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Verum Ipsum Factum Per Un Analisi Semiot
Verum Ipsum Factum Per Un Analisi Semiot
1. Introduzione....................................................................................................................................... 3
3. I Tolentini ........................................................................................................................................... 8
5. Conclusione ...................................................................................................................................... 18
7. Bibliografia ....................................................................................................................................... 23
2
Quando Attila si avvicinò alle mura della città,
grande fu il terrore, e si racconta che perfino gli
uccelli portassero in salvo, via dalla città, i loro piccoli.
Le mura della città erano poco sicure. La gente fuggiva
tra gli acquitrini. La gente si stabilì anche sull’isola di
Rialto, sulle isole Olivolo, Luprio.
I fuggiaschi costruivano case simili a nidi di
uccelli marini, si difendevano dalle onde con
ripari di rena e di fascine.
Così nacque Venezia.1
Viktor Šklovskij
1. Introduzione
Venezia è una città sorta su qualcosa di instabile. Inizialmente contava entro i propri
confini solamente alcune isole, poi, col tempo, aumentò il numero degli insediamenti
e vennero costruiti i primi ponti in legno, in seguito trasformati in pietra. In questo
modo Venezia crebbe fino ad arrivare alla complessa morfologia che tutt’oggi la
contraddistingue. Si tratta di una città che ha creato dei ponti, che ha lottato contro il
suo stesso territorio, ma soprattutto di una città nata come riparo, come rifugio.
Rifugio è stato, in parte, anche il complesso dei Tolentini, che comprendeva una chiesa
e un convento costruiti verso la fine del Cinquecento, poi chiusi nel 1810 per le leggi
napoleoniche e da allora risemantizzato in vari modi. Inizialmente come caserma, poi
come distretto militare, successivamente come alloggio per gli alluvionati del Polesine,
ed infine, intorno agli anni sessanta, come sede dell’Istituto Universitario di
Architettura di Venezia (IUAV), dopo un lungo lavoro di ristrutturazione. Nonostante
oggi i Tolentini non costituiscano più un rifugio, rappresentano tuttavia un luogo di
incontro, di studio e di crescita culturale per numerosi studenti, ed è per questo motivo
che ho scelto di considerare tale luogo come oggetto di analisi.
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Data la complessità del luogo, ho deciso di restringere l’analisi alle quattro aree
principali del piano terra: l’ingresso principale, il chiostro, un’area laterale di servizio e
l’entrata della biblioteca. Prima di procedere però, ho ritenuto necessario soffermarmi
brevemente sulla città di Venezia, per cercare di capire in che tipo di città rientra
l’oggetto della ricerca.
Non rientrando nel corpus del nostro oggetto di studio, Venezia, in quanto città,
ricopre il ruolo di referente immaginario globale, definito così da A. J. Greimas:
2 Cfr. Greimas, A.J., Semiotica e scienze sociali, Torino 1991, Centro scientifico editore, p. 144.
3 Ivi, p. 152.
4 Cfr. Marrone, G., Dieci tesi per uno studio semiotico della città in Versus n. 109-110-111, Il senso dei
4
sempre come qualcosa di più casuale, qualcosa di sottoposto a imprevedibili
deviazioni”5.
Ora, per quanto sia un compito complesso ripercorrere le fasi della costruzione del
testo-città, non si può dire lo stesso per la costruzione dell’identità della città.
Storicamente, come scrive Marrone, ogni città “costruisce la propria identità ora
opponendosi ad altre città, ora restando riconoscibile, ora incrociando i due livelli”6,
ma il caso di Venezia si discosta da queste possibilità. Venezia, per quanto nel corso
del Medioevo sia stata a lungo città nemica di Genova, non ha basato la costruzione
della propria identità opponendosi ad essa, bensì opponendosi in primis alla terraferma,
cercando rifugio, in secondo luogo al mare, cercando una dimora. In questo modo,
l’identità urbana di Venezia si è sviluppata a partire dal fatto che fosse una città che non
stava al continente, non potendo essere contenuta, ma che al tempo stesso evitava un
contatto diretto col mare: in questa doppia negazione nacque Venezia come città.
La negazione del mare è forse la negazione più ambigua: per quanto l’immagine che
abbiamo di Venezia, soprattutto nell’età medievale e rinascimentale, sia associata al
commercio, al porto e ai viaggi in nave, queste non sono che striature7 del mare, tentativi
di trasformare uno spazio liscio, privo di percorsi tracciati, in uno spazio di percorrenza,
striato. Un esempio di questo rifiuto del mare è la presenza di numerosissimi ponti che
collegano le isole del centro storico, attraversando centinaia di canali, quando in altre
città, soprattutto in Asia, è piuttosto comune vivere su imbarcazioni e doverle utilizzare
anche per brevi tratti.
Questa riduzione del mare in spazio di percorrenza ricorda ciò che scrive Franco
Farinelli a proposito di San Giorgio e il drago:
Nell’intera Val Padana, ma anche altrove, il protettore delle bonifiche è proprio San Giorgio, il guardiano
che dal colmo delle facciate delle chiese, sempre in posizione sopraelevata, leva con gesto imperioso la
mano a fermare l’avanzata minacciosa delle acque sottostanti. Ma l’opposizione tra alto e basso non è
l’unica a dominare, nell’iconografia, la scena della lotta tra il nobile cavaliere e la bestia immonda e
5 Lotman, J., “L’architettura nel contesto della cultura” in Il girotondo delle muse. Saggi sulla semiotica delle
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indistinta, la cui forma contorta, confusa e aggrovigliata si oppone visibilmente alla linerità e centralità
dell’asta che la trapassa e inchioda al suolo: la verticalità, attributo dell’atto che impone ordine, implica
la linea retta, così come la depressione, caratteristica di quel che è sottostante, corrisponde alla
confusione, all’assenza di distinzione, al disordine, al caos.8
Azioni come la misurazione, la rettilinearizzazione e la bonifica sono ciò che nel corso
della storia hanno segnato il passaggio dal luogo allo spazio. Secondo Farinelli, questo
passaggio ha segnato l’avvento della modernità: il concepire il mondo sotto forma di
mappa, di tavola, riducendo il globo, tridimensionale, ad un elemento di due sole
dimensioni9. In questo modo, San Giorgio ritrae la modernità, essendo descritto da
Farinelli come “l’eroe della riduzione del mondo a spazio, cioè a tempo di
percorrenza”10.
Oltre ad essere spazio di percorrenza, il mare rappresenta tuttavia una minaccia e uno
spettacolo. In primo luogo, esso costituisce una minaccia per Venezia, dal momento che
essa è una città in cui si verificano spesso casi di acqua alta, ossia picchi di maree che
provocano allagamenti nell’area urbana, arrecando, col tempo, danni alle abitazioni e
agli edifici. In secondo luogo, sono numerosi i punti in cui il mare rappresenta uno
spettacolo: basti pensare a Punta della dogana, alle Fondamenta della Misericordia o al
Redentore, sull’isola della Giudecca. In tutti questi casi il mare risulta essere molto
simile al mare-spettacolo descritto da Patrizia Violi:
Il mare “da vedere” infatti non è un mare che si possa vivere, è un mare che non consente né balneazione
né usi ludici o sportivi, può solo essere contemplato. È un vero mare-spettacolo, che trova la sua
consacrazione nell’appuntamento serale del tramonto, quando tutto il paese si riempie di turisti che si
8 Farinelli, F., La crisi della ragione cartografica, Torino 2009, Einaudi, p. 88.
9 Cfr. Farinelli, F., Geografia. Un’introduzione ai modelli del mondo, Torino 2003, Einaudi.
10
Farinelli, F., La crisi della ragione cartografica, op. cit., p. 89.
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accalcano nelle piazzette e nelle terrazze per vedere “lo spettacolo” del tramonto, momento “magico”
e un po’ kitsch di un vero e proprio rito del turismo di massa. 11
Ora minaccia, ora spettacolo, il mare ha sempre rappresentato una sorta di estraneità
per l’uomo, certamente non solo a Venezia, ma è in questa città che lo scontro col
mare continua ad essere un tratto fondante della sua identità urbana.
Questo tratto è forse quello avvertito maggiormente dai turisti, che vedono nell’acqua
alta un ostacolo rispetto ai loro programmi d’azione, ritrovandosi così sprovvisti di un
percorso alternativo; per i cittadini o per gli studenti più inseriti, invece, l’acqua alta
rappresenta sì un disagio, ma non un motivo di impasse. Sulla base di questa differenza,
emerge chiaramente una distanza tra la visione degli outsider, rispetto a quella degli
insider, che si riflette notevolmente nel tipo di percorsi scelti, di luoghi frequentati e del
loro investimento di valore: questa diversa focalizzazione, come vedremo, sarà
fondamentale nell’analisi semiotica dei Tolentini.
11Violi, P.,“Mediterraneo: identità e border crossing fra terra e mare” in Marrone, G. e Pezzini, I.,
Senso e metropoli. Per una semiotica posturbana, Roma 2006, Meltemi, p. 130.
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3. I Tolentini
Come già anticipato, il complesso dei Tolentini è oggi sede dello IUAV e la sua
biblioteca, che conserva centinaia di migliaia di volumi, riviste e tesi di laurea, è la più
grande biblioteca di architettura in Italia12. Il luogo è senz’altro investito di valore dagli
studenti che lo frequentano, soprattutto perché, pur essendo una sede dell’università,
non si tengono esami, né lezioni: è principalmente un luogo di studio, conferenze
(chiamate cluster talks) ed eventi culturali. In questo modo, i Tolentini invitano ad un
uso generalmente più distensivo del tempo, per quanto rimanga a tutti gli effetti un
luogo di studio e di lavoro.
12 “La nuova biblioteca dell'università Iuav: sarà polo culturale” (2014) su VeneziaToday.
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l’apporto più significativo che può derivare da una modellizzazione semiotica consisterà allora nella
capacità di disimplicazione dei sistemi di valori soggiacenti ad un progetto di restauro13
Ecco perché il luogo desta curiosità: la compresenza quasi “naturale” del vecchio e del
nuovo lo posiziona su un limite in cui due universi semantici si incontrano. In questo
modo, come scrive il rettore dell’università, Alberto Ferlenga, il complesso dei
Tolentini “non segnala solo la presenza di una Scuola moderna e, insieme, ricca di
tradizione, ma costituisce, in uno dei primi punti di contatto tra la città e chi la visita,
una sorta di dichiarazione di principio che Venezia afferma contro chi la vorrebbe
immobile ed ostile al nuovo”16.
13 Mazzucchelli, F., Urbicidio. Il senso dei luoghi tra distruzioni e ricostruzioni nella Ex Jugoslavia, Bologna
Pezzini, I., Senso e metropoli. Per una semiotica posturbana, Roma 2006, Meltemi, p. 178.
15 Ibidem.
16 Guidi, G., Il portale di Carlo Scarpa allo IUAV, Venezia 2017, IUAV, II cartella.
17
Mazzucchelli, F., Urbicidio. Il senso dei luoghi tra distruzioni e ricostruzioni nella Ex Jugoslavia, op. cit., p. 64.
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di senso prodotto, poiché, come occorre ricordare, ogni testo è “sottoposto a
imprevedibili deviazioni”18.
L’esito positivo del progetto ha fatto sì che i Tolentini siano diventati un luogo
esperito, almeno in parte, anche da molti turisti, attratti dal portale di Scarpa, ben
visibile dalle Fondamenta dei Tolentini. Per questo motivo l’analisi del luogo può
seguire una doppia focalizzazione: da una parte gli studenti, i professori e il personale,
dall’altra i turisti.
3.1 L’ingresso
Alla sede si può accedere unicamente dal portale di Scarpa, formato da una cancellata
in ferro, scorrevole su ruote, sulla quale è ancorata una lastra in pietra d’Istria, ai cui
lati si trovano due pannelli in cemento faccia a vista, sagomati a scalini. Sulla lastra è
ben visibile, a primo impatto, la scritta IUAV, ma si può scorgere, avvicinandosi, che
l’acronimo è in realtà compreso dalla celebre formula di Giambattista Vico, “VERVM
IPSVM FACTVM”. In questo modo, l’università, per quanto relativamente giovane, si
inserisce, per così dire, all’interno di una cornice storica più ampia, grazie alla presenza
di un enunciatore autorevole19 del panorama filosofico e culturale del Settecento. Ma la
firma più visibile è senza dubbio quella di Scarpa, ed è questo il motivo per cui il portale
ha assunto il ruolo di icona, sia dei Tolentini, sia dell’intero istituto, diventando così
immagine ricorrente del sito internet, delle borse di tela e di altri oggetti di
merchandising dell’università.
18 Lotman, J., “L’architettura nel contesto della cultura” in Il girotondo delle muse. Saggi sulla semiotica delle
arti della rappresentazione, op. cit., p. 41
19 Mi riferisco alla definizione elaborata da A.M. Lorusso e P. Violi in Semiotica del testo giornalistico, Bari
2004, Laterza, p. 63: «intellettuali di prestigio […] che derivano la loro autorevolezza da una
competenza culturale collettivamente riconosciuta».
10
spazio20, delle Fondamenta, e a questa deviazione sul piano dell’espressione corrisponde
un’alterazione sul piano del contenuto. In secondo luogo, esso “impone una
riconsiderazione dell’intero linguaggio su cui si basa”21: per questo motivo, l’ingresso,
è a tutti gli effetti un testo estetico, così come viene definito da Umberto Eco:
Il testo estetico, lungi dal suscitare soltanto ‘intuizioni’, provvede invece un incremento di conoscenza
concettuale. […] Nello spingere a riconsiderare i codici e le loro possibilità, esso impone una
riconsiderazione dell’intero linguaggio su cui si basa. Esso tiene la semiosi in allenamento. Nel far questo
esso sfida l’organizzazione del contenuto esistente e quindi contribuisce a cambiare il modo in cui una
data cultura ‘vede’ il mondo22
L’ingresso che si presenta, calpestata la prima pietra, è un giardino che si sviluppa per
il lungo e che termina alla prima accettazione. All’interno del giardino è stata sistemata
orizzontalmente una porta in pietra d’Istria antica, ritrovata durante i lavori del restauro
del complesso. La porta, che reca al suo interno dei dettagli in calcestruzzo, sagomati
Mondadori, p. 247.
11
a scalino, è uno specchio d’acqua, quando piove, ma funge inoltre da panchina per
turisti, bambini o studenti in pausa pranzo.
Tuttavia, per quanto anche molti studenti facciano esperienza dell’ingresso come di un
luogo di sospensione rispetto al codice del luogo, nella maggior parte dei casi gli
studenti lo esperiscono, come vedremo in seguito, da sonnambuli31, valorizzando la
continuità del proprio percorso, evitando così pause, soste e ostacoli.
25 Mi riferisco al concetto elaborato da Michel Foucault in Les mots et les choses, Parigi 1966, Gallimard.
26 Foucault, M., Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, Milano-Udine 2011, Mimesis, p. 23.
27 Ibidem.
28 Ivi, p. 28.
29 Ibidem.
30 Ibidem.
31 Mi riferisco all’elaborazione dei “quattro tipi di viaggiatore” di Jean-Marie Floch in Semiotica,
Marketing e Comunicazione, Milano 1992, F. Angeli, a cui sarà dedicata gran parte del paragrafo §4.
12
3.2 Il chiostro
Il chiostro è l’area più ampia presa in considerazione nell’analisi, ed è forse il luogo più
frequentato del complesso, dal momento che al suo interno è presente il bar
dell’università. Avvicinandoci nello spazio scoperto, si percepisce immediatamente la
differenza di quota tra i lati ed il punto centrale, che coincide con il pozzo, dovuta al
sistema di drenaggio delle acque. Il perimetro è rialzato di pochi centimetri da uno
scalino e consente, grazie al porticato, di ripararsi dal sole e dalla pioggia.
All’interno del chiostro vi sono delle panchine disposte in modo casuale, dal momento
che è permesso spostarle a proprio piacimento. Per questo motivo, alcuni studenti
ironizzano sulla disposizione delle panchine a fine giornata: “Quando la sera esci dalla
biblioteca, non trovi mai il chiostro come l’avevi lasciato la mattina: se trovi delle
panchine disposte a cerchio, dev’esserci stato un incontro; una panchina contro l’altra,
un dibattito; una panchina isolata, qualcuno dev’essersi arrabbiato” (Matteo, studente).
Come possiamo già capire da una semplice battuta, la disposizione delle panchine è
indubbiamente significante e contribuisce ad una continua riscrittura del testo-chiostro.
Un tale uso dello spazio, secondo Greimas, è significante32, in primis per l’individuo, in
secondo luogo per gli altri:
Qualsiasi comportamento umano, fosse anche ‘scavare una buca’, ad esempio, è doppiamente
significativo: per il soggetto del fare, prima, per lo spettatore di questo fare, poi. Tutte le pratiche sociali
organizzate in programmi del fare portano in sé la significazione come progetto e come risultato, e
reciprocamente: ogni trasformazione dello spazio può essere letta come significante 33
Per questo motivo molti studenti, come Matteo, si interrogano sulla disposizione delle
panchine e sui suoi possibili significati: l’istanza individuale del fare, soprattutto in un
luogo come il chiostro, in cui la socialità riveste un ruolo fondamentale, presuppone
sempre un’istanza collettiva, spettatrice. Inoltre, l’individuo che sposta una panchina, da
enunciatario, diventa enunciatore stesso dello spazio, assumendo così un ruolo
estremamente attivo nella costruzione di senso.
13
Generalmente, il clima che si respira nel chiostro, è sì distensivo, ma anche ludico, di
socialità. Al brusìo si aggiungono, infatti, urla e schiamazzi, ma anche il rumore delle
tazzine, proveniente dal bar del chiostro, un sottofondo del tutto diverso rispetto a
quello più calmo dell’ingresso, in cui gli unici rumori provengono dai negozi lungo le
Fondamenta.
Il terzo spazio analizzato è un’area di servizio, a destra del chiostro, la cui funzione
principale è quella di passaggio per chi si dirige al deposito della biblioteca o all’asilo
nido dell’università. L’area funge, inoltre, da punto di raccolta in caso di emergenza,
essendo la base delle scale antincendio.
Come possiamo vedere dalla pianta, l’area in questione è stata lasciata principalmente
bianca35, non essendo stata considerata dalla logica cartografica: si tratta, infatti, di
un’area di servizio, non di un’area servita. Tuttavia, per quanto dall’esterno venga
considerato uno spazio vuoto, ed è questo il motivo principale per cui non viene
visitato dai turisti, esso assume valore per molti studenti, essendo un’area dedicata a
brevi pause, telefonate o semplici momenti di solitudine. Può sembrare strano che per
questo tipo di utilizzo gli studenti non preferiscano recarsi al chiostro, per consumare
34
Riporto nuovamente all’elaborazione dei “quattro tipi di viaggiatore” di Jean-Marie Floch in
Semiotica, Marketing e Comunicazione, Milano 1992, F. Angeli, su cui tornerò nel paragrafo §4.
35 Con questo termine mi riferisco all’opera di Philippe Vasset, Un livre blanc, in cui l’autore prende in
considerazione alcune aree di Parigi, tralasciate dai lavori cartografici, per «porter le texte là où il n’a
aucune place, où il est, au mieux, incongru, déplacé, et observer ce qui se passe». Cfr. Vasset, P., Un
livre blanc, Parigi 2007, Fayard, p. 104.
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uno snack al bar, ma l’area di servizio è un luogo più riservato, più calmo, in cui le
pratiche di socializzazione sono più sporadiche e frammentate.
Sorprende, forse, il fatto che un’area residuale svolga una qualche funzione, ma anche
il vuoto di uno spazio è fondamentale: come ricorda Francesco Careri, gli individui
“non frequentano solo case, autostrade, reti informatiche e autogrill, ma anche quei
vuoti che non erano stati inseriti nel sistema”36. La presenza di studenti esploratori,
dunque, oltre ad attestare la valorizzazione della discontinuità del luogo, rende una
semplice area di servizio semioticamente rilevante per l’intero complesso dei Tolentini.
La quarta area rappresenta una soglia, una zona di confine tra i rumori e gli schiamazzi
del chiostro e il silenzio della biblioteca. Alla porta si dirigono gli studenti sonnambuli
provenienti dall’ingresso, i bighelloni che si sono fermati nel chiostro e gli esploratori
dell’area di servizio. Tuttavia, appena varcata la soglia, la maggior parte degli studenti
diventa professionista: per loro la biblioteca significa adempiere al proprio programma
narrativo di studio, acquisire la competenza.
Per quanto l’area esterna alla porta costituisca una sorta di prolungamento del chiostro,
le persone che rimangono a scambiare qualche parola sono poche: la fruizione del
luogo è pressoché puntuale, funzionale esclusivamente all’entrata o all’uscita dalla
biblioteca. Salendo le scale, la verticalità della struttura costringe ad un rapido cambio
di postura, invitando gli studenti, con alcuni cartelli lungo le scale, ad un percorso
silenzioso. Nell’area, dunque, la strategia referenziale è estremamente rilevante: essa si
basa su una concezione meramente funzionalista dello spazio, in cui “ogni spazio
assolve a una precisa funzione ed entra in relazione con gli altri in modo da creare un
effetto di realtà chiusa, autonoma e autosufficiente”37.
36 Careri, F., Walkscapes. Camminare come pratica estetica, Torino 2006, Einaudi, p. 131.
37 Marrone, G., Palermo. Ipotesi di semiotica urbana, Roma 2010, Carocci, p. 255.
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4. Immagine del luogo e tipo di socialità
L’analisi che segue si concentrerà sul modo in cui le quattro aree vengono esperite dagli
studenti, dal momento che gli esterni non fanno un’esperienza completa delle quattro
aree del complesso, limitandosi all’ingresso e al chiostro. Occorre ricordare, però, che
il modo di vivere ciascuna di queste aree, come qualsiasi altro spazio, non è unico ed è
sempre soggetto a imprevedibili variazioni, perciò l’analisi delinea delle tendenze
generali che non hanno alcuna pretesa di fissare determinati tipi di comportamento.
Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, l’ingresso viene vissuto principalmente
in due modi: da un lato, esso è attraversato da un gran numero di studenti sonnambuli,
che si dirigono verso l’interno, dall’altro, molti di loro lo vivono al di là delle sue
funzioni istituzionali e la presenza del giardino aiuta, in un certo senso, a renderlo un
luogo utopico. L’immagine che il luogo trasmette è quindi mitica: dal momento che essa
esce dai confini tradizionali, tendendo a “coinvolgere il fruitore secondo una
dimensione passionale”38.
Il chiostro, invece, presenta una socialità di tipo ludico, dal momento che esso
costituisce uno spazio ricreativo in cui la frequentazione dei bighelloni tende a
prolungarsi, soprattutto grazie alla presenza del bar. In secondo luogo, la presenza delle
panchine, spostate di volta in volta dai frequentatori, richiede uno sforzo
dell’enunciatario nel “decifrare, interpretare e contribuire alla costruzione del senso dei
suoi spazi”39, contribuendo così ad un’immagine obliqua del luogo.
L’area di servizio presenta un tipo di socialità del tutto opposto a quello dell’ingresso,
un tipo di socialità critico, non essendo un luogo di aggregazione trasversale. In essa gli
studenti cercano di sfruttare al meglio lo spazio per una pausa in solitudine, o in
compagnia di poche persone, per brevi pause. L’immagine che il luogo dà di sé è invece
sostanziale, poiché nega, con le sue articolazioni (scale antincendio, deposito e asilo-
nido) di essere altro da sé.
38 Ivi, p. 256.
39 Ibidem.
16
Infine, l’entrata della biblioteca mostra un tipo di socialità pratico: le interazioni sociali
sono limitate a poche chiacchiere, dal momento che lo scopo degli studenti che si
trovano in quest’area è l’assolvimento del proprio programma di studio. Le marche
espressive, come i cartelli che invitano al silenzio, contribuiscono a rendere l’immagine
stessa del luogo referenziale.
Tipo di socialità
Utopica Pratica
Ingresso Entrata della biblioteca
Ludica Critica
Chiostro Area di servizio
Tipo di immagine
Referenziale Mitica
Entrata della biblioteca Ingresso
Sostanziale Obliqua
Area di servizio Chiostro
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5. Conclusione
Alla luce di quanto analizzato, il complesso dei Tolentini risulta essere un esempio
riuscito di progettazione architettonica, a partire dalle pratiche che caratterizzano il
luogo. La formula di Vico, verum ipsum factum, è piuttosto indicativa circa il senso del
luogo, poiché la verità, l’esito positivo del progetto, è data sia da ciò che viene
effettivamente prodotto, da ciò che viene fatto, sia dal suo stesso farsi. Nella locuzione,
dunque, è presente un duplice aspetto: da una parte, l’aspetto terminativo del fare,
espresso da factum come sostantivo neutro, dall’altra, l’aspetto durativo, espresso da
factum come supino. Ed è proprio l’insieme delle pratiche, individuali e collettive, che
realizzano il secondo tipo di aspetto.
Perciò, il motivo principale del successo del progetto sta nel suo grado di apertura: il
luogo permette all’enunciatario di muoversi attivamente, di diventare, in parte,
enunciatore stesso del luogo, come nel caso del chiostro. Un altro motivo è il fatto che
all’interno del complesso si possano esperire diversi luoghi, ma soprattutto diverse
pratiche e diversi modi di stare. Pertanto, l’esito del progetto non è mai dato, ma da
darsi continuamente, attraverso una presenza attiva degli studenti, ma anche di turisti,
bambini e altri esterni, che contribuirà ad una continua riscrittura, per quanto minima,
del luogo.
18
6. Appendice iconografica
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4. Vista del chiostro
20
5. Vista dell’area di servizio
21
7. Vista dell’entrata della biblioteca
22
7. Bibliografia
Einaudi.
Milano, F. Angeli.
editore.
- Greimas, A.J., Courtés J. (2007). Semiotica. Dizionario ragionato della teoria del
23
- Los, S. e Mazzariol G. (1985). Il progetto di Carlo Scarpa per l'entrata dell'Istituto
Venezia, Marsilio.
muse. Saggi sulla semiotica delle arti della rappresentazione, Bergamo, Moretti&Vitali.
- Marrone, G. e Pezzini, I., (2006). Senso e metropoli. Per una semiotica posturbana,
Roma, Meltemi.
- Marrone, G. (2009). Dieci tesi per uno studio semiotico della città in Versus n. 109-
- Russo, V. (2009) “La mappa non è la realtà”: contributo per una geopoetica della
24
- Violi, P. (2009). Architetture della memoria. Il Memorial Hall di Nanjing in Versus
122.
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