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Dispensa Istruzione e Formazione
Dispensa Istruzione e Formazione
Istruzione e Formazione
DICHIARAZIONE DI PRINCIPIO:
«AVENDO PRIMARIAMENTE A CUORE UNA FORMAZIONE QUANTO MIGLIORE
POSSIBILE PER LA COMUNITÀ DEGLI STUDENTI DELL’ATENEO FEDERICIANO,
L’ASSOCIAZIONE STUDENTI UNIVERSITARI A.S.U. SCIENZE POLITICHE, PER L’ATTIVITÀ
DI STUDIO, CONSIGLIA SEMPRE L’UTILIZZO DEI MANUALI E DEI TESTI UFFICIALI,
SICCOME ESSI HANNO L’ESCLUSIVO VANTAGGIO DI ESSERE DI PRECISA QUALITÀ
ACCADEMICA E DI FORNIRE, PERTANTO, IL NECESSARIO APPORTO CONTENUTISTICO E
LINGUISTICO RISPETTO ALLA MATERIA TRATTATA; QUALITÀ, QUESTA, CHE NON PUÒ
ESSERE COMPLETAMENTE SODDISFATTA CON LE COSIDDETTE ‘DISPENSE’ O CON I
‘RIASSUNTI’.
TUTTAVIA, AVENDO COSCIENZA DELLE DIVERSE ESIGENZE DIDATTICHE,
EVENTUALMENTE SCATURENTI DA ALCUNI STUDENTI, SOVENTE PER MOTIVI “DI TEMPO”
O SEMPLICEMENTE “PER SCELTA”, LA STESSA ASSOCIAZIONE CI TIENE A METTERE A
DISPOSIZIONE DI COSTORO DEL ‘MATERIALE DIDATTICO INFORMALE’, MA COMUNQUE
DI UNA CERTA RELATIVA CURA.
ASU CI TIENE A RENDERE NOTO A COLORO I QUALI SI SERVONO DELLE SUE
DISPENSE, RIASSUNTI E MATERIALE DIDATTICO INFORMALE, MESSI A DISPOSIZIONE,
CHE IL LORO UTILIZZO NON È E NON PUÒ ESSERE ASSOLUTAMENTE SOSTITUTIVO DEI
MANUALI E TESTI UFFICIALI. L’ASSOCIAZIONE STUDENTESCA, PERTANTO, SI SPOGLIA DI
OGNI RESPONSABILITÀ DIDATTICA, SIA NEI CONFRONTI DEGLI STUDENTI CHE NEI
CONFRONTI DEI DOCENTI.
La propensione alla formazione nelle imprese italiane avuto fin dal 2001 andamento
piuttosto discontinuo, ma anche una maggior difficoltà delle micro, piccole e medie
imprese a stare al passo con le grandi. Solo nelle grandi imprese, ovvero quelle con
più di 250 dipendenti, la formazione continua registra un andamento ascendente
lento ma costante. La difficoltà delle piccole imprese all’intervento informazione
molto probabilmente dovuta ai costi di quest’ultima. Le piccole medie imprese italiane
sono maggiormente propense ad affidarsi per la trasmissione delle competenze al
“training on the job”. Inoltre, è probabile che percorsi formativi rivolti ai dipendenti
siano meno necessari nelle piccole e medie imprese. Per intangibile assets si intende
il capitale immateriale: tra questi, oltre gli investimenti in software, immagine e
marchi, ricerche sviluppo, meritano una particolare attenzione agli investimenti in
formazione. Nel 2012, le imprese italiane che hanno investito in almeno una delle sei
categorie di investimenti intangibili sono pari al 66,8% del totale. Per quanto riguarda
in particolare la formazione, le imprese italiane che hanno investito sono state poco
più della metà. Pertanto, la ridotta dimensione aziendale risulta essere un fattore di
vulnerabilità che rischia di minare pesantemente la competitività dell’impresa italiana
nel mercato globale.
Conclusioni
La dimensione aziendale sempre essere la variabile lenta che impatta sia sui divari
territoriali nord-sud, sia sull’investimento in formazione. Diversi autori stanno
disegnando una nuova strategia industriale europea per una crescita economica. Sul
versante educativo e culturale, urgono soluzioni orientate più alla qualità che alla
quantità, tendenti a valorizzare il capitale intellettuale. Le governance non potranno
non tenere conto della asimmetria territoriale privilegiando misure che favoriscono la
redistribuzione delle opportunità anche alle piccole imprese. Anche le piccole
imprese dovrebbero dotarsi di una visione a lungo termine. Sarebbe utile che
mettano in rete imprese, strutture formative, scuole, università, enti di ricerca. Inoltre,
per porre rimedio alla frammentazione dell’offerta e al mismatch formativo e
professionale, bisogna aprire i mercati del lavoro regionale, superando qualsiasi
tentazione autonomistica di chiusura. Dal punto di vista psicosociale, si aprono nuove
traiettorie di ricerca. Finalmente l’attenzione collettiva comincia a spostarsi dai flussi
migratori in entrata quelli in uscita: la fuga dei cervelli e lo spreco di capitale umano
che depaupera soprattutto il nostro mezzogiorno.
Capitolo 4: istruzione, formazione e lavoro. Le reti territoriali per
l’apprendimento permanente.
Introduzione
L’apprendimento permanente
Organizzazione rete
In Italia negli anni 80 è molto diffuso l’utilizzo del termine rete, si parla infatti di
imprese rete, reti aziendali, rete organizzativa. Prendendo in considerazione
quest’ultime sono tre i principali significati adesso attribuiti: quello di relazioni tra le
diverse organizzazioni per raggiungere obiettivi comuni; connessioni lasche fra
organizzazioni legate da relazioni sociali; insieme di due o più relazioni di scambio.
Butera delinea gli elementi costitutivi delle reti, ed elabora il modello delle quattro C:
comunità professionali; una cooperazione intrinseca; una conoscenza condivisa; una
comunicazione estesa. A caratterizzare l’organizzazione a rete sono:
a) i processi interfunzionali, interaziendali e interistituzionali;
b) la valorizzazione
c) I nodi vitali
d) legami laschi e forti
e) strutture multiple
f) proprietà operativa peculiare
Oggi parliamo di reti come organizzazioni autonomi tra loro interrelate per il
raggiungimento di uno scopo comune. La struttura, che sia pubblico o privata,
partecipa alla rete ma ad occuparsi delle attività strettamente legate ad essa,
generalmente, né una parte. Le relazioni che costituiscono una rete sono
transnazionali. Scambio reiterati, specializzazioni in attività diverse. Possono essere
create relazioni frequenti ed intese e in questo caso conviene parlare di rete di
organizzazioni, come le reti di scuole.
Con l’accordo del 2014 viene chiarito ed evidenziato un dato di rilievo: il diritto
all’apprendimento permanente si configura come un diritto dell’individuo. La
possibilità di apprendere sempre si profila come un diritto di ognuno, esperibili in ogni
fase della vita. Bisognerebbe, quindi, progettare a monte un’organizzazione che
coinvolga attori istituzionali come le regioni, di esempio, che abbiano titolarità e
conoscenze per prevedere un programma di crescita e sviluppo. D’altronde,
l’accordo del 2014 configura una governance multilivello che prevede un contributo:
nazionale, regionale e locale; così, consideriamo la realizzazione di reti territoriali per
l’apprendimento permanente è il frutto di due processi: uno top Down, e l’altro
bottom-up.
Conclusioni
Introduzione
Le condizioni di vita dei Rom che vivono nei campi nell'area di Roma sono
considerevolmente cambiate e degradate. In Italia, circa 40.000 RSC vive in
condizione di estrema povertà. All'inizio degli anni '90 in diversi comuni italiani furono
creati i "Campi Roma" come politica pubblica d'emergenza, ma che sono diventati
dei presidi permanenti: da villaggi a spazi di segregazione sociale. Nel 2008, fu
emanato in seguito all'uccisione di Giovanna Reggiani da parte di un Rom, furono
sgomberati diversi campi e ne furono creati di nuovi, definiti "villaggi autorizzati". I
vari insediamenti nella città di Roma comprendevano una popolazione RSC di circa
8600 persone. La trentennale politica ha continuamente riprodotto preoccupazione
devianza piuttosto che inclusione sociale. G. Maestri identifica tre grandi teorie per
studiare i campi rom: la teoria della vita spoglia; la teoria dei campi come spazio
politico; la teoria del campo come uno spazio di assemblaggio. -la prima teoria
considera i campi come uno spazio sociale dove diritti umani, giuridici e sociali sono
legati
-la teoria del campo “come spazio politico “e considera il processo di soggettivazione
prodotto dai RSC attraverso l’interazione tra gli abitanti e i diversi attori che vi
operano e contribuiscono a creare uno spazio politico.
-la teoria del campo “come uno spazio di assemblaggio “identifica le diverse
sfumature nelle relazioni che si realizzano tra i sovraintendenti del campo e i suoi
abitanti.
Metodi
Il processo autoriflessivo è iniziato con un’analisi dei fabbisogni formativi dei due
gruppi target del progetto: gli operatori e i rom. Nel caso dei rom, è stata condotta
una survey con un questionario. Anche gli operatori di Roma capitale è stato
somministrato un questionario. Tenendo in considerazione però, il background
formativo dei rom, che generalmente non si spinge oltre l’istruzione primaria, il
progetto ha fatto ricorso a strumenti pedagogici alternativi per i questionari.
I gruppi target
I rom sono stati individuati attraverso il lavoro sul campo in diversi accampamenti.
Hanno coinvolto circa 1000 rom presenti in 40 campi informali. Sono stati
somministrati 151 questionari sono stati sottoscritti 51 accordi di partecipazione, ma
il numero finale di partecipanti stato di 30 persone. Questo è avvenuto in seguito una
serie di false notizie diffuse all’interno dei campi. Secondo queste notizie, il progetto
sarebbe stato uno strumento di identificazione dei rom. Gli operatori che hanno
aderito al progetto sono stati 167 provenienti da diversi settori dell’amministrazione.
Oltre la metà del gruppo composto in prevalenza da donne, ha dichiarato di avere
conseguito un titolo di studio universitario e il 42% di avere un diploma.
Durante gli incontri sono stati presentati dei video informativi per creare un dibattito.
In questo processo l’uso del gioco di ruolo o le storie sono state fondamentali. La
comprensione del sé come soggetto e poi come soggetto di diritto sono stati i primi
passi nel processo di costruzione identitaria. A questo fine sono stati utilizzati due
strumenti: “il gioco del fiore” e “il gioco della rete dei bisogni”, sono giochi per
auto definirsi e riconoscersi come soggetti. L’uso del gioco è stato utile anche per
le tematiche legate all’istruzione e alla salute. Nel progetto abbiamo utilizzato anche
“il gioco dei pesi”, per formare il gruppo rom a identificare il cibo sano per loro e le
rispettive famiglie. Inoltre, abbiamo affrontato la questione della salute femminile
grazie al supporto di un’ostetrica. Durante il modulo dedicato alla salute è stata
affrontata anche la tematica del “codice Eni “e del codice fiscale: le Asl e gli uffici
delle entrate precludono l’accesso a questo codice. Per gli individui che non
presentano un titolo di residenza. In realtà dovrebbe essere possibile avere un codice
fiscale fornendo qualsiasi indirizzo senza dover dimostrare di essere residenti in
Italia. Questo è un paradosso burocratico che fino ad ora non ho trovato soluzione e
che produce esclusione per una minoranza già fortemente discriminata.
L’obiettivo principale di questa attività è stato quello di creare un dialogo tra i gruppi
Target del progetto. Questa parte del progetto è stata quella che ha prodotto più
criticità, ma allo stesso tempo la più innovativa. Il gap socioeducativo tra i due gruppi
si è fatto sentire, ma non ha impedito ai rom di esprimersi. Si è discusso molto, anche
con l’intervento di esperti nel mondo rom e di operatori scolastici e del lavoro, sia
dell’ipotesi di introdurre un codice Eni scuola per garantire il diritto allo studio dei
minori rom, sia dell’accesso alla residenza fittizia per i senza fissa dimora.
Conclusioni