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Economia e Gestione Completo 104
Economia e Gestione Completo 104
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Viene analizzato l’aspetto funzionale dell’impresa: è un’organizzazione (insieme coordinato di organi) che deve
svolgere mediante processi di acquisizione e di trasformazione processi di produzione e quindi di creazione di valore.
Questa creazione di valore è diretta allo scambio con la finalità di produrre un reddito, cioè un divario positivo tra
ricavi e costi. Questa definizione è una definizione tradizionale che vede quindi l’impresa come un sistema socio-
tecnico di tipo aperto. È costituito da un complesso di parti che forma un sistema, che ha una particolarità ovvero
quella di essere un sistema aperto ( sistema che riceve risorse da altre imprese, le trasforma e le cede sottoforma di
bene o servizi ai consumatori). Questo sistema si deve collegare con l’ambiente (con il contesto generale di
riferimento) e poi in particolare con il mercato (o microambiente ed è parte dell’ambiente che contiene potenziali
consumatori e imprese concorrenti).
Definiamo il sistema socio- tecnico in quanto l’impresa risulta essere formata da due parti:
-aspetto sociale: formata dal gruppo di persone.
-aspetto tecnico: mezzi tecnici mediante i quali l’impresa svolge la sua attività di produzione.
Questa definizione però è un po' datata, era classica della produzione di massa ovvero di beni in larga scala con dei
costi che diventavano via via decrescenti al crescere della dimensione e che rispondeva ad un principio di un
allargamento del mercato che si basava proprio sull’abbassamento dei costi e quindi sull’abbassamento dei prezzi.
Questa classificazione di impresa doveva vivere in un ambiente abbastanza in cui i fenomeni innovativi erano
abbastanza contenuti. Il contesto in cui ci troviamo oggi invece è molto dinamico e cioè chiede all’impresa una
prevalenza del fenomeno innovativo o comunque una continuità del fenomeno innovativo.
Piuttosto che la parte impiantistica allora risultano essere importanti le parti riguardanti le risorse immateriali cioè le
risorse di conoscenza. Si dice che l’impresa opera secondo un sistema di conoscenze e operando attraverso queste
conoscenze crea altra conoscenza. C’è un nuovo profilo quindi dell’impresa, c’è un’impresa con un profilo cognitivo.
La parte materiale finisce per essere meno prevalente della parte materiale, la parte immateriale (risorse intangibili)
assume maggiore importanza.
Nella vita delle società evolute l’impresa rappresenta un fatto universale. Rappresentano la forma più efficace di
organizzazione del lavoro degli uomini e si ordinano secondo una tipologia abbastanza ampia. Prevale un principio di
specializzazione per cui ogni impresa si specializza a fare un certo tipo di attività in modo tale da raggiungere il livello
massimo di efficienza in quell’attività lasciando alle altre imprese di fare altre cose. Le imprese si ordinano in
un’organizzazione abbastanza ampia in funzione di vari elementi. Questi vari elementi sono l’attività che svolge
l’impresa. Abbiamo quindi imprese industriali che svolgono attività manufatturiera, impresa artigianali etc….
Le imprese non si organizzano solamente in base all’attività ma anche in funzione della forma giuridica. Possiamo
fare una distinzione in tre gruppi:
-Ditte individuali: classica azienda artigianale o commerciale è un’azienda che si impersona in un individuo.
-Società di persone: nella quale il principio della responsabilità è un principio illimitato. Sono le società nelle prime
fasi.
-Società di capitale e per azioni.
Analizziamo adesso il profilo della natura della proprietà e delle dimensioni. Ciò è molto importante per capire il
governo dell’impresa.
Possiamo avere diversi tipi di soggetto imprenditoriale. Ci può essere il piccolo imprenditore (persone fisica che è il
proprietario e gestisce l’impresa), l’impresa famigliare (c’è un gruppo famigliare, non c’è più una sola persona fisica.
Le solite persone sono proprietari e gestori dell’impresa), public company (una società con una proprietà così
frazionata che non può partecipare alla gestione dell’impresa, sono finanziatori dell’impresa ma non gestori. In
questo caso, quindi, c’è una dissociazione tra proprietà e governo dell’impresa).
A seconda di chi possiede il capitale possiamo avere un’altra distinzione tra imprese private, pubbliche e miste.
-Private: quelle in cui il capitale viene posseduto da privati. La gestione è privata.
-Pubbliche: la maggioranza del capitale è nelle mani di enti pubblici o locali. Ci sono manager delegati che gestiscono.
-Miste: partecipazione equilibrata tra privato e pubblico.
All’aspetto dimensionale dell’impresa va data una certa importanza sia sotto un profilo teorico che sotto un profilo
pratico.
-Profilo teorico: la gestione di un’impresa piccola ha minori problematica rispetto alla gestione di un’impresa grande.
-Profilo pratico: certe agevolazioni di carattere finanziario e fiscale fanno distinzione tra le imprese piccole, medie e
grandi.
Come viene misurata la dimensione dell’impresa? Qui possiamo avere una serie di indici che possono aiutare nella
ricerca della dimensione.
-indice volumi vendite/ricavi
-indice di risultato: la produzione che viene venduta. Il fatturato è un indice di risultato, è la produzione che viene
venduta ma non è detto che l’impresa sfrutti per intero la sua capacità di produzione. Fatturato massimo è quello
che corrisponde ad una capacità produttiva massima. Il valore aggiunto è quello che si aggiunge mediante la
produzione ed è quindi la differenza tra il valore finale di un prodotto e tutto quello che è stato acquistato per
produrlo.
-indice produttivo: è la capacità dell’impianto di produzione.
-indici patrimoniali: il capitale dell’impresa.
-parametri di carattere organizzativo: numero di addetti. Per effetto dell’automazione però è un concetto che ha
perso valore.
La distinzione tra piccola, media e grande impresa per l’Istat è fatta in basa al numero di addetti. È una classificazione
che ha dei limiti che va in base anche all’aspetto dell’automazione.
L’unione europea combina invece tre elementi patrimonio, fatturato e numero di dipendenti. questa classificazione è
più attinente ad oggi.
Questi sono distinzioni quantitative dell’impresa.
Si preferisce fare una distinzione qualitativa dell’impresa cioè in base al potere di mercato. Per potere di mercato
significa che l’azienda è in grado di stabilire la quantità di produzione, i prezzi di produzione e anche in alcuni casi di
imporre al mercato il proprio potere/controllo (grande impresa).
2)Il sistema culturale-tecnologico; può essere inteso sotto il profilo culturale, come il contesto entro cui si
affermano le manifestazioni tradizionali della vita materiali, sociale e spirituale di una collettività organizzata.
Può rinvenirsi ad esempio nei modi di vivere e pensare che caratterizzano un popolo. Esso si compone di una
serie di elementi che concorrono a comporre il sistema di valori di un singolo individuo e della società nel
suo complesso. Questo ambiente influenza anche coloro che operano all’interno dell’impresa. I suoi effetti si
hanno anche sull’avanzamento delle conoscenze e sul migliore uso delle risorse disponibili; scienza e
tecnologia rappresentano un prodotto della cultura infatti. Si può asserire che la tecnologia influenza
prevalentemente l’impiego delle risorse, mentre la cultura si riflette anche sul loro consumo sotto forma di
beni e servizi.
3)Il sistema demografico-sociale; è definito dalla struttura della popolazione residente e dalle relazioni fra gli
individui e i gruppi che la compongono. La ripartizione per razza, religione, classi di età, livello
socioeconomico, professione, i caratteri di cristallizzazione e di fluidità tra e all’interno dei singoli strati,
costituiscono i principali aspetti socio-demografici dell’ambiente in cui opera l’impresa. Il minor tasso di
natalità e l’allungamento della vita mediano hanno mutato la struttura della popolazione, nella quale
tendono a pesare di più classi degli anziani nei confronti di quelle dei giovani. È molto importante la
4)Il sistema economico; esso deve essere inteso come il sistema generale dell’economia che regola la
collettività. Fra i molteplici profili dell’aspetto economico, alcuni fra i più importanti sono quelli che
concernono:
Il meccanismo di regolazione della vita economica. In esso si distingue fra le forme dell’economia di mercato
e di piano.
o Per economia di mercato si intende un sistema di decisioni decentrate, regolato cioè da leggi di
mercato. In questa economia opera il principio della libera iniziativa e quello della proprietà privata
dei mezzi di produzione, per cui si parla in questo caso di economie liberiste.
o -Per economia di piano ci si riferisce invece ad un sistema in cui le decisioni sono prese
prevalentemente al centro mediante l’elaborazione di piani governativi nazionali. In questo tipo di
economia tutto è regolato dal piano, anche l’uso dei mezzi di produzione, che sono prevalentemente
di proprietà della collettività. Per tale motivo si adoperano in maniera intercambiabile economia di
piano o economia collettivista.
Lla proprietà dei mezzi di produzione, in relazione al quale si distingue tra economie liberiste e collettiviste.
In un’economia collettivista l’impresa opera come un organo dello stato, e vi è limitata autonomia decisione
per quanto concerne le strategie da perseguire. Vi è una pressoché immedesimazione fra lo Stato e
l’imprenditore. Nell’ipotesi di un economia di mercato le imprese dispongono di un’ampia discrezionalità,
potendo perseguire qualsiasi comportamento con i vincoli generali imposti dalla regolamentazione pubblica.
Nella realtà rispetto ai modelli teorici di economie completamente di mercato o totalmente di piano, le economie
effettivamente operanti erano quelle d’intervento o miste, all’interno delle quali la presenza del pubblico e del
privato si intrecciavano con varie modalità. Dallo scenario post bellico, nei paesi occidentali vi è stato uno
spostamento verso un’economia di piano, nella quale vi era un più decisivo e diffuso intervento del potere pubblico
nella sfera economica. Per ragioni volontarie od obbligato, la figura dello stato imprenditore attraverso i gruppi
pubblici era divenuta pertanto centrale nell’ambito delle economia occidentali. Tutto ciò fino a quando una serie di
fenomeni, come il mutamento delle ideologie politiche prevalenti, si è convenuto sul lasciare più spazio all’iniziativa
privata, fenomeno detto delle “privatizzazioni”, che ha rappresentato una delle risposte alla crisi dello Stato
imprenditore. Anche nel nostro paese molti servizi pubblici sono stati privatizzati e da tempo sono esercitati in
regime di concorrenza (telecomunicazioni, energia elettrica, acqua, autostrade).
Dalla privatizzazione si fanno discendere tre possibili benefici:
1. Il miglioramento dell’efficienza nella prestazione del servizio.
2.l’accentuazione della concorrenza con conseguente riduzione delle tariffe
3. L’ottenimento mediante la fiscalità, di risorse finanziare per lo Stato e gli Enti locali.
2. l’equilibrio economico e politico sul piano internazionale: Si osserva infatti che gli eventi di politica
economica internazionale, che hanno contrassegnato l’ultimo ventennio, hanno radicalmente modificato le
caratteristiche dell’ambiente socioeconomico. Per effetto dell’apertura dei mercati, dell’affermarsi di nuovi
importanti competitori (Cina ed India), dell’intrecciarsi di lotte sul controllo delle risorse energetiche
mondiali, dei tassi molto differenziati di sviluppo delle economie nazionali, l’ambiente è divenuto più
turbolento, quindi meno prevedibile, più ostile alle imprese, più eterogeneo e complesso, più insicuro a
causa dei fatti terroristici. Le imprese devono perciò imparare ad affrontare i seguenti connotati ambientali;
turbolenza, ostilità, diversità, complessità ed insicurezza.
Sotto il profilo dell’economia d’impresa tale concetto riguarda due aspetti: quello dell’interrelazione su scala
mondiale di certi mercati, che amplia la concorrenza a livello internazionale e quello dell’omogeneità della domanda,
su questo vi sono però opinioni differenti, in quanto può essere presente in determinati settori ma non è prevalente
rispetto a quello dell’interrelazione su scala mondiale delle strategie aziendali.
In sostanza la globalizzazione si riferisce ad un mercato senza confini geografici, piuttosto che ad un mercato
mondiale omogeneo. È il dilatarsi della concorrenza in senso territoriale che fa crescere le dimensioni della
concorrenza stessa.
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Viviamo in un sistema dinamico e dobbiamo distinguere il concetto di ambiente da quello di mercato.
Ambiente: inteso come ambiente socioeconomico, cioè l’insieme di quelle variabili che influenzano il
comportamento delle imprese e dei mercati. L’ambiente determina le condizioni che vanno ad influenzare i singoli
mercati che riflettono le loro condizioni sulle imprese. L’impresa è la cellula economica, i mercati sono l’ambiente
immediatamente circostante all’impresa e poi il macroambiente come ambiente generale nel quale si determinano
alcuni elementi che sono molti importanti.
Quali sono le condizioni che influenzano la vita delle imprese e l’andamento dei mercati? Che cosa interessa la vita
dei mercati e delle imprese?
-ambiente economico: In un’economia di tipo chiuso (come una volta erano le economia dei paesi orientali) lo stato
è l’unico imprenditore, organizza le imprese, demanda ai propri funzionari la guida delle imprese, stabilisce i bisogni
da soddisfare e decide i prodotti da porre in essere con un sistema che si dice “a decisioni accentrate” dove la libertà
di iniziativa dell’impresa e la proprietà privata non esistono. Dall’altra parte forme di governo liberali sono forme “a
decisioni decentrate” in cui ciascun gruppo può avere libertà di iniziativa e organizzare la propria attività economica
come preferisce assumendo anche il rischio del fallimento con il rischio di uscire dal mercato. La libertà di iniziativa
non può essere di tipo assoluto in quanto deve rispettare interessi di carattere generale e quindi vi è un problema di
mediazione tra il controllo assoluto dell’economia e l’assoluta libertà. C’è un problema che viene definito della
combinazione tra stato (regolatore dell’economia) e mercato (organizzatore spontaneo dell’economia) che configura
poi nei sistemi economici che sono di fatto esistenti. Lo stato può pur lasciando libertà di iniziativa agli imprenditori
può porre dei vincoli.
-ambiente sociodemografico: intendiamo struttura della popolazione e la struttura della popolazione (ogni paese
risulta caratterizzata da una quantità di persone e da come questa quantità si distribuisce al proprio interno) e sono
due fattori che pesano sulla produzione delle imprese che a seconda del tipo di pubblico che servono possono avere
svantaggi e vantaggi. L’aspetto sociale riguarda come risulta organizzata la popolazione cioè se è socialmente
omogenea o eterogenea. È sicuramente eterogenea in quanto in ogni paese esistono le classi sociali che creano una
stratificazione sociale che genera determinate conseguenze per le imprese, in quanto questa stratificazione pesa sui
modelli di consumo che risultano essere influenzati da determinate classi sociali (esempio nella moda).
-ambiente tecnologico culturale: l’aspetto culturale è importante perché la cultura rappresenta il modo di esprimersi
di una popolazione in quanto risulta essere formata dagli usi, le consuetudini, le tradizioni e i modi di comportarsi. La
cultura influenza i modelli di consumo. Nel momento in cui si afferma un certo tipo di cultura essa può modificare il
livello di consumo dei consumatori e ciò ovviamente ha conseguenze sulla produzione delle imprese. La cultura è alla
base dell’evoluzione della tecnologia in quanto sono due concetti che vanno di pari passo.
Mercato: è un microambiente, è inteso come complesso di venditori e compratori di certi beni. È la struttura più
vicina all’impresa in quanto è la struttura per la quale l’impresa vive. È l’impresa che sceglie il mercato. L’economia è
fortemente specializzata cioè per arrivare alla produzione di un prodotto finale occorre fare tante cose da parte di
imprese diverse. Ogni impresa opera quindi in una pluralità di mercati (mercati di acquisto e collocamento) Possiamo
dividere questi mercati in due sub ambienti:
-ambiente transazionale: dove l’azienda fa le transazioni in ingresso dove si approvvigiona di ciò che ha bisogno.
Questo ambiente transazionale viene costituito a sua volta da altri tipi di mercato
-mercato di produzione: dove ci acquista ciò di cu si approvvigiona di materie prime
-mercato del lavoro: dove si approvvigiona di lavoratori
-mercato finanziario: si approvvigiona di capitale
-ambiente competitivo: dove vende i beni e i servizi che produce. È composto da due elementi
-clienti: chi vuole comprare i prodotti
-concorrenti: la concorrenza
Abbiamo una concorrenza perfetta quando alla base ci sono alcuni elementi di fondo, ovvero:
-libertà di uscita e di entrata nel mercato
-omogeneità dei prodotti e dei produttori
-trasparenza nel mercato
Altro elemento importante che definisce la struttura di un mercato sono le barriere di mercato. Per barriere di
mercato intendiamo le barriere all’entrata cioè intendiamo capire se per entrare in un determinato mercato ci sono
degli elementi di ostacolo che non ci consentono di entrare nel mercato, o che ci consentono di entrare ma con
sforzi rilevanti. Dobbiamo concepire il mercato come un’area limitate al cui interno ci sono i produttori che si
sentono minacciati da chi vuole entrare nel mercato, per “isolarsi” rispetto agli altri produttori mediante le barriere.
Queste barriere potranno essere più o meno scalabili. Il discorso quindi della concorrenza gira intorno alla esistenza
e alla entità di queste barriere. Ci possono essere due gruppi di barriere:
-assolute: non c’è nessun modo per superare queste barriere (es: un brevetto, dal momento che un produttore ha un
brevetto gli altri non possono imitarlo).
-relative: sono quelle che definiamo come economia di scala.
Barriere di mobilità: sono quelle che consentono ad un produttore che è già presente in un mercato definito
merceologicamente di muoversi da un segmento all’altro di mercato. La concorrenza non è soltanto di tipo esterno
ma anche interno.
Vediamo ora come funziona un mercato in rapporto alle caratteristiche della domanda e dell’offerta osservate
insieme. In ogni mercato ci può essere una situazione di squilibrio o di equilibrio (c’è equilibrio quando domanda e
offerta tendono a bilanciarsi, ma ciò è molto difficile).
Possiamo avere due situazioni diverse:
1)La domanda è inferiore all’offerta (offerta superiore alla domanda): i produttori sono in concorrenza tra di loro per
acquisire compratori perché non tutta la loro capacità di produzione può essere soddisfatta da coloro che sono in
grado di compare il servizio/prodotto. La concorrenza è tra chi produce e di conseguenza chi governa quel mercato è
il compratore che decide da chi comprare. La domanda in questo caso è privilegiata rispetto all’offerta perché può
decidere il successo del produttore. In questo caso si parla di mercato del compratore.
2)La domanda è superiore all’offerta: si parla di mercato del venditore. Tutto ciò che il produttore produce vende.
C’è stata un’evoluzione dell’ambiente esterno all’impresa che dobbiamo analizzare per vedere le caratteristiche
interne di un’impresa che dovrebbe assumere a seguito di questa evoluzione ambientale. L’ambiente si è fortemente
evoluto per due fattori:
-progresso tecnologico: elemento che è di progresso ma allo stesso tempo è un elemento di instabilità, mano a mano
che va avanti richiese innovazione e cambiamenti. Più accelerato è il ritmo del processo tecnologico più crescono le
condizioni di dinamismo, di cambiamento, di complessità dell’ambiente.
-equilibrio politico internazionale: l’equilibrio politico internazionale ha un certo peso poiché a seconda di quello che
accade a livello mondiale si hanno dei riflessi sui rapporti tra i paesi (in un’economia così aperta importazioni ed
esportazioni finiscono per essere un elemento sistematico).
Questi due fattori hanno accelerato quindi questo dinamismo ambientale. Questo dinamismo ha portato quindi alla
definizione di tre caratteristiche dell’economia:
-la complessità: quella di oggi è sicuramente un’economia complessa. È un’economia in cui la variabilità e la varietà
sono cresciute poiché gli elementi di innovazione sono fortemente presenti in tutti i fattori. Più cresce la variabilità e
la varietà degli elementi che compongono l’economia più è difficile prevedere come si evolve il sistema e quindi
diventa più difficile per le imprese seguire questa evoluzione.
-la globalizzazione: c’è da fare una distinzione tra economia globalizzata e internazionalizzata.
-internazionalizzata: sotto il profilo degli scambi tutte le imprese sono in concorrenza
In conseguenza a questo dinamismo ambientale l’impresa deve assumere determinate caratteristiche: deve essere
flessibile (adattarsi alle tipologie di cambiamento) e innovativa e reattiva (deve reagire alle forme di evoluzione).
Dato questo dinamismo ambientale dobbiamo analizzare i paradigmi che possono regolare i rapporti tra impresa e
ambiente. Abbiamo due modi di analizzare questi comportamenti:
1)paradigma strutturalista: ruota intorno ai termini di struttura condotta performance (scp). Questo paradigma
afferma che a struttura dell’ambiente esterno e del mercato in particolare influenza la condotta dell’impresa. Quindi
il risultato (performance) è quello che risulta dalla condotta dell’impresa che però dipende direttamente dalla
struttura dell’ambiente esterno.
2)paradigma comportamentista: la condotta dell’impresa finisce per influenzare la struttura del mercato e di riflesso
anche le condizioni ambientali, e quindi la performance/ il risultato non è altro che l’effetto di condotte aziendali che
determinano le condizioni strutturali che portano al successo dell’impresa. In questo caso quindi l’impresa influenza
l’ambiente esterno a propria convenienza ottenendo risultati favorevoli.
Questo tipo di paradigma oggi è meno ricorrente. Oggi difficilmente le aziende riescono ad influenzare l’ambiente
esterno perché questo ambiente non è più nazione, cioè limitato, ma è internazionale. L’impresa oggi è sempre più
soggetta ad una capacità di dover prevedere questi fenomeni perché chi ha maggior capacità previsionale riesce ad
avere maggiori vantaggi in termini di competizione.
Alcuni concetti in ordini all’organizzazione di impresa si vanno modificando, ad esempio oggi alcuni elementi
riguardanti l’organizzazione dell’impresa vanno in contrasto con quelli del passato. Vediamo perché.
In passato abbiamo avuto la rivoluzione industriale che ha portato ad una crescita delle dimensioni di produzione.
Questo aumento ha portato ad un forte abbassamento dei costi di produzione sempre per effetto dell’economia di
scala. Ciò ha portato ad un’economia del benessere in cui venivano quindi soddisfatti anche bisogni secondari.
L’innovazione, quindi, risulta essere un fattore dominante. Allo stesso tempo innovazione e flessibilità vanno in
conflitto con la grande dimensione, che porta alla rigidità. Il conflitto che si avverte ad oggi nelle imprese è questa
contrapposizione tra la dimensione che è fattore di economicità e l’innovazione che diventa fattore di rigidità.
Vediamo come trovare allora un equilibrio.
Trovare un equilibrio significa trovare quello che è definito come il confine efficiente di impresa, quello che
rappresenta la configurazione dell’impresa che deve rispondere alle mutazioni dell’ambiente esterno. Vediamo
allora due concetti fondamentali:
-costo di transazione: è un concetto mutuato dall’economia. Non deve essere confuso con il costo di acquisto. Lo
scambio richiede uno sforzo (attingere alle informazioni necessarie, recarsi dal produttore, accordarsi con il
produttore). Nella vita dell’impresa esse sono soggette a sostenere dei costi di transazione, e ciò si verifica quando
devono comprare all’esterno quello che non producono all’interno. Quindi ogni azienda si pone poi il problema su
cosa produrre all’interno e cosa acquistare dall’esterno. Questa decisione deriva da una comparazione tra il costo di
transizione e il costo di produzione. Se il costo di transazione (il costo del bene scambiato) è inferiore al costo di
produzione allora è chiaro che all’impresa ricorrerà ad un mercato per comprare certi beni. Questa comparazione tra
i due costi definisce il confine efficiente dell’impresa.
L’efficienza è il modo ottimale di fare le cose. Deve essere intesa in modo corretto. Abbiamo un concetto di efficienza
statica: combinazione ottimale delle risorse disponibili. La condizione di stabilità però non permane a lungo nella vita
delle imprese. L’efficienza deve essere inquadrata anche sulla capacità di creare nel tempo combinazioni diverse
sulla base di competenze che nel fare si arricchiscono e si potenziano.
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La classificazione degli stakeholder è continuamente mutevole, perché, da tempo a tempo, possono variare
l’attualità degli interessi, la forza dei singoli interlocutori ed il loro grado di legittimazione.
Per quanto concerne l’individuazione degli stakeholder, deve consentire di stabilire come gestire i relativi rapporti,
valutando se da ciascuno di essi potrà derivare un atteggiamento collaborativo, oppure un ostacolo se non
addirittura una minaccia per la sopravvivenza stessa dell’impresa. Sotto questo profilo gli stakeholder si possono
classificare in 4 categorie:
1 Stakeholder amichevoli (supportive) dai quali si può ottenere un sostegno decisivo per l’attività
dell’impresa. Strategia dell’impresa per amministrare efficacemente la relazione: la via del
coinvolgimento
2 Stakeholder avversari (non supportive) dai quali potrebbero invece generarsi difficoltà sostanziali per la
gestione aziendale; la strategia è la difesa.
3 Stakeholder non orientati (mixed blessing) da cui si potrà avere, a seconda delle circostanza un sostegno
o un atteggiamento negativo; strategia:ricerca di collaborazione
4 Stakeholder marginali, il cui peso nei confronti dell’impresa nel particolare momento risulterà del tutto
modesto. La strategia che risulta utile è il monitoraggio
Posizioni di contrasto o marginali non dovrebbero essere attribuibili agli interlocutori primari, questi ultimi infatti
dovrebbero inquadrarsi sempre tra gli stakeholder supportive. Nel caso di rapporti in contrasto con lavoratori,
fornitori denota uno stato patologico pericoloso per la vita aziendale.
Nella teoria degli stakeholder un punto problematico concerne il ruolo della proprietà. Può accadere che
quest’ultima, detenga nelle sue mani il governo dell’impresa oppure che si vengano a costituire due soggetti distinti:
la proprietà investitrice e il management.
-Nel primo caso l’imprenditore, rappresentando l’impresa è colui che deve curare il rapporto con gli stakeholder e
quindi non ne fa parte di questi ultimi.
-Nel secondo invece, l’imprenditore è rappresentato dal management a cui è stata confidata l’amministrazione
dell’impresa, ma la proprietà risulta giustamente ricompresa tra gli stakeholder. Se non si dovesse presentare la
dissociazione tra proprietà e governo dell’impresa, gli stakeholder primari dell’imprenditore si ridurrebbero
fondamentalmente ai lavoratori, ai fornitori e alla clientela.
L’esistenza di investitori distinti dai gestori pone un problema centrale. In questa ipotesi il rapporto tra l’impresa e
l’investitore si risolve nel conferimento di capitali e nella corrispondente attribuzione di dividendi.
Accade quindi che rispetto all’impresa vi siano stakeholder la cui remunerazione è fissata da un contratto, e
stakeholder (ossia gli azionisti) la cui ricompensa è residuale, vale a dire che sarà riconosciuta nella misura e se (dopo
aver corrisposto tutte le remunerazioni contrattuali) dovesse rimanere un residuo di ricchezza.
LA TEORIA DELL’AGENZIA: Questa particolare condizione rientra in quella che è definita come la teoria dell’agenzia,
tipica di tutti i casi in cui si ha dissociazione tra proprietà e governo dell’impresa.
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Abbiamo visto fino finora che l'impresa può essere considerata come sistema sociotecnico ossia composto di risorse
umane, materiale che immateriale soprattutto, risorse di conoscenza, risorse tecniche quindi macchinari e strutture.
Abbiamo detto anche che l'impresa è vista come un sistema aperto in costante relazione nei confronti dell'esterno.
Abbiamo inteso anche l’impresa come sistema cognitivo che si sviluppa tramite processi di creazione e diffusione
della conoscenza. Tramite l’analisi dei fini imprenditoriali abbiamo visto che l’azienda come sistema sociale perché
ha un’importantissima ricaduta nell’ambito del contesto in cui opera. L’impresa è in costante e continuo
collegamento nei confronti dell’esterno; è costituita da gruppi interni e ha continue relazioni con i gruppi sociali che
si trovano all’esterno che hanno diverse caratteristiche. L’impresa si caratterizza come il centro di un sistema di
relazioni. La visione sociale dell’impresa ha a che fare con la logica del sistema economico e sociale. L’impresa si dice
essere un sistema economico e sociale a cui prende parte una pluralità di attori che devono essere guidati tra un
giusto equilibrio tra obiettivi di carattere economico e responsabilità sociali.
-individuazione dei gruppi di interesse: ci sono tre fattori fondamentali che permettono di individuare in maniera più
precisa quali sono gli stakeholder con cui confrontarsi:
Gli stakeholder vengono classificate in funzione delle reazioni che possono avere nei confronti dell’impresa. Abbiamo
quattro classificazioni
1. Stakeholder amichevoli: alta collaborazione
2. Stakeholder avversari: bassa collaborazione
3. Stakeholder non orientati
4. Stakeholder marginali: non hanno peso nei confronti dell’impresa.
Questi sono stakeholder che non sono legati da relazioni dirette con le imprese (stakeholder di tipo secondario). Tra
gli stakeholder di tipo primario non vi possono essere stakeholder marginali o non orientati.
In questi quattro gruppi possiamo evidenziare anche i tipi di minaccia, alta o bassa, che possono avere questi
stakeholder nei confronti dell’impresa:
1. Non orientati: minacce alte, l’impresa deve cercare di collaborare con loro
2. Amichevoli: minacce basse, l’impresa deve attuare maggiore coinvolgimento nei confronti di questi gruppi.
3. Avversari: minaccia elevata, la strategia deve essere quella di difesa.
4. Marginali: minaccia massa, la strategia deve essere quella di monitorare i gruppi.
Esiste un rapporto particolare relazione tra chi governa l’impresa e chi è proprietario. Questa relazione si basa su un
rapporto fiduciario che può trovare un momento di interruzione nel momento in cui il manager non risponde agli
interessi della proprietà.
La teoria dell’agenzia:
Richiama la situazione in cui il potere di amministrazione aziendale è esercitato da un agente. Questo ruolo fiduciario
genera un rapporto di delega. Si viene a creare una situazione singolare che tende a ridurre il carattere residuale
della remunerazione della proprietà.
I gruppi indicati svolgono un ruolo attivo nei confronti dell’impresa e ciascuno genera influenze sulla misura del
profitto.
L’imprenditore tenta di massimizzare il risultato economico di gestione: per fare ciò deve ampliare i ricavi e/o ridurre
i costi in modo da far crescere il profitto. A tale scopo, egli può promuovere delle innovazioni nei prodotti, nelle
tecnologie e nei mercati, oppure può tentare di modificare l’equilibrio esistente senza adottare processi innovativi.
Per questo ragionamento dobbiamo fare tre ipotesi:a
1. Dobbiamo essere in una situazione di stabilità dei rapporti prodotti/mercato
2. Dobbiamo ipotizzare che l’impresa tratti un unico prodotto, diversamente bisognerebbe estendere il
ragionamento costi/ricavi con un’altra incognita rappresentata dalla variazione della composizione interna
del mix di prodotti.
3. Dobbiamo escludere l’ipotesi che l’azienda debba obbligatoriamente distribuire un dividendo agli azionisti.
Partendo da queste ipotesi (molto semplificatrici della realtà) possiamo osservare che l’imprenditore, se vuole
aumentare i ricavi, deve tentare di influire su due variabili: il prezzo e la quantità dei beni venduti.
Ma un rialzo del prezzo incontra l’opposizione dei compratori, i quali possono rinunciare all’acquisto del bene
rivolgendosi ad altro fornitore, oppure ridurre la quantità domandata e far contrarre il volume globale dei ricavi
quindi questa possibilità risulta limitata.
Rimane la strada dell’incremento delle quantità da far assorbire al mercato. questa via però, crea reazioni da parte
dei concorrenti, le cui azioni potrebbero portare ad una compressione dei ricavi complessivi dell’impresa, quindi
anche questa via risulta limitata.
Volendo operare sui costi, una variazione può essere ottenuta per due vie: l’abbassamento del costo unitario o
l’impiego di una minore quantità di risorse. Sotto al primo aspetto, si tratta di ridurre la remunerazione del lavoro, i
prezzi pagati ai fornitori, gli interessi corrisposti ai finanziatori etc..ma nessuna variazione è possibile per le aliquote
impositive fissate dalle pubbliche autorità. Per quanto riguarda il costo unitario, l’imprenditore trova delle naturali
opposizioni nei gruppi sociali dei lavoratori, dei finanziatori e dei distributori.
Ci sono altre possibilità di incremento del profitto senza scatenare reazioni da parte di gruppi sociali? la risposta può
essere positiva se cade una delle condizioni poste a base del ragionamento, cioè della ripetitività degli stessi
comportamenti nel tempo. E’ intuibile che solo mediante l’innovazione l’imprenditore può aspirare a migliorare o
almeno difendere la propria posizione reddituale. Dobbiamo esaminare quindi 2 voci di costo: i costi organizzativi e i
costi di ricerca e sviluppo. I primi si riferiscono all’analisi, progettazione e controllo e adattamento delle strutture,
procedure e tecniche di lavoro e direzione; mentre i secondi sono relativi all’individuazione di nuove opportunità
tecnologiche o di mercato, alla creazione dell’immagine, all’avviamento commerciale. In corrispondenza di questi
costi non vi è un particolare e forte gruppo sociale. Le due voci vanno considerate sotto due aspetti:
1. Quali costi sganciati da un vero e proprio gruppo sociale, e in quanto tali, non comprimibili con minore
difficoltà da parte dell’impresa.
2. Quali fattori di economicità e di maggior ricavo per l’impresa, e in quanto tali, non comprimibili se non a
pregiudizio della produttività e della redditività aziendale di lungo periodo. Accade di fatto che nei periodi di
crisi sono gli unici costi ad essere tagliati in quanto ritenuti non strettamente necessari.
Da tale ragionamento si possono trarre tre conclusioni:
1)L’equilibrio tra costi e ricavi aziendali è difficilmente modificabile in assenza di innovazioni nella gestione.
2)Le innovazioni richiedono il sostenimento di costi che sono solitamente tagliati in periodo di crisi aziendali
3)Il profitto è una quantità residuale che risente delle situazioni di crisi, data la rigidità delle altre grandezze
economiche e l’assenza di processi innovativi.
E’ possibile concludere che il reddito è un risultato che deriva da accordi di cooperazione o dalla composizione di
conflitti interni ed esterni e che la sua misura non è mai liberamente determinabile dall’imprenditore. Il fine del
massimo profitto diviene così, il fine del massimo profitto condizionato.
La teoria dei limiti sociali al massimo profitto pone così meglio in rilievo l’aspetto conflittuale dell’organizzazione
aziendale, che è una coalizione di tipo particolare poiché fra i suoi componenti intercorre un duplice rapporto di
collaborazione-contrapposizione.
IMPORTANTE: la massimizzazione del profitto incontra due vincoli: i primi sono quelli sociali, i secondi sono i limiti di
conoscenza in ordine all’evoluzione dell’ambiente e dei mercati (ragion per cui l’obiettivo nelle singole scelte e
quindi della gestione intera, sarebbe quello di individuare, per ciascun problema, le alternative soddisfacenti
piuttosto che quelle ottimali)
b)L'imprenditore meno visibile e meno integrato, a cui apparirebbe meglio riferibile la teoria della massimizzazione
del valore economico dell'impresa nel tempo lungo.
c) L'imprenditore delegato (manager) al quale sarebbe applicabile quella che potrebbe essere definita come la teoria
della mobilità, in quanto spesso il successo dell'impresa dovrebbe, attraverso la mobilità, consentirgli di accrescere
l'affermazione sociale.
La conclusione è che la soluzione di dilemmi morali, sono propri di sistemi di interessi differenziati, sulla base di
principi che attingono anche al campo dell'etica aziendale, si rivela, oggi, quale fattore caratteristico di una superiore
interpretazione della funzione imprenditoriale. Infatti, dalla teoria del successo sociale, si giunge alla conclusione che
la conduzione aziendale dev'essere qualificata in senso etico, perché il prestigio nella società si acquista mediamente
un comportamento corretto moralmente, quindi introducendo l'etica nell'impresa.
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LE FUNZIONI DELL’IMPRESA E LE FINALITA’ IMPRENDITORIALI:
l’impresa può essere vista come fenomeno secondo diverse prospettive:
-prospettiva che considera l’impresa una organizzazione economica in quanto tale è un’organizzazione che deve
soddisfare i bisogni umani mediante la messa a frutto di risorse che sono rinvenibili in natura in misura limitata.
Ciascuna impresa deve soddisfare i bisogni della propria clientela e secondo un principio economico sociale generale
di divisone e frazionamento del lavoro ciascuna impresa si specializza in un determinato ruolo lasciando alle altre
imprese di specializzarsi a loro volta.
-prospettiva che considera l’impresa come sistema sociale. In quanto tale il punto di riferimento sono tutti i gruppi di
interesse che all’interno dell’impresa devono trovare una remunerazione attraverso la capacità della stessa impresa
di creare valore e distribuirlo tra i partecipanti. Tramite questo processo di creazione e distribuzione l’impresa
rimane come organismo vivente.
-prospettiva che vede l’impresa come struttura patrimoniale. La prospettiva di riferimento è quella dell’imprenditore
ossia di chi apporta il capitale e la propria capacità imprenditoriale. L’impresa viene quindi considerata come un
complesso di beni chi è organizzato nello svolgimento di processi produttivi finalizzati alla produzione di reddito. La
capacità di remunerare il capitale e la capacità imprenditoriale diventa un elemento preminente.
Queste diverse prospettive non sempre sono alternative tra di loro ma presentano elementi di complementarità,
anche se a seconda di una serie di condizioni una prospettiva rispetto alle altre potrebbe essere preminente. Ci
dovrebbe essere tuttavia un ordine di priorità che tiene conto della ampiezza dell’interesse di riferimento.
Un altro aspetto importante è quello della definizione delle finalità di questa organizzazione imprenditoriale. Perché
un’azienda si crea? Perché esiste? Perché si organizzano i fattori di produzione e poi si passa al governo
dell’organizzazione?
Un’impresa di per se non ha un sistema di fini. L’impresa in quanto sistema sociale non ha dei propri fini se non nella
misura in cui si analizzano le prospettive differenti delle finalità dei singoli individui, cioè di coloro che apportano
capitale e governano l’impresa.
Le caratteristiche dell’imprenditore.
A seconda di determinate condizioni l’imprenditore assume caratteristiche differenti. Dobbiamo quindi analizzare al
problema della dissociazione tra proprietà e governo dell’impresa:
- Imprenditore delegato (imprese a conduzione manageriale): il Management risponde alla funzione
imprenditoriale e la proprietà del capitale resta diffusa tra gli azionisti.
- Imprenditore classico (impresa piccola e medie dimensioni a conduzione familiare): proprietario del capitale
imprenditoriale e allo stesso tempo è anche colui che governa l’impresa.
Le componenti di costo:
Il costo del lavoro trova una tutela molto forte, quindi, è molto difficile aumentare il profitto facendo leva su un
taglio del costo del lavoro (ciò è verificabile solo in situazioni di crisi ma non per far crescere il profitto).
I costi di approvvigionamento sono tutelati in maniera molto forte dai fornitori. Chi si occupa della gestione
dell’impresa potrebbe aumentare il profitto cercando di diminuire i costi di approvvigionamento riducendo le
risorse, ma ciò comporterebbe una riduzione della quantità di produzione e ciò porterebbe ad una diminuzione dei
ricavi. Si può cercare di ridurne il costo unitario, in questo caso la resistenza è da parte dei fornitori che non hanno
interesse a ridurre i prezzi di vendita.
-I costi di organizzazione: sono quei costi che l’azienda sostiene per rinnovare, modificare il modello organizzativo. Le
imprese che vogliono evolvere devono innovarsi a livello organizzativo continuamente. Per fare ciò sono sempre
sottoposti a continui processi di ristrutturazione continua del modello organizzativo che genera dei costi. In questo
caso non c’è un gruppo di riferimento che tutela questo aspetto e che quindi si oppone. Ovviamente una
compressione dei costi di organizzazione limita i costi di organizzazione.
-I costi di sviluppo: si rivolgono invece allo sviluppo tecnologico. Anche qua non esiste un gruppo di riferimento che si
oppone ma anche qua una compressione dei costi di sviluppo pregiudica, nel medio e nel lungo termine, la
possibilità per l’impresa di garantirsi determinati livelli di sviluppo nel tempo.
Il profitto, quindi, è un profitto quindi limitato dall’impossibilità di poter manovrare liberamente i ricavi e i costi.
Quindi è una quota residuale che rimane alla fine e che serve a remunerare la proprietà.
Conclusioni:
-l’equilibrio tra costi e ricavi è difficilmente modificabile in assenza di modificazione della gestione. Per far crescere il
ricavo dobbiamo attuare processi di continue innovazioni.
-le innovazioni nell’organizzazione richiedono il sostenimento di costi che tuttavia sono ridotti in situazioni di crisi
aziendale.
-il reddito è un risultato che deriva da accordi di cooperazione interni o esterni la cui misura non è mai determinabile
dall’imprenditore.
Quindi i comportamenti imprenditoriali fanno riferimento ad un sistema di finalità. Molto spesso l’immedesimazione
tra impresa e imprenditore spinge quest’ultimo a scelte che non sono prettamente economiche.
Bisogna distinguere all’interno della gestione dell’impresa un sistema di governo e un sistema operativo.
-sistema di governo: sistema per il quale è fondamentale stabilire le norme comuni di funzionamento di un sistema
di risorse umane, tecniche e finanziare.
La gestione comporta un serie di decisioni che possono essere caratterizzate in modo diverse tra di loro: decisioni di
breve, medio e lungo periodo. Di lungo periodo, ad esempio, abbiamo le decisioni strategiche, le quali hanno un
rilevante impatto sul raggiungimento degli obbiettivi imprenditoriali, le scelte tattiche invece concernono le modalità
d’impiego delle risorse e le decisioni operative necessarie per dare corso all’attività produttiva. In ogni impresa
bisognerà decidere in quali mercati/settori operare, quali investimenti tecnologici compiere, su quali competenze
contare e quali funzioni attivare. L’imprenditore, quindi, è chiamato a definire una gerarchia della strategia secondo
un approccio sistematico, senza quindi sottovalutare la loro interrelazione interna e la stretta correlazione con
l’evoluzione dell’ambiente.
Le decisioni poi possono essere divise a seconda della possibilità di modifica nel tempo. Ci sono decisioni che non
possono essere modificate o revocate. Le decisioni possono essere distinte in funzione del livello organizzativo alle
quali saranno demandate. Si fa riferimento al processo di formulazione della decisione aziendale che è distinto da
due fasi diverse:
- Formulazione: parte dall’analisi per arrivare alla definizione tra diverse alternative di una possibile decisione.
- Implementazione: Traduzione della formulazione in azione.
I soggetti decisori:
L’imprenditore: soggetto economico che decide di rischiare i suoi capitali e di dedicare le sue capacità professionali
alla produzione di beni e servizi da cedere a terzi. L’imprenditore secondo Schumpeter deve caratterizzarsi per una
serie di qualità:
- Capacità previsionale: capacità di anticipare gli andamenti di fenomeni nel futuro.
- Razionalità consapevole: consapevole dei limiti che la razionalità ha. La razionalità non può essere assoluta in
quanto i processi decisionali avvengono in ambienti fortemente incerti. Ciò nonostante, un buon
imprenditore fa approfondimento successivi. Combina quindi un processo di analisi e di intuito.
- Intuito:
- Spirito di iniziativa
- Forte impegno (“commitment” = impegno)
- Libertà intellettuale: capacità di modificare le regole del gioco, specialmente per il imprese che operano in
ambiti molto competitivo.
- Autorevole: grossa capacità di leadership
- 1)Atteggiamento di ATTESA, che consiste nell’aspettare che si verifichino i fenomeni evolutivi nel mercato o
nel più vasto contesto i cui questo è compreso per promuove, solo dopo che si sono chiaramente affermati,
gli opportuni adattamenti della gestione. Questo modello gestionale configura uno schema di
comportamento quasi esclusivamente ripetitivo, le azioni sono conseguenza di variazioni ambientali.
- 2)Atteggiamento ANTICIPATORIO, consiste nell’attuazione di uno sforzo constante di previsione di
mutamenti ambientali, allo scopo di prerealizzare in modo tempestivo e le necessarie modifiche nei
comportamenti di gestione. In questo modello di gestione il comportamento è razionale in cui le decisioni di
mutamento sono anticipate rispetto alle modificazioni.
- 3)Atteggiamento PROATTIVO, che si concreta nella promozione di azioni tendenti ad influenzare l’ambiente
nella direzione più favorevole allo sviluppo aziendale. Questo invece, si caratterizza come un modello di
sviluppo fondato sull’innovazione quale sforzo autonomo.
La distinzione più importante è quella tra il modello definito di attesa, qualificabile come “passivo” e gli altri due:
l’adozione di un atteggiamento del primo tipo denota la mancanza di un qualsiasi quadro strategico di sviluppo e
lascia intendere un orientamento scarsamente innovativo delle politiche di gestione.
Quindi l’elemento che denota il grado di avanzamento del processo di gestione aziendale è rappresentato
dall’intento o orientamento strategico delle decisioni imprenditoriali.
Il concetto di strategia, possiamo definirlo come: un comportamento imprenditoriale di tempo lungo finalizzato al
raggiungimento di obiettivi primari della gestione. La strategia in altri termini è il mezzo per conseguire traguardi di
tempo non breve, definiti in funzione dell’evoluzione del rapporto tra l’impresa e l’ambiente nel quale essa opera. La
strategia si caratterizza per tre elementi fondamentali: formulazione a livello alto- direzionale, la proiezione a lunga
scadenza e la priorità dei traguardi fissati. Ciò denota che i comportamenti di tipo strategico non si qualificano solo
per l’orientamento a lungo termine, ma anche per lo scopo di modificare il preesistente equilibrio aziendale
mediante la ricombinazione delle risorse.
>Le strategie aziendali si ordinano secondo una scala gerarchica:
1)Le strategie complessive o corporale sono al vertice: riguardano il fatto che gli organi di governo devono scegliere
(scelta in chiave tecnologico-produttiva) i campi o le aree di affari in cui operare.
Differenza tra strategia e politiche: il concetto di strategia implica un disegno generale globale di tempo lungo che
individua le direttrici da seguire per raggiungere determinate mete (obiettivi primari della gestione).
Le politiche sono invece scelte funzionali in rapporto al disegno strategico e vincolanti per le decisioni da assumere
nel corso della gestione.
3)PARADIGMA FONDATO SULLE RISORSE RCP (risorse, condotta,performance) Al paradigma SCP (cui si riallaccia il
noto modello della concorrenza allargata di Porter), tende a sostituirsi un nuovo paradigma fondato sulle capacità
(risorse) dell'impresa di poter influenzare i risultati gestionali, detto paradigma RCP (risorse, condotta, performance).
Tale paradigma pone in relazione la performance con la condotta e quest'ultima con le risorse proprie dell'impresa,
riducendo l'influenza del settore e accrescendo il peso dei fattori endogeni nella formulazione delle scelte
strategiche.
Sono le risorse specifiche possedute dall'impresa che sostengono le condotte suscettibili di generare cambiamenti
settoriali che, modificando le regole del gioco, migliorano le probabilità di successo competitivo. Tra i due paradigmi
SCP e RCP non esiste comunque incompatibilità, ma vi sono condizioni di integrazione e di complementarità.
E' utile la distinzione tra economie di scala d'impianto e d'impresa. Quelle di impianto si riferiscono al processo di
produzione dei beni e sono funzione della dimensione globale assunta dall'azienda e riguardano non solo il processo
di produzione ma anche quelli di commercializzazione e di amministrazione aziendale. Inoltre, le economie di
produzione possono accrescersi in base al processo di apprendimento maturato attraverso l'esperienza acquisita. Il
concetto di economia di scala va evolvendo verso le economie di interrelazione o "di scopo". Quest'ultime si dilatano
per effetto dell'inserimento dell'azienda in reti pluriaziendali, dando origine all'economia "di relazione", la quale è
divenuta un fattore importante di vantaggio competitivo, in quanto consente di instaurare rapporti di fiducia con
clienti e fornitori, che contribuiscono a migliorare le posizioni di mercato e il conto economico aziendale. In certi
mercati dunque, la vera barriera all'ingresso può essere rappresentata proprio dalle sinergie derivanti dalle allenare
strategiche tra le imprese già esistenti.
b)le barriere possono esistere in altre situazioni quando ad esempio il patrimonio tecnologico si concentra nelle mani
di uno o di pochi imprenditori. Il possesso di brevetti o di know-how impedisce l'entrata di concorrenti.
d)un altro tipo di barriera, che è più interno, si collega alla differenziazione dei prodotti. Questo tipo di barriera
consente a ciascun produttore di isolarsi rispetto agli altri concorrenti: più spinta sarà la differenziazione del
prodotto, più profondo e meno accessibile risulterà il fossato entro cui si sarà protetti dalla concorrenza.
Per quanto riguarda le barriere all'uscita, queste vincolano le imprese a permanere nel mercato, finiscono per
irrigidire e spesso turbare i comportamenti concorrenziali, se le aziende che vogliono uscire dal mercato trovano
difficoltà, sarà turbato il funzionamento del mercato stesso. Possono essere create da vincoli economici (difficoltà di
disinvestimento) sociali (continuare l'attività per preservare l'occupazione), ma spesso comunque penalizzano tutte
le imprese presenti.
- Attività di supporto: sono classificate con criteri di maggiore elasticità). Le attività di supporto sono chiamate
così perché forniscono le basi per la concreta realizzazione delle attività primarie.
Ulteriore osservazione: le barriere all'entrata, dipendono anche dalle condizioni soggettive dell'impresa, ossia in base
alle risorse specifiche di cui questa è dotata, certe barriere appariranno più o meno elevate o addirittura potrebbero
annullarsi. Ciò riguarda la resource based theory, che ha posto al centro dell'analisi competitiva la specificità di
ciascuna impresa in termini di risorse, capacità e competenze.
LE RISORSE AZIENDALI sono definite come "tutte le attività, capacità, competenze, caratteristiche aziendali,
informazioni che permettono all'azienda di formulare e implementare strategie che ne migliorino l'efficacia e
l'efficienza".
Un aspetto importante delle risorse, è che non tutte pesano nella stessa misura in termini competitivi e
bisognerebbe puntare quindi, su quelle che potranno assicurare effettivamente un vantaggio durevole. Sotto questo
aspetto è utile il modello VRIO, idealizzato da Jay Barney, individuando le caratteristiche che possono conferire
significatività ed importanza alle risorse possedute dall'impresa. Le risorse si possono quindi classificare in base:
LE STRATEGIE COMPETITIVE E L'EQUILIBRIO TRA DOMANDA E OFFERTA: il mercato del venditore e del
compratore.
Per comprendere a pieno il funzionamento di un dato mercato e le politiche adottate dalle imprese che in esso
operano, è necessario valutare congiuntamente la domanda e l'offerta, allo scopo di desumere la posizione relativa
di forza dei produttori e dei consumatori. Il grado di controllo del mercato è legato non solo al peso esercitato dai
produttori ed i consumatori, ma anche alla situazione di equilibrio, o meglio di squilibrio che può crearsi fra la
domanda e l'offerta in un certo ambito territoriale e in una certa epoca.
Una situazione di perfetto equilibrio di domanda ed offerta non è realistica. Ma ai fini del funzionamento del
mercato, non è importante l'equilibrio in termini di risultati fra domanda e offerta, quanto quello fra potenzialità di
produzione e capacità di assorbimento. Se la domanda tenderà a superare la capacità di produzione esistente nel
mercato, i produttori assumeranno una chiara posizione di vantaggio, in quanto non sopporteranno rischi di vendita
dei loro prodotti, ma potranno avvantaggiarsi di una situazione di concorrenza fra gli acquirenti, che dovranno
competere l'uno con l'antro per entrare in possesso della limitata quantità di beni disponibili (mercato del
venditore).
La situazione opposta è nel caso di un'eccedenza dell'offerta, i produttori dovranno competere fra di loro per
acquisire la domanda disponibile. Il venditore deve attuare una gestione in chiave di marketing per fronteggiare In
modo adeguato i bisogni ed i gusti dei consumatori. L'ipotesi di mercato del compratore è la più diffusa, dato che il
progresso tecnologico e l'evoluzione dei sistemi di produzione portano a creare risorse potenziali quasi sempre
esuberanti rispetto alle capacità di assorbimento della domanda
Le opzioni strategiche
Lo sviluppo orrizontale
La strategia di sviluppo orizzontale dell’attività aziendale può essere attuata mediante; un’espansione interna
dell’organizzazione, oppure con un processo esterno di acquisizione di imprese similari, in questo caso si parla di
integrazione orizzontale, si ha il raggruppamento di più aziende operanti nello stesso mercato. n proposito bisogna
svolgere 2 considerazioni:
-Solo nel secondo caso lo sviluppo porterà ad una corrispondente variazione della quota di mercato dell’impresa
-Per “stesso mercato” deve intendersi un complesso di produzioni legate appunto da stretti vincoli di domanda e di
offerta. Ci si trova in presenza di uno sviluppo orizzontale quando fra le produzioni integrate sussistono vincoli
tecnologici e di mercato. I primi si collegano ai cicli di produzione, alla presenza di fasi comuni di lavorazione, al know
how similari; mentre i secondi derivano da una comune impostazione dei problemi e delle politiche di mercato.
L’integrazione orizzontale ha lo scopo di far crescere la quota di mercato detenuta dall’impresa. Ciò si ottiene
ampliando la gamma di prodotti trattati, ampliando il numero dei segmenti di mercato serviti o allargando l’area
geografica di vendita. Perciò le operazioni di acquisizione si rivolgeranno alle aziende concorrenti che trattino
prodotti assenti nella gamma della società acquirente.
VANTAGGI: -Le crescita orizzontale rispetto ad altre forme di sviluppo richiede meno tempo per essere attuata e
consente di sfruttare tutte le risorse disponibili, implicando rischi meglio valutabili.
-Il principale vantaggio dello sviluppo orizzontale si dovrebbe avere sotto il profilo delle economie di costo, che si
possono distinguere in economie di dimensione (o scala) o di espansione: le prime sono collegate alla più economica
utilizzazione di certi fattori produttivi, per effetto di una maggiore scala di operazioni; le seconde sono relative alla
minore onerosità dello stesso processo d’espansione.
1)ECONOMICITA’ si ottiene comparando i costi d’uso del mercato con quelli da sostenere all’interno
dell’organizzazione di impresa (e svolgendo all’interno le attività che sarebbero più costose se delegate all’esterno)
2)RISCHIOSITA’ DELLA TRANSAZIONE Il controllo delle condizioni d’acquisizione di beni o servizi è maggiore
nell’ipotesi di produzione interna rispetto a quelle di un rapporto contrattuale di scambio
Sulla base di questo duplice aspetto si è ipotizzato che il ricorso al mercato divenga meno conveniente al crescere
della complessità della transazione sulla quale influiscono: la ricorrenza, l’incertezza e la specificità degli atti di
acquisizione da compiere all’esterno. In conclusione, la teoria dei costi di transazione pur aiutando la logica dei
comportamenti imprenditoriali, non riesce da sola, a fornire tutti gli elementi interpretativi per le decisioni di
internalizzazione o esternalizzazione delle attività aziendali.
Lo sviluppo verticale si caratterizza perché ha per oggetto mercati legati a rapporti di fornitori o di collocamento.
L’integrazione verticale si traduce in uno spostamento a monte o a valle del mercato di acquisto o di vendita di certi
prodotti aziendali. Con la verticalizzazione ascendente l’azienda inserisce nel suo ciclo produzioni di base o
intermedie; con quella discendente cambia il suo mercato di sbocco, rivolgendosi ad uno stadio più vicino alla
fabbricazione di prodotti finali.
OBIETTIVO INTEGRAZIONE VERTICALE: ampliamento della gamma di produzioni intermedie comprese nello stesso
ciclo tecnico-economico.
SUB-OBIETTIVI:
-In ogni caso si ha l’aumento del valore aggiunto, perché cresce la differenza tra il valore dei prodotti finiti ed il costo
delle materie e dei servizi acquisiti. Più crescerà il valore aggiunto più aumenterà il controllo sui costi di produzione.
(l valore aggiunto si calcola sottraendo dal valore del prodotto finito (ricavi) tutti i costi di acquisizione di beni e
servizi)
-Minori rischi: Nell’integrazione a monte ci si assicurerà una continuità dei processi di approvvigionamento,
nell’integrazione a valle ci si avvantaggerà un maggiore controllo dei mercati di sbocco.
VANTAGGI:
-Vi è una riduzione dei costi di transazione, perché l’impresa producendo all’interno ciò che acquistava da fornitori
esterni, non è più costretta a sopportare dei costi per la ricerca delle informazioni, stipula del contratto e il controllo
della sua esecuzione
-Maggiore forza contrattuale
-Innalzamento delle barriere all’entrata, perché chi aspira ad entrare sarà generalmente costretto ad operare in più
stadi di produzione ad un livello dimensionale superiore.
SVANTAGGI:
-Può comportare anche innalzamento delle barriere all’uscita, per un’impresa integrata verticalmente, quindi più
rigida, i processi di disinvestimento assumeranno maggiore complessità e difficoltà.
Per quanto concerne lo sviluppo multinazionale, esso può essere considerato come l’epilogo di una strategia
sistemata di espansione internazionale. L’impresa multinazionale è infatti, non solo un’organizzazione che dispone di
impianti di produzione e di reti di distribuzione in più paesi del mondo, ma anche e soprattutto una società che
persegue una gestione integrata delle attività domestiche estere. Fattori importanti ai fini di un’espansione
multinazionale della gestione, sono il management aziendale e la disponibilità di capitali.
Le modalità di realizzazione delle strategie di sviluppo: il ruolo degli accordi strategici tra imprese
Può accadere che un’impresa tenti dapprima di rafforzare la propria posizione nel mercato tradizionale (sviluppo
orizzontale), e solo in un secondo momento voglia perseguire politiche di integrazione verticale, e specie di
diversificazione. Le varie strategie possono essere viste come delle fasi; nel percorso di sviluppo i momenti principali
sono costituiti generalmente da due passaggi: quello da una politica di produzione unica ad una di produzioni
multiple e quello dell’ingresso in più aree d’affari. Può esserci un altro tipo di comportamento strategico, quello della
crescita interrelata, spesso di tipo interaziendale. È una strategia che sfrutta le possibilità di collaborazione tra
imprese, puntando ad un ampliamento del volume di affari o del valore aggiunto creato, senza corrispondente
espansione delle strutture organizzative interne. Bisogna distinguere due casi di integrazione interaziendale; quello
della c.d “impresa rete” e quello della “rete di imprese”. Il primo è rappresentato dall’aggregazione promossa dalla
grande impresa nei confronti dei suoi stakeholder per struttura le economie di relazione; il secondo è quello delle
aggregazioni interaziendale specie di piccolo medie imprese, per avere un maggior peso dimensionale e competitivo.
Vi è un aspetto innovativo nell’organizzazione degli accordi tra imprese ossia quello della rete (network) è un
modello più elastico che si regge su rapporti d’integrazione ed interdipendenza fra i partner.
Queste tre tipologie di atteggiamenti danno già un’idea dei comportamento strategici dell’ambiente definendo
ancora meglio il concetto di strategia. Il concetto di strategia è molto complesso. Immediatamente lo si immagina
come concetto proiettato verso il futuro. Il concetto di strategia diventa anche un mezzo per conseguire traguardi di
tempo non breve. Quando si fa riferimento al concetto di strategia si può analizzare anche a posteriori e quindi come
comportamento, può essere la risultante di una serie di decisioni che hanno portato l’impresa a posizionarsi
all’interno del proprio scenario competitivo.
Ci sono altri elementi che definiscono il concetto di strategia come scelta. Il concetto di strategia si definisce per tre
elementi essenziali:
- La formulazione a livello autodirezionale: le scelte strategiche vengono formulate a livello di gruppo
decisionale, e sono le scelte che definiscono le politiche di investimento e gli scenari competitivi.
- Hanno una proiezione a lungo termine.
- La priorità dei traguardi da raggiungere: si definiscono gli obbiettivi di carattere prioritario.
La strategia può essere distinta secondo tre livelli: (piramide gerarchica del processo decisionale strategico)
1) Strategia complessiva: (strategia di corporate o strategia di portafoglio) scegliere i campi o le aree di
affari in cui operare seconda una strategia complessiva che può essere di sviluppo o di mantenimento
delle posizioni. La scelta può riguardare uno o più campi di affari. È la scelta di portafoglio dell’attività di
impresa cioè dei diversi business in cui l’impresa vuole essere presente. Scelte di portafoglio possono
essere anche rivolte al disinvestimento.
2) Strategia competitiva: si tratta di tracciare i comportamenti da assumere nei confronti della concorrenza
all’interno delle specifiche aree di affari scelte (nella parte delle strategia complessiva). Si devono
determinare le leve fondamentali per assumere un vantaggio competitivo nei confronti dei concorrenti.
I comportamenti imprenditoriale di lungo tempo si caratterizzano per un percorso che segue quattro momenti
distintivi queste fasi sono collegate tra di loro e molte volte devono avvenire in tempi molto brevi):
1) Formulazione delle previsioni: fase di analisi. L’analisi è un elemento fondamentale che si combina con le
capacità intuitive che il decisore deve adottare per effettuare scelte strategiche.
2)
3) Individuazione degli obiettivi: il posizionamento dell’impresa, gli investimenti, il modo di relazionarsi con
la clientela. Gli obiettivi strategici che generalmente le imprese definiscono e che possono essere
differenti in base al periodo storico, alle caratteristiche dimensionali dell’impresa etc., sono:
Lo sviluppo dimensionale: un obiettivo di fondo si lega alla finalità di crescita e di sviluppo
dell’impresa. Crescita nel volume di affari, del fatturato. Esistono diverse alternative per poter
portare avanti il processi di sviluppo e di crescita dell’impresa. L’obbiettivo della crescita del
volume d’affari è un obbiettivo primario dell’impresa.
Riequilibrio gestionale: obiettivo prioritario nel momento in cui le imprese si confrontano con
momento di crisi. Si vedono ristabilire gli equilibri per ripartire con l’attività dell’azienda. È il
riordino dei conti aziendali (equilibrio tra costi e ricavi).
Riduzione del rischio: teoria della sopravvivenza. L’obbiettivo prioritario è quello di garantire la
continuità aziendale. Molto spesso quindi si cercano di adottare decisioni che possano
presentare un minor livello di rischio per la vita dell’impresa.
Mantenimento delle posizioni: strategie di difesa della posizione. Sono operazioni che fanno
aumentare le barriere all’ingresso. Ciò porta come conseguenza una riduzione dei risultati.
Disinvestimento parziale: un’impresa può decidere di eliminare alcune attività (considerate non
più profittevoli o comunque a cui vi può rinunciare perché non ritenute strategiche)
Uscita dal mercato:
4) La definizione della strategia
5) L’adattamento della struttura organizzativa: l’organizzazione si adatta modificando le proprie strutture
per adattarsi.
Lo sviluppo dimensionale: è un obbiettivo prioritario. Ci troviamo all’interno delle strategie di sviluppo, quindi di
corporate.
Esempio: Barilla anni 75, leader nel settore della pasta. Il consumo è giornaliero, è rivolto al target familiare. Il
mercato della pasta in quegli anni è un mercato di maturo. Lo sviluppo del prodotto non era un’alternativa per la
crescita e lo sviluppo dell’impresa. Trovare slide.
Il caso Barilla ci permette di tracciare elementi importanti. Da un lato abbiamo visto che le diverse alternative di
sviluppo dell’impresa possono essere quelle di penetrare nel mercato, ampliare i mercati con gli stessi prodotti,
sviluppare diversi prodotti con riferimento agli stessi mercato oppure di diversificare. La diversificazione all’interno di
Sviluppo poli settoriale: che assume le forme della diversificazione laterale (basata sull’esistenza
di un collegamento in termini tecnologici o di marketing tra produzioni vecchie e nuove) e
conglomerate dove invece le nuove produzioni che non presentano affinità con quelle
precedenti né in termini tecnologici ne in termini di marketing. Abbiamo quattro situazioni
differenti di prodotto:
Affini sotto il profilo tecnologico e di marketing (es macchine lavabiancheria e
lavastoviglie)
Affini in termini tecnologici ma non in termini di marketing (carta da imballaggio e carta
da parati)
Affini in termini di marketing ma non in termini tecnici (prodotti alimentari e prodotti per
la pulizia della casa
Senza alcuna affinità (materie plastiche e prodotti dolciari)
Sviluppo internazionale: che si concretizza in un processo di espansione internazionale del
mercato o di indirizzo multinazionale della gestione. La strategia di espansione è divenuta quasi
un’esigenza sia per il necessario ampliamento dei mercati di sbocco sia per trasferire l’attività
produttiva in contesti più favorevoli. Quest’espansione si realizza per tappe successive con gradi
di rischiosità crescenti perché è difficile ovviamente muoversi in un ambiente che non si conosce
e non è familiare soprattutto per prevedere uno sviluppo delle vendite; quindi, bisogna
cominciare a fare esperienza nel modo meno rischioso iniziando magari dalle esportazioni e poi
passare a forme più stabili di presenza all’estero.
Il caso Barilla ci mostra come gli elementi di fondo delle scelte riguardanti lo sviluppo dimensionale si siano proiettati
verso una scelta differenziazione dell’offerta. Differenziazione significa rendere il proprio prodotto/servizio
differenze rispetto agli altri alla percezione del cliente. Questo è una scelta di strategia competitiva. Questa è una
delle alternative competitive finalizzate al raggiungimento di un vantaggio competitivo.
Caso Disney: situato in un certo momento storico, 1984. Disney prima dell’arrivo di Michael Eisner (presidente
Disney). Disney aveva un forte vantaggio competitivo sul mercato. Fino al 1984 generava profitti tramite il 77% dai
parchi a tema e l’1% incassi cinematografici. Michael E. capì una serie di cose. Poteva puntare il vantaggio
competitivo Disney sulla capacità di produrre personaggi che diventavano miti. L’elemento di fondo era quello di
realizzare personaggi o sfruttare meglio i personaggi presenti. Altro elemento principale, oltre ai parchi a tema, era
quello di creare nuovi lungometraggi ogni anno. Tutto ciò ha portato ad aumento dei prezzi dei parchi a tema. Non
c’era concorrenza e c’era un alta fidelizzazione della clientela, la domanda quindi era poco sensibile alla variazione
del prezzo. Solo tramite questa decisione aumenta altamente il fatturato nel giro di 4 anni. Lo sviluppo di prodotti poi
era fondamentale, film, programmi televisivi e merchandising e l’utilizzo di personaggi anche per altri attività. Ciò ha
permesso a Disney di ampliarsi. Dall’analisi di Disney emerge che la capacità di realizzare nuovi personaggi, elemento
base di Disney. La fortissima differenziazione che può rappresentare un vantaggio competitivo è la capacità di creare
nuovi prodotti. Da questa analisi possiamo concludere quale sia una delle diverse alternative di strategie
competitive. Secondo Micheal Porter le alternative di strategie competitive sono tre:
Leadership di costo: l’obbiettivo di creare un vantaggio competitivo avviene tramite una
diminuzione di costo rispetto a quello dei concorrenti mantenendo alto però il livello dei ricavi.
Orientamento di differenziazione: non è tanto la diminuzione dei costi ma la possibilità di
aumentare i ricavi attraverso investimenti volti ad aumentare i valori percepiti dei prodotti o dei
servizi spingendo ad un amento dei ricavi molto consistente.
Strategia di nicchia: quando le imprese tendono a concentrarsi in posizioni poco attrattive per gli
altri concorrenti.
-Caso settore compagnie aeree: sono entrate nuove compagnie che hanno avuto consistenti vantaggi competitivi, le
compagnie low cost. Esse puntano su una leadership di costo. Hanno un’offerta sui servizi di base. Alitalia attua la
differenziazione produttiva per contrastare le compagnie low cost. altre compagnie aeree voli di nicchia.
L’impresa può portare avanti le strategie di sviluppo dimensionale attraverso:
Sviluppo interno: nuovi impianti, investimenti etc.
Acquisizioni aziendali
Interno sistema di accordi realizzati tra le imprese: alleanze strategiche.
Creazione di aggregazioni tra le imprese (nel caso di piccole imprese, si aggregano tra di loro)
Esempio: Luxottica. In cinquant’anni diventa leader mondiale in questo campo.
Dirigere: dare ordini e controllare l’esecuzione successiva degli ordini. Questa visione oramai superata da una visione
completamente diversa. La direzione aziendale si concentra nel processo di formulazione della strategia e della
politica di gestione. Facciamo riferimento all’attività manageriale. La gestione d’impresa, orientata alle strategie
definite dal vertice imprenditoriale, richiede un’attività manageriale, richiede un’attività manageriale non solo per
completare le sequenze decisionali sul piano operativo, ma anche e soprattutto per disciplinare l’uso delle risorse
disponibili. A chi dirige compete la responsabilità dell’efficienza nell’impiego del fattore umani, dei mezzi tecnici e
finanziari, delle competenze tecnologiche e commerciali. Tra il momento strategico e quello dell’esecuzione
Funzione organizzativa:
organizzare: ordinare un sistema di parti interdipendenti e correlate. In senso aziendale, le parti sono gli organi
dell’impresa e l’organizzazione si rivolge a disciplinare i compiti, i poteri e le responsabilità che ciascuno di questi
dovrà assumere nel corso della gestione. La concezione che viene utilizzata è una concezione ristretta del termine e
che attribuisce all’organizzazione lo scopo prevalente di ordinare compiti, responsabilità e relazioni delle forze
personali presenti nell’impresa. La funzione organizzativa ha l’obbiettivo di definire:
I criteri decisionali, di controllo ed esecutivi da istituire nell’impresa e, di conseguenza, l’organico
di personale necessario.
L’autorità e la responsabilità da attribuire a ciascuna unità organizzativa.
Le relazioni formali da attivare fra i vari centri
Le procedure di decisione, di informazione e di esecuzione, necessarie per l’attuazione
coordinata delle funzioni di gestione.
Il fine fondamentale della funzione organizzativa è l’ottenimento di condizioni di massima efficienza operativa
mediante la suddivisione e specializzazione delle attività e l’opportuna loro coordinazione in un sistema integrato di
obbiettivi, poteri e responsabilità. L’obbiettivo è quindi quello di far raggiungere un miglior risultato a parità di sforzo
sostenuto, oppure identico risultato con sforzo minore. In base a questo ragionamento il risultato dell’attività di un
gruppo di persone dev’essere superiore alla somma dei risultati ottenibili da ciascuno dei membri del gruppo stesso,
operanti isolatamente.
Esempio: fabbricazione spilli proposto da Adam Smith. L’economista osservò che il processo di fabbricazione di uno
spillo poteva essere scisso in 18 operazioni distinte da affidare a persone diverse in modo tale da farle specializzare
nell’esecuzione di una fase soltanto. Egli rilevò, in una fabbrica che occupava solo 10 uomini, che la specializzazione
consentiva di raggiungere una produzione giornaliera di 48000 spilli, cioè 4800 a persona, mentre un operaio isolato,
incaricato di attuare tutte le operazioni, non avrebbe potuto produrre più di 20 spilli al giorno. Da questo esempio
possiamo affermare che la specializzazione e la coordinazione del lavoro si prestano a far conseguire dei risultati
maggiori di quelli ottenibili sommando le prestazioni individuali, realizzate in assenza del supporto organizzativo.
Il primo problema che tocca la funzione organizzativa è quello della progettazione, scelta del modello e della
progettazione dell’intero sistema organizzativo.
La progettazione deve tener conto che la struttura può essere pianificata ma può essere anche spontanea. Le
strutture pianificate sono quelle definite dal management a fine di preservare un coordinamento generale
dell’organizzazione. La struttura spontanea è fondata sui rapporti interpersonali dell’impresa. Nelle strutture più
semplici la definizione dei ruoli è più flessibile.
Come si sviluppa il processo di progettazione. Progettazione significa individuare una serie di obiettivi e le funzioni
organiche (funzioni di gestione che si caratterizzano per una esigenza di forte specializzazione interna). Il secondo
passaggio è la definizione del sistema di poteri e responsabilità (attribuzione dei compiti etc.). Altro passaggio è
quello di definire il sistema di relazione tra i vari organi.
L’obbiettivo è quello di passare da una struttura spontanea a una codificata.
Modello funzionale: si caratterizza per la suddivisione delle aree di responsabilità in termini di funzioni primarie
della gestione. Queste ultime possono variare da impresa a impresa, in rapporto al carattere di essenzialità rivestito
nell’attuazione del processo decisionale. Con il termine funzione intendiamo un insieme di compiti o mansioni
complementari e interdipendenti rispetto ad un fine. Nell’azienda le funzioni si collegano secondo un sistema
articolato su più livelli. Al primo si collocano le funzioni organiche, cioè quelle che assicurano l’operatività del sistema
e che si caratterizzano in base a quattro criteri:
1. L’universalità, cioè la presenza in tutti i sistemi dello stesso tipo
2. L’essenzialità rispetto al conseguimento delle finalità primarie del sistema
3. La possibilità di suddivisione o articolazione per linee gerarchiche
4. L’impossibilità di aggregazione con altra funzione
Il modello funzionale è diffuso nelle aziende poco diversificate per tecnologie, prodotti, e mercati e abbastanza
stabili sotto il profilo strategico ed operativo, ovvero in tutti quei casi in cui la ripetitività delle procedure gestionali
rappresenta un elemento prevalente della gestione stessa. Il punto di debolezza che però si riscontra è il mino
coordinamento tra le diverse aree di responsabilità e una minor spinta all’innovazione.
Modello divisionale: comporta il frazionamento dell’organizzazione aziendale in più parti, ciascuna delle quali
potrebbe rappresentare un’impresa a sé stante e costituire, quindi, un centro di profitto affidato alle cure di un
diverso capo. Grazie alla sua capacità di separare settori di business abbastanza vasti, così da facilitarne la gestione,
la struttura organizzativa divisionale risulta essere adatta alle grosse aziende. Il criterio centrale è quello di
decentrare le funzioni che possono ritrarre i maggiori benefici dalla specializzazione e di accentrare quelle che
richiedono un più elevato coordinamento sul piano aziendale. Meno frequente il criterio divisionale è applicato in
senso territoriale (parliamo quindi di modello multi-divisionale). Il disegno multi-divisionale può anche evolvere
verso un modello di organizzazione a gruppo: un gruppo composto da una società madre (capo-gruppo) e da società
figlie (aziende controllate). I gruppi si possono distinguere in finanziari o industriali a seconda della tipologia della
società capo-gruppo. Gli svantaggi del modello decisionale sono: stimola situazioni di conflitto e competizione tra i
dirigenti; genera più elevati costi direzionali ed esige maggiore attenzione al rapporto autonomia/coordinamento tra
la direzione generale e le divisioni.
Si può avere una diversa impostazione della programmazione (rispetto a quella analizzata fino ad ora che
comprendeva la fissazione di obbiettivi sulla base delle previsioni di mercato) di tipo più aggressivo nei confronti del
mercato. Questa procedura si basa sull’analisi del divario (gap analysis) e parte dalla fissazione degli obbiettivi che
l’azienda intende raggiungere. Il procedimento si sviluppa nel valutare i modi di eliminazione dell’eventuale divario
rispetto alla tendenza del mercato. I punti fondamentali di questo procedimento sono:
La fissazione degli obbiettivi di piano senza tenere conto in partenza dei prevedibili andamenti di
mercato.
La previsione degli obbietti raggiungibili invece nell’ipotesi di una prosecuzione delle tendenze di
mercato e della ripetizione delle azioni di gestione già attuate in passato
La determinazione del divario tra gli obbiettivi soggettivamente desiderati e quelli realizzabili in
assenza di innovazioni nella gestione
Risulta quindi chiaro che l’obbiettivo e gli sforzi di chi ricopre ruoli dirigenziali dovrebbero essere tesi all’applicazione
della teoria partecipativa, in modo tale da sfruttare le motivazioni individuali a vantaggio dell’efficienza produttiva.
Risulta poi strategica la capacità del dirigente di far nascere e consolidare stretti legami di gruppo nel contesto
L’adozione di uno stile direzionale partecipativo è legata all’accettazione della leadership del capo. La leadership
consente di indurre modificazioni nel comportamento di altri individui, senza far ricorso ai meccanismo dell’autorità
formale, ma sfruttando l’autorevolezza per ottenere dagli altri l’adesione a progetti e programmi organizzativi.
Solo un’adeguata motivazione ed un costruttivo esercizio della leadership possono contribuire a tenere elevate le
performance dei singoli e dell’organizzazione nel suo complesso.
La leadership si basa su valori innati nella persona ovvero sulle sue doti carismatiche. Essere un leader significa saper
creare spirito di corpo, ottenere il consenso e la collaborazione volontaria delle persone e fa chiaramente
comprendere i valori di fondo da porre a base dell’adozione collettiva.
Le strategie di marketing:
Gli atteggiamenti che può adottare l’impresa rispetto ad un mercato segmentabili sono tre:
1. Marketing indifferenziato: Rivolgersi al mercato come se fosse omogeneo, a prescindere cioè dalla sua
segmentabilità (esistenza di un solo programma di marketing)
2. Marketing differenziato: Indirizzarsi a più segmenti mediante la formulazione di diversi programmi di
marketing (programmi differenziati di marketing per diversi segmenti)
3. Marketing concentrato: Mirare ad un solo o, al massimo, a pochi segmenti di mercato con un’offerta
specializzata (l’offerta è specializzata ad un solo segmento di mercato)
La matrice del portafoglio prodotti (Matrice BCG): questa matrice suddivide i prodotti in quattro classi in funzione del
cash-flow generato, intendendo con questo termine il divario tra investimenti e ritorni relativi a ciascun tipo di
prodotto. Secondo la matrice esiste un rapporto diretto tra flusso di cassa e condizioni interne ad esterne. Si inizia a
fare una divisione in base a due parametri:
-tasso di variazione della domanda globale.
-quota di mercato detenuta dall’impresa.
In base a questi due parametri può essere costruita una matrice in cui i prodotti sono suddivisi in quattro classi in
base al livello di cash- flow che possono generare:
1) Prodotti con bassa quota di mercato e lento sviluppo della domanda (prodotti marginali o dogs). Il prodotto
marginale presenta un flusso di cassa insoddisfacente a causa del costo elevato da sostenere per mantenere
una posizione competitiva debole.
2) Prodotti con bassa quota di mercato e rapido sviluppo della domanda (prodotti rischiosi o question marks). Il
prodotti rischiosi generano il cash-flow peggiore perché richiedono elevati investimenti per fronteggiare un
mercato in rapido sviluppo.
3) Prodotti con alta quota e rapido sviluppo della domanda (prodotti di successo o stars). Il prodotto di successo
dovrebbe presentare un cash-flow positivo anche se, per contrastare la concorrenza sul mercato, sarà
necessario continuare ad investire in risorse.
4) Prodotti con alta quota e lento sviluppo (prodotti da reddito o cash cows). Il prodotto reddito è quello che
darà i ritorni più soddisfacenti perché l’azienda potrà sfruttare la sua posizione di forza in un mercato poco
interessante per la concorrenza.
La matrice del portafoglio prodotti aiuta la direzione aziendale a valutare la potenzialità economico-finanziaria dei
prodotti compresi nella gamma di vendita.
Esiste un’altra matrice fondata sull’attrattività del mercato e sulla posizione competitiva, la matrice delle posizioni di
mercato (general eletric e mc kinsey). L’attrattività di un settore è indicata dal tasso di crescita della domanda
relativa ad esso. In base alle aree più attrattive indirizzerò il mio investimento. Con questa matrice aumento il
numero dei quadranti. È un sistema multifattoriale che richiede una preventiva analisi dei fattori tipici di ciascun
settore e può indurre a valutazioni che si adattano meglio ai singoli casi.
La politica di prezzo:
Il prezzo è l’aspetto su cui si basano le comparazioni finali del consumatore, e influisce in modo rilevante sul
marketing. Bisogna formulare un sistema di prezzi. Per alcune produzioni è lo stato a stabilire il prezzo. In generale la
fissazione del prezzo è regolata dai mercati oligopolistici, il prezzo è frutto di intese tra diversi produttori.
La fissazione del prezzo avviene in due fasi: prima a livello specifico e poi in funzione dell’intera gamma trattata. La
determinazione dei prezzi passa per un processo di approssimazioni successive in cui elementi di conoscenza, di
esperienza e di politica generale dell’impresa contribuiscono ad arrivare alla soluzione finale da adottare. Il problema
quindi si concentra sull’individuazione del possibile margine di manovra del prezzo e nella determinazione di una
quotazione compatibile con gli obbiettivi di mercato da raggiungere. L’area di manovra del prezzo è definita da tre
elementi:
-il costo di prodotto
-l’elasticità della domanda
-pressione della concorrenza
Il metodo più comunemente adottato è quello del costo: si basa il prezzo sul costo (definizione del markup, in base al
costo del prodotto si aggiunge una quota per permettere all’impresa di mantenere il profitto). È il metodo più
semplice ma anche quello più discutibile perché non considera le condizioni di mercato. Per far ciò si deve tenere
conto dell’elasticità della domanda e dei prezzi praticati dalla concorrenza. La possibile escursione del prezzo
dipende da molti fattori, fra i quali assumono un maggior peso:
-la concorrenza reale: cioè la presenza nel mercato di prodotti con caratteristiche più o meno similari a quelle del
prodotto considerato.
-la concorrenza potenziale: ossia la possibile entrata di altri produttori, una volta superate certe soglie di prezzo. (far
crescere il prezzo può rendere più attrattivo per le concorrenze)
-la concorrenza indiretta: cioè la minaccia di prodotti sostitutivi (produttore di lenti per occhiali->chirurgia plastica)
-il grado di differenziazione del prodotto rispetto alla concorrenza (la marca può favorire una forte differenziazione)
-la qualità del servizio fornito insieme al prodotto
Il concetto di fondo a cui si lega quindi la politica del prezzo è quello della differenziazione del prodotto, dato che i
gradi di libertà nella fissazione del prezzo dipendono dai vantaggi differenziali di cui il prodotto gode nei confronti
della concorrenza. Questa differenziazione permette di ricavare il premium price, cioè un differenziale favorevole di
prezzo nella vendita del prodotto. Più questo è differenziato rispetto alla concorrenza più potrà essere collocato con
margini crescenti.
Gli orientamenti della politica di prezzo possono essere verso la scrematura o la penetrazione del mercato. Ossia
l’impresa può voler conquistare la quota più elevata di mercato nel minor tempo possibile oppure sfruttare al meglio
la differente capacità di spesa del consumatore.
Se l’elasticità è positiva: i beni sono intersostituibili. All’aumentare del prezzo del bene B
aumenta la domanda di A.
Se l’elasticità è negativa: i beni sono complementari. Al crescere del bene B diminuiscono le
domande di tutti e due i beni
Se nulla i beni non sono correlati.
Amministrazione dei prezzi di vendita: l’impresa ha convenienza, per il medesimo prodotto, di determinare una scala
di prezzi per rendere l’offerta più omogenea e elastica a seconda della domanda. L’amministrazione dei prezzi di
vendita va vista differentemente a seconda se l’offerta sia rivolta al consumatore, al distributore e al dettagliante.
Nel primo caso il produttore può decidere autonomamente il prezzo da praticare al cliente, nell’ipotesi di vendita alla
grande distribuzione è frequente l’attribuzione di un’ampia libertà di scelta. Nel caso della vendita al piccolo
dettaglio il produttore può cedere il proprio prodotto ad un prezzo fisso consigliato o del tutto libero.
La politica di comunicazione:
La promozione e la pubblicità rivestono un ruolo centrale nel processo di vendita e si pongono tra i più importanti
strumenti della gestione commerciale. La promozione può essere definita come il complesso di azione poste in
essere per indurre, preservare o modificare i modelli di comportamento degli operatori di mercato allo scopo di
ritrarre un vantaggio competitivo. Lo scopo ultimo è di creare delle preferenze e di persuadere ad acquistare i beni
prodotti dall’impresa. In via mediata l’obbiettivo può essere anche l’incremento delle vendite, ma non sempre.
Nel processo di decisione di acquisto (studio psico-sociologico) si individuano tre momenti, al fine di capire il modello
di comportamento del consumatore da parte dell’impresa: (modello AIDA)
1. Momento cognitivo: (stadio conoscitivo) nel quale si acquisisce la consapevolezza del bisogno da soddisfare
e si inizia a rivolgere l’attenzione ai prodotti.
2. Momento emotivo: (stadio affettivo) quando l’attenzione si trasforma prima in interesse e poi nel desiderio
di disporre del prodotto.
3. Momento attivo (stadio comportamentale), in cui si passa alla fase materiale dell’acquisto mediante una
comparazione delle varie offerte di mercato.
L’impresa, quindi, orienta la sua attività promozionale e invia una serie di messaggi e di stimoli che devono spingere
a preferire il proprio prodotto. Le scelte dei beni di consumo non sono effettuate fra tutte le marche presenti nel
mercato ma solamente tra quelle conosciute o meglio ricordate al momento dell’acquisto. Scopo della promozione è
dunque quello di far conoscere e ricordare favorevolmente il nome del prodotto.
(grado di controllo) Per quanto riguarda gli stadi per cui passa il prodotto per giungere al mercato ultimo di deflusso
la scelta è tra l’uso di:
Canali diretti (produttore consumatore)
Canali brevi (produttore dettagliante consumatore)
Canali lunghi (produttore grossista dettagliante consumatore)
Per quanto riguarda il grado di copertura del mercato esso è in funzione non solo del numero dei punti vendita ma
anche del loro peso relativo, per cui la copertura distributiva va misurata in base a due indici:
1. La quota numerica dei punti vendita (rapporti tra punti vendita aziendali e punti vendita totali)
2. La quota ponderata (rapporto tra il volume di affari realizzato dai punti vendita toccato dall’azienda e quello
ottenuto da tutti i punti vendita). La scelta del tipo di distribuzione si collega all’orientamento dell’azione di
vendita da attuare. Se l’impresa intende attuare una strategia di marketing di spinta deve far ricorso a forme
distributive incisive e penetranti nei confronti del mercato ultimo da raggiungere. Se invece vuole adottare
una strategia di marketing di attrazione deve sfruttare lo strumento pubblicitario
L’obiettivo finale del marketing relazionale è il miglioramento della profittabilità della clientela nel lungo termine e la
massimizzazione del customer lifetime value. Il termine CLV definisce il valore che un cliente può generare per una
determinata impresa. In termini di ricavi può essere calcolato moltiplicando il valore medio della transizione per la
frequenza di acquisto.
Per concludere quindi i clienti devono essere gestiti in un’ottica di lungo termine. La profittabilità dei clienti varia e
non tutti i clienti sono ugualmente desiderabili e che conoscendo meglio i bisogni, le preferenze, o comportamenti
d’acquisto dei consumatori, le imprese possono costruire un’offerta a misura di ciascun cliente.
La soddisfazione del cliente, da sola, non basta a creare una relazione solida e duratura con la clientela. Assieme alla
soddisfazione dobbiamo inserire il concetto di fidelizzazione. La fidelizzazione è un processo complesso che pur
basandosi sulla soddisfazione della clientela, per essere attuato necessita di un piano di incentivi che invoglino il
cliente a tornare per ripetere ed aumentare i suoi acquisti ignorando le proposte della concorrenza (fidelity card,
tessere sconto, servizi di assistenza privilegiati).
Analisi interna:
Non è tutto il sito web: i nostri clienti si trovano su più canali e vanno intercettati: Google, Facebook, YouTube ecc.
sono le pagine più connesse al mondo e rappresentano le nostre opportunità di business da sfruttare con attenzione.
Molto importante è decidere l’obbiettivo che deve essere sempre misurabile e non sempre di lungo periodo.
>Come farsi trovare? Per agevolare la ricerca del proprio sito web su Google ci sono due strade:
1. Gratuita con la SEO: Search Engine Optimization, attività di ottimizzazione del proprio sito per migliorare il
posizionamento organico. Con il termine ottimizzazione si intendono tutte quelle attività finalizzate ad ottenere la
migliore rilevazione, analisi e lettura del sito web da parte dei motori di ricerca attraverso i loro spider, grazie ad un
migliore posizionamento.
2. A pagamento con la SEM: Search Engine Marketing; annunci sponsorizzati o keyword advertisign facendo una
ricerca la query (domanda) si saranno le ricerche non sponsorizzate (non hanno pagato ma hanno guadagnato grazie
al SEO) e poi ci sarà la parte superiore della SEM dove ci sono le aziende sponsorizzate.
La SERP (Search Engine Result Page) è la pagina complessiva, la landing page è quella che clicchiamo quando
abbiamo scelto dove andare. Nella SERP bisogna fare un’attività editoriale, è importante come appare l’URL, la
descrizione.
> KEYWORD: Per individuare le keyword giuste è necessario mettersi nei panni degli utenti e capire che ricerche
fanno per trovare il proprio sito. Possono essere utili due strumenti come Google Trend e Google Adwords.
> Si passa dal Communication mix al Funnel Marketing, ovvero dal viaggio dell’impresa al viaggio che compie il
cliente. Dal Communication Mix si arriva al concetto del Funnel Marketing.
La comunicazione digital è stata dirompente :
- Perché ha inserito un nuovo canale di comunicazione caratterizzato da regole diverse
- Perché ha ridotto l’efficacia e la discriminazione delle leve del communication mix sui canali istituzionali
- perché ha creato un nuovo processo di comunicazione in grado di impattare sull’impostazione di tutte le
politiche di marketing
Digital Marketing Funnel: come le aziende attraggono e mantengono clienti grazie al web.
1. ESPOSIZIONE: esistono vari tipi di modalità per far conoscere i nostri prodotti e sevizi; approccio inbound,
che stimola l’interesse senza spingere il prodotto, attività di tipo pull. L’inbound mrketing concerne lo sviluppo di
tutti quegli strumenti che permettono al cliente di fare ricerca organica, di conoscere l’azienda attraverso i social
media. L’outbound invece utilizza video, display e affiliazioni.
2. SCOPERTA: le prime visite al sito dell’impresa sono focalizzate sui contenuti e sull’apprendere info sui
prodotti/servizi
3. CONSIDERAZIONE: ad un certo punto il visitatore diventa un potenziale cliente, quando egli considera che il
prodotto possa soddisfare la sua necessità.
4. CONVERSIONE: il compimento di un’azione sul sito web converte i visitatori in clienti
5. CUSTOMER RELATIONSHIP
6. FIDELIZZAZIONE
Dal digital marketing si passa la growth hacking, che è un processo ancora più focalizzato rispetto ad obbiettivi
specifici di marketing. Punta in particolare su modelli:
-acquisizione
-attivazione
-retention: mantenere i clienti
-referral: trasformare i clienti in promotori dell’impresa
-revenue
Il primo caso è quello di produzione che si differenzia per caratteristiche sostanziali in rapporto ad indicazioni
specifiche del committente. La produzione su commessa comporta una elevata capacità di adattamento alle richieste
della clientela, attrezzature meno complesse e personale più versatile. Ogni commessa richiede l’apposita
programmazione dell’intero ciclo di lavoro. Una commessa può essere:
-singola (progetto): l’output di processo è unico e spesso caratterizzato da tempi lunghi di realizzazione (grande
nave)
All’altro estremo si colloca la produzione continua che è caratterizzata dalla continuità dei prodotti attraverso
processi continui.
In posizione intermedia si situa la produzione di massa che può assumere degli orientamenti diversi in funzione delle
esigenze di mercato. L’organizzazione di una produzione di massa standardizzata è comune delle situazioni in cui è
possibile sfruttare a fondo il principio delle economie di scala. Questo quando l’omogeneità del mercato consente di
fornire agli acquirenti il medesimo tipo di prodotto. La produzione assume allora il carattere della lavorazione di
massa differenziata, basata su un’elevata standardizzazione delle parti componenti e sulla creazione della
differenziazione in fase di montaggio finale. Questo tipo di produzione si definisce per lotti, in quanto di sviluppa
nell’allestimento di particolari serie di prodotti, caratterizzate da alcune differenze estetiche o funzionali.
Dal mercato, infatti, è richiesta una sempre più spinta personalizzazione del prodotto che esige un elevato
coordinamento nella fase dell’allestimento finale secondo, appunto, le indicazioni raccolte dalla rete di vendita. In
questi casi ogni modello risulta già assegnato allo specifico cliente. Tuttavia, la variabilità dei gusti e delle tendenze di
consumo possono far crescere il rischio dell’invenduto. Per questo motivo le imprese tendono a spostare il più
possibile l’avvio del processo produttivo rispetto al ricevimento dell’ordine del cliente. Questa pratica viene definita
come “postponement” e dipende tuttavia dall’ampiezza del tempo di attesa tollerato dal cliente (lead time rispetto
all’ordine). Quando possibile quindi si cerca di iniziare la produzione dopo il ricevimento dell’ordine oppure a
completare l’allestimento di un prodotto, realizzato e tenuto in magazzino nella versione base, solo dopo aver
ricevuto le richieste di personalizzazione dell’ordinante. Il rischio che in questo caso corre il produttore è
rappresentato dalla rinuncia all’acquisto del prodotto qualora il lead time dovesse superare il tempo
contrattualmente assicurato ed accettato per la consegna.
Sotto l’aspetto dell’organizzazione dei cicli di lavorazione è necessario per l’impresa decidere se produrre in proprio
o l’acquisto all’esterno di componenti. Nelle strategie di decentramento produttivo si può riconoscere una
distinzione fondamentale tra Outsourcing e deintegrazione, attribuendo alla prima il carattere di opzione revocabile
di ricorso al mercato per certe forniture (è quindi una modalità di approvvigionamento) e alla seconda il carattere di
opzione strategica di rinuncia a certe fasi di lavorazione (è quindi una scelta organizzativa).
Esistono poi aziende multiplant che hanno un organizzazione di cicli produttivi che si amplia fino a comprendere un
modello di rete di impianti differentemente articolato da caso a caso. In questo caso si tratta di scegliere un
determinato modello di suddivisione dei cicli o delle linee di produzione. Le soluzioni adottabili sono:
1. Un modello di ripetizione deli impianti, quando ogni centro produttivo lavora fondamentalmente gli stessi
prodotti
2. Un modello di parcellizzazione del ciclo di produzione, allorché ciascun impianto svolge una certa parte del
processo di fabbricazione, producendo parti o semilavorati da avviare ad alcuni stabilimenti centrali di
montaggio.
3. Un modello di specializzazione, quando ogni impianto produce un particolare tipo o modello di prodotto
inserito nella gamma aziendale.
Un prodotto si definisce finito quando esce dal ciclo di lavorazione di un’azienda (concetto che si attiene cioè
all’impresa produttrice), mentre diventa finale quando non richiede ulteriori trasformazioni per essere destinato ad
un particolare uso (concetto che si riferisce al suo utilizzo diretto per il consumo).
Matrice degli acquisti: incrociando questi due elementi (criticità ed impatto economico) è stata cotruita matrice
(Matrice di Kraljic o matrice degli acquisti), che contente di distinguere i vari tipi di acquisti e, di conseguenza,
suggerisce i modelli organizzativi per gestire il relativo processo di approvvigionamento. I materiali si possono
dividere in:
Materiali leva o chiave: il loro peso economico incide significativamente sul profitto finale
dell’impresa. Tuttavia, presentano un basso rischio di reperimento per l’esistenza di un ampio
mercato di fornitura.
Materiali strategici/ critici: hanno un ruolo critico perché sono sia di difficile reperimento e
hanno un elevato impatto sulla redditività.
Materiali colli di bottiglia: sono caratterizzati da una difficile reperibilità ma hanno un peso
economico contenuto
Materiali non critici e di routine: facilmente reperibili nel mercato e hanno una modesta
incidenza in rapporto al bene da produrre.
Per quanto riguarda la gestione delle varie tipologie di materiali per alcuni ( prodotti leva e critici) sarà opportuno
stringere accordi durevoli con i fornitori assicurandosi, in anticipo, le migliori condizioni di approvvigionamento
(prezzo e celerità della consegna); per altri (colli di bottiglia) sarà soprattutto necessario garantirsi la tempestività e
la precisione dell’esecuzione degli ordini selezionando i fornitori di più alta affidabilità; per altri ancora (prodotti non
La gestione finanziaria:
Nell’impresa industriale la gestione della finanza si concreta in una serie di scelte riguardanti la determinazione del
fabbisogno di fondi necessario per gli approvvigionamenti programmati e per l’esercizio, nell’individuazione delle
possibili fonti di finanziamento e nella costruzione del documento di programmazione. Nella funzione finanziaria si
comprende il complesso di decisioni e di operazioni volte a reperire e ad impiegare i fondi aziendali. La gestione
finanziaria deve essere inquadrata non solo sotto il profilo strategico ma anche sotto il profilo tattico (si considerano
le decisioni finanziarie di lungo periodo come la programmazione degli investimenti e reperimento di fondi) ed
operativo (si includono i compiti di attuazione e di controllo delle decisioni prese).
La funzione di gestione deve rispettare tre tipi di equilibri:
Equilibrio economico tra ricavi e costi. Equilibrio finalizzato all’ottenimento di un divario positivo
per la formazione del profitto.
Equilibrio finanziario: bilanciamento tra impieghi di capitale e fonti di provvista
Il ciclo aziendale economico inizia con il sorgere dei costi per le operazioni di investimento
(acquisto), termina con l’ottenimento dei ricavi per effetto delle operazioni di disinvestimento
(vendita), i beni e servizi si ritrasformano poi in mezzi finanziari.
Il ciclo aziendale finanziario inizia con il sorgere dei debiti relativi alle operazioni d’acquisto di
materie, merci, servizi da fornitori, e termina con la generazione dei crediti relativi alle
operazioni di vendita verso i clienti.
Il ciclo aziendale monetario inizia con esborso del denaro per effetto del pagamento degli
acquisti e si conclude con introito di denaro connesso alla riscossione delle vendite.
Per quanto si attiene alle relazioni tra ciclo economico e finanziario, esse saranno in funzione del ciclo monetario
dell’impresa e, in particolare, delle dilazioni medie concesse ai clienti ed ottenute dai fornitori.
Il ciclo economico e il ciclo monetario coincidono nei casi in cui i pagamenti e gli incassi avvengono per consegna
pronta cassa. Non coincidono invece quando i pagamenti avvengono anticipatamente (es. acconto di fornitura)
oppure nel caso ci sia un pagamento posticipato alla scadenza. I debiti o crediti in questo caso rimangono aperti in
bilancio finche’ non saranno saldati. Nel caso di acquisto e pagamento prima della fornitura cosi’ come nell’incasso di
una vendita prima della consegna dei beni, il ciclo economico e’ sfasato rispetto ai cicli monetario e finanziario che
coincidono.
Lo sfasamento tra i differenti cicli di gestione comporta, in ogni caso, l’esigenza di capitale circolante. I principali
componenti del capitale circolante sono:
Le scorte necessarie per l’alimentazione dei processi di produzione e di vendita
I crediti commerciali verso i clienti
I debiti commerciali verso i fornitori
Le attività finanziarie occorrenti per assicurare la liquidità aziendale
Le altre attività e passività correnti.
Il capitale circolante netto è pari alla differenza tra attività e passività correnti. Ha una posizione quindi di rilievo il
capitale circolante commerciale, rappresentato dalla somma del valore delle scorte di magazzino, dei crediti
commerciali e dei debiti verso fornitori.
Obbiettivo quindi della gestione finanziaria è quello di preservare la solvibilità (equilibrio finanziario) dell’impresa e la
sua liquidità (equilibrio monetario): da ciò l’esigenza di compiere la duplice analisi dei flussi di circolante e dei flussi
monetari (o di cassa).
La gestione finanziaria dovrebbe avere come obiettivi strategici la minimizzazione degli oneri e del rischio. In merito
al rischio, rappresentato dall’incapacità di alimentare i processi di gestione caratteristica, bisogna capire sei sia di
carattere:
Strutturale: si traduce nel rischio di insolvenza, ovvero nell’incapacità di sostenere i processi di
investimento e le esigenze di capitale circolante; quindi, vi è uno squilibrio tra fonti e impieghi.
Congiunturale: si traduce nel rischio di illiquidità, ovvero in un momentaneo deficit di cassa
durante lo svolgersi della gestione; quindi, siamo in uno stato di carenza di cassa.
Questi rischi possono creare delle situazioni di difficoltà della gestione aziendale. L’impresa dovrebbe disporre di
riserve finanziarie (mezzi propri) in caso di questi rischi, mentre sotto il profilo degli oneri finanziari potrebbe fari
ricorso a formule di copertura contro il rischio di variazione dei tassi di interesse.
Quindi, la minimizzazione del rischio finanziario non può che rappresentare un obiettivo primario della gestione
industriale.
La funzione contabile:
La funzione amministrativa contabile è indispensabile oltre che per rispondere agli obblighi di legge in tema di
contabilità e bilancio anche sotto l’aspetto civilistico e fiscale per fornire, con continuità e sistematicità, molti dati di
base per l’assunzione delle decisioni.
I compiti della funzione contabile sono:
-contabilità generale e IVA
-analisi dei costi
-emissione e pagamento delle fatture
-ruolo paga del personale
-controllo delle entrate e delle uscite finanziarie
I compiti di natura contabile costituiscono un supporto essenziale per il funzionamento dell’organizzazione, si pensi
ad esempio alla costruzione di un budget. La possibilità di disporre tempestivamente di figure di costo, di rapporti di
rendimento, di indici di prestazione offre non solo l’opportunità di controllare lo svolgimento dell’attività aziendale,
ma anche di correggerne l’andamento e riprogrammarne gli sviluppi futuri.
Sotto il profilo pratico nella gestione dell’impresa si ricorre all’utilizzo di alcune tecniche rivolte ad orientare le
decisioni di programmazione e gli interventi di controllo.
La costruzione del prospetto delle fonti e degli impieghi avviene per tentativi successivi tenendo comunque presente
le tipologie di impieghi di capitale che possono essere:
Obbligati: (ad esempio rimborso delle rate di debiti a medio-lungo periodo)
Non obbligati: pur non essendo obbligati lo divengono per conservare le condizioni di continuità
e di efficienza del processo produttivo
Discrezionali: (manutenzioni straordinarie ecc).
La composizione dell’equilibrio tra usi e fonti non correnti comporta l’analisi di ogni singola voce e la valutazione
dell’effettivo grado di discrezionalità e convenienza delle scelte da assumere.
1) il prospetto di flussi monetari delle operazioni di esercizio: per ogni partita l’entrata o l’uscita effettiva è
data dalla somma algebrica tra l’ammontare dei crediti/debiti alla fine dell’esercizio. Il prospetto può
chiudere con un saldo negativo, vale a dire un fabbisogno di esercizio per il quale occorrerà trovare
un’adeguata copertura, oppure un saldo positivo, ossia delle disponibilità della gestione. Questo saldo sarà
successivamente riportato nel quadro generale dei movimenti monetari.
3) Il Piano cassa: consente lo sviluppo analitico dei prospetti monetari in quanto considera, su base mensile, il
flusso delle entrate e delle uscite di gestione. Mediante il piano cassa si può determinare il saldo monetario
previsto e valutare gli effetti prodotti sulla consistenza dei mezzi liquidi presenti all’inizio del periodo. Tutto
questo per controllare la possibilità di coprire con i mezzi liquidi disponibili gli eventuali saldi monetari
Una volta trovato questo tasso, la convenienza dell’investimento potrà essere valutata in funzione della differenza
tra questo tasso e quello da corrispondere per il reperimento dei fondi necessari. Si deve trovare quel tasso che
rende il progetto valido (ovvero quando il TIR è maggiore del capitale).
VAN:
Tramite questo metodo si opera assumendo un tasso di attualizzazione pari a quello del costo del capitale ( c ), in
modo da determinare il valore attuale del progetto. In formula si ha:
Il progetto risulterà tanto più conveniente quanto più elevato sarà il suo valore attuale netto. Dalla formula possiamo
notare che il TIR è il tasso che rende il Van uguale a zero (andando avanti per tentativi)
La valutazione sulla base di parametri economico-finanziari non risolve il problema della scelta ma da indicazioni di
priorità. Un rapporto di investimento va ponderato anche in rapporto alla sua flessibilità strategica (ovvero la
possibilità di modificare l’attuazione, dopo averlo avviato. Si parla allora di opzioni reali per intendere le opportunità
di modificazione di un progetto d’investimento in corso di realizzazione. Le opzioni strategiche possono essere
ricondotte a quattro ipotesi:
2) Costi fissi (complessivi), costi variabili e ricavi: occorre riportare nel diagramma i costi fissi complessivi (linea
parallela all’asse delle ascisse posta ad una distanza pari all’ammontare complessivo di tali costi, FF’). I costi
variabili che essendo ipotizzati proporzionali al variare del volume produttivo o di vendita si rappresentano
con una linea OV’ (parte dall’origine), l’inclinazione di questa retta è data dal coefficiente di proporzionalità
di questi costi rispetto al volume. La linea dei costi variabili complessivi parte dall’altezza dei costi fissi
3) Punto critico o punto di pareggio: le linee dei ricavi complessivi e dei costi complessivi si incontrano in un
punto indicato nel grafico con la lettera P. Questo punto è chiamato punto di pareggio o punto critico (break
even point) e segnala la grandezza del volume produttivo e di vendita per la quale costi e ricavi aziendali
dovrebbero uguagliarsi, cioè il profitto risulterebbe uguale a zero. Il punto P definisce due triangoli che
rappresentano rispettivamente l’area delle perdite, cioè l’insieme dei volumi produttivi e di vendita per i
quali si sostengono costi superiori ai ricavi (triangolo OCP, in cui la linea dei costi complessivi CC’ è superiore
a quella dei ricavi OR); e l’area dei profitti, cioè l’insieme dei volumi produttivi e di vendita per i quali si
conseguono dei ricavi superiori ai costi complessivi (triangolo PRC’, in cui la linea CC’ procede al di sotto della
linea OR)
Se dunque l’azienda dovesse produrre e vendere un volume uguale a q’, subirebbe una perdita pari al
segmento LL’. Se invece dovesse produrre e vendere un volume uguale a q’’, conseguirebbe un profitto pari
a GG’. Questi segmenti rappresentano quindi la differenza, per quei volumi di produzione e di vendita, tra
costi e ricavi complessivi.
4) Margine di sicurezza e margine di deficit: il divario tra volume realmente prodotto e venduto e volume
necessario ad ottenere il pareggio economico viene definito in due modi qualora esso risulti positivo o
negativo.
Positivo: margine di sicurezza. Rappresentato nel grafico dal segmento q’’-q, indica la
contrazione massima che può subire il volume di produzione/vendita prima che l’impresa rischi
di entrare nell’area delle perdite.
Conclusione sul punto di pareggio: dalla posizione del punto di pareggio di può dedurre il grado di potenzialità
economico-strutturale dell’azienda. Esso delimita l’ampiezza dimensionale dell’area delle perdite e dei profitti:
Il punto di pareggio si sposta verso destra per un incremento dei costi o per una riduzione dei
ricavi. In questo modo si verifica un ampliamento dell’area delle perdite e una riduzione
dell’area dei profitti. (minore risulterà la potenzialità economico strutturale)
Il punto di pareggio si sposta verso sinistra per una diminuzione dei costi o per un aumento dei
ricavi. In questo modo si verifica un ampliamento dell’area dei profitti e una diminuzione
dell’area delle perdite. (migliora la potenzialità economico strutturale)
Il punto di pareggio può essere determinato anche in via analitica: (eguagliando i costi ai ricavi)
RQx= Cf+CvQx+PQx
Dove:
Qx= volume di produzione o di vendita
R= ricavo per unità di prodotto
Cf= costi fissi complessivi
Cv= costi variabili per unità di prodotto
P= profitto per unità di prodotto.
RQx= Cf+CvQx
Da cui si ottiene:
Punto di pareggio: volume che si ottiene dal rapporto tra i costi fissi complessivi e la differenza tra ricavi e costi
variabili unitari. Il calcolo del b.e.p fornisce soltanto uno degli elementi per valutare il processo decisionale.
Al punto di pareggio è legato il concetto di leva operativa intesa come il rapporto tra la variazione percentuale del
reddito operativo e quella delle unità vendute, definibile quindi come la misura secondo cui vengono sfruttati i costi
fissi nell’attività operativa. A livello grafico la leva si evince dall’ampiezza dell’angolo dell’area dei profitti RPC’.
il concetto di leva operativa misura, dunque, le conseguenze di un migliore sfruttamento dei costi fissi sul risultato
operativo aziendale. Un’impresa con alti costi fissi sopporta un rischio più elevato rispetto ad un’impresa con una
minore incidenza di tali costi.
il diagramma di redditività deve essere utilizzato per aiutare a decidere e non per configurare da solo.
Dove:
F= fabbisogno complessivo di merce nell’unità di tempo
Q= quantità da acquistare di volta in volta
a= costo di acquisto di un’unità di merce
c= costo unitario di conservazione
K= costo di un’ordinazione
Per un’efficiente gestione del magazzino bisogna però considerare che, di solito i prodotti da tenere in scorta sono
numerosi e non dello stesso valore e che, di conseguenza, converrà procedere in modo selettivo, adottando metodi
di programmazione più efficaci per i materiali più costosi e procedure più semplici per gli altri. Viene utilizzato come
metodo in questo caso quello dell’ABC secondo il quale gli articoli vengono divisi in tre classi:
A. I materiali che pesano di più sul valore complessivo delle scorte e che pertanto rendono opportuno un
controllo assiduo e penetrante.
B. Articoli che pur incidendo di meno necessitano di un controllo periodico
C. Quelli che possono essere gestiti con procedure più semplici.
Ir= Ut
Gm
Più elevato è questo indice maggiore è l’efficienza della gestione delle scorte, perché l’aumento del rapporto è
dovuto ad un più vantaggioso equilibrio tra ciclo di uscita dei materiali dal magazzino e ciclo di permanenza degli
stessi in deposito. Il calcolo del tasso di rotazione assume una particolare importanza nel caso dei prodotti finiti,
perché consente di valutate la velocità di assorbimento dei vari articoli posti sul mercato.
Oltre alle valutazioni di efficienza concernenti la gestione delle scorte può essere utile procedere a delle misurazioni
che riguardino l’efficienza del servizio di magazzino. A tal proposito, due indici significativi sono:
a. Costi di magazzino mostra l’incidenza dei costi di gestione del magazzino sul costo di produzione
Costo di produzione
b. Costi di magazzino mostra l’incidenza dei costi su ogni unità o euro tenuto in scorta
Giacenza media
Il cash flow, il margine operativo e il valore economico aggiunto (EVA) quali valori sintetici dell’efficienza
aziendale:
l’efficienza economica si presta ad essere valutata mediante elementi che si desumono prevalentemente dal bilancio
di esercizio.
Cash Flow: (flusso di cassa) rappresenta la quantità di risorse finanziarie generate nell’esercizio e
risulta uguale all’utile netto prodotto dalla gestione più il complesso di costi, caricati sempre
dall’esercizio, ma non seguiti da uscite di cassa.
-Cash flow finanziario= risultato di esercizio+ ammortamenti netti+ accantonamenti netti
-Cash flow reddituale= risultato di esercizio+ accantonamenti netti.
Le risorse finanziarie nette sono eguali all’utile netto di esercizio più la somma dei costi non
soggetti ad erogazioni finanziarie. In questo s’includono anche le quote di ammortamento e ci
accantonamento.
-ammortamento: procedimento contabile mediante il quale si ripartisce l’entità di un
investimento in quote rapportate al periodo di utilizzo del bene acquistato
-accantonamento: anticipazione economica di oneri che maturano o possono maturare in
periodi futuri e per i quali ogni esercizio dev’essere gravato della parte di competenza.
La misura del cash-flow sconta due effetti che vanno messi in rilievo:
- criteri di valutazione applicati nella formazione del bilancio d’esercizio
- incidenza dei comportamenti estranei alle gestione tipica o caratteristica
In riferimento a quest’ultimo aspetto all’interno di ogni impresa si possono separare quattro tipo
di attività o fenomeni di differente matrice gestionale:
1. Gestione tipica o caratteristica: costituita da tutte le operazioni destinate a raggiungere
l’obbiettivo fondamentale per cui l’impresa stessa è stata creata.
2. La gestione finanziaria: rappresentata dalle operazioni di reperimento e d’impiego dei fondi
occorrenti o prodotti dall’attività aziendale
3. La gestione patrimoniale: detta anche accessoria, che è costituita dall’amministrazione dei
beni non strumentali per l’esercizio della gestione tipica
4. La gestione straordinaria: composta dagli eventi imprevedibili, nel loro verificarsi o nella
misura degli effetti prodotti, destinati ad alterare la situazione reddituale e patrimoniale
dell’impresa.
Ciascun tipo di gestione può produrre dei risultati economici che andranno a comporre il
risultato globale dell’attività aziendale. Il valore da ritenersi più significativo è il risultato
collegato alla gestione operativa, cioè quello relativo all’attività tipica o propria dell’impresa.
È quindi molto importante determinare quanta parte del risultato di esercizio scaturisca
dalla gestione caratteristica e quant’altra da quella finanziaria, straordinaria e accessoria.
Il cash-flow è determinabile sommando al risultato netto dell’esercizio tutte le quote di
ammortamento e tutte le quote di accantonamento. Lo stesso valore è ottenibile detraendo
dai ricavi di esercizio tutti i costi per i quali si dovrà procedere all’erogazione di mezzi
finanziari.
L’efficienza esterna o di mercato si concreta nel miglioramento della posizione dell’azienda nei confronti della
concorrenza e nell’ampliamento delle opportunità di ricavo. L’indice che meglio si presta a fornire valutazioni
sintetiche è rappresentato dal rapporto tra le vendite aziendali e le vendite complessivamente effettuate nel
particolare mercato servito ed è detto quota di mercato. L’efficienza esterna è determinabile sulla conoscenza di dati
esterni che spesso richiedono apposite indagini di mercato. Le imprese, tuttavia, preferiscono rinunciare ad utilizzare
questo indice e si limitano a valutare l’efficienza esterna in rapporto a dati prevalentemente interni tramite indicatori
come: tasso di sviluppo del fatturato, indici di penetrazione distributiva, indici di ampliamento della clientela, anche
se così facendo si ha un minore grado di significatività.
L’efficienza economica si traduce in un equilibrato rapporto strutturale tra costi e ricavi. Può essere misurata con
riferimento a tre parametri fondamentali: costi, ricavi e reddito. Due sono i tipi di indici quantitativi più
frequentemente utilizzati:
a. Gli indici di economicità: costruiti ponendo al numeratore i costi afferenti a singole funzioni o all’intera
attività aziendale e al denominatore i ricavi della gestione. Gli indici di economicità esprimono il rapporto tra
costi e ricavi aziendali e consentono di valutare la situazione di equilibrio o di squilibrio esistente nel conto
economico dell’azienda.
b. Gli indici di redditività: costruiti ponendo al numeratore grandezze espressive del reddito lucrato
dall’impresa nelle sue varie configurazioni e al denominatore valori rappresentativi del capitale a vario titolo
impiegato nell’impresa.
Un terzo indice costruito per misurare il ritorno del capitale proprio investito in azienda è il ROE (return on equity)
calcolato rapportando l’utile netto d’esercizio al patrimonio netto dell’impresa. Esso dovrebbe essere almeno pari al
tassi di rendimento free risk maggiorato del premio per il rischio, in considerazione del livello di rischio operativo e
finanziario che si assume l’imprenditore. Il ROE si lega al concetto di costo opportunità del capitale, ossia al
rendimento massimo ottenibile da un altro investimento contrassegnato dal medesimo profilo di rischio e al quale
l’imprenditore rinuncia per investire nell’impresa. È possibile scomporre anche il ROE in più rapporti relativi alla
gestione operativa ed extra operativa.
Il ROI, ROS e ROE sono i principali indici di redditività, misurano aspetti diversi e complementari della redditività
aziendale. Il più importante è il ROI perché consente di valutare il risultato della gestione caratteristica e si collega
direttamente al ROS. Il ROE costituisce un riferimento fondamentale per l’impiego di capitale proprio rispetto a
possibili usi alternativi.
Un secondo gruppo di ratio è quello che permette di valutate l’economicità mediante il rapporto tra ricavi e i costi di
gestione. Questi gruppi di ratio, denotano valori sempre più positivi al loro decrescere, dato che un’eventuale
diminuzione testimonia una minore incidenza di certe voci e del costo complessivo rispetto ai ricavi aziendali. In un
impresa industriale è necessario tenere sotto controllo l’incidenza del costo di lavoro, degli approvvigionamento,
degli ammortamenti e della gestione finanziaria.
Vi è inoltre al fine di valutare la solidità patrimoniale e la liquidità l’indice di solidità patrimoniale. Un’impresa si
dovrebbe definire solida allorquando questo indice assume un valore almeno pari all’unità. Il valore dell0indice
tenderà a ridursi al crescere dell’indebitamento.
Ai fini della valutazione dell’equilibrio finanziario assume una particolare rilevanza la determinazione del grado di
liquidità. Il margine di liquidità si costruisce sottraendo dalle attività correnti le passività correnti. Tra le attività
correnti si rivengono tre tipi di valori, caratterizzate da un diverso grado di liquidità:
- Attività liquide: cassa, banche e titoli
- Attività a liquidità differita: crediti a breve
- Attività liquidabili: scorte di magazzino
Considerando separatamente questi differenti tipi di attività correnti, si costruiscono i diversi indici di liquidità:
- Indice di liquidità immediata= cassa + attività finanziarie facilmente liquidabili
Passività correnti
- Indice di liquidità differita= cassa + attività finanziaria facilmente liquidabili + crediti commerciali
Passività correnti
Sempre ai fini della liquidità è particolarmente importante sorvegliare costantemente il cosiddetto margine di
tesoreria, uguale alla differenza tra la somma delle attività liquide e a liquidità differita e le passività correnti.
NB: in conclusione la valutazione dell’efficienza è possibile esclusivamente in termini relativi e non assoluti, cioè solo
ricorrendo a comparazioni nel tempo e nello spazio. Con le prime si valutano i risultati ottenuti rispetto a quelli
relativi ad anni precedenti, mentre con le seconde gli stessi risultati sono confrontati con quelle di aziende similari.
Quest’ultima procedura che, se finalizzata allo studio di risultati e politiche della concorrenza, è nota come
benchmarking, è diffusamente applicata nella pratica aziendale, anche se non è facile scegliere i competitori diretti
ca comparare.
Tra i molteplici standard di contenuto realizzati da enti ed organizzazioni di matrice professionale, imprenditoriale
e accademica ne vanno segnalati due:
- Global Reporting Iniziative (GRI): che nel 2000 ha pubblicato le linee guida per la rendicontazione del bilancio
di sostenibilità. Il GRI è articolato su più livelli: alcuni standard sono universali, mentre altri sono specifici e
relativi alle diverse dimensioni della sostenibilità. All’interno di ciascuno di questi documenti illustrativi
vengono fornite istruzioni obbligatorie, raccomandazioni e linee guida per la redazione del bilancio di
sostenibilità. Le imprese possono adottare anche parzialmente queste indicazioni, ma devono sempre
esplicitare nel documento quale scelta sia stata adottata nella redazione.
- Gruppo di studio per la statuizione dei principi di redazione del Bilancio Sociale (GBS): meno complesse sono
le linee guida per la redazione del bilancio sociale. Secondo il GBS il bilancio sociale è uno strumento di
rendicontazione che consente alle aziende di realizzare una strategia di comunicazione diffusa e trasparente,
in grado di perseguire il consenso e la legittimazione sociale che sono la premessa per il raggiungimento di
qualunque altro obbiettivo, compresi quelli di tipo reddituale e competitivo. Secondo il GBS, il bilancio
sociale va strutturato in tre parti:
1. L’identità aziendale: deve fornire un quadro di sintesi della storia dell’impresa, del sistema di governance
e dei valori etici di riferimento, del disegno strategico e delle principali finalità che l’azienda intende
perseguire in campo economico, ambientale e sociale.
2. La riclassificazione dei dati contabili e il calcolo del Valore Aggiunto: che rappresenta l’anello di
congiunzione con il bilancio di esercizio, in cui si illustra come il valore aggiunto sia stato distribuito tra i
diversi stakeholder.
3. La relazione socio-ambientale: in cui si rendicontano, attraverso indicatori quantitativi e qualitativi, i
risultati realizzati, gli effetti prodotti, sotto il profilo sociale ed ambientale, rispetto agli impieghi assunti
dai diversi stakeholder.
Reporting integrato: viene definito come una comunicazione sintetica che illustra la strategia, la governance,
la performance e le prospettive di un’organizzazione consentono di creare valore nel breve, medio e lungo