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Insegnare Storia Monducci
Insegnare Storia Monducci
RIASSUNTO di
INSEGNARE STORIA
Il laboratorio storico e altre pratiche attive
A cura di Francesco Monducci
Introduzione a livello ufficiale delle pratiche laboratoriali nei programmi delle scuole elementari del
1985 e nei programmi per i licei e gli istituti tecnici elaborati dalla Commissione Brocca nel 1988.
Dal 1996 al 2001 è stato operato un profondo ripensamento riguardo all’organizzazione e alla
trasmissione del sapere in ambito scolastico, che ha sottolineato sempre di più l’importanza
dell’apprendimento attraverso l’esperienza e ha introdotto la nozione di competenza.
Nel 2006 furono enunciate dal parlamento Europeo e dal Consiglio d’Europa le “competenze chiave
per l’apprendimento” definite anche “competenze europee”. In particolare, tutti gli Stati membri
all’UE venivano invitati a sviluppare l’offerta di tali competenze, ritenute essenziali per la
realizzazione e lo sviluppo personali, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione.
Di conseguenza, in Italia nel 2007 venne emanato un decreto ministeriale che suddivideva le
competenze ripartendole per assi culturali (asse dei linguaggi, asse matematico, asse scientifico-
tecnologico, asse storico-sociale). In questo modo sono nate le competenze di base che ciascun
allievo deve aver conseguito al termine dell’obbligo scolastico e che sono oggetto di una specifica
certificazione.
Siccome non tutte le competenze potevano rientrare negli assi culturali furono ideate anche “le
competenze chiave per la cittadinanza” dal carattere trasversale, anch’esse da conseguire al termine
dell’obbligo scolastico.
È importante sottolineare che esiste una strettissima connessione tra pratica laboratoriale e la
nozione di competenza. La pratica laboratoriale infatti induce un sapere profondamente umanistico
e significativo, contestualizzato alla realtà e implica un coinvolgimento attivo dei discenti spinti a
porsi questioni, a collaborare e confrontarsi per ricercare soluzioni e di conseguenza a crescere
anche come persone.
La didattica per competenze spinge non solo verso la costruzione di un curricolo verticale ovvero di
un percorso didattico-educativo finalizzato alla graduale acquisizione di conoscenze, abilità e
comportamenti nell’arco dei cicli scolastici ma promuove anche, per il carattere trasversale delle
competenze medesime, la costruzione di curricoli orizzontali ovvero la progettazione di attività
multidisciplinari (compiti di realtà).
Il docente diviene una guida esperta e cambia il modo di valutare: non si esamina più solo il
prodotto (rivelatore dell’acquisizione di conoscenze e abilità) ma per valutare le competenze si
esamina l’attività in quanto tale attraverso azioni sistematiche, relazioni dello studente stesso o
questionari a lui rivolti.
In questi anni la storia è diventata oggetto di un mercato fruttuoso alla quale si accede in qualità di
consumatori. Fino a qualche anno fa la scuola era l’unica agenzia di socializzazione di massa che si
faceva carico dei contenuti storici mentre oggi la storia sembra prevalere soprattutto fuori dalla
scuola (è nata una Public history che si distingue dalla storia tradizionale).
Sono avvenuti mutamenti profondi che hanno bisogno di una nuova sensibilità.
Questo tema rimanda alla formazione sia iniziale sia in servizio dell’insegnante.
È fondamentale credere nella significatività della conoscenza storica come elemento
imprescindibile per la formazione della persona e del cittadino.
APPENDICE:
Associazioni disciplinari italiane ed europee
1. MCE (movimento di cooperazione educative). Il MCE è un’associazione professionale nata
nel 1951. Ha avuto un ruolo centrale nel promuovere il rinnovamento delle pratiche
didattiche nel segno dell’attenzione data alla cooperazione, all’inclusione e
all’apprendimento attraverso il fare.
2. LaNDiS (laboratorio Nazionale per la Didattica della Storia). Si occupa della formazione
iniziale e in servizio degli insegnanti e appartiene alla rete degli istituti storici collegati
all’INSMLI (istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia).
L’INSMLI pubblica online la rivista Novecento.org specializzata in temi della didattica
della storia.
1.2.2 Paradosso numero 1: buone finalità che possono anche fare a meno della storia
Quando si vuole definire un perché studiare la storia senza tener conto del come si studia la storia si
sta
proponendo di insegnarla considerando irrilevanti i suoi tratti specifici, ovvero senza tener conto di
quel che gli storici hanno da dire su come funziona il loro mestiere e su ogni determinata questione
di loro competenza. Significa che si mira a grandi finalità quali la formazione di atteggiamenti
personali, etici e politici orientati verso la pace, la libertà ecc. lodando il valore educativo della
storia e scegliendo tra i fatti solo quel che vi sia di edificante.
La storia si insegna per far sorgere negli studenti un adeguato “senso storico” ovvero per condurli a
pensare e sentire storicamente e a percepire nella realtà che ci circonda un modo peculiare di
esistenza oggettiva: la
dimensione della storicità.
L'insegnamento non si limita alla storia contemporanea ma si estende anche a quel che è più o meno
altro da noi, che dobbiamo sforzarci di comprendere nella sua storicità.
La storia si insegna per far sorgere una coscienza storica: un'applicazione al presente del senso
storico stesso e una precondizione di ogni agire razionale nel presente e sul presente.
L’accomodante via di mezzo ha il difetto di voler dare ragiona a tutti e in negativo si guarda solo
dagli estremi. Promette di tentare una via positiva che diventa una terza direzione e porta a
distinguere il modesto “venire a sapere” dal senso proprio di imparare. Come vengono ricavate le
conoscenze storiche? Come funzionano la ricerca e il ragionamento storico? In che misura è ampio
il dubbio su ciò che sappiano? Cosa non sappiamo e magari non sapremo mai?
In passato i libri scolastici contenevano dei documenti denominati letture storiche ma oggi si dà per
scontato che devono contenere piuttosto dei laboratori. Simili laboratori possono essere realizzati in
maniera stancamente rituale e avere altri difetti. Bisogna però riconoscere che l'analisi intensiva dei
documenti (linguaggio e parole-chiave, determinazione dei fatti, integrazione, comparazione ecc.)
non hanno niente a che fare con le passive letture di una volta.
Una volta assodata l'ovvia verità che insegnare tutta la storia è un'illusoria pretesa, si può pensare
che la
determinazione del che cosa insegnare venga fatta tenendo conto delle altre due funzioni del perché
e del
come. Una buona risposta è: ciò che contribuisce davvero a costruire il senso della storia in unione
con il
possesso dei buoni metodi.
Ciò che si ricava sono centri maggiori di focalizzazione che non hanno la peculiarità di svilupparsi
su ampie e coerenti cronologie e intorno a un numero di temi gestibili nei tempi scolastici. Centri di
questo genere: la vita materiale (come sono cambiate negli ultimi tre secoli le condizioni della vita e
della morte?) e la vita mentale (la rappresentazione del tempo, dello spazio, dell’aldilà), la forma
politica Stato e la sua variante Stato nazionale, la guerra e la pace, la storia comparata del mondo
(fino a quando l'Europa è stata un mondo di Barbari?) e meglio ancora la storia del mondo come
interazioni successive (come ha fatto l'Europa a dominare il mondo?).
rapporto di omologia fra documenti scelti per l'uso didattico e l'intero universo da cui derivano, di
condurre gli studenti a costruire le minime competenze critiche e operazionali nonché la capacità di
trasferirle su materiali diversi.
L'idea del laboratorio di storia nacque dall'esigenza di offrire a insegnanti e studenti la capacità di
leggere il passato attraverso la concretezza del gesto storiografico per raggiungere una più avvertita
consapevolezza del presente.
Dopo qualche anno sorsero i primi ambienti didattici adeguati a tali esigenze e si cominciò a
scandagliare come e a quali livelli si potesse operare.
Nasce la contrapposizione tra laboratorio inteso come metodo e laboratorio inteso come aula
specifica.
L’idea cardine che sta dietro all’idea del laboratorio di storia è che l’apprendimento della storia
debba avvenire attraverso calibrate operazioni di tipo storiografico, offrendo materiali e strumenti
per rendere gli allievi e le allieve non passivi destinatari ma COSTRUTTORI di percorsi di storia.
Un’aula attrezzata a tale scopo è solo un’opportunità in più.
Il laboratorio di storia quando si svolge in un ambiente attrezzato è destinato a molte funzioni
integrate: dai lavori di gruppo alla ricerca bibliografica e quindi alla consultazione di testi,
documenti, immagini, mappe, carte geografiche ecc…
In realtà nella scuole raramente sono state allestite aule di questo tipo sia pe diffuse carenze edilizie
sia perché non si è ritenuto opportuno investire risorse in questo campo comunque bisognoso di
attrezzature scientifiche.
L’avvento della tecnologia ha introdotto in numerose aule scolastiche la LIM. Senza una vera
didattica laboratoriale completata dalla competenza tecnologica, gli insegnanti finiscono per
utilizzarle soltanto come proiettori. Di conseguenza questo nuovo strumento utilizzato solamente
come proiettore va a potenziare la centralità del docente, agendo da rinforzo ad una pedagogia
trasmissiva in cui lo studente resta passivamente ai margini dell’operazione di apprendimento.
L’innovazione didattica in questo caso si riduce semplicemente alla sostituzione dell’antica lavagna
d’ardesia con uno schermo multimediale.
Sia che l’attività laboratoriale di storia, con o senza LIM o strumenti tecnologici, si collochi in
un’aula specifica o nell’aula di classe, resta comunque identico un problema che riguarda la
progettazione curricolare ovvero agli insegnanti si propone una scelta: affiancare di tanto in tanto
l’attività condotta con il metodo del laboratorio a quella quotidiana tradizionale seguendo due
metodi divergenti oppure incardinarla nella logica di un progetto complessivo.
In realtà è opportuno che le esperienze di laboratorio siano limitate come numero ma
“emblematiche e significative” e, soprattutto, che esista una relazione coerente tra il tempo che vi si
impiega e gli obiettivi curricolari che si intendono raggiungere.
L’apprendimento della storia richiede tempi e modi diversi, il lavoro in comune e la riflessione
individuale, l’osservazione, l’ascolto, la lettura intensiva e la lezione frontale, la discussione, la
scrittura e il confronto, la produzione didattica e la valutazione del lavoro solto. Tali momenti
potranno essere tanto più integrati in un curricolo complessivo quanto più l’insegnante avrà la
possibilità di accompagnare i suoi allievi tra il laboratorio d’aula e l’aula-laboratorio, dall’edificio
scolastico verso l’esplorazione del territorio e delle sue tracce storiche, per tornare nell’ambiente del
lavoro quotidiano, dove si può mettere a fuoco e organizzare il percorso fra il passato e il presente.
Poter fruire di un’aula dedicata alla storia vuol dire costruire un archivio delle attività e dei loro
risultati destinato ad arricchirsi nel tempo, utile anche per la formazione in itinere degli insegnanti.
Il laboratorio può essere un punto di osservazione privilegiato, perché quando gli allievi e le allieve
lavorano ad un progetto condiviso in modo differenziato rivelano i loro problemi e le loro
possibilità da cui l’insegnante può partire per creare un ponte tra il passato e la realtà del presente.
L’attività nel laboratorio, dialogica e coinvolgente, offre un’esperienza vissuta in cui si creano
rapporti di vario tipo.
Il laboratorio di storia è un grande mediatore inclusivo perché di fronte a compiti differenziati,
intelligentemente calibrati, ma integrati perché uniti negli stessi obiettivi per il gruppo e per la
classe, le abilità e le disabilità hanno modo di incontrarsi senza correre il rischio di essere sottoposte
a un giudizio di valore.
Questo contesto può generare autostima, tensione verso il meglio di sé, integrazione: tutti avranno
partecipato al compimento di un passo avanti nella comprensione del passato.
Nel progetto laboratoriale agli alunni viene affidata la responsabilità del loro sapere e viene
attribuito un valore positivo alla relazione tra pari educando all’ascolto reciproco e si valorizza la
funzione dell’insegnante come adulto di riferimento e come architetto dell’interno progetto.
È stato osservato che nei momenti didattici che richiedono l’impegno di tutta la persona, il sapere
conquistato non si smarrisce facilmente dalla memoria individuale.
In tale contesto la scuola può far compiere anche un attivo apprendistato alla democrazia, alle sue
regole e ai suoi valori.
L’ordine cronologico dei programmi non corrisponde affatto ai ritmi di sviluppo delle capacità
cognitive. Il mondo antico non è più facile da apprendere rispetto a quello contemporaneo ciò che
si può fare è mettere a fuoco il modo in cui nei bambini si formano le basi della conoscenza della
storia.
Troppo spesso invece quando si insegna storia si privilegiano i contenuti di ogni capitolo, si fa un
atto di fede sulla possibilità che i nessi logici a sostegno del discorso siano acquisiti naturalmente
come impressi dall’immagazzinamento dei dati. In realtà, non solo i concetti storici non sono dati
puntuali ma la rete dei loro nessi è un tipo particolare di intreccio che rimanda ad altri intrecci
includendo diverse dimensioni del reale.
Fin dai primi anni i bambini e le bambine portano a scuola dall’ambiente sociale un tessuto di idee,
preconcetti, valori e valutazioni attraverso cui viene filtrata ogni nuova acquisizione proposta dalla
scuola. Lo stesso lessico specifico delle discipline viene continuamente rapportato alle conoscenze
linguistiche acquisite nelle mille forme dell’esperienza quotidiana.
(gli alunni cosa intendono per “spazio”, “tempo”, “durata”, “società” ecc..? )
È necessario costruire un ambiente capace di governare la sintesi tra i saperi spontanei e quelli
esperti ovvero un ambiente formativo in cui l’adulto (garante per le prassi, i metodi e le regole di
scambio) sia sostegno e guida affinché i percorsi individuali si sviluppino attraverso il confronto
con saperi collettivi e tra diversi punti di vista, stabilendo le relazioni concettuali su cui si fonda il
comprendere.
Di conseguenza, la comunicazione didattica si deve trasformare accogliendo il rapporto molti-a-
molti (gli alunni comunicano tra di loro e con l’insegnante, in gruppi sempre ricombinati secondo le
esigenze).
Tutto ciò designa un apprendimento cooperativo per il quale esistono diverse impostazioni teoriche.
In ogni caso “ricerca” e “gruppo” sono un binomio inseparabile che rivoluzione i processi di
apprendimento dando la possibilità di ricombinare sempre relazioni simmetriche e asimmetriche
che costituiscono la struttura del rapporto didattico.
La conoscenza è un obiettivo che si raggiunge nel tempo ma è sempre poca cosa se non dà la
coscienza di poter superare limiti e difficoltà se non accresce la voglia di capire e se non avanza di
pari passo la consapevolezza di ciò che si sa, e di come si sa, di ciò che si sa fare, di ciò che si
crede, e perché lo si crede.
Gestire i propri processi e saperli valutare è il cuore dell’apprendimento che, oltre gli steccati
disciplinari, rinforza i diversi stili di conoscenza e aiuta a misurarsi con problemi relazionali quando
A scuola è entrato in crisi il canone della cosiddetta “storia universale”, definizione contradditoria
che si riferiva a una selezione di temi, soggetti, e spazi proiettati in una dimensione totalizzante.
Questa storia non è mai riuscita a rendere conto del rapporto tra le diverse dimensioni del passato e
il presente e si è resa dunque incapace di toccare le “questioni socialmente vive” su cui si
costruiscono le relazioni umane delle nuove generazioni.
La storiografia da tempo ha mutato il suo oggetto, passando dalla dimensione “universale” ad una
molteplicità di punti di vista, portando alla luce diverse realtà soggettive, muovendosi secondo una
pluralità di scale spaziali fino a quella planetaria, scompaginando stereotipi, affrontando nuovi
campi di ricerca: si è passati dalla storia alle storie.
Ciò si riflette nell’estensione sempre maggiore dei manuali e nell’arricchimento dei loro apparati
documentari e iconografici.
La funzione della scuola non è quella di prestarsi alla costruzione di religioni e riti laici ma di
percorrere il tempo e gli spazi con gli occhi ben aperti per rintracciare i segni del passato nel
presente e su di essi costruire progetti per il futuro. Questo compito è fondamentale soprattutto in un
tempo in cui metodi ed epistemologia sono rivoluzionati dalla “storiografia digitale”.
Non è impossibile stabilire un’impalcatura (scaffolding) che regga questa complessa arrampicata
verso il sapere storiografico. Per fare ciò occorre:
Un’idea della scansione delle fasi necessarie nel tempo formativo, che si promuova un
apprendimento che si accresca non per accumulo di dati ma per potenziamenti successivi dei
livelli di comprensione.
Uno spazio didattico che assecondi le scelte e aiuti a porre in atto le potenzialità degli
studenti, degli insegnanti, della scuola in generale
Ragionare secondo un curricolo e non secondo azioni sporadiche di avvicinamento al
dominio dello storico
Capacità laboratoriale che tenga insieme le ragioni della didattica, della pedagogia e della
storiografia.
2.3 Laboratorio-laboratori
Lo spazio attrezzato per costruire la storia è il luogo in cui diventa realtà concreta la metafora
dell’officina come modello di apprendimento.
I ragazzi che operano in laboratorio non sono storici, anche se usano alcuni strumenti della ricerca.
Esempio:
a. Quando uno storico pone un problema, lo fa conoscendo il contesto storiografico in cui esso
si colloca mentre la domanda cognitiva dei ragazzi non ha parametri di riferimento compiuti.
b. Lo storico sa muoversi tra i documenti e gli archivi seguendo regole del suo mestiere mentre
lo studente, nella stessa situazione, annasperebbe infruttuosamente.
Ogni esperienza di laboratorio può essere valutata tenendo conto di vari elementi:
L’ambito scolastico in cui si inserisce (curricolare o extra-curricolare)
Il contesto educativo (approfondimento, nodo cognitivo orientante, occasioni specifiche
(come la Giornata della memoria) o altro…)
La motivazione (cognitiva, affettivo-valoriale, ecc…)
L’organizzazione (lavori individuali, di gruppo e collettivi; direttività e autonomia; tempi e
spazi; tipologie di attività; ecc…)
La consegna del compito e le sue regole
Strumenti e materiali (forniti e ricercati…)
Prodotto/i
La valutazione (in itinere e finale, individuale e collettiva, orizzontale tra pari, verticale da
parte della guida didattica ecc…)
Una prima modifica del rapporto insegnamento/apprendimento può essere considerato l’uso critico
del manuale. Antonio Brusa ritiene che le prime abilità di studio consistono nell’autonomia nel
reperire le informazioni ovvero la capacità di sfogliare un libro cercando da soli le notizie utili per
risolvere determinati problemi.
Successivamente, può offrire ai ragazzi documenti trattati come “testimoni della verità” oppure, in
opzioni metodologiche diverse, come materiale su cui compiere determinate operazioni di controllo
della comprensione, di lettura analitica, di sintesi. Se gli esercizi non conducono ad un
apprendimento di qualità superiore a ciò che la narrazione di storia già offre, si tratta di semplici
ridondanze rispetto al manuale. Se, invece, si indicano operazioni anche in parte autonome si
stimola un processo di avvicinamento alla storiografia. Si ricorre talvolta, per l’approfondimento, a
dossier composti da diversi tipi di fonti e di brani storiografici. Ciò che conta è l’uso che si fa di
tutto questo.
La via principale per apprendere le regole e le procedure specifiche dell’indagine storica resta il
lavoro di analisi su materiali, “tracce” che diventeranno “fonti” solo se si saprà interrogarle e
“documenti” quando si saprà connetterli in un contesto significativo. Ciò conduce più da vicino al
lavoro che svolge lo storico negli archivi.
In particolare, siccome gli archivi spesso non sono accessibili o non sono attrezzati per ricevere
scolaresche numerose, alcuni studiosi ritengono che si possano costruire degli “archivi simulati” in
cui i documenti, organizzati secondo le categorie archivistiche originali, sono fotocopiati e corredati
da indicazioni e trasposizioni linguistiche secondo le necessità e consentono, in misura rapportata al
livello dei ragazzi, operazioni coerenti con quelle che si compiono nell’ambiente reale.
I documenti in realtà al giorno d’oggi non si trovano solo negli archivi e non sono soltanto cartacei.
Il web infatti è un inesauribile giacimento. La rete però è un giacimento senza limiti e non
controllato. Ciò pone il problema dell’esattezza e dell’attendibilità dei documenti.
Il processo di costruzione della storia inizia, di solito, con il reperimento delle fonti. Nell’officina
della storia, esiste, corrispettivamente, un apprendistato in cui il fare e il pensare sono sostenuti da
piacere della scoperta, un grado zero, molto coinvolgente dell’operazione storica.
Trovare o costruire le fonti aiuta a comprendere che la storia non è tutta e solo nei libri e che può
essere un’esperienza formativa intensa. Il lavoro sul campo chiama in causa molti modi di guardare
la realtà e spesso diverse discipline, a diversi livelli d’indagine, da quello fattuale a quello
interpretativo, secondo le possibilità e le risorse, anche soggettive.
La ricerca storico-didattica privilegia alcuni campi:
Il primo si connette all’osservazione di Pomian che segnala un cambiamento degli statuti
storiografici da quando la memoria, da strumento della storia è diventata problema e oggetto
di cui si occupa la storia.
A scuola si lavora sulla memoria e per la memoria per creare ponti diversi tra il passato e il
presente, rivelando nell’astratta geometria di storie lontane il nervo scoperto, spesso ancora
sensibile e dolente, delle vicende vissute, siano esse custodite nel ricordo di una vita, siano
impresse nelle tracce visibili dei luoghi o siano evocate da silenzi e oblii. Si ricorda perché
altri hanno ricordato, ma perché qualcosa è stato rimosso e deve tornare alla luce.
In questo tipo di lavoro c’è un desiderio di stabilire una comunicazione affettiva tra le
generazioni e di costituire le basi di una memoria sociale, di passare dalla storia come
scenario esterno alla storia come esperienza interiore che può essere evocata e rivissuta
empaticamente.
I complessi rapporti tra storia e memoria, fra i diversi livelli della memoria, fra memoria e
senso e fra memoria e interferenze del presente.
Un secondo campo, ha a che fare con la soggettività, quando si vuole comprendere che
dentro gli scenari generali non solo si muovono, fisicamente presenti con le loro vite, uomini
e donne, ma che la loro presenza differenziata modifica anche i punti di vista della storia. La
soggettività non è per forza individuale ma può essere anche collettiva secondo il genere, le
generazioni, i rapporti di potere ecc…
Es: spazio alla storia delle donne o spazio al tema delle migrazioni.
È un processo che va dalla storia alle storie e che poi ritorna dalle storie alla storia, comune
dimensione de tempo, condivisione di spazi e intreccio di relazioni e di appartenenze.
Un quarto campo, recente e fertile, avviene negli archivi scolastici che consentono l’accesso
a documenti di prima mano colmando silenzi e oblii della scuola nella storia del ‘900 (es:
bambini militarizzati scrivere letterine ai soldati, lavorare calzini da mandare al fronte,
raccogliere metalli, bambini che hanno ospitato profughi e sfollati, hanno visto
discriminazione e violenza ma anche il riconoscimento delle differenze sociali, culturali e di
genere e all’affermazione dei diritti di cittadinanza).
In ogni caso le ricerche aperte assumono un senso soltanto se concepite come parte di un itinerario
coerente condotto attraverso campi e metodologie diverse.
Prima dell’elaborazione dei contenuti, prima delle fonti, prima delle attività di ricerca c’è la
domanda che si rivolge dal presente al passato mentre la risposta giunge dal passato al presente: in
tale movimento circolare si può trovare la propria collocazione nel mondo.
Nella messa a fuoco delle domande si collegano le ragioni dell’insegnante e quelli dei ragazzi, la
storia e la didattica.
Esistono domande di vario tipo ma in ogni caso porsi di fronte al passato in atteggiamento di
domanda significa entrare in laboratorio con ciò che si è, con il proprio genere, la propria età, con i
sentimenti e le speranze, i dubbi e le certezze, significa tentare le risposte con tutti i mezzi a
disposizione, significa condividere tale esperienza con altri arricchendo di socialità la propria vita.
Il laboratorio è un campo in cui si incontrano vari linguaggi, le loro logiche, le loro ambiguità, si
sperimentano i loro equilibri.
L’irruzione dell’informatica tra antichi e nuovi strumenti a disposizione ha contribuito per la storia
a ridimensionare la trasmissione narrativa, invitando a percorrere una rete interconnessa di elementi
all’interno di una struttura che consente molte direzioni e molti bivi, il criss-crossed landscape della
metafora della conoscenza di Wittegenstein.
Quando ai affermò l’approccio costruttivista ci fu una svolta, indotta da un ampio fronte di ricerche
informatiche e teorie epistemologiche, liberò da ogni strumentalità il rapporto tra tecnologia e
insegnamento. La teoria di tale approccio si può far risalire a Piaget poiché esso pone al centro della
riflessione pedagogica l’elaborazione soggettiva della conoscenza.
È fondamentale inoltre sottolineare che la conoscenza trasmessa dai nuovi media bisogna saperla
governare considerando che la comunicazione, la cooperazione e le abilità tecnologiche non sono
neutre. Sono un prodotto dei nostri tempi e quindi della storia. Intorno a noi c’è un mondo pieno di
tracce, di fonti da consultare, di documenti da conversare, di uomini e donne da interrogare, di vite
da vivere e di un futuro da inventare.
CAPITOLO 3:
La didattica per competenze nell’insegnamento della storia di Mario Pinotti
3.1 Introduzione
Vent’anni fa il termine competenze faceva il suo ingresso ufficiale nella scuola italiana grazie al
documento finale redatto dalla cosiddetta Commissione dei Saggi incaricata da Luigi Berlinguer,
allora ministro della Pubblica Istruzione.
Nonostante numerosi convegni, corsi di aggiornamento e formazione, tutt’oggi permangono ancora
molti dubbi riguardo alla definizione di “competenza” e alla sua relativa applicazione nella
didattica.
È interessante notare che l’attenzione alle “competenze” venne da soggetti esterni al mondo
scolastico e molto vicini al mondo del lavoro. Una grande influenza nel campo panlaborista fu
esercitata dalle prese di posizione dell’ISFOL (istituto nazionale per l’analisi delle politiche attive).
Di conseguenza, viste le epocali trasformazioni del nostro tempo, sono manifeste due esigenze:
Fornire competenze specialistiche: approfondirle nell’area di riferimento e mettere in grado
la persona di mantenerle aggiornate
Il bisogno di interagire con la complessità tecnico-organizzativa, di convivere con
l’incertezza, l’indeterminatezza e la turbolenza dell’ambiente.
COMPETENZE TECNICO-PROFESSIONALI
Sono l’insieme delle conoscenze e capacità connesse all’esercizio efficace di determinate
attività professionali in diversi comparti/settori; queste competenze sono desunte dalle
caratteristiche e dal contenuto del lavoro.
Vanno calibrate a seconda dei vari ambiti lavorativi
Bisogna fondare gli apprendimenti su tutte le risorse individuali di cui ognuno dispone.
Agire per conoscere comporta la mobilitazione di tutte queste potenze psicologiche ed educare gli
studenti alla diagnosi della situazioni, alla relazione, alla soluzione dei problemi e alla realizzazione
dei progetti mette in campo energie che accendono il desiderio di sapere.
Montessori: 1907 apre la sua prima classe chiamata “La casa dei bambini” in un edificio
popolare di Roma. Il modello proposto ha due elementi fondamentali:
I bambini e gli adulti si devono impegnare nella costruzione del proprio carattere attraverso
interazione con i loro ambienti
I bambini, specialmente quelli minori di 6 anni, subiscono un importante percorso di
sviluppo mentale.
Bisogna concedere ai bambini la libertà di scegliere e agire liberamente all’interno di un
ambiente preparato secondo il suo modello, avrebbe spontaneamente attribuito ad uno
sviluppo ottimale.
Claparède: nel 1912 fonda a Ginevra un istituto in cui si intende attuare un insegnamento
sperimentale individualizzato in cui ogni insegnante calibra l’intervento didattico alle
effettive possibilità cognitive del suo alunno.
La Montessori e Claparède chiedevano alla scienze i criteri per educare e attrezzare i bambini a
integrarsi in una società in rapido mutamento.
Makarenko: inizia la sua opera nel 1920 accogliendo bambini e ragazzi abbandonati a causa
della guerra e della rivoluzione che avevano insanguinato la Russia dal 1914 al 1920. Ha
l’obiettivo di fondare la scuola per un uomo nuovo, un uomo collettivo capace di portare a
termine il compito della rivoluzione sovietica e fondare il comunismo.
Freinet: Negli anni 30 del ‘900 costruì una scuola con laboratori, senza classi, un grande
orto e molti spazi all’aperto per studiare e lavorare. L’interesse era fondare una scuola per
tutti in cui le differenze di classe non pregiudicassero la scolarizzazione dei figli delle classi
meno abbienti.
Da quella date iniziò un movimento che si è diffuso in diversi Paesi europei ma anche
americani e asiatici. In Italia nel 1956 si costituiva l’MCE (movimento di cooperazione
educativa) che si richiamò ai principi della pedagogia frenetiana.
I decreti delegati del 1974 portano nelle scuole le rappresentanze studentesche e genitoriali e hanno
trasferito poteri didattici ai collegi dei docenti.
Nel 1977: inserimento a pieno titolo dei disabili, di tutti i disabili (anche quelli non sensoriali) nella
scuola italiana
Nel 1979: la riforma dei programmi delle medie
↓
Era il riconoscimento di alcuni principi della pedagogia attiva tra cui l’avvicinamento tra scuola e
società, la modernizzazione dei saperi e l’individualizzazione dei percorsi curricolari.
Nel 1985 furono riformati i programmi delle elementari con i quali si voleva incoraggiare una
maggiore operatività cognitiva. Furono istituite nuove sperimentazioni ministeriali che portarono
nuovi licei come il liceo linguistico e i licei scientifici con l’informatica, nuovi istituti tecnici e le
“educazioni” (ambientale, alla salute, allo sviluppo, alla legalità ecc..) accanto alle discipline
tradizionali.
Dagli anni ’80 assumono valore e importanza anche le attività extracurricolari.
Negli anni ’90 continua questa volontà politica riformatrice con Berlinguer che nel 1996 inizia un
progetto di riforma che intendeva dare alla scuola italiana l’autonomia amministrativa e didattica,
cambiò gli esami di maturità e indicò nelle competenze il fondamento di una nuova pratica
didattica.
Tutti questi interventi hanno l’obiettivo di rendere la didattica delle competenze una pratica effettiva
(attività di documentazione, di assistenza ed attività laboratoriali, differenziazione degli interventi
didattici ecc..)
La nuova stagione aperta nella scuola con la legge 107 richiede ai docenti una crescente
determinazione di individualizzare i piani educativi per alunni certificati o in cui si riconoscono
BES accelera la richiesta di una didattica inclusiva in cui si moltiplicano i percorsi individualizzati.
Di conseguenza, la vecchia scuola ha sempre meno ossigeno per conservarsi. Ci vorranno ancora
però importanti risorse e tempo, nuove soluzioni e nuove interventi.
I contenuti dei saperi sono mobili, assimatici, convenzioanli e spesso sottoposti a condizionamenti
sociali non solo nella scelta della loro rilevanza ma anche nella loro interpretazione
Nel 1997 è stato istituito il Forum delle associazioni disciplinari. Il suo scopo fu di dimostrare la
compatibilità e la preferibilità della didattica delle competenze come mezzo per l’apprendimento dei
saperi.
Lo fece prima di tutto cercando di definire il concetto di competenza. Per la definizione utilizzò
quella proposta da Rossella D’Alfonso che definisce competenza ciò che in un contesto dato si sa
fare (abilità) sulla base di un sapere (conoscenze), per raggiungere l’obiettivo atteso e produrre
conoscenza; è quindi la disposizione a scegliere, utilizzare e padroneggiare le conoscenze, capacità
e abilità idonee, in un contesto determinato per impostare e risolvere un problema dato.
Successivamente, vennero individuate le competenze comuni a tutte le discipline: comunicare,
generalizzare, leggere, progettare, selezionare, strutturare.
Queste competenze possiedono dei limiti poiché:
alcune si soprapponevano tra di loro (generalizzare e strutturare, selezionare e leggere) e non
è stato rigoroso distinguerle. Le indicazioni nazionali infatti parlano di “acquisire ed
interpretare l’informazione” (che riassume il leggere e il selezionare), di “individuare
collegamenti e relazioni” (che equivale al generalizzare e strutturare) e inoltre parla di
“comunicare” e “progettare”.
Vi è una mancanza di attenzione alla condizione collettiva le competenze “collaborare e
partecipare” e “avere un atteggiamento autonomo e responsabile” vengono infatti prescritte
dalle indicazioni nazionali.
VI è una scarsa attenzione alla valenza che l’intelligenza emotiva svolge nella formazione
del sapere.
Nonostante questi limiti viene attribuito al Forum il grande merito di aver capito che la didattica
delle competenze poteva vincere la competizione con la didattica trasmissiva.
Di conseguenza, è necessario trovare nuove vie per rendere intellegibili le strade della storia.
Il presente non è costituito solo dall’istantaneità. Tutti i fenomeni che in questi ultimi decenni si
sono dispiegati in modo imponente, quali la generalizzazione delle reti commerciali, la migrazione
di masse, la delocalizzazione, la simultanea trasferibilità dei patrimoni finanziari, la rivoluzione
informatica e telematica, insomma tutto ciò che chiamiamo “globalizzazione” o “mondializzazione”
non sono scaturiti dal nulla ma hanno una storia, non sono pura presenzialità avulsa dal passato.
Non c’è dubbio che questi fenomeni si siano imposti come peculiari del tempo presente ma se ci
fermassimo alla loro esclusiva presenzialità, non vedremmo i legami con quei fattori che li hanno
gettati nel mondo e apparirebbero effimeri.
Il Novecento che si deve far conoscere deve far capire cosa nel fluire del tempo presente c’è di
caratterizzante, di duraturo.
Vedere nel presente la vitalità di un passato che ancora è: questo è il compito prioritario dei docenti.
La rivitalizzazione del passato dipende dalla capacità di interrogarlo alla luce della struttura
esistente.
Bisognerà in questo processo dare un grande rilievo alle fonti che ci consentono di inoltrarci in
questo presente sempre più immerso nelle immagini.
La conoscenza riguarda prima di tutto la collettività, essa è più facile da conseguire in gruppo. Visto
che il sapere è caratterizzato da un carattere mobile è impensabile che un sapiente da solo possegga
le chiavi della conoscenza ma è necessario che il sapere venga divulgato e sia reso accessibile a
tutti.
La conoscenza infatti è la risorsa più importante di cui dispone l’uomo nella sua quotidiana
battaglia per l’adattamento della vita sul pianeta di conseguenza il sapere è una questione che
riguarda tutti gli uomini.
La proposta didattica non è una ricerca storiografica ma è il laboratorio di storia in cui si può
lavorare in condizioni semplificate, libere da tutte le variabili accidentali, affinché gli apprendimenti
da conseguire siano esercitati nella loro pienezza.
Il livello di padronanza delle competenze da apprendere deve essere adattato di volta in volta alle
possibilità cognitive, alle condizioni emotive, alle situazioni relazionali della classe e di ogni suo
componente.
ESEMPIO:
“acquisire e interpretare l’informazione”
1 elementare: decifrare quello che si legge e comprendere il significato di brevissimi e semplici
enunciati
5 elementare: si dovranno padroneggiare alcune tecniche d’analisi (dividere in sequenze, enumerare
le informazioni principali..) capaci di far capire il significato manifesto di testi, mappe o narrazioni.
3.8 Il contributo delle competenze di storia per la certificazione delle competenze in uscita
della secondaria inferiore
Le otto competenze chiave di cittadinanza del 2006 sono state raccolte nelle Indicazioni Nazionali
del 2012.
Sono le competenze che i docenti sono tenuti a certificare per ogni alunno.
3.8.1 Competenza della lingua madre
3.8.2 Competenza nelle lingue straniere
3.8.3 Competenze matematiche
3.8.4 Competenza digitale
3.8.5 Imparare a imparare (in realtà è una META-COMPETENZA)
3.8.6 Competenze sociali e civiche
3.8.7 Spirito d’iniziativa e imprenditorialità
3.8.8 Consapevolezza ed espressione culturale
Accanto alle otto competenze è opportuno inserire una nona competenza CONTEMPLARE : il
valore della conoscenza non è solo strumentale e la vita attiva non esaurisce fino all’esistenza.
Esiste un aspetto estetico e edonistico del sapere legato ad una dimensione contemplativa che
comprende la capacità di fermarsi, di assaporare ecc…
Molti libri di testo sono infatti allegati a strumenti multimediali come Cd-rom e DVD e le case
editrici mettono a disposizione una sempre maggior quantità di materiali sui loro siti, moltiplicando
così le risorse a disposizione dell’insegnante e degli studenti.
Inoltre, vi è un’attenzione particolare anche ad alcuni aspetti didattici come l’uso del colore o di
simboli per distinguere determinate tematiche o il gessetto per segnalare le parole chiave ecc..
Sono presenti anche parti più operative spesso denominate “laboratori” che si distinguono dalla
visione del “laboratorio di storia” proposto nel testo.
Per “laboratorio di storia” si intende infatti una riproposizione in ambito didattico del lavoro dello
storico. Essa non coincide con la nozione di operatività che è più ampia e generica.
Per molti studenti il libro non rappresenta più oggi lo strumento principale da cui attingere
informazioni: esso è stato sostituito da altri media e in particolare da internet che ci impone uno
stile di comunicazione molto diverso basato sulla rapidità e sulla sintesi, e sul prevalere del
linguaggio iconico su quello verbale.
I nuovi manuali dunque impongono all’insegnante un approccio più consapevole delle opportunità e
delle difficoltà che essi comportano occorre trasformare il manuale e i suoi annessi in un vero e
proprio strumento di lavoro.
Bisogna favorire quel manuale che meglio permette di costruire un curricolo coerente, caratterizzato
da tematiche significative e dalla possibilità di istituire relazioni continue tra passato e presente e tra
eventi e processi iscritti nella media e lunga durata.
L’insegnante può fondare le sue scelte esclusivamente sulla sua esperienza, sulle sue competenze
disciplinari e sulle caratteristiche e sui bisogni dei suoi allievi.
↓
Tema della leggibilità: è molto importante visto le difficoltà che numerosi allievi incontrano nel
Questo modo di operare va oltre la visione della storia come disciplina orale poiché propone un
qualcosa di profondamente diverso che definisce la storia come una disciplina formativa basata non
sulla trasmissione ma sulla costruzione di conoscenze.
Di conseguenza sono da preferire i manuali che presentino con correttezza scientifica ogni tipo di
fonte storica, la integrino nel testo e suggeriscano percorsi didattici attraverso lo studio di
documenti i varia natura. Questa tipologia di libro di testo è più coerente rispetto alle esigenze di un
apprendimento fondato su basi rigorose e funzionali all’acquisizione di una conoscenza critica dei
processi storici.
L’insegnante può progettare sia attività dal manuale sia attività con il manuale il manuale diviene
uno strumento che può assumere un ruolo importante anche in una didattica attiva.
Antonio Brusa aveva offerto alcune raccomandazioni preziose per il lavoro dell’insegnante tra cui:
gli esercizi devono essere presentati, motivati e alla fine l’allievo si deve rendere conto della
scoperta intellettuale che la prova gli ha permesso, se l’esercizio non porta a nessuna scoperta è
meglio lasciarlo perdere, gli esercizi che fanno discutere e propongono soluzioni diverse sono i più
indicati per attivare un buon rapporto con il manuale, un buon esercizio deve sempre indicare quali
parti del manuale occorre leggere per eseguirlo, una domanda aperta è sempre più ricca e creativa di
una strutturata o semistrutturata ecc..
apprendimento
3. Evitare prove troppo facili ma bisogna collocarsi in quella che Vygotskyj definiva “zona di
sviluppo prossimale” ed evitare, in un primo tempo, domande a risposte aperte come
“scrivere brevi sintesi” poiché maggiore libertà si può concedere man mano che si è
impadroniti di determinate procedure.
I questionari a scelta multipla possono essere impiegati non sono nella verifica delle conoscenze ma
anche nell’analisi e nell’interpretazioni di documenti, e possono comportare l’uso di capacità
complesse come la capacità di sintesi (es: quali delle 3 affermazioni riassume meglio il contenuto) o
di inferenza (es: individuare l’informazione implicita) così come provano i testi invalsi.
Il manuale è uno strumento prezioso per l’acquisizione di abilità trasversali (ad esempio selezionare
informazioni, tematizzarle e gerarchizzarle, per costruire sintesi, elaborare mappe concettuali,
ideare e redigere testi), di abilità disciplinari (es: l’analisi e il commento di fonti documentarie di
varia natura).
Il manuale inoltre è fondamentale perché presenta agli studenti tutta una serie di conoscenze che se
acquisite sono alla base della costruzione del senso storico. Una componente mnemonica infatti
nello studio della storia è sempre presente ma in una didattica attiva e partecipativa acquista un altro
senso.
Attualmente la maggior parte dei libri di testo offre una grande varietà di appartati integrativi, in
formato cartaceo o digitale, per venire incontro ai bisogni dei docenti e ai bisogni degli studenti così
come richiesto dalla direttiva del MIUR del 27 Dicembre 2012 “strumenti d’intervento per alunni
con Bisogni Educativi Speciali”. il manuale consente anche una didattica inclusiva.
Il manuale si trova oggi al centro di un’offerta ricca e articolata che fornisce innumerevoli
opportunità sia ai docenti sia agli studenti.
È uno strumenti duttile, adeguato ad un approccio attivo delle discipline che può utilmente e
efficacemente accompagnare le pratiche laboratoriali.
Attraverso l’utilizzo del manuale si può cercare di sviluppare nei bambini un comportamento attivo
e consapevole, l’unico che consenta lo sviluppo di una reale intelligenza della disciplina.
5.1 Introduzione
Questo capitolo si propone di indagare le modalità attraverso cui il web può diventare uno
strumento e un ambiente di apprendimento tramite diversi device dal punto di vista pedagogico e
didattico.
Dopo aver individuato i rischi e le potenzialità di un’attività di ricerca storica in rete, è interessante
indagare quali ambiti, in rapida evoluzione tecnologica, possono risultare significativi per
l’insegnamento della storia: realtà virtuale e realtà aumentate, digital storytelling, ebook ecc..
Soltanto cinque anni fa parlando del web e delle sue applicazioni didattiche era ancora piuttosto
viva e accesa la distinzione tra apocalittici (coloro i quali ritenevano che l’introduzione delle nuove
tecnologie avrebbe danneggiato la formazione) e gli integrati (coloro i quali invece sostenevano che
ne avrebbe alzato il livello e la qualità).
Recentemente questa dicotomia è stata superata dato che l’uso delle ICT (information e
communication technology) dette anche TIC (tecnologie dell’informazione e della comunicazione)
è molto diffuso a scuola ed è largamente incoraggiato dal Ministero dell’Istruzione, dall’Università
e dalla Ricerca.
Nel 2017 il ministero ha divulgato il Piano Nazionale Scuola Digitale contestualmente con la legge
107/2015 che prevede un’innovazione del sistema scolastico considerando le opportunità di
un’educazione digitale.
Di conseguenza, secondo questo documento “le tecnologie diventano abilitanti, quotidiane,
ordinarie, al servizio dell’attività scolastica”.
Prima di questo piano L’indire con il portale Scuola valore e il suo progetto DIDATEC aveva messo
a disposizione dei docenti una serie di risorse come attività didattiche o materiali di studio.
Inoltre, si può affermare con certezza la totale e completa immersione dei giorni e studenti nelle
tecnologie digitali. Le ict sono quindi una parte talmente centrale della loro vita che è impossibile
pensare di ignorarne la validità come strumento didattico.
In più, il loro utilizzo in un ambiente mediato e per certi versi protetto, come può ad esempio essere
una classe, può aiutare a favorirne una fruizione più critica e consapevole.
Sia i Webware che le App si presentano come strumenti leggeri, essenziali e veloci e pertanto
perfetti per gli apparati hardware dei dispositivi mobili, che sono assai limitati rispetto a quelli dei
personal computer.
Siamo in una fase di passaggio delicata in cui si deve definire un equilibrio che sancisca fino a che
punto scuola e Rete possano integrarsi e soprattutto con quali modalità.
Per gestire questo complesso momento, i cui esiti sono di difficile previsione, è necessario riflettere
sulla Rete, sulla sua natura reticolare, intesa come connessione sia tra contenuti sia tra persona, e
metterla in dialogo con la nostra idea di scuola.
L’introduzione della tecnologia nella scuola corrisponde sempre ad una precisa visione della
pedagogia e della didattica.
Negli anni ’70: si diffuse l’Istruzione programmata, secondo la quale il processo educativo si
basava sullo schema stimolo-risposta-rinforzo tipico dell’approccio comportamentista.
Successivamente si sviluppò il cognitivismo che mise in luce gli aspetti di criticità del
comportamentismo come la visione della mente umana come tabula rasa che riceve passivamente
gli stimoli esterni. In realtà, il cognitivismo ritiene che nella mente umana ci sia un’interazione tra
percezioni esterne e schemi mentali interni che è possibile studiare scientificamente, possibilità
esclusa dal comportamentismo.
Nasce di conseguenza un nuovo prodotto tecnologico definito IPERTESTO che con la sua struttura
non lineare ma reticolare sembrava produrre le modalità di sviluppo del pensiero umano indagate
dai cognitivisti.
A partire dagli anni ’80: l’ipertesto da ambito di ricerca divenne un prodotto commerciale ma
emerse ben presto che la sua applicazione didattica si rivelava più efficace se erano gli studenti a
progettarlo e realizzarlo. Il paradigma teorico che sta alla base di questo passaggio decisivo è il
socio-costruttivismo che pone lo studente al centro del processo di apprendimento in una attiva e
personale costruzione di significato. Conoscere è possibile solo nella relazione dialettica tra il
soggetto e l’oggetto della conoscenza all’interno di un contesto sociale, in progressiva evoluzione.
La tecnologia, secondo questa visione non è più un mero strumento trasmissivo di conoscenza ma
offre l’opportunità di far creare agli studenti stessi i contenuti, potenziando la dimensione
collaborative, enfatizzata in anni recenti dallo sviluppo del web 2.0.
Il rafforzamento delle connessioni tra persone garantito dalla Rete fa progredire, secondo la celebre
testi di Pierre Lèvy, “l’intelligenza collettiva” = un’intelligenza che nasce da quelle individuali
continuamente coordinate, valorizzate e mobilitate nelle loro competenze.
Giuseppe Riva, nel suo saggio sui nativi digitali, propone una sistematizzazione del rapporto tra
apprendimento e uso delle tecnologie digitali, in un’ottica costruttivista e sociocostruttivista egli
individua TRE LIVELLI DI APPRENDIMENTO, a cui corrispondono contributi diversi della
tecnologia, che possono essere utili per ragionare sul rapporto tra web e didattica della storia.
1. Primo livello: il soggetto può apprendere da solo. Secondo la teoria di Piaget, il soggetto
utilizza uno schema (struttura mentale) già appreso per interpretare la realtà (assimilazione)
oppure modifica lo schema posseduto per risolvere una situazione nuova (accomodamento).
A questo livello corrispondono i “serious games” = giochi pensati per la didattica e le
simulazioni digitali.
3. Terzo livello: incentrato sugli ambienti virtuali collaborativi (webforum, wiki, blog, social
media, mondi virtuali). L’apprendimento si fa cooperativo attraverso il ragionamento
collettivo.
Una condizione essenziale affinché il processo di apprendimento si realizzi in tutti i livelli è
che l’attività avvenga nella zona di sviluppo prossimale dello studente, come teorizzato da
Vygotskij.
Si può infine considerare che l’utilizzo della Rete favorisce in prticolare il terzo livello, quello
fondato sulla cooperazione, al punto che si tratta di una dimensione che ha inglobato le altre due. Le
comunità virtuali infatti rendono possibile una socializzazione del sapere e richiedono agli studenti
l’acquisizione di capacità specifiche, come il comunicare e l’imparare a imparare in gruppo. Le
esperienze di apprendimento avvengono all’interno di una dimensione sociale, creando modalità di
costruzione delle conoscenza non lineari e unidirezionali ma reticolari.
Inoltre, fare attività su interne significa apprendere due volte “gli oggetti e i modi modificabili della
loro confezione”, significa imparare dal proprio apprendimento anche se spesso in modo
inconsapevole.
In questa prospettiva il ruolo del docente subisce una profonda trasformazione: abbandonata la
funzione puramente trasmissiva delle conoscenze, tipica della lezione frontale, egli diventa un
facilitatore, un tutor, un mediatore del sapere che attraverso strategie didattiche opportune viene
costruito dagli studenti stessi.
Un passo in avanti verso una didattica collaborative e partecipativa è stato con la diffusione delle
piattaforma e-Learning learning management system : LMS.
Come criterio fondamentale di selezione occorre valutare la qualità del software e che sia
Opensource ovvero gratuito e con alle spalle una comunità di utenti che lavora per migliorarlo.
Tra le piattaforme più rinomate troviamo Moodle o Atutor.
Tutte queste piattaforme sono basate sul concetto di una collaborazione attiva da parte del discente
anche spesso confinata fuori dalla classe. Di conseguenza, a volte l’e-learning diventa
semplicemente il sostituto del “compito a casa”.
Il definitivo passo in avanti oggi può essere fatto dall’utilizzo di smartphones in classe che
supererebbe il limite di avere un unico pc connesso alla rete, consentendo una fruizione e
un’interazione immediata e capillare a tutti gli alunni.
In più, l’uso delle app per il direct messanging come Facebook, Whatsapp o Snapchat amplierebbe
molto il concetto di cooperative learning tramutandolo in un vero sociale learning. Di conseguenza
anche i contenuti potrebbero essere condivisi più facilmente e l’insegnante potrebbe raggiungere gli
studenti anche in momenti extrascolastici.
Occorre intervenire per rendere il web sempre più sicuro e affidabile per gli studenti, possibilmente
attraverso il lavoro degli studenti stessi con pratiche di cooperative learning o learning by doing.
Nella redazione di una voce enciclopedica c’è infatti sia il reperimento di fonti sia la scrittura di un
testo di taglio scientifico/divulgativo, sia il valoro di verifica delle informazioni diffuse online.
È importante sottolineare che le immagini hanno una vastissima diffusione dovuta probabilmente
alla loro maggior efficacia comunicativa che si applica molto bene anche nell’uso didattico.
Fotografie, cartoline, mappe storiche sono quindi oggi un elemento fondamentale di qualsiasi
lezione o laboratorio si intenda eseguire con gli studenti. Da ciò si evince che in materia di
reperimento e uso delle fonti, il compito odierno dell’insegnante è diventato più delicato e
impegnativo rispetto a quello del passato. L’insegnante infatti deve essere in grado di proporre agli
alunni un metodo utile per effettuare questa operazione critica in sempre maggior autonomia.
Quindi al termine di questa attività lo studente non avrà soltanto assorbito solamente concetti e
nozioni, bensì un vero e proprio metodo di analisi.
Il webquest oggi è considerato metodologicamente molto valido e può essere applicato con
successo soprattutto nei primi cicli formativi, per insegnare il corretto applicato con successo
soprattutto nei primi cicli formativi, per insegnare il corretto approccio ai più giovani, che si
trovano gioco forza già immersi nel web senza avere gli strumenti critici necessari per fruire nel
modo più utile e corretto.
Dalla logica del webquest uniti alla logica del laboratorio di storia nasce il laboratorio online con le
fonti che potenzia e integra le pratiche più tradizionali (studio del manuale o la lezione frontale) e
permette di sperimentare alcune attività proprie della ricerca storica rendendo possibile il passaggio
dal “sapere” al “saper fare” dalla semplice memorizzazione di dati alla capacità di selezionali,
analizzarli, leggerli e comunicarli.
Dal 2009 Indire ha avviato il progetto EdMondo, un mondo virtuale 3d online esclusivamente
riservato ai docenti e agli studenti, nei quali sono possibili esperienze immersive. EdMondo è uno
spazio digitale, un foglio bianco che si apre a tutte le possibilità. A docenti e studenti è possibile
creare mondi virtuali che possono riprodurre contesti del passato o del presente, come anche realtà
immaginarie all’interno delle quali costruire percorsi di conoscenza.
Ad esempio, Google ha creato l’app Esplorazioni che consente di proporre agli studenti esperienze
virtuali già definite tramite l’utilizzo di un Google Cardboard si possono compiere viaggi virtuali
immersivi all’interno di oltre 200 esplorazioni attualmente disponibili come in siti archeologici che
ricostruiscono ambientazioni di epoche passate.
Una tecnologia che pare offrire ipotesi di lavoro interessanti come un percorso museale, un’uscita
didattica, un laboratorio nel luoghi della memoria che possono diventare occasioni di
apprendimento autonomo da parte degli studenti dotati del loro device o trasformarsi anche in gioco
in una vera e propria caccia al tesoro, ossia un “Location-based game”.
Dotati dei loro mobile gli studenti possono svolgere attività di role playing e di digital storytelling.
Progetti di questo tipo sembrano essere una mediazione positiva tra reale e digitale dal momento
che recuperano la fisicità dell’esperienza ma la legano alle opportunità offerte dalle tecnologie
informatiche.
Andrea Tagliapietra, afferma che l’uomo contemporaneo è stato espropriato della sua esperienza,
dal momento che essa è sempre filtrata da strumenti tecnologici che si frappongono tra le nostre
identità e il mondo.
Nella didattica tradizionale il docente di storia costruisce narrazioni quando progetta la sua lezione
con l’interno di comunicare alla classe un racconto storico da lui definito.
La situazione si rovescia quando il docente propone agli studenti un laboratorio: in questo caso sono
gli studenti che sulla base dei materiali forniti dal docente, possono essere chiamati a costruire una
narrazione. Anche in questo caso il sapere viene manipolato e ricostruito dagli studenti.
Introdurre nel laboratorio storico la metodologia dello storytelling significa calare conoscenze che
possono essere percepite dagli studenti come lontane, in un contesto che coinvolge le loro
esperienze di vita, stimolandone la creatività.
Interviste e dialoghi immaginari o impossibili, biografie o autobiografie di invenzione valorizzano
lo specifico dello storytelling come esperienza anche emotiva ed empatica ma è possibile realizzare
Rendere digital lo storytelling significa concorrere allo sviluppo della media literacy degli studenti
ed offrire loro strumenti con i quali realizzare un prodotto multimediale in modalità fortemente
collaborative e diversificate sulla base degli obiettivi progettuali che il docente pone.
Esempi di webware utilizzabili sono Storymap o Sutori.
Una particolare forma di digital storytelling che sta generando interesse è il Data storytelling = è un
esempio di digital storytelling inteso come reportage giornalistico basato sull’analisi di dati di varia
natura, presentati graficamente in modo efficace ed interattivo.
Per elaborare un progetto finalizzato alla scoperta storica di un territorio si può immaginare un
“Place-based mobile storytelling” che richiede l’utilizzo di dispositivi mobili. In questo caso, il
digital storytelling si serve anche della realtà aumentata. è una sorta di contaminazione tra realtà
aumentata e digital storytelling che potrebbe offrire spunti interessanti.
3. Gli ebook se autoprodotti si prestano a modifiche continue, dal momento che hanno un
formato aperto.
Quindi ciò che distingue un ebook da un book è il suo rapporto con la stampa: se il libro digitale
funziona anche stampato significa che non è un ebook ma è un libro. Un libro, per essere davvero
digitale dovrebbe essere alternativo alla versione cartacea, un po' come per un sito web che mai ci si
sognerebbe di stampare.
Ma la creazione di un ebook, grazie a semplici strumenti offerti dalla rete, può diventare anche il
prodotto finale di un percorso di approfondimento e di ricerca, di una visita culturale, ecc. da far
realizzare agli studenti.
Per la realizzazione degli ebook è opportuno non utilizzare i programmi per la scrittura ma un CMS
(content management System) o un editor specifico come ePubEditor.
L’ebook potrebbe essere il prodotto finale di un laboratorio storico ed offrire stimoli motivanti agli
studenti.
Potrebbe essere vantaggioso migliorare l’integrazione tra ebook e libri cartacei non rinunciando alle
peculiarità di entrambi.
La Rete offre una serie di webware che permettono di costruire questi artefatti in modalità
collaborative. Si tratta di una realtà in continua espansione quindi è impossibile fornire un tratto
esaustivo.
Da pagina 105 a pagina 107 sono indicati i vari esempi per ogni categoria.
5.10 Conclusioni
Si può riassumere che l’uso consapevole delle tecnologie per diventare un strumento di effettiva
innovazione didattica deve legarsi ad una visione pedagogica e a scelte didattiche consapevoli.
Ruben Puentedura ha elaborato un modello teorico che individua quattro livelli di implementazione
delle tecnologie nella didattica. I primi due livelli rientrano nella categoria del miglioramento
mentre gli ultimi due nella categoria della trasformazione. Questo schema presenta le modalità con
cui la tecnologia può entrare nella didattica.
↓
Categoria del miglioramento
1. Primo livello: SOSTITUZIONE = viene effettuata una sostituzione delle tecnologie
tradizionali con quelle digitali (esempio: scrivere un testo con un software di scrittura invece
che utilizzare carta e penna)
4. Quarto livello: RIDEFINIZIONE = si indentificano quelle attività che senza l’utilizzo della
tecnologia non sarebbero possibili e che modificano profondamente i contenuti, le attività, i
processi di apprendimento ed anche il ruolo di studenti e docenti. La realizzazione di un sito,
di un ebook, di un digital storytelling comporta la piena valorizzazione delle potenzialità
delle nuove tecnologie.
Di conseguenza si può dedurre che la tecnologia può entrare nella didattica ma non necessariamente
e non in ogni circostanza: sta nelle capacità del docente e nella sua esperienza, valutare le
potenzialità del digitale e scegliere di volta in volta se e come farne uso, in base ai suoi obiettivi.
L’idea attuale di realtà include ormai la realtà digitale è opportuno che i docenti considerino queste
diverse realtà, naturali e artificiali, concrete e virtuali per consentire ai nostri studenti di muoversi in
questo mondo con spirito critico coltivando un dubbio costruttivo, inquadrando anche lo sviluppo
tecnologico all’interno di un processo storico che dobbiamo imparare a governare o, almeno, a
tentare di considerare in tutte le sue implicazioni.
6.1 Introduzione
Questo capitolo ha lo scopo di fornire all'insegnante alcuni strumenti per un utilizzo consapevole e
agile delle fonti nella pratica didattica. Previsto già dai programmi scolastici del 1979 e del 1985,
l’utilizzo delle fonti si configura come una delle competenze fondamentali a cui deve tendere la
formazione storica dello studente. Spesso però nella pratica ci si limita ad utilizzarle come semplici
letture di approfondimento, rinunciando quindi al ruolo centrale che potrebbero avere sul fronte
della conoscenza della struttura delle discipline sia su quello della formazione. L’utilizzo delle fonti
in classe non presuppone necessariamente una didattica laboratoriale ma ha in questa il suo
momento di massima valorizzazione.
qualitativa quanto quantitativa poiché allargò l’oggetto d’indagine dello storico ampliando le fonti
al di là del documento scritto per comprendere e indagare ogni cosa che lo storico fosse in grado
d’interrogare. Tale rivoluzione iniziata con i fondatori degli “Annales” Marc Bloch e Lucien
Fevbre, sfociò poi nella “Nuova storia” che aumentò esponenzialmente le fonti anche a causa
dell’aumento degli attori dei processi storici, della moltiplicata capacità di costruzione dei
documenti stessi e della loro conservazione.
Formalizzata da Jerzy Topolski la concezione dinamica delle fonti ha ribaltato il concetto positivista
e ha compreso che è lo storico a innalzare, interrogandola la semplice traccia a livello di fonte
storica e che è la relazione tra fonte e oggetto della ricerca che determina le caratteristiche della
fonte stessa. La stessa traccia dà informazioni diverse per ricerche diverse e muta la propria
classificazione a seconda delle domande poste dallo storico.
La concezione dinamica rompe anche con l’idea che la fonte abbia delle proprietà in sé e sia
classificabile in modo rigido e rivede lo stesso concetto di autentico/falso: una fonte “falsa” rispetto
a un evento che vorrebbe documentare è però una fonte vera per conoscere le intenzioni del falsario,
l’epoca e il contesto che hanno prodotto il “falso”. Ciò significa che la classificazione della fonte
non è un’operazione neutra, dettata dalla natura della fonte stessa, quanto invece una chiarificazione
della ricerca in atto e una dichiarazione dello storico dell’uso che intende fare della fonte.
La didattica della storia si è resa conto che le operazioni sulle fonti sono uno dei perni centrali della
formazione storica dello studente. Spesso però le fonti vengono usate o in modo saltuario o creano
una sovrabbondanza di materiali che lo studente fatica a contestualizzare e a riorganizzare in modo
coerente.
Perché usarle?
Valenza epistemologica
Soprattutto oggi, quando il canone dei saperi è diventato un oggetto troppo vasto e continuamente
ridefinito, non può mancare la consapevolezza di che cos’è la disciplina storia, attraverso quali
procedimenti essa “scopre” le proprie informazioni come “costruisce” le sue narrazioni. Non si
chiede a uno studente di possedere compiutamente lo <i>statuto epistemologico della storia</i> ma
di avviarsi a una comprensione dei concetti e degli strumenti fondamentali della disciplina,
acquisendo l'approccio critico ai problemi che è la finalità dell'apprendimento della storia. Le fonti
aiutano a familiarizzare con lo statuto della disciplina perché mostrano il lavoro dello storico e
rendono consapevoli che il discorso storico è innanzitutto ri-costruzione e interpretazione
documentata.
Mattozzi ci dice che l'uso delle fonti ha 3 obiettivi: - far concepire che si conosce il passato solo
grazie alle fonti, - far rendere conto che le conoscenze nei libri derivano dalle fonti, - sollecitare le
attività mentali per formare lo specifico stile cognitivo richiesto per la costruzione di fonti e
produzione di informazioni.
Il lavoro didattico sulle fonti è un contesto efficace per imparare a ragionare e acquisire conoscenze
(Girardet) che è quanto tutti gli insegnanti si propongono.
Valenza didattica
Le ragioni didattiche a favore dell'uso delle fonti sono legate innanzitutto all'uilizzo di una didattica
attiva e legata a modelli didattici laboratoriali. Centrale è come utilizziamo le fonti, il loro utilizzo
come strumento per la ricerca-scoperta dell’informazione e come occasione per lo sviluppo delle
Valenza formativa
Finalità classica è l’autonomia dello studente, che al termine del suo percorso formativo deve aver
imparato ad imparare ovvero aver acquisito competenze di individuazione dei problemi, di ricerca
di strumenti e di informazioni utili, di strutturazione delle soluzioni: tutte fasi operative che il lavoro
sulle fonti riproduce perfettamente. Esso infatti abitua alla ricerca come metodo, alla critica della
fonte, alla verifica delle informazioni, al loro collegamento, all’argomentazione delle conclusioni.
La seconda finalità formativa scaturisce dal fatto che la società contemporanea è sempre più
attraversata da un flusso di informazioni incontrollato e l’informazione storica è sempre più
extrascolastica (presa da canali non scolastici). Per un insegnante di storia diventa ancora più
importante insegnare gradualmente a gestire l’informazione, il flusso di informazioni che attraversa
la nostra società che richiede competenze che la storia può dare perché mediante i metodi di analisi
delle fonti la storia fornisce strumenti metodologici necessari a formare soggetti consapevoli, critici
e autonomi.
6.5 Come usarle? Avvertenze generali per l’uso didattico delle fonti
L'utilizzo delle fonti a scuola deve restare un utilizzo didattico, funzionale a obiettivi formativi e e
non di ricerca storica in senso stretto.
Fondamentale sarà far distinguere tra fonte originale nella forma e nel contenuto e fonte riprodotta e
all'interno di questa il livello di perdita dell'informazione ——> avremo fonti riprodotte autentiche
nel contenuto e nella forma ma non nel materiale (es riproduzioni fotografiche) altre autentiche solo
nel contenuto (testi integrali in formato elettronico) altre ancora manipolate anche nel contenuto
(testi/fonti iconografici riprodotti solo parzialmente). Il bambino avrà a che fare con fonti sì
originali ma riprodotte con supporti tecnologici. Le fonti presuppongono l’interazione con un lettore
attivo e consapevole, vanno affrontate con un programma di ricerca e con delle domande precise da
fare loro. Improduttivo è un compito troppo generico “vediamo cosa ci dice la fonte” gli studenti
devono sapere cosa cercare: “vediamo cosa ci dice la fonte rispetto a…”. Le fonti vanno
contestualizzate anche attraverso altre fonti ma soprattutto rispetto a un sapere storiografico già
posseduto dagli studenti. Bisogna sempre riferire alle fonti le coordinate spazio-temporali e i
contesti e due sono le modalità per collegare fonti e contesti:
a. Il lavoro sulle fonti è parte di un approfondimento, quindi si situa dopo il quadro storiografico
generale a cui si ancora
a. Il lavoro sulle fonti costruisce una storia ed è una partenza e stimolo per problematizzare e poi
cercare nel quadro storiografico generale risposte e contesti
Arrivando al documento, partendo dal documento: una didattica delle fonti dovrebbe praticare
entrambe le strade. Le fonti devono essere coerenti con il programma di ricerca, deve esserci
coerenza tra quantità e qualità delle fonti e scopo del loro utilizzo. Se vogliamo fare un laboratorio
basato sulle fonti dobbiamo scegliere una tematizzazione adeguata: non si può avere come tema
“l’impero carolingio” o “la civiltà greca” ma piuttosto “il patto vassallatico” o “aspetti della
religione egiziana”; i laboratori sulle fonti sono spesso consigliati su temi di storia locale.
Quali fonti scegliere? Ci sono raccolte di fonti che si prestano a un lavoro di scoperta, altre che sono
adatte a favorire la comprensione di concetti storici, altre a sviluppare competenze di base.. dipende
dal nostro obiettivo didattico quali scegliere. In generale le fonti dovrebbero essere selezionate
dall'insegnante in funzione delle operazioni cognitive che permettono concettualizzazioni e
favoriscono problematizzazioni. Oltre a quello didattico un altro criterio per la scelta è il carattere
esemplare, data la limitata quantità di fonti analizzabili a scuola è importante che le informazioni
storiche che contengono si prestino alla generalizzazione. Consolidati i primi concetti e le prime
metodologie, nei laboratori didattici è spesso usato l’archivio simulato, una selezione di fonti
predisposta per la ricerca dell’alunno. Si devono però evitare due eccessi:
■ Il puro labirinto ——> l’alunno è lasciato da solo di fronte alla molteplicità di fonti senza ipotesi
di lavoro e strumenti di orientamento
■ Il falso labirinto ——> tutta la ricerca è preconfezionata, senza spazio per errori, tentativi, ipotesi
Per poter essere efficace il lavoro sulle fonti deve lasciare lo spazio all’interrogazione dell’alunno,
alla sua osservazione, alla richiesta di nuova ricerca e di confronto.
Bisognerà poi introdurre la distinzione tra fonti dirette e indirette e tra fonti e ricostruzioni
storiografiche e per far acquisire tali distinzioni è bene che lo studente sperimenti la fonte come
propria produzione.
Un semplice esercizio consiste per esempio nel dare agli allievi il compito di descrivere un oggetto
o un ambiente o un avvenimento. Successivamente un diverso gruppo di allievi deve ricostruire
l'oggetto, l'ambiente o l'avvenimento a partire dai diversi racconti prodotti dal primo gruppo e ora
utilizzati come fonte. La classe sperimenterà così la produzione della fonte e il suo utilizzo
storiografico, rendendosi conto della natura ricostruttiva del lavoro dello storico.
Antonio Brusa dice che la pratica didattica deve smontare i luoghi comuni e mostrare il corretto
concetto di fonte facendo emergere le caratteristiche del documento attraverso la pratica operativa
in classe.
• Fonti scritte, la cui principale sottoripartizione è tra fonti archivistiche e fonti narrative
• Fonti visive all’interno della quali vanno distinte le fonti iconografiche dalle fotografie
• Fonti materiali di cui fanno parte i manufatti, i resti archeologici, i monumenti architettonici…
• Fonti orali che comprendono le testimonianze ma anche le tradizioni orali
• Fonti audiovisive o multimediali che unificano più codici e sono caratterizzati a una
mediazione tecnologica più spinta.
Modelli didattici generali per la lettura della fonte
Il cuore dell’attività didattica è l’interrogazione delle fonti, ma per leggere le fonti ci vogliono degli
indicatori e delle domande. Alcune domande possono essere comuni, altre legate alla particolare
tipologia della fonte, altre ancora dipendenti dalla ricerca che stiamo conducendo. Per queste ultime
si possono dare solo suggerimenti, per le altre sono state elaborate valide proposte didattiche.
Schedare e classificare
E’ utile schedare e classificare le fonti, tenendo presente che l’ordine logico (schedatura,
classificazione, selezione ecc) non coincide sempre con l’ordine cronologico, anzi spesso la
schedatura è possibile solo al termine dell'analisi della fonte. Occorre considerare le fonti come un
testo per leggere le informazioni indipendentemente dal codice e dal medium attraverso cui si
trasmette. E’ necessario rilevare le informazioni base per la schedatura della fonte, usano degli
indicatori base:
• data (quando?)
• luogo (dove?)
• temi principali (cosa?)
• autore (chi?)
• destinatario e scopo (a chi e perché?)
Quasi mai tutte queste informazioni potranno essere ricavate dalla fonte stessa, quindi andranno
completate dall’insegnante o dal contesto da cui è tratta la fonte o da ricerche ad hoc. Per quanto
riguarda destinatario è scopo, sono facili da individuare solo nelle fonti intenzionali.
La presentazione delle fonti non ha uno schema rigido, ma dipende dagli obiettivi che si vogliono
conseguire: si consulta la fonte per ricavare informazioni o per sviluppare competenze di analisi e
ricerca?
Si può poi operare una seconda schedatura usando altri indicatori di classificazione, ovvero:
Ovviamente questi indicatori andranno inizialmente formulati come domande chiare agli allievi: di
quale materiale è fatta questa fonte? Quale linguaggio usa per comunicare? Ecc
Per quanto riguarda il supporto è importante che gli alunni imparino a classificare sia il materiale
della fonte originaria, sia quello reale con cui sono venuti in contatto (riproduzione a stampa,
fotocopia, formato digitale) e anche il grado di alterazione formale a cui la sua riproduzione tecnica
l’ha sottoposta (es fotocopia in bianco e nero di ciò che era a colori fa perdere delle informazioni).
È giusto che siano consapevoli di queste manipolazioni tecniche e di cosa implichino. Essere
consapevoli di queste manipolazioni tecniche è parte di una formazione storica critica.
Alcune precisazioni:
- ordine logico non significa ordine cronologico di esecuzione delle operazioni
- nella pratica didattica la raccolta di informazioni per le diverse operazioni è contestuale e non
comporta diversi momenti di lettura e analisi
- acquisita familiarità con queste operazioni, le più semplici saranno via via eliminate per far posto
a operazioni di analisi più complesse.
A questo punto occorre interrogare le fonti. In questo caso non è possibile predisporre una scheda di
lettura universale; verranno esposte le proposte di due autori: Antonio Brusa e Ivo Mazzotti si tratta
di modelli didattici utili dalla scuola primaria alla secondaria di secondo grado, ma, da un ordine di
scuola all’altro, le operazioni saranno uguali, le fonti saranno via via meno semplici, le operazioni
richieste saranno meno aiutate e più autonome e il lavoro più complesso e individuale.
di interrogazione dovrà essere graduata. Una modalità preferibile è quella di usare una griglia di
domande più dettagliate e strutturate predisposta dall'insegnante. E’ opportuno che
l’interrogazione non produca liste casuali di informazioni ma sia corredata da strumenti
(tabelle…).
2. Interpretare: Brusa la definisce lettura storicizzata del documento. Significa porsi delle
domande sulle informazioni raccolte, problematizzarle e formulare ipotesi di soluzione a questi
problemi. L’aspetto nodale è l’interrogarsi sulle intenzionalità dell’autore: chi ha creato questo
documento? Per quale scopo? In quale contesto si inserisce? Perché è giunto fino a noi? In
questa fase gli studenti si abitueranno a chiedersi le ragioni delle informazioni, a fare inferenze
e spremere il documento. La fonte può prestarsi anche a generalizzazioni e astrazioni.
Interpretare significa anche confrontare e contestualizzare.
3. Scrivere: quando uno storico conclude il suo lavoro di analisi dei documenti, comunica i dati,
cioè ricostruisce una narrazione storica. La scrittura permette da un lato di rimanere aderente ai
dati forniti dalla documentazione, dall’altro consente di operare generalizzazioni. Le prime
volte l’insegnante può preparare un testo e invitare gli studenti a completarlo.
2° fase: basata sull'incrocio tra le fonti per stabilire il livello di probabilità di ogni informazione
• Incroci con altre fonti
• Inferenze
• Critica delle informazioni
• Schedatura
Mazzotti propone una scheda di lettura molto completa che è opportuno introdurre in classe
gradualmente, partendo dalle voci più semplici per arrivare alle più complesse. Mediata
dall’insegnante, questa scheda permette non solo di affrontare il documento, ma anche di rilevare i
bisogni informativi aggiuntivi (o le preconoscenze) utili a integrare il lavoro diretto con la fonte.
Entrambe le proposte chiudono le operazioni di analisi con il confronto tra le fonti. Tale confronto
dovrebbe essere praticato in diversi modi: tra fonti omogenee, per educare al confronto e alla
verifica delle informazioni, ma anche tra fonti di diversa tipologia per educare alla
complementarietà e integrazione tra linguaggi.
più così, le fonti sono reperibili con una certa facilità in ogni manuale e in varie raccolte per uso
scolastico, ma soprattutto sono reperibili negli archivi digitali presenti su Internet. Un’ulteriore
risorsa per reperire percorsi di fonti sono gli archivi e i musei pubblici.
In sostanza:
Operatività
• È distribuita lungo il percorso e può svolgersi in molti ambienti (aula, museo, casa)
• Può essere svolta in autonomia dagli alunni
• Può essere svolta dagli alunni individualmente
• In essa la mediazione didattica si svolge in una fase, poi gli alunni hanno consegne di operazioni
da eseguire in altre fasi
Didattica laboratoriale
• Richiede che si verifichi una forte interattività tra insegnante e allievi e tra allievi
• L’apprendimento deve essere cooperativo e condiviso
• Richiede un ambiente unitario
• La mediazione didattica si intreccia con l’operatività degli allievi
• Ci sono materiali didattici strutturati per suscitare l'operatività degli allievi
• L’ambiente può essere:
• l’aula per certe attività che non richiedono particolari attrezzature;
• Uno spazio attrezzato, se le attività richiedono particolari strumenti e materiali;
• il territorio, se si tratta di esercitare le competenze a osservare le relazioni, ad es, tra poderi e
insediamenti.
La didattica laboratoriale non può essere concepita né come un lusso né come un accessorio
all'insegnamento e dello studio, deve essere parte integrante al processo di costruzione della
conoscenza.
delle informazioni
• Le operazioni cognitive si elaborano nella mente, ma si manifestano nelle pratiche e sono favorite
dall’applicazione di “saper fare”
• La formazione storica richiede il “saper fare” che è insito nella ricerca storico-didattica e richiede
che si formino abilità nell'uso delle conoscenze ed esse si formano mediante il saper fare
• Occorre disporre i processi di insegnamento e apprendimento in un percorso curricolare lungo il
quale pratiche e “saper fare” possano consolidarsi e arricchirsi e possano favorire lo sviluppo di
abilità e conoscenze
• Le pratiche sono insegnabili e vanno insegnate in laboratorio
Le pratiche e i “saper fare” riguardano i testi storici, le tracce, le carte geostoriche e possono essere
applicati in tutti i livelli scolastici. Nel caso del curricolo delle “operazioni cognitive e delle
conoscenze significative” (proposto dall’Associazione Clio ’92) pensiamo a pratiche laboratoriali
nella didattica dei copioni e dei calendari, nell’apprendimento del sapere cronologico…
Gli strumenti che rappresentano le organizzazioni delle informazioni e le strutture dei testi sono
essenzialmente accorgimenti grafici (mappe concettuali, grafici temporali, tabelle…) che servono
per ridurre e riorganizzare la base di dati informativa, il montaggio tematico, le concettualizzazioni,
le problematizzazioni e le spiegazioni. Le rappresentazioni iconiche facilitano l'esecuzione e la
manifestazione di operazioni cognitive, la dimostrazione di tesi, la ristrutturazione di molteplici
conoscenze in una conoscenza che le sintetizzi.
Gli artefatti grafici consentono di mettere in rilievo aspetti ripetitivi, assi di sviluppo, simmetrie,
contrasti… Tramite essi gli studenti possono cogliere i nessi di contemporaneità, le durate dei fatti
storici, la molteplicità di fattori esplicativi. Tali strumenti hanno la finalità ostensiva di rendere
mostrabili i risultati della conoscenza storica o una finalità interpretativa cioè essere la base su cui
sostenere una possibile critica.
In conclusione, la mente laboratoriale rivaluta il pensiero operatorio, che si manifesta attraverso il
fare e si convince che la pratica e il “saper fare” conducano al sapere, al pensiero astratto e alla
formalizzazione: essa, così, può essere all’origine di uno stile di pensiero, di insegnamento e di
apprendimento molto diverso dallo stile trasmissivo.
CAP 8: TRE MODI DI FARE STORIA NELLA SCUOLA PRIMARIA di Gianluca Gabrielli
oggetti vengono scelti dagli insegnanti e sono materiali di qualsiasi tipologia la cui
fenomenologia d’uso o di vita sia approssimativamente conosciuta dai bambini, esempi: matita
rotta, carta di caramella, frammento di vaso, moneta… Il campo di ricerca va allestito dai docenti,
spargendo gli oggetti in una porzione limitata di giardino senza dirlo inizialmente agli alunni. E’
anche possibile equipaggiare i bambini di strumenti come lente d’ingrandimento, guanti in
lattice… Individualmente o in gruppo si inizia la ricerca e raccolta.
• 2 fase: in classe i gruppi si riuniscono e a turno presentano gli oggetti trovati provando a
descriverli (nome, di cosa è fatto, forma, per cosa poteva essere usato in origine, a cosa
assomiglia), incollandoli su schede di cartone.
• 3 fase: trasformazione delle tracce in fonti: in gruppo si sceglie un oggetto preparando due brevi
ipotesi sul passato che suggerisce, una realistica e una fantastica. Si procederà poi a farne un
disegno e a raccontare oralmente ciò che si è pensato (es. stecchino gelato chissà chi l'ha
mangiato, quanto tempo fa o nell'ipotesi fantastica può essere il ponte di un villaggio di mostri
minuscoli...). L'elaborazione di un disegno permette di fissare le proprie idee.
Il gioco può essere ripetuto, magari aggiungendo una griglia per schedare gli oggetti. Questo gioco
stimola una dimensione creativa che è connessa alla capacità di formulare ipotesi.
In sostanza i bambini hanno seguito un percorso che si articola in questo modo: ricerca - raccolta -
archiviazione - interpretazione.
E’ importante riproporre il gioco per fare in modo che il pensare storicamente non sia solo
l’obiettivo del laboratorio, ma che diventi un modo di guardare la realtà: lo schedario/archivio sarò
quindi in costante evoluzione.
E’ possibile riproporre l’attività anche in anni successivi, elevando gli obiettivi e la densità di
informazioni presenti nelle fonti (es. includendo frammenti di messaggi scritti tratti da quaderni,
cartoline…) e cambiando la formula dell’elaborazione (far scrivere le ipotesi e incollarle alle schede
di cartone).
Una variante prevede di concentrare l’attenzione sulla vita degli oggetti prima del loro smarrimento
in giardino, svelandone la biografia e genealogia (cos’era lo stecchino prima di essere il sostegno
del gelato? era un albero, viveva in montagna, è stato tagliato…).
caratteristiche costitutive o creare un poster. Dovrebbero emergere, nel caso degli Egizi, aspetti
quali: carattere agricolo legato alle stagioni del Nilo, società gerarchizzata, scrittura geroglifica
ecc. Il quadro è una descrizione integrata delle diverse dimensioni sociali, economiche e culturali
che caratterizzano una popolazione in un periodo della sua esistenza.
• 5° passo: scegliere uno dei temi e, usando una serie di fonti, iniziare il lavoro a gruppi di
interpretazione. I ragazzi inizieranno con testi del sussidiario o forniti dall'insegnante,
sceglieranno informazioni secondo un indicatore e trascriveranno i contenuti e le immagini nello
schema generale della civiltà. Costruire un poster di questo quadro storico e sociale aiuta a vedere
in un'unità gli aspetti che progressivamente vengono appresi, compresi e memorizzati, si tratta di
mettere in relazione i diversi aspetti e porre in evidenza le connessioni. È consigliabile usare
prima le fonti iconografiche, di cui è bene spiegare il fine per cui furono dipinte o rappresentate e
poi le fonti scritte, di cui vanno comunicati autori e finalità per permetterne l'interpretazione.
Il mezzo per svolgere queste attività è sempre Prima discussione a piccoli gruppi, poi gruppo classe
intero per formulare ipotesi vagliate dai compagni. Il lavoro a gruppi permette produrre e
confrontare diversi documenti storici e analizzare quindi diversi aspetti della società.
Si può concludere l'attività con una visita a qualche museo egizio per legare quanto svolto in classe
con una visita fonti concrete. La visita al museo apre anche a domande sulla vastità di fonti egizie,
chi le ha portate? Che potere ha l'occidente sull'oriente?
occuparsi. In questa prospettiva nasce il termine geostoria non più come semplice alternativa alla
geopolitica o alla geografia storica, ma come approccio metodologico che permettesse di analizzare
e dare conto dei fattori fisici e biologici che plasmano la vita sociale, culturale, economica e che
consentono di problematizzarla e spiegarla in modo più ampio e complesso. Tutta la ricerca di
Braudel si articola intorno a 3 parole cruciali: modello, struttura e durata. Braudel giunge a
teorizzare l’esistenza di due geostorie: una degli uomini e l’altra della natura, due correnti che
scorrono a velocità diverse. Egli inoltre individua 5 capisaldi su cui si fonda questo concetto
generativo di geostoria: storia profonda, conoscenze significative e utilizzabili per comprendere il
mondo, importanza della descrizione, importanza dei fattori geografici nella spiegazione storica,
complicità fra storia e geografia.
Lo studio del ruolo della società nella costruzione del paesaggio è sollecitato dalla geografia
culturale → fine Ottocento e inizi Novecento, indaga la capacità dell’uomo di condizionare
l’habitat, di creare paesaggi, prestando attenzione a fattori economici, politici, sociali. La nuova
geografia culturale che si impone dagli anni Settanta ha insistito sulla necessità di indagare anche
gli aspetti legati alla percezione del paesaggio, visto non solo nella sua dimensione oggettiva, ma
anche in quella culturale e soggettiva. In sostanza la forma del paeaggio è solo la punta di un
iceberg costituito da materia invisibile. Negli anni Settanta l’onda di queste idee riuscì a
coinvolgere la scuola e l’editoria in una fertile stagione di sperimentazione e riflessione didattica.
Perchè la dicitura “geostoria” compaia a tutti gli effetti nel lessico della scuola italiana occorre
attendere però l’anno scolastico 2012/2013.
superare quella sfasatura cronologica fra i programmi delle due discipline di cui si parlava prima.
Lo studio del paesaggio deve sempre essere impostato sul lungo periodo, recuperando anche gli
elementi di contestualizzazione su un arco cronologico ampio. Un percorso di geostoria ben
costruito può tenere insieme la contemporaneità dell'approccio geografico e la diacronia di quello
storico. Tali concetti di mutamento e diacronia restituiscono la percezione dell’alterità del passato,
spesso appiattita sul presente contemporaneo o proiettata all’indietro in un passato a-storico. Esso,
quindi, facilita la decostruzione di visioni preconcette del passato, come vedremo in un percorso
didattico basato appunto sulla storia sociale del paesaggio → approccio laboratoriale su alcune fonti
utili a definire un percorso di storia del paesaggio rurale tra tarda Antichità e alto Medioevo.
Metodo: apprendimento di alcune linee principali di storia delle campagne introdotto mediante
l’analisi diretta di fonti. Scopo: rifuggire un’immagine stereotipata di Medioevo. L’ambito
geografico preso in considerazione è l’Italia centro-settentrionale, in particolare la Toscana e l’area
padana. Per l’approccio diretto alle fonti la mediazione dell’insegnante è fondamentale sia nella
selezione dei tempi e quindi del dossier documentario, sia per una corretta interpretazione delle
fonti stesse ma anche nella traduzione e semplificazione dei documenti. Il percorso didattico si
completa anche con alcuni paragrafi per dare conto di alcuni snodi fondamentali della storia del
paesaggio rurale nei primi secoli del Medioevo. Particolare attenzione sarà data alla dimensione
spazio- temporale dei fenomeni: sarà fondamentale introdurre i ragazzi all’uso costante delle carte
storiche, geografiche e tematiche. Le attività sono pensate per usi individuali, di gruppo, come
verifica o solo anche come parte integrante della spiegazione stessa.
9.4 I paesaggi rurali tra tarda Antichità e pieno Medioevo. Un percorso didattico
Il Medioevo prima ancora che un’età storica appare come un luogo del nostro immaginario e il suo
potere evocativo è fortissimo e, proprio per questo, storicamente meno contestualizzato. Anche la
storia del paesaggio non si sottrae a questo gioco di fraintendimenti, luoghi comuni e falsi miti. Nel
nostro immaginario il Medioevo è associato a selve oscure, boschi o a una visione bucolica della
campagna. Sincretismo e a-storicità connotano questi paesaggi immaginati e rendono difficoltosa la
comunicazione didattica relativa ai paesaggi reali. E’ necessario scardinare le “immagini immobili”
operando una tematizzazione forte e un’articolata distinzione cronologica, liberando il campo da
pregiudizi e mostrando con maggior precisione ai ragazzi in che modo evolvono il paesaggio
agrario, i sistemi di conduzione della terra ecc. Il percorso didattico si aprirà con un momento
introduttivo che parte dalla contemporaneità, facendo osservare ai ragazzi il paesaggio agrario della
propria regione/territorio.
L’osservazione diretta o indiretta (tramite google maps o foto) saranno occasioni per cominciare a
riflettere sulle caratteristiche del paesaggio e su quali possibili fenomeni abbiano contribuito a
produrre nei secoli la forma attuale degli appezzamenti, la varietà della vegetazione ecc.
Successivamente si passerà all’analisi della storia del paesaggio rurale della tarda Antichità all’età
medievale.
in cui gli studenti abitano una ricerca, per parole e immagini, sui resti delle costruzioni idrauliche e
viarie d’epoca antica nel territorio.
Rifletti sul presente: qual è l’incidenza dei resti archeologici dell’Antichità nel territorio in cui
vivi? Sono luoghi che al momento costituiscono un’attrattiva turistica? Adotta un'emergenza
monumentale del tuo territorio e progetta un piccolo studio di caso per la sua valorizzazione
turistica.
Rifletti sul presente: Il tracciato delle antiche strade e molti insediamenti urbani non sparirono mai
del tutto. Insieme all’insegnante riporta con colori diversi su una carta d’Europa e confronta il
tracciato dei seguenti itinerari: strade romane, itinerari di pellegrinaggio, strade di collegamento tra
i luoghi di fiere e commerci, luoghi del Grand Tour, rete delle autostrade.
Rifletti sul presente: Quali potrebbero essere gli indicatori utili a descrivere i caratteri e a rilevare i
problemi ecologici e ambientali del paesaggio contemporaneo?
Rifletti sul presente I boschi di pianura esistono ancora? Ricostruisci la loro persistenza nel
paesaggio attuale. Censisci i luoghi, mappa e georeferenzia la situazione generale in Italia.
Attività 6: l’economia agro-silvo-pastorale nelle fonti scritte. Leggi due brani (Editto di re Rotari e
un inventario altomedievale del monastero di Santa Giulia BS) e sottolinea le parti significative per
comprendere l’importanza dello sfruttamento dell’incolto. Costruisci un glossario. Fai attenzione
alle unità di misura usate per pesi, lunghezze e quantità. Cerca nei brano 1 riferimento a questioni
come ruolo sociale del porcaro, pratiche venatorie.. nel brano 2 completa una tabella per relazionare
gli spazi dedicati a insediamenti umani, animali, prodotti.. Infine elabora considerazioni conclusive
su ciò che hai letto.
Attività 7: boschi e paludi nelle fonti narrative. Analisi guidata di alcune fonti di carattere narrativo
sempre riferite all’importanza della selva nel paesaggio, nell’economia e nell’ambientazione
dell’Alto Medioevo. Rispondere ad alcune domande.
Attività 8: Il lavoro dell’uomo nei cicli dei mesi. I “cicli dei mesi”, ossia la rappresentazione del
calendario annuale, mediante immagini e scene a tema prevalentemente agricolo, costituiscono una
fonte iconografica interessante per studiare il lavoro annuale e gli spazi dove esso si svolge. È nel
Medioevo che si inizia a parlare dei 12 mesi annuali con le relative attività agricole. Si propongono
alla classe alcuni cicli dei mesi. Divisi in 4 gruppi, a ciascuno sono assegnate le riproduzioni degli
stessi 3 mesi in ciascuno dei 4 cicli e una scheda di osservazione per ogni immagine. Si osservano
con attenzione gesti, attrezzature e si cerchi di individuare quale mese intenda rappresentare
l’artista. Confronto con altri gruppi. Dopo aver visto le immagini si può comprendere meglio la
figura del contadino altomedievale.
Attività 9: la curtis nei contratti di livello. Viene proposto un patto agrario che regolava il rapporto
fra il proprietario della terra e il contadino che la lavorava. È un livello piacentino del 784 e delinea
l'evoluzione tra proprietari e coltivatori. Individuare e sottolineare nel brano: località ove si trova la
terra, proprietario, lavoratore, bene concesso, durata del contratto ecc. Quale immagine del
paesaggio agrario dell’VIII sec è possibile ricostruire?
Rifletti sul presente: chi lavora oggi nelle campagne italiane? Cerca su internet i dati relativi alla
proprietà della terra e ai lavoratori dipendenti e stendi un breve testo a carattere informativo-
argomentativo.
Attività 10: vie d’acqua e scambi. Una pagina di storiografia. Lettura brano dedicato all’analisi
delle trasformazioni economiche dei secoli IX-X e allo sviluppo dei ceti cittadini nell’Italia centro-
settentrionale.
Nel brano si spiega come anche nell’Alto Medioevo i commerci non fossero del tutto spenti e come
la commercializzazione dei prodotti dell’economia curtense avvenisse a livello regionale e
transregionale in tutta la Valle Padana. Elaborazione di un test con domande a risposta chiusa.
Rifletti sul presente: in quali luoghi d’Europa le vie d’acqua sono ancora una rete di
comunicazione usata in epoca contemporanea? Elenca alcune località e documenta la lista con
parole e immagini.
Castelli e incastellamento
A partire dal X secolo, re e principi avevano difficoltà nel governo del territorio. Conti, marchesi,
vescovi e i grandi proprietari acquistavano sempre maggiore autonomia e si scontravano in
frequenti lotte per il potere. Conseguenza visibile nel paesaggio di questi scontri fu la nascita dei
castelli che i potenti costruivano per difendersi dai signori vicini e per affermare il loro predominio
su un territorio. Per molto tempo gli storici credettero che i castelli fossero stati la risposta alle
seconde invasioni (Normanni, Saraceni e Ungari) e così si trova ancora su molti manuali scolastici,
ma la storiografia ha un orientamento diverso in proposito.
Attività 11:castelli e signori. Lavorare con numeri e tabelle. Presentata tabella che riporta il numero
delle fortificazioni di nuova costruzione, attestate nei documenti dell’Italia settentrionale per il
periodo compreso fra il IX e l’XI secolo, e il numero delle invasioni ungare subite da questo
territorio nello stesso periodo. Rifletti sui dati e decidi per ciascuna affermazione se è vera o falsa.
Avvia riflessioni, insieme ai compagni, usando la categoria cognitiva di causa-effetto. Componi un
breve testo in cui ricostruisci la posizione dell’autore riguardo alle cause dell’incastellamento.
Il processo di incastellamento in Italia subì una rapida accelerazione in seguito alle incursioni
ungare, ma era già iniziato prima e proseguì dopo che quel pericolo era già ampiamente cessato. La
costruzione di castelli, quindi, servì sia per proteggersi da nemici esterni, ma anche e soprattutto
dagli altri grandi proprietari vicini. Nel corso del X secolo si ebbe quindi un grande cambiamento
nel paesaggio rurale italiano che è dominato ancora oggi, in molte regioni, da borghi fortificati di
origine medioevale (attenzione: i primi castelli erano costruzioni semplici e non hanno lasciato
tracce visibili. I castelli oggi visibili sono costruzioni più recenti ed elaborate realizzate dall’XI
secolo in poi).
Rifletti sul presente: Il castello è stato spesso ripensato e modificato dall’immaginario collettivo,
fino a stravolgerne le caratteristiche medioevali. Cerca nel territorio una costruzione medievale e
schedane la storia e le caratteristiche più salienti.
l’aumento è lento, poi diventa rapido ed evidente a partire dal XI sec. Una conseguenza
dell’aumento demografico è l’espandersi di superfici coltivate su aree prima ricoperte da pascoli,
boschi e paludi. Inoltre migliorano gli strumenti e le tecniche agricole: nuovo tipo di aratro, detto
pesante, capacità di penetrare più in profondità e di rendere il terreno quindi più fertile; si sfrutta
meglio la forza dei cavalli attaccandoli all’aratro e ai carri; si diffonde la rotazione triennale (campi
divisi in 3, invece che in 2: la prima è coltivata a cereali, la seconda a legumi, la terza lasciata a
prato; sfruttamento della forza dell’acqua (energia idraulica) e del vento (energia eolica); si
diffondono i mulini a vento.
Attività 12: le tecniche agricole fra X e XI secolo nelle fonti iconografiche. Costruisci un dossier
iconografico cercando sui reperti digitali e sui libri le immagini tratte da miniature medievali che
rappresentino le novità delle tecniche agricole.
Rifletti sul presente: il mondo rurale e il lavoro contadino sono profondamente mutati dagli anni
Sessanta in poi in Italia ed Europa. Approfondisci il tema della meccanizzazione agricola e rifletti
sulle sue conseguenze sull'economia.
Introduzione
George Duby ha scritto che la storia non è altro che un genere letterario, una forma di racconto in
cui lo storico narra le vicende vere, in seguito a una paziente opera di raccolta di informazioni tratte
da diverse fonti (questa è una provocazione). L’epos e poi il romanzo sono stati per secoli le forme
di rappresentazione del passato attraverso cui le comunità hanno elaborato le fattezze della propria
identità spirituale. Certo, la narrazione storica ha per obiettivo la verità, mentre quella letteraria non
esige particolari verifiche di autenticità; eppure si tratta di due dimensioni che, il più delle volte,
non confliggono, ma tendono a comunicare tra loro. Il punto è che la narrazione è alla base del
nostro modo di organizzare la conoscenza e pensare la realtà; inoltre il termine storia tende a essere
generalmente collegato alla funzione del raccontare e ascoltare vicende reali o fantastiche, più che
all’indagare, interpretare e ricostruire. Dunque proprio il ricorso a ciò che “viene naturale” può
costituire un mezzo utile per tradurre didatticamente la complessità della disciplina: la dimensione
narrativa, familiare e quotidiana, nel suo duplice aspetto di scrittura e lettura, quando è collegata
in termini coerenti alla conoscenza del passato, sembra essere una valida alleata nell’avvicinare gli
studenti alla materia.
Al giorno d’oggi nessun alunno è a digiuno di notizie su specifiche epoche o fatti storici (grazie a
social network, tv, cinema, fumetti, musica…) la maggior parte giunge a scuola con idee spesso
confuse o sommarie riguardo al passato, cariche talvolta di stereotipi. La storia è dunque qualcosa
che si conosce per sentito dire. L'esposizione al passato rende difficile distinguere tra reale e
immaginario, forse anche per la tendenza a privilegiare l'aspetto emotivo di un avvenimento.
Il docente che usa la narrativa per l’insegnamento della storia deve seguire alcune coordinate:
• Va ricordato come la testimonianza che il testo letterario fornisce sia indiretta e filtrata
dall’intento comunicativo dell’autore.
• La narrativa obbedisce a regole stilistiche proprie, aspetto che può porla in conflitto con
l’esigenza di autenticità
• Non dimenticare il rapporto di verità e finzione ci cui essa si nutre, provvedendo a distinguere nel
testo tra un piano narrativo e uno storico-informativo
• Importante offrire agli alunni un quadro del contesto in cui si inserisce l’opera (ambiente, info
relative all’autore…).
L'insegnante deve attivare meccanismi creativi che veicolino il ragionamento su cui è costruita la
spiegazione, affinché questo possa essere compreso da chi ascolta che sarà in grado di rielaborare in
modo autonomo quanto ha sentito.
come: di che tipo di testi si tratta? Quanto viene raccontato è storia o finzione?
2. Le fonti letterarie: l’insegnante introduce i romanzi discutendo con i ragazzi degli strumenti dello
storico, introducendo il concetto di fonte e riflettendo sul rapporto tra verosimiglianza e veridicità
nelle opere artistiche. Bisogna portare all’attenzione i due rischi che l’uso di narrativa come fonte
storica reca con sé: la manipolazione dei fatti e il ricorso all’emotività-immedesimazione del lettore.
Al termine della spiegazione, gli studenti, in piccoli gruppi, lavorano sui romanzi: ricavare solo le
info storiche presenti separando, dunque, l’invenzione narrativa dalla realtà storicamente
accertabile. Si ragionerà sul rapporto storia-fiction. Al termine ciascuno studente sceglierà uno dei
volumi proposti per una lettura completa a casa, accompagnandola con la scrittura di una breve
recensione con giudizio personale motivato.
3. Incontro con l’autore e lo storico: ciò permette ai ragazzi di ascoltare come autore e storico
ricostruiscano la storia, di fare domande, esprimere dubbi e confrontarsi con gli autori. Durante
l’incontro verranno lette le recensioni preparate dai ragazzi: le più efficaci riceveranno un premio
(in libri)
Tutte le schede personaggi e luoghi (nella forma definitiva) vengono restituiti agli scrittori che le
useranno per la realizzazione delle singole scene. Si ottiene, così, il testo definitivo.
Lavorando con strumenti diversi dal solito manuale, gli studenti imparano in modo attivo e
coinvolgente a dare senso e a interpretare storicamente situazioni, fatti e ad acquisire gli strumento
per ordinare i passaggi storici. In questo senso il testo letterario può essere un valido supporto, un
modo per capire, approfondire e rendere più piacevole la disciplina. Gli alunni imparano ad essere
storici, ovvero cacciatori di tracce con un ruolo attivo nel processo di ricerca, capaci di generare le
a. Di una programmazione disciplinare di storia, dove si porrà l’accento sul luogo come fonte
storica, per legare l'evento locale a un contesto più generale
a. Di un percorso trasversale afferente a “Cittadinanza e Costituzione”, dove si insisterà sulla
dimensione esperienziale del luogo come contenitore di memorie.
Mantenere un collegamento tra questi due aspetti non fa altro che rafforzare l’apprendimento e la
capacità di pensare storicamente, agendo sulla motivazione e sul valore educativo dell'attività.
Attraversare un luogo della memoria ha senso se innesca processi di riflessione e approfondimento
che riguardano il presente e le sue dinamiche (migrazioni, conflitti…) al fine di rafforzare un
atteggiamento responsabile di fronte alle sfide che la realtà ci pone. Il percorso attraverso un luogo
storico permette di ricostruire il passato scoprendo tracce nel presente. La visita va progettata
unendo rigore storiografico e coinvolgimento attivo degli studenti, per arrivare ad assumersi la
responsabilità del passato. Il passato deve essere condiviso, entrare nel bagaglio collettivo del
sapere e mantenuto come traccia, anche per capire come sia sottile la linea che separa la strada che
conduce a diventare carnefici da quella che porta al rifiuto di collaborare con regimi criminali.
La nozione di luogo della memoria è problematica: possiamo distinguere analiticamente in essa
diverse tipologie che spesso, in realtà, troviamo coniugate in vari modi:
• Il luogo-evento, ossia il luogo autentico dell’accadimento
• Il luogo-rappresentazionale, cioè il monumento
• Il luogo-raccolta di materiali o museo di storia
Solo il primo è quello che possiamo considerare luogo della memoria in senso stretto, mentre gli
altri rappresentano luoghi per la memoria. L’ultimo, poi, ambisce ad essere un luogo per la storia e
per la didattica.
Un luogo della memoria, quale che ne sia la tipologia, può rappresentare un ponte tra presente e
passato ed è questa sua caratteristica che ne rende significativa l’assunzione nella pratica didattica. I
luoghi devono assumere significato per chi li esperisce. È fondamentale quindi creare le condizioni
per stabilire una relazione, attraverso il luogo, con gli eventi passati che lo hanno segnato, affinché
avvenga un passaggio del testimone.
Un luogo va affrontato alla stregua di una qualsiasi altra fonte di memoria e va sottoposto a critica.
Nessun luogo si può considerare intatto o uguale a quello originario perché è sempre frutto di
interventi o di scelte che riguardano l'oblio e l'abbandono. I luoghi che ospitano molti monumenti
possono essere letti secondo la chiave dell'incrocio di memorie, spesso conflittuali (memoria locale
vs memoria ufficiale).
In Italia e in altri paesi accade speso che memoriali nazionali realizzati tra anni 60 e 80 vengono
sostituiti con allestimenti ritenuti più fruibili dai visitatori, ma così facendo si occulta una fase
importante dell'elaborazione di memoria pubbliche, dando forma a una sorta di negazionismo.
Ecco perché tra storia e memoria va mantenuta sempre una distanza, pur tenendone presenti gli
intrecci. L'esigenza di tenere distinte storia e memoria diventa cogente quando si ricorre a una fonte
orale. La memoria tende a singolarizzare la storia, mentre invece lo storico deve sempre inserire
l'esperienza individuale in un contesto più ampio, effettuando una comparazione con altre diverse
fonti. Le testimonianze di memoria sono qualcosa di costruito nel tempo, che hanno a che vedere
con l'oggi in cui il testimone vive, piuttosto che con l'evento passato di cui ci parla.
L'intenzionalità delle fonti orali si confronta con i delicati meccanismi della formazione della
memoria, dei suoi slittamenti nel tempo e con il suo continuo trasformarsi a seconda delle
sollecitazioni che riceve.
Le fonti della memoria sono di estrema utilità qualora si voglia ragionare sull'odierno uso pubblico
della storia. Affrontare in chiave critica il racconto di un testimone e le ingenuità metodologiche
dell'allestimento di un luogo della memoria è una strada per rafforzare la motivazione allo studio
del passato.
La mediazione dell'insegnante
Nel caso dell'utilizzo didattico di un luogo della memoria, la mediazione dell'insegnante assume un
ruolo centrale e delicato, in quanto deve lavorare sull'intreccio di tre poli distinti ma complementari:
- il contesto: il tempo e la storia che il luogo ricorda o celebra
- il momento: il tempo e la cultura che lo hanno prodotto
- il presente del visitatore
La visita a un luogo ha senso se si inserisce in un discorso già avviato in classe. Gli studenti devono
conoscere a grandi linee il contesto in cui il luogo da visitare si situa ma non devono conoscere
dettagliatamente l'evento di cui il luogo si è fatto memoria.
Per un maggiore approfondimento sulle competenze da far acquisire o mettere in gioco si veda la
tabella pag 236.
Nell'area di Monte Sole, nell'Appennino bolognese, tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 morirono
per mano delle SS 770 persone, fu il più grave massacro di civili nell'Europa occidentale. La visita
può snodarsi lungo la zona del Memoriale che comprende le rovine di tre borgate teatro di uccisioni
e segni di monumentalizzazione come le sculture.
Prima della visita è importante fornire le coordinate storiche essenziali per capire il contesto in cui il
massacro si è svolto: caduta del fascismo, armistizio, occupazione tedesca. Sul posto ci si
soffermerà poi su aspetti più specifici.
Il racconto del massacro può avvenire borgo per borgo ed essere accompagnato da testimonianze
scritte ma anche orali, grazie ai sopravvissuti, per confrontar il luogo prima e dopo il massacro e
produrre negli studenti empatia.
È possibile svolgere poi un'analisi delle diverse stratificazioni memoriali che abitano il luogo o si
sono costruite intorno all'evento. Si può riflettere sullo stato di abbandono del luogo dopo la strage
o sugli aspetti di monumentalizzazione. Uno dei monumenti infatti è stato costruito tra anni 70 e 80
dalla chiesa bolognese.
Durante il percorso è bene introdurre elementi che facciano riflettere gli studenti, coinvolgendoli
nella comprensione della responsabilità individuale.
Ci si può aiutare con molte opere letterarie, come quelle di Hannah Arendt per porre l'accento sulla
responsabilità morale dell'individuo e sulla presa di coscienza che chiunque di noi in certe
condizioni potrebbe comportarsi come uno spietato carnefice.
Il coinvolgimento attivo dello studente è importante per formare cittadini attivi e consapevoli,
capaci di valutare le alternative in situazioni complesse.