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Educare i desideri
“Il desiderio è una benzina così potente
che non sai bene dove ti può portare.
Nel senso che magari inizi quello che pensi sia un viaggetto,
poi ti ritrovi sperduto in una grande avventura…”
Desiderio deriva dalla parola latina desiderium e indica il movimento della volontà verso una cosa che
ci manca. Il verbo «desiderare» che è composto dalla particella de e da siderare (latino sidera) che
significa fissare attentamente le stelle, guardare in alto e orientarsi verso ciò che è più grande, più bello:
le stelle. Desiderare si confonde con la parte irrazionale dell’appetire, ovvero con il volgersi dell’affetto
verso la cosa che non si possiede e che piace. Aristotele evidenzia che nell’uomo la ragione e il
desiderio siano contrari perché «l’intelletto ordina di resistere in vista del futuro, mentre il desiderio
comanda sulla base del presente, giacché ciò che è immediatamente piacevole gli appare piacevole in
senso assoluto, per il fatto che non considera il futuro» (Aristotele, L’anima, G 10, 433 b 5.)
Desiderare è lo spingersi della persona verso l’affascinante, l’attraente. Desiderare è rifiutare, ciò che
va contro la consueta funzionalità utilitaristica – e un po’ opportunistica - della logica quotidiana in cui
siamo soffocati. Il desiderio è una delle dimensioni più belle dell’uomo, riflette il suo essere profondo
in quanto realtà permanentemente aperta, è il segno della sua grandezza. Desiderare è proprio di chi è
capace di futuro, è attesa della novità, della felicità possibile. Dare corpo ai propri desideri significa
saper cogliere l’essenza di noi e del nostro essere nel mondo. “La grandezza, non consiste nell’essere
questo o quello, ma nell’essere se stesso, e questo ciascuno lo può se lo vuole” (Jevolella, 2010 p. 34).
E la gioia è l'esperienza che si produce in noi quando otteniamo che si realizzi un desiderio. Una vita
sensata, è una vita armonizzata in cui non si tralascia ciò che la ragione e il cuore ci dicono. Avere cura
dell’esistenza significa ascoltare la ragione e il cuore. I desideri nascono proprio dalla mente e del
cuore, per questo non si può non ascoltare la loro voce. L’acquietarsi, adattarsi, rassegnarsi senza
lottare significa vivere nella quieta disperazione, di chi non potendo o volendo, non prende in mano la
propria vita e non la fa diventare il viaggio straordinario che si merita. Il desiderio pertanto alimenta
l’esistenza di ciascuno e lo sostiene nella ricerca della sua realizzazione piena. Occorre prendere in
mano le sorti del proprio viaggio, affinché guardandosi indietro si possa essere certi di aver fatto tutto il
possibile. E fare tutto il possibile significa innanzitutto ascoltarsi per conoscersi e far emergere la verità
di se stessi.
Per coltivare i propri desideri bisogna conoscersi, che di per sé è un compito infinito. Conoscersi è
pensare se stessi, volendo portare a compimento ciò che la ragione coglie del progetto inscritto nella
propria storia e nella propria singolarità con il cuore e la libertà liberati verso ciò che è la vera pienezza
compresa di sè. Prendersi cura di sé oggi è confuso con il prendersi cura del proprio piacere, e non
come come riflessione su di sé e sul proprio esistere a favore della realizzazione della propria storia.
Lavorare su se stessi significa andare in profondità per scoprire quali sono i nostri veri desideri e capire
come realizzarli. Ridare voce a questo desiderio che è desiderio di realizzazione significa riconoscere
che il proprio presente contiene la possibilità di futuro come compimento della propria storia. Significa
poter vivere con maggior consapevolezza l’esistenza: imparare ad essere partecipi del proprio percorso
attraverso una riflessione che si prenda cura e che sappia orientare nelle scelte quotidiane. Occorre
essere artefici del proprio divenire attraverso un auto-educazione che agevoli la scoperta, la ricerca e
l’azione verso la propria realizzazione.
“Educare il desiderio” è importante e urgente.
Educarsi è lavorare a una continua realizzazione di sé e dei propri desideri. Il compito dell’educazione
è quindi quello di far emergere in primo luogo i desideri, discernerli e poi, accompagnare nella ricerca
della loro realizzazione. Educare è far scoprire i propri desideri, portarli alla luce, nominarli, vagliarli e
dar loro compimento. Da qui è importante sottolineare che nel processo educativo occorre “sostenere il
desiderio dell’altro di esistere pienamente, senza per questo imporre all’altro il proprio desiderio, il
proprio modo di dare senso alla vita” (Mortari, 2006, p. 132). È un’educazione che offra la possibilità
della scoperta e della ricerca attraverso la riflessione. È un’educazione che offre gli strumenti, che
‘attrezza’ chi li sta comprendendo per poi permettergli di camminare anche da solo all’interno della
società in cui si vive, con la consapevolezza della necessità di verificare, accrescere e realizzare il
proprio desiderio di bellezza e di pienezza in relazione con le differenti età della vita. Già “Socrate
indica il compito primo dell’educatore nell’aver cura dei giovani, affinché essi apprendono la capacità
di aver cura di sé, intesa come cura dell’anima attraverso la ricerca della saggezza e della verità” e
quindi “educare significa […] educare ad aver cura di sé (epimeleia eautou)” (Mortari, 2006, p. 13).
‘Divenire se stessi’ o, meglio, divenire il proprio poter essere […] va interpretata nello spazio
ermeneutico aperto all’ontologia relazionale, dove assume il significato di chiamare l’altro a disegnare
il profilo unico e singolare del proprio essere nel bel mezzo della tessitura di relazione in cui il proprio
divenire viene annodandosi” (Mortari, 2006, p. 36).
Il soggetto attribuisce senso e significato alla propria esperienza e in questo atto generativo la mente è
dotata di una particolare processualità che porta alla riflessione. La formazione scolastica e
universitaria quindi devono essere in grado di sviluppare le capacità riflessive sul fare, ma soprattutto
sull’essere. Attraverso la rielaborazione interiore della propria esperienza, il giovane deve essere
sostenuto nel fare chiarezza su se stesso e su ciò che desidera, cioè a fare del proprio vissuto terreno di
esplorazione e di analisi. Occorre pertanto dare ai giovani strumenti utili per la propria vita così che
possano sempre trovarsi pronti e preparati nell’affrontare il nuovo, lo sconosciuto e le eventuali battute
di arresto o fallimento. Infatti il sapere precostituito e formulato da altri spesso non copre tutte le
necessità che il caso e l’imprevedibilità possono metterci davanti. E proprio per questo occorre
sviluppare la capacità di riflessione che aiuta nell’avere cura di sé e nel far maturare scelte consapevoli
e soggettive. Edmund Husserl attribuisce alla riflessione “un’universale funzione metodologica”
(Husserl, 1965, p. 163). “La riflessione è un atto cognitivo che coglie il vissuto nel suo dispiegarsi nel
mondo” (Mortari, 2004, p. 54). Prendere l’esperienza vissuta come campo d’indagine privilegiato
significa mettere al centro la soggettività, cioè il senso interno delle cose” (Mortari, 2004, p. 57).
Logicamente il significato che nasce dall’esperienza propria del soggetto è una verità soggettiva che
non vale per tutti gli altri ma “a partire dalla verità soggettiva si può costruire una verità
intersoggettiva, che passa attraverso il confronto del significato che ciascuno ha costruito dalla propria
esperienza” (Mortari, 2004, p. 57). Da qui la necessità di contesti educativi in cui confrontarsi e
dialogare per poter accrescere e condividere il proprio sapere esperienziale e imparare ad aver cura di
sé. Questo serve a dare maggior valore alla riflessione come strumento per la cura di sé. E proprio
decostruendo l’esperienza vissuta si può comprendere ciò che serve alla costruzione della propria
identità e della propria realizzazione.
Bisogna pertanto potenziare all’interno dei contesti scolastici e universitari la didattica del laboratorio
riflessivo, che affiancando gli insegnamenti disciplinari, può offrire spazi di condivisione e di sviluppo
di un pensiero critico attorno a se stessi, ai propri desideri e alla vita presente e futura. Lo studente in
questo modo può lavorare alla costruzione di sé e al dare ascolto al proprio desiderio di realizzazione
attraverso un ruolo attivo che si attua nella messa in comune dei propri pensieri ed emozioni e nella
riflessione insieme attorno ad essi. Sperimentando quest’attività il giovane può imparare a riflettere e a
prendersi dei momenti in cui ragionare attorno a cosa vuole fare, ma soprattutto essere nella sua vita nei
contesti esistenziali. In questo modo potrà comprendere l’importanza del prendersi cura attraverso la
riflessione su di sé e del proprio desiderio di realizzazione. Per questo la Scuola e l’Università devono
aprirsi a nuove modalità di fare educazione e saper guardare all’unicità di ogni studente valorizzandola
in un’ottica di realizzazione individuale e sociale. La costruzione dell’uomo che passa attraverso
un’educazione di questo tipo genera processi di crescita e di impegno nella costruzione di sé. Occorre
allora favorire un’educazione che apra i giovani al futuro e alle possibilità con serenità e soprattutto sia
anche in grado di offrire strumenti che favoriscano una continua auto-educazione di se stessi lungo
tutto l’arco della vita.
L’uomo è umano perché è relazione, non può comprendersi né definirsi senza il riferimento all’altro.
Questo principio essenziale oggi è tendenzialmente sostituito da una (dis)educazione al desiderio
autoreferenziale che si chiude in una soggettività esasperata, come adesione al piacere individuale, del
possesso o del capriccio personale, incapace di trovare un giusto equilibrio tra le esigenze proprie e
quelle di chi lo circonda e lo costituisce persona.
Il desiderio è una risorsa delicata da gestire: se non controllata porterebbe ad una vita senza freni e
schiava degli impulsi. Il desiderio potrebbe anche rievocare le sofferenze più forti ricevute nella vita:
un affetto non corrisposto, un’amicizia tradita, un bel gesto incompreso..., una serie di situazioni in cui
l’apertura di sé e l’espressione di ciò che si aveva di più caro ha comportato ferite profonde. Da qui la
tentazione di concludere che una vita senza desideri sarebbe tutto sommato più tranquilla, ordinata e
stabile. Il desiderio non può tuttavia essere cancellato così facilmente. Desideri e affetti, nel loro
binomio inseparabile, costituiscono l’elemento basilare della vita psichica, intellettuale e spirituale,
sono la sorgente di ogni attività; pur apparendo spesso un insieme caotico e complicato, essi rimandano
a realtà fondamentali e necessarie che danno sapore alla vita, perché la rendono interessante, «gustosa».
«La perfezione suprema per il buddismo è “uccidere il desiderio”.
«Il desiderio porta calore, contenuto, immaginazione, gioco infantile, freschezza e ricchezza alla
volontà. La volontà dà l’auto-direzione, la maturità del desiderio. La volontà – verificata dalla ragione -
tutela il desiderio, permettendogli di continuare senza correre rischi eccessivi. Ma senza desiderio, la
volontà perde la sua linfa vitale, la sua vitalità e tende ad estinguersi nell’autocontraddizione o nella
coazione a ripetere. Se avete solo volontà senza desiderio, avete lo sterile, neopuritano uomo vittoriano.
Se avete solo desiderio senza volontà, avete la persona forzata, prigioniera, infantile che come un
adulto-rimasto-bambino può diventare l’uomo robot».
Quando il desiderio è vero, autentico, porta ad operare una radicale ristrutturazione, a «mettere ordine
nella propria vita», giungendo ad essere un uomo capace di gustare e godere di essa, in altre parole di
essere contento. Ma che cosa si intende con il termine «desiderio»? E come è possibile riconoscerne la
possibile autenticità e profondità?
Desiderio
1. costante
2. «agito»
3. Trascende la dimensione corporea
4. Trascende qualunque oggetto di soddisfazione
Bisogno
1. Intermittente
2. subìto
3. riferito alla dimensione corporea
4. ha bisogno di un oggetto per soddisfarsi
Mortari, L. (2004). Apprendere dall’esperienza. Il pensare riflessivo nella formazione. Roma: Carocci.
Mortari, L. (2006). La pratica dell’aver cura. Milano: Bruno Mondadori.
“Il Signore chiede tutto, e quello che offre è la vera vita, la felicità per la quale siamo stati creati. Egli
ci vuole santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre, annacquata,
inconsistente” (Papa Francesco, Gaudete te exsultate, n. 1, 2018).
“È in forza di questo dono (essere stati generati alla vita e alla fede) che sappiamo che venire al mondo
significa incontrare la promessa di una vita buona e che può essere accolto e custoditi è l’esperienza
originaria che inscrive in ciascuno la fiducia di non essere abbandonato alla mancanza di senso e al
buio della morte e la speranza di poter esprimere la propria originalità in un percorso verso la pienezza
della vita.” (I giovani, la fede e il discernimento vocazionale, 2017, p. 27)
EDUCARE AL DESIDERIO
EDUCARE IL DESIDERIO
IL DESIDERIO DI EDUCARE
Educare il desiderio
L’educazione come dono tra le generazioni
“Il dono è l’apertura del nostro essere alla presenza dell’altro per renderlo attore della sua propria vita”.
Vi è una sorta di “genealogia del dono”, doniamo qualcosa che abbiamo ricevuto da altri.
(J-C. Sange, La loi du don, PUL, 1997, p. 171.)
“Se abbiamo noi stessi una vocazione, se non l’abbiamo rinnegata o tradita, allora possiamo lasciar
germogliare [i nostri figli] quietamente fuori di noi, circondati dell’ombra e dello spazio che richiede il
germoglio di una vocazione, il germoglio d’un essere. Questa è forse l’unica reale possibilità che
abbiamo di riuscir loro di qualche aiuto nella ricerca d’una vocazione, avere una vocazione noi stessi,
conoscerla, amarla e servirla con passione: perché l’amore alla vita genera amore alla vita”
(Natalia Ginzburg, Le piccole virtù)
Il desiderio di educare
Chi educa è sollecito verso una persona concreta, se ne fa carico con amore e premura costante, perché
sboccino, nella libertà, tutte le sue potenzialità. Educare comporta la preoccupazione che siano formate
in ciascuno l’intelligenza, la volontà e la capacità di amare, perché ogni individuo abbia il coraggio di
decisioni definitive. (Educare alla vita buona del Vangelo)
“Qui troviamo il paradosso di ogni educazione, che consiste nell’aiutare una libertà a realizzarsi, poi a
crescere. In ultima analisi, l’educazione dà alla persona che viene educata i mezzi per fare a meno
dell’educatore. Più esattamente, l’educatore dà alla persona, l’aiuta ad acquisire i mezzi per la propria
autonomia, il che significa che egli non mira ad essere indispensabile”.
(X. Lacroix, Passatori di vita, EDB, 2005, p. 200)
In questo quadro si inserisce a pieno titolo la proposta educativa della comunità cristiana, il cui
obiettivo fondamentale è promuovere lo sviluppo della persona nella sua totalità, in quanto soggetto in
relazione, secondo la grandezza della vocazione dell’uomo e la presenza in lui di un germe divino.
(Educare alla vita buona del Vangelo)
Educare e generare
Esiste un nesso stretto tra educare e generare: la relazione educativa s’innesta nell’atto generativo e
nell’esperienza di essere figli. L’uomo non si dà la vita, ma la riceve. Allo stesso modo, il bambino
impara a vivere guardando ai genitori e agli adulti. Si inizia da una relazione accogliente, in cui si è
generati alla vita affettiva, relazionale e intellettuale. (Educare alla vita buona del Vangelo)
Il maestro
“E allora il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare “i segni dei tempi”, indovinare negli
occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso”
(Don Lorenzo Milani, Lettera ai giudici, Barbiana, 18 ottobre 1965)
Portate i vostri bimbi sulle spalle, che i loro occhi possano guardare lontano
Proverbio africano