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FACEBOOK E INSTAGRAM

STRATEGIE PER UNA PUBBLICITÀ CHE FUNZIONA

Enrico Marchetto
© Apogeo - IF - Idee editoriali Feltrinelli s.r.l.
Socio Unico Giangiacomo Feltrinelli Editore s.r.l.

ISBN edizione cartacea: 9788850335084

Il presente file può essere usato esclusivamente per finalità di carattere


personale. Tutti i contenuti sono protetti dalla Legge sul diritto d’autore.

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dalle rispettive case produttrici.

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Introduzione

Il libro che state per leggere racconta in prima persona la mia vita
di advertiser e parla di molti dei casi concreti di cui mi sono occupato
con la mia agenzia, Noiza.
Vi mostra i ragionamenti, le analisi, gli approcci alla materia nel
modo più sincero (pure troppo) possibile, perché l’obiettivo è anche
quello di portarvi nel mio dietro le quinte, con la presunzione che sia
interessante e utile per migliorare le vostre performance.
A cosa serve un libro come questo? La speranza più grande è che vi
faccia risparmiare un bel po’ di soldi, e ve ne faccia guadagnare
tantissimi.
Evitando gli errori più grossolani, perché quelli li ho già fatti io e
voi ve li potete risparmiare, provando a investire nel modo più
corretto possibile.
Pensatelo come il libro di uno che ha passato gli ultimi dieci anni
della propria vita a fare solo questo: investire un sacco di denaro su
Facebook e Instagram e confrontarmi con colleghe e colleghi su come
farlo al meglio. E adesso non vedo l’ora di raccontarvelo.
Vi chiedo solo una cortesia, ma non prendetela come una
stramberia: prima di iniziare la lettura andate a dare un’occhiata alla
postfazione di Alessandra Farabegoli nelle ultime pagine di questo
libro. In poche righe c’è l’essenza del mio (nostro) approccio, una
sorta di promessa che facciamo a voi lettrici e lettori di non fornirvi
mai soluzioni ma di aiutarvi nel ragionamento su Facebook e
Instagram. E una volta letta, fatemi sapere se ho rispettato questo
patto.
Il libro comincia dalle cose facili, apparentemente basilari: per
esempio, come fare pubblicità sui social media per una gelateria. Ma
le basi di una materia sono meravigliose perché ti fanno scoprire
l’essenza delle cose e, anche quando si complicano, ti accorgi che
comunque l’essenza rimane immutata come il DNA.
E quando ti trovi a gestire la pubblicità di un colosso come
Benetton, non riesci a non pensare che quel meccanismo l’avevi
progettato uguale uguale, quando ti occupavi di gelati e panna
montata.
Nelle parti centrali scoprirete che l’ideale per cominciare a fare
advertising è il proprio pubblico, qualcuno che è già cliente o che
gravita attorno alla nostra azienda.
Solo allora impareremo bene ad allargare lo spettro del target, a
raggiungere nuovo pubblico e proveremo a farlo nel modo più
sostenibile possibile.
Poi nel Capitolo 4 vi arriverà un buffetto, un leggero pizzicotto per
svegliarvi e accompagnarvi a riflettere su come i vostri post su
Facebook e Instagram... facciano un po’ schifo.
Negli ultimi capitoli la lettura si farà più tecnica perché non posso
tradire la mia natura ossessivo-compulsiva nel vedere migliorare ogni
giorno le performance della pubblicità online con ottimizzazioni
costanti. E le ottimizzazioni vi faranno sudare.
Ci sarà spazio anche per un’intervista, che ho fortemente voluto, ad
Alessandro Gargiulo, perché quando si parla di lanciare un e-
commerce non potevo non chiamare in causa una delle più belle
esperienze di marketing orientato alla vendita a cui io abbia mai
assistito.
Poi ci sono tre paginette finali che parlano di Instagram. Sì, solo
tre e non sto scherzando.
Ma non vi agitate, è tutto sotto controllo.
Questo libro non sarebbe mai nato senza il supporto di Andrea,
Marco e Martino, i miei soci di Noiza e di tutte le nostre colleghe e
dei nostri colleghi, a cui a turno ho rubato pezzi di sapere
spacciandoli per miei.
Un grazie enorme a Fosca Pozzar per avermi dato una mano
miracolosa nell’editing, a Francesca Iannelli per aver sistemato una
marea di miei pensieri confusi e ad Alessandra Farabegoli per la
postfazione e per la revisione scientifica (e per avermi scritto “è
bellissimo” dopo la lettura della bozza).
E un grazie infinito a Costanza Grassi, che è una storica dell’arte
ma che ormai, a forza di ascoltarmi ogni giorno, è diventata una
advertiser provetta. Per fortuna non sa ancora di esserlo.
Buona lettura.
Capitolo 1

Per una grammatica generativa


dell’advertising

Sarà perché non sono nato advertiser, sarà perché le materie che mi
hanno sempre affascinato di più sono la linguistica o la semiotica,
quello che cerco sempre di fare è di inquadrare quello di cui mi sto
occupando in una dimensione “superiore”.
Che cosa intendo per “superiore”?
Quando compriamo un manuale del genere l’obiettivo è quello di
“imparare a fare” e vi assicuro che anche con questo libro sarà così,
ma ora vi chiedo un po’ di pazienza e di allontanarvi dalla pratica,
dall’operatività, dal micromanagement delle campagne Facebook e
Instagram, per seguire un ragionamento che è diventato un cardine
del mio lavoro quotidiano: sono sempre più convinto che esista una
grammatica generativa dell’advertising.

Da Chomsky a Jurassic Park


Quando il famoso linguista americano Noam Chomsky cominciò a
piantare i semi di quella che sarebbe diventata la teoria della
grammatica generativa, lo fece partendo da una critica alle teorie
strutturaliste: la lingua non la si comprende se se ne svelano solo le
strutture o se se ne analizzano le varie componenti o i rapporti che ci
sono tra di esse.
No, questo non basta.
Dobbiamo andare all’origine della lingua, a quella competenza
innata che permette a un parlante nativo di comprendere una frase che
non è mai stata pronunciata prima da qualcuno.
Ma cosa c’entra tutto questo con l’advertising?
C’entra perché non comprenderete mai veramente a fondo il senso
dell’advertising solo analizzando e scomponendo le campagne
pubblicitarie di Facebook e Instagram. Perché le campagne, gli
annunci, il budget sono solo varianti che derivano da un DNA
originario, innato, universale.
E l’obiettivo è fare esattamente quello che faceva Richard
Attenborough nei panni del miliardario John Hammond in Jurassic
Park: cosa c’è nell’ambra? Una zanzara. Cosa c’è nella zanzara? Il
sangue del dinosauro. Cosa c’è nel sangue? Il DNA.
Non importa poi quante mutazioni subirà questo DNA per dare
origine alla variante che stiamo osservando, l’importante è possedere
il DNA per poterlo manipolare.
Il DNA di Jurassic Park sta ai dinosauri come la competenza
linguistica di Chomsky sta al linguaggio.
Prima di costruire il nostro Jurassic Park dell’advertising su
Facebook e Instagram, dobbiamo risalire al DNA, all’elemento
universale.
E per farlo cominciamo da una gelateria nel centro di Palmanova,
in provincia di Udine e da uno dei marchi italiani più conosciuti nel
mondo, Benetton.

La storia di Nonna Pallina


Ottobre 2018. Udine.
Sono appena uscito dall’Università dove insegno e ho
appuntamento con una cara amica in un bar del centro, vuole parlarmi
di Social Media Marketing.
“Strano” - penso io - “ero convinto che lavorasse in una grossa
agenzia del nord-est come Project Manager” e non capisco bene che
cosa c’entri lei con Facebook e simili.
Dopo pochi minuti scopro il motivo dell’incontro: Sara ha bisogno
di me, perché se n’è andata dall’agenzia, si è presa un periodo
sabbatico e vuole formarsi, vuole aumentare tutte le competenze
digital ma con un focus ben preciso sul Social Media Marketing.
“Mi aiuti?”
“Sì, certo. Ma hai già un cliente su cui iniziare a fare esperienza?”
“No. Cioè, forse sì, magari però ti metti a ridere. Ho cominciato a
gestire la pagina di Nonna Pallina.”
“Nonna Pallina?”
“Sì, è una gelateria in centro a Palmanova”
“Ok. Ma hai un po’ di budget da spendere?”
“Sì, ho un centinaio di euro al mese da poter spendere su Facebook
e Instagram, qualcosa ho già sperimentato. Ma ho bisogno di capirci
di più, perché la sensazione è quella di fare tutto a caso”.
“Ok, fatta.”

La storia di Gianpaolo
Marzo 2018. Trieste.
Ormai è quasi un anno che abbiamo cominciato a lavorare sulle
campagne di advertising social di Benetton e i risultati sono
straordinari.
In Italia e nel resto del mondo la crescita delle conversioni nei
canali Facebook e Instagram è cresciuta del 174% rispetto all’anno
precedente, grazie a una ristrutturazione piuttosto complessa
dell’intero impianto strategico.
Sono appena uscito da una call con il cliente e ricevo una mail da
Gianpaolo Lorusso che mi vuole tra i relatori dell’evento che
organizza a Bologna ogni anno, dedicato alla pubblicità online.
Nato come meeting di chi si occupa di advertising soprattutto su
Google, l’Adworld Experience si è poi aperto anche al mondo
Facebook e Instagram e Gianpaolo mi vuole proprio per questo
motivo.
“Ti metterei in una sezione dedicata alla discussione di un caso
pratico, che evidenzi come l’impatto del social advertising sia stato
determinante per il successo del tuo cliente. Hai un caso simile?”
“Certo Gianpaolo, adesso chiedo le autorizzazioni necessarie
perché ci terrei molto a portare Benetton come caso di studio”.
“Se ci riesci, è top”.
Qualsiasi manuale di giornalismo o di scrittura ti consiglia di
pensare prima al tuo pezzo o al tuo saggio e, solo dopo averlo
scalettato o scritto, di ragionare sul titolo. Questo modus operandi
non è il mio, perché ho il vizio di andare spesso “off topic”.
Se invece fisso dapprima il titolo, obbligo la mia mente a non
perdere mai di vista il focus sul tema centrale; certo, posso dare la
sensazione di divagare esattamente come sto facendo ora ma,
credetemi, so esattamente dove voglio arrivare.
E il titolo del mio intervento non lascia spazio a equivoci:
“Stringiamoci a Coorte: l’analisi del funnel Facebook e Instagram del
marchio Benetton”.
Gli elementi chiave sono:
1. il trigger point cioè il punto di attenzione, che è un gioco tra la
coorte del marketing, un gruppo di individui che condividono
determinate caratteristiche - per esempio i visitatori di un sito
web in un giorno X -, e la citazione dell’inno nazionale,
“stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte”;
2. il funnel, ovvero la proiezione semplificata della coorte nel
tempo, cioè il percorso che dall’esplorazione del marchio porta
all’acquisto;
3. il contesto, ovvero Facebook e Instagram;
4. il nome del caso, Benetton.
Quello che voglio raccontare alla platea è come un utilizzo di
Facebook e Instagram in modalità full funnel, in ogni fase e in ogni
punto del percorso di conversione, abbia profondamente migliorato i
risultati del mio cliente.
E mi metto a lavorare sulla presentazione, per provare a spiegare
passo dopo passo analisi, strategia e operatività.
Sto quasi per chiudere la presentazione quando, tra le notifiche
degli amici di Facebook, mi compare un post di Leonardo Prati, un
marketer mio collega esattamente come Gianpaolo, che in modo
decisamente provocatorio scrive: “‘Gestisco campagne di grossi
brand nazionali’. E poi la case history è sempre della gelateria sotto
casa.” (Figura 1.1).
Figura 1.1 Lo screenshot del post di Leonardo che ha catturato il mio interesse.

Sorrido, metto un cuoricino e passo oltre.


Poi mi fermo, torno indietro con il pollice e lo rileggo.
“Qui c’è tutto” - penso - “ci sono io che gestisco campagne di
grossi brand nazionali, Benetton, ma c’è anche la gelateria sotto casa
perché, sì, anche i risultati di Nonna Pallina sono strepitosi”.
Ma non solo, proprio per la teoria della grammatica generativa
dell’advertising, sono profondamente convinto che Nonna Pallina
abbia un sacco di elementi in comune con Benetton, è come se da un
DNA comune, dopo alcune mutazioni, siano nate due creature
profondamente differenti come aspetto, dimensioni e complessità, ma
governate sempre dalla stessa competenza mentale innata.
E allora decido di andare ancora più a fondo e intitolare così il mio
intervento al convegno di Bologna (Figura 1.2).

Figura 1.2 Il titolo del mio speech a Bologna.

Le strutture post-dependant
Ci mettiamo a un tavolo di un bar, io e Sara, e lei apre l’account
Facebook di Nonna Pallina per mostrarmi il lavoro che fino a quel
giorno era stato fatto.
La situazione è quella illustrata in Figura 1.3.
Ed è la stessa situazione del 90% degli account pubblicitari che ho
visto nella mia vita.
Mi spiego, appena apro per la prima volta un account pubblicitario
di un mio cliente o di un mio potenziale cliente, nove volte su dieci lo
scenario che si spalanca è quello di una struttura post-dependant nel
senso che, come si può vedere dall’immagine, le campagne sono
funzionali al singolo post.
Figura 1.3 Che cosa trovo aprendo la scatola dell’account pubblicitario di Nonna Pallina.

Pubblico un nuovo post sulla mia Pagina Facebook o sul mio


canale Instagram? Bene, decido di promuoverlo, a volte dalla pagina
premendo il pulsante Metti in promozione o, se sono più evoluto nella
conoscenza degli strumenti Facebook, faccio partire la
sponsorizzazione da Gestione Inserzioni.
Ma il concetto rimane sempre lo stesso: l’elemento dominante è
sempre e solo il singolo post.
Il contenuto sta comandando e tutto il resto si declina sulle sue
esigenze: target, posizionamenti, budget, ottimizzazioni.
L’intera struttura di advertising è totalmente dipendente dal post
promosso.
E questo causa almeno cinque grandi problemi.
1. Durare il tempo di un post.
Se leghiamo una promozione al post, la campagna, quindi la
struttura ospitante il post durerà il tempo del post. Nasce e
muore esattamente quando nasce e muore il contenuto.
2. Centralità sul contenuto, non sull’obiettivo.
Se adottiamo una strategia post-dependant la centralità non è più
sull’obiettivo e sul target ma sul singolo oggetto della
promozione. Scegliamo prima cosa mettere in promozione e solo
dopo l’obiettivo della campagna.
3. Facebook non impara.
Quando parte una promozione su Facebook e Instagram,
l’algoritmo apre una funzione tanto importante quando
sottovalutata, l’apprendimento. La fase di apprendimento è il
rapporto tra azioni che dobbiamo raggiungere e il tempo che ci
mettiamo a raggiungerle. Anche se avremo occasione più volte
di approfondire questo concetto nel corso della lettura, faccio un
esempio molto semplice.
Se impostiamo una campagna di interazione, per potere chiudere
una fase di apprendimento dobbiamo raggiungere almeno
cinquanta interazioni in sette giorni. Se impostiamo una
campagna di conversione con obiettivo “vendita”, per potere
chiudere la fase di apprendimento dobbiamo arrivare a cinquanta
vendite in sette giorni. Le fasi di apprendimento le trovate
indicate nella Figura 1.4.
Figura 1.4 Le fasi di apprendimento.

Quando realizzate l’obiettivo, avete la sicurezza che l’algoritmo


di Facebook abbia appreso tutto ciò che c’era da apprendere su
quel target, su quei posizionamenti, per il budget che avete
scelto.
Se non ci riuscite, Facebook non sta lavorando in modo
ottimizzato e non ha elementi sufficienti per procedere al
massimo delle proprie potenzialità.
All’interno di campagne post-dependant, quindi campagne che
seguono il ciclo di vita del post, è molto facile non raggiungere
mai questo obiettivo, perché sono attività di promozione spot,
che si aprono e si chiudono spesso freneticamente, e non
permettono quasi mai di far apprendere alla macchina Facebook.
4. Basarsi sugli interessi.
Spesso e volentieri la targetizzazione è per interesse.
Sopravvalutiamo quella che è la dimensione degli interessi di
Facebook e Instagram e lavoriamo sugli appassionati di moda,
gli appassionati di cibo, gli appassionati di un determinato
argomento. E abusiamo di questo tipo di targetizzazione convinti
di andare a raggiungere un pubblico che ha manifestato interesse
per un determinato tema.
Gli interessi di Facebook sono utili, ma decisamente
sopravvalutati. Per esempio, quando si tratta di una gelateria,
che interessi scegliamo? O se vendiamo condizionatori oppure
dei lucernari, quali caratteristiche delle persone individuiamo?
No, credetemi, su Facebook non troverete né “persone
freddolose” né “persone che hanno una mansarda”.
5. Non pensiamo a un percorso di conversione.
La mia struttura di campagna non sta seguendo la proiezione di
un percorso di conversione perché è sempre e solo legata a un
post. Non c’è un ragionamento a tappe, che parta dalla
conoscenza del prodotto all’acquisto del prodotto stesso.
“Scusa, Enrico, ho letto bene? Nel punto 5 tu parli veramente di
un funnel di conversione del gelato? E noi dovremmo utilizzare
un modello come questo qui sotto anche per comprare un
gelato?” (Figura 1.5).
Figura 1.5 Lui, sempre lui, proprio lui: il funnel.

Il funnel di un gelato
“No”.
La risposta è ovviamente “no”.
Un gelato è un gelato, punto. Non ha bisogno di una modellazione
tradizionale di awareness, consideration, conversion.
Un gelato assomiglia quasi a uno stimolo pavloviano, a un riflesso
condizionato, a un certo punto della mia giornata estiva “io devo
mangiare un gelato”.
Ma il gelato è pur sempre un prodotto e ogni prodotto ha un
proprio percorso di conversione e seppur semplice, basato
principalmente su logiche di stimolo-risposta, nulla ci vieta di farci
una banalissima domanda: “Che cosa ci spinge a mangiare un
gelato?”
Perché se voglio fare advertising su Facebook e Instagram, ma in
generale su qualsiasi canale, la prima cosa che devo avere in mente,
ancora prima del target da raggiungere, ancora prima della strategia
da mettere in atto, la prima cosa è il percorso di conversione attuale
dei miei clienti: perché i clienti vengono da me.
E partiamo dalle cose semplici, un gelato appunto.
Mangiare un gelato è figlio di due principali domande:
Una domanda diretta legata a un banalissimo stimolo: “Ho voglia
di mangiare un gelato, quindi vado a mangiarmi un gelato”.
Una domanda latente, ovvero non sto producendo alcun tipo di
domanda di gelato ma uno stimolo esterno fa emergere in me una
domanda di gelato.
E visto che siamo in un contesto come Facebook e Instagram dove
una domanda diretta è piuttosto innaturale - se avessi bisogno di
qualcosa mi rivolgerei a Google e non a Facebook - concentriamoci
sulla domanda latente. Potremmo immaginare che la nostra gelateria
lavori su un pubblico che magari si trova nelle vicinanze della
gelateria e il nostro obiettivo è fargli venire voglia di mangiare un
gelato, usando il suo feed di Facebook.
Ma non solo, perché il gelato spesso è un atto sociale, ovvero lo
mangiamo perché qualcuno ci invita o perché siamo noi stessi a
invitare qualcuno: raramente mi è capitato di uscire dall’ufficio senza
esclamare: “Ok, vado a mangiarmi un gelato, qualcuno viene con
me?”.
Come si traduce tutto questo in una prospettiva di Social
Advertising?
Secondo me si traduce così (Figura 1.6).
Figura 1.6 La campagna engagement di Nonna Pallina.

Se abbiamo detto che mangiare un gelato è un atto sociale


utilizziamo l’obiettivo che più in assoluto, dentro Facebook, esprima
il concetto di socialità: scegliamo quindi l’obiettivo di interazione.
Facciamo in modo che più persone interagiscano con il nostro
contenuto, attraverso like, commenti, condivisioni, lavoriamo sulla
“portata sociale” di una gelateria ovvero l’idea di andare a mangiare
un gelato perché qualcun altro prima di me mi ha fatto scoprire il
contenuto “gelato”.
E se notate, non partiamo con la promozione di un post, ma
partiamo con la costruzione di una campagna cioè di un
macrocontenitore permanente che andrà a ospitare i target scelti e
successivamente i nostri post.
Stiamo ribaltando la prospettiva: non ragioniamo sul contenuto, ma
ragioniamo prima sulla strategia che dovrà guidare il contenuto e la
nostra strategia di base sarà appunto “interazione”.
E se scegliamo l’interazione dovremo ragionare sulle metriche
proprie dell’interazione:
1. numero di interazioni;
2. costo per interazione;
3. copertura: quante persone raggiungiamo;
4. impression: quante volte la raggiungiamo;
5. frequenza: il rapporto tra copertura e impression in modo tale da
non martellarle all’eccesso.
Attenzione perché qui si annidano le principali contraddizioni tra il
marketer e l’imprenditore. Il ruolo del marketer, quando lavora
sull’advertising e in particolar modo sull’advertising social deve
imparare a riconoscere la prima regola in assoluto, il fondamento di
tutto: riuscire a tradurre un obiettivo aziendale in un obiettivo
algoritmico.
L’obiettivo di Nonna Pallina sarà “vendere più gelati”, l’obiettivo
di Benetton sarà vendere più vestiti, l’obiettivo di chi si occupa di
marketing è proiettare questa esigenza in un ecosistema come quello
dei social. Perché se vuoi vendere più vestiti e imposti una campagna
di vendita e non raggiungi cinquanta vendite a settimana per target, il
tuo obiettivo su Facebook viene meno perché sai che non stai
lavorando in modo ottimizzato. E allora devi cambiare obiettivo,
magari provando a riempire i carrelli e quindi mentre l’obiettivo
aziendale rimane immutato - “vendere più vestiti” - l’obiettivo
algoritmico cambia e da “purchase” si trasforma in “add to cart”.
Stessa cosa per la gelateria: nell’advertising di Facebook non esiste
l’obiettivo “portarmi più gente in negozio” e il ruolo del marketer è
quello di lavorare sull’obiettivo algoritmico che più si avvicina a
questa richiesta: in questo caso è l’interazione.
Perché grazie all’interazione io espongo Nonna Pallina a un
pubblico in grado di interagire con l’oggetto “gelato” spalancando
così altri pubblici di consumatori potenziali.
E come ho scelto un obiettivo adatto, così devo analizzare il
risultato con le metriche proprie di quell’obiettivo: se scelgo
“interazione”, il mio obiettivo sarà sempre alzare il numero di
interazioni ad alta qualità, abbassandone il costo, e non
immediatamente alzare il numero di visitatori in negozio perché è
impossibile da misurare sul pannello di Facebook.
Riassumendo:
se il percorso di conversione è breve basta una semplicissima
campagna. Ma prima la si crea, poi si declina il contenuto
sull’obiettivo. Mai viceversa;
la campagna è basata sull’interazione perché il mio obiettivo è
quello di giocare sull’ingaggio sociale generato dal gelato che è
enorme. Quindi sto trasformando l’obiettivo aziendale,
nell’obiettivo algoritmico che più gli si avvicina.

La campagna always on
La campagna di Nonna Pallina ha un inizio e non ha una fine.
Rivediamo insieme l’immagine della campagna (Figura 1.7).

Figura 1.7 La campagna always on di Nonna Pallina.

Nonna Pallina spenderà vita natural durante 3 euro al giorno.


Quello che posso fare è alzare o abbassare il budget (anche se
meno di così, la vedo dura...) ma la campagna rimane sempre attiva.
Questa è la seconda grande regola dell’advertiser social: abituarsi a
concepire campagne “always on”, campagne che siano stabili e
durature nel tempo. Tanto per darvi un’idea, questa campagna di
Nonna Pallina, lanciata nell’ottobre del 2018 a distanza di diversi
mesi è ancora lì, magari è variato il target, magari è variato il budget,
sicuramente sono variati i contenuti promossi ma il macrocontenitore
campagna è rimasto totalmente invariato.
Questo perché?
Perché l’oggetto “campagna” inquadra l’obiettivo. Se l’obiettivo è
“traffico” basta creare una campagna “traffico”. Stessa cosa se gli
obiettivi sono conversione, interazione, video-view. Se abbiamo due
video da promuovere, non dobbiamo aprire due campagne differenti
perché entrambi gli oggetti promossi afferiscono allo stesso
obiettivo: “videoview”, appunto.
Se mantengo stabili le campagne e i gruppi di inserzioni favorisco
la chiusura delle fasi di apprendimento. L’algoritmo, di fronte a una
stabilità di obiettivo e target, impara ogni giorno a ottimizzarsi su
quel pubblico cercando sempre la performance migliore.
Questo è molto intuitivo quando ho un percorso di conversione
elementare come il consumo di un gelato, ma anche per clienti con un
funnel più complesso lo scenario non cambia, aumenta solo il numero
degli obiettivi e quindi le campagne associate a ciascun obiettivo.
Nel caso di Lazzari Store, per esempio, negozio di abbigliamento
online che punta come obiettivo alla vendita come conversione finale,
la struttura è tripartita (Figura 1.8).

Figura 1.8 La struttura tripartita delle campagne di Lazzari.

Come possiamo vedere dalla Figura 1.8, le campagne sono


essenzialmente tre:
1. una campagna con obiettivo engagement, perché il marchio ha
un altissimo tasso di interazione e va sfruttato per continuare a
raggiungere nuovo pubblico;
2. una campagna di conversione che non ha obiettivi di vendita ma
punta a convincere tutte le persone ingaggiate nel punto 1 a fare
uno step in più e visualizzare le schede prodotto sul negozio
online;
3. una campagna dinamica di catalogo prodotti. Ho visto un
prodotto grazie alle campagne 1 e 2? L’algoritmo mi ripropone
lo stesso prodotto, o un prodotto simile, o un prodotto
contestuale.
Anche in questo l’obiettivo non è la vendita: quello - e lo
ribadiamo per l’ennesima volta - è l’obiettivo aziendale, non quello
di Facebook.
Il nostro scopo è quello di riempire carrelli perché così ci
assicuriamo di chiudere la fase di apprendimento con almeno
cinquanta carrelli riempiti ogni settimana per target.
E le vendite? Non vi preoccupate, nel caso di Lazzari pur non
avendo esplicite campagne di conversione-vendita i risultati sono a
dir poco impressionanti con un ROAS medio (il ritorno
sull’investimento in pubblicità) del 1300%.
Ah, non dimenticate che quando impostiamo come obiettivo
l’aggiunta al carrello c’è sempre attiva una campagna di email
marketing che punta dritta dritta a far chiudere i carrelli agli utenti
che probabilmente hanno inserito un prodotto nel carrello e poi per
qualche motivo non hanno chiuso la transazione.
Ora non mi interessa entrare nei dettagli tecnici di questa
campagna, ci sarà un tempo e un modo adeguato per farlo. Adesso mi
preme solo farvi notare come anche questa struttura, molto più
complessa di quella della gelateria, in realtà venga espressa da sole
tre campagne che riflettono gli obiettivi algoritmici principali e
hanno una caratteristica fondamentale: sono campagne “always on”,
hanno un inizio ma non hanno una fine perché l’obiettivo con cui
sono state costruite non si esaurisce mai.

CBO: Campaign Budget Optimization


Ci è sfuggito un particolare: nella campagna di interazione per la
gelateria, il budget viene impostato a livello di campagna. Non è
strano? Perché di solito a livello di campagna si decide l’obiettivo ma
non il budget, dall’inizio della storia dell’advertising su Facebook il
budget investito si è sempre scelto a livello di target, quindi di
gruppo di inserzione seguendo la struttura rappresentata nella Figura
1.9.

Figura 1.9 Prima il budget veniva stabilito a livello di target.

Questo è il momento per imparare la terza regola dell’advertiser


social: all’interno di Facebook è in corso un cambiamento epocale, il
budget non viene più deciso a livello di singolo target ma si sposta a
livello di campagna (Figura 1.10).
Figura 1.10 Ora il budget viene stabilito a livello di campagna.

Lo dice il nome stesso, la Campaign Budget Optimization (CBO) ti


permette di decidere a monte il budget che spenderai per ogni
campagna. Al momento è una funzione opzionale ma nell’arco di
pochi mesi (pare entro febbraio 2020) diventerà una funzione
obbligatoria.
Quando andiamo a creare una campagna, Facebook ci permette di
impostare il budget attraverso questa funzione (Figura 1.11).
Figura 1.11 La funzione “Campaign Budget Optimization”.

Perché si tratta di una svolta epocale? Perché se immaginiamo di


avere una campagna con due gruppi di inserzione, quindi due
differenti target, come verrà distribuito il budget?
Lo decide Facebook.
Sì, l’algoritmo di Facebook è arrivato a un punto tale di
consapevolezza da dichiarare tranquillamente: “credimi, sono più
bravo di te nel decidere come allocare il budget per ogni target, tu
preoccupati soltanto di decidere quanto vuoi spendere”.
Certo, il discorso l’ho volutamente estremizzato perché è
abbastanza risaputo che un modello CBO funzioni molto di fronte a
grandi budget e ampi target da raggiungere (questo è uno dei
probabili motivi dei continui rinvii da parte di Facebook
nell’introduzione obbligatoria della Campaign Budget Optimization)
ma è evidente che stiamo andando verso un futuro in cui le nostre
scelte di advertiser saranno principalmente strategiche mentre
l’ottimizzazione e il micromanagement delle campagne sarà quasi
interamente operato dall’algoritmo.

E il target di una gelateria? Quale


scegliamo?
Sgomberiamo subito il campo da ogni dubbio: una campagna di
Facebook Advertising per una gelateria deve principalmente lavorare
a livello locale. E quindi dobbiamo stabilire in primis la lunghezza
del raggio che una persona è disposta a compiere per andarsi a
mangiare il gelato, sommato al fatto che Palmanova, patrimonio
dell’Unesco, è anche una località storica e molto particolare per la
pianta a forma di stella, tanto da chiamarsi “la città stellata”.
Stabiliamo in primis, magari dopo esserci consultati con il
proprietario, che il raggio chilometrico massimo è attorno ai 30 km
(Figura 1.12).
Figura 1.12 Stabiliamo il raggio chilometrico.

Una volta definito il raggio cominciamo a porci delle domande.


1. Età? Non fissiamo l’età, perché il gelato è trasversale.
2. Lingua? Mettiamo tutte le lingue del territorio, dal tedesco allo
sloveno, dall’inglese al francese (siamo vicini al confine e
andiamo anche a toccare delle località di mare).
3. Interessi? La targetizzazione per interesse non ha alcun senso.
Non c’è un interesse che specifichi “la volontà di mangiare un
gelato” perché è decisamente universale.
Morale? Mi esce una copertura potenziale di 280.000 persone. Con
3 euro al giorno. Decisamente troppi, è come far nuotare l’algoritmo
in un oceano con l’energia sufficiente per fare pochissime bracciate.
In più ci stiamo dimenticando che il gelato è un fatto sociale, non è
un “interesse”.
Noi l’abbiamo risolta come nella Figura 1.13.

Figura 1.13 La targetizzazione per “fan” e “Friends of fan”.

Che target abbiamo scelto?


1. In primis vogliamo premiare i nostri fan, le persone che hanno
messo like alla nostra pagina (Figura 1.14) e ci assicuriamo che
siano sempre stimolate dai nostri contenuti, perché è in assoluto
il pubblico più vicino a noi e probabilmente sono anche nostri
clienti frequenti e premiamoli con un’esposizione “sicura” ai
nostri post. Parlo di “sicura” perché ormai la copertura organica
delle pagine Facebook è ridicola.

Figura 1.14 Partiamo dalle “Persone a cui piace la tua Pagina”.

2. E se il gelato è un atto sociale, spesso frutto di un’interazione -


“Ehi, cosa facciamo? Andiamo a mangiare un gelato?” - perché
non lavorare con Friends of fan? Cioè andiamo a esporre il
nostro contenuto a un pubblico “amico” di chi è già fan della
pagina. Io utente Facebook non vedrò un post a freddo, ma lo
vedrò perché qualche mio amico, di quel raggio chilometrico ha
messo like alla pagina di Nonna Pallina.

Figura 1.15 Andiamo sugli “Amici delle persone a cui piace la tua Pagina”.

I “Friends of fan” sono una delle targetizzazioni più sottovalutate


nell’intero panorama dell’advertising social e non è un caso, perché
sono rari quei business che se la possono permettere. I FoF si basano
sulla social proof cioè la portata sociale, la possibilità di vedere un
contenuto perché qualcuno ha già interagito prima di me con quel
contenuto.
Questa è una delle targetizzazioni più antiche della storia della
pubblicità su Facebook e ho cominciato a usarla parecchi anni fa
quando ancora mi occupavo quasi esclusivamente dei mercati legati
al gioco del poker.
Giocare a poker non è così socialmente desiderabile e quindi un
conto è vedere un annuncio a freddo, un conto è vedere lo stesso
annuncio ma “mediato” da un’interazione precedente di un nostro
amico. Lo rende inevitabilmente più accettabile.
Quello che voglio dirvi è che per Nonna Pallina, il target non è
scelto per interesse come la maggior parte degli annunci negli
ambienti social, quanto per “vicinanza”:
1. le persone più strette a me, i fan della Pagina;
2. le persone più strette alle persone più strette a me, gli Amici dei
fan della Pagina.
E, particolare non da poco, se nel gioco delle interazioni un amico
di un fan della pagina diventa fan, spalanca ulteriori “amici dei fan”
potenzialmente raggiungibili creando così una struttura di campagna
che si autoalimenta costantemente di nuovo pubblico.
L’ideale, quindi, non è creare solamente delle Campagne always
on, ma anche dei target che siano il più permanenti possibile, perché
generando della stabilità nella struttura, l’algoritmo lavorerà sempre
meglio imparando cose nuove ogni giorno sul miglior pubblico
possibile da raggiungere.
Un’ultima nota sui target: nel corso del secondo semestre 2019, la
piattaforma Facebook sta effettuando un test eliminando come
possibile targetizzazione i fan della pagina. Questo accade
probabilmente perché li ritiene sempre meno profittevoli come
audience di una campagna pubblicitaria. Raramente però Facebook
elimina delle funzionalità senza incentivarne altre e infatti una delle
targetizzazioni consigliate dalla piattaforma social per eccellenza è
quella di non lavorare su “tutti” i fan ma solo su quella parte che nel
tempo ha dimostrato maggior legame e interazione con i nostri
contenuti.
Nella sezione Pubblico possiamo creare una audience composta da
chi ha interagito con la pagina in un arco temporale da noi scelto. Nel
nostro esempio (Figura 1.16) scegliamo gli ultimi 365 giorni.
Figura 1.16 I fan che hanno interagito con Nonna Pallina negli ultimi 365 giorni.

Una volta creata l’audience la utilizzeremo come pubblico


personalizzato nelle nostre campagne e non lavoreremo più sulla
audience generica dei fan, ma solo su quelli ad alto tasso di ingaggio
(Figura 1.17).

Figura 1.17 Ecco il nostro pubblico personalizzato.


E come verrà distribuito il budget all’interno dei due target (Figura
1.18)?

Figura 1.18 La distribuzione del budget sui due target.

Avendolo impostato a livello di campagna, sarà l’algoritmo a


decidere come distribuirlo tra una audience e l’altra; nel nostro caso,
per esempio, sui Friends of fan ha deciso di allocare 5,19 euro,
trattandosi di un target molto più ampio di quello dei fan che ha
quindi bisogno di maggior energia economica per essere raggiunto.
Facebook in realtà ci consente di intervenire manualmente sul
budget, lasciandoci impostare un minimo e un massimo di spesa per
ogni target.
Va da sé, ovviamente, che con una spesa di 3 euro al giorno i
margini di manovra sono praticamente inesistenti.

Il placement
Quando parliamo di una campagna “su Facebook” in realtà stiamo
parlando di tutto e di niente, perché lavorare su Facebook significa
avere a che fare con una ventina di possibilità differenti: la colonna di
destra di Facebook, il feed di Instagram, Messenger, le storie e altre
possibilità di scelta del posizionamento della nostra inserzione.
Figura 1.19 I posizionamenti (placement) di Facebook.

Nel mio libro precedente, Marketing in un mondo digitale


(Apogeo, 2018), scritto con Alessandra Farabegoli, il Placement era
un argomento su cui spingevo moltissimo perché a seconda della
nostra campagna dobbiamo scegliere il posizionamento più adatto,
selezionando quello che volta per volta rappresenta meglio il nostro
obiettivo.
Consigliavo soprattutto di fare attenzione a posizionamenti poco
nobili come Audience Network, il circuito di Facebook che mostra le
inserzioni fuori da Facebook per esempio come pubblicità sulle app o
su svariati siti web, perché tendono a portare molta copertura ma
scarse performance: difficilmente poseremo la nostra attenzione sulla
pubblicità di un corso di formazione mentre stiamo giocando a Candy
Crush, più facilmente saremo distratti da un prodotto simile a quello
che stiamo fruendo, magari un altro gioco, magari con gratificazione
ludica maggiore.
A distanza di un anno le cose si sono completamente ribaltate ed è
il circuito pubblicitario Facebook in persona a consigliarti di lasciare
sempre i posizionamenti in modalità “automatica” (Figura 1.20).

Figura 1.20 I posizionamenti automatici.

La soluzione proposta da Facebook è duplice:


1. per lavorare in modo ottimizzato ha bisogno di almeno cinque
posizionamenti tra cui andare a scegliere quelli performanti.
Quindi tanto vale lasciare il posizionamento automatico e
lasciare a Facebook come allocare il vostro materiale
pubblicitario negli spazi che lui ritiene migliori. Per l’ennesima
volta, il social network vi sta dicendo: “Lasciate fare a me e
fidatevi delle mie scelte algoritmiche”;
2. qualora non siate soddisfatti dei canali scelti potete sempre
modificarli successivamente. “Successivamente”, però. Intanto
lasciate scegliere a Facebook e solo poi, quindi a distanza di
qualche giorno, andate a fare una valutazione per capire se
l’algoritmo ha preso le decisioni corrette e qualora non fosse,
apportate le giuste modifiche (più avanti, nel corso della lettura,
vi darò le giuste dritte per capire come intervenire).
Morale: lasciate i posizionamenti automatici. Farete sempre a
tempo a modificarli nel corso della campagna.

Le inserzioni
Abbiamo impostato una campagna permanente che definisce
obiettivo e budget. Abbiamo scelto dei gruppi di inserzione il più
stabili possibile, andando a scegliere un target non definito per
interesse ma per prossimità, più o meno vicino al nostro marchio.
Ora non ci resta che affrontare l’unico, vero, grande elemento
variabile della nostra strategia di advertising: l’inserzione.
In Figura 1.21 vediamo dei classici modelli di post promossi da
Nonna Pallina.
Figura 1.21 Due tipologie di post proposte da Nonna Pallina.

E quali caratteristiche ritroviamo?


In primis che si tratta di un video verticale e non è un caso perché
l’engagement rate dei video verticali (0,30%) è il doppio rispetto a
quelli quadrati (0,16%) e +43% rispetto a quelli orizzontali (0,21%).
Del resto se ci pensate, ci si può arrivare in modo intuitivo perché la
maggior parte della produzione e della fruizione video avviene da
mobile e i nostri processi cognitivi, dal feed di Facebook alle Stories
di Instagram, si stanno progressivamente abituando a fruire le
narrazioni in verticale e a tutto schermo.
NOTA
La fonte di questo dato è uno studio di Social Insider dedicato proprio ai video su
Facebook rintracciabile a questo indirizzo:
https://www.socialinsider.io/blog/facebook-video-study/.
Anche Facebook stesso nelle proprie guideline consiglia per i video
di utilizzare un formato verticale con la proporzione di 4:5.
NOTA
La sezione delle Best Practice per le proporzioni è fondamentale per chiunque
voglia creare inserzioni con le migliori performance possibili:
https://www.facebook.com/business/help/103816146375741 (Figura 1.22).

Figura 1.22 Le proporzioni ideali per le inserzioni.

L’elemento visuale è un semplice video che mostra la presa di una


spatola su una bacinella ricolma di panna intonsa, senza filtri, senza
montaggio, con un semplice filmato di pochi secondi girato con uno
smartphone nemmeno di ultimissima generazione.
Ma serve effettivamente altro per far venire voglia di mangiare un
gelato? Non basta il gesto quasi sacrilego di andare a rompere
l’armonia della panna distesa per far scattare l’idea “cavolo, adesso
mi mangerei molto volentieri una pallina”?
La narrazione di Nonna Pallina è interamente così: profondamente
naïf, senza alcun intervento di post-produzione, non edulcora nulla
delle proprie immagini o dei propri video esattamente come non
edulcora nulla nel proprio gelato. In una strategia che a me piace
chiamare, il “Verismo Social”: più sembra vero, più mi immedesimo.
E anche il testo è molto semplice, scritto per un post successivo al
cambio dell’ora legale di marzo: è vero che abbiamo dormito un’ora
in meno, ma bisogna sempre guardare il lato positivo, e il lato
positivo è fatto di giornate che si allungano, del caldo che arriva e dei
gelati da mangiare.
Il tutto aiutato dall’utilizzo di un serie di emoji in linea con il tone
of voice e con lo spirito allegro di una gelateria.
E poi anche i contatti e gli orari, che servono sempre, per forza.
Tutti i post della pagina sono pensati per essere messi in
promozione all’interno della struttura always on creata a monte, fatta
di una campagna e di due gruppi di inserzioni stabili nel tempo.

Figura 1.23 I post sono l’unico elemento variabile delle campagne di Nonna Pallina.

Nonna Pallina si ritrova così ad avere:


1. una campagna di interazione con budget di 3 euro al giorno;
2. due gruppi di inserzioni con target “fan” e “Friends of fan” che
si spartiscono il budget;
3. infinite inserzioni all’interno di ciascun target.
Punto 1 e punto 2 non variano, l’unico elemento variabile è il
terzo: il messaggio finale.
Proviamo a semplificare?
Io advertiser provo a trasformare un obiettivo aziendale in un
obiettivo algoritmico: in questo caso l’esigenza di “aumentare i
clienti nel punto vendita” diventa immediatamente “aumento
dell’awareness di Nonna Pallina” che traduciamo con un obiettivo
ben preciso su Facebook, l’interazione che il Gelato può generare.
Una volta deciso il budget sarà Facebook a distribuirlo nei due
target che abbiamo scelto. E, attenzione, i target sono coloro che
Facebook definisce i più vicini al brand, come fan e Friend of fan.
Non dovete più preoccuparvi dei posizionamenti, perché Facebook
preferisce tenere per sé questa ottimizzazione e vi consiglia
caldamente di tenerli automatizzati.
Sulle inserzioni invece, Facebook può fare ben poco, deve essere
l’advertiser a interpretare al meglio messaggio e visual adatti al
pubblico di riferimento.
La morale dell’advertising social nel 2019 è molto semplice.
Alla distribuzione del budget ci penserà Facebook.
Per i target, affidiamoci sempre di più a Facebook.
Per i posizionamenti, lasciate fare a Facebook.
Voi concentratevi su due cose fondamentali:
1. la strategia, ovvero declinare in un percorso di conversione su
Facebook e Instagram l’obiettivo l’aziendale;
2. la delivery, ovvero l’elemento distributivo, l’unione tra copy e
visual, perché questo è il cuore di qualsiasi attività pubblicitaria.
Fare l’advertiser nel 2019 significa affidarsi sempre di più
all’algoritmo in fase di operatività perché l’intelligenza artificiale ha
la presunzione di essere molto più brava di noi nell’operare scelte di
ottimizzazione e allocare, liberando così spazio, tempo e risorse per
compiere le nostre due missioni primarie: analisi e strategia.
E se torniamo a Nonna Pallina l’esempio è ancora più lampante.
Una volta che abbiamo ragionato sul potenziale target di Nonna
Pallina e su come è strutturato un journey del consumatore di un
gelato e su come stimolare la voglia di un gelato, il resto del lavoro
l’ha fatto l’algoritmo.
Non sostituitevi mai al lavoro di un algoritmo quando sapete che è
in grado di operare meglio di voi.
Dedicate il vostro lavoro a tutto ciò che l’intelligenza artificiale
non può ancora fare: dettare una strategia solida e sensata e creare dei
messaggi convincenti per il vostro target. Strategia e creatività sono
il 90% di tutto il mestiere dell’advertiser su Facebook.

Mica ti sarai dimenticato di


Benetton?
No, ovviamente no.
Ma mettere a confronto la gelateria Nonna Pallina e uno dei brand
di abbigliamento più conosciuti al mondo oltre che estremo è davvero
molto pericoloso e avevo bisogno di una lunga introduzione.
Benetton ha un journey, un percorso di conversione, molto più
complesso di quello di un gelato perché non basta una semplice
logica di stimolo-risposta a spiegarlo (ho voglia di un gelato, mangio
un gelato), le variabili in gioco sono molte di più come il prezzo, le
collezioni, le taglie, i concorrenti, i saldi e chi più ne ha più ne metta.
Però le logiche pubblicitarie non sono così diverse, ve l’assicuro.
Così si presentava l’account pubblicitario di Benetton quando l’ho
aperto per la prima volta (Figura 1.24).
Figura 1.24 Ecco come si presentava il pannello inserzioni di Benetton.

Esattamente come Nonna Pallina, il marchio di Treviso era post-


dependant ovvero, nella maggior parte dei casi, per ogni nuovo post
da mettere in inserzione venivano dei nuovi gruppi di inserzioni e una
nuova campagna.
La centralità era sul singolo post e attorno al contenuto venivano
decisi:
1. obiettivi;
2. budget;
3. durata;
4. target;
5. posizionamenti.
Dopo che un post promosso aveva esaurito il proprio tempo di
esposizione, partiva un altro post e di nuovo gli veniva costruito
attorno un budget specifico, una nuova durata, un nuovo target.
A ogni nuovo contenuto, l’algoritmo doveva ricominciare la fase di
apprendimento e spesso non riusciva nemmeno a chiuderla.
Quello che abbiamo provato a fare è replicare lo stesso identico
processo di Nonna Pallina, creare una struttura di campagna che fosse
always on e full funnel, dei gruppi di inserzioni stabili e duraturi nel
tempo che accompagnino il consumatore lungo tutto il percorso
d’acquisto. L’unico elemento variabile? Le inserzioni.
Il modello della nuova organizzazione di Benetton è basato
sull’architettura rappresentata in Figura 1.25.

Figura 1.25 Il nuovo modello scelto per Benetton.

Non vi spaventate, è molto più semplice di quanto non appaia al


primo sguardo.

Tradurre un obiettivo aziendale in un


obiettivo algoritmico
L’obiettivo aziendale è ovviamente vendere i prodotti Benetton
nello store ufficiale del marchio di Treviso.
E traduciamo l’obiettivo aziendale in due grandi fasi strategiche.
1. La fase di prospecting orientata a un pubblico freddo, a un target
di persone che non ha mai avuto nulla a che fare con il marchio
Benetton nella sua dimensione online. L’obiettivo è quello di
stimolare questo pubblico a iniziare un percorso di conversione,
ad avvicinarlo e a seguirlo nei suoi primi passi nell’universo
Benetton. A questa fase dedichiamo dal 60% al 90% del nostro
budget complessivo.
2. La fase di retargeting orientata a un pubblico caldo, una
audience che ha percorso le fasi di prospecting e che
accompagniamo all’obiettivo finale, l’acquisto. Questa fase ci
costa dal 10% al 40% del nostro budget.
Quindi prima regola soddisfatta: trasformiamo un obiettivo
aziendale in obiettivo strategico sostenibile su Facebook e Instagram.
E ora lo step successivo, ovvero cercare degli obiettivi di
campagna Facebook che interpretino al meglio l’obiettivo aziendale.
Nella fase di prospecting usiamo due obiettivi principali:
1. conversioni su sito web basate sul nostro catalogo prodotti, che
mostriamo a una audience scelta dall’algoritmo (broad
audience);
2. conversioni sul sito web basate principalmente su audience
lookalike (LAL = lookalike) ovvero audience somiglianti, per
esempio, a chi ha comprato sul nostro sito web.
Sì, perché come approfondiremo in futuro in questo testo,
Facebook ti permette, data una audience di partenza (i tuoi clienti), di
creare una audience algoritmo fatta di persone somiglianti a chi ha
già comprato da te.
Nella fase di retargeting usiamo due obiettivi principali:
1. retargeting statico, ovvero una ristimolazione di una audience
decisa da noi;
2. retargeting dinamico, ovvero una ristimolazione di una audience
decisa dall’algoritmo (dynamic retargeting).
Ho messo un prodotto nel carrello Benetton ma non l’ho
acquistato? Una volta rientrato su Facebook, l’algoritmo mi inviterà a
chiudere quel preciso carrello, incentivando l’acquisto.
La fase di prospecting ha una audience molto ampia, paragonabile
a tutti quelli che passano di fronte al nostro negozio. La maggior
parte di loro non entrerà, ma il nostro obiettivo è proprio quello di
alzare la percentuale di chi varcherà la soglia d’ingresso nel nostro
store.
La fase di retargeting lavora su un pubblico molto ristretto, su chi è
entrato nel nostro negozio, e il nostro obiettivo è quello di
massimizzare la vendita.
La campagna è pensata per essere always on ovvero permanente
dove l’obiettivo e i target rimangono fissi, a ruotare sono le singole
inserzioni.
Esattamente come con Nonna Pallina.

Audience di prossimità, audience di


somiglianza e posizionamenti
Il target della gelateria era un target non definito per interesse ma
per prossimità: prossimità territoriale da un lato, cioè vicini
fisicamente alla gelateria, e vicinanza relazionale, cioè persone che o
sono fan della pagina o sono amiche dei fan della pagina.
Per Benetton l’audience scelta per interesse (persone che per
esempio hanno come interesse un brand concorrente) è solamente
una, tutte le altre sono audience decise per somiglianza (Figura 1.26).
Figura 1.26 Le audience per somiglianza di Benetton.

Quattro pubblici su sei sono decisi algoritmicamente, sono persone


che Facebook ha individuato come potenziali acquirenti (Broad
Audience) oppure assomigliano a chi ha già acquistato sul nostro
store. In entrambi i casi, l’intervento decisionale dell’algoritmo nello
scegliere il target a cui mostrare le nostre inserzioni è decisivo,
esattamente come con Nonna Pallina.
Anche i posizionamenti meritano un breve approfondimento
(Figura 1.27).
Figura 1.27 Ancora una volta, lasciamo che sia Facebook a decidere i posizionamenti.

Qui Facebook ribadisce che nessuno meglio di lui è in grado di


ottimizzare i vari posizionamenti e quindi il consiglio è di lasciare
all’algoritmo la scelta di mostrare una inserzione su Instagram, sulla
colonna di destra o su Audience Network.
Esattamente come con Nonna Pallina.

Le inserzioni di Benetton
Inutile ribadirlo, se vogliamo lavorare in armonia con l’ecosistema
Facebook, gli elementi visuali di Benetton devono seguire
esattamente lo stesso percorso degli elementi visuali di Nonna
Pallina: devono verticalizzarsi per rispettare il percorso cognitivo di
consumatori che dentro il social network sono ormai abituati a
consumare formati verticali.
E il marchio comincia ad abbondare di creatività: 9:16 come le
stories o i video quadrati o 4:5.
Figura 1.28 Una story sull’account Benetton.
Figura 1.29 Video link con formato quadrato.

Oppure strutture pensate per una fruizione esclusivamente vertical-


mobile come le “collezioni”.
Figura 1.30 Il formato “collezione”.

Esiste davvero una grammatica


generativa dell’advertising?
Sì, esiste.
Benetton e Nonna Pallina, è inutile dirlo, sono due mondi distanti
anni luce, ma è chiaro che la grammatica di fondo che regge
l’advertising è sempre la stessa ed è totalmente indipendente dal tipo
di cliente che stai trattando, grande o piccolo che sia.
Esiste una grammatica universale fatta di tre principi chiave:
1. nella maggior parte dei casi l’algoritmo, ovvero l’intelligenza
artificiale, è in grado di operare una scelta migliore di quella
umana;
2. quello che l’intelligenza artificiale non può (ancora) fare è
pensare una strategia. Il vostro principale goal è quello di
costruirne una solida e duratura che accompagni il potenziale
cliente lungo tutto il percorso di conversione;
3. c’è un’altra cosa che il machine learning non potrà mai fare ed è
la capacità di generare dei trigger point, dei punti di attenzione e
reazione. Creare copy e creatività ad alto tasso di reattività.
Morale: concentratevi sulla strategia e sul messaggio. Per il resto,
la gran parte del lavoro lo fa Facebook.
Questa, per me, è la grammatica universale dell’advertising, il
DNA della pubblicità su Facebook.
Benetton e Nonna Pallina non sono altro che varianti originate
dall’evoluzione dello stesso materiale genetico.

E i risultati?
Con Nonna Pallina, la misurazione è pressoché impossibile da fare
perché nel nostro pannello di advertising non potremo mai sapere se
il pubblico nel punto vendita sia aumentato proporzionalmente al
nostro investimento pubblicitario e dobbiamo affidarci a ciò che ci
racconta l’imprenditore che al momento è molto soddisfatto
dell’andamento del business e soprattutto nel caso di promozioni
particolari, per esempio il lancio dei menu per la pausa pranzo, ha
avuto un notevole riscontro di pubblico. E Facebook è stato l’unico
canale di promozione.
Per Benetton invece l’effetto di aver creato una campagna always
on e full funnel su pubblici principalmente algoritmici è molto più
facilmente dimostrabile.
I risultati sono impressionanti (Tabella 1.1).
Tabella 1.1 Gli effetti della campagna always on e full funnel sull’account di Benetton.
Differenza 2017/2018
Spesa +38,20%
Copertura +42,46%
Impression +39,72%
Atterraggi sul sito +85,26%
Acquisti +245,46%
Valore d’acquisto +268,42%
Costo di Acquisizione nuovo cliente -60,02%
ROAS (Ritorno sulla spesa pubblicitaria) +167,32%

Passare da una struttura che dipende dal singolo post a una


struttura dove la dominante è la campagna ha più che raddoppiato non
solo il numero delle vendite ma anche il valore d’acquisto.
Abbiamo ribaltato completamente il punto di vista architettonico
dell’advertising trasformando il singolo post in una pura e semplice
emanazione della nostra strategia. Abbiamo reso solidi obiettivi e
target, permettendo a Facebook di conoscere al meglio i nostri
pubblici e andandoli a stimolare lungo tutto il percorso che separa la
conoscenza dalla vendita.
Non abbiamo fatto che creare un ecosistema attorno al
consumatore, all’interno del quale Facebook ha potuto muoversi nel
modo più libero e ottimizzato possibile.
Checkpoint
1. Se siete su Facebook e Instagram dovete investire del denaro in
campagne pubblicitarie. L’advertising è come Thanos per gli
Avengers, ineluttabile.
2. Un obiettivo imprenditoriale raramente ha un suo corrispettivo
su Facebook. Imparate a tradurlo e a declinarlo in una strategia
all’interno del social network.
3. “Facciamo una sponsorizzata su Facebook” non esiste.
Cominciamo a pensare a un budget e a un’architettura di
campagne advertising di lungo periodo, perché il breve periodo è
il nemico principale della pubblicità social.
4. Che stiate trattando un grande cliente o una piccola impresa, il
DNA è comune. Non correre ad aprire il pannello di inserzione,
pensa prima al percorso che fa una persona per arrivare al tuo
prodotto o al tuo servizio.
5. L’idea di pubblicare un post e metterlo in promozione è un’idea
obsoleta di advertising. Prima pensa all’obiettivo, ragiona sui
target, rendili stabili e poi pubblica un post che sia coerente con
quell’obiettivo e quei target.
6. L’algoritmo spesso è più bravo di voi, imparate a delegare a
Facebook buona parte del lavoro.
7. Controllate sempre le fasi di apprendimento dell’algoritmo. Se
non le chiudete, lo state facendo lavorare male.
8. Pensate e agite in verticale.
9. Se all’ottimizzazione del budget ci pensa Facebook, se ai
posizionamenti ci pensa Facebook, se al pubblico ci pensa
Facebook, concentratevi sulle creatività. Tante, varie, smart, che
lascino il segno.
10. Create strutture che rappresentino al meglio un pubblico nella
sua esatta posizione rispetto al punto di conversione. Non sono
semplici “sponsorizzate”, sono ecosistemi.

Appendice tecnica

Che cos’è la CBO?


Lanciata nella seconda metà del 2018 è la nuova modalità per
ottimizzare la distribuzione del budget di una campagna pubblicitaria
Facebook e Instagram.
Da febbraio 2020 sarà obbligatoria.
Figura 1.31 Il funzionamento della CBO.

La Figura 1.31, fornita direttamente da Facebook, propone una


semplificazione del nuovo processo di allocazione del budget.
Se prima il budget veniva gestito a livello di ogni singolo gruppo
di inserzione, ora viene impostato a livello di campagna e l’algoritmo
si occupa dell’allocazione del budget e naturalmente lo spenderà nel
modo più ottimizzato possibile.

Vantaggi
Vediamo i motivi per adottare fin da subito la Campaign Budget
Optmization.
1. Semplificazione: libera il lavoro dell’advertising da moltissimi
microottimizzazioni e gli permette di concentrarti sull’asset
strategico.
2. Scaling: lasciando gestire il budget all’algoritmo in base agli
adset più performanti, è più semplice pensare di aumentare il
budget a livello di campagna e lasciar agire l’algoritmo evitando
sbalzi repentini.
3. Maggiore stabilità sul lungo periodo: performance più costanti a
livello di campagna in maniera più duratura.
4. Tendenzialmente garantisce performance più alte a un costo
inferiore.

Svantaggi
E qualche motivo per non utilizzarla?
1. Dobbiamo ripensare l’intero nostro account di inserzione,
strutturando un albero di campagne e gruppi di inserzione che
rispetti questo nuovo paradigma.
2. Prevede che il vostro advertising sia Always On.
3. Funziona male quando si ha poco budget. L’algoritmo non riesce
ad avere abbastanza spazio per capire quale adset meriti maggior
budget, e le performance potrebbero essere non ottimali.
Per una guida molto più tecnica e approfondita vi rimando al mio
Maestro, Jon Loomer (https://www.jonloomer.com/tag/facebook-campaign-
).
budget-optimization
Capitolo 2
L’ecosistema pubblicitario di
Facebook e Instagram

C’è un’immagine che sintetizza l’essenza di Facebook ed è questa.

Figura 2.1 Perché gli italiani usano i social?.

Molto semplice, Facebook e Instagram non nascono mai come


ambienti di vendita ma come luoghi di entertainment ad alto tasso
relazionale. La prima missione di un’azienda che voglia investire sui
social sia in termini di presenza sia di advertising (e questa è l’ultima
volta nel corso del testo che scinderò le due cose) è comprendere che
i propri interlocutori non abitano i social network per produrre una
domanda diretta.
Questo accade molto raramente, forse può accadere in una
dimensione di business molto locali che danno un’occhiata alla
Pagina Facebook di un esercente per capire gli orari di apertura e
carpire qualche informazione in più dai commenti o dalle recensioni,
oppure può capitare su Instagram magari andando alla ricerca di un
brand che conosco per verificarne le novità o seguire le stories di
giornata.
Guardate l’esempio di Insights tratto dal mio cliente Velux
(https://www.velux.it/it) e concentratevi sulla differenza tra la quantità
di persone che abbiamo raggiunto l’ultima settimana di luglio e
quelle invece che hanno visitato la nostra Pagina Facebook (Figura
2.2).
Figura 2.2 Quante persone abbiamo raggiunto questa settimana? E quante hanno
visitato la nostra Pagina Facebook?

Quasi un milione e mezzo di persone raggiunte (copertura dei


post), a fronte di sole 807 che sono venute a visitare la pagina
principale di Velux (visualizzazioni della pagina).
Fate un esperimento sulle vostre Fan Page aziendali e scoprirete
che mediamente il rapporto tra visualizzazioni e copertura, oscilla tra
l’1% e il 2%, cioè al massimo due persone su cento vengono a vedere
chi siete, a conoscere la vostra identità social integrale comprensiva
di copertina, di post in serie, di informazioni e di orari.
Praticamente nessuno.
Alle persone non importa niente di venire a vedere chi siete, le
persone vengono solamente raggiunte dai vostri contenuti e il punto
di contatto avviene nella situazione peggiore: durante il loro
entertainment.
La morale è tanto semplice quanto difficile da mandar giù per
imprenditori e marketer: le persone dentro i social network vivono un
ecosistema complesso di relazioni. L’unico modo per creare un
advertising che abbia anche una minima possibilità di successo (no, il
successo non è affatto garantito) è creare un impianto pubblicitario
che sia il più rispettoso possibile dei comportamenti e delle
caratteristiche di questo ecosistema.
E se la maggior parte delle inserzioni oggi sono fatte in modalità
“hit and run”, di singoli post che vengono promossi una tantum,
l’ecosistema continuerà a vivere la sua solita meravigliosa vita
relazionale, totalmente emancipata dalla vostra offerta aziendale e
cieca alla vostra offerta.
Questo capitolo ha proprio l’obiettivo, attraverso alcuni esempi
molto pratici, di dimostrarvi come si può imparare a immetterci in
modo naturale nell’ecosistema e trarne enorme profitto.
Lo faremo partendo dall’ecosistema più semplice: quello dei propri
clienti.

Velux, il marchio che crea


metonimie
La metonimia è quella figura retorica che sostituisce un termine a
un altro seguendo una relazione di vicinanza logica: “leggo Dante”
per dire che si leggono le opere di Dante, “bevo un bicchiere” per dire
che si beve un bicchiere di vino.
“Apro un Velux” per spiegare che abbiamo appena aperto un
lucernario.

Figura 2.3 Velux = lucernario. Nell’immaginario comune l’aderenza è totale.

Il positioning del marchio Velux è talmente forte che


nell’immaginario comune il brand è diventato prodotto. E questo crea
da un lato una riconoscibilità unica, dall’altro però vengono
identificati come Velux anche lucernari di altri marchi, annacquando
l’esclusività del prodotto.
Viviamo in un sottotetto, guardiamo attraverso il lucernario e per
noi sarà sempre “il Velux” anche se non fosse realmente un prodotto
dell’azienda di Colognola ai Colli, in provincia di Verona.
Identificare il target di Velux in realtà è molto semplice perché
Velux si rivolge solo ed esclusivamente a due tipologie di
consumatori:
chi vive sotto un tetto a falda;
chi vive sotto un tetto piano.
E anche da un punto di vista di ragionamento marketing in
ambiente digital, la strategia è molto lineare perché il primo obiettivo
è quello di rispondere nel miglior modo possibile a un contesto di
domanda diretta, ovvero chi sta cercando una soluzione per
l’illuminazione del proprio sottotetto.
E le direttrici primarie sono essenzialmente due:
1. un grande investimento in content marketing con la creazione di
un magazine online come www.mansarda.it in grado di sfornare
contenuti quotidiani legati all’universo delle mansarde italiane.
Non solo illuminazione della stanza, ma anche redesign, consigli
sull’arredamento, bonus fiscale per la ristrutturazione,
infoprodotti e guide;
2. un’attività intensa lato Search Engine Marketing, con una
presenza fissa sulle keyword principali del settore e sulle
keyword che interpretano al meglio un avvicinamento al
prodotto “lucernario”.
L’obiettivo finale naturalmente è la lead, l’acquisizione di una
anagrafica completa sempre più raffinata di un potenziale cliente
Velux.
Prima del gennaio 2018, Velux non aveva ancora ben compreso
l’utilizzo dei canali social e come fargliene una colpa: su Facebook e
Instagram è molto semplice individuare persone che come passione
hanno la bicicletta, il crossfit o Golden State Warriors ma è
praticamente impossibile individuare qualcuno che sia in possesso o
meno dei requisiti per montare un lucernario.
Come si raggiungono su Facebook quelli che vivono in una
mansarda? Impossibile, non si riesce.
Il ragionamento aziendale è comune a quello di tante altre realtà:
“Comprendiamo che è importante ma non abbiamo ancora capito
come utilizzarlo”. E, come tante altre realtà simili, Velux decide di
non investire molto su Facebook e Instagram né in termini di effort
aziendale né in termini di spesa pubblicitaria.
Tanto che l’account di inserzione tra l’inizio del 2015 e la fine del
2017 si presenta così.

Figura 2.4 Ecco che cosa troviamo quando apriamo per la prima volta l’account
inserzioni di Velux.

Qual era la caratteristica degli account di Nonna Pallina e di


Benetton prima della ristrutturazione?
Erano post-dependant, le campagne dipendevano dal singolo
obiettivo del post.
Per Velux la situazione era la stessa: quando ho un obiettivo di post
con visual dedicato agli adolescenti in casa, prima creo il post poi ci
creo una campagna attorno.
Il tema è la ristrutturazione? Prima creo il contenuto, poi ci
costruisco attorno la campagna.
E tutto nasce e muore con la durata della singola promozione.
Gli elementi creativi, il visual e il copy, sono una semplice
riproduzione delle campagne pubblicitarie in corso del brand su altri
media come la televisione, i quotidiani e i magazine.
Figura 2.5 Su Facebook Velux replicava le stesse creatività degli altri media.

Questo specifico approccio strategico fatto principalmente di


riproduzione di strategie usate negli altri media mi piace chiamarlo
“neutro”, una via di mezzo tra l’assenza totale di un’identità social e
il dedicarsi totalmente agli ambienti social in modo specifico e
personalizzato.
Sono fortemente convinto che seppure con una presenza e con degli
investimenti neutri, il nostro pubblico trovi perlomeno una
corrispondenza su Facebook con ciò che già vede in altri media; è
chiaro che non è la stessa cosa perché la nostra attitudine cognitiva di
fronte alla televisione o al giornale è completamente diversa da
quella che abbiamo dentro Facebook, però in assenza di un pensiero
strategico aziendale dedicato ai social, un atteggiamento “neutro” è
sicuramente più auspicabile di una totale assenza.
Anche il budget di spesa è estremamente limitato rispetto a quanto
Velux investe negli altri media, perché il marchio negli ultimi tre
anni, dall’inizio del 2015 alla fine del 2017, ha speso solamente 4000
euro.

All’alba di un ecosistema semplice


Qual è la risposta alla classica domanda di un’azienda “non ho mai
speso un euro su Facebook e Instagram, come farlo nel miglior modo
possibile?”.
Credetemi, l’unica risposta possibile è quella di tornare alle basi
del marketing riprendendo il più classico di modelli POEM.

Figura 2.6 Il classico modello POEM applicato a Velux.it.

POEM è un acronimo è stato per Paid, Owned e Earned Media. Si


tratta semplicemente di una griglia attraverso la quale inquadrare i
canali di comunicazione di un’azienda.
1. Paid Media: tutti quei canali in cui c’è un budget di
investimento dedicato e nel caso di Velux stiamo parlando
principalmente di advertising su Google, Direct Email
Marketing e sponsorizzazioni varie
2. Owned Media: i canali proprietari su cui lavorare. Quindi il sito
web o i siti web visto che nel caso di Velux includiamo anche
mansarda.it, la propria newsletter, la Pagina Facebook e il canale

Instagram.
3. Earned Media: tutti quei media che ci “guadagniamo” tramite
commenti di clienti, recensioni, articoli, testimonial, insomma
tutto ciò che parla di noi in modo naturale e organico. Quindi
non a pagamento.
Una volta processata la griglia sulla nostra strategia aziendale,
isoliamo il canale “Owned” e analizziamo il caso specifico di Velux.
I canali proprietari sono:
il sito web principale velux.it con circa 10.000 visite giornaliere;
il sito web destinato al content marketing mansarda.it con circa
2.000 visite giornaliere;
l’intero database newsletter, nel nostro caso collegato al CRM
aziendale;
la Pagina Facebook di velux.it con 55.000 fan (in realtà la pagina
appare al pubblico molto più imponente, composta da 825.000
fan, si tratta ovviamente di una global page di Facebook ovvero
è rivolta all’intero pubblico mondiale di Velux. Se isoliamo solo
la parte italiana otteniamo 55.000 fan);
la Pagina Facebook di mansarda.it con 16.700 fan;
il canale Instagram di Velux con 2.146 follower.
A lato di questi canali principali ne abbiamo altri, ma li ho isolati
perché non funzionali al ragionamento di questo capitolo, che sono:
una pagina LinkedIn;
un canale Twitter;
una board di Pinterest.
Perché vi ho fatto isolare e analizzare la sezione Owned della
griglia POEM?
Perché, esattamente come abbiamo fatto nel primo capitolo,
dobbiamo risalire al DNA. Stavolta dobbiamo però risalire non al
DNA del vostro advertising ma alla matrice universale del vostro
cliente: scoprire attraverso i social network la materia primaria di cui
è composto il vostro parco clienti.
Voglio guidarvi in questa analisi facendomi aiutare dallo schema di
Figura 2.7.

Figura 2.7 L’insieme delle orbite di pubblico.

Questo schema non è altro che l’insieme di orbite di pubblico che


partono dal nucleo centrale dell’azienda: al centro c’è Velux e attorno
troviamo quattro orbite.
1. L’orbita dei clienti, coloro che sappiamo già essere nostri clienti.
2. L’orbita degli amici, coloro che non sono clienti ma gravitano
attorno alle nostre proprietà. Non hanno ancora comprato da noi,
ma hanno già navigato il nostro sito web, oppure si sono letti un
articolo su mansarda.it in cerca di ispirazione per il proprio
sottotetto.
3. L’orbita dei lookalike, persone che non abitano la zona 1 e 2 ma
sono molto simili ad amici e clienti.
4. Quelli che stanno fuori dalle orbite, persone che non hanno idea
di chi noi siamo e non li rintracciamo nemmeno come
“somiglianti” agli abitanti più vicini al nucleo. Se fossimo un
brand diverso da Velux, per esempio un produttore di
abbigliamento tecnico per la bici, potremmo andarli a ritrovare
fra gli “interessi” messi a disposizione da Facebook, “bike”
appunto.
Come facciamo a creare un primo ecosistema? Lavorando sulle due
orbite più vicine al brand, utilizzando il tracciamento di Facebook e
Instagram.

I clienti di Velux su Facebook


Nell’arco degli ultimi due anni, Velux Italia progetta una campagna
dedicata al “replacement”, ovvero la possibilità di sostituire i propri
lucernari con una forte scontistica.
Sul sito web la pagina di riferimento si apre con un banner proprio
esplicito (Figura 2.8).
Figura 2.8 La campagna “replacement” di Velux.

L’opportunità è duplice:
1. sostituire la propria finestra con un rimborso di 50 euro per ogni
finestra sostituita, rimborso che si ottiene previo scaricamento di
un voucher;
2. come si legge nella parte parzialmente oscurata dal banner in
primo piano, poter usufruire della detrazione fiscale del 50%
fino al 31 dicembre 2019.
Quali sono i vantaggi di una sostituzione della finestra? L’azienda
gioca su alcune leve decisive:
1. un minor consumo grazie a un isolamento maggiore;
2. un maggior luce naturale in casa;
3. un maggior comfort grazie ai sistemi di chiusura automatizzata
quando piove;
4. un maggior valore acquisito dall’immobile dopo la sostituzione.
Chi è il target di questa promozione? Da un lato i clienti Velux
(chiaramente non quelli che hanno sostituito da poco l’infisso),
dall’altro lato chi possiede un lucernario di un altro marchio e che,
grazie al rimborso di 50 euro è incentivato a sostituire la propria
finestra con il Velux.
Immaginando uno scenario privo dei Social Media, il marketing di
Velux per lanciare questa iniziativa poggerebbe su quattro asset
comunicativi digitali principali.
1. La mailing list proprietaria con delle comunicazioni ad hoc su
un pubblico specifico individuato grazie al Customer
Relationship Management interno, creando un segmento di
clienti, per esempio, che negli ultimi anni hanno richiesto il
maggior numero di interventi di manutenzione.
2. Il mondo Google Search lavorando su tutte quelle intenzioni di
ricerca che individuano un pubblico in procinto di cambiare
finestra, come “prezzi finestra mansarda” oppure “sostituzione
lucernari”, oppure bisogni impliciti come “finestra perde acqua”.
3. Il mondo Display utilizzando le impression di banner
promozionali su siti specifici di settore.
4. L’universo del direct email marketing ovvero l’invio di
newsletter promozionali utilizzando canali terzi come quelli di
un portale molto verticale.
La domanda adesso è ovvia: come possiamo integrare l’ecosistema
Facebook e Instagram a una strategia già consolidata in azienda?
Dobbiamo partire per forza dalle prime due orbite (Figura 2.9).
Figura 2.9 Partiamo dalle prime due orbite.

Le prime tre domande all’azienda


Di fronte a un nuovo cliente, la prima cosa in assoluto che chiedo è
se l’azienda sia nelle condizioni di tracciare su Facebook il proprio
pubblico. Sono tre domande semplicissime.
1. Hai un database clienti utilizzabile commercialmente? Possiedi
cioè delle anagrafiche su cui hai l’autorizzazione a un utilizzo
commerciale? Attenzione perché la regola base di qualsiasi
azienda non è solamente quella di tracciare con anagrafiche
esaurienti i profili dei clienti ma che il tracciamento sia poi
strategico al fine commerciale soprattutto in tempi in cui le
regole per il rispetto della privacy sono estremamente rigide.
2. Sei nelle condizioni di tracciare il tuo pubblico web attraverso il
pixel di Facebook? Il pixel non è altro che uno script molto
simile a quello delle Analytics di Google che ti permettere di
tracciare tutte le visite al sito web di chiunque abbia un profilo
su Facebook.
3. Hai già una Pagina Facebook o un canale Instagram?
Naturalmente parliamo di pagine ad alta qualità fatte di pubblico
in target che interagisce con te, con la speranza che i fan della
pagina siano composti per buona parte anche da un pubblico di
clienti.
Sono escluse da questo ragionamento tutte quelle pagine Facebook
che crescono in modo innaturale (acquistando fan) o in modo
dilettantesco invitando amici e conoscenti a mettere like, solo per
aumentare vanitosamente il numero dei seguaci.
Nel caso di Velux la risposta è “sì” a tutte e tre le domande.
Quindi non ci resta che cominciare.
Possedere un database utilizzabile per un fine commerciale vi
mette nelle condizioni di crearvi una custom audience ovvero
trasformare il DNA di un vostro cliente in un profilo di Facebook.
Nella sezione Pubblico di Facebook potete crearvi una audience di
clienti, andando a caricare uno specifico indirizzario (Figura 2.10).
Figura 2.10 Carichiamo i dati estratti dal CRM aziendale...

Nello specifico Velux va a selezione nel proprio CRM interno tutti


i possessori di Velux da una certa data, li isola e li trasforma in un
database di anagrafiche pronto per essere scaricato.
Una volta scaricato dal CRM viene caricato su Facebook e il social
network in base ai dati ottenuti va a cercare all’interno del proprio
database quei profili ottenendo come risultato una custom audience di
un vostro segmento clienti all’interno di Facebook (Figura 2.11).

Figura 2.11 ... E li trasformiamo in una audience.


Naturalmente se siamo in possesso di un database di mille
anagrafiche, è molto difficile che il tasso di matching superi il 70-
80% perché Facebook non riuscirà a rintracciare tutti e mille i
contatti; più verosimilmente in un ambiente B2C possiamo aspettarci
una corrispondenza attorno al 60%.
Nel nostro caso, su un caricamento iniziale di 25.000 profili
abbiamo ottenuto una custom audience di 16.000 account Facebook.

Figura 2.12 Il nostro pubblico personalizzato è di 16.000 account Facebook.

Velux inoltre, per agevolare i propri clienti, ha creato addirittura


una mini-guida per capire quando è il momento di cambiare la
propria finestra, si tratta di un e-book che in quattro step ti aiuta a
fare un check al tuo lucernario e verificarne lo stato di salute.

Figura 2.13 Il form per scaricare la guida Velux.

La guida è un lead-magnet, per ottenerla devo compilare un form


inserendo tutti i miei dati, soprattutto quei dati essenziali per
permettere un tracciamento su Facebook come nome, cognome ed
email (Figura 2.13).
Non ci resta che seguire il processo suggerito qualche riga fa e
trasformare queste anagrafiche in una custom audience su Facebook.
Bene, abbiamo ottenuto così il primo insieme del nostro
ecosistema-target: un pubblico fatto di clienti Velux trasformato in
una audience di Facebook.
Ragioniamo ora sulla seconda domanda e visto che siamo in grado
di tracciare il nostro pubblico web proviamo a individuare quali siano
le zone sensibili del nostro sito che più di tutte identificano la
tipologia di pubblico che vogliamo.
In primis lavoriamo su un bisogno esplicito, su tutti quelli che
hanno qualche problema con il lucernario attuale perché magari è
semplicemente vecchio e logorato dall’usura.
In quale sezione convergerà questo tipo di clientela?
Sicuramente un punto sensibile è il Come Fare magari con un
focus nella sottosezione Richiesta assistenza.
Figura 2.14 Quali sono i “punti sensibili” del nostro sito web?.

Oppure una delle tante pagine in cui vengono indirizzati gli utenti
quando cercano qualcosa su Google (Figura 2.15).
Figura 2.15 Le pagine di reindirizzamento.

Al clic su Assistenza VELUX si atterra su una pagina che guida la


persona a tutte le informazioni utili in caso di problema con il proprio
lucernario (Figura 2.16).
Figura 2.16 La pagina web che contiene tutte le informazioni in caso di un problema con
il proprio lucernario.

Il pixel di Facebook ci permette di isolare il pubblico che negli


ultimi 180 giorni ha visualizzato queste pagine e di trasformarlo in
una custom audience, un pubblico personalizzato con determinate
caratteristiche (Figura 2.17).
Figura 2.17 La nostra custom audience basata su chi ha visualizzato proprio quelle
pagine.

Il risultato è una audience di 92.000 persone negli ultimi 180


giorni.

Figura 2.18 Siamo arrivati a 92.000 account Facebook.

E adesso tocca alla terza domanda: visto che la risposta è stata “sì,
abbiamo un pubblico Facebook e Instagram che ci rappresenta,
allineato al brand e probabilmente è un nostro cliente o aspirante
tale”, dobbiamo metterci nelle condizioni di tenerne traccia.
Sempre nella sezione Pubblico di Facebook possiamo costruire una
custom audience fatta di tutti quei profili che hanno interagito con le
nostre proprietà social, per esempio negli ultimi 365 giorni in modo
tale da tenere una audience presumibilmente piuttosto ampia (Figura
2.19).
Figura 2.19 La custom audience basata su chi ha interagito con la nostra Pagina.

Volendo, potremmo essere più specifici isolando quelli che hanno


inviato un messaggio alla pagina o quelli che hanno fatto clic su un
pulsante di call to action presente sotto la testata della Fan Page ma
rischiamo di essere troppo selettivi e di trovarci con un numero
troppo esiguo di profili.
Il risultato che otteniamo è di 890.000 persone che hanno interagito
con la nostra proprietà Facebook nel corso dell’ultimo anno.

Figura 2.20 La nostra custom audience è di 890.000 persone.

Che cosa abbiamo creato? Un ecosistema-clienti e un ecosistema-


friend potenzialmente raggiungibile su Facebook.
1. Una audience di persone ricavata dal nostro database email
composta soprattutto da possessori di un Velux che stanno
pensando di cambiarlo.
2. Una audience di persone ricavata dal nostro sito web, andando a
isolare quel pubblico che sta esprimendo una reale esigenza di
cambiamento. Nota bene che in questa selezione comprendiamo
anche tutto quel mondo di clienti o potenziali tali che proviene
dal search advertising e il pixel diventa così un elemento di
sintesi tra un pubblico che proviene da un’esigenza diretta
(digitare su Google “come fare per cambiare la finestra di una
mansarda”) e lo stesso pubblico rintracciabile però in un
contesto completamente differente, Facebook appunto.
3. Una audience di persone un po’ più debole composta da chi ha
interagito con le nostre proprietà social, la Fan Page e il canale
Instagram. Perché più debole? Perché chi interagisce con noi non
è detto che sia un nostro cliente, abbiamo solo la certezza che
qualche argomento Velux l’abbia interessato nel corso del tempo
e quindi più che nell’orbita dei clienti, lo posizioneremo
nell’orbita dei friend. Se vogliamo cominciare a utilizzare i
social media per la nostra azienda in modo strategico e non
sappiamo da che parte cominciare, toglietevi qualsiasi dubbio e
partite da ciò che possedete già: contatti clienti, sito web, Pagina
Facebook.

Componiamo il puzzle
L’incipit di questo capitolo è molto chiaro e non lascia adito a
dubbi: le persone sui social network non sono alla ricerca di prodotti
o servizi, per quello c’è Google.
Le persone sui social network cercano principalmente
entertainment ed è molto difficile arrivare a loro con una proposta
commerciale perché Facebook, per natura, non è un frame
commerciale.
Spesso parliamo di contesti social come spazi di domanda latente,
spazi in cui le audience non esprimono alcun bisogno di prodotti,
merci o servizi, ma hanno caratteristiche tali per cui potrebbero aver
bisogno del mio prodotto, solo che ancora non lo conoscono.
Quindi se è vero che Facebook non è una platea commerciale ed è
molto difficile conquistare “a freddo” l’attenzione su un prodotto, è
vero anche che se conosciamo alla perfezione le caratteristiche di
quel pubblico potremo sollevare in esso un potenziale bisogno
inespresso.
Se sono un amico di un fan di Nonna Pallina, potrebbe venirmi
voglia di un gelato perché vedo il mio amico interagire con il video
della panna montata che esce dall’erogatore.
Se sono un amante dell’ecosostenibile, potrei prendere in
considerazione l’idea di farmi una tre giorni in Trentino noleggiando
una bici elettrica, perché Visit Trentino ha targetizzato alla perfezione
la propria campagna pubblicitaria.
L’advertising su Facebook e Instagram può spalancare scenari
commerciali rilevanti a patto che il rapporto tra messaggio e
caratteristiche del pubblico sia idilliaco, solo così posso assicurarmi
l’attenzione di una audience per natura completamente distratta
perché immersa nella propria attività relazionale.
Ecco, quando lavoriamo con il nostro primo ecosistema, quello dei
clienti o degli amici, difficilmente incappiamo nel più comune (e
grave) tra gli errori possibili: sbagliare target. Sono i vostri i clienti,
sono persone che gravitano all’interno di zone specifiche del vostro
sito web e che stanno cercando una risposta a esigenze specifiche e se
ci mettiamo nella condizione di tracciare questo pubblico nel modo
più efficace possibile difficilmente possiamo sbagliare la
sollecitazione pubblicitaria.
Semplificando: se nell’arco degli ultimi trenta giorni un segmento
di persone ha esplorato la sezione Assistenza e da quell’audience
riusciamo a ricavare una custom audience di Facebook, è evidente
che siamo di fronte a un pubblico di cui conosciamo tutte le
caratteristiche utili per impostare il target della nostra campagna di
“replacement”.
Dobbiamo solo comporre il puzzle di tutti gli altri elementi di cui
abbiamo bisogno.

La pagina di atterraggio
Di sicuro abbiamo bisogno di un ambiente di atterraggio in grado
di fornire tutte le informazioni necessarie per partecipare alla
promozione.

Figura 2.21 Curiamo la nostra landing page.

Attenzione, anche se la landing page vi sembra forse


eccessivamente scarna e laconica, non dimenticatevi due fattori
importanti:
1. che la stiamo esponendo a un pubblico che ci conosce già e che
ha chiuso tutta una serie di checkpoint obbligatori per
partecipare alla promozione, come possedere un Velux o un
lucernario di un altro marchio, conoscere la dimensione digitale
di Velux (newsletter o sito o Pagina Facebook), aver espresso un
bisogno di assistenza;
2. che questa è una pagina intermedia e non “obbliga” al cambio
della finestra, ci sta dando solo il vantaggio effettivo di uno
sconto di 50 euro sulla sostituzione.
Non è una sales page, non ci sono tante esigenze di convincimento,
non ci sono le testimonianze, non servono tutti gli elementi che
solitamente contraddistinguono una landing page ad alto tasso
attrattivo. Qui c’è bisogno solo di informazioni chiare e precise e dei
custom fields necessari per ottenere il voucher.

L’elemento creativo
Di cosa abbiamo bisogno poi? Di un elemento creativo. E anche in
questo caso il ragionamento deve essere il più diretto possibile perché
il nostro scopo non è sedurre, non è ingaggiare e non è far divertire
(Figura 2.22).
Figura 2.22 L’elemento creativo nelle campagne Velux.

Facciamo una checklist di tutti gli elementi necessari.


Siamo evidentemente di fronte a un’ottima occasione, è il caso
di ribadirlo.
Il vantaggio è molto chiaro ed è specificato sia nel copy di
didascalia sia nel copy dell’immagine.
La call to action - cambia i lucernari - è impossibile da
confondere ed è ripetuta sia nel copy che nel visual.
La parola “lucernario” non è una parola di uso comune ma devo
per forza utilizzarla per non dare adito a dubbi. Non è una
semplice finestra, è un lucernario.
La scadenza non è ancora in grande evidenza ma nell’ultima
settimana di promozione è cosa ovvia che andremo a giocare
proprio sugli ultimi giorni disponibili per approfittare della
promo.
L’elemento visuale è un grande classico dell’universo
fotografico Velux con l’installatore che trasforma la tua stanza
in un ambiente molto più luminoso di prima, sostituendo la
vecchia finestra. Gli altri elementi che completano il carosello
sono pure elementi grafici che spiegano come ottenere il
rimborso (richiedi il tuo voucher, acquista i prodotti, richiedi il
rimborso).
In un altro set di creatività l’accento viene posto sulla detrazione
fiscale del 50% sul cambio finestre, in modo da rafforzare la call
to action.
Ribadiamolo ancora una volta: quando operate in un ecosistema di
clienti o “amici” del vostro marchio e progettate una promozione di
alto valore, togliete qualsiasi fronzolo, togliete qualsiasi elemento
emotivo, togliete qualsiasi cosa sia solo accessoria rispetto alla pura
comunicazione del valore della vostra promozione.

Obiettivi e audience
L’ultimo elemento di cui abbiamo bisogno è un obiettivo:
trasformare un obiettivo aziendale in un obiettivo sostenibile per
Facebook.
L’obiettivo di Velux è il replacement, cioè fare in modo che più
persone possibile ricevano il voucher per poi acquistare le finestre e
ottenere il rimborso.
Dati questi obiettivi di campagna Facebook, quale scegliamo
(Figura 2.23)?

Figura 2.23 Scegliamo l’obiettivo.

Andiamo per esclusione e cominciamo ad analizzare ciascun


macroobiettivo.
Notorietà, più comunemente conosciuta nel marketing
contemporaneo come “awareness”. Quando scegliamo questo
obiettivo stiamo dicendo all’algoritmo: “Vai alla ricerca del maggior
numero di pubblico possibile in target con il mio brand e mostra la
mia inserzione”.
L’aspettativa non è quella di un clic, non è quella di una
interazione, né tantomeno di una conversione. Tutte le metriche
fondanti della notorietà sono orientate al “mostrare” e se per valutare
il successo o meno di una campagna di awareness dobbiamo tenere
conto di copertura (quante persone raggiungo), impression (quante
volte le raggiungo), CPM (quanto ci costa ottenere mille impression).
Non è ovviamente il nostro caso, perché Velux è alla ricerca di un
target a cui semplicemente mostrare il proprio messaggio, l’obiettivo
è raggiungere una audience in grado di lasciare un’anagrafica
completa: di sicuro un pubblico limitato e selezionato a cui chiedere
un’azione piuttosto impegnativa.
Considerazione è il termine con cui Facebook definisce una
campagna di primo feedback. Se nell’awareness la mia aspettativa è
che il pubblico sia raggiunto dal mio messaggio, nella considerazione
vogliamo chiedere qualcosa in più, una prima reazione al messaggio.
Un clic qualora scegliessimo traffico, una qualsiasi azione come il
like o la condivisione e un commento se ci orientassimo verso
l’interazione.
Due cose sembrano un po’ anomale: visualizzazione del video e
generazione di contatti; la prima comunica all’algoritmo di andare
alla ricerca di un pubblico disposto a guardare un video per più
secondi possibile, quindi non è semplice awareness ma la richiesta di
una soglia di attenzione maggiore.
Nessuno di questi obiettivi al momento fa al caso nostro perché
Velux non si accontenta di un clic, tantomeno di un’interazione o
della visualizzazione di un video, Velux vuole una anagrafica
completa.
Generazione di contatti potrebbe fare al caso nostro, perché i lead
ads (così si chiamano nella letteratura americana dedicata al tema)
permettono di legare un form da compilare alla nostra sponsorizzata.
Con questo esempio, vi sarà tutto più chiaro (Figura 2.24).
Figura 2.24 La campagna lead ads di UPPA.it.

Siamo su Facebook e notiamo questa sponsorizzata di


https://www.uppa.it/, il magazine dell’Associazione dei Pediatri italiani.

Visto che l’argomento ci interessa facciamo clic su Scarica e, invece


che apparire un link verso una landing page per scaricare la guida
completa allo svezzamento, si apre un form dentro Facebook in cui
inserire la nostra mail (Figura 2.25).
Figura 2.25 Come funziona il form di inserimento contatti.

Una volta inserita la mail, attraverso una automazione viene


raccolta dal database (in questo caso mailchimp) e, sempre grazie a
un processo automatizzato, chi ha lasciato la mail riceve
immediatamente la guida sulla propria casella di posta elettronica.
Perfetto no? L’ideale per le esigenze di Velux.
In realtà abbiamo deciso di non utilizzare la generazione di
contatti per due motivi principali.
1. Spesso e volentieri la facilità con cui le persone lasciano la mail
non è quasi mai sinonimo di qualità dell’anagrafica. Velux vuole
dei contatti di alta qualità, un pubblico motivato a fare un clic,
andare su una landing page, compilare i campi necessari perché
solo così ci dimostra una seria intenzione al cambio delle
finestre. Se svessimo scelto i lead ads ci saremmo probabilmente
trovati a dover gestire un sacco di email in più ma avremmo
“sporcato” la qualità della nostra acquisizione contatti.
2. Si situa ancora in una zona grigia rispetto al GDPR e le opinioni
sul fatto che sia “compliant” o meno sono discordanti. Per una
multinazionale come Velux, iper-scrupolosa in tal senso,
preferiamo non correre alcun rischio. Tralasciate “notorietà” e
“considerazione”, perché abbiamo capito che non fanno al caso
nostro, ci resta una sola area di obiettivo: “conversione”.
Di fronte a un ecosistema di nostri clienti o comunque di persone
molto vicine al nostro marchio le aspettative si alzano e non ci
accontentiamo né di “mostrare” la nostra promozione attraverso un
obiettivo di notorietà, né di limitarci a ottenere un clic sulla nostra
landing page come potrebbe accadere se scegliessimo “traffico”.
Siamo di fronte al pubblico più caldo possibile, il più vicino nelle
orbite del brand e questo ci spinge a non avere alcun dubbio:
scegliamo una campagna di conversione in cui l’azione prevista è
l’acquisizione del contatto (Figura 2.26).
Figura 2.26 Ecco la nostra scelta: una campagna di conversione in cui l’azione prevista
è l’acquisizione del contatto.

E il pubblico scelto saranno le audience precedentemente create.


1. Una audience di persone che abbiamo ricavato dal nostro
database e trasformata in un segmento Facebook (Figura 2.27).

Figura 2.27 La audience proveniente dal nostro database.

2. Un pubblico proveniente dalle sezioni più sensibili del sito web


(Figura 2.28).
Figura 2.28 La audience proveniente dai punti sensibili del sito.

3. Una audience formata da chi è stato ingaggiato dalla nostra Fan


Page nel corso dell’ultimo anno (Figura 2.29).

Figura 2.29 La audience proveniente dall’engagement con la nostra Pagina.

Il totale del pubblico da raggiungere è di circa 600.000 unità ma la


sola custom audience dell’interazione è composta da 550.000
persone. Qui la pura audience di retargeting è di 50.000 profili
Facebook.

Budget
Se questo libro fosse un giallo sarei un pessimo narratore perché
voglio svelarvi immediatamente il colpevole: il budget utilizzato da
Velux per questa campagna sul proprio universo di Clienti e Friends è
di 50 euro al giorno.
E adesso proviamo a fare il percorso a ritroso, perché abbiamo
scelto questa cifra?
Gli elementi principali da osservare prima di decidere un budget
sono tre.
1. L’elemento chiave è capire quante persone dobbiamo
raggiungere, nel nostro caso andare a controllare le dimensioni
delle nostre custom audience, di quanti profili sono composte?
Tendenzialmente una audience di retargeting, seppure
abbastanza ampia come questa (600.000 se decidiamo di
allargarci anche sui fan più attivi, o 50.000 se invece preferiamo
rimanere su un pubblico molto più selezionato), non ha mai
bisogno di enormi budget.
Immaginiamo che le persone da raggiungere siano dei pesci
dentro un acquario e immaginiamo Facebook e Instagram come
due squali che si tuffano in questo acquario.
Il budget è l’energia che forniamo ai nostri due predatori:
- più l’acquario è grande più abbiamo bisogno di energia per far
fare ampi giri agli squali in cerca delle prede migliori possibile;
- i due squali cercheranno quei punti in cui stazionano i pesci più
appetitosi e nel corso del tempo tenderanno a stazionare lì.
Attenzione perché non faranno il giro di tutto l’acquario ma
tenderanno a soffermarsi nelle zone migliori.
Anche aumentando il budget, è vero che andranno a cercare
nuovi pesci da mangiare, ma avendo già mangiato quelli più
prelibati, è sempre più probabile che incappino in cibo di scarsa
qualità.
La morale è che su campagne con un pubblico ristretto da
raggiungere, il target migliore tende a esaurirsi per primo e una
volta esaurito le performance decadranno. E difficilmente
potremmo risollevarne l’esito aumentando il budget, forse è
meglio cambiare target oppure messaggio.
2. Il nostro storico. Se abbiamo fatto altre campagne in passato su
un pubblico altamente fidelizzato e vicino al nostro marchio, per
esempio una campagna di remarketing, diamo un’occhiata a due
valori fondamentali: il costo copertura e il CPM, cioè quanto ci
costa raggiungere mille persone e quanto ci costa ottenere mille
impression.
Nel caso di Velux noi sappiamo che mediamente, per una
campagna di retargeting ristretto, spendiamo attorno ai 5 euro
ogni mille persone raggiunte. Questo significa che se volessimo
raggiungere tutta la nostra audience almeno una volta dovremmo
spendere circa 3.000 euro (600×3.5 = 3.000).
Ma sappiamo anche che non ci interessa raggiungere tutte e
600.000 le persone del nostro acquario: semplicemente vogliamo
far nuotare lo squalo Facebook in acque sufficientemente ampie
in modo tale da mandarlo a caccia delle prede migliori.
3. Le indicazioni di Facebook. Quando creiamo una campagna e
decidiamo pubblico e budget Facebook ci dà già una prima
indicazione nella colonna di destra del gruppo di inserzione.
Facebook ci sta dando una stima sulla nostra campagna.
“Guarda” - dice Facebook - “se tu investi 50 euro al giorno, io ti
ipotizzo due scenari, il primo è uno scenario pessimo in cui il
tuo annuncio piace, la tua promozione lascia totalmente
indifferente il pubblico e quindi io faccio una fatica bestiale a
raggiungere il pubblico; il secondo scenario invece trova un
pubblico entusiasta e ricettivo e io riesco a nuotare nell’acquario
in totale scioltezza. Nel primo caso raggiungo poco più di
tremila persone al giorno, nel secondo caso quasi diecimila,
esattamente in linea con il tuo costo-copertura medio di 5 euro
per mille persone raggiunte”.
Immaginando di aver studiato il pubblico perfetto e
immaginando di aver creato il messaggio più appetibile
possibile, abbiamo serie aspettative di stare più verso i diecimila
al giorno che non precipitare in uno scenario negativo.

Figura 2.30 Controlla i risultati giornalieri stimati.

Riassumendo: il nostro acquario è composto da 600.000 pesci, però


non ci interessa che gli squali vadano a mangiare tutti i pesci ma solo
quelli più appetitosi. Mangiare 1.000 pesci ci costa 5 euro, se
volessimo mangiarli tutti e 600.000, l’operazione ci costerebbe 3.000
euro.
Ma sappiamo a priori che non lo farà, rimanendo tra un range di
1.300 e 8.900 al giorno.
Se ipotizziamo di stare verso la fascia alta del range riduciamo di
un terzo il budget e investiamo 2.000 euro per 40 giorni, esattamente
40 euro al giorno con una previsione di copertura di 400.000 persone.
Le indicazioni sul budget sono parziali perché è sempre legato
all’andamento della campagna ed è sempre modificabile a seconda
dei risultati ottenuti e, cosa molto importante, il budget è sempre
declinato sul numero delle persone da raggiungere.
Nel caso di Velux il budget di una campagna di remarketing di
quaranta giorni è il doppio del budget annuale di Nonna Pallina, ma
questo è ovvio perché stiamo parlando di due entità completamente
differenti, l’unica cosa che conta è che il DNA del ragionamento sia il
medesimo: il budget è sempre adeguato alla dimensione del pubblico
e al risultato che vogliamo ottenere.
So che vi sembra banale, ma nel corso della mia storia di advertiser
quando spiegavo questi concetti, il pubblico a volte si dimostrava
molto refrattario all’ascolto, reclamando: “Eh, ma tu mi parli di
Velux e Benetton, io non ho mica tutti questi soldi da investire”.
Io non parlo di “tanti soldi” parlo di un budget adeguato a pubblico
e risultati, proporzionale alle dimensioni e alle possibilità di ogni
azienda, da Nonna Pallina a Benetton.
Fermo restando che sono profondamente convinto che se tutti i
reparti marketing o gli imprenditori abolissero per regola aziendale
“eh, ma” fatturerebbero il 10% in più, così, solo per aver smesso di
pronunciare “eh, ma”.

Posizionamento
Il posizionamento è un elemento del nostro advertising di cui non
ci dobbiamo preoccupare più in fase di lancio di una campagna
perché la linea guida è molto chiara in tal senso: Facebook per
lavorare in modo ottimizzato ha bisogno di almeno quattro
posizionamenti differenti, quindi tanto vale tenere tutto automatico
ed eventualmente “aggiustarlo” dopo i primi risultati.
Questa è la sezione da lasciare completamente intonsa (Figura
2.31).

Figura 2.31 Anche in questo caso teniamo i posizionamenti automatici.

Piuttosto focalizziamoci sulla sezione dedicata alle inserzioni


perché ogni volta che creiamo un messaggio, Facebook lo declinerà
per tutti i posizionamenti.
Figura 2.32 Nella sezione dedicata alle inserzioni possiamo visualizzare la resa di ogni
ads per ogni singolo posizionamento.

Partendo dalla costruzione di questa creatività principale,


Facebook la declinerà in modo automatico per tutti i posizionamenti.
Per esempio: Instagram (Figura 2.33).
Figura 2.33 Come comparirà l’inserzione su Instagram.

Oppure con un formato da inserire nelle Stories (Figura 2.34).


Figura 2.34 Come comparirà l’inserzione su Stories.

Si tratta ovviamente di adattamenti che vanno sempre verificati.


Ma ormai l’editor di inserzioni di Facebook e Instagram è talmente
avanzato da permetterci di personalizzare ciascun posizionamento
senza delegare all’algoritmo l’adattamento ma gestendo interamente
noi l’output (Figura 2.35).
Figura 2.35 Personalizziamo l’ads per ogni posizionamento.

Facendo clic su uno qualsiasi di questi posizionamenti, si apre un


ulteriore editor per poter personalizzare la singola creatività.
Figura 2.36 L’editor della Gestione Inserzioni per personalizzare ogni singolo oggetto
pubblicitario.

Quindi un conto è il messaggio portante che creiamo come


sponsorizzato, un altro conto è la possibilità di creare un messaggio
ad hoc per ciascun placement possibile, da Facebook a Instagram, da
Audience Network a Messenger.
Posizionamenti diversi, ambienti diversi, messaggi diversi.
Nell’immagine qui, a partire dalla creatività standard creata di
default da Facebook presente sulla destra, possiamo intervenire e
aumentarne la resa partendo da alcune semplici modifiche come il
cambio di template, allo stravolgimento totale modificando tutto
l’elemento visuale.

I risultati
Abbiamo ricreato su Facebook e Instagram un ecosistema
composto principalmente da:
1. clienti, persone che abbiamo riconosciuto come possessori di un
Velux;
2. amici, persone che non possiedono un Velux ma che gravitano
attorno all’orbita Velux o come visitatori di sezioni specifiche
del sito web oppure come fan che generano interazioni attorno
alla nostra Pagina Facebook.
E la nostra comunicazione va diretta al punto senza fronzoli,
proprio perché queste audience ci conoscono già, sanno già chi siamo
e spesso ci hanno già acquistati.
I risultati rispecchiano perfettamente questa logica:
Target Clienti, con un investimento di 24 euro abbiamo ottenuto
331 contatti con un costo contatto di 4 euro;
Target Friends con un investimento di 496 euro abbiamo
ottenuto 62 contatti con un costo contatto di 8 euro.
Tabella 2.1 Analisi del Costo Contatto su Clienti e Friends.
TARGET IMPORTO SPESO NUMERO CONTATTI COSTO CONTATTO
Clienti 1324 € 331 4€
Friends 496 € 62 8€

Appena ho visto arrivare risultati simili, ero entusiasta. Ma il mio


entusiasmo deriva solo dall’esperienza nel campo, perché “so per
esperienza” che questi tipi di numeri per un’azienda come Velux sono
decisamente buoni.
Ma voi non fate come me, sarebbe come uscire dal cinema e dire
“bello” o “brutto” di un film senza spiegarne il perché.
Perché 4 euro a contatto è un buon risultato? Come lo stabiliamo?
Il valore fondamentale da stabilire è il Costo per Acquisizione
ragionando sul Valore del Cliente.
Ve lo spiego con un esempio molto pratico.
Ho lavorato per anni in un mercato in cui il valore di un cliente
acquisito è di circa 700 euro all’anno poiché, una volta che è
diventato mio cliente, mi vale circa 700 euro all’anno di fatturato.
Insieme all’azienda stabiliamo un CPA di advertising, un Costo per
Acquisizione, attorno ai 120 euro, quindi posso spendere in pubblicità
fino a 120 euro per trasformare un singolo account Facebook o
Instagram in un cliente.
Altra informazione, ho un tasso di conversione del 10% circa sui
contatti acquisiti, cioè su cento persone che mi lasciano un’anagrafica
completa, dieci diventano miei clienti.
Userò la pubblicità Facebook e Instagram in primis per trasformare
uno sconosciuto prima in un contatto, poi da contatto proveremo a
farlo diventare cliente:
un buon costo contatto è 10 euro e mediamente uno ogni dieci
diventerà cliente;
in questo caso la mia spesa totale è di 100 euro che è già
inferiore al CPA fissato dal mio cliente;
tutto ciò che sta sotto ai 10 euro a contatto è un ottimo risultato.
Che siate una piccola media impresa o una multinazionale, il
discorso non cambia: se fate delle campagne advertising di
conversione è fondamentale stabilire sempre il valore della
conversione. Anche quando non è affatto banale, provate comunque a
essere più precisi possibile nell’attribuire il vostro punto di
soddisfazione.
Quanto siete contenti di pagare per ottenere una conversione?
Dipende sempre dal valore della conversione. Stabilite il valore
della conversione, così potrete decidere il punto di soddisfazione.
Nel caso di Velux è po’ difficile fare questo tipo di ragionamento
perché è la prima volta utilizziamo Facebook e Instagram per una
campagna di replacement e non abbiamo un grande storico.
In più, nel caso di Velux, non mi è consentito per contratto né di
indicare il valore medio di una sostituzione del lucernario né il costo
di acquisizione medio di ogni singolo contatto portato a casa, ma va
da sé che pensando a un prodotto come una finestra per tetti, la spesa
per il consumatore non sarà mai banale e quindi un costo contatto
finale che oscilla tra i 4 e gli 8 euro è un risultato davvero ottimo.
Soprattutto se siete agli inizi della vostra esperienza con
l’advertising di conversione su Facebook e Instagram, la valutazione
principale spesso non la farete nemmeno a campagna completata.
Esattamente come nel caso di Velux la verifica reale ci sarà solo
verso la fine del 2019 quando scopriremo il numero totale dei
riscatti-voucher ottenuti grazie a questo specifico target.
Quindi:
1. mettetevi nelle condizioni sempre di poter dare un valore alla
conversione d’acquisto e provate a definire un costo di
acquisizione;
2. mettetevi anche l’anima in pace se non avete mai fatto
campagne su Facebook e Instagram perché tutti i dati che state
ricevendo dalla vostra azione pubblicitaria di conversione sono
per voi una sorpresa totale.
Studiate al meglio questi numeri, fatene tesoro e cominciate a
costruire uno storico statistico.
Siamo di fronte alla legge più banale e scontata nel marketing
orientato alla vendita: il nostro primo interlocutore è un pubblico
“caldo” che ci conosce e che magari è già nostro cliente.
Meno banale è trasferire questo impianto strategico in un
ecosistema social. La nostra prima tensione di fronte all’advertising
di Facebook e Instagram è quella di farci conoscere a un pubblico,
coinvolgerlo, avvicinarlo al nostro brand, sedurlo. Siamo portati ad
avere come faro guida dei social media sempre e solo l’awareness e il
branding, spendendo soldi a caso nel tentativo di raggiungere il
pubblico più distante in assoluto: quello che non ci conosce.
L’approccio che vi suggerisco è completamente opposto: se dovete
cominciare a lavorare con l’advertising sui social network, la prima
cosa da fare è riprodurre il vostro ecosistema semplice fatto di clienti
e friends all’interno del social network stesso.
Il primo target sono i vostri clienti, sempre.

L’ecosistema semplice come


possibile punto di partenza
dell’ecosistema complesso
Immaginiamo di aver seguito il mio consiglio e di aver ricreato le
nostre orbite di clienti e friends su Facebook e Instagram attraverso
una custom audience costituita dal database presente nel nostro CRM,
dai visitatori del sito web o da una fan base abitata da un pubblico
coerente con il nostro brand.
Prendiamo quest’ultima, la fan base. Facebook ci mette a
disposizione uno strumento fondamentale come Audience Insights
per potere studiare al meglio le caratteristiche del pubblico Velux. Da
semplici dati come il numero di persone attive nei aocial network e la
suddivisione per fasce d’età e genere ed elementi più strategici come
la situazione sentimentale o il livello di scolarizzazione (Figura
2.37).
Figura 2.37 Audience Insights ci permette di esplorare le caratteristiche delle nostre
audience.

Ma il vero tesoro di Audience Insights si nasconde nella tab “Mi


piace” sulla Pagina (Figura 2.38).
Figura 2.38 Le persone che hanno messo “Mi piace” alla pagina Velux che
caratteristiche hanno?

Il nostro ecosistema più stretto, quello fatto di clienti e friends, che


interessi ha?
Quando legge una rivista di arredamento che rivista legge? Quando
parliamo di tecnologia, qual è il marchio di riferimento?
Certo si tratta di informazioni parziali, spesso non così
rappresentative di tutto il pubblico Velux ma solo dei più attivi lato
social. Però è fuor di dubbio che quando devo andare a raggiungere
un pubblico “freddo” devo partire da degli indizi, dai gusti e dagli
interessi e il metodo migliore per farlo è proprio quello di cominciare
dalle caratteristiche comportamentali di chi è già mio cliente; questo
è fondamentale in un ambiente fondato su una domanda poco
consapevole, perché se è poco consapevole, è anche faticosamente
esplorabile.
Spostiamo il baricentro su ciò che è indagabile, caratteristiche e
comportamenti del nostro ecosistema semplice, con l’obiettivo di
avere già raccolto in anticipo un bel po’ di informazioni quando ci
troveremo di fronte a un pubblico più ampio e di conseguenza
distante dal nostro brand.

Checkpoint
1. Prima di pensare: “Faccio una sponsorizzata su Facebook per
raggiungere nuovi clienti” preoccupatevi dei clienti che avete
già.
2. Interfacciate il database clienti con Facebook e trasformateli in
una custom audience di clienti sempre raggiungibili su Facebook
e Instagram
3. Tracciate il vostro sito web con il pixel di Facebook e
individuate le aree più sensibili che connotano quella audience.
Su un sito di produzione di case in legno, tutte le visite che
riesco a tracciare sulla pagina web “Quanto costa una casa in
legno?” è evidente che come mi stiano comunicando una seria
intenzione esplorativa sul mondo del costruire con il legno.
4. Su Facebook si chiamano “fan”. Su Instagram si chiamano
“follower”. E i nomi non sono casuali, perché è un pubblico di
persone che vi sta seguendo, vi supporto e vuole interagire con
voi. Per quanto negli ultimi tempi le interazioni con le Fan Page
siano in netto calo e quelle con Instagram siano piuttosto deboli,
esiste una porzione del vostro pubblico che nel tempo si è legata
molto al vostro marchio e alla vostra azienda. Isolateli e
premiateli, creandovi una custom audience delle persone più
attive sulla vostra Fan Page e sul vostro canale Instagram.
5. Il primo uso, forse il più semplice, dell’advertising su Facebook
e Instagram è proprio quello di stimolare chi è già cliente magari
fidelizzandolo ancor di più oppure lavorando su strategie di
cross-selling e upselling. Ma non ci dimentichiamo di un altro
nucleo di clienti potenziali, quelli che abbiamo chiamato
“amici” e che gravitano attorno al nostro brand, alla nostra
azienda senza esserne clienti.
6. Su Facebook costa molto di più raggiungere una audience
indistinta piuttosto che un pubblico di ridotte dimensioni. E di
solito le orbite di clienti e amici non hanno certo numeri enormi,
quindi approfittatene!
7. Quando lavorate con una audience di clienti e amici, avete una
grande opportunità, non occorre che vi presentiate, perché sanno
esattamente chi siete. Create una pubblicità che sia diretta, senza
fronzoli, pulita, che punti dritta dritta al valore di ciò che sto
comunicando. Il valore è fatto di 50 euro sulla sostituzione della
finestra? Bene, il focus della macchina da presa sarà tutto per i
due attori principali, “il vantaggio di sostituire una vecchia
finestra”, “lo sconto per farlo” e niente altro.
8. Più è vicino a voi il pubblico che volete raggiungere, più si alza
il livello di aspettativa della campagna. A un pubblico “caldo”
possiamo già chiedere una conversione.
9. Davvero, è la cosa più difficile del mondo, ma prima di
cominciare una campagna provate a definire un risultato per cui
essere contenti.
Il che significa aver ragionato sul vostro costo per acquisizione.
Avere uno storico aiuta molto, perché è un punto di riferimento
fondamentale.
In assenza di storico, dovete costruirvelo. C’è poco da fare.
10. Conoscere su Facebook e Instagram la vostra audience è
fondamentale per tracciarne i gusti, i comportamenti, i profili
demografici. Tutti indizi necessari ad affrontare il prossimo
capitolo in cui parleremo di ecosistemi complessi, ovvero andare
alla ricerca di potenziali clienti lontani da voi, che non ci
conoscono.

Appendice tecnica

Gli eventi del pixel


Avere un pixel di Facebook non basta. Lo considero il setup
minimo per qualsiasi sito web. Perché possedere soltanto un pixel
significa limitarsi a tracciare il traffico prodotto da tutti gli utenti in
possesso di un account Facebook.
Con un pixel base potete tracciare solo le “page view” e costruirci
una audience.

Figura 2.39 A partire dalle “page view” tracciate dal pixel potete costruire una audience.

Nella sezione Pixel del Business Manager potete sempre verificare


che cosa sta tracciando il vostro script; nella Figura 2.39 è evidente
che stiamo tracciando solo visite generiche.
Per quanto possiate avere un sito “vetrina” (ma spero proprio di
no!), sicuramente sarete in possesso di un form di contatto. Bene
mettetevi almeno nelle condizioni di tracciare anche quella lead,
andando a tracciare un nuovo evento del Pixel.

Figura 2.40 Tracciate la lead dal vostro form di contatto.

In questo caso un altro mio cliente registra non solo le visite


generiche ma anche chi, tra quelle visite, ci lascia il proprio contatto
email.
Se invece possedete un e-commerce, gli eventi si complicano
ulteriormente perché dovete impostare il Pixel in modo tale che
riesca a tracciare almeno tre eventi essenziali (Figura 2.41):
1. View Content, quando il vostro pubblico esplora le schede
prodotto del sito;
2. Add To Cart, quando un prodotto viene inserito nel carrello;
3. Purchase, quando un prodotto viene acquistato.

Figura 2.41 Tracciate gli eventi standard del vostro e-commerce.

Morale: dovete tracciare eventi differenti sul vostro sito web?


Dovete adeguare il pixel a ognuno di questi tracciamenti.
Per due motivi:
1. la possibilità di creare custom audience a partire dal singolo
evento;
2. la possibilità di associare obiettivi di conversione. Se devo
impostare una campagna vendita su Facebook e Instagram devo
associare quella campagna all’evento “purchase” per capire
quante vendite mi sta portando.
La guida di Facebook dedicata al Pixel è una specie di bibbia da
imparare a memoria (http://bit.ly/pixel_guida).
Lo stesso vale per la guida di Matteo Zambon, guru italiano di
Google Tag Manager, per fare il setup del Pixel attraverso GTM
(http://bit.ly/Matteo_Zambon).
Un ultimo consiglio, installate Pixel Helper
(http://bit.ly/pixel_helper_uso) sul vostro browser per verificare sempre
che ogni vostra pagina sia correttamente “pixellata”.

Figura 2.42 Pixel Helper, un’estensione di Chrome utilissima per scoprire se state
tracciando correttamente le audience.
Capitolo 3

Gli ecosistemi complessi

Siamo al terzo capitolo e questo libro è come un gioco di ruolo, più


si va avanti con la lettura e più si alza il livello di difficoltà. E che
siate mago, paladino, amazzone o necromante se volete imparare le
arti dell’advertising su Facebook e Instagram dovete affinare le
vostre capacità altrimenti butterete via un sacco di soldi a caso.
Fino a ora abbiamo imparato una lezione indispensabile:
l’advertising su Facebook e Instagram comincia con l’analisi del
proprio DNA-Cliente, è come se nel nostro Jurassic Park strategico
avessimo isolato la matrice genetica dentro l’ambra e avessimo dato
vita al nostro primo dinosauro: il cliente su Facebook e Instagram.
Ora arriva il difficile, andare alla ricerca di un pubblico che non sa
nulla di noi, che non ci conosce, che non ha mai avuto bisogno di noi
e quel pubblico, sì, proprio quel pubblico, è totalmente immerso in un
contesto ludico-relazionale come i social network.
Una sponsorizzata che sbaglia il proprio target è come una
fastidiosa interruzione pubblicitaria mentre siete immersi nel flusso
narrativo di un film e il fatidico scorrere del dito che passa oltre
completamente cieco alla vostra stimolazione advertising, equivale al
cambiamento del canale sul telecomando.
Una cosa che Facebook non riesce
a fare
“Enrico, non riusciamo a capire se la campagna del replacement
dei lucernari tu l’abbia fatta solo per un pubblico di clienti e di
friends”.
La risposta è “no” ed è proprio questo il punto su cui vorrei farvi
riflettere: lavoriamo ancora con l’esempio di Velux e immaginiamo
di andare oltre sia rispetto al nostro database clienti, sia ai
tracciamenti sul nostro sito web e sulla nostra fanbase. Il nostro
obiettivo è andare oltre e raggiungere un pubblico molto più vasto,
fatto di possessori Velux che non frequentano il nostro dominio,
Facebook o Instagram, e non sono presenti nel nostro CRM, oppure di
tutti quelli che possiedono una finestra di un marchio concorrente al
nostro, ai quali la nostra offerta potrebbe fare parecchia gola.
Come li raggiungiamo?
Se fossimo in un ambiente di domanda diretta come Google,
potremmo trasformare il lucernario in una serie di keyword
contestuali anticipando le varie ricerche degli utenti sul motore, ma
siamo in un ambiente di domanda latente in cui tutto è basato
sull’identità di chi abita i social network, dai comportamenti, alle
abitudini, agli interessi.
E qui la cosa si complica molto perché non c’è nulla su Facebook e
Instagram che possa aiutarmi a identificare un pubblico di persone
che vive in una mansarda o possiede un tetto a falda.
Non esiste un interesse o una caratteristica possessore di una
mansarda, e questo vale anche per i prodotti di migliaia di altre
piccole e medie imprese italiane, magari anche il vostro prodotto,
quello su cui state lavorando lato marketing.
Pensate se fossero dei produttori di case in legno: non esistono
degli interessi che identificano questo tipo di utenti; potremmo
lavorare su temi come “ecosostenibilità” o “green” o “energie
rinnovabili”, ma siamo sempre su una dimensione pericolosamente
generica del target. Troppo vago, troppo indefinito.
Escludiamo quindi la possibilità di trovare un possessore di una
mansarda grazie agli interessi su Facebook e andiamo a cercare se per
caso troviamo un interesse specifico per il marchio Velux.
Ed effettivamente... (Figura 3.1)

Figura 3.1 L’interesse “Velux” presente nella targetizzazione di Facebook.

Che cosa vuol dire “interesse”? Che un marchio, un’abitudine, un


comportamento sono talmente rappresentativi per il pubblico di
Facebook e Instagram da essere diventati un marcatore selezionabile
per la targetizzazione di un pubblico.
Non sono i fan di una pagina, ma rappresentano un segmento di
persone che Facebook riesce ad assemblare e a etichettare come
interessate a un particolare marchio.
In Italia, gli “interessati” a Velux sono circa 920.000 persone.
Figura 3.2 Le dimensioni del pubblico con interesse “Velux”.

Siamo di fronte a un target affidabile? Non c’è modo di avere una


risposta certa prima di fare un test: abbiamo scelto come target tutte
le persone interessate a Velux, ovviamente escludendo tutte le
audience di remarketing esplorate nel capitolo precedente (Figura
3.3).
Figura 3.3 Simulazione di una audience di remarketing.

Riassumendo: scegliamo tutti quelli che hanno come interesse il


nostro brand, scegliamo una fascia d’età dai trent’anni in su (questa è
l’età media che l’azienda ha individuato come potenziali interessati
al replacement), escludiamo le audience utilizzate nel Capitolo 2, le
audience di remarketing, e da 920.000 persone passiamo a un
pubblico di 420.000 unità.
Come avranno reagito alla nostra sollecitazione pubblicitaria?
Tabella 3.1 Analisi del Costo Contatto su interesse Velux.
TARGET IMPORTO SPESO NUMERO CONTATTI COSTO CONTATTO
Interest “Velux” 800 € 25 32 €

Per praticità vi riporto anche la tabella dei costi di acquisizione


contatto targetizzando su Clienti e Friends.
Tabella 3.2 Analisi del Costo Contatto su Clienti e Friends.
TARGET IMPORTO SPESO NUMERO CONTATTI COSTO CONTATTO
Clienti 1324 € 331 4€
Friends 496 € 62 8€

Il costo aumenta di otto volte rispetto a una platea di clienti e di


quattro volte rispetto a un target di persone vicine al brand, questo
significa che per quanto questo pubblico sia in qualche modo legato
al marchio tanto da esprimerlo come Interest, i costi lievitano
enormemente.
Molto spesso, le audience legate a un interesse sono audience
“deboli”, sicuramente più connotate rispetto a un utente casuale di
Facebook e Instagram, ma comunque non così profittevoli per una
campagna di advertising e fin da subito abbiamo deciso di scartare
questa profilazione offerta da Facebook.
E, attenzione, quella degli interest è una delle più diffuse in
assoluto nelle comuni strategie di advertising; quindi, primo
campanello di allarme, non abbiate mai una fiducia cieca in un
interest perché potrebbero esserci soluzioni migliori.
Quali? Andiamo a scoprirle!

L’audience algoritmica, la base


dell’ecosistema complesso
Lo abbiamo già accennato nel primo capitolo: dobbiamo avere
fiducia nell’algoritmo, nella capacità di Facebook di essere autonomo
nella ricerca di un target dopo aver delimitato il campo di azione.
Le nostre principali audience sono:
1. una audience fatta di clienti Velux presenti nel nostro database;
2. una audience fatta di utenti che hanno navigato nelle pagine del
nostro sito web;
3. una audience fatta di fan attivi sulla nostra Pagina Facebook.
Il passaggio successivo, per estendere il raggio di azione, è quello
di affidare all’algoritmo la ricerca di una audience somigliante a
questi pubblici.

Figura 3.4 La creazione di una lookalike audience da fonte web.

Nella sezione Pubblico di Facebook seleziono la voce Crea


pubblico somigliante e come fonte della somiglianza inserisco, per
esempio, la audience composta da tutti coloro che hanno visitato la
sezione Come fare negli ultimi centoottanta giorni, imposto il paese
d’origine che è ovviamente l’Italia e scelgo l’indice di somiglianza.
Una audience di somiglianza, comunemente chiamata lookalike, è
in realtà una percentuale: creiamo una lookalike all’1%. E che cosa
rappresenta questa percentuale?
Si tratta semplicemente dell’1% della popolazione italiana che
Facebook ha individuato come somigliante alla nostra fonte.
In Italia ci sono 32.600.000 account Facebook e l’algoritmo va alla
ricerca dei 326.000 profili che più somigliano agli utenti web della
sezione Come fare.
Possiamo ampliare e andare al 2% coinvolgendo 653.000 persone
ma ovviamente calerà la qualità della somiglianza, saranno
semplicemente “un po’ meno simili”.
L’obiettivo è ottenere questa audience (Figura 3.5).

Figura 3.5 Le dimensioni di una lookalike 1%.

Che cosa sappiamo di questa audience?


1. Che non ha mai visitato il nostro sito, altrimenti sarebbe
compresa nella custom audience fonte della lookalike.
2. Che sono 330.000 persone molto simili al nostro pubblico web.
Parliamo di fidarsi ciecamente dell’algoritmo perché non
conosciamo i parametri attraverso i quali Facebook sceglie questo
pubblico, è una specie di formula segreta su cui abbiamo pochissimi
indizi forniti dalle pagine di supporto del social network.
“Andiamo alla ricerca” - scrive Facebook - “delle caratteristiche
comuni delle persone che lo compongono (per esempio, i dati
demografici o gli interessi). Successivamente, troviamo persone con
caratteristiche affini (o ‘simili’) a loro.”
Quindi dobbiamo fidarci?
L’unico modo per saperlo è verificarlo sul campo con un test
pubblicitario su questa audience, impostando una campagna per
promuovere il replacement di Velux sul pubblico lookalike (Figura
3.6).

Figura 3.6 Simulazione di una audience di lookalike.

Il target principale è il target sosia della nostra web audience, che


esclude i nostri clienti e le persone che hanno interagito con la pagina
Velux. Non occorre escludere la web audience perché la audience
somigliante ha già come caratteristica primaria quella di non
includere il pubblico web, altrimenti non sarebbe... “somigliante”.
I risultati sono quelli della tabella seguente.
Tabella 3.3 Analisi del Costo Contatto sulle audience lookalike.
IMPORTO NUMERO COSTO
TARGET
SPESO CONTATTI CONTATTO
Lookalike Pubblico
500 € 36 14 €
Web
Lookalike Lista Clienti 500 € 42 12 €
Lookalike Fan della
500 € 26 19 €
Pagina
Strabiliante vero?
I possessori di una mansarda non sono individuabili
“manualmente” attraverso gli interessi di Facebook: possiamo
vagamente provarci individuando un pubblico definito con interest
Velux ma come abbiamo visto il costo contatto è troppo alto.
Allora proviamo a indagare questo pubblico affidandoci a delle
audience selezionate algoritmicamente e in tutti e tre i casi il costo
contatto è inferiore al risultato ottenuto da un pubblico costruito per
interesse.
I risultati delle lookalike tra l’altro rispecchiano perfettamente le
fonti da cui provengono.
1. L’audience somigliante alla fonte più fedele in assoluto, i nostri
clienti, è quella che performa meglio con un costo contatto di 12
euro.
2. La lookalike sui friend performa bene, ma l’origine è pur sempre
quella di un pubblico che non sappiamo se abbia comprato o
meno un Velux o se sia realmente intenzionata a cambiarlo.
3. Il pubblico sosia dei fan più attivi è il peggiore dei tre perché
proviene dall’audience più debole, quella dei fan.
E se riprendessimo la rappresentazione delle orbite associando il
costo contatto, otterremmo ciò che vediamo nella Tabella 3.4.
Tabella 3.4 Analisi del Costo Contatto nelle varie orbite.
TARGET COSTO CONTATTO
Orbita Clienti 4€
Orbita Friends 8€
Orbita Lookalike 12 €
Orbita Indistinta (Interessi) 32 €

Più ci allontaniamo dal centro del brand, più il costo di ogni nostra
conversione si alzerà perché il pubblico coinvolto è sempre meno
familiare con la nostra azienda, fino all’orbita esterna, quella più
cara, fatta di totali sconosciuti.

Figura 3.7 Le orbite vicine e lontane dal nostro brand e i relativi costi di acquisizione.

Il sistema orbite ci fornisce due grandi affreschi sulla pubblicità di


Facebook e Instagram.
1. Vogliamo creare un ecosistema complesso per il nostro
advertising?
Bene, dopo aver creato e utilizzato le nostre audience “strette”,
allarghiamoci in modo algoritmico affidando a Facebook la
costruzione delle lookalike.
Il nostro problema da marketer o da imprenditori, è
semplicemente quello di costruire custom audience che siano
coerenti con il nostro brand: mailing list, clienti e, in ultima
ipotesi, i fan della pagina o i nostri follower su Instagram. Ad
ampliare il pubblico ci pensa l’algoritmo.
2. In una strategia di ampio raggio, il nostro obiettivo pubblicitario
sarà quello di trasformare un pubblico più lontano in una
audience progressivamente più vicina alla nostra azienda, per
ottenere una conversione di maggiore qualità (conosce ed è
fidelizzata al nostro brand) e pagarla meno (è più facile chiedere
qualcosa a qualcuno che ti conosce bene).
I prossimi paragrafi racconteranno proprio questo, come Velux sia
riuscita a trasformare pubblici freddi in pubblici caldi, grazie proprio
all’advertising su Facebook e Instagram.
Solo che per farlo abbiamo bisogno di una lunga premessa
sull’asset digital marketing di Velux, molto simile a quello di una
qualsiasi impresa italiana che voglia operare strategicamente online.

Velux: il nuovo POEM


Proviamo ad applicare lo schema POEM aggiornandolo alla
situazione attuale, dopo l’introduzione di una prima strategia di
advertising, concentrandoci soprattutto sugli owned media e sui paid
media, tralasciando gli earned media che al momento sono poco utili
al nostro ragionamento.

Gli Owned Media


Quali sono le principali proprietà web dell’universo Velux?
1. Il sito web principale velux.it è orientato a servire principalmente
una domanda diretta, persone che possiedono un lucernario e
hanno bisogno di assistenza e manutenzione oppure di una
tapparella per la propria finestra.
2. Il sito di contenuto mansarda.it dove gli utenti possono trovare
tutte le informazioni utili legate alla propria mansarda e un
sacco di consigli su come arredarla e trasformarla in uno spazio
sempre più luminoso.
A chi servono le due proprietà web?
Answer The Public è un servizio fondamentale per comprendere
l’alone semantico attorno a una parola chiave sui motori di ricerca:
attorno alla parola “mansarda” quali sono le ricerche più frequenti?
Basta focalizzarsi sul ramo del “come” per scoprire le richieste più
frequenti attorno allo spazio principale del nostro core business.
Prendiamo come esempio queste cinque:
1. “Come illuminare una mansarda”;
2. “Come arredare una mansarda”;
3. “Come ristrutturare una mansarda”;
4. “Come si vive in una mansarda”;
5. “Come rinfrescare una mansarda”.
Figura 3.8 L’uso di Answer The Public sulla parola “mansarda”.

L’intento di ricerca sul mondo delle mansarde è molto chiaro e la


strategia principale per rispondere a questo tipo di domande è creare
una strategia di content marketing come magnete per queste ricerche.
E infatti la prima strategia in ordine di importanza su cui lavora
Velux è proprio la creazione di contenuto.
Prendiamo la domanda numero 5 e digitiamola sul motore di
ricerca (Figura 3.9).
Figura 3.9 Il risultato sulla SERP (Search Engine Results Page).

Il primo risultato è proprio un articolo di mansarda.it (Figura 3.10).

Figura 3.10 La pagina di destinazione quando cerchiamo “come rinfrescare una


mansarda”.

E all’interno di una macroricerca “caldo/freddo” in mansarda


possiamo immaginare mille altre variabili di questo tema come per
esempio l’uso del condizionatore.

Figura 3.11 Esempio di articolo sul tema caldo/freddo in una mansarda.


Oppure un grande classico, pensare che il caldo estivo entri dalle
finestre spalancate sul tetto (Figura 3.12).

Figura 3.12 Un altro esempio di articolo sul tema caldo/freddo in una mansarda.

In questo scenario Velux utilizza il content marketing per favorire


il proprio posizionamento Google su quelle ricerche fatte
presumibilmente da chi vive già in una mansarda o da chi è in
procinto di acquistare uno spazio mansardato e approfondire i luoghi
comuni più frequenti che lo connotano.
L’altro elemento strategico che entra in gioco nelle proprietà web è
l’architettura delle informazioni ovvero lo studio su come
organizzare al meglio la struttura web e, se analizziamo la pagina
web di ogni singolo articolo Velux, scopriamo che nulla è lasciato al
caso.
Dal menu in alto a destra che ci permette di soddisfare le esigenze
principali, come Crea spazio in casa oppure Trova un architetto
(Figura 3.13), agli articoli correlati, perché è probabile che il main
content a cui siete approdati non vi soddisfi appieno e volete altre
suggestioni di contenuto (Figura 3.14).
Figura 3.13 Tutte le info utili nella home page di Mansarda.it.

Figura 3.14 Gli articoli correlati al tema centrale.

Fino alla chiosa della pagina con la possibilità di scaricare una


guida per trasformare il vostro sottotetto in uno spazio luminoso,
naturalmente in cambio di una anagrafica completa.
Figura 3.15 Le guide di Mansarda.it, scaricabili a fondo pagina.

Riassumendo, quando parliamo di Owned Media web, le tre


strategie in gioco sono:
1. Content Marketing;
2. SEO;
3. User Experience.
E in tutti e tre i casi l’obiettivo è quello di essere trovati, letti e
fruiti da un profilo di pubblico su cui abbiamo una certezza: ha
bisogno di qualcosa legato al sottotetto, alla mansarda. Probabilmente
ne possiede una, o sta pensando seriamente di acquistarne una.
Di tutto questo troviamo riscontro nelle Analytics del marchio
nella sezione Acquisizione.
Figura 3.16 Le fonti del traffico del sito Velux.

Google la fa da padrone con sei persone su dieci che arrivano alle


proprietà Velux perché spinte da una domanda diretta.
Infine, Velux possiede altri media come la newsletter, oppure la
Pagina Facebook o il canale Instagram ma anch’essi si rivolgono
sempre e comunque a un pubblico che Velux la conosce già.
L’intero baricentro marketing attuale è pesantemente orientato a un
mondo di esigenze esplicite, a un mondo “vicino” ai lucernari.

I Paid Media
I paid media lavorano su tre direttrici principali.
1. Google Search, ovvero posizionare il nostro annuncio su tutte le
ricerche contestuali il mondo della finestra per sottotetto.
Questa è la tipologia di advertising più legata alla domanda
diretta perché corrisponde a uno stato di necessità di un
consumatore espresso sul motore di ricerca.
Figura 3.17 Il search advertising di Velux.

2. Display, l’advertising contestuale a una mia navigazione. Sto


leggendo la sezione dedicata ai sottotetti sul portale “cose di
casa”? Bene, Velux presidia quel posizionamento con i propri
banner.

Figura 3.18 Il Display Advertising di Velux.

3. L’advertising su Facebook e Instragram, introdotto nel Capitolo


2, che va a sollecitare clienti o persone vicine al brand.
Qual è il problema di questa strategia? In realtà nessuno perché è
tutta figlia di una logica molto ferrea. In qualsiasi contesto in cui ci
troviamo a operare il nostro primo obiettivo è quello di profilare e
raggiungere il miglior cliente Velux: quello che possiede una
mansarda e produce azione attorno a questo suo stato come navigare
sul nostro sito web o fare una ricerca su Google.
C’è un però.
Quante sono in Italia le persone che possiedono una mansarda e
non hanno mai espresso un desiderio di rinnovo del proprio spazio?
Quanti sono i potenziali consumatori Velux che non si sono mai
chiesti nulla sul proprio status di abitanti di un sottotetto? Che non
hanno mai fatto una ricerca, che non sanno nemmeno di che marca
siano i propri lucernari, che vivono in una mansarda e magari
ignorano la possibilità di trasformarla in uno spazio estremamente
luminoso, magari come in Figura 3.19.
Figura 3.19 Il Facebook Advertising di Velux.

La vivono e stop, senza farsi alcun tipo di domanda.


Evidente, sono tantissimi. E sono tutti clienti “in potenza” che
potrebbero coltivare una domanda di Velux ma non ci hanno mai fatto
un pensiero sopra.
E oltre a domandarci quanti siano, l’altra domanda è “come
arrivare a loro, come riuscire a raggiungere un pubblico che non ha
mai espresso un’esigenza di Velux e non è minimamente tracciabile
attraverso le nostre attività di digital marketing, un pubblico che è
completamente fuori dalle nostre orbite di interesse?”
Perché se agiamo solo all’interno delle orbite, il rischio è quello di
saturare presto la fetta di pubblico che ci conosce o che somiglia a
qualcuno che possiede già un lucernario; se continuiamo ad agire
dentro le nostre orbite, perdiamo l’opportunità di raggiungere un
pubblico molto più vasto.
Semplifico con un esempio: ho cominciato nell’ultimo anno a
lavorare per Just Australia, un portale che offre servizi per tutti
coloro che decidono di provare un’esperienza in una terra lontana
come l’Australia.
A chi si rivolge il servizio?
1. A chi è già in Australia e vuole supporto.
2. A tutti coloro che vogliono trasferirsi in Australia e usano i
motori di ricerca per poi approdare ai nostri contenuti che
offrono tutto ciò che c’è da sapere per non trovarsi impreparati.
Ma esiste un terzo target, talmente grande da non essere
quantificabile: quante sono le persone che non hanno mai preso in
considerazione l’idea di andare in Australia e che potenzialmente
possono essere nostri clienti?
Non hanno mai fatto una ricerca sull’Australia ma hanno
caratteristiche tali per cui potrebbero andarci, ma nessuno gliel’ha
mai proposto.
E non andremo da loro dicendo “dai, vieni in Australia a lavorare”
come non andremo da un pubblico di abitanti di una mansarda a dire
“mettiti un lucernario in casa”, perché non funziona.
Abbiamo bisogno di un “trigger point”, di un punto di attivazione
della loro attenzione, di un pizzicotto emotivo che schiuda l’idea in
potenza e la faccia emergere sotto forma di bisogno.
Non c’è luogo migliore di Facebook e Instagram per dare la nostra
giusta dose quotidiana di pizzicotti emotivi.
Un incontro, un tormentone
Non c’è convegno, non c’è consulenza, non c’è un mio articolo o
un mio saggio in cui non citi questo episodio.
L’avevo anche accennato nel libro che ha preceduto questo,
Marketing in un mondo digitale, scritto a quattro mani con
Alessandra Farabegoli, ma non in modo così approfondito come farò
in queste pagine.
Era uno dei primi incontri con lo staff di Velux per ragionare
assieme su come affrontare l’investimento in advertising sui social
network e Marco Cordioli, il marketing manager, mi spiazzò
letteralmente con una frase.
Dobbiamo distinguere tra obiettivo di marketing e obiettivo commerciale. Vendere
lucernari è il nostro fine commerciale, ma non il nostro obiettivo di marketing. Il
nostro obiettivo di marketing è creare consapevolezza di luce naturale, della luce del
sole che proviene dall’alto e illumina le nostre case. Di lucernari ne venderemo molti
di più, se creiamo la cultura della luce naturale.

Traduciamo il concetto in altri business.


Non uso Facebook e Instagram per convincere persone sconosciute,
che in quel momento sono concentrate a fare altro, per esempio, a
comprare una casa in legno, perché è impossibile.
Uso Facebook e Instagram per creare consapevolezza sul costruire
in legno, mostrando che il legno di una casa non brucia, che dura più
del cemento armato, che è completamente atossico e naturale e che
costa meno di una casa tradizionale.
E lo faccio preparando una guida che sgomberi il campo da
qualsiasi dubbio (Figura 3.20).
Figura 3.20 Il “trigger point” di DomusGaia.

Non uso Facebook per vendere agli sconosciuti del cibo biologico
per cani. Lo uso per far capire quale sia l’enorme differenza tra le
classiche crocchette del supermercato a due lire che fanno male ai
vostri cani e le nostre che sono sane, certificate e naturali (Figura
3.21).
Figura 3.21 Il miglior modo per far capire la differenza tra delle crocchette normali e le
nostre.

Non uso Facebook e Instagram per far giocare a poker persone che
il poker non sanno nemmeno cosa sia. Ma li uso per mostrare il
grande sogno di investire 1 e guadagnare 100, utilizzando la propria
bravura di ragionamento, di inganno e di dominio dell’avversario.
E il modo migliore per farlo è mostrare azioni di gioco, ad alto
tasso emotivo (Figura 3.22).
Figura 3.22 Il “trigger point” di PokerStars.

Ora il concetto di “trigger point” comincia a farsi più limpido: se,


come il giocatore della Figura 3.22, vogliamo aggredire sui social
network una parte alta di un percorso di conversione, il pubblico fuori
dalle orbite, dobbiamo individuare il punto di attivazione, quell’area
di sensibilità dove possiamo intervenire per avere l’attenzione del
target verso il nostro universo per un primo punto di contatto, per
avvicinarli e intraprendere l’inizio del percorso.
E il trigger point scelto da Velux è molto particolare: “mettere
paura”.

The Indoor Generation


Gli obiettivi
Siamo figli della natura e la natura da secoli ha regolato le nostre
vite, il sole per la veglia, la notte e le stelle per il sonno. E avevamo
una interazione profonda con la terra, vivevamo le nostre giornate in
piena armonia con essa.
Poi abbiamo cominciato a chiuderci nelle case fino al punto di
trascorrervi dentro il 90% del nostro tempo.
E abbiamo sostituito la luce del sole con la luce artificiale delle
lampade.
L’assenza di natura dalle nostre vite ci ha portati ad ammalarci, a
sviluppare allergie, intolleranze, a perdere concentrazione: ora è
tempo di cambiare e di far sì che la natura ritorni nelle nostre vite.
Figura 3.23 Il video protagonista della campagna Indoor Generation.

Questa è “Indoor Generation”, la campagna Velux diffusa in tutta


Italia da maggio a giugno 2019 e vista da diciassette milioni di
persone soprattutto su Facebook e Instagram, che ha avuto una grande
eco mediatica anche in televisione e sulla stampa proprio per la sua
forza visiva tanto impressionante quanto inquietante.
Tecnicamente si tratta di un video di 3 minuti e 22 secondi, in vari
formati, da quello verticale per Facebook e Instagram al più
tradizionale 16:9 per YouTube, interpretato da alcuni bambini che
passano da uno stato di stretto contatto con la natura a una condizione
di reclusione in habitat artificiali.
L’obiettivo di Velux è quello di raggiungere una audience molto
estesa, non necessariamente composta solo da possessori di una
mansarda, attraverso qualcosa di molto distante dal prodotto
lucernario, ma creare consapevolezza sull’importanza della luce
naturale e un feeling con la natura anche se viviamo la maggior parte
del tempo in uno spazio chiuso artificiale.
E il primo oggetto della campagna è un video promosso grazie,
principalmente, all’advertising su Facebook e Instagram. La morale è
semplice: se affronto un grande pubblico sui social network
proponendo loro di acquistare un Velux, le chance di magnetizzare
l’attenzione sono molto scarse, se invece scelgo un prodotto più
popolare magari giocato con taglio più emotivo e distante dal mio
core business, le possibilità aumentano in maniera esponenziale.
E trattandosi di un main content video non dimentichiamoci di due
elementi fondamentali.
Il formato video è perfettamente in linea con lo stato attuale dei
social media in Italia, in cui l’engagement rate medio più alto in
assoluto è proprio quello attorno ai Facebook Page Post Video (Figura
3.24).
Figura 3.24 L’engagement rate delle varie tipologie di post su Facebook.

Per chi vuole operare in ambito advertising su Facebook e


Instagram esiste un sito che definire indispensabile è poco. Si tratta
di Facebook IQ, che mette a disposizione una marea di studi e di
analisi su target, costi pubblicitari e strategia proprio sul mondo
Facebook.
E all’interno della sezione Cross Border Finder
(https://www.facebook.com/business/insights/tools/cross-border-insights-finder)
potete comparare i costi pubblicitari nelle varie nazioni (Figura 3.25).
Figura 3.25 Il costo media della pubblicità nel tempo in Italia, Germania, Regno Unito e
Stati Uniti.

Nella Figura 3.25 compare il “Cost Index”, un indice di Facebook


per misurare il costo medio della pubblicità nel tempo, in questo caso
parliamo di una pubblicità di tipo “video”.
Se confrontiamo Italia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti
d’America, la prima cosa che salta all’occhio è quanto sia
“economica” la pubblicità video in Italia rispetto agli altri Paesi
oggetto della nostra analisi.
Sì, in Italia promuovere un video costa drasticamente meno,
garantendoci un CPM (costo per mille impression) e CPV (costo per
visualizzazione) decisamente bassi.
Già di per sé, quindi, solo l’utilizzo di un video ci permette di
aspettarci tassi di ingaggio in media più bassi rispetto agli altri
formati e di raggiungere la nostra audience a costi decisamente bassi.

La campagna video
Gli ingredienti della nostra campagna in questo momento sono due,
un video e una pagina di atterraggio: www.outsidein.velux.com.
Gli obiettivi dell’azienda sono principalmente quattro, due primari,
due secondari.
Obiettivo primario: raggiungere il maggior numero di persone in
target con il messaggio del video.
Obiettivo primario: ottenere il maggior numero di
visualizzazioni del video, perché un conto è raggiungere il
pubblico con un post, altro conto è fare in modo che visualizzi il
video per l’intera durata.
Obiettivo secondario: generare traffico sulla pagina di
destinazione.
Obiettivo secondario: generare interazione attorno al video.
Bene, adesso è tempo di sottoporvi un problema: quale di questi
obiettivi scegliete per lanciare su Facebook e Instagram una
campagna di advertising per promuovere il video?

Figura 3.26 La scelta dell’obiettivo nella Gestione Inserzioni di Facebook.


In primis fate attenzione alla domanda posta dalla Gestione
Inserzioni di Facebook: non vi sta chiedendo “qual è il tuo obiettivo
commerciale?” ma “qual è il tuo obiettivo di marketing?”. Vendere
lucernari è un obiettivo commerciale, che dobbiamo tradurre
nell’obiettivo marketing di creare una coscienza e una
consapevolezza di luce naturale, promuovendo il video.
In secondo luogo i vari obiettivi sono incolonnati in tre grandi
aree: la notorietà, “voglio mostrare il mio advertising senza nulla in
cambio”; la considerazione, “non mi accontento di mostrare la mia
campagna ma voglio un certo grado di attività del mio potenziale
consumatore come un clic per la campagna traffico o un like per la
campagna interazione”; e per ultima c’è la conversione, “voglio che i
miei utenti facciano un’azione forte come comprare o iscriversi a un
corso sulla mia landing page”.
Forse è meglio insistere: se siamo in una fase iniziale di un
percorso con il nostro pubblico, per esempio la fase in cui stiamo
facendo conoscere la nostra azienda attraverso un trigger point
prendiamo in considerazione principalmente campagne di notorietà e
considerazione.
Utilizziamo conversione invece verso un pubblico più caldo,
soprattutto in retargeting.
Per Velux ci sono quattro opportunità.
1. Copertura.
Raggiungere il maggior numero di persone all’interno del target
che abbiamo selezionato. Noi non vogliamo feedback, non
vogliamo like e non vogliamo clic, noi vogliamo estendere il più
possibile il raggio di penetrazione del nostro advertising
depositandolo sul feed Facebook di più utenti possibile presenti
nella nostra audience.
Figura 3.27 Le ottimizzazioni possibili su obiettivo “Copertura”.

All’interno della sezione Ottimizzazione per la pubblicazione


delle inserzioni Facebook vi permette di scegliere tra Copertura
e Impression ovvero di far pendere la bilancia
dell’ottimizzazione o sul raggiungere il massimo numero di
persone possibile, oppure di concentrarsi su un pubblico e
mostrare le nostre inserzioni il maggior numero di volte
possibile.
2. Traffico.
Raggiungere un pubblico per chiedere in cambio clic
sull’inserzione e il conseguente atterraggio sulla pagina di
destinazione.
Figura 3.28 Le ottimizzazioni possibili su obiettivo “Traffico”.

L’opzione suggerita è Visualizzazione della pagina di


destinazione. Facebook non andrà alla ricerca di persone
disposte a fare clic e basta, ma vuole assicurarsi attraverso il
pixel che il pubblico sia effettivamente atterrato sulla pagina
web, obiettivo della mia campagna.
Le altre ottimizzazioni sono degli ibridi, nel senso che
l’obiettivo è, sì, generare clic ma provo a ottenere questo
risultato grazie a un alto numero di impression o di copertura.
Quando usare le secondarie? Per esempio, devo far fare clic a un
target ottenendo il maggior numero di clic possibile in quel
target (Copertura giornaliera unica), oppure ho un target
ristretto e devo assicurarmi che ogni componente di quel
pubblico veda la mia inserzione molte volte (Impression).
Si contano sulla punta delle dita le volte in cui ho utilizzato
ottimizzazioni differenti da Visualizzazione della pagina di
destinazione.
3. Interazione.
Vado alla ricerca di quel pubblico in grado di generare un’azione
attorno alla mia inserzione. Potrebbe essere un like, un
commento, una condivisione, sfogliare un album, azioni quindi
che testimonino la presenza del pubblico sulla campagna.
Figura 3.29 Le ottimizzazioni possibili su obiettivo “Interazione”.

Anche in questo caso sono tre le possibili ottimizzazioni: la


principale, Interazione con il post, le secondarie, ovvero provare
a raggiungere lo stesso obiettivo, ma facendo lavorare
l’algoritmo o per copertura o per impression. Nella mia storia di
advertiser, per obiettivo “interazione” non ho mai utilizzato
ottimizzazioni secondarie.
4. Visualizzazioni del video.
Andare alla ricerca di quel pubblico disposto a visualizzare
almeno quindici secondi della mia campagna “Indoor
Generation”.
ThruPlay merita un approfondimento: se abbiamo un video della
durata di quindici secondi, Facebook andrà alla ricerca di quel
pubblico in grado di fare il 100% di retention, cioè se lo guarda
tutto.
Se il video dura più di quindici secondi, e nel nostro caso dura
molto di più, Facebook comunque cercherà un pubblico in grado
di mantenere desta l’attenzione per almeno quindici secondi.
Morale: fate video più brevi e considerate i tre minuti e mezzo
di “Indoor Generation” una sorta di licenza poetica!

Figura 3.30 Le ottimizzazioni possibili su obiettivo “Visualizzazioni del video”.

Ora la risposta: quale obiettivo scegliamo?


Attenzione perché ogni obiettivo esclude l’altro, nel senso che se
scegliamo “copertura”, l’algoritmo andrà a prediligere le persone
raggiunte a discapito dei clic, delle interazioni e delle visualizzazioni
del video.
Tanto per farvi capire quanto l’advertising sia una materia
complessa, a questa domanda non saprei rispondere nemmeno io.
Giuro, non ho una risposta ben chiara sull’obiettivo da scegliere.
Tendo a escludere “copertura” e “traffico”, perché è vero che
voglio raggiungere tante persone ed è vero anche che mi interessano i
clic sulla pagina di destinazione, però è vero anche che preferirei che
le persone guardassero il video il più tempo possibile e giocassero un
po’ con l’interazione, magari puntando sull’effetto di social proof.
Cos’è la social proof? Fare un’azione perché l’ha fatta qualcun
altro prima di me di cui io ho fiducia: come alle persone potrebbe
venire voglia di mangiare un gelato se qualcuno condivide il post
della gelateria Nonna Pallina su Facebook, così alle persone potrebbe
venire voglia di guardare il video di Velux se qualcuno lo commenta.
Immaginate di essere una madre o un padre e guardate un video
che spiega che vivere troppo al chiuso fa ammalare i bambini: non vi
viene spontaneo condividerlo sul gruppo WhatsApp dei genitori
dell’asilo? Non vi viene voglia di taggare nei commenti del post
qualche mamma o qualche papà con cui siete particolarmente amici?
In realtà, l’obiettivo “interazione” va usato molto raramente e solo
in presenza di oggetti-inserzione che abbiano un minimo di portata
sociale, ad alto tasso emotivo.
E le aziende che possono permetterselo, quelle che hanno una
dimensione fortemente orientata alla social proof, sono davvero
poche.
Di norma, se avete un video, l’obiettivo è uno soltanto:
visualizzazioni del video.

Target, placement, budget


Qual è il target di Indoor Generation?
1. Il primo è molto facile perché lo conoscete già. Quello che è già
il mio pubblico, tutti coloro che già conoscono Velux che ci
interagiscono, che visitano il sito web, che sono iscritti alla
newsletter.
“Ma come, Enrico? Non avevi scritto che Indoor Generation
serve proprio a raggiungere un pubblico che non conosce
Velux?”
Verissimo, ma i primi ambasciatori di una vostra campagna
marketing di questo respiro sono proprio i vostri primi clienti,
quelli che si sentono già rappresentati da voi, dal vostro
marchio, dalla vostra azienda e dalle vostre iniziative.
Questo l’ho imparato principalmente quando mi sono occupato
dell’advertising della piattaforma turistica della mia città,
Trieste. Lì ho capito che il primo target per le campagne di
Facebook e Instagram erano proprio i triestini, perché sono
pochi rispetto al tutto, costa poco raggiungerli (audience stretta,
budget ridotto) e gli effetti di eco con condivisioni, like e
commenti sono impressionanti (effetto social proof).
uindi la prima audience a cui pensare è chi è già il mio pubblico.

Figura 3.31 L’uso di audience di retargeting come target.

Ormai abbiamo imparato a conoscerli:


- persone che hanno visitato il nostro sito web negli ultimi
novanta giorni;
- i contatti dei clienti e dei potenziali clienti Velux aggiornati al
2019 e interfacciati con il database di Facebook;
- persone che hanno visitato il sito web del magazine mansarda.it.
2. Arriva il tempo di allargare le nostre audience e la cosa migliore
è cominciare con le audience algoritmiche, le lookalike e anche
queste le conoscete già. Solo che a differenza di quelle usate a
inizio capitolo, queste saranno molto più ampie.
Non abbiamo alcun timore a creare una audience somigliante
molto vasta, da più di tre milioni di persone, e la fonte che
useremo sarà il DNA più puro che possediamo, la lista dei nostri
clienti presenti nel database (Figura 3.32).
E li utilizziamo come target (Figura 3.33).

Figura 3.32 La creazione di una lookalike molto ampia al 10%.

Figura 3.33 L’uso di una audience lookalike come target.


3. Andiamo ancora più larghi. Se la campagna ha come
protagonisti i bambini e proprio la salute dei bambini è la
principale vittima degli spazi chiusi e artificiali, allora
spingiamoci fino ai genitori italiani.
In Figura 3.34 sono rappresentati tutti i genitori italiani,
escludendo però l’audience della lookalike e i contatti web di
Velux e mansarda.it.

Figura 3.34 L’uso di una audience Interest come target.

Abbiamo creato così la nostra prima campagna complessa, un


progetto di advertising che lavora su un obiettivo, con tre target
differenti e un oggetto-inserzione, il nostro video.
E sui posizionamenti non abbiamo molto di dire, lasciamoli
automatici riservandoci eventuali ritocchi successivamente (Figura
3.35).

Figura 3.35 La scelta dei posizionamenti su Facebook e Instagram.

Per raggiungere queste dimensioni di target, circa quattro milioni


di persone, abbiamo bisogno di almeno 20.000 euro al mese.
Ecco, adesso potete scegliere se smettere di leggere questo libro
“perché io non ho un budget del genere” o provare ad avere pazienza
e ragionare pensando che Velux è una multinazionale abituata a
investimenti molto consistenti su più media perché deve rivolgersi a
un pubblico decisamente vasto.
Quello che mi interessa non è tanto l’entità del denaro investito,
perché quella è proporzionale alle dimensioni del target, come ci
insegnano i casi di Nonna Pallina e Benetton, quanto piuttosto il
ragionamento a monte che non cambia: prima i nostri clienti e amici,
poi le audience algoritmiche, infine il pubblico indistinto.

I risultati
Ricordiamoci sempre una regola fondamentale dell’advertising su
Facebook e Instagram: i risultati si misurano sempre e solo in base
all’obiettivo scelto.
Se facciamo una campagna di copertura, i risultati da verificare
saranno in primis la copertura, poi le impression, poi il rapporto tra i
due, ovvero la frequenza, e infine il CPM, quanto ci è costata
l’erogazione di mille impression.
Se facciamo una campagna di copertura, non possiamo valutare
quanti contatti abbiamo raccolto, perché è una metrica non adeguata
all’obiettivo.
Per una campagna di visualizzazione del video, le metriche
portanti sono principalmente due: quante persone abbiamo raggiunto
ma, soprattutto, quante di queste persone hanno visualizzato il video
per più di quindici secondi.

Figura 3.36 La visualizzazione dei risultati nel pannello Gestione Inserzioni.

Abbiamo raggiunto quattro milioni di persone e il doppio per


quanto riguarda le impression, ottenendo 775.868 visualizzazioni del
video profonde.
A latere, questa campagna ha prodotto anche 14.000 reazioni (di
cui 10.330 condivisioni) e 50.000 clic sulla pagina di destinazione.
Stiamo parlando di un buon risultato? Anche in questo caso voglio
abusare della vostra pazienza e chiedervi di attendere per capire se
questo sia un buon risultato o meno, perché Indoor Generation non
finisce mica qui.
Eh, no, questa è solo la parte dedicata alla “paura”, ora è tempo di
rassicurare.
Un nuovo trigger point: rassicurare
Le aziende hanno capito ormai che i video sono degli elementi
strategici necessari all’interno dei social, purtroppo però si fermano
lì, alla fase emotiva: “Sai cosa potremmo fare? Una bella campagna
video”.
Una campagna di awareness è fondamentale se prevede dei follow
up successivi, altrimenti rimane tutto ancora all’effetto wow,
all’effetto di stupore (sempre che io riesca a ottenerlo, peraltro), a un
puro esercizio di stile per “mostrare” il mio brand.
E se Marco Cordioli, il direttore marketing di Velux, venisse da voi
e vi domandasse: “Bene, abbiamo raggiunto quattro milioni di
persone. E adesso cosa ce ne facciamo?”.
Questo è il pezzo fondamentale che manca nel puzzle delle
aziende, progettare strutture di ampia visione dell’advertising: una
volta che abbiamo raggiunto un obiettivo di copertura e
visualizzazione del video come possiamo rendere profittevoli le
audience che abbiamo ingaggiato?
Morale: dobbiamo sempre pianificare una fase successiva.
E se abbiamo giocato sulla paura, ora giocheremo sul rassicurare le
persone, raccontando loro che per riprendere contatto con la natura
una soluzione c’è.
In primis trasformando il nostro obiettivo marketing in un concetto
chiave: la luce naturale e l’aria in casa potrebbero cambiarti la vita.
Figura 3.37 Il primo follow up alla campagna Indoor Generation.

E poi andare oltre raccontando che, a qualcuno, la luce naturale ha


davvero cambiato la vita (Figura 3.38).
Figura 3.38 Il secondo follow up alla campagna Indoor Generation.

Al tradizionale approccio hit and run, in cui produciamo il video e


all’esaurimento del nostro budget tendiamo a sparire, preferiamo
creare delle sequenze narrative molto più ampie e durature nel tempo,
progettando un vero e proprio ecosistema (Figura 3.39).
Figura 3.39 La home page di storie.velux.it.

“Storie di Luce” (https://storie.velux.it/) è un nuovo progetto


editoriale di Velux dedicato interamente a trasformare la casa in un
ambiente sano e salutare. Articoli, studi, documenti su nuclei
famigliari e non, che hanno trasformato le proprie vite grazie sia a
piccole abitudini quotidiane, come spalancare sempre tutte le finestre
almeno per dieci minuti due o tre volte al giorno, sia a interventi più
decisi come piazzare un Velux sul proprio tetto.

Il target
La prima sequenza narrativa, la paura, è puro “broadcasting” e
punta a raggiungere un pubblico molto ampio (ma ovviamente non
casuale); la seconda sequenza, quella rassicurante, è decisamente
“narrowcasting” ovvero si rivolge a una fetta limitata e selezionata
del mio pubblico.
“Storie di Luce” lavora principalmente su quell’audience che si è
appassionata e fidelizzata all’universo dei contenuti proposti da
Indoor Generation.
E qui scatta una nuova forma di retargeting, il retargeting del
contenuto. Perché Facebook e Instagram ti mettono nelle condizioni
di crearti una audience proprio a partire da chi ha visualizzato il tuo
main content video (Figura 3.40).

Figura 3.40 La creazione di una custom audience basata sulle visualizzazioni di un


video.

Molto spesso, aziende e marketer si ancorano all’idea di creare un


piano editoriale calendarizzato con l’ottica di “riempire i buchi”.
“Che cosa mettiamo venerdì?”
“Mhhh, venerdì è il giorno della ricetta della nonna.”
“Ok, faccio un video o un link?”
“Metti un link, ché il video è troppa sbatta.”
Quest’idea di pianificazione editoriale è pericolosissima, perché
nel 2019 noi dobbiamo affrontare il contenuto in tre dimensioni.
1. Delivery, il momento in cui distribuiamo il nostro contenuto
sulla nostra Pagina Facebook o sul nostro canale Instagram e
investiamo dei soldi per promuoverlo.
“Scusa Enrico, ma stai parlando di delivery del contenuto prima
ancora di averlo creato?”
“Ovvio che sì.”
Delivery non è solo la scelta di un obiettivo, di un target e di un
budget, delivery è per esempio progettare un formato che la
favorisca. Distribuire nella maniera corretta è talmente
importante sui social network che influenza pesantemente la
costruzione stessa del contenuto.
Usare un video o un link non è una variazione editoriale, è una
vera e propria scelta di campo che determina la successiva scelta
di una campagna advertising.
2. Oggetto, la costruzione del contenuto.
3. Retargeting, dobbiamo immaginare sempre il nostro contenuto
come fonte di retargeting, la possibilità cioè di costruirci sopra
una audience da andare a ristimolare.
E quindi pensare alla dimensione relazionale di questo
contenuto, “riuscirà questa tipologia di post a generare il
maggior numero di trigger in modo da poterci costruire sopra un
pubblico?”
Quando abbiamo pensato a Indoor Generation, abbiamo ragionato
in tre dimensioni, in primis alla sua potenza distributiva sui social,
poi a un angolo creativo perfettamente coerente con questo tipo di
delivery, poi alla sua dimensione di retargeting.
Perché noi abbiamo bisogno di questo pubblico, per la nostra
successiva sequenza narrativa.
Altra cosa piuttosto interessante è andare ad analizzare come
evolve e si declina perfettamente su questo pubblico la nostra
comunicazione.
Se Indoor Generation è un prodotto molto indipendente dal
marchio Velux e con un interesse commerciale molto basso
(all’azienda non interessa vendere lucernari con questa campagna)
ma con un interesse di branding altissimo, la stessa cosa non si può
dire di Storie di Luce. In primis perché il marchio è molto presente in
ogni distribuzione e poi perché per la prima volta compare un tasto di
call to action: richiedi una consulenza gratuita.

Figura 3.41 Sulla home di Storie di Luce compare il tasto “richiedi”.

“Storie di Luce” non si accontenta solo di rassicurare ma introduce


un primo grande elemento di dialogo con l’azienda: se la narrazione
del terrore ti ha spaventato e se le storie rassicuranti ti hanno
appassionato, ti va di incontrarci per vedere che cosa possiamo fare
per te?
Perché prima vi ho chiesto di pazientare parlando dei risultati di
Indoor Generation? Perché sarebbe stato decisamente miope
analizzare l’esito di una campagna senza tenere conto della sequenza
narrativa successiva, in bilico tra un forte intento marketing e un
incipit di intento commerciale.
Tabella 3.5 Analisi del costo contatto di una audience di retargeting.
TARGET IMPORTO SPESO NUMERO CONTATTI COSTO CONTATTO
Remarketing 3.744 € 468 8€

I risultati tra l’altro sono frutto di campagna traffico, non di una


campagna conversione, cioé l’obiettivo del nostro advertising era far
atterrare il pubblico sulla landing page dedicata alle storie e non
acquisire contatti, quindi in teoria è scorretto che io vi parli di costo
contatto in una fase in cui l’obiettivo è il puro atterraggio sulla
pagina di destinazione, ma il risultato è talmente positivo che prende
il sopravvento su qualsiasi altra metrica.

L’ultimo atto
Finora abbiamo assistito a tre trigger point differenti.
1. Concetto chiave: metto paura!
Obiettivo marketing: “che cosa ti succede se non hai la luce
naturale in casa”.
2. Concetto chiave: comincio a rassicurare.
Obiettivo marketing: “la luce naturale ti cambia la vita!”
3. Concetto chiave: creo dei modelli.
Obiettivo marketing: “a qualcuno la vita gliel’ha cambiata
davvero”.

Manca il quarto punto, il più importante, far coincidere


l’obiettivo marketing con l’obiettivo commerciale.

4. Concetto chiave: ti cambio la stanza!


Obiettivo marketing/commerciale: “comincia a cambiare la tua
vita, partendo dalla tua stanza!”
La campagna “Daylight Experience” è una sequenza narrativa
finale nel nostro ecosistema pubblicitario che ha la funzione di
chiudere il cerchio.
Molto banalmente, se vivete in una stanza buia, potete scattarci due
foto e mandarcele, in cambio vi creiamo un render su come poter
trasformare il vostro spazio con la luce naturale.

Figura 3.42 Due esempi di post tratti dalla campagna “Daylight Experience”.

Questa non è ovviamente una campagna di awareness, non è


nemmeno una campagna di traffico; qui il mio obiettivo è la
conversione pura, andando a richiedere il contatto del mio pubblico
su Facebook e infatti l’obiettivo impostato sulla campagna è
Acquisizione contatto.
Figura 3.43 La scelta dell’evento del pixel a cui associare la nostra campagna di
conversione.

Su quale target?
Uno dei target principali è proprio quel pubblico che ha fruito del
materiale editoriale su storie.velux.it.

Figura 3.44 La creazione di una custom audience basata sulla sezione “Storie” del sito
web Velux.
Oppure quel pubblico che si è visto tutti i video di nuclei famigliari
a cui la luce naturale ha cambiato la vita.

Figura 3.45 La creazione di una custom audience basata su tutti gli spettatori dei video
Storie di Luce.

I risultati della terza sequenza meritano un’analisi più


approfondita, perché la motivazione con cui lasciano il contatto è
diversa dalla precedente.
Si tratta di un pubblico che non vuole “saperne di più”, no, questo è
un pubblico che vuole capire come Velux gli possa modificare la
stanza, questo è un pubblico fortemente motivato a visualizzare il
cambiamento e probabilmente ben intenzionato a fare un passo
successivo: rivoluzionare il proprio spazio grazie a Velux (Tabella
3.6).
Tabella 3.6 Analisi del costo contatto di una audience di retargeting.
TARGET IMPORTO SPESO NUMERO CONTATTI COSTO CONTATTO
Remarketing 3.200 € 400 8€

Il decalogo dell’ecosistema
Perché insisto così tanto parlando di advertising come ecosistema?
Questo capitolo ne è la testimonianza: “fare una campagna” su
Facebook e Instagram di per sé non vuol dire nulla.
Ogni punto del nostro sito web, ogni nostro contenuto, ogni
segmento di contatti del nostro database è un pubblico.
Un pubblico che può produrre altro pubblico, dando vita a un vero
e proprio ecosistema di audience, dalle più vicine alle più lontane.
L’advertising di un’azienda dovete immaginarlo come un filo rosso
che passa attraverso tutte queste audience e lega assieme, adattandosi
alle dimensioni e alle caratteristiche di ciascun insieme.
La pubblicità lavora sui trigger point più efficaci per le audience
più lontane, mentre utilizza delle azioni più concrete e decise quando
dialoga con un pubblico molto vicino al brand.
Quello rappresentato in Figura 3.46, per farvi un esempio, è il
diagramma che mostra l’ecosistema che abbiamo ideato per Velux
(l’immagine che ho pubblicato mi serve solo come “colpo d’occhio”,
se la volete osservare nella sua totalità la trovate qui:
http://bit.ly/ecosistema_velux).

Figura 3.46 Il diagramma dell’ecosistema advertising di Velux.

Ribadisco, come sempre, Velux è una multinazionale e ha bisogno


di sequenze molto complesse e tracciamenti estremamente precisi e
potrebbe non essere il vostro caso.
Ma prima di fare clic su pulsanti a caso su Facebook e Instagram,
prendete carta e penna e disegnate un progetto di advertising per la
vostra azienda.
Provate a seguire questo decalogo.
1. Tracciare le audience sulle nostre proprietà (sito web,
newsletter, Pagina Facebook, canale Instagram e contenuti).
2. Creare delle custom audience.
3. Creare delle lookalike audience.
4. Trasformare il nostro obiettivo commerciale in un obiettivo
marketing.
5. Trasformare il nostro obiettivo marketing in più obiettivi di
campagna Facebook e Instagram.
6. Se abbiamo obiettivi di campagna Facebook su chi è già Cliente
o Friend, usare le custom audience.
7. Se abbiamo obiettivi di campagna Facebook su un pubblico
indistinto, testare le lookalike.
8. Se lavoriamo su un pubblico indistinto, assicuriamoci che il
trigger point sia chiaro ed evidente.
9. Progettare sequenze successive (“che cosa facciamo fare a
queste audience?”), perché il nostro obiettivo è always on.
L’azienda deve sempre vendere e l’advertising orientato a
migliorare il vostro obiettivo di vendita deve sempre essere
erogato. Le stimolazioni offerte sono sempre diverse a seconda
del grado di vicinanza del nostro pubblico al nostro brand.
10. Analizzare i risultati, correggere, ottimizzare.

Checkpoint
1. Più vi allontanate dalla comfort zone dei vostri clienti o dei
friends, più l’advertising si fa complesso e delicato. Il requisito
chiave è non fare mai niente a caso. Se fate le cose a caso,
butterete via un sacco di soldi.
2. Se dovete affrontare un pubblico più ampio che non vi conosce,
affidatevi all’algoritmo attraverso le audience somiglianti.
Assicuratevi di trovare una fonte certa, su cui costruire una
lookalike audience.
3. Se dovete raggiungere un pubblico indistinto e volete usare gli
“interessi”, assicuratevi che siano reali. Interesse “fashion” o
“cucina” non vogliono dire nulla, sono troppo vaghi. “Genitori”
è tutto un altro mondo. Imparate a distinguere.
4. Il trigger point è come lo schiocco delle dita: vi girate per forza.
Ogni azienda del mondo ne ha uno o più di uno, voi dovete
trovare il vostro.
5. Un obiettivo commerciale non è sempre un obiettivo marketing,
un obiettivo marketing non è sempre un obiettivo Facebook.
6. Su Facebook e Instagram gli obiettivi sono quelli, punto e stop.
“Voglio fare tanti soldi” è solo nella vostra testa, non nella testa
di Facebook. Trasformate ciò che c’è nella vostra testa in un
obiettivo Facebook.
7. A volte le cose non sono ciò che sembrano. Un clic non è per
forza sempre un atterraggio. Fate in modo che lo sia.
8. L’interazione è l’obiettivo più potente in assoluto. Ma è riservato
solo a chi ha una dimensione di portata sociale del brand.
Credetemi, sono pochissimi. Evitatelo.
9. Il retargeting è la chiave di tutto, sempre. Ma assicuratevi di
andare a risuonare al campanello giusto. Perché non c’è nulla di
peggio che sbagliare casa.
10. Meglio che ve lo ripeta. Non possiamo usare Facebook e
Instagram per vendere finestre. Dobbiamo usare Facebook e
Instagram per creare consapevolezza di luce naturale. Le finestre
le venderemo dopo. E ne venderemo di più.

Appendice tecnica

Asta o copertura e frequenza?


Quando all’interno del capitolo abbiamo proposto la scelta
dell’obiettivo, se osservate bene la schermata iniziale per la creazione
di un’inserzione, Facebook ci propone due possibilità: Asta o
Copertura e Frequenza.
La maggior parte delle campagne Facebook e Instagram vengono
fatte in modalità “asta”.
Lo dice il nome stesso, quando facciamo advertising in una
piattaforma come Facebook (non solo ovviamente, questa modalità è
presente in quasi tutte le forme di advertising online) partecipiamo a
un’asta e il nostro costo è determinato da tre elementi base:
1. quanto offriamo (advertiser bid), cioè quanto siamo disposti a
puntare per far visualizzare la nostra inserzione.
Se notate, quando si va a impostare l’ottimizzazione delle
campagne, potete scegliere se far fare il lavoro a Facebook
oppure decidere voi l’entità dell’offerta, se c’è un obiettivo di
costo specifico. Lasciando in bianco il campo del costo, si
delega all’algoritmo la scelta dell’offerta migliore.
Figura 3.47 La differenza tra asta automatica e manuale.

Per esempio, su un budget di 10 euro giornalieri per una


campagna, Facebook stesso penserà a chi e quando mostrare la
nostra inserzione per ottenere il costo di interazione migliore. Se
invece conosciamo perfettamente il costo medio di
un’interazione per la nostra campagna oppure non vogliamo
spendere più di un tot, andremo a personalizzarlo e a inserire un
costo medio deciso da noi (Figura 3.48).

Figura 3.48 Impostare un bidding manuale.

In questo caso ho scelto 0,03 euro perché non sono disposto a


pagare oltre.
Se siamo all’inizio del nostro percorso di advertising su
Facebook e Instagram, il consiglio è quello di lasciar fare
sempre all’algoritmo perché un “bidding manuale” cioè la nostra
scelta precisa di quanto vogliamo pagare prevede una
conoscenza esatta delle nostre metriche e di quanto ci costa
mediamente un’interazione, una conversione, un clic.
Fidatevi dell’algoritmo e passate a strategie di costo manuali
solo quando avete fatto una notevole dose di esperienza
nell’advertising su Facebook;
2. la stima del raggiungimento dell’obiettivo (Estimated Action
Rate), ovvero quali sono le probabilità che il mostrare la nostra
inserzione produca l’effetto desiderato.
E qui entrano in gioco una marea di fattori come la scelta del
target giusto, il segmento di mercato in cui operiamo, la nostra
Pagina Facebook e altri fattori che possiamo solamente
immaginare, visto che questo tasso viene deciso esclusivamente
dall’algoritmo;
3. la qualità della nostra inserzione (User Value), ovvero la stima
del valore della nostra inserzione, come le reazioni del pubblico
alla pubblicità, per esempio evitando i feedback negativi, cioè
quando un utente infastidito dal messaggio oscura il messaggio.
In poche parole, quanto sta piacendo la vostra pubblicità.
Il punto 2 e il punto 3 danno vita a una metrica riscontrabile nelle
nostre campagne che prende il nome di punteggio di pertinenza
(Figura 3.49).
Figura 3.49 Esempi di punteggi di pertinenza differenti.

Nella Figura 3.49 ho isolato il punteggio di pertinenza che va da 1


a 10, che insieme alla tipologia di offerta scelta concorre alla vittoria
dell’asta; valori di pertinenza alti solitamente vincono le aste quindi
costano meno e portano risultato, valori di pertinenza bassi le
perdono.
Attenzione, spesso e volentieri il punteggio di pertinenza è un
indicatore molto sottovalutato, ma io lo ritengo importantissimo
soprattutto in una fase alta di un percorso di conversione in cui la
nostra missione è proprio attivare dei trigger point, dei punti di
attivazione del nostro pubblico. In questa fase, senza un punteggio di
pertinenza più alto di 6-7 possiamo fare ben poco. Per inciso: il video
di Indoor Generation ha un punteggio di pertinenza di 7 su 10.
L’altra possibilità di creare una campagna Facebook e Instagram è
in modalità “copertura e frequenza”, ovvero di “comprare”
l’esposizione di una pubblicità a un pubblico in anticipo e a prezzo
bloccato.
Immaginiamo di voler fare una campagna di advertising video con
target genitori italiani e impostiamo il nostro pubblico (Figura 3.50).

Figura 3.50 L’impostazione del target di una campagna per Copertura e Frequenza.

Una volta selezionato il target, Facebook mostra la schermata di


Figura 3.51.
Figura 3.51 La scelta del budget in una campagna di Copertura e Frequenza.

Investendo 900 euro mi garantisco una copertura di 579.406


persone, con una audience potenziale (cioè le persone idonee a vedere
la mia inserzione) del 58% sull’intero target, un costo per impression
(CPM) di 0,93 euro e una frequenza, ovvero il rapporto tra quante
persone raggiungiamo e quante volte le raggiungiamo, di 1,67.
Assomiglia ai mutui a tasso fisso: pago un tot fino alla durata della
campagna e so più o meno che otterrò questo, senza grandi variazioni.
Fantastico no?
In realtà no. In primis perché mi precludo l’opportunità di pagare
meno qualora una campagna asta fosse meno costosa.
Poi perché per scegliere l’opzione di copertura e frequenza devo
lavorare su una audience di almeno 200.000 persone, il che significa
avere un discreto budget da spendere.
Morale: avete un pubblico bello ampio e definito da raggiungere?
Avete soldi a sufficienza per raggiungerlo? Volete assicurarvi di
raggiungerlo a un costo per impression fisso senza possibili sorprese
future? Allora utilizzate le campagne di copertura e frequenza,
altrimenti fate come il 90% degli inserzionisti e giocate con l’asta
tradizionale proposta da Facebook.
Capitolo 4

La genesi di un trigger point

Siamo attorno alla metà di aprile 2019 e l’intero globo sta


aspettando l’evento dell’anno, l’inizio dell’ottava e ultima stagione di
Game of Thrones.
L’attesa è fortissima perché finalmente si decideranno i destini
delle casate di Winterfell, dei Lannister e della sfida impossibile con
i non-morti.
Io non sto più nella pelle perché, oltre a essere un fan della serie,
da qualche anno ho cominciato ad avvicinarmi alla prosa di George
R.R. Martin, l’autore della incompiuta (finora) serie dei libri da cui è
tratta la saga televisiva.
Su Facebook e Instagram non si parla d’altro, il mio feed è intasato
da speculazioni su chi morirà, su chi vincerà e naturalmente su chi
sarà l’erede al Trono di Spade. Addirittura una decina di amici
partecipano al toto-trono, un servizio online sponsorizzato sui social
per scommettere su ogni possibile fine della saga.
In questa dimensione social ad altissimo tasso di engagement
decidono di infilarcisi anche le aziende.

Real Time Marketing e


NewsJacking, un paradigma
obsoleto
In un bellissimo libro di una decina di anni fa, David Meerman
Scott propone un modello di penetrazione dei media essenzialmente
basato sullo studio del “tempo reale”, su ciò che ci sta accadendo
attorno.
Vi semplifico il ragionamento con il post di un brand molto
conosciuto in Italia perché applica costantemente questa strategia
(Figura 4.1).
Che cosa fa Taffo, l’agenzia di pompe funebri, famosa proprio per
questo tipo di comunicazione?
1. Controlla Google News e i vari social e inquadra l’agenda
setting della giornata.
2. Individua la notizia portante che in questo caso è una
dichiarazione di Di Maio fatta a Presadiretta su Rai Tre:
Serve una rivoluzione culturale, l’acqua è un bene primario, se
pensiamo che il corpo umano è costituito, per più del 90%, di
acqua.
Si tratta di un errore piuttosto grossolano perché il corpo umano
è formato da un 60%, al massimo un 70% di acqua.
Il Web si scatena con post e tweet decisamente divertenti, da “in
soli tre mesi di governo aumentata del 30% l’acqua corporea”
passando per “ci siamo trasformati in angurie e nessuno se n’è
ancora accorto”.
3. Aggancia la notizia principale al proprio core business,
trasformando la bara in una vasca in una piscina e creando un
copy ironico “Luigi se fossimo composti dal 90% di acqua, non
venderemmo bare ma vasche” (Figura 4.1).
Figura 4.1 Un celebre esempio di newsjacking all’italiana: il servizio di pompe funebri
Taffo.

David Meerman Scott sintetizza la storia di una news, potenziale


oggetto di questa strategia, in sei fasi.
1. L’uscita della news.
2. I vari follow up delle testate a queste news (altri articoli,
commenti).
3. La crescita dell’engagement sui social.
4. Il picco assoluto dello sharing, della discussione e dei commenti.
5. I ritardatari, cioè quelli che sono arrivati tardi alla
partecipazione al rituale di discussione.
6. La morte della news.
Se volete fare newsjacking dovete per forza, sempre, posizionarvi
tra il punto 1 e il punto 2, individuare per primi la news promettente,
costruirci sopra un oggetto-contenuto e farvi accompagnare dalla
grande onda dell’entusiasmo social.
Funziona? Sì, decisamente sì, a patto che rispettiate due grandi
regole, la prima che siate i primi, la seconda che conosciate il timing
esatto per pubblicare il vostro contenuto, né troppo prima, perché
potreste anticipare di molto l’esplosione social, né troppo dopo,
perché il pubblico è ormai saturo.
Molti brand si sono lanciati con notevole successo in questa
pratica, come Ikea per esempio, quando l’Italia mancò per la prima
volta nella sua storia la qualificazione ai mondiali di calcio proprio
contro la Svezia e l’allenatore Gian Piero Ventura venne
immediatamente esonerato (Figura 4.2).
Figura 4.2 La comunicazione Ikea sfrutta costantemente la strategia del newsjacking.

E sempre in tema calcistico, come non ricordare un meraviglioso


tweet di Snickers quando il fenomenale attaccante uruguagio Luis
Suarez morse la spalla a Giorgio Chiellini durante una partita dei
mondiali 2014 (Figura 4.3)?
Figura 4.3 La pubblicità di Snickers sfrutta la popolarità mondiale del gesto di Luis
Suarez.

Ma è con proprio l’uscita dell’ottava stagione di Game of Thrones


che abbiamo raggiunto il più alto picco possibile del newsjacking, in
Italia e nel Mondo.
Dalla piccola alla grande azienda, dal produttore di caldaie alla
multinazionale della grande distribuzione, nessuno ma proprio
nessuno si è risparmiato su Facebook e Instagram.
Figura 4.4 L’uscita dell’ottava e ultima stagione di Game of Thrones ha scatenato la
creatività delle aziende italiane.

Perché le aziende dovrebbero spendere del denaro per creare questo


tipo di contenuti e promuoverlo sui social?
Proviamo a ricostruire i potenziali obiettivi del marketing di
un’impresa che vuole lavorare su questi presunti trigger point.
1. Il primo obiettivo è proprio quello del newsjacking, cioè di
sfruttare e cavalcare il potenziale effetto socializzante di una
news o di un evento.
2. Il secondo è quello di ottenere attenzione sul proprio brand,
inseguendo la creatività più originale.
3. Il terzo, più pratico, è quello di aumentare la visibilità del
marchio per poi, come abbiamo imparato, sfruttare le interazioni
in chiave di remarketing.
Spesso le aziende interpretano i social come valvola di sfogo
“scema” della propria identità aziendale. Siamo persone serie,
compassate, andiamo al lavoro in ordine, siamo gentili e educati, ma
questo non può continuare per sempre, abbiamo bisogno di uno nostro
angolo per essere per un po’ scemi, un po’ infantili, giocosi.
Per molte aziende, spesso Facebook e Instagram rappresentano i
luoghi dove essere... un po’ scemi.
Funziona?
Non penso che non funzioni, penso semplicemente che funzioni
molto meno di altre strategie.
Una delle condizioni primarie, come ho già scritto, è l’unicità,
perché se siamo gli unici o i primi a generare dei meme su Facebook
e Instagram, l’attenzione è tutta su di noi, ma se tutti i brand italiani
utilizzano questo approccio siamo nella piena content blindness, nella
cecità del contenuto: se iteriamo sempre la stessa formula, nel medio
e nel lungo periodo diventiamo invisibili, esattamente come le
destinazioni turistiche quando scrivono “location unica”.
Questo approccio lascia il segno? No, non disturba, non inquieta,
non rasserena, non “triggera”.
Il massimo che possiamo ottenere è una reazione vicina al “ah,
carino”.
E l’engagement che otteniamo è sfruttabile in futuro, magari come
quello ottenuto da Indoor Generation? No, perché l’engagement in
questo caso è principalmente estetico, non relazionale, non è frutto di
una relazione profonda di interesse con il brand.
Quando io mi trovo davanti a un oggetto-contenuto e dico “ah,
carino”, esprimo un ingaggio debole, con un tasso di partecipazione
emotiva quasi pari a zero.
Nessuna azienda al mondo vorrebbe creare una audience di
retargeting basata su un pubblico che ha espresso interazioni lievi, “di
passaggio”, poco attinenti con l’identità del brand. Una audience di
retargeting del genere sarebbe potenzialmente disastrosa per la nostra
azienda.
Definire il nostro trigger point aziendale non significa fare gli
scemi su Facebook e Instagram, come non significa innescare
narrazioni che siano molto distanti dal nostro stile e dal nostro
universo.
Definire un trigger point è frutto di un processo molto ragionato e
complesso.

Comunità pagane e comunità


cristiane
Sono quasi dieci anni che io e i miei colleghi lavoriamo per il
mondo del poker e del gambling. Non è certo un mercato socialmente
desiderabile, tanto che da luglio 2019 è vietata qualsiasi forma di
advertising online, quindi quello che vi sto raccontando risale a circa
due anni fa.
Prendiamo a esempio un casinò online: qual è il principale
problema di questi giochi? Le odds, le probabilità.
I giochi d’azzardo vengono chiamati così proprio perché hanno
probabilità contrarie di vincita: quando punti alla roulette hai una
probabilità di 1 su 37 che esca il tuo numero, ed è un gioco
statisticamente non battibile, nel senso che se giochi una cifra per un
lungo periodo sarai destinato a perdere. Puntare è un azzardo,
appunto.
E il problema per una casa da gioco paradossalmente è proprio
questo, che le persone perdono tutto e se perdono tutto smettono di
giocare.
E il marketing di una casa da gioco si trova di fronte a due grandi
problemi strategici nell’advertising su Facebook e Instagram.
1. Trovare sempre nuovi giocatori che depositino del denaro per
giocare.
Certamente, posso lavorare di remarketing su tutti quelli che
hanno svuotato il conto, proponendo loro un bonus per il ritorno
al gioco, ma è evidente che senza nuova linfa vitale prima o poi
questo target si esaurirà.
E andando alla ricerca di nuovi giocatori, è molto difficile
comparire sul feed Facebook e Instagram dicendo “dai vieni a
puntare alla roulette, vincerai un sacco di soldi”.
Perché è come provare a vendere a freddo un lucernario, non
funziona.
Il pubblico non ti crede, il pubblico sta facendo altro, il pubblico
non si fida.
2. Affrontare la poca desiderabilità sociale del gioco.
Chi mai interagirebbe con un’inserzione sul gioco d’azzardo?
Giocare è un fatto intimo, non socializzato, poco visibile.
Nessuno si esporrebbe mai lato social.
Come già scritto nel primo capitolo, utilizziamo spesso gli
“amici dei fan” come target perché almeno il messaggio viene
mediato da qualcun altro che con quell’inserzione e con quella
pagina ha già avuto a che fare.
Ma anche in questo caso l’azienda si prende carico di notevoli
rischi perché capita spesso che nei commenti qualcuno scriva
“Ehi, Mario, ma non ti vergogni a fare queste cose?”, solo
perché nell’inserzione compare “A Mario piace questa pagina”.
Uno dei trigger point più classici del gaming è quello di associarsi
ad altri mondi e ad altri immaginari, come quello sportivo, per
esempio (Figura 4.5).
Figura 4.5 Star del Toro, una delle prime iniziative di content marketing di StarCasinò in
co-branding con il Torino Calcio.

“Star del Toro” è un progetto di StarCasinò del 2017 in cui gli


utenti su Facebook e Instagram possono votare il giocatore preferito
della settimana della compagine granata, con un pesante riverbero di
“social proof”: voto il giocatore, condivido il mio voto su Facebook
attraverso un link mettendolo a disposizione di tutti i loro amici.
Ma l’azienda non si accontenta, per due motivi principali: perché
questa tipologia di contenuto è sempre molto costosa (per fare
content marketing devo sponsorizzare una squadra) ma soprattutto
perché questo progetto editoriale è stagionale, è legato all’inizio e
alla fine del campionato di calcio italiano. E negli altri mesi?
Ci vuole una produzione di content marketing più duratura nel
tempo e meno legata ai singoli eventi sportivi. Pensate per un attimo
alla roulette, alle slot machine, al mondo del casinò.
Quale content marketing strategico potete immaginarvi per il
mondo Facebook e Instagram?
Figura 4.6 Dopo aver votato la propria “star”, condividiamo sul nostro profilo l’azione
esponendola al nostro pubblico.

Come sempre nel dubbio, analizziamo i nostri dati.


La prima cosa che abbiamo analizzato sono i gusti del nostro
pubblico, scoprendo una audience poco definibile che ha come
programma TV preferito Ciao Darwin, come squadre preferite l’Inter,
il Milan e la Juventus, l’attore più amato è Massimo Boldi e le pagine
Facebook più frequentate sono “I 991 messaggi più divertenti” e “Il
mio ex ragazzo è un bastardo”.
Niente, nessun elemento particolare che possa aiutarci a creare un
contenuto che sia coerente con il brand per cui stiamo lavorando e
nello stesso tempo magnetico per il pubblico che stiamo cercando.
Siamo in alto mare.
Poi, quasi per caso, notiamo un particolare.
Già di suo il tasso di istruzione medio degli abitanti di Facebook e
Instagram non è propriamente altissimo come ci mostra Audience
Insights (Figura 4.7).
Figura 4.7 Il tasso di istruzione medio del pubblico di Facebook.

Ma quando verifichiamo la scolarizzazione del pubblico dei casinò,


siamo di fronte a qualcosa che non possiamo trascurare: l’indice è
ancora più basso della media di Facebook e Instagram.

Figura 4.8 Il tasso di istruzione medio del pubblico legato all’interesse “Casinò”.
A quel punto siamo partiti per la tangente con un ragionamento
quasi iperbolico: un americano probabilmente lo definirebbe
“overthinking” ma visti i risultati prodotti forse mandare così oltre il
pensiero grazie a una visione, spesso è decisamente utile.
Pensavo al poker e pensavo agli esordi del poker online in Italia,
verso la seconda metà del 2008: nonostante il Texas Hold’em sia un
gioco di abilità, ovvero che nel lungo periodo se sei bravo
inevitabilmente vinci dei soldi, l’Italia è sempre stato un Paese molto
perdente, rispetto agli altri Paesi europei.
E frequentando per lavoro il mondo dei tornei live, posso garantirvi
che la maggior parte dei giocatori non era in grado di riconoscere un
proprio errore di valutazione matematico-statistica e trovava sempre
un colpevole: la sfortuna. Un agente esterno indomabile, in grado di
individuare un predestinato e accanirsi su di lui.
Poi ho pensato ai miei studi di Antropologia Culturale e al vago
ricordo che avevo di uno dei miei studiosi preferiti, René Girard, e la
grande distinzione che lui faceva tra le comunità pagane e le
comunità cristiane: quando arriva l’inondazione, l’inondazione non è
interpretata come un fenomeno naturale, ma come “questo è un segno
dell’ira del dio e abbiamo bisogno di un sacrificio per placarlo”.
Le comunità cristiane segnano un nuovo punto di vista perché “la
colpa” viene interiorizzata nella comunità, proprio con la figura del
Cristo, che con la crocifissione si fa carico della responsabilità.
E poi ho pensato a tutto questo e al casinò e ho provato a
immaginare la comunità dei giocatori come a una comunità pagana. E
ogni comunità pagana ha bisogno di un mediatore, di una figura che
faccia da tramite tra le persone e il dio, ogni comunità pagana ha
bisogno di uno sciamano.
E così anche i giocatori del casinò hanno bisogno di un oggetto
sciamanico per placare la sfortuna che si accanisce su di loro.
E il nostro oggetto sciamanico è lui: l’oroscopo.

Figura 4.9 La home page dell’Oroscopo di StarCasinò.

Questo è il nostro avamposto content sui social network, un post


sponsorizzato che ti inviti ogni settimana a scoprire quale sia il
destino del tuo segno (Figura 4.10).
Figura 4.10 Un classico post sponsorizzato dell’Oroscopo.

E dentro all’oroscopo posso scoprire le mie previsioni relative a


salute, amore, denaro (soprattutto denaro!) e magari conoscere il mio
numero fortunato della settimana.
E non posso resistere al clic, devo per forza saperne di più su cosa
ha in mente per me lo sciamano.
E infatti faccio clic. E come se lo faccio.
Figura 4.11 Il CTR medio altissimo del contenuto oroscopo per StarCasinò.

Il Click Through Rate è il rapporto tra le visualizzazioni di un post


e il clic: ogni volta che mostro cento volte il mio contenuto, quante
volte viene cliccato?
La media dell’oroscopo è impressionante, siamo attorno al 20,47%
con un picco addirittura al 35,58%: raramente nel mio storico di
advertiser ho visto cifre del genere, stiamo parlando di una mole di
traffico enorme traghetttato sul sito web a costi bassissimi, 0,02 euro
a clic di 0,03 euro (per atterraggio sulla pagina destinazione: 0,03
euro).
E ogni volta che questo pubblico atterra sulla pagina, il pixel lo
trasforma in una custom audience Facebook di persone che
consultano lo sciamano per avere una guida su come destreggiarsi in
un universo governato dalla sorte.
E nulla ci vieta di utilizzare questa custom audience per proporre
un messaggio del tipo: “Ehi, il tuo numero fortunato della settimana è
il 14, vieni a giocarlo con 10 euro di bonus di primo deposito”.
Questi modelli di trigger point mi piace chiamarli “cavalli di
Troia”:
1. il cavallo di Troia sostituisce il prodotto nella delivery ma ne
contiene il germe. Non mostra la roulette, ma mostra il numero
fortunato che potresti giocare;
2. quel pubblico che tiene le barriere alzate se mi presento con il
mio esercito di advertising di prodotto, le abbassa
completamente se porto loro un regalo.
Con tutto un altro target, con tutta un’altra strategia, ma anche
Indoor Generation è un cavallo di Troia:
1. uso l’approccio emotivo per generare consapevolezza sulla luce
naturale. Non mostro i lucernari, ma mostro un universo che ne
contiene il seme;
2. nessuno si girerebbe mai se urlassi su Facebook “compra una
finestra”, ma son sicuro di avere l’attenzione del pubblico se
sussurro “guarda che negli spazi chiusi, tuo figlio si ammala”.

L’essenza dell’ecosistema: quando


un insieme ne influenza un altro
Questa è la home page di Uppa.it, “Un Pediatra per Amico”, la
rivista per i genitori, scritta da pediatri, pedagogisti, psicologi e altri
specialisti che si occupano di bambini (Figura 4.12).
Figura 4.12 La home page di Uppa.it.

Focalizzate la vostra attenzione sull’articolo al centro in basso,


quello intitolato “Come si lavano i denti ai bambini?”.
Nel capitolo precedente abbiamo imparato a lavorare sulle tre
dimensioni del post Facebook o Instagram:
1. pensare alla distribuzione del contenuto;
2. pensare alla costruzione del contenuto;
3. pensare al retargeting di un contenuto.
Bene, riattivate questo suggerimento strategico e mettetelo da parte
per un attimo.
Ora voglio concentrarmi su un’altra cosa: voglio che vi mettiate
comodi e che riflettiate qualche secondo sul perché un articolo del
genere si intitoli proprio “Come si lavano i denti ai bambini?”
In primis perché devo ragionare su una titolazione “SEO oriented”
cioè un titolo che possa diventare automaticamente magnete del
traffico di una domanda diretta e andare a incrociare mamme, papà,
baby sitter e nonni che hanno qualche dubbio su come lavare i denti
ai bambini e lo risolvono con Google.
E infatti sul motore di ricerca, il nostro compito lo assolviamo al
meglio (Figura 4.13).

Figura 4.13 Il risultato sulla SERP di Google di un contenuto Uppa.it.

Siamo di fronte alla strategia più semplice del mondo: abbiamo


costruito un content marketing orientato a essere la miglior risposta
possibile a una domanda di informazione. Ma non basta più. Nel 2019
dobbiamo pensare alla dimensione relazionale del contenuto, ovvero
alla sua condivisione sui social (Figura 1.14).
In questo caso il mio target non è più qualcuno che
consapevolmente e molto apertamente ha chiesto al motore di ricerca
di aiutarlo a capire come si lavano i denti, qui l’obiettivo del
contenuto prende una sfumatura diversa: diventa un trigger point.
Ci rivolgiamo sia a un pubblico che non ha ancora iniziato a lavare
i denti ai figli, sia a una audience che forse quei denti li sta lavando,
ma non sa ancora se lo sta facendo in modo corretto o meno.
Il messaggio potrebbe essere letto come un “ehi, genitori, siete
sicuri che li state lavando in modo corretto?”, sollevando un dubbio,
lavorando su una domanda latente.
Quei genitori magari non conoscevano altri metodi oltre al proprio
per lavare i denti e un post sponsorizzato del genere solleva loro il
dubbio che, sì, altri metodi potrebbero essere migliori dei loro.

Figura 4.14 Il post sponsorizzato su Facebook e Instagram relativo al contenuto “denti”.


Di Velux abbiamo già parlato a lungo ma è impossibile non notare
che uno dei follow up principali della campagna Indoor Generation
interpreta al meglio questa logica (Figura 4.15).

Figura 4.15 Uno dei tanti follow up alla campagna Indoor Generation, questa volta
giocato sui falsi miti che circolano su una casa “sana”.

Instillare il dubbio, far saltare il grillo, il pizzicotto leggero al


proprio pubblico per capire o meno se la casa in cui vivono sia
davvero sana come pensano.
Quel punto di domanda finale è lo schiocco delle dita
dell’attenzione.
Ma torniamo a Uppa e a quell’articolo su come lavarsi i denti
perché il ragionamento non finisce qui; se ci pensiamo bene, noi
abbiamo architettato il contenuto “denti” seguendo quattro
dimensioni, non più tre: domanda diretta, domanda latente, contenuto
e retargeting.
Quando pensiamo a un titolo, a un oggetto contenuto, non
dobbiamo limitarci alla sua dimensione di domanda diretta, ma
immediatamente dobbiamo concepirlo come oggetto di condivisione
e social proof all’interno di Facebook e Instagram.
Ed ecco che nell’ecosistema di Uppa, la domanda latente influenza
la domanda diretta e solo l’osmosi di questi insiemi genera le
pratiche strategiche migliori.

Il segreto di un trigger point


Prima inquadri il tuo obiettivo, poi cerchi il trigger point sui social
per raggiungerlo.
La creatività dev’essere sempre funzionale al tuo obiettivo di
business.
Il trigger point è quella cosa che ferma il tuo pollice durante lo
scrolling di Facebook e di Instagram.
Prima di attuare qualsiasi strategia di advertising sui social, fatevi
sempre una domanda: ma questo post rappresenta una potenziale
attivazione per avvicinare il pubblico al mio business?
Quando ho scritto Marketing in un Mondo Digitale con Alessandra
Farabegoli, abbiamo raccontato di una scuola di danza che deve
aprire le proprie porte per un open day dimostrativo. Se usciamo sui
social con un anonimo post in cui scriviamo “Riscopri armonia e
benessere per il tuo corpo” nessuno si fermerà mai durante lo
scrolling.
Se invece ci rivolgiamo al nostro target dicendo “Anche questo
mese non sei andata in palestra?”, state sicuri che avremo la sua
attenzione.
Ma non solo: esprimiamo al meglio il nostro obiettivo di business
perché noi vogliamo esattamente tutte quelle persone che si sono
iscritte in palestra e non ci sono mai andate. E si sentono in colpa.
Da noi non accadrà mai, perché ti seguiamo, ti stimoliamo, siamo
al tuo servizio.
Trigger point è anche lavorare sui luoghi comuni del nostro
business: abbiamo già citato, per esempio, la guida di DomusGaia che
prova a fugare tutti i dubbi che avvolgono il mondo delle costruzioni
in legno.
Ma Uppa non è da meno visto che sul mondo genitori lavora
tantissimo, per esempio sulle leggende metropolitane che circondano
le donne in gravidanza.
Tra tutti i miti, quelli scelti sono un po’ strani, inconsueti, proprio
per andare molto oltre le aspettative di un pubblico che è abituato a
toni più tenui come un banalissimo: “Quali sono i miti da sfatare
quando si è in gravidanza?” (Figura 4.16).
Ricordiamoci sempre che la vittoria nelle aste di Facebook e
Instagram la si conquista principalmente per il valore della singola
inserzione e il feedback del pubblico raggiunto. Alzare un po’ i toni
aumenta la forza del mio copy e la possibilità di sbaragliare la
concorrenza.
Figura 4.16 Uppa fa luce su alcune leggende metropolitane stravaganti che
accompagnano il tempo della gravidanza.

Un altro modo, in realtà molto difficile e delicato per alzare i toni,


è quello di polarizzare.
“Polarizzare” è un termine ormai familiare per chi si occupa di
comunicazione politica: un trend ormai consolidato è quello di
eliminare completamente i toni di grigio, il possibilismo, puntare a
una dimensione manichea utilizzando spesso post che lavorino
sempre sul “o con noi, o contro di noi”.
Che tu stia con me o che tu stia contro di me, in entrambi i casi ti
ritroverai a condividere il mio post e io politico guadagno una marea
di copertura gratuita magari verso un pubblico non schierato che
entra a contatto per la prima volta con la mia immagine e il mio
messaggio. Così da influenzarlo.
I brand hanno cominciato a capire questo giochino e per
esemplificarlo uso un recente post di Ikea.
A Verona si tiene il primo grande convegno sulla famiglia
tradizionale con ospiti un bel po’ di personalità di governo e
l’azienda svedese risponde schierandosi contro e proponendo la
propria idea di famiglia, molto più inclusiva e trasversale.
L’effetto di polarizzazione avviene quando si scatenano i supporter
del brand a condividere il post di Ikea, e nello stesso tempo si
attivano anche gli haters non del marchio ma della proposta di una
famiglia inclusiva (Figura 4.17).
Figura 4.17 Un post di Ikea, schierato contro la manifestazione per la famiglia
tradizionale del 29 marzo a Verona.

E il marchio guadagna una marea di visibilità in più proprio grazie


al conflitto dei due poli. Messa così potrebbe assomigliare a quel
tradizionale adagio degli anni Ottanta “se ne parli bene, se ne parli
male, l’importante è che se ne parli” ma in realtà è molto diverso
perché qui ci sono delle condivisioni di mezzo e questo contenuto
potrebbe apparire nelle bacheche Facebook di un pubblico che non ha
maturato ancora un’opinione, oppure non era minimamente a
conoscenza che Ikea fosse un brand schierato per una famiglia
inclusiva. E può esserne influenzato.
Il pubblicitario Paolo Iabichino nei suoi recenti scritti, sostiene che
il brand debba essere testimone del suo tempo:
significa saper leggere il contesto entro cui il messaggio di marca va in scena. Essere
testimoni significa schierarsi e quando accade si rischia di non piacere proprio a
tutti. E adesso più che mai è il momento di schierarsi, perché la scena politica sta
offrendo uno spaccato orribile di indifferenza alle più elementari sensibilità verso i
diritti umani e civili.

Attenzione Paolo, perché le aziende si schierano eccome, ma molto


spesso lo fanno verso la parte che tu definiresti “sbagliata”.
Figura 4.18 Cif sceglie la via del “decoro” per polarizzare la propria audience.

Questo post molto discusso di Cif mostra un sottopassaggio con dei


murales per inquadrare l’idea di “sporco” (Figura 4.18). Tra mille
possibilità di rappresentare la sporcizia di una città, ne sceglie una
molto polarizzante, perché esiste un pubblico che non percepisce
quello come “indecoro” ma come “arte”.
Il brand si è schierato cavalcando uno dei temi centrali dei tempi,
“il decoro cittadino”, e ha voluto appositamente usare un’immagine
che triggera le audience e secondo le logiche di Iabichino non è per
nulla indifferente.
Se ci pensiamo, schierarsi non è mica così difficile, solo che se sei
Ikea, Vitasnella, Nike o grandi marchi simili il gioco viene facile, il
problema è quando produci caldaie, o forni elettrici, o case in legno,
insomma quando sei una piccola-media impresa italiana.
Come per il trigger point, sono abbastanza convinto che ogni
azienda abbia il proprio punto di polarizzazione, quell’elemento
spartiacque per cui scegli la nostra azienda e nessun altro.
Ho il timore che l’effetto suscitato sia simile a ciò che profetizzava
il genio di Tommaso Labranca in Andy Wharol era un coatto: il trash
è l’imitazione mal riuscita di un modello alto.
Se decidete di polarizzare e non siete Nike, il rischio trash è dietro
l’angolo, quindi partite dalla vostra identità e su quella
eventualmente costruire un messaggio polarizzante.
Magari adattatelo a un contesto di prodotto e non a un contesto
sociale; per esempio se producete case in legno potreste lavorare su
questo tipo di polarizzazione: “Non ti accorgeresti della differenza
con una casa normale. Perché noi costruiamo case in legno, non
baite”.
Ecco, una cosa del genere.
Attenzione però che alzare il tono dei propri messaggi social è un
gioco delicato, difficile ed estremamente pericoloso.
Ma in un’era di totale cecità all’advertising sui social, l’unico
modo per fare veramente a spallate sul feed è dare un pizzicotto
emotivo alla vostra audience.
Senza infrangere una regola base: non dovete mai tradire la vostra
identità aziendale.

Il verismo social
Esiste un modello di post perfetto? No, non credo.
Ma di sicuro esiste un processo per la creazione dei contenuti su
Facebook e Instagram che possa tendere alla perfezione.
Osservate il contenuto del post nella Figura 4.19.

Figura 4.19 Il post di Discover Trieste che invita a provare la Bora.

Questo post tende alla perfezione, perché è frutto di un insieme di


elementi che concorrono a generare più trigger point differenti.
1. La call to action del titolo è perfettamente orientata alla nostra
strategia. La sezione più visitata in assoluto del sito Discover
Trieste è proprio quella legata al vento tipico della città e questo
post non fa altro che rappresentare al meglio un comportamento
abituale nella sua dimensione distributiva, il post su Facebook.
2. Il copy punta a ribaltare il tradizionale universo legato alla
mobilità sostenibile.
3. Ma soprattutto, siamo di fronte a un video prodotto dal basso.
Un ragazzo per testimoniare la forza della bora si fa riprendere
(rigorosamente in verticale) sullo skate utilizzando un telo di
nylon per contrastare il vento.
E così si fa il giro del lungomare triestino.
Quando abbiamo in mente un video, il nostro pensiero va sempre a
un video girato, montato, post-prodotto in maniera
superprofessionale, il che va benissimo. Ma non trascuriamo che
molto spesso la presa diretta, il prodotto artigianale e self-made
hanno una potenza social enorme, semplicemente perché sono veri e
genuini.
Vedo infinite pagine di aziende con contenuti patinati ma
totalmente privi di anima, con interazioni e impatto social pari a zero.
Vedo una marea di pagine di piccole e medie imprese con contenuti
self-made, carichi di identità e di forza e, credetemi, quelli li metterei
in sponsorizzata immediatamente.
Come l’immagine che segue, che inizia con un inedito sedere in
primo piano e che mostra la presa diretta di una giornata di
vendemmia (Figura 4.20).
Figura 4.20 La cantina Fiegl di Oslavia documenta la vendemmia in modo del tutto
sincero, pure troppo.

Oppure questo, che gioca su un’idea di vacanza molto inedita e


particolare, documentando il passaggio in un campo di un gregge di
capre (Figura 4.21).
Figura 4.21 Il verismo social di Aquila del Torre.

The dark side


All’inizio dell’anno apro Facebook e mi trovo di fronte a questo
contenuto sponsorizzato (Figura 4.22).
Figura 4.22 A volte dal “lato oscuro” della forza si imparano le cose più utili.

Siamo di fronte a un uso completamente illegale di Facebook e


Instagram che viola le regole contro il click-baiting ovvero utilizzare
fake news per far fare clic al pubblico e indirizzarlo in qualche strana
landing page dove oltre al contenuto falso, troverà anche una marea
di banner e link fraudolenti.
Vero, è illegale, ma non posso fare a meno di subirne il fascino.
1. Utilizza gli stilemi classici per favorire un clic, come il teasing
alla scoperta, “un clic ti cambia la vita”.
2. Usa un personaggio famoso ma non troppo, Soros, su cui
costruire del mistero.
3. C’è l’aggancio a una data precisa, che lo rende ancora più
realistico.
4. Ci sono la redenzione e la salvezza.
5. Ma soprattutto ci sono le cicatrici.
Allora provo ad approfondire e a ficcare il naso e risalgo agli autori
di questo adv:
Il viso di Soros da solo funzionava bene. Poi abbiamo conosciuto un grafico
indiano, specializzato in tatuaggi e cicatrici posticce. Lui prende un volto noto e ci
applica sopra una cicatrice, perché gli dà quel tocco di narrazione in più,
costringendo il pubblico a domandarsi “oh, ma cosa gli è successo che ha le
cicatrici?”

E lì ho capito la missione delle aziende su Facebook e Instagram:


trovare la propria cicatrice, il proprio tatuaggio.
Qual è la cicatrice della nostra narrazione aziendale? Qual è quel
punto magnetico che inevitabilmente fa fermare il pollice durante lo
scrolling compulsivo del feed di Facebook e di Instagram.
Impegnatevi a scovarlo.

Checkpoint
1. Fatevene una ragione, la maggior parte dei vostri ads saranno
visualizzati ma non visti.
2. Fare un annuncio che funzioni su Facebook e Instagram è tra le
cinque cose più difficili di questo mestiere e non ho ancora
scelto le altre quattro.
3. Quando i brand usano Facebook e Instagram “per far ridere”, nel
99,99% delle volte non ci riescono.
4. Il Real Time Marketing, se lo fate bene, funziona. Solo che
prima di intraprendere questa via, cominciate dalle cose più
semplici, ché di Taffo ce n’è uno solo.
5. Il segreto per scrivere un buon post non è essere creativi, il
segreto per scrivere un buon post è diventare gli Sherlock
Holmes del vostro pubblico e raccogliere il maggior numero di
indizi su di loro.
6. Mettere dei dubbi, mettere in crisi certezze è un buon campo di
allenamento.
7. Studiare le prime dieci domande che il pubblico vi fa sempre sul
vostro prodotto o sul vostro servizio è un ottimo punto di
partenza.
8. Prendere posizione dal palco dell’advertising genera attenzione.
Solo che poi si fa fatica a scendere.
9. Imparate dal porno, l’amatoriale funziona meglio del patinato.
10. Per ogni azienda, credetemi, c’è un trigger point. Trovatelo.

Appendice tecnica

Strumenti per la costruzione


dell’advertising
Facebook e Instagram mettono a disposizione due strumenti
principali per aiutarvi nella costruzione dell’advertising.
Il primo strumento è il Creative Hub
(https://business.facebook.com/ads/creativehub/), lo trovate all’interno del
vostro Business Manager con una voce specifica.
Siamo di fronte alla principale piattaforma di testing del mondo
pubblicitario Facebook, in cui potete non solo creare delle prove di
ads da eventualmente condividere e approvare con i vostri clienti o
con i vostri colleghi, ma troverete una collezione infinita di
advertising di altre aziende per ogni formato desiderato.
Nella sottosezione Trova ispirazione, una volta selezionato il
formato preferito potete esplorare un universo creativo fatto di video,
immagini, template e spunti per i vostri trigger point (Figure 4.23 e
4.24).

Figura 4.23 La sezione “Trova ispirazione” nel Business Manager di Facebook.

Figura 4.24 Un case study di Ford sull’uso strategico delle Stories di Instagram.
Il secondo strumento è decisamente il mio preferito.
Fino a qualche tempo fa Facebook permetteva di controllare
l’advertising della concorrenza andando sulle Fan Page e facendo clic
su uno specifico link che permetteva di esplorare le pubblicità in
corso relative a quello specifico marchio.
A un certo punto venne tolta questa meravigliosa funzione e scattò
il panico generale.
Tempo qualche giorno e Facebook ci deliziò con una delle funzioni
più utili in assoluto se fate pubblicità sui social: Ad Library
(https://www.facebook.com/ads/library).

Figura 4.25 L’advertising di Lazzari visto con gli occhi di Ad Library.


Digitate sulla stringa il nome della pagina che volete analizzare e
magicamente comparirà tutto l’advertising attivo legato a quella Fan
Page specifica.
Il miglior modo per ispirarsi? Guardare cosa fa la concorrenza in
uno specifico settore.
Capitolo 5
L’arte di vendere con
Facebook e Instagram

Questo capitolo è dedicato al rapporto tra Facebook, Instagram e


l’universo degli e-commerce.
Ci ho pensato un bel po’ prima di inserire nel libro un tema del
genere perché è ovvio che risulti forse poco interessante a chi non
vende online, e c’è il rischio di un “ma io non ho un e-commerce, non
me ne importa nulla”.
Questo rischio lo voglio correre per tre motivi.
Il primo è che non posso tradire la mia natura che è quella di
essermi specializzato proprio nell’aiutare chi vende online a
migliorare le proprie performance grazie a Facebook e Instagram.
Il secondo perché da qualche tempo scorre nelle vene
dell’imprenditoria online un fluido negativo e molto avverso
all’advertising sui social network: “Facebook non mi fa vendere
nulla”.
Ecco, mi piacerebbe che questo breve capitolo aiutasse a far
chiarezza su questo luogo comune.
Il terzo, forse il più importante, è che anche se non avete un e-
commerce, dovete leggerlo.
Non c’è nulla di più difficile e pericoloso della vendita online, è un
ambiente di competizione e lotta costante, di analisi e verifica dei
dati quotidiani, di tabelle e finestre di attribuzione. I tre quarti della
mia agenzia sono impegnati ogni giorno a migliorare le performance
di vendita dei clienti con un’attenzione spasmodica al dato. Credo che
questo tipo di approccio sia molto utile anche a chi non vende online:
potreste scoprire di avere molte più cose in comune con un e-
commerce di quante non pensiate.

Categorie di e-commerce
Nella mia esperienza esistono due categorie di e-commerce.
Due categorie semplici, grandi aree in cui suddivido il commercio
elettronico:
1. un sito con traffico;
2. un sito senza traffico.
Se avete un sito che sta già macinando traffico, l’apertura di due
nuovi canali pubblicitari come Facebook e Instagram vi proietterà in
un mondo nuovo, fatto di esplorazione della domanda latente, di un
target che non ha prodotto una richiesta esplicita di un vostro
prodotto, ma dove siete voi a stimolarne l’acquisto. Nella mia storia
di marketer non ho mai visto un e-commerce aprirsi all’advertising
su Facebook e Instagram e decidere di uscirne perché “non portano
vendite”. L’advertising su Facebook e Instagram per un e-commerce
che macina già parecchio traffico funziona, ve l’assicuro.
Ben diverso è il discorso per un commercio elettronico di fresca
apertura o che comunque non ha una sufficiente mole di traffico da
permettere un deciso retargeting sulle proprie audience. Qui mi è
capitato spesso di sperimentare l’advertising su Facebook e
Instagram senza grande successo.

Gli oggetti sacri


Ho iniziato a lavorare con Holyart un anno fa, uno dei principali e-
commerce al mondo di arte sacra e articoli religiosi. L’esperienza su
Facebook e Instagram se l’erano fatta in casa, gestendo
autonomamente le campagne e con dei risultati al di sotto delle
aspettative; il responsabile marketing voleva un confronto con me per
capire se le poche soddisfazioni fossero frutto di una gestione
approssimativa dell’advertising o se Facebook e Instagram non
fossero proprio i canali giusti dove fare advertising.

Figura 5.1 La Home Page di Holyart.

I target di Holyart sono principalmente due:


1. il consumatore finale, che fa il 70% del fatturato, ma raramente
acquista più volte e di solito lo scontrino medio è piuttosto
basso;
2. le parrocchie, che fanno il 30% del fatturato complessivo ma gli
acquisti sono molto ricorrenti e fidelizzati.
Il sito web ha una notevole quantità di visite quotidiane, superando
i 20.000 utenti giornalieri.
Il responsabile marketing mi accoglie offrendomi subito due dritte
strategiche:
Noi vogliamo convertire. Nel senso che non ci interessano molto le fasi di
awareness, abbiamo già una enorme base di traffico e un database utenti molto
segmentato. Quello che ci interessa è fare in modo che i consumatori finali
acquistino in modo più ricorrente e che le parrocchie continuino ad acquistare da noi
e non magari da altri competitor.

Capite? Siamo di fronte a una richiesta anomala, nel senso che noi
siamo abituati a lavorare sempre sulla parte alta del funnel per
magnetizzare interesse, su quella intermedia per consolidare il
traffico e su quella bassa spostandoci verso la conversione.
Nel caso di un e-commerce che ha tanto traffico possiamo
tranquillamente affrontare il percorso inverso, partendo da proprio
dalla fase di conversione.
Sicuri che si tratti di un’anomalia? In realtà questa richiesta
incarna perfettamente lo spirito di questo libro come ho provato a
suggerire già dal secondo capitolo, dove Velux, quando comincia la
propria campagna di replacement, il primo advertising lo espone
proprio a quello che è il cliente affezionato o a un pubblico comunque
molto vicino al brand.
E con Holyart si parte esattamente da qui, dal proprio pubblico.

Il catalogo dinamico
Il primo ingrediente per un e-commerce che voglia fare pubblicità
sui social è la sincronizzazione del suo catalogo prodotti con
Facebook.
Provo a sintetizzare la questione lasciando le parti tecniche ad altre
guide che potete trovare online: ogni catalogo prodotti di un e-
commerce è rappresentato da un file .xml.
State usando Prestashop? State usando WooCommerce, Magento o
una qualsiasi altra piattaforma di vendita online? Bene, ognuna di
loro produce un feed di prodotto che va associato a Facebook,
creando un vero e proprio “catalogo” dal Business Manager.

Figura 5.2 Selezioniamo la categoria E-commerce.

Una volta creato il catalogo dobbiamo spiegargli due cose:


1. dove andare a prendere i dati e qui semplicemente incolleremo
l’indirizzo del nostro feed di prodotto;
Figura 5.3 Diamo l’URL dell’elenco dati.

1. farlo dialogare con il nostro pixel e con gli eventi obbligatori per
un e-commerce, ovvero view content, add to cart e purchase.

Figura 5.4 Comunichiamo con il pixel.

Il risultato è questo: la possibilità di avere tutti i nostri prodotti con


le immagini, il prezzo, il nome dell’oggetto presenti nello store
online interfacciati con il nostro account di inserzioni di Facebook e
Instagram.
In Figura 5.5 è illustrato il risultato che devo ottenere.

Figura 5.5 Ecco il nostro catalogo prodotti.

Perché è fondamentale avere un catalogo prodotti? Perché è l’unico


modo per fare inserzioni dinamiche e le inserzioni dinamiche sono la
chiave del business di un e-commerce: automatizzare il processo per
cui un utente vede un determinato prodotto all’interno di Facebook di
Instagram.
Sono particolarmente interessato alla categoria rosari e l’ho
visitata più volte sul sito web andando alla ricerca di quello più
adatto a me? Una volta entrato su Facebook devo ricevere un
retargeting molto accurato che comprenda sia i prodotti che ho
visionato sullo store, sia i prodotti similari.
Il retargeting dinamico serve essenzialmente a questo, a presidiare
su Facebook, per un tempo definito e in modo chirurgico, il percorso
effettuato dagli utenti sul sito web.
Figura 5.6 Rendiamo dinamiche le nostre creatività.

Se scegliamo come obiettivo Vendita dei prodotti del catalogo,


stiamo avvisando Gestione Inserzioni che il nostro advertising sarà
“dinamico” ovvero solleciteremo all’acquisto, per esempio, tutti gli
utenti che hanno inserito un prodotto nel carrello ma non l’hanno
comprato negli ultimi quaranta giorni.
Figura 5.7 Ristimoliamo gli utenti che hanno aggiunto prodotti nel carrello ma non hanno
acquistato.

Ma non solo, il catalogo prodotti di Facebook ci consente di attuare


una strategia di up-selling e cross-selling.
Esce la collezione nuova (più costosa) e vogliamo proporla a chi ha
inserito un prodotto nel carrello della collezione precedente? Up-
selling.
Vogliamo proporre dei prodotti correlati a determinati acquisti?
Cross-selling.

Figura 5.8 Possiamo lavorare di up-selling e cross-selling.

Le inserzioni non sono altro che template vuoti che il catalogo


prodotti va a riempire con i prodotti lasciati nel carrello o con altri
prodotti che l’algoritmo giudica in linea con quel target.
Capite il perché della distinzione fra tanto traffico e poco traffico?
Se ho tanto traffico, significa che ho tante visualizzazioni prodotto,
molti carrelli riempiti e un sacco di storico di navigazione: per forza
di cose l’advertising dinamico diventa un’arma micidiale per
ottimizzare le vendite.
Tanto per darvi un’idea, le inserzioni dinamiche di Holyart hanno
un ritorno sull’investimento medio del 700% e quando investo 1 euro,
il mio guadagno medio è di 6 euro.
E per chi ha tanto traffico il gioco si fa ancora più semplice quando
proviamo per esempio ad andare oltre il nostro abituale pubblico di
consumatori. Pensate per esempio alle lookalike e a quando vi ho
detto che la migliore lookalike si ottiene dalla custom audience più
aderente al nostro business.
Figura 5.9 In questa inserzione solo l’immagine di apertura è scelta in modo autonomo, i
vari prodotti sono scelti algoritmicamente.

Nel caso di Holyart non facciamo altro che andare a prendere quel
segmento del database clienti che identifica i parroci italiani e lo
andiamo a caricare su Facebook ottenendo questa audience (Figura
5.10).
Figura 5.10 Creiamo la audience “Parrocchie Italia” a partire dal nostro elenco clienti.

Abbiamo il DNA perfetto su cui costruire il pubblico algoritmico


(Figura 5.11).

Figura 5.11 Ora allarghiamo il pubblico: creiamo una lookalike a partire dalla nostra
custom audience “Parrocchie Italia”.

I parroci o chi gravita in modo stretto attorno al mondo della


Chiesa non è un pubblico facilmente individuabile su Facebook, ma
se possiedo una custom audience di altissima qualità posso arrivarci
in modo algoritmico attraverso le lookalilke.
Sempre utilizzando il catalogo prodotto ma questa volta in
modalità DABA, Dynamic Ads Broad Audience: usiamo il catalogo
ma lo indirizziamo verso un pubblico non di retargeting.
Spieghiamo meglio: sto utilizzando tutte le proprietà del catalogo
di Facebook, in primis le inserzioni dinamiche e utilizzo come target
la lookalike 1% della audience “Parrocchie Italia”.
“Ok ma se ci è chiaro il concetto delle inserzioni dinamiche che
vengono scelte dall’algoritmo in base al comportamento dell’utente
sul nostro sito web, con che criterio invece vengono selezionate
dall’algoritmo quando ci troviamo di fronte a un pubblico che il
nostro sito web non l’ha visto?”
La risposta è semplice: algoritmo, algoritmo e ancora algoritmo.
Sarà Facebook a scegliere in base alle caratteristiche di questa
audience quali inserzioni-prodotto mostrare.
Funziona? Sì, con risultati incredibili (Figura 5.12).

Figura 5.12 Uso sempre il mio catalogo prodotto, ma in modalità DABA.

Le performance migliori dell’account Holyart sono proprio quelle


che fanno incontrare le lookalike provenienti dal database clienti con
il nostro catalogo prodotto: ci stanno garantendo un ROAS superiore
al 600%.
Richieste soddisfatte?
Per i due obiettivi, due soluzioni.
1. Aumentare la ricorrenza dell’acquisto sul cliente finale.
Soluzione: il catalogo ci dà la possibilità di insistere con
l’advertising dinamico su tutti quei prodotti che il consumatore
finale ha già visto sul nostro sito web e che magari non ha
comprato per mille motivi differenti.
In più le azioni di cross-selling e up-selling ci permettono di
differenziare le stimolazioni con prodotti correlati o magari con
lo stesso prodotto solo con qualche caratteristica migliore e un
prezzo leggermente più alto, per esempio una nuova collezione.
2. Consolidare e aumentare gli acquisti provenienti dalle
parrocchie.
Soluzione: partendo da un database molto fedele dei top clienti,
posso creare una lookalike molto stretta da utilizzare come
pubblico e usare il catalogo dinamico per poterla raggiungere.
In tutti casi in cui ho operato su e-commerce con un traffico
superiore ai mille utenti giornalieri, da Lazzari a Benetton, da Holyart
e Eden Viaggi, il catalogo dinamico ha aperto sempre un nuovo
orizzonte di business per clienti, in primis andando a intensificare le
azioni di vendita su chi è già pubblico dello store, poi lavorando su
pubblici algoritmici molto vicini alle nostre audience.
Il problema vero è che non tutti gli e-commerce hanno un traffico
consolidato, anzi.

Quando un sito web non ha


traffico: il caso di American Uncle
Per raccontarvi come utilizzare l’advertising di Facebook e
Instagram per un e-commerce che non ha un gran volume di traffico,
ho deciso di passare la parola ad Alessandro Gargiulo, un
imprenditore e advertiser molto apprezzato nella comunità italiana
per la profondità del ragionamento, ma soprattutto per aver
trasformato un marchio semi-sconosciuto nel punto di riferimento
numero uno in un preciso segmento di mercato: gli snack americani.

Figura 5.13 La home page di https://www.americanuncle.it/.

Ciao Alessandro e grazie per il tuo supporto in questo lavoro


dedicato all’arte di vendere su Facebook e Instagram. Ci racconti un
po’ di American Uncle, di quale fosse la situazione di partenza e
quali sono stati i primi ragionamenti marketing che hai fatto per far
crescere la tua piattaforma?
Grazie a te per la possibilità di mostrare la mia visione e di
raccontare parte della storia che ha vissuto American Uncle.
Prima della nascita dell’attuale compagine societaria il progetto
era unicamente in capo ad Alessandro Odierna che ha avuto
l’intuizione di vendere snack americani in Italia.
Dal 2017 io, lui, Alessandro Sportelli (esperto di strategia di web
marketing e autore di La pubblicità su Facebook, uno di primi libri in
Italia sul tema), Michele Riccio e Pasquale Bracale (fondatori
dell’agenzia di marketing e comunicazione Ribrain) abbiamo unito le
nostre competenze per tirare fuori le basi di quello che è l’e-
commerce per come lo si conosce adesso.
Dato il livello amatoriale con cui era stato precedentemente
realizzato, la prima cosa da fare è stata realizzare un e-commerce che
permettesse anzitutto una corretta analisi dei dati.
Qualunque passo abbiamo mosso è sempre stato caratterizzato da
questo spirito: senza dati e riferimenti non abbiamo fatto molto in
questi due anni.
Essendo un progetto in startup nato con un investimento di poche
decine di migliaia di euro abbiamo ponderato ogni scelta strategica e
di advertising in base a dati certi e solo poche volte su ipotesi prive di
fondamento (ma dettate dal buon senso).
Fin dal primo momento mi sono occupato della parte tecnica e
della parte di advertising, con il supporto in fase iniziale di
Alessandro Sportelli, e il primo passo è stato quello di capire come
avrebbe potuto reagire il mercato a questo nuovo progetto che nel
2017 aveva le potenzialità per portare aria nuova nel settore degli
snack. La risposta è stata il soldout del magazzino in meno di due
settimane, un happy problem.
Da allora ho fatto ciò che bisogna fare sempre: raddrizzare il tiro.
Com’è stato il tuo primo approccio all’advertising su Facebook e
Instagram?
Il mio primo approccio all’advertising è stato nel 2008 tramite
Google Adwords e Google Adsense, Facebook e Instagram sono state
naturali evoluzioni di quello che era precedentemente il mio lavoro.
Dal 2012 ho avuto modo di sperimentare Facebook Ads per
l’acquisizione di traffico per i progetti editoriali che gestivo, oltre
che per qualche piccolo cliente locale che si affidava a me.
Nel 2015 ho fondato un’agenzia di comunicazione a Napoli che ha
raggiunto in due anni più di un milione di fatturato annuo entro tre
anni dall’apertura e vantava oltre trenta fra collaboratori e dipendenti
(a inizio 2019 ho venduto la mia partecipazione).
L’approccio in maniera strategica è nato proprio quando oltre alle
necessità dei clienti di agenzia di acquisire a loro volta clienti, ho
avuto bisogno di acquisirne per la mia azienda. Da lì ho avuto modo
di sperimentare e imparare ma soprattutto di divertirmi in questa
attività.
Da quel momento in poi sono passato da gestire clienti locali con
budget limitati a gestire attualmente oltre 200.000 euro di budget
ogni mese.

Nel capitolo precedente ho spiegato che la grande differenza tra un


e-commerce con poco traffico e uno con tanto traffico è che dove c’è
una grande mole di visite e azioni, il retargeting diventa un “game
changer”. Per un sito con poco traffico quanto ha senso adottare fin
da subito pratiche di retargeting?
Mettiamola così, odio gli sprechi. Se tramite Facebook Ads
andiamo a fare campagne che stimolano domanda latente dobbiamo
aspettarci che le persone dedichino del tempo a informarsi sul
prodotto o sul problema e non tutte sono disposte a convertire sul
momento.
Quindi perché vanificare gli sforzi fatti nella parte iniziale del
processo di acquisto quando poi ci saranno persone nell’immediato
futuro che sono disposte a convertire?
Ovviamente non parlo di dover andare a creare una struttura
perfetta e ottimizzata di retargeting sequenziale su ogni genere di
comportamento e azione che l’utente ha svolto sul sito, può essere già
sufficiente analizzare gli eventi principali e recuperare gli utenti che
hanno svolto quelle azioni ma non hanno convertito per tirare fuori
qualche risultato apprezzabile a fronte di uno sforzo minimo.
Il retargeting ha anche funzione di ricordare alle persone chi siamo
e verso cosa hanno mostrato interesse, se per pochi euro lasciamo che
dieci persone si dimentichino di noi stiamo decidendo
volontariamente di lasciare uscire dal nostro negozio persone
interessate ai nostri prodotti ma che per motivi a noi sconosciuti
hanno dovuto abbandonare lo shopping.
Una campagna di retargeting, su un sito a basso traffico richiede un
investimento davvero contenuto e può avere risultati incredibili.

Quali sono le armi principali per la costruzione di un traffico su


Facebook e Instagram? Ma soprattutto come evitare un traffico non
in target?
La risposta a entrambe? La sensibilità e la conoscenza del prodotto,
del settore e dell’argomento.
Intercettare traffico di qualità su media mass market vuol dire
utilizzare un messaggio che stimoli domanda latente, che faccia
conoscere un problema e che stimoli la ricerca della soluzione.
Se proviamo a vendere un prodotto non facendo leva su pain point
specifici o senza conoscere i benefici dell’utilizzo del prodotto, come
pretendiamo di farli comprendere a una persona che non conosce
problema e soluzione? Come possiamo pretendere che si fidino di noi
al punto da fare uno sforzo economico?

Figura 5.14 Un esempio di inserzione di American Uncle.

Utilizzare il messaggio giusto per attirare l’attenzione e l’interesse


di chi visualizza le inserzioni è uno dei punti chiave per poter fare
delle campagne di successo. Dobbiamo imparare a conoscere il
prodotto e come le persone si affacciano al problema e alla soluzione
per capire come filtrare persone non in target.
Ormai gli algoritmi che regolano le erogazioni delle campagne
pubblicitarie diventano sempre più intelligenti e il lavoro
dell’advertiser diventa sempre meno tecnico, basti vedere il
funzionamento delle campagne intelligenti di Google Shopping, del
Google Display Network ma anche delle campagne di Vendita di
Prodotti al Catalogo di Facebook Ads: sono strumenti alla portata di
tutti che, con i giusti messaggi, riescono a portare risultati con uno
sforzo minimo sullo strumento.
Ma se il messaggio è sbagliato, se l’advertiser non ha la sensibilità
di riconoscere quali siano le parole, le immagini e il tono di voce da
utilizzare nei confronti del nostro target, ci ritroviamo a fallire in un
mondo che ci ha dato ogni aiuto possibile per avere successo.
La base rimane lo studio, l’analisi, la strategia e una forte dose di
sensibilità e buon senso.

Come abbiamo spiegato in precedenza non è solamente il traffico a


essere oggetto di retargeting ma anche l’interazione attorno al
contenuto, dal like alla visualizzazione di un video. Siamo di fronte a
una strategia valida, quella di puntare all’ingaggio attorno al
contenuto per poi renderlo oggetto di retargeting?
In linea generica puntare parte del nostro budget pubblicitario sugli
utenti che hanno interagito con i nostri contenuti è una strategia
valida ma anche qui mi sento di dire... dipende. Dipende dai contenuti
con cui hanno interagito.
Questa strategia è tanto più valida quanto più l’interazione con i
contenuti è sintomo di un interesse reale verso il prodotto o verso il
servizio offerto.
Mi spiego meglio: se sono un’agenzia di comunicazione che a tutti
i costi ogni giorno pubblica contenuti sulla base di Real Time
Marketing o Newsjacking e sponsorizzo questi contenuti è probabile
che dato il carattere virale del contenuto otterrò interazioni anche da
utenti che non sono assolutamente miei potenziali clienti, quindi
mirare una campagna pubblicitaria su questo pubblico potrebbe non
portare i risultati sperati.
D’altra parte, se la mia attività è un e-commerce di prodotti bio e
pubblico quotidianamente i benefici degli ingredienti utilizzati nei
prodotti che vendo, il pubblico delle persone che hanno interagito con
i miei prodotti assume tutto un altro valore.
L’unica cosa che conta è il valore dell’interazione.

Uno dei problemi più diffusi quanto parliamo di analisi del


risultato è che abitualmente l’analisi del dato di un e-commerce si
basa su Analytics di Google, che storicamente attribuisce un ruolo
molto limitato alla forza di Facebook. Come hai superato questo
problema analitico e che cosa consigli ad altri imprenditori quando
vedono zero vendite su Analytics attribuite a Facebook, mentre il
social network ne dichiara trenta?
Per ovviare a questo problema abbiamo due possibilità: fidarci di
ciò che dice Facebook tramite lo strumento Attribuzione o forzare
Google Analytics ad attribuire meglio le conversioni, ma comunque
non in maniera perfetta.
Lo strumento Attribuzione di Facebook (strumento che si trova nel
Business Manager) serve a comprendere qual è l’impatto delle
attività di marketing svolte su Facebook. Tramite una serie di
integrazioni esterne (Google Ads, Bing Ads e molte altre) è possibile
importare dati che Facebook rielabora per capire come le campagne
su questa piattaforma hanno contribuito alla conversione.
NOTA
Se volete approfondire le possibilità di Attribution da affiancare alle tradizionali
Analytics sul vostro sito web, a questo indirizzo trovate un’ottima guida per
utilizzarlo: https://www.facebook.com/business/measurement/attribution.

Il secondo metodo, quello tramite Google Analytics, è più tecnico e


tiene conto unicamente dei clic verso il sito pertanto le conversioni
dovute alla visualizzazione del contenuto pubblicitario ma senza
un’effettiva interazione verso il sito non vengono conteggiate. Su
Facebook è possibile impostare dei parametri URL che verranno
aggiunte a tutti i contenuti su cui fare clic all’interno dell’inserzione,
basta quindi inserire i parametri UTM per permettere il tracciamento
delle campagne e visualizzare i clic anche su Google Analytics.
NOTA
Per approfondire la corretta sintassi dei parametri UTM da utilizzare nelle vostre
inserzioni vi consiglio la guida di Facebook:
https://www.facebook.com/business/help/1016122818401732.

Da notare però che questo non risolve il problema, perché il


modello di attribuzione di Facebook al clic è di 1/7/28 giorni dal clic
mentre quello di default di Google Analytics è un modello di
attribuzione last click (ovvero la conversione viene data all’ultimo
canale che ha generato la conversione). Consiglio dunque di andare a
utilizzare lo strumento di comparazione dei modelli di attribuzione di
Google Analytics presente sulla piattaforma di Google per capire
quale è il modello di attribuzione più adatto al caso specifico.
Uno dei grandi sogni di ogni imprenditore di e-commerce è
“scalare” l’advertising ovvero vivere inseguendo l’ossessione per
l’aumento delle conversioni mantenendo invariato il ROAS. Un
piccolo e-commerce quando può cominciare a maturare questo
sogno? Quali sono le condizioni per poterselo permettere?
Credo che le basi per una risposta corretta a questa domanda
risiedano anzitutto lato attività e non lato advertiser.
Un problema che ho rilevato alcune volte è che l’attività non era
pronta a scalare, il solo volere vendere di più non è condizione
sufficiente e necessaria affinché le cose vadano bene perché quando il
magazzino finisce l’advertiser è costretto a spegnere campagne che
funzionano sapendo che quando le riattiverà molto probabilmente non
renderanno più come prima.
Guardando l’altra faccia della medaglia, sono quel genere di
advertiser che preferisce uno scaling lento e stabile piuttosto che
azzardare. Per poter scalare è necessario sapere bene quali sono i
valori medi di tutte le microconversioni che portano alla vendita
(costo per inizio di checkout, per aggiunta al carrello, per
visualizzazione del contenuto ecc.) divise per posizione nel processo
di acquisto (o TOFU, MOFU, BOFU), comprendere le differenze tra
scaling verticale e scaling orizzontale, tracciare la rotta prima di
procedere con l’aumento di budget o con l’impostazione di nuove
campagne.
Scalare significa essere un cecchino che studia il terreno, analizza
tutte le variabili del caso e agisce con criterio secondo una strategia
che ha precedentemente delineato.

Proposta fastidiosa: per un e-commerce che si sta approcciando


all’advertising su Facebook e Instagram, stila una classifica delle
variabili più importanti tra budget, target e creatività. E
naturalmente spiega il perché delle tre posizioni.
Cercare di definire quale dei tre merita la prima posizione sul
podio è molto difficile.
Se da un lato abbiamo la necessità di definire il pubblico (target)
corretto per i prodotti presenti sull’e-commerce, d’altra parte
dobbiamo raggiungerlo con un messaggio (creatività, testuale e
audiovisiva) che stimoli la domanda latente. Per iniziare ad avere
risultati stabili è però necessario un investimento sui canali di
acquisizione (budget) proporzionale ai risultati attesi e alle
dimensioni del pubblico.
Se una di queste tre variabili non fosse correttamente rispettata ci
troveremmo a:
mostrare le nostre campagne pubblicitarie a un pubblico di
persone che non ha il minimo interesse verso i prodotti offerti;
mostrare un messaggio che non tocca alcun “nervo scoperto” del
target definito il cui tasso di interazione aumenta notevolmente i
costi di acquisizione;
non avere dati apprezzabili da analizzare, perché conversioni
sporadiche potrebbero essere frutto di casualità e non indice
dell’efficacia della strategia.

Parliamo un po’ dell’elemento creativo di American Uncle. I vostri


messaggi hanno “angle” differenti e visual piuttosto vari. Come li
scegli? Qual è il metodo che ti porta a individuare determinati
trigger point degli utenti?
Scrivere ogni giorno inserzioni in settori diversi mi ha sempre
richiesto uno sforzo mentale non indifferente. Per questo ho diviso
sempre la ricerca di nuovi spunti con cui scrivere i miei messaggi
pubblicitari in due fasi: una fase di osservazione e una fase di ascolto.
La fase di osservazione è quando l’e-commerce non è ancora
avviato, non gode di uno storico dal quale attingere informazioni per
estrapolare dei veri insight. In questa fase cerco di capire quali sono
gli interessi o i pain point a cui agganciarmi, quali sono le
problematiche di chi navigando sui social incontra una mia
inserzione.
Siamo di fronte a un lavoro principalmente di osservazione,
ricercare online quali sono i problemi e gli stati d’animo di persone
prima di avere scoperto la soluzione ai loro problemi (nel caso di
American Uncle, per esempio, vi è la noia di mangiare sempre le
stesse cose ogni mattina).
La fase di ascolto invece è quella che rende il lavoro più guidato:
basta ascoltare ciò che gli attuali clienti dicono. Il feedback dei
clienti è il modo migliore per scoprire di più su di sé e sulle
motivazioni dell’acquisto. A volte molti marketer dimenticano che i
propri clienti sono una fonte inesauribile di informazioni e conoscere
il motivo del perché hanno acquistato permette di trovare
informazioni che magari prima davamo per scontato. Un esempio
veloce? Può sembrare banale ma per oltre un anno non avevamo
considerato l’idea di parlare ai nostri potenziali clienti attribuendogli
l’appellativo di “golosone”. Il risultato dell’implementazione di
questa nuova parola? Un aumento delle conversioni considerevole.
Le parole, il modo di scrivere, il format del copy che utilizzo
cambia da cliente a cliente e per ognuno di loro utilizzo format
riconoscibili e testati, l’importante però è capire che prima di iniziare
a scrivere un copy è necessario studiare, osservare e ascoltare.
Figura 5.15 Immagine verticale, copy, slideshow, emoji: un’inserzione a cui non manca
davvero nulla.

La più classica delle chiusure, con i tuoi tre consigli da dare a un


imprenditore di e-commerce che ha iniziato come te con poco traffico
e vuole iniziare una strategia che includa l’advertising su Facebook e
Instagram?
Il primo consiglio è di partire dall’azienda prima: l’advertising è
un amplificatore, non un’ancora di salvezza. Se i prodotti che vendi
hanno problemi e le persone non sono soddisfatte del prodotto
offline, affrontando il percorso dell’e-commerce non si farà altro che
amplificare il sentimento negativo che i clienti stanno provando.
Il secondo consiglio è di smetterla di pensare soltanto alla qualità
del prodotto ma di pensare soprattutto al target di riferimento. È
inutile dire che i propri prodotti sono di qualità, o che sono i migliori
di tutti. Queste sono cose che potevano andare bene dette nelle
televendite degli anni Ottanta e Novanta. Le persone cercano delle
esperienze incredibili, vogliono acquistare qualcosa per il beneficio
ultimo che porta: comprare una crema viso per una donna non è per la
sensazione di avere la pelle più morbida grazie a una crema bio non
testata sugli animali ma è perché amano sentirsi più belle agli occhi
del partner, perché amano sentire l’invidia mascherata negli
apprezzamenti delle amiche. Smetterla dunque di pensare che basti
avere il migliore prodotto sul mercato per poterlo vendere online, le
persone non acquistano più perché “avete il prodotto migliore”.
Comunque vada il percorso di imprenditoria di e-commerce
ricorda che fare e-commerce e fare advertising in maniera strategica
non equivalgono a correre i 100 metri ma sono una maratona. Gioire
dei piccoli risultati è positivo, ostentare successo non lo è. È un
lavoro duro che richiede impegno e strategia, sii umile e concentrati
sul tuo lavoro.

Ultima domanda: per un advertiser c’è differenza tra Facebook e


Instagram?
Lato advertising, Facebook e Instagram differiscono unicamente
per una questione stilistica e creativa ma non a livello strategico.
Fare advertising su uno di questi due canali, escludendo qualunque
azione di retargeting, corrisponde a fare leva sulla domanda latente
per ottenere una risposta da parte di utilizzatori distratti del mezzo.
Può cambiare il formato della creatività, può cambiare il
posizionamento ma in sostanza l’obiettivo è lo stesso: suscitare
consapevolezza in relazione a un prodotto o a un problema.

Checkpoint
1. Esamina il tuo e-commerce. Il segreto del retargeting è il
traffico. Se non ci sono visualizzazioni delle schede prodotto, se
non ci sono carrelli, se non ci sono vendite, cosa ristimoli a fare?
2. Comunque, nel dubbio ristimola: se hai poco traffico non ti costa
nulla e magari una vendita la fai.
3. Se hai un buon traffico e se vuoi vendere, non puoi fare tu la
pubblicità ma la deve fare l’algoritmo perché è più bravo di te.
Senza retargeting dinamico non si va da nessuna parte.
4. Per fare retargeting dinamico devi aver un catalogo prodotti il
cui setup sia perfetto in ogni dettaglio.
5. Un catalogo prodotti non serve solo al retargeting, ma puoi
esporlo anche a chi non conosce la tua azienda. Che prodotti
mostrerà? Li sceglie l’algoritmo, tranquillo.
6. Se non hai traffico, lo devi costruire.
7. Se non hai traffico, non aspettarti delle vendite nel breve periodo
dalla domanda latente perché tutti quei processi che non sono
mossi dal bisogno e dalla consapevolezza vanno coltivati.
8. Per l’e-commerce il ragionamento sui trigger point vale doppio.
Sforzati di trovare il punto di attivazione del prodotto. Qual è la
leva per attivare l’attenzione e far emergere la curiosità? Una
volta che l’hai trovata, declina tutto l’advertising su quella.

Appendice tecnica
Le finestre di attribuzione
Nell’universo dell’advertising su Facebook e Instagram, le finestre
di attribuzione sono una delle metriche più importanti e
contemporaneamente più sottovalutate.
Che cosa si intende per finestra di attribuzione?
Prendiamola un po’ lunga: immaginiamo che Enrico veda
un’inserzione di Holyart e ci faccia clic sopra.
Questa azione è precisamente attribuibile a ciò che ho visto dentro
Facebook. Nella gestione delle inserzioni, troverò il dato
dell’impression e del clic cioè il fatto che Enrico abbia visto
l’inserzione, ci abbia fatto clic sopra e sia atterrato sulla pagina.
Poi Enrico continua la sua navigazione su Holyart e decide di
comprare un rosario.
Bene, questa azione viene attribuita al mio advertising se si
verifica in un preciso arco temporale dall’aver visualizzato o
dall’aver fatto clic sull’inserzione.
Di default, la gestione delle inserzioni di Facebook è impostata per
mostrare solo quelle azioni che vengono eseguite entro un giorno
dalla visualizzazione dell’ads ed entro ventotto giorni dal clic su
quella inserzione.
Agli occhi di Facebook, quell’acquisto di un rosario può essere
figlio di quattro attribuzioni principali:
1. 1 day view: ho visto l’inserzione, non ci ho fatto clic ma
acquisto il rosario entro ventiquattro ore dalla prima impression;
2. 1 day click: vedo l’inserzione, ci faccio clic sopra e acquisto
entro ventiquattro ore dal clic;
3. 7 days click: vedo l’inserzione, ci faccio clic sopra e acquisto
entro sette giorni dal primo clic;
4. 28 days click: idem come sopra solo entro ventotto giorni.
Aiutamoci con lo screenshot di Figura 5.16.

Figura 5.16 Una classica vista di un panello inserzioni di Facebook per un e-commerce.

Nell’immagine del gruppo di inserzioni troviamo dei classici dati


necessari a un e-commerce. La campagna ha come obiettivo di
conversione le aggiunte dei prodotti al carrello ed eroga l’advertising
solo su Facebook desktop e mobile: il risultato è quindici carrelli.
Nel frattempo siamo riusciti a trasformare un po’ di questi carrelli
in vendite generando sei acquisti.
Abbiamo speso 62,49 euro e ottenuto 452,35 euro.
Ci basta? No, non ci basta. Noi vogliamo conoscere le finestre di
attribuzione di questi sei acquisti.

Figura 5.17 Come impostare le finestre di attribuzione.


Come ricavare questi dati? Molto semplice, basta fare clic su
Personalizza le colonne della Gestione Inserzioni, selezionare in
basso a destra il Confronto tra le finestre di attribuzione (Figura
5.17).
E sul pannello spuntano dei nuovi dati, che per una valutazione
dell’andamento della nostra campagna sono fondamentali (Figura
5.18).

Figura 5.18 Il peso del 1day click per questo gruppo di inserzione.

Non fatevi tradire da quel “6” che vedete nei sette giorni e nei
ventotto giorni perché entrambi comprendono gli acquisti a un
giorno: questo gruppo di inserzioni sta totalizzando il 100% di
vendite entro ventiquattro ore dal clic.
Il comportamento abituale di questo target è quello che
tendenzialmente viene valutato come più “veritiero” e “affidabile”:
vedono l’inserzione, ci fanno clic sopra e vanno a comprare.
Perché parlo di più veritiero? Perché è il dato più vicino a quello
che troveremo riportato sulla Analytics di Google.
Il modello di attribuzione standard di Google infatti si basa solo
sulla presa in considerazione dell’ultimo clic, ovvero qual è stata
l’ultima fonte di traffico prima dell’acquisto. Esattamente come in
questo caso: il target è stato immediatamente stimolato al clic e
all’acquisto dall’inserzione di Facebook.
Cambiamo completamente lo scenario del dato e guardiamo i dati
di un altro gruppo di inserzione (Figura 5.19).

Figura 5.19 Cambia lo scenario: ora gli acquisti sono quasi tutti per 1 day view.

Che cosa notiamo? Su 18 acquisti totali:


10 provengono dalla pura visualizzazione dell’inserzione. Il
target non ha fatto clic sull’inserzione ma ha acquistato entro
ventiquattro ore seguendo un altro percorso;
4 provengono da 1 day click;
2 provengono dai 7 days click (dobbiamo sottrarre i 4 del 1 day);
2 provengono dai 28 days click (dobbiamo sottrarre 6 del 7
days).
Questo è un classico scenario, piuttosto frequente, in cui Facebook
non è protagonista dell’ultimo clic prima dell’acquisto ma è più un
“assistente” alla vendita. Sappiamo per certo che ha avuto un ruolo
nell’assistere il target e portarlo all’acquisto grazie alla view
dell’inserzione.
Il mistero è presto risolto quando vi rivelo che questo target
l’abbiamo raggiunto su Instagram Stories. Raramente Instagram è
protagonista di un last click verso l’acquisto ma ha un potere enorme
di suggestione visiva, di sollevare una potenziale domanda di
prodotto grazie al suo ambiente molto connotato visivamente.
Di queste conversioni 1 day view non troveremo mai traccia
all’interno di Analytics e dobbiamo per forza farcene una ragione.
Imparare a leggere i modelli di attribuzione ci aiuta moltissimo
non solo a capire il comportamento del consumatore, ma anche a
comprendere che ruolo abbiano Facebook e Instagram nel Customer
Journey del nostro consumatore.
Nel prossimo capitolo lavoreremo in modo quasi maniacale
proprio su questo aspetto.
Capitolo 6

Il declino dell’advertising

Nell’advertising c’è una sola grande certezza: il costo della


pubblicità tende sempre a salire nel tempo.
Le motivazioni? Decine e decine, tra le più diverse e disparate.
Dall’aumento dei concorrenti in un determinato mercato alla
saturazione del pubblico, dal rafforzamento delle difese cognitive
verso il messaggio pubblicitario all’obsolescenza di alcuni formati.
In questo capitolo scritto a quattro mani con il mio collega e
maestro di advertising Andrea Santin, proviamo ad aiutarvi a
prevenire ed eventualmente curare ciò che in realtà sembra essere
ineluttabile: il peggioramento delle performance della vostra
pubblicità.

Il frattale
Una delle più famose campagne pubblicitarie americane,
addirittura girata da David Fincher, è quella di AT&T ed è datata
1993.
Comunemente nota come “You Will” (potete trovare una raccolta
di questi spot su YouTube a questo indirizzo:
https://www.youtube.com/watch?v=a2EgfkhC1eo) la campagna in questione

proponeva scenari innovativi per l’epoca in cui le persone potevano


controllare l’andamento della borsa sul proprio schermo di casa
oppure fare una videocall con parenti e amici.
“Hai mai pensato di poterlo fare?”
“Lo farai.”
E naturalmente AT&T è esattamente quella compagnia che ti
permetterà di farlo.
Contemporaneamente agli spot televisivi, sperimentò qualcosa che
avrebbe cambiato per sempre il modo di fare pubblicità nel mondo: il
banner web.
E proponeva su una serie di siti l’annuncio in Figura 6.1.

Figura 6.1 Il rivoluzionario banner di AT&T.

Rimarrà nella storia il commento dell’agenzia creativa dopo il


lancio del banner:
Ci siamo resi conto che le specifiche di questo formato richiedevano che l’ad fosse
cliccabile! Quindi, abbiamo dovuto creare una pagina web per dei clienti che non
sapevano se interagire online fosse una buona idea, o addirittura se fosse legale.

Pensate un po’, c’era persino il dubbio sulla legalità o meno di un


banner pubblicitario online.
Una volta fatto clic sul banner, gli utenti finivano su una
semplicissima landing page informativa di AT&T su cui compariva il
testo: “You Did. Now let’s see what else you will do”.
Questo è stato il primo banner della storia di Internet e ha avuto un
CTR, il rapporto tra click e impression, del 78%: 78 clic ogni 100
apparizioni del banner.
E siamo nel 1993.
In tempi più recenti, tra il 2018 e il 2019, il costo per mille
impression di Facebook è cresciuto di quasi del 100%.
Nello stesso periodo di tempo il Costo per Clic di Google Ads è
cresciuto di più del 100%.
Nell’ultima campagna che abbiamo fatto, siamo riusciti a portare
l’advertising di un cliente da un CTR dello 0,7% a un CTR dell’1,1%
ed eravamo felicissimi.
Dal 78% all’1,1% in venticinque anni. E, credeteci, saliranno
ancora senza sosta.
Per spiegare questo andamento usiamo sempre la metafora del
frattale, un oggetto geometrico dotato di omotetia interna: si ripete
nella sua forma allo stesso modo su scale diverse e ingrandendo una
qualunque sua parte, si ottiene una figura simile all’originale.

Figura 6.2 Sì, è un broccolo romano: ovvero un prodotto naturale la cui struttura è la
rappresentazione concreta di com’è fatto un frattale
(https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Cauliflower_Fractal_AVM.JPG).

Questo significa che il declino delle vostre campagne, come dice


un tizio gigante con un guanto gigante, sarà ineluttabile, perché
quando succede qualcosa a livello macro, proprio come un frattale si
rifletterà sempre a livello micro. I costi della pubblicità tendono ad
aumentare sempre più velocemente e questo si riverbera in modo
evidente sui vostri account di inserzione di Facebook e Instagram.
Ma non solo. Se a livello globale la pubblicità display tende a
essere molto cara e mentre tutto l’advertising “click to website” tende
a essere più conveniente, questo effetto prima o poi lo vedrete anche
sul vostro pannello pubblicitario.
L’abbiamo riscontrato più volte nel corso della storia recente di
Facebook e Instagram.
1. Cala l’engagement a livello globale? Ecco che le campagne
interazioni non sono più così ottimali.
2. Cala la forza di quei post che contengono un link verso il vostro
sito web? Allora forse è il caso di spostarci verso i video-content
che costano molto di meno.
3. Il prezzo del posizionamento Facebook mobile sale? Testiamo
Instagram che potrebbe essere più economico.

Stare sulla frontiera


Quindi la prima condizione per fare advertising su Facebook e
Instagram è lavorare sulla frontiera, cioè capire sempre che cosa sta
accadendo a livello macro per non subire il calo, ma anticiparlo ed
essere pronti a spostarci velocemente verso qualcosa di più
performante e redditizio.
Nel corso di questo testo abbiamo già dato dei suggerimenti utili
per mantenersi al passo con il contesto globale.
Uno di questi è sicuramente l’adozione veloce della Campaign
Budget Optimization ovvero la gestione del budget di Facebook e
Instagram a livello di campagna e non di gruppo di inserzione.
Richiede uno sforzo non indifferente nella riorganizzazione di tutto
il vostro palinsesto pubblicitario, ma sarete prontissimi quando
diventerà obbligatoria, sicuramente entro il primo semestre del 2020.
Frontiera significa anche adattare la comunicazione aziendale
visuale alla modalità verticale, che sappiamo essere la più
performante e quindi adottare con continuità il formato “Stories” che
spesso ci procura alta copertura a basso costo.
Utilizzare le Analytics di Facebook, tanto utili quanto
estremamente sottovalutate è un altro modo per lavorare sulla
frontiera.
NOTA
Lo staff di AdEspresso ha realizzato una splendida guida sulle Analytics di
Facebook. Se volete approfondire la materia, la trovate qui:
https://adespresso.com/blog/facebook-analytics/.

Come vi abbiamo insegnato, grazie al Pixel possiamo ottenere


delle custom audience molto sensibili su cui generare un retargeting
oppure la creazione di una lookalike audience: per esempio abbiamo
imparato che una lookalike tratta da un pubblico di nostri clienti è
estremamente affidabile.
Beh, grazie alle Analytics di Facebook, posso crearmi un pubblico
ancora più affidabile di un semplice acquirente: tra coloro che hanno
comprato andiamo a selezionare il top 10% che ha generato il
maggior valore d’acquisto, l’élite del nostro pubblico negli ultimi
novanta giorni, così da creare una custom audience selezionatissima.
Figura 6.3 Andiamoci a prendere i nostri migliori clienti.

Sempre con le Analytics possiamo visualizzare graficamente il


nostro funnel d’acquisto, cioè il percorso che separa la
visualizzazione della scheda prodotto dall’acquisto, passando per il
“metti nel carrello”.

Figura 6.4 Visualizziamo concretamente il nostro funnel d’acquisto.

E magari possiamo studiarne il tempo di completamento.

Figura 6.5 Il tempo di completamento degli acquisti.

Un ultimo esempio che testimonia lo stare sulla frontiera è


l’utilizzo di audience algoritmiche, ovvero le audience somiglianti a
una fonte di dati.
Lavorate di fantasia e provate a sfruttare tutte quelle fonti di dati
del vostro business; finora abbiamo utilizzato quelle classiche come
il traffico web o le liste di lead, ma di custom audience potenziali ce
ne sono davvero parecchie.
1. Una lista di indirizzi email particolare, per esempio non tutti gli
iscritti alla nostra newsletter ma quelli che la leggono
veramente.
2. Una custom audience del “top 10% time on site” cioè quel 10%
di utenti che passa il massimo del tempo sul nostro sito web.
3. Una custom audience di visitatori che hanno frequentato almeno
due o più pagine specifiche del nostro sito web.
4. Una custom audience di clienti fatta solo di quelli che hanno
generato più di un acquisto.
C’è poco da fare: uno dei primi motivi per cui le performance
calano è perché non state lavorando sulla frontiera, state
semplicemente facendo quello che avete sempre fatto, senza tenere
conto che magari a livello macro è cambiato tutto.

La gestione di un account di
inserzione
L’advertiser che conosciamo attraversa sempre tre fasi durante il
proprio rapporto con le campagne.
1. Fase Zen, in cui abbiamo terminato la fase operativa e lanciato
le nostre campagne e siamo in attesa dei primi risultati.
2. Fase Estatica, quando le nostre campagne cominciano a
performare.
3. Fase Red Alert, quando le nostre campagne o non hanno mai
funzionato o non sono più in linea con le performance
precedenti.
Ecco, quello che vorremmo proporvi è una guida per gestire al
meglio il vostro account di inserzione nella fase di allarme rosso,
proprio per evitare gli stessi errori che abbiamo fatto noi.
E quando le vostre campagne pubblicitarie hanno un problema,
dovete cominciare a farvi delle domande, che siano naturalmente le
più corrette possibile.
Il ruolo di Facebook e Instagram nel
Customer Journey
La prima cosa da fare è chiedersi quale sia il ruolo giocato da
Facebook e Instagram nel Customer Journey perché, credetemi, è
diverso per ogni cliente.
E dove trovo la risposta?
In primis nella tipologia di prodotto che sto promuovendo e nelle
sue finestre di conversione.
Nella Figura 6.6 troviamo il Collegio Fonda, un collegio
universitario di Trieste che invece della solita borsa di studio in
denaro, offre ospitalità gratuita per un anno agli studenti più
meritevoli in una struttura meravigliosa, dotata di ogni comfort e
appena ristrutturata.

Figura 6.6 L’homepage di collegiofonda.it.

Sto usando Facebook e Instagram in modalità full funnel ovvero in


tutte le fasi del percorso di conversione?
Non proprio. Lo sto utilizzando soprattutto nelle fasi di
consideration e conversion, sto puntando cioè a portare traffico sul
sito web per scoprire la tipologia di offerta e a ottenere le anagrafiche
dei candidati che poi parteciperanno al test di selezione.
Non faccio grandi fasi di awareness puntando a copertura o video
view perché siamo convinti che non siano necessarie data la grande
forza della nostra offerta.
E quindi nelle nostre analisi terremo molto poco da conto
copertura, impression, frequenza.
Ma punteremo di più agli atterraggi sulla pagina di destinazione e
ai lead ottenuti.
Il tempo medio della conversione è sette giorni, cioè il tempo che
intercorre mediamente tra la visione di una nostra inserzione e la
scelta di iscriversi è di circa una settimana.

Figura 6.7 La home di StarCasinò.

In Figura 6.7 invece il sito di StarCasinò. Facebook e Instagram si


declinano in tutte le fasi, dalla stimolazione iniziale con l’Oroscopo,
alla consideration e alla conversion.
E di conseguenza l’analisi dell’account e i suoi eventuali problemi
sono potenzialmente spalmati su tutte le metriche possibili del
funnel.
Il tempo medio della conversione è un giorno: come vedete, la
decisione di giocare è un atto rapido, quasi compulsivo.

Tutto l’account o uno specifico


aspetto?
Se abbiamo un problema, una delle prime cose da comprendere è
se si tratta di qualcosa localizzato al singolo comportamento di un
gruppo di inserzione, oppure se riguarda l’intero palinsesto di
campagna.
Le performance sono peggiorate in toto oppure ci sono degli
elementi che si sono dimostrati stabili?
Facciamo un esempio ipotetico utilizzando un nostro cliente,
Cambiomarcia, che si occupa di compravendita di auto usate.
Figura 6.8 La home di Cambiomarcia.

Cambiomarcia ha in corso due campagne Facebook nello stesso


momento:
1. una campagna di acquisizione lead su potenziali compratori di
auto;
2. una campagna conversioni in retargeting sulle lead, per
acquistare un servizio premium.
Osserviamo le performance tra ottobre e novembre 2018 (Tabelle
6.1 e 6.2).
Tabella 6.1 Le performance di Cambiomarcia fra ottobre e novembre - Campagna
Lead.
CAMPAGNA LEAD OTTOBRE NOVEMBRE VARIAZIONE
Numero di Lead 50 48 -2%
Cost per Lead 2€ 2,1 € +10%

Tabella 6.2 Le performance di Cambiomarcia fra ottobre e novembre - Campagna


Conversioni.
CAMPAGNA CONVERSIONI OTTOBRE NOVEMBRE VARIAZIONE
Numero di Conversioni 20 15 -25%
Costo Conversione 15 € 35 € +133%

La tendenza più diffusa è quella di aprire ed entrare nel panico


perché il costo della conversione è più che raddoppiato e il rischio è
quello di una reazione isterica: “Ok, nuclearizziamo tutto”.
No, andiamo con calma.
La vendita di servizi premium è calata di un 25% con un aumento
del costo di conversione del 133%, la campagna di acquisizione lead
è abbastanza stabile. Il problema è quindi riconducibile
esclusivamente alla campagna conversione dove è evidente che
qualcosa non va.
Se nell’arco di un paio di mesi il nostro costo-conversione è
aumentato in modo così repentino i motivi di solito sono due:
1. abbiamo saturato il target, ovvero abbiamo preso tutte le
conversioni possibili da quelle lead (problema interno alla
campagna Facebook e Instagram);
2. abbiamo fatto qualche modifica al sito web che ha stroncato la
conversione (problema esterno alla campagna).
Nel caso di Cambiomarcia non c’è stata alcuna modifica nel sito,
quindi è evidente che si tratti di una forte saturazione del pubblico a
cui stiamo chiedendo di lasciare l’anagrafica.
Impariamo a isolare sempre quegli elementi che nel corso del
tempo, e stiamo parlando di finestre temporali piuttosto ampie di
almeno un mese (ma ovviamente controllando a scadenza
settimanale), sono rimasti stabili in modo da capire se il problema sia
generalizzato su tutto l’account o riguardi solo un singolo obiettivo
campagna.
Per farlo, dobbiamo personalizzare le colonne del nostro account di
inserzione e inserire tutte le metriche che ci interessano per
analizzare le performance della nostra campagna. Per esempio, per le
campagne di Engagement, vogliamo avere tutti i dati dettagliati come
like, condivisioni e commenti.
Selezioniamo Colonne nel nostro account di inserzione e scegliamo
Personalizza colonne (Figura 6.9).

Figura 6.9 Dove trovare il comando “Personalizza colonne”.


Inseriamo le metriche che vogliamo indagare, in questo caso
reazioni ai post, commenti e condivisioni (Figura 6.10).

Figura 6.10 Selezioniamo le metriche che ci interessano di più.

In questo modo otterremo una vista precisa dell’engagement


attorno ai nostri post.
Figura 6.11 Ecco come possiamo avere i dati precisi dell’engagement.

Se volessimo analizzare invece campagne di conversioni,


dobbiamo personalizzare le colonne con i dati sugli acquisti, le
aggiunte al carrello, il ritorno sulla spesa in advertising e tutto ciò
che ci torna utile per fare un check mirato.
Ogni parte del percorso di conversione va analizzato con le
metriche di riferimento.
Ma non basta.
Non basta perché adesso abbiamo bisogno di carta e penna, che nel
nostro mestiere prendono il nome di Excel, per cominciare a prendere
nota di tutte le metriche che sono calate e provare a generare delle
correlazioni tra loro: dobbiamo semplicemente interpretare i dati.
Facciamo un esempio molto pratico.
Per un cliente che vende corsi di formazione online abbiamo notato
un pesante calo nelle vendite sul sito web dell’ultimo mese,
quantificabile attorno all’80% in meno rispetto al mese precedente.
Niente panico, proviamo a capire che cosa sta accadendo.
Per prima cosa andiamo a indagare tutte quelle metriche
“superficiali” ovvero quelle che dipendono interamente dal nostro
account pubblicitario di Facebook.
Le metriche superficiali sono le seguenti.
1. CPM, il costo per mille impression. Quanto si è alzato
nell’ultimo mese? Cioè stiamo pagando molto di più per
mostrare le nostre inserzioni?
2. CTR, il rapporto tra clic e impression. Quanto si è abbassato
nell’ultimo mese? Le persone hanno smesso di fare clic come un
tempo?
3. Costo per Landing Page View, il costo per atterraggio sulla
pagina di destinazione. Stiamo pagando molto più di prima il
singolo approdo alla pagina di acquisto del corso?
4. Frequency, quante volte esponiamo la nostra inserzione allo
stesso pubblico. Li stiamo esponendo troppo alla nostra
inserzione?
5. CPE, il costo per engagement. Improvvisamente le persone
hanno smesso drasticamente di interagire con noi;
6. Relevance Score, il punteggio che Facebook attribuisce alla
qualità delle nostre inserzioni. Abbiamo cominciato
improvvisamente a produrre pessime creatività?
Analizzando le campagne su Facebook, la risposta è “no” a tutte e
sei le domande relative alle metriche superficiali, è tutto regolare e
quindi la causa non è lì.
Allora è il momento di andare alle metriche profonde e per
“profonde” intendiamo tutte le metriche che riguardano il
comportamento del pubblico sul sito web:
1. il costo per Lead: quanto ci costa acquisire una anagrafica;
2. il costo per Add To Cart: quanto ci costa riempire un carrello;
3. il costo per Purchase (CPA): quanto ci costa generare una
vendita,
4. in generale, il costo per qualsiasi altra conversione.
Il panorama è sconcertante perché abbiamo un crollo non solo
degli acquisti ma anche delle anagrafiche acquisite.
Grazie alla creazione di una tabella pivot sul foglio dati, scopriamo
l’arcano.

Figura 6.12 Creando la tabella pivot, riusciamo a scoprire cosa c’è che non va.

Facendo un focus sul grafico di sinistra, c’è una correlazione molto


pesante tra il numero di lead che abbiamo portato a casa nell’ultimo
mese e le vendite generate dal sito.
Figura 6.13 Close-up sul grafico: in blu il numero di lead, in rosso lo storico delle vendite.

Quello in blu è il numero di lead, quello in rosso è lo storico delle


vendite. Notate come le vendite degradino seguendo perfettamente il
calo delle anagrafiche acquisite.
Il nostro problema non sono le campagne di vendita, ma le
campagne di acquisizione email, da lì ha origine il problema.
Una volta che isoliamo il motivo dell’abbassamento delle
performance e proviamo a risolverlo, molto probabilmente
ricominceremo a vendere come prima.
Dove stava il problema? Sul sito web, era stata modificata la
pagina di atterraggio, rendendola ostile all’azione di lasciare un
contatto email.
Senza questo tipo di correlazione, senza riportare lo storico su un
foglio di lavoro e analizzarlo, saremmo probabilmente arrivati a
conclusioni sbagliate.
Figura 6.14 Vediamo un altro caso: Uppa.it.

Questa è Uppa che lavora full funnel, ma la conversione non è la


vendita dell’abbonamento bensì la raccolta mail.
Il nostro traguardo non è usare Facebook e Instagram per vendere
la rivista, ma per procurare delle anagrafiche in linea con il target
della rivista: perché abbiamo scoperto che con l’email marketing ne
vendiamo molte di più, a minor costo.
In questo caso il tempo medio della conversione è di ventotto
giorni. Prima di abbonarsi, il pubblico delle mamme e dei papà ha
bisogno di vedersi una nostra inserzione, fare clic, studiare gli articoli
proposti, magari condividerli e quelli che decidono di abbonarsi lo
fanno in un mesetto circa.
A molti questi ragionamenti sembreranno banali, ma non avete
idea di quanto tempo e quante risorse abbiamo sprecato per far
abbonare le persone a Uppa, con la pubblicità su Facebook e
Instagram, prima di accorgerci che bastava semplicemente
modificare la posizione dell’advertising nel Customer Journey, farla
arretrare di un passo e lasciare la conversione a un altro strumento,
l’email marketing.
Non avete idea di quanto denaro abbiamo sprecato in fasi di
awareness totalmente inutili, prima di accorgerci che non ce n’era
bisogno perché il valore del prodotto non aveva bisogno di alcun tipo
di supporto narrativo: semplicemente, era un’offerta imperdibile.
E perché insistiamo così tanto nel valutare le finestre di
attribuzione? Perché ogni business ha percorsi di conversione di
durata completamente differente.
Per decidere un viaggio alle Maldive ci metteremo molto più
tempo che per decidere l’acquisto di un maglione e la nostra
valutazione sarà diversa quando andremo ad analizzare le finestre di
conversione:
nel caso di un maglione presteremo molta più attenzione a quelle
vendite comprese tra il primo e il settimo giorno dalla visione
dell’advertising;
nel caso di un viaggio alle Maldive lavoreremo principalmente
su tutto ciò che accade tra il settimo e il ventottesimo giorno.
E ricordatevi sempre che le risposte a queste domande le potete
trovare anche senza aver ancora speso un euro in advertising, basta
semplicemente aprire le Analytics di Google del cliente.

Da quanto tempo non si cambia


qualcosa in un account?
Uno degli atteggiamenti che notiamo più spesso è quello di
lanciare una campagna e abbandonarla a se stessa sperando che prima
o poi dia i risultati sperati.
Guardate che cosa ci è accaduto circa un anno fa (Figura 6.15).

Figura 6.15 Prima e dopo l’ottimizzazione.

Siamo di fronte a un e-commerce con una campagna conversione


con obiettivo “add to cart” e il costo per ottenere un carrello riempito
è di 2,02 euro.
Su suggerimento del cliente ci troviamo a fare un’ottimizzazione
per correggere il target e non tocchiamo più la campagna.
Passano quattordici giorni dalla prima ottimizzazione e
improvvisamente il costo per l’inserimento di un prodotto del
carrello quintuplica, con un ritorno sulla spesa in advertising che
crolla dal 709% al 263%.
Morale: le performance decadono in modo devastante nell’arco di
quattordici giorni.
Come nel caso di Cambiomarcia, anche con questo e-commerce il
problema è stata la saturazione rapidissima del target.
Quando ci prendiamo cura giornalmente della nostra pubblicità su
Facebook e Instagram uno dei problemi principali è proprio la
frequenza, il rapporto tra copertura e impression: da quanto tempo
stiamo martellando sempre le stesse persone?
Facciamo un altro esempio e analizziamo il gruppo di inserzioni di
un altro e-commerce che punta all’add to cart e ha come target i fan
della Pagina (Figura 6.16).

Figura 6.16 Un altro gruppo di inserzioni: punta all’add to cart e ha come target i fan.

Notiamo immediatamente una grossa differenza tra copertura e


impression: raggiungiamo ciascun utente almeno quattro volte.
Andiamo ad approfondire facendo clic su Apprendimento iniziale
completato e atterriamo sul grafico dedicato alla saturazione del
pubblico (Figura 6.17).

Figura 6.17 Analizziamo il grafico di saturazione del pubblico.

Ogni giorno questo gruppo di inserzione spende circa 15 euro per


raggiungere 70.000 persone. Ora osservate la colonna evidenziata in
rosso: è una metrica fondamentale per comprendere quanta pressione
state esercitando sul vostro pubblico, gli inglesi la chiamano first
impression ratio ed è la percentuale di pubblico che vede per la prima
volta la vostra inserzione.
Nel caso di questo gruppo di inserzione la first impression ratio è
dello 0,49% il 22 agosto, dello 0,25% il 21 agosto e 0,49% il 20
agosto.
Praticamente abbiamo la certezza che tutte le persone che abbiamo
raggiunto negli ultimi tre giorni hanno già visto i nostri ads, li stiamo
semplicemente ripetendo all’infinito e la pressione che stiamo
esercitando è altissima.
A breve, molto probabilmente, questo pubblico non risponderà più
alle nostre stimolazioni perché stanchi di subire con questa insistenza
la nostra campagna di advertising.
Del resto, avendo scelto come target i fan di una pagina, seppure
molto partecipi alla vita del brand, stiamo pur sempre parlando di una
audience finita ristretta, fatta di circa 100.000 persone. Prima o poi,
più prima che poi, siamo destinati a saturarli.
Soluzioni?
1. Lasciar rifiatare questo target interrompendo la campagna.
2. Cambiare target.
3. Modificare le creatività spesso, per stimolare con immagini e
copy differenti lo stesso pubblico.
Storicamente, per questo cliente, il target dei fan è sempre stato
molto proficuo in termini di vendite generate, quindi non ha senso né
interrompere le campagne, né modificare il target. Basta
semplicemente mettersi al lavoro per creare nuove inserzioni.

Siamo sicuri di mostrare le


inserzioni giuste nel posto giusto?
Nei primi capitoli di questo libro il consiglio è sempre stato quello
di lasciare a Facebook e a Instagram una totale autonomia nello
scegliere i posizionamenti.
Spesso è la scelta migliore perché nessuno più dell’algoritmo sa
qual è il momento migliore per esporre una vostra inserzione
all’interno degli spazi pubblicitari.
Però, in presenza di un decadimento delle performance della vostra
pubblicità, è meglio sempre controllare la nostra spesa su ogni
tipologia di posizionamento.
Velux ha lanciato nel 2018 un concorso che premia la miglior foto
scattata con protagonista la vista dal proprio lucernario: chi fotografa
il gatto sul tetto, chi le montagne, chi un tramonto stupendo.

Figura 6.18 Analizziamo i posizionamenti.


La campagna Facebook e Instagram sta dando ottimi risultati ma ci
troviamo di fronte a fenomeno strano perché il numero di atterraggi
alla pagina web del concorso è abbastanza limitato a fronte invece di
un numero di interazioni enorme.
Nella sezione Dettagli del nostro account di inserzione,
selezionando In base alla pubblicazione e poi facendo clic su
Posizionamento otteniamo questa vista (Figura 6.19).

Figura 6.19 Andiamo su “Dettagli”, poi selezioniamo “In base alla pubblicazione” e infine
“Posizionamento”.

Il colpevole viene individuato facilmente perché su un budget


totale di 947 euro, Instagram ha consumato quasi 650 euro generando
più di 5.000 interazioni a fronte di pochissimi clic (180).
Il posizionamento Facebook mobile invece ha consumato molto
meno budget, circa 254 euro, ma ha ottenuto 698 clic. Se portiamo
una correzione al volo escludendo dal posizionamento Instagram,
otteniamo immediatamente molti più clic da questa campagna,
rinunciando naturalmente alle interazioni.
Un paio d’anni fa una consulente di marketing aziendale ci chiese
di risolvere un problema: stava promuovendo su Facebook e
Instagram un proprio seminario gratuito sulla reputazione aziendale.
Riceveva una marea di atterraggi sul proprio sito web ma nessuna
iscrizione al seminario.
Dopo non aver riscontrato alcuna anomalia sulla correttezza del
target e fatto un check sulla forza delle creatività, siamo passati a
scomporre il placement della campagna e abbiamo capito tutto.
Facebook aveva allocato tutto il budget sulla piattaforma di
Audience Network, il circuito di pubblicità display esterno al mondo
Facebook, un banner su un sito web per capirci.
Una tipologia di posizionamento che tendenzialmente non costa
molto ma che non garantisce mai altissime qualità di pubblico,
soprattutto su un argomento molto settoriale come questo: Facebook
è andato a prendere l’audience più debole nella totalità del target, nel
luogo dove costava meno.
Una volta eliminato Audience Network, la situazione è migliorata.
Le capacità di ottimizzazione dell’algoritmo sono talmente
avanzate che è sempre più raro incappare in un posizionamento
clamorosamente errato ma questo non vi deve minimamente
sollevare dalla responsabilità di controllare sempre dove Facebook
sta spendendo i vostri soldi ed eventualmente correggere e
ottimizzare.

Checkpoint
1. Abbiamo uno storico ormai di qualche decina di milioni di euro
investiti all’interno di Facebook e Instagram per i settori più
diversi in assoluto e vi possiamo assicurare che i problemi delle
nostre campagne seguono quasi sempre una distribuzione
paretiana: l’80% dei problemi è generato sempre da un 20% di
cause e i motivi per cui non funziona una campagna son sempre
quelli.
Se ho dei problemi con le inserzioni di Facebook e Instagram le
macroaree di intervento sono principalmente tre: pubblico,
creatività, obiettivi di campagna.
2. Il pubblico è una brutta bestia, perché il rischio della saturazione
è sempre dietro l’angolo e continuare a esercitare pressione in
situazioni di decadimento di performance non farà altro che
trasformare un problema in una tragedia, soprattutto negli ultimi
tempi in cui Facebook ha dato la possibilità a ogni utente di non
essere più oggetto del vostro retargeting.
Non smetteremo mai di ripeterlo, non appena vi accorgete che
state saturando una audience, cambiatela, modificatela,
ampliatela, allargatela.
Se state saturando la lookalike di chi ha comprato sul sito web,
integratela con un’altra lookalike magari proveniente da una
audience abbastanza fedele composta da chi ha messo un
prodotto nel carrello.
3. Variate le vostre creatività, andando a cercare nuovi angle, nuovi
trigger point per il vostro pubblico, ma anche nuovi elementi
visuali o nuovi formati, sfruttando anche il fatto che Facebook e
Instagram ne sfornano con continuità. Idealmente rinnovate le
vostre inserzioni almeno una volta ogni una-due settimane.
4. Se fate del retargeting per vendere dei vestiti sul vostro e-
commerce, assicuratevi anche di generare delle campagne che
portino traffico perché altrimenti una volta che avete saturato il
pubblico del retargeting non avrete più nessuno da stimolare.
Quindi da un lato alimentate il sito con nuovo traffico, dall’altro
portateli a comprare.
Oppure state lavorando solo su una parte molto alta del funnel,
magari con obiettivo copertura, senza finalizzare poi a una
conversione.
E vi troverete così a generare una grande visibilità della vostra
azienda, rimanendo con un pugno di mosche quando si tratta di
portare a casa il risultato.
Magari proviamo a trasformare la nostra tradizionale campagna
di copertura in qualcosa di più solido, per esempio una
campagna orientata già a una microconversione: se siete un e-
commerce provate a chiedere al vostro pubblico almeno una
visualizzazione della scheda prodotto.
Fondamentale: verificate che i vostri obiettivi di campagna siano
sempre coerenti con il percorso di conversione degli utenti.
5. Se la pratica di advertising viene interpretata in modalità always
on, l’impegno che vi viene richiesto è notevole perché, se la
vostra azienda sta sempre erogando advertising, sarete sempre
soggetti a possibili cali di performance e l’unico modo per
evitare l’allarme rosso è prevenirlo.
6. Ultime raccomandazioni:
- tenete monitorato l’account almeno una volta alla settimana
con estrema attenzione alle metriche più rilevanti del vostro
business;
- mantenete le creatività sempre aggiornate, almeno una volta
ogni una-due settimane;
- tenetevi pronti ad andare su audience diverse o più grandi
quando il momento lo richiede;
- usate i dati come guida delle vostre attività e costruitevi degli
storici su Excel;
- lavorate sulle aree di intervento più rilevanti. Se cercate
microottimizzazioni che vi possano svoltare la vita, allora state
leggendo il libro sbagliato.
Capitolo 7

Instagram

Come potete vedere, il libro sta terminando e non ho ancora parlato


di Instagram.
“Ma come Enrico, mancano tre paginette alla fine del manuale e
non hai ancora parlato del social network con il tasso di crescita più
alto in assoluto? Ci prendi in giro?”
No, non vi prendo in giro.
Il fatto è che forse dovete cambiare punto di osservazione:
l’advertising su Instagram non è “Instagram”.
“Instagram” è quel social network fatto di immagini e storie, di
hashtag e mention, di follower e following ma l’advertising è tutta
un’altra cosa.

Fomo
Qualche tempo fa ero a pranzo con il mio socio e mi racconta del
libro che sta leggendo, si intitola Una sola goccia di sangue. Segreti e
bugie di una startup.
“Guarda devi leggerlo perché parla di questa startup che si fondava
interamente su un prodotto che non ha mai funzionato eppure
continuava ad attrarre investimenti su investimenti. Una storia
incredibile.”
La sera dello stesso giorno lo stavo già divorando ed
effettivamente, confermo, è una meraviglia.
Elisabeth è un’imprenditrice della Silicon Valley con il terrore
degli aghi che inventa un metodo per ottenere delle analisi del sangue
attraverso un cerotto, quindi senza il bisogno del classico prelievo
con la siringa. La cosa incredibile è che questo metodo non funziona,
eppure lei riesce a catturare le attenzioni di industrie farmaceutiche,
colossi della grande distribuzione, investitori, ex dipendenti Apple,
riuscendo a raccogliere centinaia di milioni di dollari di investimenti.
Come ci riesce? Per colpa della patologia più diffusa nel marketing
e nell’imprenditoria attuali: questa patologia si chiama FOMO. La
Fear Of Missing Out: significa bisogno di esserci, l’ansia di mancare
qualcosa di importante.
Attorno al metodo di Elisabeth c’era un tale hype che tutti
dovevano investire e contribuire alla sua missione totalmente
infondata.
Con Instagram accade la stessa cosa.
Ho passato una marea di tempo nell’ultimo anno a rispondere a una
sola domanda: “E Instagram? Come lo usiamo?”. Le varianti di
questa domanda sono diverse:
“Al tuo corso parli anche di Instagram vero?”;
“Che cosa stiamo facendo su Instagram?”;
“Ma siamo anche su Instagram, ché ormai sono tutti lì?”.
Io sono un advertiser e per me Instagram è un posizionamento
pubblicitario, niente di più niente di meno. E lo tratto come tale.
Mi spiego meglio: quando imposto una campagna pubblicitaria la
imposto attraverso la gestione inserzioni e includo anche Instagram
come posizionamento, lasciando, come già detto più volte, i
posizionamenti automatici. Instagram è uno di questi posizionamenti
e nella valutazione dell’andamento della campagna lo tratterò
esattamente come tratto tutti gli altri posizionamenti; se performa lo
mantengo, se non performa lo miglioro o lo tolgo. Raramente mi
capita di fare una campagna in un modo per Facebook e in un altro
per Instagram perché dal punto di vista dell’advertiser l’unica cosa
che conta è la forza del messaggio.
Veronica Gentili
Mi confronto spesso con i colleghi sul ruolo di Instagram, ed è stata Veronica
Gentili, una delle massime esperte di advertising su Facebook e Instagram, a
illuminarmi citando proprio un passaggio del Blueprint (il certificato di competenza
avanzata rilasciato da Facebook):
Quando parliamo di advertising ha poco senso distinguere tra pubblicità
esclusivamente per Facebook o esclusivamente per Instagram. L’unica
cosa che conta è la rilevanza del messaggio. In advertising dobbiamo
trattare il messaggio pubblicitario su Instagram come un semplice
posizionamento e valutarlo come tale, con gli stessi identici parametri con
cui analizziamo un posizionamento Facebook: copertura, impression, lead
ecc.
Non ve lo dice Veronica, non ve lo dico io, ve lo sta dicendo Facebook: un conto è il
vostro canale Instagram, che cosa ci scrivete, come lo curate, qual è il taglio
contenutistico che gli avete dato, un altro conto è l’advertising dove l’unica cosa che
conta è la pertinenza e la rilevanza del messaggio.

Instagram non è full funnel


Chiudo con un altro aneddoto.
Siamo alla fine del 2018 e sono in riunione presso la sede di
Benetton: ci siamo io, il mio socio Andrea, lo staff marketing del
marchio di Treviso e i due consulenti Facebook che ci seguono.
A schermo proiettano un’analisi molto interessante: confrontano i
posizionamenti scelti da Benetton confrontati con la media del
mercato fashion. Notiamo subito che stiamo spendendo un bel po’ di
meno su Instagram rispetto alla concorrenza e il consulente Facebook
ce lo fa notare.
Però ci dice anche: “Io apprezzo molto la vostra distribuzione dei
posizionamenti, perché effettivamente Instagram non è full funnel.
La grande differenza tra Facebook e Instagram è che Facebook è full
funnel cioè segue l’utente in tutte le fasi del percorso di conversione,
mentre Instagram non lo è”.
Che cosa vuol dire? Vuol dire che Instagram è uno straordinario
strumento di awareness e di primo contatto con il brand, è un ottimo
strumento per accompagnare anche quel consumatore che già ci
conosce; forse però non è un grande strumento di conversione.
Raramente Instagram, per quella che è la mia esperienza, è l’ultimo
clic prima dell’acquisto.
Molti di voi sarebbero portati a prendere una decisione drastica,
ovvero che se Instagram non serve alla conversione, allora
eliminiamolo.
Attenzione a fare un errore grossolano del genere, perché noi ci
siamo già passati: se eliminate Instagram come posizionamento solo
perché non è protagonista di una conversione, probabilmente
perderete tutte quelle conversioni in cui è protagonista indiretto
ovvero quando non è di sicuro l’ultimo clic prima dell’acquisto, ma è
un assistente alla vendita potentissimo.
Morale: concentratevi sulla forza del messaggio e trattate
Instagram come uno dei tanti posizionamenti della famiglia
Facebook. Non vi ossessionate con Instagram, altrimenti soffrite di
FOMO.
Postfazione

Imparare da Enrico Marchetto è una continua sfida alla tentazione


di semplificare, di cercare ricette standard replicabili senza pensare.
Enrico ci riporta alla consapevolezza che la realtà non è
deterministica, che lavorare con gli esseri umani, nel marketing come
in altri contesti, implica un lavoro di ricerca, comprensione dei
meccanismi di funzionamento della realtà, osservazione e analisi di
tanti casi e storie... senza nessuna garanzia finale di un risultato certo.
Se per alcuni questo può risultare frustrante, io invece mi ci sento a
casa. Anche se da decenni lavoro nell’ICT e nel digital marketing, la
mia formazione è avvenuta ben prima dell’arrivo di Internet nelle
nostre vite, e gli anni passati a studiare con passione le scienze della
vita per laurearmi in biologia mi hanno lasciato in eredità un
approccio sistemico all’analisi della realtà: leggo il mondo come un
sistema organizzato su livelli concentrici, ognuno dei quali dipende
dai vincoli imposti dai livelli sottostanti, ma a sua volta introduce
nuove regole, che influenzeranno l’ambito delle possibilità dei livelli
superiori.
Così, le regole della chimica definiscono ciò che è possibile a
livello di macromolecole, ma non determinano strettamente la forma
che ha assunto il DNA, né tantomeno le possibili sequenze di
nucleotidi che ritroviamo negli organismi presenti e passati; il DNA
regola la sintesi delle proteine che costituiscono il nostro corpo, ma
non definisce chi saremo e come ci comporteremo; ciascun individuo
risponde a stimoli e si sviluppa secondo un piano riconoscibile, ma
nell’insieme le nostre comunità interagiscono nei modi più vari con
l’ambiente circostante.
Studiare gli organismi viventi e le dinamiche sociali - e il
marketing è un aspetto di queste ultime - è quanto di più lontano
possa esserci dalla fisica classica, dove all’applicazione di un’azione
corrisponde una reazione prevedibile e misurabile. La nostra indagine
assomiglia di più alla partita a croquet giocata da Alice nel Paese
delle Meraviglie, dove le mazze sono fenicotteri e le palle da colpire
sono ricci, e bisogna farli passare sotto i fanti del mazzo di carte
viventi: sappiamo abbastanza bene come tenderà a comportarsi
ciascuno di questi attori, ma quale sia il risultato finale è ogni volta
un’incognita.
E tuttavia, chi arriva a mappare le regole di base del gioco e sa
pesare il ruolo di ciascuna componente ha una capacità di visione e
previsione maggiore di chi gioca a caso. Forse non sa esattamente
spiegare perché “se fai così le cose andranno male, mentre se cambi
quel dettaglio tutto funzionerà meglio”, ma ha visto tanti di quei casi
e ha introiettato tante di quelle storie che ormai intuisce, ri-conosce,
in definitiva è in grado di giocarsi le sue carte con maggiore
probabilità di successo.
Probabilità, non sicurezza: non quella che ci chiedono i nostri
clienti, che vorrebbero la garanzia di un risultato che in realtà non è
mai scontato e che dipende anche da fattori fuori dal nostro controllo.
Ecco, in questa realtà probabilistica ciò che possiamo fare è
aumentare le probabilità di successo e diminuire quelle di fallimento
disastroso, ma non ci è mai dato di lasciare a lungo innestato il pilota
automatico, perché intorno a noi tutto si muove e le strategie che
erano perfette e competitivamente valide nell’ecosistema di ieri
possono diventare in breve tempo svantaggiose - o cambiamenti più
grandi di noi possono portare, all’interno della nicchia di cui noi
eravamo la specie dominante, nuovi attori più efficienti di noi nello
sfruttare risorse che davamo per scontate.
Io ed Enrico abbiamo sufficiente esperienza sulle spalle da esserci
trovati più volte a dire: “Quel che vi raccontavo fino a pochi mesi fa
non è più vero, adesso le cose funzionano in modo diverso”. L’unica
costante del nostro approccio è non perdere mai l’allenamento a
guardare le cose da più di un punto di vista, cercando anche di
abituare i nostri clienti a farlo.
Spesso chi ha un’idea o un prodotto ne è talmente appassionato da
non comprendere che, magari, per i clienti questo prodotto
rappresenta poco più di un marginale miglioramento di qualche
dettaglio della propria vita; ridimensionare l’ego è già un aggiustare
la prospettiva, e più leggero è il bagaglio che ci portiamo dietro, più
saremo agili nel rispondere ai mutamenti della realtà.
Alessandra Farabegoli
Indice

Introduzione
Capitolo 1 - Per una grammatica generativa dell’advertising
Da Chomsky a Jurassic Park
La storia di Nonna Pallina
La storia di Gianpaolo
Le strutture post-dependant
Il funnel di un gelato
La campagna always on
Proviamo a semplificare?
Mica ti sarai dimenticato di Benetton?
Esiste davvero una grammatica generativa dell’advertising?
E i risultati?
Checkpoint
Appendice tecnica
Capitolo 2 - L’ecosistema pubblicitario di Facebook e Instagram
Velux, il marchio che crea metonimie
Componiamo il puzzle
Budget
Posizionamento
I risultati
L’ecosistema semplice come possibile punto di partenza
dell’ecosistema complesso
Checkpoint
Appendice tecnica
Capitolo 3 - Gli ecosistemi complessi
Una cosa che Facebook non riesce a fare
L’audience algoritmica, la base dell’ecosistema complesso
Velux: il nuovo POEM
Un incontro, un tormentone
The Indoor Generation
Un nuovo trigger point: rassicurare
L’ultimo atto
Il decalogo dell’ecosistema
Checkpoint
Appendice tecnica
Capitolo 4 - La genesi di un trigger point
Real Time Marketing e NewsJacking, un paradigma obsoleto
Comunità pagane e comunità cristiane
L’essenza dell’ecosistema: quando un insieme ne influenza un altro
Il segreto di un trigger point
Il verismo social
The dark side
Checkpoint
Appendice tecnica
Capitolo 5 - L’arte di vendere con Facebook e Instagram
Categorie di e-commerce
Gli oggetti sacri
Il catalogo dinamico
Richieste soddisfatte?
Quando un sito web non ha traffico: il caso di American Uncle
Checkpoint
Appendice tecnica
Capitolo 6 - Il declino dell’advertising
Il frattale
Stare sulla frontiera
La gestione di un account di inserzione
Il ruolo di Facebook e Instagram nel Customer Journey
Tutto l’account o uno specifico aspetto?
Da quanto tempo non si cambia qualcosa in un account?
Siamo sicuri di mostrare le inserzioni giuste nel posto giusto?
Checkpoint
Capitolo 7 - Instagram
Fomo
Instagram non è full funnel
Postfazione

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