
rete relazionale offline. Se il soggetto vive delle carenze in questi due fattori, soprattutto per quanto
riguarda l'autostima e le relazioni sociali, è più portato a trovare soddisfazione e quindi a rifugiarsi nella
vita on-line, correndo il rischio di generale una dipendenza da Internet. Una tale dipendenza potrebbe
portare degli sconvolgimenti nella vita del soggetto, come ad esempio l'alterazione del ritmo circadiano
e il compromettere le attività scolastiche, il tempo libero e le relazioni.
Certamente bisogna creare delle regole che sappiano equilibrare il rapporto degli adolescenti con
l'utilizzo di Internet. Il controllo genitoriale non deve mancare, ma deve essere ben equilibrato per non
sfociare nella sfera privata che di sicuro non vuole essere violata. Se un genitore dovesse controllare la
vita privata del figlio, si potrebbe incorrere nel rischio di una mancanza di fiducia, che poi si
trasformerebbe in una mancanza di fiducia in se stesso in età adulta, con la conseguente perdita
dell'autostima. Ecco perché gli adolescenti preferiscono Instagram e Whatsapp a Facebook, poiché i
primi due non sono più violabili.

5. Alcuna opportunità connesse all'utilizzo delle tecnologie digitali durante lo sviluppo


Un luogo comune vorrebbe che l'utilizzo dei dispositivi digitali farebbe aumentare il multitasking,
ovviamente questa è un'idea erronea, poiché il multitasking aumenta solo quando si eseguono delle
attività automatizzate che non richiedono un investimento cosciente dell'attenzione, invece quando si
opera con i dispositivi tecnologici vi è molta attenzione. Nei soggetti tra gli 8 e i 18 anni, si viene a creare
un fenomeno caratteristico delle nostre società: ogni attività tradizionale che i ragazzi compiono (come
ad esempio giocare a basket) viene intervallata da un continuo controllo della vita on-line. Siamo davanti
ad una sorta di civiltà ibrida, dove le attività tradizionali vengono intrecciate con il controllo costante
alla vita in rete.
Sono stati svolti degli esperimenti dai quali è emerso che l'utilizzo del tablet nei primi anni scolastici
migliore le abilità comunicative dei bambini, il loro livello di lettura, di scrittura e di abilità di calcolo.
Inoltre, per quanto riguarda l'adolescenza, alcuni studi hanno rivelato che l'utilizzo dei dispositivi
tecnologici favorisce gli spostamenti nuovi contesti (lavoro e università); inoltre l'utilizzo dei social
network permette di non muoversi al buio nel momento in cui si decide di fare qualche cambiamento
nella propria vita, poiché siamo sempre aggiornati sulle nuove informazioni. Grazie ai social network,
poi, si vengono a creare delle agenzie di presocializzazione e delle reti relazionali che permettono a chi
si sposta di trovare già in loco una grande quantità di contatti.
Non c'è dubbio che l'utilizzo dei social network allarga notevolmente il bacino di legami che un soggetto
può creare, e soprattutto nell'età dell'adolescenza questo implica un confronto continuo con le opinioni
degli altri che genera poi apertura mentale e creatività. L'efficacia della tecnologia nello sviluppo
cognitivo dei bambini è stata dimostrata da alcuni studi realizzati con l'utilizzo dei robot, i quali
interagiscono col soggetto; d'altronde si sa che nel futuro prossimo intelligenza artificiale e i robot
saranno presenti costantemente nella nostra vita quotidiana.
CAPITOLO 12: FATTORI DI RISCHIO E DI PROTEZIONE NELLA GENITORIALITÀ
FRAGILE

Con il concetto di fragilità genitoriale si intendono quelle situazioni in cui i genitori presentano delle
difficoltà o delle sofferenze psichiche, difficoltà sociali ed educative, le quali possono sfociare in forme
di disagio cronico o in disadattamento, tutti elementi che potrebbero creare ostacolo allo sviluppo del
bambino. Il termine fragilità deve essere inteso come riferentesi sia a qualcuno di delicato e gracile, ma
anche a qualcuno che ha bisogno e richiede aiuto. Forme di fragilità genitoriale possono manifestarsi
attraverso azioni omissive o azioni con missive nei confronti dei figli: ad esempio genitori che
trascorrono i figli oppure che praticano violenza fisica, verbale e sessuale.

1. Bambini vittime di violenza


Quando parliamo di violenza, intendiamo tutte le forme di maltrattamento fisico ed emotivo, abuso
sessuale,, sfruttamento che provocano un danno reale o potenziale alla salute, allo sviluppo e alla dignità
del bambino. Questi maltrattamenti possono venire dagli adulti, verso i quali bambini sono totalmente
indifesi, ma possono venire anche dai pari; in altre situazioni si può parlare addirittura di maltrattamenti
multipli, in quanto le azioni con missive e omissive di violenza non sono separabili, ma in molti casi
sono compresenti.
Nei vari paesi del mondo la prevalenza di violenza ai danni dell'infanzia è molto variabile, ciò che non è
variabile è invece l'effetto che la violenza può provocare nei bambini: ogni violenza può influire
negativamente a breve, medio e lungo termine sul processo di formazione del bambino sul suo sviluppo
cognitivo, emotivo, affettivo, sociali, morali, sessuale e comportamentale.
I bambini e gli adolescenti vittimizzati presentano sintomi di internalizzazione ed esternalizzazione, che
possono giungere livelli di gravità enorme, come ad esempio la depressione, l'ansia, i disturbi della
condotta e i disturbi alimentari, le difficoltà relazionali, abuso di sostanze, l'aggressività. Inoltre laddove
vi sono genitori fragili, non protettivi e violenti, i bambini cominciano a creare esagerati sentimenti di
paura e di pericolo che poi si riversano in una disorganizzazione del legame affettivo, tanto che può
essere distolto anche il legame di attaccamento con il genitore, formando dei modelli operativi interni
di tipo disorganizzato. Da sempre gli esseri umani si sono difesi dalla paura attraverso il legame con le
altre persone, un legame che diventa fondamentale nei confronti dei genitori. Infatti il genitore che
accudisce in modo positivo crea nel bambino dei sentimenti di sicurezza che allontanano le minacce i
pericoli, crea fiducia e speranza nel comportamento degli altri, crea fiducia nella sua capacità di
riconoscere i pericoli, e soprattutto crea un certo grado di sicurezza nei confronti dell'ambiente
circostante.
Quando nella vita di un soggetto vengono a mancare le esperienze protettive e si creano invece legami
affettivi disfunzionali che perdurano nel tempo, le conseguenze possono essere di due tipi:
• una iperregolazione del sistema di sicurezza e della paura, che porta il soggetto a creare delle relazioni
fredde distaccate, per paura di incorrere di nuovo nella delusione nel disagio;
• un'iporegolazione affettiva, che porta a espressioni di ansia, timore della separazione, possesso gelosia,
aggressività, tutti i segni della paura che un rapporto possa finire.
Non vanno sottovalutati gli effetti di stress cronico che condizione di perdurante violenza possono creare,
e neppure il trasformarsi delle condizioni familiari in relazione disfunzionali, che vedono coinvolti il
bambino e l'allevante. In questi casi gli effetti negativi si vedono soprattutto nella incapacità di auto
regolare le emozioni gli affetti e anche nell'incapacità di non saper dominare l'elaborazione delle
informazioni sociali, emotive e corporee.
La domanda che ci poniamo è se le esperienze precoci vissute in un clima di violenza possono
compromettere lo sviluppo futuro. Diciamo che questa domanda è mal posta, poiché non è tanto il pensare
che le esperienze precoci possono compromettere lo sviluppo futuro, quanto invece vedere se le
esperienze precoci negative si legano a delle esperienze mature anch'esse negative, in quel caso i traumi
che si vengono a creare alla psiche saranno perduranti. Invece, essendoci una continuità dei contesti di
crescita, si può pensare che delle esperienze precoci negative possono essere modificabili da esperienze
protettive che vengono fatte in età successiva. D'altronde, su questo tema si è espressa anche la
neuroscienza, specificando che nello sviluppo del soggetto avviene la formazione di nuove connessioni
sinaptiche anche in età adulta; senza contare che lo sviluppo cerebrale e l'ambiente si influenzano
vicendevolmente, quindi se una violenza ha corrotto lo sviluppo del bambino, questa corruzione non è
per sempre, perché si possono creare nuovi circuiti cerebrali.

2. Fattori di rischio e fattori protettivi


Lo sviluppo del bambino vede interconnessi tra di loro la vulnerabilità, i fattori di rischio e i fattori
protettivi. A tal proposito è stato inserito il concetto di pluralismo evolutivo e di percorsi multipli,
secondo i quali la normalità o la atipicità non possono essere determinabile a priori, poiché vengono
guidati da principi di multifinalità, ossia condizioni iniziali simili e funzionamenti iniziali simili possono
anche portare ad esiti diversi, e da principi di equifinalità, ossia che la condizioni iniziali diversi e da
funzionamenti iniziali diversi si può giungere ad esiti simili. In ogni caso i cambiamenti sono possibili
nelle diverse fasi di sviluppo e ci si affida al principio di canalizzazione, secondo il quale più a lungo un
individuo permane nel percorso disadattivo più diventa difficile recuperarne la traiettoria di sviluppo.
Attraverso il modello process-oriented e possibile comprendere il funzionamento psicologico del
bambino e l'insieme di tutte le sue risposte. Attraverso questo modello è possibile osservare il percorso
mentale del soggetto, dal momento della presentazione del compito fino alla sua conclusione, vedere
come segue il compito,Indipendentemente dal risultato dal punteggio quantitativo, capire la logica
dell'errore e le strategie che utilizza, rilevare gli aspetti emozionali, motivazionali e la consapevolezza.
In questo modo si vuole affermare che l'influenza negativa non arriva in maniera rettilinea attraversando
i fattori individuali-familiari-sociale, ma all'interno di ognuna di queste dimensioni si pongono fattori di
vita quotidiana. Tutto questo per dire che l'interconnessione tra fattori di rischio e fattori di protezione
non conducono ad esiti sempre uguali o facilmente prevedibili. Infatti, l'effetto di fattori di rischio
dipende dai cosiddetti mediatori, ossia tutti quei fattori che si possono interporre tra la vittima e colui che
compie la violenza, e tutti questi fattori possono influenzare o meno l'esito evolutivo.
In questi termini l'adattamento o il disadattamento non nascono da singole esperienze o da singoli
rapporti, ma la capacità di superare le difficoltà e gli ostacoli del soggetto dipende dalla forza di fattori
multipli che entrano in contrasto con questi ostacoli. In questo caso questi fattori hanno un ruolo di
protezione e vengono chiamate capacità di resilienza. La resilienza permette di studiare le tre torri di
sviluppo di bambini che hanno superato molteplici ostacoli difficoltà durante la loro esistenza. In questo
modo si può studiare la capacità che hanno i bambini di rispondere in modo positivo alle richieste
dell'ambiente sociale, nonostante le loro condizioni oggettive sono di povertà, di aver subito traumi o
maltrattamento o di stress cronici. La ricerca in questo ambito fa riferimento alla resilience-as-a-process,
la quale sottolinea la dimensione dinamica e non statica della resilienza: fattori protettivi si amalgamano
e assumono forme di significato in relazione la fase di sviluppo, alla storia o agli eventi che interessano
il soggetto, solo in questo modo si può studiare il processo compensatorio che serve a promuovere
l'adattamento.
3. La resilienza in bambini a rischio
Con il concetto di resilienza è sovrapponibile a quello di adattamento positivo tipico delle classiche
teorie sullo sviluppo infantile. Tuttavia questo concetto può avere più definizione: ad esempio è stato
condotto uno studio su un gruppo di bambini afroamericani cresciuti in condizioni molto traumatiche,
che sembravano essere invincibili invulnerabili a situazioni di pericolosi danni e di enormi rischi. In
questo senso il termine resilienza è stato riformulato e include in sé una dimensione più dinamica, in
quanto viene evidenziata la non uniformità dell'adattamento positivo e il superamento degli ostacoli a
partire dai contesti relazionali e ambientali.
Così si comprende che lo sviluppo della resilienza non è uniforme in tutte le aree e non è uniforme
neppure nei diversi domini, quali quello emotivo, cognitivo e comportamentale. In altre parole, la
resilienza e più o meno sviluppata nei bambini che hanno avuto, ad esempio, presenza o assenza di
patologie, che sono stati vittime di violenza, che hanno avuto un buon rendimento scolastico, che sono
socialmente competenti, e così via.
Sono stati svolti moltissimi studi sulla resilienza: alcuni studi hanno confermato che le traiettorie
resilienti dall'infanzia alla tarda adolescenza confermano una certa stabilità nel tempo e il suo successo
in diverse aree di sviluppo. Da questa analisi sono risultati tre gruppi:
• i soggetti residenti cioè coloro che hanno competenze adeguate di adattamento nonostante i livelli di
avversità riscontrati durante la vita;
• i soggetti disadattati, che hanno basse competenze e numerose avversità;
• i soggetti competenti, che hanno adeguate competenze e livelli bassi di avversità.
Occorre anche sottolineare che le competenze intellettive sono molto importanti per le traiettorie di
resilienza, poiché capacità più elevate sono i fattori di contrasto più importanti dei comportamenti
antisociali.
Da altri studi è emerso che negli adolescenti che si avviano verso l'età adulta le competenze ad attive
sono più sviluppate, soprattutto perché molti fattori intervengono affinché queste competenze vengano
maggiorate. Nei bambini invece che vivono condizione familiare estrema, dove sono state praticate
violenza, svantaggio sociale, genitori depressi, tossicodipendenti alcolisti il funzionamento residente è
molto ridotto. I bambini socialmente svantaggiati sono quelli che sviluppano una resilienza minore, anche
rispetto i bambini maltrattati e ai bambini vittime di violenza nell'infanzia, i quali questi ultimi
raggiungono fino al 22% di resilienza in età adulta. Risulta chiaro che le sole caratteristiche individuali
dei bambini non sono sufficienti a spiegare un buon adattamento, il quale invece viene promosso
dall'integrazione con i fattori extrafamiliari, come ad esempio il supporto da parte degli insegnanti e dei
pari. Laddove invece i bambini vengono tolti alle famiglie che li maltrattano, vengono riscontrati buoni
livelli di resilienza, fino a 19%. Inoltre livelli elevati di monitoraggio supporto familiare uno scambio
continuo tra genitori e figli rappresentano uno dei principali fattori protettivi.
4. Protocollo sui fattori di rischio e di protezione nella valutazione della genitorialità fragile
Come sottolinea anche l'OMS, il modo migliore per ridurre la violenza contro i bambini e aumentare i
processi di resilienza e l'attuazione di interventi di contrasto alla violenza e alla trascuratezza. In questo
senso si sono mobilitati i ricercatori e le istituzioni per la valutazione del rischio, poiché riuscire a
individuare in che condizioni di rischio si trovano i bambini permette in modo accurato tempestivo di
sottrarli da relazioni disfunzionali, soprattutto se si tratta di negligenza, maltrattamento e violenza. Sono
i genitori dell'ambiente di crescita che determinano in maniera cruciale lo sviluppo del bambino, dunque
decidere quale strategia possa essere tutelente e protettiva e una priorità assoluta. Per questo motivo si è
pensato di elaborare un protocollo sui fattori di rischio di protezione per la valutazione della
genitorialità fragile. In questo modo si vuole operare in maniera concreta sui fattori protettivi e sulla
riduzione delle condizioni di rischio, inoltre si vuole intervenire a sostegno delle famiglie e dei bambini
in difficoltà, proteggendoli tutelandoli e allontanandoli soprattutto da quegli ambienti da quei genitori
che le possono danneggiare la crescita.
Attraverso il modello process-oriented, utilizzato dal Protocollo, si può comprendere a quali rischi
sottoposto lo sviluppo del bambino all'interno di un determinato contesto familiare ambientale, in quanto
si tratta di uno strumento di analisi per identificare gli elementi di allarme e dei fattori di rischio e dei
fattori protettivi. Affinché questo possa essere concretamente attuabile, bisogna tenere presente il grado
di vulnerabilità dei bambini che sono esposti a fattori di rischio, e soprattutto l'influenza benefica dei
fattori di protezione che si intrecciano con i fattori di rischio creando così delle dinamiche che si evolvono
e si modificano nel tempo.
Per fattori di rischio si intendono quelle circostanze quelle condizioni che possono danneggiare l'assetto
psicologico del genitore con conseguenze sullo sviluppo dei figli. Fondamentali sono anche i fattori di
rischio distali e prossimali, chiamati così in ragione della distanza o della continuità delle influenze che
essi esercitano nel quotidiano. Più nello specifico i fattori di rischio distali esercitano un'influenza
indiretta proprio perché distanti, ma diventano il sostrato su cui poi si innescano altri elementi più vicini
all'esperienza disfunzionale. Possono essere la povertà cronica, di basso livello di istruzione, la giovane
età della madre, la mono-genitorialità, l'aver subito abusi nell'infanzia, la sfiducia nelle istituzioni,
disinteresse per lo sviluppo del bambino; tutti questi elementi determinano una debolezza familiare che
crea poi forme di disagio psicologico sui figli, rendendoli fragili di fronte agli ostacoli esistenziali.
I fattori di rischio prossimali, invece, si esprimono direttamente nel quotidiano, e riguardano proprio le
relazioni, le pratiche educative e gli atteggiamenti del genitore all'interno del contesto familiare. Questi
fattori possono rappresentare un incremento della poca resilienza, ma anche un fattore positivo che
contribuisce a ridurre i fattori di rischio. Nel primo caso si parla di fattori prossimali di amplificazione
del rischio, i quali provengono dalla devianza sociale, dall'abuso di sostanze, dalla distruzione emotiva,
impulsività, ansia di separazione, gravidanza non voluta, conflittualità di coppia. Nel secondo caso
parliamo di fattori prossimali protettivi e di riduzione del rischio, si tratta di quegli elementi che entrano
in gioco riducendo i fattori di rischio e coincidono con condizioni esterne o delle capacità specifiche che
l'individuo possiede per far fronte agli ostacoli.
Il fattore protettivo, se viene adeguatamente utilizzato, contribuisce a mitigare le condizioni avverse,
modulando la traiettoria del rischio e contribuendo allo sviluppo di esiti adattivi. Si tratta di avere delle
capacità enfatiche, assumersi la responsabilità, il desiderio di migliorarsi, l'autonomia personale,
raggiungere un buon livello di responsabilità. Ad esempio una madre che ha un livello di scolarità molto
basso potrebbe essere un rischio per lo sviluppo di resilienza del bambino; tuttavia questo fattore distale
per diventare un fattore di rischio deve associarsi con un altro deficit, come ad esempio il conflitto con
il codice: se intrecciati insieme questi due fattori possono amplificare il disagio del bambino. Al
contrario, invece, una buona relazione con il coniuge potrebbe essere uno dei fattori protettivi che
colmerebbe una scarsa resilienza del bambino.
Un ultimo studio ha dimostrato che il maltrattamento fisico in una situazione familiare avviene più
frequentemente quando nei genitori, e in particolare la madre, sono stati vittime di maltrattamenti durante
l'infanzia o durante l'adolescenza; situazioni di questo genere possono associarsi ad altre condizioni di
rischio quali lo stress familiare, impulsività, e possono sfociare in aggressività o deficit attentivi nei
confronti dei figli.

5. Attendibilità del protocollo


A livello empirico il Protocollo è stato utilizzato in diversi studi e ha confermato la sua capacità di
discriminare tra famiglie basso rischio e famiglie ad alto rischio la rilevanza dei fattori distali, come la
carenza di relazioni interpersonali, esperienze di rifiuto, violenza o abuso subite nell'infanzia, basso
livello d'istruzione. Allo stesso modo sono stati discriminati anche i fattori prossimali di rischio, come la
psicopatologia dei genitori, abuso di alcol e di sostanze stupefacenti, impulsività e gravidanza
indesiderata.
Un altro studio condotto sulla base del Protocollo ha messo a confronto fattori di rischio nelle famiglie
italiane e fattori di rischio nelle famiglie immigrate: i fattori di rischio nelle famiglie immigrate
riguardano soprattutto la sfiducia nelle istituzioni e l'accettazione della violenza come pratica educativa;
invece le famiglie a basso rischio sono state caratterizzate da fattori protettivi, quali l'autonomia personale
e la capacità di gestire i conflitti.
In conclusione, possiamo dire che il Protocollo sui fattori di rischio e di protezione è uno strumento
utile per comprendere gli aspetti critici di rischio della genitorialità fragile e permettere in evidenza quali
rischi corrono i bambini.
CAPITOLO 13: LINGUAGGIO SCRITTO, SISTEMA DEL CALCOLO
E RAGIONAMENTO MATEMATICO

1. Le basi dell'apprendimento del linguaggio scritto


Nei bambini l'interesse per la lingua scritta per la lettura nasce ben prima dell'inizio della scuola primaria,
e si sviluppano nella stessa fase di sviluppo del linguaggio, dell'attenzione, della memoria, del controllo
della motricità fine e delle abilità visuo-percettive. Una componente fondamentale per lo sviluppo della
capacità di scrittura e di lettura è quella emotiva, in quanto il bambino si trova trasportato dalla lettura di
un libro da parte del genitore, ad esempio, oppure dal dimostrare i grandi che in grado di decodificare i
segni della scrittura.
certamente per il bambino imparare a scrivere e leggere è una sfida molto ardua e complessa, per poterla
studiare è stato introdotto il modello triangolare formulato (Seidenberg), il quale aiuta a comprendere
come dal linguaggio orale si passi al linguaggio scritto. La teoria di riferimento è quella connessionista,
e vengono utilizzate le reti neurali per poter comprendere il funzionamento del linguaggio scritto.
Innanzitutto si considera che il comportamento osservabile (output) sia il risultato di attivazioni-
inibizioni del sistema neurale, cioè le unità neurali si attivano allo stimolo esterno (input) insieme agli
apprendimenti pregressi, in modo che ad uno stimolo corrisponda sempre una risposta.
Ad esempio, se ad un bambino di otto mesi viene proposto il gioco con un oggetto sferico che rotola
rimbalza, e durante il gioco viene pronunciata continuamente la parola "palla", nel giro di qualche mese
il bambino sarà in grado di pronunciare quella parola e concettualizzarla. In questo modo il bambino è
stato in grado di realizzare un'associazione stabile attraverso l'attivazione di reti neurali i cui elementi
sono la rappresentazione semantica, ossia l'oggetto palla, e la rappresentazione fonetica, ossia la
sequenza di suoni che compongono la parola "palla", in modo che il bambino capisca di cosa si sta
parlando.
Quando poi lo stesso bambino giungerà alla scuola primaria, l'educatrice sarà in grado di fargli distingue
lettera per lettera la parola p-a-l-l-a, accrescendo le sue abilità metafonologiche (ossia la capacità di
riflettere sui suoni della propria lingua), cosicché il bambino sappia distinguere la parola "pala" dalla
parola "palo". Allo stesso tempo la maestra gli insegnerà ad abbinare i suoni a dei segni ortografici tipici
della sua lingua, dunque: cominceranno le prime associazioni tra i primi fonemi (sistema fonetico) e i
grafemi (sistema ortografico), fino a costruire all'interno della propria mente delle rappresentazioni
ortografiche all'interno delle quali vi è il significato (sistema semantico) delle parole o scritte.
INSERIRE MODELLO TIANGOLARE SEIDENBERG

Se l'apprendimento della lettura della scrittura avviene nello stesso periodo dello sviluppo psicomotorio,
cognitivo e linguistico, un elemento fondamentale di tale apprendimento è l'alfabetizzazione emergente,
ossia tutte quelle competenze e conoscenze su linguaggio scritto e parlato che il bambino ha appreso in
età prescolare. In questo caso si valutano la consapevolezza fonologica e la consapevolezza testuale,
nonché una conoscenza notazionale, ossia la capacità che il bambino ha avuto in età prescolare di
produrre dei segni grafici simili alla lingua di riferimento.
Stati elaborati dei modelli di lettura e di scrittura che non hanno solo una valenza teorica, ma servono
anche a comprendere i processi e i meccanismi che sono coinvolti nei disturbi specifici di apprendimento.

2. Lettura e scrittura: modelli a confronto


Uta Frith ha proposto un modello sequenziale, secondo il quale il bambino, già in possesso di alcune
competenze maturate in età prescolare, riesce ad apprendere il linguaggio scritto. La studiosa descrive
quattro fasi:
1. La fase logografica, in cui il bambino riesce a riconoscere parole molto brevi e con specifiche
caratteristiche percettive (mamma, sole, casa);
2. La fase alfabetica, in cui si apprende l'associazione grafema-fonema;
3. La fase ortografica, nella quale riesce a riconoscere sequenze di lettere che si riferiscono a parole;
4. La fase lessicale, in cui è in grado di dare un significato alla parola scritta.
In questo modello la psicologa sostiene che l'apprendimento della lingua parte da una reciproca influenza
tra la lettura e la scrittura.
Secondo la Grain-size theory, nelle lingue che hanno una elevata regolarità nella traduzione dei grafemi
in fonemi, come ad esempio l'italiano, si raggiungono ottimi livelli di correttezza e di velocità utilizzando
la sola procedura alfabetica di conversione grafema-fonema. Pertanto gli italiani che sono abili lettori
possono fare a meno di accedere ad altre rappresentazioni ortografiche. Tuttavia uno studio ha rilevato
che, sia in lettori adulti sia in bambini e ragazzi di età scolare, si raggiunge una buona velocità di lettura
in quelle parole più familiari che vengono lette maniera automatica, mentre la velocità diminuisce se si
tratta di parole meno utilizzate, dove occorre un processo di codifica più analitico e quindi più lento.
All'interno della lingua italiana, ad esempio, la sola traduzione fonema-grafema e grafema-fonema non
basta, occorre l'utilizzo delle rappresentazioni ortografiche. È il caso ad esempio della differenza tra la
parola cuoco e la parola quadro, della parola scienza e della parola conoscenza, laddove il bambino per
poter comprendere la differenza deve avere prima una rappresentazione ortografica.
Una serie di dati stata raccolta grazie all'utilizzo delle simulazioni computazionale, le quali sono riuscite
a riprodurre le complesse relazioni tra gli stimoli e le elaborazioni degli stessi stimoli. Uno dei modelli
di riferimento è il modello a due vie, inizialmente utilizzato a livello clinico sui pazienti adulti con lesioni
cerebrali, ma che poi è risultato utile anche in ambito evolutivo. Tutto inizia dalla analisi delle
caratteristiche visive delle lettere, cioè focalizzare l'attenzione sulle curve, le linee, orizzontali, oblique
verticali, che compongono le lettere, per poi passare all'identificazione delle lettere che sono presenti
dello stimolo. A questo punto il bambino opera in due modi diversi:
• compie una lettura più analitica, detta extralessicale, nella quale il bambino converte il singolo grafema
nel fonema corrispondente
• compie una lettura più sintetica, detta lessicale-diretta, nella quale il bambino riconosce l'intera parola
nella sua interezza (ad esempio, "palla").
La lettura extralessicale è necessaria per le parole meno frequenti oppure per leggere correttamente le
parole irregolari. Il modello due vie è stato utilizzato anche per spiegare il processo di scrittura, ritenendo
che lettura e scrittura coinvolgono gli stessi meccanismi e le stesse rappresentazioni della mente. Per
quanto riguarda la scrittura si può pensare che la prima conversione è quella tra fonema-grafema che,
nelle parole regolari, utilizza la procedura extralessicale; mentre nelle parole più ambigue come cuoco o
scena, viene utilizzato un lessico ortografico, che si rifà alla rappresentazione ortografica.

3. Traiettorie tipiche e atipiche nel processo di lettura e scrittura


Tutti i bambini iniziano a leggere utilizzando la via extralessicale, ossia concentrandosi lentamente e
sequenzialmente lettera sul lettera, per ogni lettera applicare la conversione grafema-fonema. Affinché
questa operazione avvenga in modo positivo, occorre che il bambino abbia già affinato la sua competenza
percettivo-uditiva, in modo che riesca a riconoscere i suoni sordi dai suoni sonori.
Attraverso il Voice Onset Time, un test sul riconoscimento sonoro delle parole, è emerso che alcuni
disturbi di bambini dislessici dipendono proprio dal modo che hanno di riconoscere a livello uditivo il
fonema un'altra è invece la teoria dell'elaborazione uditiva rapida, secondo la quale i bambini con
dislessia avrebbero difficoltà a differenziare tra suoni consonantici simili. Sulla questione della dislessia
esistono molte teorie non univoche tra loro, ad esempio un'altra teoria pensa che i bambini maturino la
dislessia perché non riescono a distinguere due suoni troppo ravvicinati tra di loro: viene emesso il suono
della lettera e poi un altro suono vicino, in questo caso il suono vicino maschera il suono della lettera.
Per altri ricercatori la dislessia invece dipende da meccanismi visuo-percettivi alterati, come non riuscire
a comprendere le simmetrie che ci sono all'interno delle lettere. Anche le tecniche di neuroimaging si
sono adoperate per comprendere il problema della dislessia, ed è emerso che nel riconoscimento della
simmetria delle lettere è interessata una specifica area corticale, la stessa che si attiva negli uomini adulti
analfabeti quando devono riconoscere configurazioni geometriche simmetriche.
Altre ricerche hanno rivelato che alcuni bambini hanno più difficoltà dei loro coetanei a elaborare
simultaneamente più lettere all'interno di una lingua trasparente come quella italiana, differenza dei loro
coetanei che invece leggono una lingua opaca come l'inglese (per trasparenza si intende la regolarità con
cui un grafema viene tradotto in fonema.
Alcuni ricercatori sostengono che la dislessia sia il risultato di una limitazione nello span visivo del
bambino e della incapacità a memorizzare un'ampia serie di lettere nello stesso momento. Altri invece
pensano che la dislessia provenga da una difficoltà a considerare la simultaneità delle lettere.
Alcuni studi italiani hanno fatto emergere che il problema della dislessia è legato ad una carenza dello
sviluppo tipico in tutti compiti di elaborazione di stringhe di lettere. Cioè, solo nel momento in cui ci si
trova davanti ha delle stringhe di lettere si osservano problemi dislessici, contrario, quando il bambino
viene posto davanti a una lettera o una coppia di lettere il problema si riduce significativamente. Tutto
farebbe pensare che il problema sta nella velocità di elaborazione della stringa di lettere. A tal proposito
è stata formulata l'ipotesi del doppio deficit, secondo la quale la maggior parte delle difficoltà di lettura
coinvolgono da un lato i processi fonologici di decodifica, dall'altro la scarsa velocità di lettura; i disturbi
più gravi caratterizzano entrambi gli aspetti (doppio deficit).
Si è compreso ormai che la letteratura scientifica sul problema della dislessia è molto ampia, tuttavia la
comunità scientifica ha raggiunto un buon grado di accordo nel riconoscere due forme di dislessia
evolutiva principali. La dislessia fonologica, che riguarda quei disturbi che rendono difficoltosa la
traduzione dal grafema al fonema. Nel bambino diventa particolarmente difficile la lettura di parole
nuove, di pseudoparole e di tutte quelle parole delle quali non ha una conoscenza pregressa. Si tratta di
un caso molto serio la poiché i bambini non riescono ad imparare le lingue straniere e non hanno né una
velocità né un'accuratezza sufficienti per affrontare gli apprendimenti scolastici. Le stesse difficoltà si
potranno notare nella produzione scritta, dove vengono riproposti numerosi errori fonetici (disortografia
fonologica).
Vi è poi la dislessia superficiale, la quale riguarda l'elaborazione delle stringhe di lettere come
configurazioni unitarie. In questo caso il bambino riesce a leggere la lettera ma avrà delle difficoltà
enormi a leggere l'intera parola, scrivendo con errori di accento, oppure non distinguendo le parole
ambigue (quoco, squola). A livello di scrittura, la dislessia superficiale si traduce in una disortografia
superficiale, ossia l'incapacità a scrivere correttamente alcune parole omografe (lago, l'ago; oppure al
pino, alpino).
Rispetto alla dislessia fonologica, nel caso della dislessia superficiale il bambino riesce comunque ad
apprendere e a giungere ad un miglioramento delle abilità di lettura e di scrittura. La ricerca propone
numerosi trattamenti riabilitativi, grazie anche al supporto degli strumenti digitali, è, sebbene il disturbo
non può essere eliminato del tutto, si possono comunque ridurre le conseguenze negative.

4. L'apprendimento matematico: un processo complesso


Ogni giorno nella nostra vita non utilizziamo i numeri, non solo a scuola, ma anche nella conduzione
della vita quotidiana i numeri coinvolgono una serie di abilità cognitive generali e specifiche che
permettono all'individuo di inserirsi perfettamente all'interno di un contesto sociale ed economico e di
adattarsi all'ambiente circostante. Quando parliamo di matematica, aritmetica o geometria, entriamo in
una dimensione molto complessa dell'apprendimento, che comincia con operazioni basilari, quali quello
della lettura e della scrittura dei numeri, fino ad acquisire delle abilità di base importanti, come il
conteggio, la comprensione, l'incolonnamento dei numeri, e il seguire alcune procedure nelle operazioni
di calcolo.
Nell'apprendimento matematico entrano in gioco dei precursori cognitivi, che sono di due tipi:
• dominio-specifici, come il senso del numero, ossia la capacità di riconoscere ed elaborare i numeri
simbolici, inducendo il bambino a sviluppare abilità di conteggio e di ordinamento;
• dominio-generali, che riguardano le aree cognitive interessate all'apprendimento della matematica,
come il livello intellettivo, la memoria di lavoro, la velocità di elaborazione.
I bambini possono presentare diverse difficoltà legate all'apprendimento della matematica e si è
ipotizzato l'esistenza di un modulo all'interno della mente; sicuramente però i disturbi dell'apprendimento
matematico sono legati a deficit molteplici ed eterogenei. Un disturbo come la discalculia, ossia la
compromissione del calcolo, può avere diversi livelli di criticità, e interessare diverse parti della mente,
come il concetto di numero, la memorizzazione dei numeri, l'incapacità ad effettuare un calcolo accurato
un ragionamento matematico corretto.
I dati più recenti rivelano cheil 5-7% della popolazione scolastica soffre di disturbi legati alle difficoltà
di calcolo, tuttavia solamente lo 0,5-1% può dirsi realmente affetto da disturbi dell'apprendimento
matematico, negli altri casi non si tratta di disturbo specifico del calcolo ma di casi di difficoltà
dell'apprendimento, facilmente migliorabili con adeguati interventi. Nell'ambito dei processi di
apprendimento entrano in gioco diversi fattori, quelli cognitivi, quelli emotivo-motivazionali e anche gli
aspetti socioculturali ed educativi.
Ad esempio, il disagio emotivo nell'apprendimento matematico è molto diffuso tra i bambini, in quanto
provano tensione, apprensione, paura, agitazione nella risoluzione dei problemi matematici. Dunque,
nell'apprendimento matematico risulta indispensabile avere un chiaro profilo cognitivo del bambino e
non trascurare mai gli aspetti emotivi, socioculturali ed educativi del soggetto.

4. Dal senso del numero al conteggio: le basi dell'apprendimento matematico


Il senso del numero è quel concetto utilizzato per indicare la capacità di percepire, di rappresentare e di
manipolare quantità numeriche. Per gli psicologi il senso del numero è una capacità innata, preverbale e
non simbolica, condivisa da uomini e da altre specie animali. Ad esempio quando ci troviamo in fila alla
cassa di un supermercato, con un colpo d'occhio riusciamo a capire qual è la fila meno lunga.
Esiste una capacità innata del nostro sistema cognitivo (Object Tracking System) che permette una
enumerazione rapida e accurata in piccole quantità di oggetti, e una capacità innata di rappresentarsi
approssimativamente e intuitivamente grandi quantità numeri (Approximate Number System). Entrambi
questi sistemi fanno parte del substrato cognitivo dell'intelligenza numerica innata. A tal proposito è stato
dimostrato da uno studio che i bambini già a partire dai 4-6 mesi reagiscono sensibilmente alla
numerosità. Un altro studio ha dimostrato che nei bambini di età compresa tra 5-6 mesi vi è già sviluppata
la capacità di dare attenzione ad operazioni aritmetiche semplici: il bambino si era abituato all'operazione
aritmetica 1 + 1=2, oppure all'operazione aritmetica 2-1=1. Dopo essersi abituato a questi eventi
numerici, il bambino è stato sottoposto a dei calcoli impossibili, come ad esempio 1 + 1=1 oppure 2-1=2:
in questo caso si è visto che il bambino si è soffermato molto di più con la sua attenzione nella
numerazione impossibile.
In una fase successiva il senso del numero innato del bambino si congiunge con gli aspetti culturali e
concettuali della matematica: da questo connubio nasce il conteggio. Sono cinque i principi che
riguardano il processo del conteggio:
1. Il principio dell'ordine stabile: le parole-numero che abbiamo bisogno per contare devono essere
ordinate secondo una sequenza fissa immodificabile;
2. Il principio della corrispondenza uno a uno, secondo la quale ogni parola-numero deve essere
collegata un solo oggetto che ci permette il conteggio;
3. Il principio della cardinalità, dove l'ultima parola utilizzate al conteggio definisce la numerosità
dell'insieme;
4. Il principio dell'astrazione, secondo cui qualsiasi insieme di elementi può essere contato a patto che
tutti gli elementi siano distinti e numerabili;
5. Il principio dell'irrilevanza dell'ordine: il conteggio può iniziare da qualsiasi elemento della serie.
A partire dai due anni i bambini riescono ad acquisire una corrispondenza biunivoca tra la parola e il
numero, riuscendo a nominare o a indicare numericamente le persone presenti in una stanza, ad esempio.
A tre anni i bambini non hanno ancora sviluppato il principio di cardinalità e credono che la parola
uniduetrequattrocinque, sia unica; solo a partire dei quattro anni, i bambini cominceranno a
comprendere il principio di cardinalità. Dopo cinque anni riescono a scrivere una riga numeri formato
arabico, cominciando ad acquisire una padronanza sempre maggiore di questo sistema.

6. Il sistema del calcolo: modelli esplicativi, strategie ed errori


Direttamente collegata con l'abilità di conteggio vi è la capacità di calcolo, cioè l'insieme dei processi
cognitivi che permettono di operare sui numeri attraverso operazioni aritmetiche. Dalla neuropsicologia
cognitiva sono stati elaborati tre modelli che descrivono i meccanismi cognitivi implicati nel sistema di
calcolo.
Il modello modulare di McCloskey. Si tratta di un modello che ha come nucleo la modularità del cervello,
all'interno del quale sono tre i moduli di elaborazione che si occupano del calcolo, partendo sempre da
una rappresentazione astratta della quantità.
Il primo modulo è il sistema deputato alla comprensione dei numeri, ossia la struttura superficiale dei
numeri e la loro rappresentazione verbale o grafica (input). Il secondo modulo è il sistema di produzione
dei numeri, ossia le risposte numeriche del bambino (output). All'interno del sistema di calcolo il
bambino elabora il numero in due modi: in modo lessicale, cioè prestando attenzione alle singole cifre o
parole numerali, e in modo sintattico, ossia comprendendo le regole di composizione e i rapporti tra le
varie cifre o le varie parole numerali. Il terzo modulo è il sistema di calcolo, che riguarda l'elaborazione
del calcolo attraverso i fatti aritmetici (operazioni elementari di base), i segni delle operazioni, le
procedure di calcolo (da quelle più semplici a quelle più complesse).
Sebbene il modello modulare sia stato utilizzato nella pratica clinica, non sono mancate delle critiche per
l'eccessiva semplificazione della spiegazione delle abilità numeriche.
Il modello del triplo codice. Secondo questo modello la nostra mente rappresenta i numeri in tre formati
diversi:
il codice verbale uditivo che organizza i numeri sintatticamente secondo le parole ascoltate; questo
codice utilizza le elaborazioni generali del linguaggio scritto e parlato, riproducendo i numeri come
parole-numeri;
il codice arabico visivo che rappresenta le stringhe di numeri; questo codice è specifico della notazione
araba e permette già la risoluzione di calcoli complessi;
il codice analogico di grandezza che rappresenta i numeri all'interno di una linea numerica mentale
ipotetica; questo codice si utilizza quando è necessario comprendere le grandezze e fare confronti
numerici. Questo modello è stato realizzato da Dehaene.
Il modello causale della discalculia. Rispetto al modello precedente, questo modello, realizzato da
Butterworth, pensa che a livello neurale le parti del cervello che sono deputate al calcolo solo molto di
più e hanno delle funzioni più complesse. All'interno del solco intraparietale avvengono due eventi
neurali: il giro fusiforme che è coinvolto nell'elaborazione spaziale dei numeri; e il giro angolare che è
coinvolto nel recupero di fatti numerici dalla memoria.
Secondo questo modello il calcolo matematico e il risultato della collaborazione delle livello cognitivo e
del livello comportamentale del soggetto. Inoltre, il bambino elabora innanzitutto i segni delle
operazioni, che sono indispensabili per comprendere i fatti aritmetici. Poi, nell'elaborazione del calcolo
il bambino utilizza due strategie: il recupero dei fatti aritmetici dalla memoria a lungo termine, i quali
gli fanno avere più velocità di calcolo, e l'applicazione di regole procedurali generiche e specifiche, la
cui applicazione varie rispetto all'età del bambino. In particolare, le regole procedurali permettono al
bambino sia di elaborare un calcolo a mente, attraverso la scomposizione in decine, sia il calcolo scritto
per organizzare informa grafica l'operazione e vedere, di fatto, se tutto le operazioni sono state compiute.
Notevole importanza ha anche l'analisi degli errori, la quale può essere divisa in quattro livelli diversi.
Il primo livello è quello degli errori nell'applicazione di procedure e strategie, ossia il bambino deve
riuscire ad applicare ad esempio le procedure che riguardano le quattro operazioni, cercando di mantenere
sempre quella stessa regola per quello stesso calcolo; il bambino inoltre deve mantenere una certa
continuità di ragionamento anche se si sta svolgendo l'operazione su un'altra serie di numeri.
Il secondo livello è quello degli errori nel mantenimento e nel recupero di procedure strategie, ossia
sono qui errori che si verificano quando ancora il bambino non padroneggia bene il calcolo, come quando
l'esempio viene sovraccaricato morì di lavoro e il bambino lupo teneramente grandi cifre.
Il terzo livello riguarda gli errori nel recupero dei fatti aritmetici dalla memoria a lungo termine, ossia
le conoscenze aritmetiche vengono recuperate da una serie di informazioni che sono racchiuse nella
memoria, come ad esempio la rete di cifre da 0 a 9 (nodi genitori) si attiva automaticamente nel conteggio.
Il quarto livello riguarda errori generati dalle componenti visuo-spaziali, che possono intaccare il
processo di risoluzione corretta dei calcoli matematici. Ad esempio un bambino può non riconoscere i
segni delle operazioni, può non organizzare spazialmente l'operazione (mettere in colonna) oppure non
applica bene dal punto di vista visuale le regole di prestito e riporto.

7. La capacità di soluzione dei problemi: il ruolo della memoria di lavoro, delle funzioni
esecutive e delle abilità metacognitive
Studiare l'apprendimento matematico non vuol dire soltanto focalizzare l'attenzione sul calcolo, ma anche
sulla soluzione dei problemi. Sia scuola che nella vita quotidiana abbiamo sempre bisogno di risolvere
problemi, ma in questo caso specifico si tratta di problemi matematici, la cui soluzione richiede
l'applicazione di una procedura matematica, come ad esempio le operazioni algebriche o aritmetiche. I
ricercatori hanno diviso il processo di soluzione di un problema in cinque fasi che coinvolgono diversi
processi cognitivi, generali o specifici, che sono necessari per giungere alla risoluzione del problema
matematico.
La comprensione del testo del problema, ossia le informazioni che vi sono contenute;
la rappresentazione delle informazioni attraverso uno schema coerente e unitario di tipo matematico;
la categorizzazione del problema, ossia individuare la categoria di appartenenza del problema;
la pianificazione, ossia individuare le operazioni necessarie, le strategie e gli obiettivi per giungere alla
soluzione;
La valutazione della correttezza della procedura applicata.
La soluzione di un problema matematico non coinvolge solamente le aree del cervello deputate
all'apprendimento matematico, ma coinvolge anche la memoria di lavoro le funzioni esecutive e le abilità
metacognitive.
Per quanto riguarda la memoria di lavoro, essa è deputata alla conservazione di informazioni che
riguardano i dati del problema e le operazioni che devono essere svolte per lo svolgimento del problema.
La memoria di lavoro è implicata in tutti i passaggi e deve essere in grado di mantenere disponibili tutte
le informazioni necessarie per la soluzione del problema.
Anche le funzioni esecutive, in particolare la capacità di aggiornamento e di inibizione delle
informazioni, risultano connesse alla soluzione del problema matematico. Per giungere alla soluzione il
bambino inserisce sempre delle nuove informazioni che aggiornano il suo procedimento, allora deve
scartare quelle superflue e irrilevanti e tenersi quelle importanti. Gli studi hanno rilevato che molti
bambino riescono a risolvere il problema matematico perché introducono informazioni non pertinenti
allo svolgimento dell'operazione. Ad esempio i bambini con disturbo di attenzione o di iperattività
riscontrano più difficoltà nel selezionare le informazioni appropriate allo svolgimento del calcolo.
Sono fondamentali anche le abilità metacognitive, le quali riguardano l'uso il controllo consapevole da
parte del soggetto delle proprie funzioni cognitive. Queste abilità riguardano la consapevolezza
metacognitiva, ossia la conoscenza del funzionamento della propria mente, sia i processi di controllo che
riguardano la guida che il bambino può dare a se stesso nell'applicazione di strumenti cognitivi per
giungere alla soluzione del problema.
Tra le abilità metacognitive, quelle più importanti sono la previsione, ossia prevedere il proprio livello
di prestazione in un determinato compito; la pianificazione, ossia la consapevolezza delle operazioni da
utilizzare; il monitoraggio, cioè riuscire a monitorare le proprie attività cognitive; la valutazione, ossia
valutare l'efficacia delle strategie utilizzate.

8. Traiettorie atipiche nello sviluppo dell'apprendimento matematico: verso una visione globale
e integrata
Oggi la necessità della psicologia e quella di avere una visione sempre più integrata dello sviluppo atipico
dell'apprendimento matematico, che non tenga conto solamente degli aspetti cognitivi di questo
apprendimento, ma anche dei fattori emotivo-motivazionali, dei fattori socioculturali e dei fattori
educativi. In tal senso Rubimsten ha proposto un inquadramento diagnostico che può servire sia dal
punto di vista teorico che dal punto di vista clinico. In particolare, questo inquadramento diagnostico
presuppone tre macrocategorie.
La prima corrisponde alla cosiddetta discalculia pura, ossia il disturbo primario del senso del numero e
della rappresentazione della quantità, caratterizzato da una persistente difficoltà nella capacità di
apprendimento, rappresentazione e di informazione del materiale. Di recente gli studiosi hanno ipotizzato
che questo disturbo non sia caratterizzato solo dal concetto di senso del numero, ma anche dalla
incapacità di elaborazione della durata temporale degli eventi, poiché gli eventi vengono sempre tempo
realizzati matematicamente. Diciamo che ad essere coinvolte in questo disturbo sono tutte quelle aree
della corteccia fronto-parietale che riguardano la misurazione e la grandezza.
La seconda corrisponde ad una classe di disturbi più ampia che interessa i disturbi dell'apprendimento
matematico, non associati ad altri disturbi dell'apprendimento. In questo caso il disturbo è legato alle
abilità cognitive dominio-specifiche, ma anche ad abilità cognitive più generali, come la memoria di
lavoro, e funzioni esecutive.
La terza riguarda i casi di comorbidità, in cui la discalculia si presenta in associazione con altri disturbi,
quali la dislessia, il deficit di attenzione, oppure la coordinazione motoria.
Anche i fattori ambientali, culturali e sociali contribuiscono ai disturbi dell'apprendimento matematico.

9. Possibilità di Training e intervento nei disturbi dell'apprendimento


Tutte queste teorie devono adesso trovare concreta applicazione in ambito educativo e riabilitativo, in
modo da poter intervenire sui disturbi dell'apprendimento. Da un punto di vista clinico è necessaria una
valutazione accurate approfondita delle diverse abilità del bambino, che evidenzi gli aspetti le
competenze maggiormente compromesse. In questo senso vengono utilizzati training computerizzati al
fine di potenziare l'apprendimento nei bambini sia con sviluppo tipico che con sviluppo atipico.
in questa concreta applicazione devono essere intrecciati insieme la riflessione metacognitiva, con la
quale il bambino può comprendere l'attività della propria mente, e la parte emotivo-motivazionale, dando
più attenzione agli ostacoli e i problemi che il bambino può incontrare nella lettura in classe e nella
risoluzione dei problemi matematici. È indispensabile il coinvolgimento attivo di genitori e insegnanti
per riuscire a strutturare un programma di intervento preventivo, formativo, di recupero e di
potenziamento.
CAPITOLO 14: SVILUPPO PSICOLOGICO E NUOVE DIPENDENZE SENZA SOSTANZE

In età adolescenziale i soggetti sono a rischio di dipendenza non solo nel coinvolgimento di sostanze
psicoattive, ma possono anche sviluppare delle dipendenze nei confronti di comportamenti. In questi casi
ciò che conta è riuscire a rifugiarsi da qualche parte, cercarono base sicura, cercare anche un senso
inesauribile di ricompensa per alleviare le ansie, le angosce e le frustrazioni. Dunque, quando si parla di
dipendenza lo si fa in due modi: dipendenza verso una sostanza, come alcol e droghe, e dipendenze
verso un comportamento, come l'Internet addiction, il gioco d'azzardo o la vigoressia.
Il concetto di addiction comportamentali viene spesso associato al concetto di nuove dipendenze, ossia
quelle dipendenze che vengono sviluppate nelle nuove forme di interazione della società, nelle nuove
possibilità di relazione, cercando nuovi modi di gratificazione istantanea e nuovi modi di sfuggire al
vuoto.
Tra le nuove dipendenze incontriamo innanzitutto la dipendenza da Internet, sviluppata soprattutto dagli
adolescenti, i quali restano sempre connessi per paura di perdersi. Legata alla dipendenza da Internet vi
è anche la vigoressia, ossia la ricerca continua di un fisico perfetto dovuto soprattutto ai messaggi che i
media mandano come modelli culturali ed estetici da dover emulare. Accanto a queste due dipendenze
vi è anche il gioco d'azzardo, anch'esso legato alla dipendenza da Internet, il quale riguarda la possibilità
di arricchirsi senza il minimo sforzo e facendolo in molti casi dalla stessa abitazione. Tutte e tre queste
addiction vengono sviluppate dal soggetto per ridurre gli stati d'ansia e di frustrazione, egli servono per
riuscire a mantenere un certo benessere personale ma anche per condurre relazioni sociali di un certo
tipo.
Queste nuove forme di dipendenza vengono anche definite come comportamenti atipici, proprio perché
manca ancora una definita categoria diagnostica e soprattutto perché si deve evitare di considerare
patologie dei comportamenti che non possono rientrare all'interno di parametri diagnostici e non hanno
delle accurate diagnosi.

1. Fra vecchie e nuove forme di dipendenza: definizioni e caratteristiche


Sin dai tempi più antichi gli esseri umani hanno cercato di alleviare il dolore mentale fisico, di alterare i
propri Stati mentali, di procurarsi un senso di benessere, attraverso l'introduzione di sostanze all'interno
del proprio corpo. Per questo motivo l'organizzazione mondiale della sanità considerava la dipendenza
patologica come l'interazione tra un organismo vivente e una sostanza tossica, un'interazione che poteva
poi sfociare in un bisogno compulsivo di assumere quella sostanza. Prima della quinta edizione del
manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, veniva fatta una differenza tra la dipendenza e
l'abuso la sostanza; successivamente, visto che i soggetti che soddisfacevano il proprio abuso non
giungevano ad una dipendenza, la categoria di abuso la sostanza è stata eliminata dal nuovo DSM-5. Per
questa quinta edizione la dipendenza e considerata una modalità patologica d'uso di una sostanza che
conduce a un disagio o compromette clinicamente l'organismo, e la dipendenze possibile diagnosticarla
quando si manifestano almeno due delle condizioni che vengono elencate nel DSM-5.
Quando la sostanza e assunto in quantità maggiore o per un periodo superiore, quando è presente un
desiderio persistente della sostanza, quando viene impiegato una grande quantità di tempo per procurarsi
la sostanza e assumerla, quando è presente un forte desiderio, quando si fa uso della sostanza seguito di
un fallimento personale, quando l'uso continuato della sostanza provoca problemi sociali o relazionali,
quando l'uso della sostanza conduce ad abbandonare le attività sociali, lavorative o ricreative, quando
viene fatto uso della sostanza anche se considerata fisicamente pericolosa, quando la sostanza viene
utilizzata anche se il fisico a qualche tipo di patologia, quando il corpo comincia a tollerare la sostanza e
chiede una dose sempre maggiore, quando si manifestano eventi di astinenza nel momento in cui la
sostanza non viene più introdotta nel corpo.
Le new addiction sono le forme di dipendenza senza sostanza, che fanno riferimento quei comportamenti
dove non è presente una sostanza chimica da introdurre all'interno del corpo. Si tratta di comportamenti
che possono essere elencati: il gioco d'azzardo, lo shoping compulsivo, la dipendenza da Internet, la
dipendenza da attività sportiva. Bisogna sottolineare che il termine inglese addiction viene utilizzato per
differenziare una dipendenza la sostanza da una dipendenza da comportamento; inoltre nel DSM-5 l'unica
dipendenza comportamentale che viene diagnosticata è il gioco d'azzardo, mentre si lascia una porta
aperta per l'Internet Gaming Disorder, probabilmente diagnosticato nelle future edizioni del manuale.
Già negli anni 90 Griffiths aveva analizzato che vi sono sei elementi che mettono in corrispondenza la
dipendenza la sostanza dalla dipendenza dal comportamento:
1. La dominanza, ossia quando i pensieri comportamenti del soggetto volgono sempre alla pratica di
quel comportamento;
2. La tolleranza, poiché aumenta sempre di più il bisogno di avere un certo comportamento, giungendo
a intere ore della giornata;
3. I sintomi di astinenza, che la persona può manifestare nel momento in cui il comportamento non viene
più realizzato;
4. Il conflitto, ossia i conflitti interpersonali che possono nascere tra il soggetto dipendente è in mondo
circostante;
5. L'alterazione dell'umore, in quanto il comportamento disfunzionale porta a sbalzi di umore continui;
6. La ricaduta: dopo un periodo di interruzione il soggetto può ricadere nell'attivazione di quel
comportamento.
Sebbene vi siano delle analogie tra la dipendenza da sostanze e le nuove dipendenze, è opportuno
separare queste due dimensioni e analizzare le nuove dipendenze a partire da altri punti di vista, come ad
esempio le caratteristiche culturali, sociali e contestuali in cui si realizzano, e soprattutto le caratteristiche
individuali del soggetto. Inoltre, a differenza delle dipendenze da sostanze, le nuove dipendenze
riguardano delle attività quotidiane dalle quali non possiamo esimerci di portare a termine perché sono
legate al nostro lavoro o allo studio. Si pensi ad esempio alla dipendenza da Internet, allo shopping
compulsivo o alla pratica di una professione: sono tutte attività dalle quali è impossibile star lontano,
differenza invece dell'assunzione di una sostanza che può essere tenuto lontana senza modificare le
attività giornaliere. Infine, non bisogna dimenticare il ruolo delle coercizione sociali, le quali sono in
grado di spingere il soggetto fino ai comportamenti più estremi.

2. Dipendenza da Internet
Certamente lo sviluppo tecnologico ha cambiato la vita di tutti gli esseri umani, ma la fascia più
interessata alla dipendenza da Internet e quella che va dalla pubertà alla prima età adulta. In questa fascia
di età avviene lo sviluppo psicosociale più delicato, ed è anche il momento in cui si possono sviluppare
queste dipendenze. Da uno studio condotto in Europa risulta che il 4,4% degli adolescenti fa un uso
patologico di Internet.
In Giappone poi è diventato diffusissimo il termine hikikomori, per indicare tutti quegli adolescenti che
praticano l'auto isolamento della vita sociale punti sono giovani che arrivano fino al rifiuto della scuola
e del lavoro, per chiudersi in casa e non avere nessun contatto col mondo, se non attraverso i dispositivi
tecnologici, passando la maggior parte delle ore della giornata, ho tutto il giorno a contatto con computer,
giochi e social network, comunque sempre connessi a Internet.
Per i ragazzi affetti da Internet addiction, la rete diventa l'unica fonte per instaurare legami, l'unico mondo
da poter esplorare, l'unico dispositivo per sperimentare il proprio se. In poco tempo quello che è un mezzo
per l'instaurazione di relazioni, diventa l'oggetto di desiderio senza il quale la vita non avrebbe più senso
né valore, ma con il quale si può giungere a momenti di riconosciuta sofferenza (sintomi egodistonici).
Studi specifici hanno dimostrato che l'isolamento sociale e l'uso eccessivo di Internet possono causare la
perdita della percezione di sé e la perdita del senso di autocontrollo.
La dipendenza da Internet ha tre fasi:
• il coinvolgimento, ossia la curiosità di provare;
• la sostituzione, ossia la ricerca di quegli elementi nella vita virtuale che la vita reale non riesce a dare;
• la fuga dal mondo reale.
Chi fa un uso patologico di Internet non riesce a controllare i propri impulsi, una caratteristica che viene
descritta anche nel fenomeno del problem gaming. In altre parole, il bisogno irrefrenabile di utilizzare
la rete viene spesso accompagnato da una perdita di controllo, poiché vi è una richiesta sempre costante
di essere connessi. Altre caratteristiche della dipendenza da Internet sono il ritiro sociale, la vergogna e
l'inibizione.
Ma il problema centrale della dipendenza da Internet è la sostituzione della realtà con una realtà virtuale
e la saturazione dei bisogni emotivi attraverso esperienze virtuali. Il ragazzo cerca di trovare se stesso e
gli altri attraverso Internet, ma non si accorge che sta creando problemi nella costruzione della propria
identità che adesso diventa diffusa e confusa. Non riuscire più a differenziare la vita reale della vita
virtuale potrebbe compromettere gli aspetti più importanti della vita del soggetto, da quello lavorativo a
quello accademico, da quello familiare a quello relazionale in genere.
Vi è anche una stretta relazione tra la dipendenza da Internet e i comportamenti di tipo internalizzante ed
esternalizzante, in quanto Internet diventa il modo per sfuggire ai problemi e alleviare i sentimenti di
impotenza, ansia e depressione. Inoltre, la mente dell'adolescente, anche quando non è più on-line, resta
proiettata nella dimensione virtuale e ne avverte mancanza e bisogno.

3. Internet Gaming Disorder


Da una stima risulta che l'82% della popolazione italiana gioca on-line, attraverso i giochi di ruolo
multigiocatore di massa, i quali permettono migliaia di giocatori di interagire senza vincoli spazio-
temporali. Alcuni studi dimostrano che la dipendenza dai videogame può essere accostata al disturbo
patologico del gioco d'azzardo e al disturbo da uso di sostanze psicoattive. Tuttavia molti ricercatori
vanno cauti e pensano che le ore della giornata trascorse a giocare non sono sufficienti a definire il gioco
patologico.
Il disturbo del gioco su Internet, inserito nella terza sezione del DSM-5, viene definito come uso
persistente e ricorrente di Internet per partecipare a giochi anche con altri giocatori, giungendo a dei
disagi clinici significativi e che rispondono a cinque o più criteri per un periodo di 12 mesi. Anche in
questo caso troviamo gli elementi tipici della dipendenza: l'astinenza, la tolleranza, la perdita di interesse
per la vita reale, un uso continuativo ed eccessivo, la compromissione del proprio lavoro, delle relazioni
sociali e affettive. Il manuale, tuttavia non fa riferimento a strumenti di misurazione uguali per tutti, ma
dalle statistiche risulta che questo disturbo interessa prevalentemente gli adolescenti maschi dei paesi
asiatici, infatti maschi raggiungono il 12,6%, mentre le femmine raggiungono il 4,7%. In Italia la
situazione meno preoccupante, poiché solamente il 2,1% del campione considerato mostra questo tipo di
disturbo, ma se si considera il DSM-5, allora la prevalenza del disturbo sale al 15,2%.
I fattori di rischio che conducono a questa dipendenza possono essere molti: i fattori individuali, come
i tratti della personalità (nevrotici sono, aggressività, accettazione della violenza, impulsività, mancanza
di autocontrollo, bassa autostima); i fattori familiari, come uno scarso supporto parentale, un uso
smodato anche da parte dei genitori dei videogame. Importanti sono anche le motivazioni di gioco, poiché
i giovani affetti da questo disturbo utilizzano i videogame per sfuggire dallo stress della vita quotidiana
e dalle emozioni negative, per ricercare amicizie on-line e per compensare la mancanza di successo nella
vita reale.
A livello psicologico le conseguenze della dipendenza da videogiochi comporta disturbi d'ansia e attacchi
di panico, ma anche sintomi depressivi, per giungere poi alla bassa autostima e a disturbi psicosomatici.
La dipendenza dei videogiochi compromette anche la sfera delle problematiche comportamentali e delle
difficoltà sociali, riguardando disturbi della condotta, peggioramento delle performance scolastiche, un
elevato consumo di alcol e nicotina.
Nonostante gli studi siano ancora esigui su questa dipendenza, è stato accertato che ci sono anche dei
fattori protettivi, come le attenzioni le cure paterne, la supervisione da parte dei genitori, una buona
integrazione all'interno della classe. I fattori di rischio, invece, sono gli elevati livelli di solitudine, che
vengono a loro volta aumentati dalla dipendenza. Inoltre, la dipendenza da gioco non interessa soltanto
una fase transitoria della vita adolescenziale, ma è stato riscontrato che a distanza di due anni la stessa
dipendenza si ripresenta nel soggetto.

4. Vigoressia
I nuovi media propongono continuamente paradigmi culturali e sociali talvolta stereotipati, che inducono
uomini e donne a cercare un'immagine perfetta di sé. Eventi di questo genere intaccano soprattutto la
psiche dell'adolescente che si trova nel momento dello sviluppo della propria identità, e cerca di
raggiungere dei livelli di soddisfazione corporea volti a migliorare la propria autostima e il proprio senso
di autoefficacia. Fino a questo livello non ci sono disturbi di tipo psicologico, poiché la propria immagine
può diventare fonte di soddisfazione e va a soddisfare quel bisogno evolutivo che riguarda il piacersi il
sentirsi accettato. Infatti chi ha una cura del proprio corpo non disfunzionale cerca sempre dei feedback
positivi nel gruppo di riferimento, feedback che in età adolescenziale aiutano alla costruzione del proprio
sé.
La soddisfazione corporea è un fattore cruciale in adolescenza e può portare dei comportamenti atipici,
come il desiderio utopistico di raggiungere un corpo perfetto. Gli adolescenti possono raggiungere questo
desiderio in due modi diversi: o attraverso condotte alimentari distorte che portano all'anoressia o alla
bulimia, oppure attraverso l'allenamento sfrenato e l'intolleranza nei confronti di ogni minima
imperfezione.
La Vigoressia è un disturbo psichico già studiato negli anni 90, dove è emerso che uomini bodybuilders,
nonostante avessero una struttura muscolare fuori dal normale, continuavano a sentirsi gracili e quindi
insoddisfatti (reverse anorexia). I sintomi di questa addiction sono perlopiù estetici, poiché l'uomo e la
donna che ne sono affetti tendono a coprire il proprio corpo in spiaggia, vestono con abiti lunghi anche
in piena estate, poiché si sentono sempre gracili. Le loro giornate passano in palestra con esercizi di
potenziamento muscolare fuori dalla norma, si guardano perennemente allo specchio e conducono diete
iperproteiche, utilizzando anche farmaci anabolizzanti per aumentare la propria massa muscolare.
Ancora oggi non vi è un'etichetta diagnostica per la vigoressia, poiché appare sia come un disturbo
dell'alimentazione, legato all'anoressia e alla bulimia, sia come un disturbo ossessivo-compulsivo. Anche
in questo caso, come nelle altre addiction, le conseguenze del disturbo coinvolgono le relazioni sociali,
affettive,, con perenni stati di angoscia e frustrazione, nonché con problemi di salute legati agli steroidi
anabolizzanti.

5. Gioco d'azzardo patologico


Il gioco d'azzardo può essere inquadrato secondo la composizione di tre stadi:
1. Gioco d'azzardo informale e ricreativo, ovvero quel comportamento saltuario che porta la
socializzazione e all'impulso alla competizione;
2. Gioco d'azzardo problematico, che mette a rischio la salute psicologica, fisica e sociale della persona,
che viene condotto per molte ore alla settimana e induce a spendere quantità ingenti di denaro;
3. Gioco d'azzardo patologico, che produce un disagio psicofisico significativo, viene praticato
quotidianamente ed è caratterizzato dal desiderio incontrollabile tipico delle dipendenze, fino a giungere
a indebitamenti enormi per poterlo sostenere.
Fino alla penultima edizione del DSM, il gioco d'azzardo patologico veniva collocato tra i disturbi del
controllo degli impulsi non specificato; mentre il DSM-5 lo descrive e lo classifica come una vera e
propria addiction, che con l'andare del tempo può diventare una patologia di tipo cronico.
Anche in questo caso vengono interessati i rapporti familiari, la realizzazione personale del soggetto, le
relazioni sentimentali, poiché il giocatore d'azzardo patologico rivolge tutte le sue energie fisiche,
economiche e mentali verso il gioco d'azzardo, dimenticando tutto il resto della propria vita. Ad esserne
colpiti maggiormente sono gli uomini adulti e gli adolescenti. Il gioco d'azzardo patologico si intreccia
poi con la sfera emotiva del soggetto, in quanto la perdita del denaro crea delle emozioni molto forti, che
dal soggetto vengono ricercati a livelli sempre più forti, ed è per questo che si giunge a scommettere
somme elevatissime. Per questo motivo il gioco d'azzardo patologico viene associato ai livelli di
sensation seeking, ossia alla ricerca continua della vittoria, anche se impossibile, che produce comunque
livelli di adrenalina molto alti.
Depressione, ansie, isolamento sono le conseguenze del gioco d'azzardo patologico, nonché vengono
registrati anche comportamenti ossessivo-compulsivi, con conseguenza sull'autocontrollo.
Spesso questa patologia conduce a condotte devianti di tipo sociale, come ad esempio atti delinquenziali,
frodi o comportamenti antisociali; inoltre spesso viene associata all'uso di sostanze psicoattive per
equilibrare i disturbi dell'umore e della personalità.

6. Conclusioni
Sebbene le addiction elencate in questo capitolo non corrispondano a delle categorie diagnostiche
accertate, non vi è dubbio che esse abbiano delle conseguenze notevoli e drammatiche nello sviluppo
emotivo, sociale relazionale delle persone. Hanno un impatto negativo nella strutturazione del sé in
adolescenza e possono portare ad altre patologie.
CAPITOLO 15: DAI BAMBINI AI ROBOT: MODELLI DI ROBOTICA DELLO SVILUPPO

1. La psicologia dello sviluppo e la robotica dello sviluppo


Lo sviluppo dell'essere umano è certamente uno dei fenomeni più interessanti della natura: noi vediamo
nascere un bambino, avere delle semplici abilità motorie e cognitive che gli permettono la sola
sopravvivenza, e piano piano diventare un adulto con un livello sofisticato di sviluppo mentale. È
sorprendente vedere dei bambini che a soli 10 anni sanno giocare a scacchi riescono a controllare una
teoria della mente di se stessi e degli altri. La psicologia dello sviluppo si occupa di costruire delle teorie
e delle ipotesi, ma anche di verificarle, sullo sviluppo motorio, cognitivo, sociale degli esseri umani.
Conoscere l'uomo dal punto di vista del suo sviluppo vuol dire anche utilizzare dei dati empirici che
possono essere intrecciati con le altre scienze umane, come la psicologia e la filosofia; ma ancora più
importante oggi è riuscire a intrecciare i risultati della psicologia dello sviluppo con la tecnologia. In altre
parole, è possibile utilizzare queste conoscenze per la progettazione di agenti artificiali che vengono
programmati proprio come i bambini: si tratta della robotica dello sviluppo, una nuovissima disciplina
con la quale è possibile indagare sui deficit sociocognitivi dei bambini come nel caso del disturbo dello
spettro dell'autismo.
La robotica dello sviluppo, dunque, è l'approccio interdisciplinare alla progettazione delle capacità
comportamentali e cognitive in agenti artificiali, quali il robot, che trae direttamente ispirazione dai
principi di sviluppo di sistemi cognitivi naturali, quali i bambini. L'idea fondamentale è che si possono
osservare le capacità dei bambini, sia mentali che sensomotorie, per la programmazione dei robot; a tal
proposito cooperano insieme la psicologia evolutiva, neuroscienze, psicologia comparata, e altre
discipline computazionale di come la robotica e l'intelligenza artificiale. La psicologia dello sviluppo
fornisce le basi empiriche e i dati per individuare i principi generali dello sviluppo, poi questi dati
vengono trasformati in algoritmi e inseriti all'interno del sistema cognitivo di un robot, il quale interagisce
con l'ambiente proprio come farebbe un bambino, grazie all'utilizzo di algoritmi per la sua
programmazione.

2. I principi della robotica dello sviluppo


I modelli che servono per programmare il robot si basano sull'interazione di fenomeni nativisti-biologici
ed interisti-ambientale. Ciò vuol dire che non vengono trascurati i fattori biologici genetici, né i fattori
neurologici del cervello, della motivazione intrinseca e dell'istinto a imitare gli altri. Tra i fenomeni
imprevisti si tiene conto dell'apprendimento situato, ossia dell'interazione con il contesto sociale, e
dell'apprendimento aperto e cumulativo di abilità cognitive. Di seguito discuteremo i sei principi generali
proposti da Cangelosi e Schlesinger, al fine di analizzare gli studi di robotica dello sviluppo.
Sviluppo come sistema dinamico. La robotica dello sviluppo prende in prestito dalla matematica e dalla
fisica il concetto di sistema dinamico, ossia quel sistema che caratterizzato da cambiamenti complessi
all'interno di un sistema, cambiamenti che sono però è risultato dell'autorganizzazione del sistema stesso
man mano che incontra molteplici variabili. In un sistema con si complesso i fenomeni al suo interno non
sono lineari, ma risultano essere imprevedibili e proprio per questo vengono chiamati Stati emergenti.
Questo è un concetto che viene preso direttamente dalla psicologia dello sviluppo (Thelen e Smith) e che
descrive il bambino con un sistema dinamico complesso che può generare nuovi comportamenti grazie
alla sua interazione con l'ambiente.
Se tutto questo lo trasferiamo alla robotica dello sviluppo si comprende che il software del robot è un
sistema dinamico con un corpo, un cervello, dei fattori ambientali che entrano in relazione tra di loro e
che determinano i comportamenti del robot.
Interazione filogenetica e ontogenetica. Noi sappiamo che lo sviluppo del soggetto è dovuto a tre
fenomeni fondamentali:
• i fenomeni ontogenetici, ossia quelli che hanno un orizzonte temporale di qualche ora o di qualche
giorno;
• i fenomeni di cambiamento per maturazione, che si verificano dopo mesi o anni;
• i fenomeni filogenetici, che riguardano invece i cambiamenti evoluzionistici delle generazioni
precedenti.
Il cambiamento che interessa lo sviluppo si basa anche sulla maturazione del corpo dell'organismo e del
suo cervello, infatti quando parliamo di maturazione ci riferiamo a quelle variazioni anatomiche
fisiologiche del cervello del bambino e del suo corpo soprattutto durante i primi anni di vita. Per quanto
riguarda la maturazione del cervello, è stata proposta l'ipotesi dei periodi critici di apprendimento,
ossia dei periodi in cui il cervello è più sensibile alla stimolazione esterna e il soggetto ricava un
apprendimento con effetti a lungo termine, proprio come accade con il linguaggio che viene appreso tra
i due e i sette anni di età, e resterà impresso per sempre nella mente. Quando invece linguaggio viene
appreso in un'età successiva si riscontrano dei problemi.
Sia per la maturazione corporea che per la maturazione cerebrale, sono stati approntati dei modelli di
robotica dello sviluppo che hanno messo in evidenza quale plasticità neurale può avere il soggetto in un
determinato periodo dello sviluppo. Sono stati sviluppati modelli di simulazione per spiegare gli effetti
di apprendimento in evoluzione, come per esempio l'effetto Baldwin, il quale riguarda il fatto che alcuni
caratteri fino tipici, quesiti da una specie per raggiungere un miglior adattamento all'ambiente, possono
tradursi in mutazioni genetiche nelle generazioni successive. Per simulare l'adattamento dello sviluppo
ontoenetico e filogenetico è stato utilizzato l'approccio computazionale evo-devo, il quale ha permesso
di simulare gli effetti dell'adattamento del corpo del cervello in risposta alle caratteristiche dell'ambiente.
Cognizione embodied e situata. Sono molte le prove empiriche e teoriche che il corpo abbia un ruolo
fondamentale nella cognizione dell'intelligenza (embodiment), come tante sono le prove dell'un ruolo
dell'interazione situata tra il corpo e il suo ambiente (situatedness). Il corpo del bambino, come quello
del robot, ha un interazione con l'ambiente circostante che determina il tipo di rappresentazioni, di
modelli interni e di strategie cognitive che regolano lo sviluppo. Attraverso la cognizione di embodied si
è potuto comprendere quanto importante sia il ruolo del corpo nel fornire delle basi neurali del
comportamento, dell'azione, della percezione delle emozioni all'interno del soggetto. Molti studi hanno
dimostrato che anche le funzioni cognitive della memoria del linguaggio sono connessi all'elaborazione
di azioni motorie.
Ovviamente, i risultati che si sono tenuti nella psicologia dello sviluppo hanno influenzato la robotica
dello sviluppo, si parla infatti di embodied intelligence, ossia di come il comportamento intelligente del
robot sia determinato dall'interazione del corpo del robot con l'ambiente circostante: avere degli arti di
una certa lunghezza e saperli utilizzare significa produrre un comportamento intelligente. Alcuni
esperimenti hanno rivelato come l'apprendimento del linguaggio e l'apprendimento dei concetti numerici
era possibile attraverso delle strategie sensomotorie.
La motivazione intrinseca e l'istinto sociale. Molti studi hanno dimostrato che un robot che ha una
motivazione intrinseca elevata esplora il mondo circostante in maniera assolutamente autonoma,
decidendo da sé cosa vuole imparare e cosa vuole esplorare, costruendo da sé anche un sistema di valori.
A tal proposito la psicologia ha proposto due approcci principali:
gli approcci basati sulla conoscenza, dove i momenti di novità sono stati confrontati con le esperienze
precedenti e il robot riuscivano a dare più attenzione alle situazioni nuove;
gli approcci basati sulla competenza, nei quali il robot è motivato esplorare il mondo circostante
basandosi sulle sue capacità di rilevare l'impatto che le proprie azioni hanno sull'ambiente. Mentre
l'approccio basato sulla conoscenza motiva il robot verso la scoperta del mondo, l'approccio basato sulle
competenze motiva il robot a scoprire cosa può fare con il mondo.
Il principio di motivazione intrinseca è legato a quello dell'istinto all'interazione e all'apprendimento
sociale. Ciò è dimostrato dal fatto che ad esempio i neonati già nella primissima età hanno l'istinto ad
imitare il comportamento degli adulti, riproducendone le espressioni facciali. Si è visto anche che tra i
18 e i 24 mesi i bambini cominciano ad avere dei sentimenti altruistici e di collaborazione con gli altri.
Questi dati empirici vengono messi a disposizione della robotica dello sviluppo per analizzare l'incidenza
della motivazione intrinseca dei robot e della loro capacità di imitazione.
Interazioni non lineari per stadi di sviluppo qualitativi. La psicologia infantile è caratterizzata da teorie
modelli che propongono uno sviluppo che procede per stadi. Ogni stadio e caratterizzato dall'acquisizione
specifiche strategie comportamentali e mentali, che diventano sempre più complesse articolate man mano
che il bambino progredisce in queste fasi. Sicuramente la teoria degli stadi più conosciuta è quella di
Piaget, il quale proponeva uno sviluppo qualitativo e non lineare, nel senso che al passaggio da uno
stadio all'altro gli schemi basati su rappresentazioni e operazioni diventavano sempre più
qualitativamente complessi.
Un'altra teorie di sviluppo è quella della Ridescrizione-delle-rappresentazioni di Karmiloff-Smith.
Anche se l'autrice non parla mai di stadi veri e propri, sostiene che esistono delle rappresentazioni
implicite che procedono verso delle rappresentazioni esplicite delle strategie utilizzate dal soggetto.
Questo modello è stato applicato ad esempio per quanto riguarda la conoscenza della lingua, ed è stato
ipotizzato che vi è un periodo nello sviluppo del bambino, che va dai 18 ai 24 mesi, in cui avviene
un'esplosione del vocabolario: fino ai 18 mesi il bambino avrà imparato circa 50 parole, in seguito sarà
capace di imparare rapidamente decine di parole a settimana. Anche in questo caso si tratta di un
cambiamento qualitativo della strategia per l'apprendimento delle parole, e non di un apprendimento
lineare.
Anche la robotica dello sviluppo mira a programmare delle fasi di sviluppo qualitativo, proprio come nei
bambini. Ad esempio, il modello robotico di Nagai ha dimostrato che i cambiamenti qualitativi tra le
diverse fasi sono il risultato di cambiamenti graduali di apprendimento neurale nell'architettura cognitiva
del robot. Per quanto riguarda i modelli degli stati di sviluppo di Piaget, è stato dimostrato che, all'interno
dei robot, i modelli possono simulare i vari meccanismi e stadi di acquisizione a partire dagli schemi
senso motori di Piaget.
Apprendimento on-line, aperto e cumulativo. Lo sviluppo umano è caratterizzato da un progresso di tre
apprendimenti:
• l'apprendimento on-line, ossia quell'apprendimento che avviene quando il bambino interagisce con
l'ambiente;
• l'apprendimento aperto, ossia che l'apprendimento non si ferma una fase specifica ma continua per tutto
il ciclo della vita;
• l'apprendimento cumulativo, che riguarda l'immagazzinamento della conoscenza durante tutte le fasi
dello sviluppo.
L'apprendimento aperto e l'apprendimento cumulativo possono portare dei cambiamenti qualitativi di
strategie cognitive, proprio come l'esplosione del vocabolario nella teoria precedente. Proprio questi due
tipi di apprendimento hanno come conseguenza il fenomeno del bootstrapping cognitivo, ossia il
bambino acquisisce e integra la conoscenza e la rappresentazione dei concetti numerici e utilizza questa
conoscenza per definire il significato di nuove parole, numeri e concetti matematici, che apprende in
seguito ma con maggiore livello di efficienza. Questo fenomeno viene studiato per l'apprendimento
matematico, potrebbe essere applicato anche l'apprendimento di nuove parole, proprio come accade nel
fenomeno dell'esplosione del vocabolario. Alcuni studiosi sostengono, poi, che esiste un bootstrapping
cognitivo generale che si ottiene attraverso l'uso del ragionamento analogico e l'acquisizione di
conoscenze simboliche.
Oggi la robotica dello sviluppo si occupa soprattutto dell'apprendimento on-line, poiché impartisce al
robot un solo compito alla volta e in una sola modalità, tuttavia l'utilizzo dell'apprendimento cumulativo
e aperto, e l'utilizzo del bootstrapping cognitivo rimangono la frontiera da esplorare per la ricerca futura.

3. Esempi di modelli di robotica dello sviluppo


Per comprendere pienamente gli studi di robotica dello sviluppo occorre fare almeno due esempi: il primo
esempio riguarda l'apprendimento del linguaggio da parte dei robot e il secondo riguarda l'apprendimento
dei numeri e come si possa insegnare ad un robot a contare.
L'apprendimento del linguaggio. Per quanto riguarda l'apprendimento delle parole da parte di un robot
si è fatta particolare attenzione al ruolo dell'embodiment, utilizzando una modellazione della robotica
dello sviluppo chiamata Epigenetic Robotic Architecture (ERA). Questa architettura prevede un
insieme di reti neurali artificiali che implementano l'apprendimento della lingua a partire da stimoli visivi,
verbali e posturali, al fine di controllare il comportamento del robot. Oltre a questo il robot è pre
programmato con un meccanismo di motivazione intrinseca che gli permette di studiare le persone che
stanno attorno a lui: se una persona agita la mano il robot viene attivato.
La procedura sperimentale sul robot è uguale a quella definite dalla psicologia dello sviluppo: lo
sperimentatore pone su un tavolo bianco alcuni oggetti e dice il loro nome, ogni volta che il robot vede
un oggetto si muove, cambiando la sua posizione posturale, in questo modo guarda verso l'oggetto e
impara a categorizzarlo in base alle sue caratteristiche visive. Ogni prova ha otto fasi:
fasi 1-2: lo sperimentatore pone due oggetti, l'oggetto che deve essere preso è un oggetto che funge da
distrattore, cambiandoli continuamente di posto da destra a sinistra;
fasi 3-4: i due oggetti vengono mostrati nuovamente;
fase 5: lo sperimentatore nasconde gli oggetti e dirige l'attenzione del robot verso destra dove si trovava
l'oggetto bersaglio e dice "Questo è Modi";
fasi 6-7: i due oggetti vengono nuovamente mostrati, uno alla volta, come nei passaggi iniziali;
fase 8: entrambi gli oggetti vengono presentati contemporaneamente in una nuova posizione al centro
del tavolo e viene chiesto al robot "Trova Modi".
Un esperimento ha dimostrato che, se il robot mantiene una postura adeguata e rivolge lo sguardo verso
l'oggetto da imparare, allora riesce nel suo intento, ma se viene programmato con una postura diversa,
allora non raggiunge il suo intento.
Nel suo complesso questo modello dimostra che e possibile costruire un sistema cognitivo embodied che
sviluppi le capacità linguistiche intrecciandole con quelle sensomotorie, grazie alle interazioni con il
mondo circostante, proprio come avviene con i bambini. Attraverso questi modelli computazionale è
possibile capire quali intrecci si vengono a creare tra le abilità percettive, linguistiche e sensomotorie,
proprio come avviene nei bambini, ma è possibile anche la previsione di nuovi fenomeni che riguardano
l'apprendimento delle parole.
Apprendimento dei numeri. Quando i bambini imparano a contare lo fanno attraverso il gesto di contare
con le dita, attraverso lo spostamento degli oggetti contati, oppure indicandoli. Questo mette in evidenza
il fenomeno di embodied anche per l'apprendimento dei numeri. E su tale meccanismo di conteggio sono
state fatte tre ipotesi:
1. Attraverso i gesti i bambini possono superare i limiti delle risorse cognitive disponibili, aiutandosi a
contare;
2. Possono aiutarsi attraverso una componente linguistica (nominare il numero) e una componente
spaziale che l'oggetto fisico;
3. I gesti possono facilitare l'apprendimento sociale fornendo feedback dei progressi di tale
apprendimento.
Dal punto di vista computazionale esiste la rete ricorrente di Elman, cioè una rete neurale artificiale
che possiede uno strato di memoria che permette di imparare a contare. In input il robot vede una serie
di oggetti e ha al suo interno un'unità che decide il momento in cui deve contare. In output il robot recita
un numero alla volta, fino a numero massimo di oggetti mostrati. Questa simulazione è stata improntata
sul conteggio a partire dalla visione, a partire gestire naturale di conteggio e dei gesti ritmici artificiali.
In questo modo si è voluto dimostrare che i gesti di conteggio (che sono il corpo) sono una strategia
embodied utile all'acquisizione dei numeri per un robot.
Altri studi con il robot iCub dimostrano che il conteggio delle dita in associazione con le parole aiuta il
robot ad acquisire la prestazione numeriche: il robot può gesticolare con le dita senza parlare, può
elencare i numeri senza muovere le dita, può compiere entrambe le azioni simultaneamente. Solo la terza
azione permette la rappresentazione dei numeri, proprio come accade nell'apprendimento dei numeri da
parte di un bambino.
Anche in questo caso il contare del robot, sia indicando l'oggetto, sia contando con le dita, dimostra come
le strategie sensomotorie sono fondamentali per sviluppare competenze rappresentazioni numeriche.

4. Applicazioni e direzione di ricerca nella robotica dello sviluppo


L'utilizzo dei robot a livello clinico vengono messi a disposizione della terapia per bambini con disturbo
dello spettro dell'autismo. Sono evidenti i benefici dell'uso dei robot in questa terapia, sebbene ancora
siano solo in una fase iniziale e di valutazione.
Innanzitutto, i terapeuti si sono accorti che l'utilizzo dei robot stimola le risposte sociali positive dei
bambini, anche perché l'interazione diventa più dinamica e i bambini preferiscono la compagnia del robot
alla sedentarietà del computer. Per quanto riguarda poi l'ASD (disturbo dello spettro dell'autismo), si è
cercato di utilizzare la terapia dei robot per insegnare ai bambini le abilità sociali di base, l'interazione e
la comunicazione, facendo emergere che i bambini preferiscono l'apprendimento attraverso il robot
anziché attraverso l'essere umano. Vengono utilizzati così dei robot sociali per la diagnosi e il
trattamento dell'autismo, grazie ai quali si intensifica l'interazione con l'altro e vengono monitorate le
condizioni dei pazienti.
Uno studio italiano di Conti si è concentrato su un campione di bambini italiani e si è focalizzato
principalmente sull'imitazione di abilità motorie dei partecipanti, come strumento di supporto alla terapia
ASD con disabilità intellettiva di tipo moderato e grave. L'esperimento si basa su un gioco imitativo
corporeo, in cui bambini prima imitano il robot e poi riproducono l'imitazione. Il robot umanoide NAO
viene controllato dal ricercatore in remoto ed è capace di produrre gesti altamente espressivi.
L'esperimento si svolge in quattro fasi:
fase 1: il robot danza con movimenti lenti, chiama il bambino per nome e gli spiega con un linguaggio
semplice il gioco imitativo:
fase 2: il robot richiede di imitare i suoi movimenti semplici degli arti superiori e inferiori. In questa fase
il dispositivo per controllare il robot è nascosto al bambino, inoltre vengono dati dei rinforzi al bambino
da parte del robot;
fase 3: il robot comunica l'bambino che adesso deve essere lui a imitare quei gesti, è questa la fase in cui
si possono studiare le abilità attentive e mnemoniche del bambino, e il bambino è a conoscenza che sta
giocando con l'adulto tramite il robot;
fase 4: il robot salute il bambino e lo ringrazia per la sua partecipazione.
I risultati sono stati promettenti sia per quanto riguarda le capacità sociali sia per quanto riguarda le
capacità imitativa del bambino. Questi risultati confermano che il robot possono essere utilizzati in
ambiente sanitario adattandoli agli interventi e integrandoli nei programmi di trattamento che già
esistono, rappresentando una preziosa opportunità perché ha bisogno di cure.

5. Direzioni di ricerca future


Abbiamo visto come la psicologia dello sviluppo interagisce con la robotica dello sviluppo, cercando di
programmare il robot con gli stessi elementi cognitivi e sensomotori di un bambino. Tuttavia la ricerca
ha una lunga strada davanti, poiché i modelli apprendimento e di sviluppo che coinvolgono le capacità
sensoriali, motori, sociali, linguistiche non possono tutte essere combinate all'interno di un unico modello
computazionale. In altre parole, non esiste ancora un robot che può imitare tutte le possibilità di un
bambino.
Questo problema, che è poi il problema dell'apprendimento cumulativo, potrà essere superato nel tempo
attraverso la creazione di un sistema cognitivo integrato, all'interno del quale il robot potrà accumulare
conoscenza linguistica, comprendendo la fonetica, le singole parole, l'acquisizione di due o più parole, i
costrutti grammaticali, e avere contemporaneamente delle rappresentazioni sensomotorie. Un altro
approccio al problema dell'apprendimento cumulativo e l'uso di architetture cognitive, le quali
propongono un metodo dell'integrazione di molteplici comportamenti che favorirebbe molte competenze
cognitive nel robot. Un altro approccio ancora è quello dell'interazione uomo-robot a lungo termine,
dove ci si trova in una scuola materna artificiale con dei robot bambini che sono allievi di questa scuola
virtuale.
Una questione molto importante è quella relativa all'etica della robotica, giungendo alla costruzione di
norme giuridiche, mediche e socioetiche più attente riguardo all'uso dei robot. Ad esempio riguardo
all'uso dei robot nell'assistenza verso gli anziani, sono state costituite delle regole: innanzitutto perché
l'accudimento dell'anziano presuppone che il programmatore del robot debba conoscere molti tratti della
personalità del paziente; in secondo luogo molte norme servono per evitare che i professionisti della
salute possono delegare i loro compiti ai loro.
CAPITOLO 16: LE SFIDE DEL MULTICULTURALISMO

Il nostro mondo vede sempre più l'arrivo di minori all'interno del nostro paese e in generale di tutta
l'Europa. Il minore si trova a vivere in una condizione di vulnerabilità, sia perché è un minore, sia perché
è uno straniero, e la partita si gioca all'interno di un contesto sociale multiculturale all'interno del quale
il minore appartiene alla parte minoritaria.
Affinché il bambino non viva situazioni negative è necessario porre attenzione ai processi di
accudimento e di cura che i genitori riescono a dargli anche in una situazione di minoranza etnica
all'interno di un paese straniero. È chiaro che anche in una situazione del genere il bambino è totalmente
dipendente dalle cure dell'adulto e che l'adulto esercita un'influenza decisiva nel suo sviluppo.
Un'altra sfida fondamentale per le società multiculturali e quella di analizzare lo sviluppo del bambino
che in un'età molto critica si trova a vivere con contesti culturali differenti, oltre a quello di origine.
Essendo un momento fondamentale per lo sviluppo della propria identità, è necessario preservare l'unità
del sé nelle diverse situazioni. La sfida di queste società è quella di permettere al bambino di mantenere
una forte integrità, di poter esprimere il proprio se producendo delle comparazioni tra codici culturali
diversi.

1. Il Parenting
Il parenting può essere definito come l'insieme delle pratiche genitoriali specifiche che influiscono sulla
strutturazione dei comportamenti infantili. Non vi è dubbio che siano proprio i genitori i primi a
contribuire allo sviluppo dei figli, non solo per il patrimonio genetico che danno loro in eredità, ma anche
per le modalità di interazione con il mondo circostante. Ed è proprio la cultura in cui sono immersi
genitori a giocare un ruolo determinante, e diventa ancora più complesso se questa cultura da
monoculturale diventa multiculturale.
A tal proposito è stato proposto il concetto di nicchia evolutiva, ossia il modo che hanno i genitori di
rappresentare a se stessi lo sviluppo del loro bambino ma anche il loro ruolo di essere genitori. Della
nicchia fanno parte le abitudini, i luoghi, le contingenze materiali, le personalità il temperamento di chi
si prende cura del bambino, e tutti questi elementi sono fondamentali per lo sviluppo della sua psiche. I
genitori inoltre hanno delle teorie con cui cercano di crescere il proprio figlio, teorie che risentono della
tradizione culturale d'origine, definite etnoteorie parentali. In altre parole si tratta delle idee che i genitori
si formano per crescere i propri figli, delle idee che risentono molto della cultura di appartenenza. La
questione si fa molto più complessa se ci sono dei genitori migranti, poiché il genitore deve intrecciare
insieme la cultura di appartenenza con la cultura del luogo di migrazione, due culture che da un lato si
sovrappongono, dall'altro lato si differenziano notevolmente.
Chiaramente genitori non devono mai perdere di vista il loro obiettivo, cioè quello di un parenting
positivo per la crescita fisica e psichica del proprio bambino, per questo motivo vengono utilizzate il più
delle volte delle formule culturalmente standardizzate, utili ai genitori per far crescere il proprio figlio
all'interno dei canoni culturali del paese che li ospita. I genitori, dunque, all'interno di una società
differente rispetto alla propria propongono differenti strategie per educare i propri figli.
Sono stati proposti tre modelli per descrivere il complesso intreccio tra sviluppo individuale e processi
culturali:
• il modello psicoculturale di Beatrice e John Whiting;
• il modello ecologico di Bronfenbrenner;
• il modello storico-culturale di Lev Vygotskij.
Genitorialità e contesti di sviluppo del bambino. L'approccio dei coniugi Whiting si preoccupa di
analizzare i processi culturali in cui vive il bambino, cercando di analizzare il rapporto tra l'individualità
del bambino e il contesto culturale in cui vive. Era necessario acquisire informazioni dettagliate sulle
condizioni di vita immediate del soggetto, ma anche sui processi culturali più ampi che lo hanno
preceduto. Secondo i due studiosi lo sviluppo è il risultato delle condizioni sociali e culturali in cui il
bambino viene immerso. Insieme a queste condizioni più generali vi sono anche le condizioni che
riguardano l'individuo stesso, ossia le sue abilità, i suoi valori e i suoi stili di comportamento. Sono state
mosse delle critiche a questo modello, poiché sembra che i processi individuali e culturali venissero
considerati come se esistessero indipendentemente l'uno dall'altro, quando invece sappiamo che per lo
sviluppo del bambino entrambi si intrecciano.
Il secondo modello è quello proposto da Bronfenbrenner, ossia la teoria ecologica. A differenza del
precedente modello, qui lo psicologo sottolinea il ruolo di interazione tra individui ambiente, poiché
l'ambiente in cui vive il bambino lo influenza totalmente: si pensi alla casa, la scuola, al luogo di lavoro.
Il modello viene rappresentato con una serie di cerchi concentrici dove i contesti più ampi influenzano
quelli più piccoli.
Mentre questi due modelli, seppur in maniera diversa, tengono separati il bambino-individuo dal contesto
sociale in cui vive, il modello della zona di sviluppo prossimale proposto da Vygotskij, invece,
presuppone un intreccio inscindibile tra lo sviluppo del bambino e il suo contesto storico, sociale e
culturale. Il bambino all'interno del suo contesto culturale riesce a impossessarsi degli strumenti culturali
che il suo contesto gli fornisce, quali la scrittura, la matematica, i tipi di ragionamento. E da questo
processo inizia lo sviluppo delle sue attività cognitive, dove pensare vuol dire usare gli strumenti culturali
che gli appartengono. Questa per lo psicologo russo e la zona di sviluppo prossimale, ossia quella serie
di strumenti che i genitori e l'ambiente circostante mettono nelle mani del bambino per il suo sviluppo.
In questo senso gli strumenti culturali vengono ereditati dai genitori e dalle precedenti generazioni e si
danno in eredità alle generazioni future, facendo della cultura qualcosa di dinamico. Così lo sviluppo del
bambino è legato intrinsecamente allo sviluppo della comunità culturale, e questi due elementi non
possono mai essere considerati separatamente. È in questo scenario inscindibile di natura e cultura che
si colloca l'attività di parenting del genitore, resa ancora più delicata dalle diverse etnoteorie parentali,
considerando il rapporto tra cultura d'origine e cultura ospitante.

2. L'identità etnica
Sono stati svolti molti studi sulle dinamiche culturali che vengono generate dall'incontro tra migranti e
autoctoni; una delle prospettive teoriche più utilizzate è quella di Barry, la quale descrive gli
atteggiamenti e comportamenti dei migranti nell'interazione con la società che li accoglie. In queste
dinamiche il minore con un background migratorio cerca delle soluzioni e si sforza per mantenere
quell'unità del sé nelle diverse situazioni, cercando di mantenere il proprio benessere e il proprio sviluppo
positivo. Oggi un concetto molto diffuso a livello scientifico ma anche a livello di linguaggio comune è
quello di identità etnica, ossia il sentimento di appartenenza ad un gruppo etnico. Oggi si assiste a una
sorta di etnicizzazione generalizzata che coinvolge più gruppi sociali, relazioni interpersonali e sviluppo
individuale.
Dal punto di vista dello sviluppo sono fondamentali processi di acculturazione e di contaminazione tra
le pratiche culturali, i percorsi educativi interculturali, formazione dell'identità e le relazioni con gli
autoctoni.
Il concetto di identità etnica è fondamentale nel bambino che si trova ad avere genitori che migrano per
la prima volta, poiché è l'elemento principale della costruzione della propria identità. Tuttavia, il trovarsi
in un altro contesto culturale può causare un processo di erosione culturale, che riguarda soprattutto la
prima generazione di coloro che migrano. Questi infatti giungono nel paese che li ospita con un
atteggiamento difensivo, molte volte non vengono neppure riconosciuti e cercano di non abbandonare le
proprie pratiche culturali e le proprie strutture sociali. I bambini allora crescono in una condizione in cui
la loro identità si basa su una etnicità senza radici, poiché i genitori continuano a promuovere il modello
di origine.
In questo contesto i minori stranieri, nel corso della loro socializzazione, sono costretti a confrontarsi con
diverse ipotesi di identità etnica: quella del paese d'origine della famiglia e quella del paese dove adesso
vivono. Si possono venire a creare delle diverse proposte di identità, dovute a un'identità etnica che i
genitori non vogliono abbandonare e trasmettono ai figli, ma anche alla impossibilità che questa identità
etnica possa essere riproducibile, andando così a intaccare le loro aspettative, i loro progetti sul futuro e
anche le loro relazioni. Se poi la comunità di accoglienza produce atteggiamenti di discriminazione,
allora il rischio di disagio sono notevoli, infatti le seconde generazioni sono quelli che pagano più di tutti
i costi psicologici dell'immigrazione, senza riuscire a ottenere benefici come invece avviene per la terza
e la quarta generazione.
Divisi tra la cultura d'origine e la cultura del paese ospitante, i minori con un background migratorio
patiscono la lacerazione dell'io, lo scontro tra due mondi nettamente differenti, e molte volte spetta
proprio al minore, da solo, trovare le difficili soluzioni per una mediazione tra questi due universi così
diversi. Il minore straniero tenta allora di ricomporre le lacerazioni che si trova a vivere e adotta quattro
possibili soluzioni, che dipendono da molteplici fattori che intervengono in queste complesse relazioni:
il minore, la sua famiglia, il paese d'origine, il paese di immigrazione, le relazioni con i connazionali nel
paese d'arrivo e i parenti rimasti nel paese d'origine.
Identità reattiva. Con questo termine si sottolinea l'atteggiamento assunto dal minore nel contrapporsi
alla cultura del paese ospitante attraverso l'enfatizzazione dei contenuti culturali del proprio paese
d'origine. Dalla lingua alla cucina, dall'abbigliamento ai costumi, i minori che reagiscono al paese che li
ospita tendono a escludere i coetanei autoctoni e a privilegiare i connazionali. I genitori appoggiano
questa scelta del minore e tendono a creare delle situazioni culturali in cui gli scambi avvengono solo
con i soggetti della propria etnia. Gli studiosi invece avvertono che occorrerebbe promuovere lo scambio
culturale con l'esterno, permettendo così al minore di sviluppare una maggiore stima di sé, in modo da
poter convivere anche in futuro con una società realmente multiculturale. Per questi minori la resistenza
culturale rappresenta un rafforzamento dell'identità etnica, anche se di riflesso porta una chiusura
ghettizzante nei confronti delle diversità.
Assimilazione. La seconda soluzione è quella del processo di assimilazione: il minore aderisce
pienamente alla cultura della società d'arrivo e rifiuta e rinnega la cultura d'origine della famiglia,
trasformando completamente la propria lingua, i propri valori e le proprie tradizioni, poiché questo
cambiamento viene visto come un passo verso la libertà e il futuro. In molti casi i giovani vivono una
sorta di socializzazione anticipatoria, cioè già nei paesi d'origine, ancor prima di partire, acquisiscono i
valori e la cultura della terra che li ospiterà. Il dato positivo dell'assimilazione è che i minori non fanno
fatica ad assimilare la cultura e la lingua del paese di immigrazione; inoltre questo fenomeno accade in
quei soggetti che giungono nel paese d'arrivo nei primi anni di vita, quando il legame con la cultura
d'origine non è forte e possono vedere nel paese che li ospita la soluzione alla propria identità.
Marginalità. La terza soluzione è quella della marginalità, che, secondo alcuni studiosi, è quella più
frequentemente usata tra i minori di seconda generazione. Si tratta di quei minori che vivono ai confini
dell'una e dell'altra cultura, rifiutano la cultura d'origine perché considerata quella perdente e non
vengono stimolati dalla cultura che li ospita perché troppo eccessiva, sono questi i casi in cui il benessere
psichico del minore rischia delle disfunzioni, poiché non si riescono a creare relazioni ne con i coetanei
connazionali ne con i coetanei autoctoni. L'identità unitaria viene pregiudicata e lo si vede soprattutto dal
fatto che utilizzano un imperfetto bilinguismo. Esiste una marginalità da frustrazione dovuta al fatto
che il minore non è riuscito a inserirsi nella nuova società, o dal fatto di non essere più riconosciuto dalla
famiglia, è una marginalità di passaggio, utilizzata come fase di cambiamento verso le nuove identità.
In questo secondo caso non si tratta di una condizione psichica negativa, poiché si è in attesa di un nuovo
scenario culturale. Tuttavia la condizione di marginalità diventa patologica quando perdura nel tempo,
esprimendo una totale incapacità di mediazione tra le due culture.
Doppia etnicità. La quarta soluzione è quella della doppia etnicità, e sembrerebbe essere quella che dal
soggetto maggiore libertà di modellare la propria identità a partire dall'incontro e dall'armonizzazione
delle due tradizioni culturali. Il soggetto si trova ad armonizzare integrare i valori delle due culture, infatti
coinvolgono quei minori che sono riuscite a integrarsi nel paese ospitante e soprattutto hanno trovato i
genitori coinvolti in questo processo di integrazione. Sembrerebbe essere la soluzione migliore perché
permetterebbe al minore con un background migratorio un maggiore equilibrio, una solida capacità
critica e una fine stabilità. Questa soluzione appare come il frutto di una situazione complessiva basata
sulla reale possibilità di scegliere ed elaborare diverse proposte identitarie.

3. Conclusioni
Da questo capitolo è emerso che la sfida del multiculturalismo e quella di garantire un supporto ai genitori
migranti per il benessere lo sviluppo dei minori con un background migratorio.
Una prima risposta delle società multiculturali potrebbe essere quella di favorire forme di
associazionismo familiare, in cui le famiglie di entrambe le culture possano incontrarsi e scambiare
vicendevolmente confronti e condivisione, favorendo il contatto, la conoscenza il dialogo tra le diverse
presenze familiari, in modo da prevenire o mitigare l'isolamento di alcuni nuclei familiari.
Una seconda risposta riguarda le attività extrascolastiche che possono essere proposte ai minori con un
background migratorio. Si tratta di attività informali che la scuola non può realizzare ma che riguardano
comunque contesti di gioco, disposte e di creatività artistica, in modo di sviluppare la resilienza dei
minori. Ad esempio una delle attività possibili sarebbe la conoscenza della lingua italiana, capace di
valorizzare l'integrazione, ma anche considerare la diversità all'interno di una cornice interculturale.
Una terza risposta potrebbe essere quella di favorire i metodi di apprendimento peer-to-peer, sia
all'interno del contesto scolastico, sia nelle attività extrascolastiche.
Non c'è dubbio che le società occidentali sono ormai avviate verso una composizione eterogenea dal
punto di vista etico e culturale, se si vogliono contenere le difficoltà e i problemi di quei giovani che
nascono in Italia da genitori provenienti da altre culture, allora le istituzioni, e anche la scuola, non
possono non pensare al futuro di questi giovani, che sono gli adulti di domani.

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