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Dispensa del libro di:

Istruzione e Formazione
DICHIARAZIONE DI PRINCIPIO:
«AVENDO PRIMARIAMENTE A CUORE UNA FORMAZIONE QUANTO MIGLIORE
POSSIBILE PER LA COMUNITÀ DEGLI STUDENTI DELL’ATENEO FEDERICIANO,
L’ASSOCIAZIONE STUDENTI UNIVERSITARI A.S.U. SCIENZE POLITICHE, PER L’ATTIVITÀ
DI STUDIO, CONSIGLIA SEMPRE L’UTILIZZO DEI MANUALI E DEI TESTI UFFICIALI,
SICCOME ESSI HANNO L’ESCLUSIVO VANTAGGIO DI ESSERE DI PRECISA QUALITÀ
ACCADEMICA E DI FORNIRE, PERTANTO, IL NECESSARIO APPORTO CONTENUTISTICO E
LINGUISTICO RISPETTO ALLA MATERIA TRATTATA; QUALITÀ, QUESTA, CHE NON PUÒ
ESSERE COMPLETAMENTE SODDISFATTA CON LE COSIDDETTE ‘DISPENSE’ O CON I
‘RIASSUNTI’.
TUTTAVIA, AVENDO COSCIENZA DELLE DIVERSE ESIGENZE DIDATTICHE,
EVENTUALMENTE SCATURENTI DA ALCUNI STUDENTI, SOVENTE PER MOTIVI “DI TEMPO”
O SEMPLICEMENTE “PER SCELTA”, LA STESSA ASSOCIAZIONE CI TIENE A METTERE A
DISPOSIZIONE DI COSTORO DEL ‘MATERIALE DIDATTICO INFORMALE’, MA COMUNQUE
DI UNA CERTA RELATIVA CURA.
ASU CI TIENE A RENDERE NOTO A COLORO I QUALI SI SERVONO DELLE SUE
DISPENSE, RIASSUNTI E MATERIALE DIDATTICO INFORMALE, MESSI A DISPOSIZIONE,
CHE IL LORO UTILIZZO NON È E NON PUÒ ESSERE ASSOLUTAMENTE SOSTITUTIVO DEI
MANUALI E TESTI UFFICIALI. L’ASSOCIAZIONE STUDENTESCA, PERTANTO, SI SPOGLIA DI
OGNI RESPONSABILITÀ DIDATTICA, SIA NEI CONFRONTI DEGLI STUDENTI CHE NEI
CONFRONTI DEI DOCENTI.

IL DIRITTO ALLO STUDIO UNIVERSITARIO CI STA A CUORE».


Capitolo 3: la questione culturale in Italia tra le sfide europee il dualismo
regionale.

Introduzione: lo scenario europeo ed italiano

L’attuale crisi di cittadinanza europea, l’emergere di movimenti e partiti sovranisti


mettono seriamente in discussione il progetto, il senso di apprendimento ad una
“casa comune “. All’interno della prospettiva europea del lifelong learning,
L’acquisizione delle competenze tecnico-specialistiche e tecnologiche ha un ruolo
preponderante. In particolare, quelle conoscenze di tipo umanistico. È necessario
capire in che modo la formazione che si svolge prevalentemente all’interno delle
aziende può essere innescata all’interno di un retroterra culturale. La formazione da
decenni è al centro delle strategie europei per uno sviluppo basato sulla conoscenza.
Tale strategia presuppone l’integrazione tra lifelong Learning (LLL), ricerca e
sviluppo e innovazione. Tali dispositivi si propongono l’obiettivo di assicurare
un’istruzione di una formazione di qualità riconosciuta su tutto il territorio europeo,
ampliando in tal modo le prospettive lavorative specie dei lavoratori high skilled.
Tuttavia, i risultati di tali strategie sembrano essere ancora piuttosto eterogenei. Molti
paesi, tra cui l’Italia, stentano ancora ad avvicinarsi agli obiettivi fissati per il 2020.
L’Italia non ha fatto grossi progressi, rimanendo molto al di sotto della media
europea. Ma anche tra le diverse regioni italiane non mancano le disomogeneità. Lo
sviluppo delle regioni del sud, infatti, è scarso rispetto all’agenda politica italiana.
Tale divario si riflette anche dal divario educativo, come emerge dai rapporti invalsi.
Le regioni del centro Nord si collocano tutte tra la media europea e quella italiana,
mentre le regioni del sud non risultano aver fatto progressi.

La partecipazione alla formazione continua: i dati Istat CVTS

Con l’espressione “formazione continua “e ci si riferisce usualmente a quel segmento


di life Long Learning che si svolge prevalentemente all’interno delle aziende pertanto
rivolto alla popolazione unità di lavoro, con finalità di riqualificazione aggiornamento
professionale. L’ipotesi del dualismo territoriale, ovvero la tradizionale divaricazione
tra Nord e sud, si sarebbe riprodotta anche sul versante della formazione continua.
Le performance alla formazione professionale sono state calcolate prendendo in
considerazione cinque indicatori chiave: le imprese informatrici; la partecipazione
totale; l’accesso; la formazione per addetto; i costi per addetto. Le peggior
performance nel 2015 sono state realizzate da sei regioni del sud e una del centro.
Esaminando invece le migliori performance del 2015, si evidenziano sei regioni del
nord, una del centro e una del sud. È stata maturata, così, l’ipotesi che la propensione
alla formazione continua sia molto sensibile alla variabile dimensionale aziendale. La
Basilicata verrebbe quindi avvantaggiata per la presenza di stabilimenti industriali di
notevoli dimensioni.
Il ruolo della dimensione di impresa nella propensione alla formazione
continua

La propensione alla formazione nelle imprese italiane avuto fin dal 2001 andamento
piuttosto discontinuo, ma anche una maggior difficoltà delle micro, piccole e medie
imprese a stare al passo con le grandi. Solo nelle grandi imprese, ovvero quelle con
più di 250 dipendenti, la formazione continua registra un andamento ascendente
lento ma costante. La difficoltà delle piccole imprese all’intervento informazione
molto probabilmente dovuta ai costi di quest’ultima. Le piccole medie imprese italiane
sono maggiormente propense ad affidarsi per la trasmissione delle competenze al
“training on the job”. Inoltre, è probabile che percorsi formativi rivolti ai dipendenti
siano meno necessari nelle piccole e medie imprese. Per intangibile assets si intende
il capitale immateriale: tra questi, oltre gli investimenti in software, immagine e
marchi, ricerche sviluppo, meritano una particolare attenzione agli investimenti in
formazione. Nel 2012, le imprese italiane che hanno investito in almeno una delle sei
categorie di investimenti intangibili sono pari al 66,8% del totale. Per quanto riguarda
in particolare la formazione, le imprese italiane che hanno investito sono state poco
più della metà. Pertanto, la ridotta dimensione aziendale risulta essere un fattore di
vulnerabilità che rischia di minare pesantemente la competitività dell’impresa italiana
nel mercato globale.

Dal mismatch territoriale al mismatch formativo

Le asimmetrie fanno sì che mentre il sud fronteggia una disoccupazione strutturale,


anche intellettuale, le aziende del Nord hanno difficoltà a reperire diverse figure
professionali, solitamente di tipo tecnico. Le figure con maggior difficoltà di
reperimento sono gli insegnanti di discipline artistiche e letterarie, gli analisti, i
progettisti di software, i saldatori, gli installatori, manutentori e riparatori di
apparecchiature informatiche. Più in generale, è il disallineamento formativo a
crescere nel nostro paese: in pratica, un lavoratore su due ha una qualifica o un titolo
di studio o troppo basso o ancora più spesso troppo alto rispetto alla mansione che
svolge. Forse il basso livello di istruzione spiega anche il perché le imprese non
ricorrono più spesso alla formazione continua. Secondo alcune ricerche, le imprese
che non hanno fatto formazione sostenevano in larga maggioranza di avere già le
competenze necessarie al loro interno, e molte delle imprese analizzate, preferisce
reclutare il personale già in possesso delle skill. Anche per quanto riguarda il livello
di qualificazione, il sud è quello con una maggior presenza di professioni con livello
medio e basso di competenze. Mentre le piccole imprese investono maggiormente
in competenze di tipo tecnico operativo, le grandi imprese investono sulle
competenze di management e sulle lingue straniere.
Il versante dell’offerta formativa: l’indagine Isfol-OFS

Da cosa derivano dunque quei disallineamenti formativi? Da un sistema formativo


inadeguato o da una difficoltà a rilevare ed anticipare i fabbisogni formativi e
professionali? Secondo alcuni osservatori, la principale responsabilità è del sistema
formativo che fatica a adeguare la propria offerta e a mettere appunto dispositivi di
riconoscimento dei crediti e delle competenze acquisite. Secondo altri, la
responsabilità e invece delle imprese, che non investono adeguatamente sui giovani
e sulla formazione. Per rispondere a questi interrogativi sono stati utilizzati dati
qualitativi-quantitativi dell’indagine Isfol-OFP. L’indagine ha tracciato il profilo di
un’offerta formativa accreditata abbastanza attenta da un lato alle direttive UE,
dall’altro alle richieste del contesto territoriale, privilegiando spesso settori legati alla
specificità territoriale (agricolo, tessile).

Conclusioni

La dimensione aziendale sempre essere la variabile lenta che impatta sia sui divari
territoriali nord-sud, sia sull’investimento in formazione. Diversi autori stanno
disegnando una nuova strategia industriale europea per una crescita economica. Sul
versante educativo e culturale, urgono soluzioni orientate più alla qualità che alla
quantità, tendenti a valorizzare il capitale intellettuale. Le governance non potranno
non tenere conto della asimmetria territoriale privilegiando misure che favoriscono la
redistribuzione delle opportunità anche alle piccole imprese. Anche le piccole
imprese dovrebbero dotarsi di una visione a lungo termine. Sarebbe utile che
mettano in rete imprese, strutture formative, scuole, università, enti di ricerca. Inoltre,
per porre rimedio alla frammentazione dell’offerta e al mismatch formativo e
professionale, bisogna aprire i mercati del lavoro regionale, superando qualsiasi
tentazione autonomistica di chiusura. Dal punto di vista psicosociale, si aprono nuove
traiettorie di ricerca. Finalmente l’attenzione collettiva comincia a spostarsi dai flussi
migratori in entrata quelli in uscita: la fuga dei cervelli e lo spreco di capitale umano
che depaupera soprattutto il nostro mezzogiorno.
Capitolo 4: istruzione, formazione e lavoro. Le reti territoriali per
l’apprendimento permanente.

Introduzione

La globalizzazione, la rivoluzione digitale, la crisi economica, l’invecchiamento della


popolazione, l’aumento della disoccupazione, richiedono una forza lavoro qualificata
per la competitività e la crescita. Prima di tali fenomeni la scuola e l’università
accompagnavano fasi di formazione connotato da una certa stabilità: dopo un
determinato periodo di formazione, un individuo poteva ricoprire un ruolo per tutta la
vita. Oggi, invece, il percorso di istruzione e formazione è talmente dinamico da
incidere fortemente sulle competenze richieste per poter trovare e mantenere un
ruolo. Risulta evidente l’urgenza di costruire una struttura per garantire opportunità
di apprendimento accessibili ed efficaci per tutti ed il diritto di avvalersi di strumenti
per riconoscere le competenze. Nel 2006 e poi nel 2018 vengono definite le
competenze chiave per l’apprendimento permanente, una combinazione di abilità e
conoscenze di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione lo sviluppo personale, per
la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale l’occupazione.

L’apprendimento permanente

Le fonti normative attraverso le quali è stato istituito il sistema dell’apprendimento


permanente sono essenzialmente la legge 92 del 2012, l’intesa in CU del 2012 e
l’accordo in CU del 2014. L’apprendimento permanente è stato definito come
qualsiasi attività intrapresa dalla persona in modo formale, non formale, informale, al
fine di migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze, in una prospettiva
personale, civica, sociale e occupazionale. Sono distinte, inoltre, le tipologie di
apprendimento e i contesti di sviluppo:
a) l’apprendimento formale si attua nel sistema di istruzione formazione nelle
università e istruzione di alta formazione artistica, musicale;
b) apprendimento non formale, che si realizza al di fuori del sistema formale in ogni
organismo che persegue scopi educativi e formativi, anche del volontariato;
c) L’apprendimento si verifica nello svolgimento di attività nelle situazioni di vita
quotidiana. Quindi, non sono solo i contesti formali a far sviluppare competenze, ma
anche le esperienze quotidiane sul lavoro, casa o nel tempo libero.

Organizzazione rete

In Italia negli anni 80 è molto diffuso l’utilizzo del termine rete, si parla infatti di
imprese rete, reti aziendali, rete organizzativa. Prendendo in considerazione
quest’ultime sono tre i principali significati adesso attribuiti: quello di relazioni tra le
diverse organizzazioni per raggiungere obiettivi comuni; connessioni lasche fra
organizzazioni legate da relazioni sociali; insieme di due o più relazioni di scambio.
Butera delinea gli elementi costitutivi delle reti, ed elabora il modello delle quattro C:
comunità professionali; una cooperazione intrinseca; una conoscenza condivisa; una
comunicazione estesa. A caratterizzare l’organizzazione a rete sono:
a) i processi interfunzionali, interaziendali e interistituzionali;
b) la valorizzazione
c) I nodi vitali
d) legami laschi e forti
e) strutture multiple
f) proprietà operativa peculiare

Il più importante dei sistemi operativi è il sistema di governo. Le peculiarità che


possiamo attribuire ad un network che intendono raggiungere scopi comuni sono:
-il raggiungimento di risultati sia per nodo, sia per l’intera rete;
-l’attivazione di un continuo miglioramento dei processi;
-il miglioramento della comunicazione;
-avere allo stesso tempo rapporti competitivi e collaborativi;
-lo sviluppo della cultura nella negoziazione e dei rapporti a lungo termine;
-consentire al membro di una rete di essere membro anche di altre reti.

Oggi parliamo di reti come organizzazioni autonomi tra loro interrelate per il
raggiungimento di uno scopo comune. La struttura, che sia pubblico o privata,
partecipa alla rete ma ad occuparsi delle attività strettamente legate ad essa,
generalmente, né una parte. Le relazioni che costituiscono una rete sono
transnazionali. Scambio reiterati, specializzazioni in attività diverse. Possono essere
create relazioni frequenti ed intese e in questo caso conviene parlare di rete di
organizzazioni, come le reti di scuole.

Le reti nella scuola

Le istituzioni scolastiche possono promuovere accordi di rete aderire ad essi per il


raggiungimento della propria finalità istituzionale. Possono inoltre, promuovere
partecipare ad accordi E convenzioni che coinvolgono più scuole. Le scuole in rete
anno, infatti, la possibilità di raggiungere obiettivi superiori a quelli che riuscirebbero
perseguire agendo singolarmente.

Il caso dei CPIA e delle reti territoriali di servizio

I centri provinciali per l’istruzione degli adulti possiedono la medesima autonomia


attribuita alle istituzioni scolastiche. Sono articolati in reti territoriali di servizio, sede
centrale e punti di erogazione, stipulano accordi di rete con le istituzioni scolastiche
che realizzano i percorsi di secondo livello e con enti locali e altri soggetti pubblici e
privati. Realizzano, inoltre, sia attività di istruzione che attività di ricerche sviluppo in
materia di istruzione degli adulti.
Le reti territoriali per l’apprendimento permanente

Comprendono l’insieme dei servizi di istruzione, formazione e lavoro collegati alle


strategie per la crescita economica, l’accesso al lavoro dei giovani, la riforma del
Welfare, l’invecchiamento attivo, l’esercizio della cittadinanza attiva, anche da parte
degli immigrati. Le reti territoriali per l’apprendimento permanente assicurano:
-il sostegno alla costruzione dei propri percorsi di apprendimento formale, non
formale e informale;
-il riconoscimento dei crediti formativi;
-la certificazione degli apprendimenti;
-la fruizione di servizi di apprendimento lungo tutto il corso della vita.

Con l’accordo del 2014 viene chiarito ed evidenziato un dato di rilievo: il diritto
all’apprendimento permanente si configura come un diritto dell’individuo. La
possibilità di apprendere sempre si profila come un diritto di ognuno, esperibili in ogni
fase della vita. Bisognerebbe, quindi, progettare a monte un’organizzazione che
coinvolga attori istituzionali come le regioni, di esempio, che abbiano titolarità e
conoscenze per prevedere un programma di crescita e sviluppo. D’altronde,
l’accordo del 2014 configura una governance multilivello che prevede un contributo:
nazionale, regionale e locale; così, consideriamo la realizzazione di reti territoriali per
l’apprendimento permanente è il frutto di due processi: uno top Down, e l’altro
bottom-up.

Conclusioni

Le maggiori difficoltà nel realizzare una rete per l’apprendimento permanente


possono essere rintracciate nella scarsa disponibilità di competenze organizzative e
tecnologiche, nei limiti delle risorse economiche, negli ostacoli di carattere
relazionale, nella qualità di rapporti esistenti tra gli attori, nella loro competitività. Di
certo, possiamo individuare dei vantaggi in una rete di soggetti che cooperano
territorialmente, avere più forza per partecipare ai bandi nazionali europei,
condividere personale e saperi, formare nuove professionalità, scambiare buone
pratiche, generare sviluppo, innovazione e mutamento sociale.
Capitolo 5: progetto ROMUNICARE un esercizio di apprendimento, alla
reciprocità e all’ascolto sociale con le popolazioni rom, senti e
camminanti (RSC).

Introduzione

Presentiamo il progetto di ricerca azione ROMunicare finanziato dalla Commissione


Europea e realizzato nel comune di Roma Capitale tra ottobre 2016 e giugno 2018.
Gli Obiettivi principali sono stati:
-dare vita ad un processo di empowerment e consapevolezza sui diritti sociali e su
come accedervi da parte dei Rom,
-Sensibilizzare gli operatori di Roma Capi cale e delle ONG ai diritti umani, ai diritti
fondamentali dell'UE, alla non discriminazione.
-Promuovere l'inclusione sociale -Produrre consapevolezza in relazione
all'importanza della diffusione di procedure antidiscriminatorie verso i RSC.
-Creare un "dialogo tra sordi", tra i bisogni dei Rom degli insediamenti informali e le
risposte fornite dagli operatori.

Le condizioni di vita dei Rom che vivono nei campi nell'area di Roma sono
considerevolmente cambiate e degradate. In Italia, circa 40.000 RSC vive in
condizione di estrema povertà. All'inizio degli anni '90 in diversi comuni italiani furono
creati i "Campi Roma" come politica pubblica d'emergenza, ma che sono diventati
dei presidi permanenti: da villaggi a spazi di segregazione sociale. Nel 2008, fu
emanato in seguito all'uccisione di Giovanna Reggiani da parte di un Rom, furono
sgomberati diversi campi e ne furono creati di nuovi, definiti "villaggi autorizzati". I
vari insediamenti nella città di Roma comprendevano una popolazione RSC di circa
8600 persone. La trentennale politica ha continuamente riprodotto preoccupazione
devianza piuttosto che inclusione sociale. G. Maestri identifica tre grandi teorie per
studiare i campi rom: la teoria della vita spoglia; la teoria dei campi come spazio
politico; la teoria del campo come uno spazio di assemblaggio. -la prima teoria
considera i campi come uno spazio sociale dove diritti umani, giuridici e sociali sono
legati
-la teoria del campo “come spazio politico “e considera il processo di soggettivazione
prodotto dai RSC attraverso l’interazione tra gli abitanti e i diversi attori che vi
operano e contribuiscono a creare uno spazio politico.
-la teoria del campo “come uno spazio di assemblaggio “identifica le diverse
sfumature nelle relazioni che si realizzano tra i sovraintendenti del campo e i suoi
abitanti.
Metodi

Romunicare è stato soprattutto un progetto di service Learning, in particolare del tipo


“philanthropic model “il cui obiettivo è di fornire un servizio di apprendimento per
sviluppare capacità autoriflessiva del e sul contesto socio-territoriale in cui si vive. La
metodologia di lavoro di Romunicare si è basata su tre elementi principali: reciprocità,
riflessione e riflessività. Questo processo ha prodotto tensioni tra pregiudizi e
differenze, da un lato, diritti umani e di cittadinanza, dall’altro. È stato un percorso di
apprendimento basato su due azioni educative:
-Frontal Learning, per potenziare le specifiche capacità comunicative degli operatori
di rom;
-Mutual Learning per costruire un processo virtuoso tra ricercatori, rom e operatori di
Roma.

Il processo autoriflessivo è iniziato con un’analisi dei fabbisogni formativi dei due
gruppi target del progetto: gli operatori e i rom. Nel caso dei rom, è stata condotta
una survey con un questionario. Anche gli operatori di Roma capitale è stato
somministrato un questionario. Tenendo in considerazione però, il background
formativo dei rom, che generalmente non si spinge oltre l’istruzione primaria, il
progetto ha fatto ricorso a strumenti pedagogici alternativi per i questionari.

I gruppi target

I rom sono stati individuati attraverso il lavoro sul campo in diversi accampamenti.
Hanno coinvolto circa 1000 rom presenti in 40 campi informali. Sono stati
somministrati 151 questionari sono stati sottoscritti 51 accordi di partecipazione, ma
il numero finale di partecipanti stato di 30 persone. Questo è avvenuto in seguito una
serie di false notizie diffuse all’interno dei campi. Secondo queste notizie, il progetto
sarebbe stato uno strumento di identificazione dei rom. Gli operatori che hanno
aderito al progetto sono stati 167 provenienti da diversi settori dell’amministrazione.
Oltre la metà del gruppo composto in prevalenza da donne, ha dichiarato di avere
conseguito un titolo di studio universitario e il 42% di avere un diploma.

L’implementazione del progetto

I campi rom sono considerati come non-luoghi, spazi di segregazione, i campi


informali sono più spesso oggetti di sgomberi forzati senza la protezione fornita dalla
legge. Quando il progetto è stato implementato, il contesto sociopolitico romano
risentiva ancora delle indagini di “mafia capitale” che sono state motivo di una
comprensibile destabilizzazione. Questi eventi hanno compromesso
l’implementazione del progetto. Le principali difficoltà sono state L’accesso ai campi
informali anche a causa della loro elevata instabilità di fiducia tra gli operatori e i rom.
Le attività formative sono state organizzate in tre momenti separati:
-un primo ciclo di sessione dove i target erano rappresentati dal gruppo rom, con
l’utilizzo della Frontal learning, con tematiche sull’identità, pregiudizio, bisogni, diritti,
responsabilità, salute, scuola, occupazione, residenza anagrafica);
-in seconda fase dove la formazione era stata realizzata con i dipendenti del Comune
di Roma e gli operatori del terzo settore; Suddiviso in tre moduli: diritti umani, non
discriminazione/integrazione delle minoranze; il nuovo piano rom; e la valutazione
delle politiche di inclusione.
-infine, nella terza parte con la partecipazione di entrambi i gruppi. Con attività
cooperative e di Mutual learning. Il progetto si è concluso con una conferenza tesa
disseminare i risultati del progetto.

Apprendimento come chiave per la soggettività

Durante gli incontri sono stati presentati dei video informativi per creare un dibattito.
In questo processo l’uso del gioco di ruolo o le storie sono state fondamentali. La
comprensione del sé come soggetto e poi come soggetto di diritto sono stati i primi
passi nel processo di costruzione identitaria. A questo fine sono stati utilizzati due
strumenti: “il gioco del fiore” e “il gioco della rete dei bisogni”, sono giochi per
auto definirsi e riconoscersi come soggetti. L’uso del gioco è stato utile anche per
le tematiche legate all’istruzione e alla salute. Nel progetto abbiamo utilizzato anche
“il gioco dei pesi”, per formare il gruppo rom a identificare il cibo sano per loro e le
rispettive famiglie. Inoltre, abbiamo affrontato la questione della salute femminile
grazie al supporto di un’ostetrica. Durante il modulo dedicato alla salute è stata
affrontata anche la tematica del “codice Eni “e del codice fiscale: le Asl e gli uffici
delle entrate precludono l’accesso a questo codice. Per gli individui che non
presentano un titolo di residenza. In realtà dovrebbe essere possibile avere un codice
fiscale fornendo qualsiasi indirizzo senza dover dimostrare di essere residenti in
Italia. Questo è un paradosso burocratico che fino ad ora non ho trovato soluzione e
che produce esclusione per una minoranza già fortemente discriminata.

Apprendimento come chiave per la cittadinanza sociale

Le azioni di formazione hanno prodotto un clima di collaborazione tra gli operatori e


i ricercatori. Il progetto offerto uno spazio all’interno del quale le esperienze lavorative
svolte nei vari uffici dei municipi romani potessero essere oggetto di comparazione.
Anche con gli operatori sono stati utilizzati alcuni giochi di ruolo come “nato prima
l’uovo o la gallina “. Questi esercizi a permesso di confrontarsi sulle relazioni
intercorrenti tra operatori e rom, sull’uso della discrezionalità, sulle tante disfunzioni
problematiche politiche organizzative. I partecipanti hanno svolto un esercizio di
riflessione critica sulle potenzialità del nuovo “piano rom “adottato da Roma capitale
per lo smantellamento progressivo dei villaggi della solidarietà.
Apprendimento come stimolo alla cooperazione sociale

L’obiettivo principale di questa attività è stato quello di creare un dialogo tra i gruppi
Target del progetto. Questa parte del progetto è stata quella che ha prodotto più
criticità, ma allo stesso tempo la più innovativa. Il gap socioeducativo tra i due gruppi
si è fatto sentire, ma non ha impedito ai rom di esprimersi. Si è discusso molto, anche
con l’intervento di esperti nel mondo rom e di operatori scolastici e del lavoro, sia
dell’ipotesi di introdurre un codice Eni scuola per garantire il diritto allo studio dei
minori rom, sia dell’accesso alla residenza fittizia per i senza fissa dimora.

Conclusioni

In quanto progetto di service Learning, di comunicazione e ascolto sociale,


Romunicare mostra nel confronto con progetti similari alcuni criticità, soffrendo della
complessa problematica del contesto in cui si è svolto e non di meno della
dimensione di scala. Uno degli obiettivi principali di questo progetto è stato quello di
definire delle pratiche per la riduzione del conflitto tra gli abitanti dei campi informali
e i dipendenti pubblici. In Campobasso è attualmente in corso un progetto simile e
dove le più ridotte dimensioni di scala demografica e territoriale, unitamente
condizioni di vita e di inclusione dei rom già più avanzata, potranno avere impatti più
significativi.

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