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Volume : 2 Numero: 42 Data: Settembre 2011 Sede: Gruppo Alternativa Liguria Di: Asta Paolo, Martini Claudio

Alternativa news
In collaborazione con: Megachip

IN QUESTO NUMERO
1 Dieci anni dopo Di: Giulietto Chiesa [ pag. 1/2 ] 2 Indigniamoci ma non fermiamoci Di: Giorgio Airaudo [ pag. 2 ] 3 Non abbiamo da perdere che i loro debiti Da: retedellaconoscenza [ pag. 3/4 ] 4 Si scrive Tripoli, si legge Beirut? Di: Simone Santini [ pag. 4 ] 5 Zamagni: le coop civilizzano il mercato, la manovra non lecita Intervista a Stefano Zamagni [ pag. 5 ] 6 Ripudiare la guerra e le oppressioni: una via strettissima Di: Fabrizio Tringali [ pag. 6 ] 7 Il miracolo economico del Nord Dakota: non il petrolio Di: Ellen Brown [ pag. 7/8 ] 8 Debito pubblico: la grande truffa Di: Giulietto Chiesa [ pag. 8 ]

DIECI ANNI DOPO D

di Giulietto Chiesa.

ieci anni sono passati da quell11 settembre che ha cambiato la storia del mondo, avviando la guerra infinita contro il terrorismo internazionale. I dubbi su quella vicenda si sono ingigantiti, diventando certezze. Non 19 terroristi, da soli, hanno attaccato lAmerica, bens un pugno di terroristi di stato (occidentali e amici delloccidente) con passaporti americani, israeliani, pakistani, sauditi. Osama bin Laden non mai stato incriminato, sebbene, in suo nome, siano state combattute due guerre (contro lAfghanistan e contro lIraq) che hanno prodotto centinaia di migliaia di morti civili e che non sono ancora terminate. Guantnamo rimasta in funzione nonostante le promesse di Obama. Nessun processo contro nessun presunto colpevole stato celebrato in questi dieci anni. Gran parte dei risultati della Commissione ufficiale dinchiesta (contenuti nel 9/11 Commission Report) sono completamente inutilizzabili di fronte a qualunque tribunale perch ottenuti con luso sistematico della tortura contro i prigionieri. Nessuno dei torturatori stato incriminato. Tutte le regole democratiche sono state violate, sia dentro che fuori degli Stati Uniti. LEuropa intera divenuta complice ospitando prigioni segrete, permettendo latterraggio illegale di aerei con prigionieri a bordo nei propri aeroporti. Polonia, Romania, Lituania, Italia, Germania, Gran Bretagna, Spagna, Portogallo sono stati direttamente coinvolti in queste operazioni criminali. Il segreto di Stato ha coperto la verit: che lEuropa e i suoi servizi segreti sono stati e sono agli ordini dellImpero americano. Nel frattempo decine di nuovi fatti, di scoperte di ricercatori volontari in ogni parte del mondo, soprattutto negli Stati Uniti, confermano e aggravano le accuse contro lAmministrazione americana. Decine di libri sono stati pubblicati, dove in varia misura e sotto diversi angoli visuali, la versione ufficiale stata demolita. Se qualche anno fa, era gi pi che legittimo sollevare gravi domande sulla versione ufficiale, adesso abbiamo a disposizione molte pistole fumanti che pongono la questione della chiamata in correo di alti e altissimi personaggi dellestablishment statunitense. Nessuno di loro stato chiamato, tuttavia, a deporre sotto giuramento. Centinaia di testimonianze e di gravissimi documenti veri e propri capi daccusa sono stati accantonati e mai presi in considerazione. Noi siamo orgogliosi di essere stati con la realizzazione del film Zero e con diversi libri su questi temi parte del grande movimento per la verit sull11 settembre. Ma come mai di tutto questo non si parla? La risposta una sola: il mainstream corporate media interamente nelle mani di quei circoli politici che intendono coprire la verit. L11 settembre si cos trasformato in un vero e proprio tab, svelare il quale sarebbe esiziale per la sopravvivenza stessa degli Stati Uniti come prima potenza mondiale. Dunque sperare in una rapida scoperta della verit, su chi ha organizzato, attuato il pi grande attentato televisivo della storia, e perch lo ha fatto, sarebbe ingenuo. Ma coloro che hanno capito - tra i quali chi scrive non possono rinunciare a cercare. Per una ragione assai semplice: chi ha organizzato l11 settembre ancora al potere negli Stati Uniti e nel Superclan mondiale. E poich la crisi che ha provocato l11 settembre ora nuovamente esplosa, con ancora maggiore virulenza, dobbiamo tutti sapere che siamo in pericolo di nuovi gravissimi avvitamenti, terroristici e militari, che sconvolgeranno il mondo intero nei mesi e anni a venire. In altri termini non stiamo scavando nel passato, ma stiamo osservando il presente. E la

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massa di nuove scoperte sulla menzogna colossale nella quale abbiamo vissuto gli ultimi dieci anni cos grande che non possiamo tacere. Fino ad ora il mainstream corporate media ha demonizzato, ridicolizzato, calunniato tutti coloro che hanno posto domande. Per questa ragione si deciso, su iniziativa di David Ray Griffin, il pi tenace dei critici della versione ufficiale, di costituire un 9/11 Consensus Panel, in grado di porre le domande in modo tale da impedire di attaccare questo o quello dei critici, presentando al pubblico mondiale una serie di domande collettive sulle quali esiste un larghissimo consenso (dall85 al 100%) tra tutti gli esperti consultati nelle diverse materie. Questo Consensus 9/11 Panel composto da 22 personalit internazionali (chi scrive ne parte, insieme ad un altro italiano, Massimo Mazzucco) tra cui nomi prestigiosi come Robert Bowman, ex capo del Dipartimento di Ingegneria Aeronautica della US Air Force; come Dwain Deets, ex direttore del Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale della NASA; come Niels Harrit, professore di chimica presso il Nano Science Center dellUniversit di Copenhagen; come il prof. Steven Jones ex della Facolt di Fisica della Brigham Young Universitiy; come il comandante Ralph Kolstad, ex pilota combattente della US Air Force, con 27 anni di esperiena come pilota di linea e 27.000 ore di volo alle spalle. Eccetera. Questo il livello di competenze specialistiche, giornalistiche, scientifiche storiche del Consensus Panel. Il consenso stato concentrato, per ora, su 13 domande e affermazioni fondamentali sulle quali unanimemente si ritiene che la versione ufficiale stata falsificata consapevolmente. Non possiamo elencarle tutte in questo articolo, ma ci limitiamo ad alcune, ben sapendo che sono tutte cruciali. Non ci sono prove che Osama bin Laden sia stato lorganizzatore dellattentato; le due torri gemelle non sono state abbattute dallimpatto degli aerei e dai susseguenti incendi; nelle due torri gemelle ci sono state decine di esplosioni, antecedenti e successive allimpatto degli aerei; tre torri e non due caddero quel giorno, tutte e tre in caduta libera, in violazione di tutte le leggi della fisica; nessuno dei quattro equipaggi degli aerei dirottati innest il codice 7500, cosa inspiegabile; il pilota presunto del volo AA77, che colp il Pentagono, non poteva effettuare la manovra che viene descritta nella speiegazione ufficiale; il vice presidente degli USA, Dick Cheney si trovava nel bunker di comando ben prima che AA77 colpisse il Pentagono, mentre egli afferm il contrario. A queste domande se ne posono aggiungere molte altre. N le quattro scatole nere dei due aerei finiti sulle torri n quelle del volo AA77 sono state ritrovate: un record assoluto nella storia dellaeronautica moderna. Solo in seguito una delle due del volo AA77 stata dichiarata come esistente. Ma il suo contenuto in parte indecifrabile, in parte maldestramente manipolato (e chi pu averlo manipolato? I 19 terroristi kamikaze?). Ultima perla: due dei terroristi, che sarebbero stati a bordo del volo AA77, al-Anjour e al-Mihdhar, vissero gli ultimi dieci mesi prima dell11/9 in casa di un agente dellFBI , a San Diego, California, e furono finanziati da un altro doppio agente dellFBI e dellArabia Saudita. Erano protetti da un servizio segreto americano, entrarono negli Stati Uniti con un visto multiplo, concesso loro da un altro servizio segreto americano. Parlare di errori, o di incompetenza ormai impossibile. Si deve parlare di connivenza e di partecipazione attiva. Ma se aspettiamo che Barack Obama ci dica la verit, aspetteremo invano. Lui ha assunto le vesti del vendicatore uccidendo per lennesima volta, il gi defunto Osama bin Laden e seppellendolo in mare. Credere a questa storia e credere agli asini che volano la stessa, identica cosa.

Indigniamoci ma non fermiamoci - di Giorgio Airaudo. Indignarsi non basta ma cominciamo a


farlo! La manovra non solo sbagliata perch non prevede la possibilit di investimenti per il rilancio dell economia, non solo ingiusta perch colpisce i soliti cittadini che pagano tutte le tasse (tra questi tutti i lavoratori dipendenti e i pensionati) e mantengono il sistema pubblico di questo paese e la sua coesione sociale, ma anche inutile e vendicativa. Inutile perch non affronta strutturalmente il problema del debito proponendo, ad esempio, agli italiani un nuovo patto fiscale in cui tutti progressivamente paghino le tasse a partire da chi ha di pi, azzerando evasione ed elusione fiscale. Vendicativa perch continua ad accanirsi sulle nuove generazioni espropriandole definitivamente della possibilit di avere prima o poi un contratto nazionale di lavoro che dia un minimo di certezza e di sicurezza nel lavoro e nella vita, perch svuota larticolo 18 dello statuto dei lavoratori aprendo la strada ai licenziamenti a maggioranza, per accordo sindacale, facendo pagare a tutti i lavoratori Italiani le promesse dinvestimento della ex azienda nazionale Fiat. Il 5 settembre, quando dovrebbe essere quasi concluso liter della manovra al

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Senato e dovrebbe iniziare la discussione alla Camera dei deputati, la Fiom-Cgil, come annunciato, promuove loccupazione simbolica di alcune piazze per far sentire la voce dellindignazione dei cittadini, delle lavoratrici e dei lavoratori privati e pubblici, dei pensionati e dei giovani, precarie e precari per questo furto di futuro. Ci troveremo a partire dalle ore 18 in piazza Carignano a Torino (sede del primo Parlamento italiano), davanti alla borsa di Milano, a Bologna e in altre citt italiane, mentre il 6 toccher a Roma in piazza Navona E ora di farci ascoltare unendo le differenze di tutti quei movimenti che resistono nella crisi, che cercano soluzioni alternative per uscire dalla crisi con giustizia ed equit . Dobbiamo farci ascoltare! Dobbiamo immaginare di durare e di ritornare anche in modo permanente e continuativo nelle nostre piazze, con appuntamenti settimanali o giornalieri, facendole vivere anche tutta la notte. Il Parlamento deve sentire la presenza e le richieste delle italiane e degli italiani mentre discute, non possono decidere da soli! Serve unalternativa che non usi l emergenza per colpire i pi deboli e limitare diritti e libert come vuol fare la manovra economica e in particolare larticolo 8. Queste iniziative possono incontrare i sindaci e le loro comunit lasciate sole e disarmate nella crisi, far incontrare la generazione di chi ha costruito la

democrazia del nostro paese anche con il 25 aprile, il 1 maggio e il 2 giugno che non valgono meno delle riconosciute feste religiose, con i giovani di San Precario e ancora accompagnare e dare continuit allo sciopero generale della Cgil del 6 settembre che non un rituale isolato ma il possibile punto di partenza di un cambiamento, di unalternativa di governo necessaria. Il protagonismo, la partecipazione del popolo dei referendum sui beni comuni, che si protratta in mille dibattiti estivi molto partecipati, deve e pu farsi pratica sociale e soggettivit politica, supplire alla fragilit dellopposizione, ridare linfa allesausta nostra democrazia. Facciamolo, indigniamoci adesso! E non fermiamoci, non basta!

Non abbiamo da perdere che i loro debiti retedellaconoscenza.it.


da

Machiavelli consigliava Perch le iniurie


si debbono fare tutte insieme, acci che, assaporandosi meno, offendino meno. Nonostante la rapidit con cui si sono manifestati gli ultimi effetti della crisi e il tentativo in corso di approvare frettolosamente la manovra pi corposa e pericolosa della storia repubblicana italiana, ne assaporiamo egualmente il gusto amaro, e ci sentiamo concretamente offesi. Lo smantellamento del welfare, gli specchietti per le allodole sugli sprechi e i privilegi della politica, l'attacco profondo ai diritti dei lavoratori, sono tutte norme che affossano il nostro futuro e quello dell'Italia. Siamo al centro della Grande Crisi. L'economia finanziaria, il cui volume di affari supera di otto volte il PIL mondiale, esplosa, innescando una corsa ai profitti senza via d'uscita. Dopo aver saccheggiato nel 2008 mediante i meccanismi di indebitamento privato, oggi si concentra sul debito pubblico. Davanti a un'economia realmente mondiale e senza confini, l'unico modo con cui per i mercati possibile, da un lato, alimentare i profitti spingere la produzione oltre i limiti di sostenibilit ambientale del pianeta, e dall'altro smantellare il welfare, saccheggiare i beni comuni, togliere risorse al futuro, alla nostra generazione e alle successive. Strani spettri si aggirano per l'Europa, lo spettro della recessione e della crisi di civilt, e l'ectoplasma inafferrabile dei mercati, entit astratta, che ha sempre ragione e che necessario rassicurare, iniettando nuove risorse per gli speculatori, tagliando il welfare, privatizzando tutto il privatizzabile, con buona pace dei 27 milioni di italiani che hanno votato si al referendum di giugno. Ma i mercati, i fondi di investimento, le banche, le compagnie di assicurazione, hanno non solo dei nomi chiari, ma soprattutto precise responsabilit. Ad entrare in crisi oggi la civilt occidentale, la sua storia antica e il suo modello di sviluppo pi recente, la sua ossessione per la crescita fondata su diseguaglianze, avidit e sfruttamento dei lavoratori. Si aprono delle pagine nuove della storia, ci troviamo a un bivio, in cui ci serve la forza e la nettezza di dire che non esistono soluzioni preconfezionate, non c' atto collettivo singolare che ci possa salvare da un giorno all'altro, non sar LA singola data di mobilitazione, LO sciopero, LA singola occupazione, a salvarci. Serve, oggi pi che mai, una fase di

resistenza in cui necessaria una lotta di lungo periodo, che non prelude immediatamente alla costruzione dell'alternativa, ma di sicuro pu aprire lo spazio per invertire i rapporti di forza. Per raggiungere tale obiettivo non possiamo cadere nelle sirene avanguardiste, ma dobbiamo saper costruire mobilitazioni che nei contenuti e nelle pratiche portino a scendere in piazza fette sempre pi consistenti di popolazione, di quei 27 milioni di cittadini che hanno votato si al referendum, di quel popolo indignato che, oggi, impossibile quantificare. La crisi economica , anche, una crisi democratica, una crisi non solo della rappresentanza e dei suoi meccanismi, ma una vera e propria sospensione della sovranit popolare. La manovra italiana frutto del commissariamento della BCE, cos come il caso greco, ci parlano della rottura del nesso istanze sociali, risposta istituzionale. Per questo, da un lato necessaria, oggi ancor pi dello scorso autunno, una mobilitazione che si inserisca nelle contraddizioni e nelle debolezze del governo, e punti a farlo cadere. Dall'altro dobbiamo sapere che non basta neanche il pur ambizioso obiettivo di portare alla caduta del governo attraverso una grande stagione di lotte e resistenza, senza delegare alla politica il testimone del cambiamento. Serve una grande mobilitazione internazionale contro le politiche di austerity, la dittatura dei mercati, per costruire l'AltraEuropa, ricostruire la democrazia e promuovere un altro modello economico e di organizzazione del lavoro che non sia fondato su profitti e sfruttamento. Nelle lotte su tutti i livelli ci sentiamo rispondere che c' un sopra che decide e determina, che assolve da tutte le colpe chi governa. Le regioni non hanno risorse per le borse di studio perch il governo ha tagliato i fondi, stessa cosa le province per l'edilizia scolastica, ad esempio; il governo taglia le risorse perch lo impone l'Unione Europea o il Fondo Monetario Internazionale; l'UE impone l'austerity perch lo chiedono i mercati. C' sempre qualcuno sopra che decide, che dall'alto non sente, che dall'alto ci schiaccia. Non basta assediare i palazzi, in cui spesso non si decide pi nulla. Dobbiamo isolarli, lasciar franare il terreno sotto i loro piedi. Non attaccare il potere, ma lasciarlo franare, per potere decidere delle nostre vite. Per fare ci il primo obiettivo della nuova stagione di lotte e resistenza deve essere la costruzione di un larghissimo consenso, che mini le basi dell'attuale modello sociale, iniziando a svelare la rottura di qualunque patto

sociale. Dobbiamo rifiutare la rincorsa accondiscendente alle esigenze dei mercati, che cercano solo di moltiplicare i profitti in un'economia virtuale basata sulla compravendita e moltiplicazione di denaro per mezzo di denaro. Non possiamo pensare che l'Italia e l'Europa possano salvare se stessi e la propria storia abbassando i salari, eliminando i diritti, tagliando lo stato sociale e privatizzando l'istruzione e la ricerca. Non accettabile che l'Europa dei banchieri, di Trichet e Draghi decida sulle nostre vite, senza neanche la possibilit di prendere parola, di essere ascoltati. Davanti a quest'Unione Europea non possiamo che metterci in cammino, armarci di coraggio e sconfiggere Draghi e tutti i mostri del passato che distruggono il futuro. Per questo quella contro la manovra non pu essere una mobilitazione che si esaurisce nella lotta per impedirne l'approvazione. La manovra in piena continuit con una politica economica di lungo corso, spesso bipartisan, fatta di privatizzazioni, saccheggio e taglio, che non ha fatto altro che cedere sovranit ai mercati. La mobilitazione, non pu fermarsi quindi a contrastare la manovra, ma dovr proseguire, a livello nazionale contro il governo e le sue politiche economiche, sul piano internazionale, contro il sistema economico che quotidianamente ci impone di pagare la crisi. Lo sciopero generale di 8 ore del 6 settembre indetto dalla CGIL, la proposta della Fiom di occupare le principali piazze italiane per riempire ulteriormente quella giornata di lotta, sono tutti segnali estremamente positivi, che ci impongono di proseguire nel percorso di costruzione di fronti sociali larghi, perch nessuno autosufficiente e sempre meno lo sar se non si inizia a invertire la tendenza drammatica di questi anni. Chi dedica la propria esistenza a contare profitti, non potr fare a meno di fare i conti con noi. Siamo studenti, delle scuole e delle universit italiane, siamo i giovani senza futuro, spesso al centro di editoriali e inchieste, che oscillano tra il banalsociologico e il paternalista, siamo una generazione che non intende restare al centro della ricerca sociale e fuori da ogni attenzione della politica. Le nostre scuole e universit non hanno pi le risorse per darci una formazione di qualit, le nostre borse di studio sono vuote, le scuole fatiscenti, l'unico segno positivo la costante crescita della disoccupazione giovanile. Anche per questo l'Unione degli Studenti promuove per il 7 ottobre una grande giornata di mobilitazione studentesca, a

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partire dalle scuole di tutt'Italia. Siamo gli studenti e le studentesse che lo scorso anno han fatto tremare l'Italia e il governo con le loro mobilitazioni contro la riforma Gelmini, per costruire un futuro diverso per la nostra generazione, lo scorso autunno ci abbiamo provato e ci riproveremo nei prossimi mesi. E' arrivato il momento di riprenderci tutto, di rifiutare una finta democrazia che sa ascoltare solo Piazza Affari, e imporre la volont di un'altra piazza, la nostra. Perch noi, studentesse e studenti, precari, lavoratori, non abbiamo da perdere che i loro debiti.

Si scrive Tripoli, si legge Beirut? - di Simone Santini clarissa.it.

Si chiama Abdel Hakim Belhaj. il nuovo


governatore militare di Tripoli, ed un islamico radicale, un jihadista. Lui stesso racconta di aver incontrato Bin Laden per l'ultima volta nel 2000 e che lo sceicco del terrore gli offr di combattere insieme ad Al Qaeda contro gli americani e gli israeliani. Lui rifiut, ma sono in tanti a nutrire dubbi e sospetti sul suo passato pieno di ombre. Chi lo ha incontrato recentemente a Tripoli, come l'inviato Bernardo Valli di La Repubblica, racconta che il 45enne Belhaj porta la folta barba nera dei fondamentalisti islamici ma il suo viso giovanile e i suoi modi esprimono candore e dolcezza, in netto contrasto con la fama di duro guerrigliero. Alla fine degli anni '80 ha combattuto in Afghanistan, alleato di Bin Laden, ma con la cacciata dei sovietici i rapporti con lo sceicco del terrore si sarebbero interrotti. Non ne sono stati convinti gli americani che lo arrestavano nel 2004 in Malesia trattenendolo in un carcere speciale di Bangkok dove sarebbe stato torturato da agenti della Cia prima di essere riconsegnato alla Libia. Ma in questa ricostruzione ci si perde. Secondo altre fonti, infatti, Belhaj avrebbe guidato il Gruppo libico di lotta islamica, uno dei pi oltranzisti nella opposizione contro Gheddafi, ma anche profondamente infiltrato dalla stessa Cia. possibile che gli americani abbiano tradito Belhaj perch in quel frangente lo scenario internazionale stava mutando e il ras libico, da "cane rabbioso" tornava ad essere un interlocutore fondamentale per tutte le cancellerie occidentali, Washington per prima. In Libia Belhaj incarcerato in cella di isolamento per sei anni, una gattabuia senza un filo di luce, ed gi un miracolo che non sia stato giustiziato subito per aver partecipato a tre attentati contro Gheddafi. Alla fine viene salvato grazie al programma "pentimento degli eretici" voluto da Saif alIslam, il figlio del Colonello e suo erede politico, cos il comandante fondamentalista rinnega formalmente la sua fede jihadista e fa abiura dei suoi principi teologici. Esce di carcere. Ma non passa un anno che si trova sulle montagne occidentali libiche ad organizzare la guerriglia e ad imporsi come comandante

grazie alla sua esperienza afgana e il suo carisma. Come nella guerra per Kabul, Belhaj e i suoi uomini usano i rifornimenti e i materiali militari della Cia e delle altre intelligence occidentali. Un ritorno a casa? Non chiaro chi l'abbia nominato governatore militare di Tripoli. Si dice per acclamazione diretta delle stesse truppe sul campo, dopo che i suoi uomini avevano conquistato Piazza verde e successivamente il bunker di Bab al Azizya. Ma di nuovo ci si perde nella ricostruzione. Ad esempio uno dei comandanti ribelli della "brigata Tripoli", che ha occupato la capitale, parla senza peli sulla lingua: "Quelli che comandano ora, noi non li vogliamo. Punto. O si cambia o si finisce male. Belhaj non ha combattuto per occupare Tripoli, e non ci piacciono le sue frequentazioni del passato. O se ne va o lo mandiamo via. [... Lo pensa] il novanta per cento delle nostre brigate, una decina di migliaia di uomini. Pensiamo che il Cnt [Consiglio nazionale di transizione] ci debba ascoltare, ma se non lo fa, abbiamo le armi per farci ascoltare. Noi abbiamo liberato Tripoli, possiamo liberarla nuovamente". La presenza di Belhaj quale capo militare del Cnt a Tripoli crea non pochi imbarazzi anche a Bengasi, ma certo che l'uomo si trovasse al fianco del presidente del Consiglio dei ribelli, Mustaf Abdel Jalil, sia nella riunione di Parigi durante l'incontro con Sarkozy, sia a Doha, nel Qatar, durante la riunione della Nato, presentato in qualit di "mano armata della rivoluzione". Non si pu dimenticare che pochi giorni prima del putsch contro Tripoli, il comandante militare delle milizie ribelli, il generale Abdel Fattah Yunes, era stato assassinato proprio per mano delle fazioni islamiche. La fine di Yunes, la repentina ascesa di Belhaj, la caduta di Tripoli, difficilmente possono non essere messe in relazione. Ora la capitale risulta divisa in settori, ognuno dei quali controllato da una diversa milizia e che risponde a proprie logiche e assetti di potere. "La brigata Zitan ha preso il controllo dell'aeroporto, quelli di Misurata stanno piantati a guardia della banca centrale e del porto, le brigate Tripoli tengono il centro della citt, mentre i berberi delle montagne, quelli della brigata Yafran, sono al comando degli altri quartieri del centro. Chi ricorda i venti anni della guerra del Libano non pu non ricordare che tutto cominci con la divisione dei quartieri tra sciiti, sunniti, cristianomaroniti, nasseriani, e drusi", scrive

Mimmo Cndito su La Stampa. E senza contare i lealisti che, sicuramente ancora presenti in forze, si celano nell'ombra forse in attesa di una occasione propizia. Il "tragico puzzo di Libano che infesta l'aria" di Tripoli fa temere che la guerra non sia ancora finita, e un'altra ancor pi drammatica stia covando sotto le ceneri della capitale liberata. Fonti: Mimmo Cndito, Le Trib si spartiscono la capitale: "Via gli islamisti o li cacciamo noi", La Stampa, 2 settembre 2011. Bernardo Valli, Lo jihadista che disse no a Bin Laden: "Guider Tripoli verso la libert", La Repubblica, 3 settembre 2011.

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Zamagni: Le coop civilizzano il mercato, la manovra non lecita


Intervista a Stefano Zamagni a cura di Luca Aterini greenreport.it.
d intrufolarsi tra le innumerevoli e sempre pi oscure pieghe della manovra ordita dal governo, che camaleonticamente cambia pelle ad ogni battito di ciglia, sembra che il colpo di machete si abbatter stavolta anche sulle cooperative, per le quali ipotizzato un possibile taglio alle agevolazioni fiscali finora previste. Tenendo in debito conto il particolare ruolo recitato sul mercato da queste peculiari imprese con radicata tradizione nel nostro Paese, un simile intervento da parte dell'esecutivo sembra mettere a rischio la loro caratteristica di mutualit, che gi da pi parti accusano di essersi incrinata nel tempo. Oggi le cooperative sono gi tassate, al 55% le coop di consumo, al 27% quelle bancarie, al 20% le agricole ed al 30% quelle di lavoro; per discernere le conseguenze che porterebbe con se l'approvazione di questa nuova tassa, greenreport.it ha contatto Stefano Zamagni, economista italiano e docente di economia politica all'universit di Bologna, noto per aver approfondito la natura, il ruolo e l'importanza delle imprese cooperative, nonch presidente del comitato scientifico di Aiccon (Associazione italiana per la cultura cooperativa e delle organizzazioni no profit). Nella manovra da 45 miliardi articolata dal Governo si pensa ad un aumento della tassazione del 10% sugli utili accantonati a riserva dalle cooperative. Effettivamente, di cosa si sta parlando? Il vantaggio fiscale concesso alle cooperative limitato solamente agli utili che vengono inviati a riserva, per essere poi reinvestiti nell'impresa cooperativa stessa. Quindi, da un punto di vista tecnico, per un simile provvedimento non si pu parlare di tassazione, di cui si parla nel caso ricada sul reddito ottenuto nel corso dell'anno e rimasto nella disponibilit di chi lo ha accumulato. In questo caso invece si parla di un utile che le cooperative sono obbligate a mettere a riserva indivisibile: un socio non potr mai venirne in possesso. Dal punto di vista giuridico, dunque, un'azione come quella prospettata non sarebbe neanche lecita, bench comunque legale. Se dovesse comunque definitivamente concretizzarsi, quali riflessi avr tale provvedimento? L'unico effetto che questa "tassa" avrebbe sarebbe quello di danneggiare l'economia italiana. Le cooperative, infatti, sono imprese investite di una funzione anticiclica: ovvero, quando c' crisi queste non scappano o chiudono come sarebbe lecito aspettarsi da imprese di stampo prettamente capitalistico, ma invece rimangono sul mercato continuando ad assumere. Esattamente come successo negli ultimi anni, quando - proprio grazie a quelle riserve indivisibili che si vorrebbe tassare - le coop hanno continuato ad investire, creando posti di lavoro. Sembra non si capisca che, con una riduzione delle riserve comunque altrimenti indisponibili (e quindi degli investimenti e dell'occupazione), gli unici che ci rimetterebbero sarebbero i disoccupati in cerca di lavoro, e non la cooperativa. Non vanno poi solo citati motivi pragmatici da opporre ad una simile ipotesi, ma anche altri di natura simbolica: l'Italia il paese pi attrezzato ed avanzato al mondo per quanto riguarda il mondo delle cooperative, ed invece adesso incorriamo nel paradosso di voler tassare proprio coloro hanno merito. Chi cita il problema delle false cooperative ha ragione, vanno certamente perseguite, ma un discorso che non ha niente a che vedere con quello della tassazione. Valutando vie alternative per affrontare la crisi, a livello

europeo tornato un tiepido interesse per la Tobin tax, verso la quale lei si sbilanciato firmando, insieme ad un nutrito gruppo di economisti, un appello in favore di una sua implementazione. un cavallo di battaglia che torna periodicamente, ma come si spiega che nessuno trova mai il coraggio di lanciarlo definitivamente? Perch, prendendo a prestito le parole di don Abbondio il coraggio, se uno non ce l'ha, non se lo pu dare. La colpa va in buona parte anche agli economisti, che non sono evidentemente riusciti a far veicolare l'idea giusta: la critica che infatti viene pi comunemente mossa alla Tobin tax che distorce l'allocazione dei capitali, quando ha come scopo proprio quello di diminuire l'efficienza del mercato finanziario, e non di aumentarla! L'idea primigenia va attribuita a John Hicks, premio Nobel ed uno dei pi grandi economisti del 900 che, usando una metafora, asseriva come ogni tanto necessario mettere dei granellini all'interno della macchina della finanza. Un altro nobel per l'economia, James Tobin, ha in seguito recuperato quest'idea, e lanciato la proposta della tassa che porta il suo nome. Chi si mette di traverso alla Tobin tax, non vuole affrontare il problema: chi rema contro sono coloro che pensano che l'avidit sia la macchina del capitalismo, e vogliono che continui ad esserlo. Ho rispetto per quest'impostazione, ma deve essere chiara e esplicitata pubblicamente: cos sarebbe anche possibile discuterne, contrapponendo visioni diverse. Dire che si contro la Tobin tax perch inefficiente per pura e semplice tautologia, ed anche il mondo giornalistico ha le sue belle responsabilit per la diffusione di messaggio errato come questo. La sua storia dimostra che crede molto nelle possibilit e nell'alternativa offerta da una democrazia cooperativa. Certamente. La via non pu che essere infatti quella di una civilizzazione del mercato: ovvero, il mercato deve diventare una civitas, dalla natura inclusiva e non pi esclusiva. Immaginando il mercato come una sorta di campo da gioco, possibile raggiungere quest'obiettivo facendo giocare nell'arena diverse tipi d'impresa, ognuna con le proprie caratteristiche. Sono a favore delle cooperative proprio per questo motivo, per una pluralizzazione delle forme d'impresa, per la loro presenza sul mercato insieme alle imprese sociali, capitalistiche, non governative, speculative. Ripeto, chi vede nell'avidit il motore del capitalismo che non vuole realizzata questa prospettiva. Ma ormai non c' pi niente da fare, evidente che la gente si sta stufando: non c' storia che tenga, vuole un mercato civile.

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Ripudiare la guerra e le oppressioni: una via strettissima


di Fabrizio Tringali interessante articolo di Rodolfo Monacelli su Megachip che descrive i "sei stadi dell'umanitarismo bombardatore" merita qualche considerazione aggiuntiva. L'articolo sottolinea che la "difesa dei diritti umani" diventata il leitmotiv della strategia di manipolazione mediatica e comunicativa messa in atto dalle potenze che preparano un attacco militare. E' utile ragionare sui motivi per i quali questa strategia - pur mossa da altri fini - si finora rivelata purtroppo efficace, in modo da capire come provare a gettare le basi per unaltrettanto efficace opposizione all'escalation militare e alla moltiplicazione dei conflitti armati. L'opinione pubblica in genere contraria alle guerre. Per molti motivi, che possono essere morali, politici o anche economici. Dunque le potenze hanno sempre avuto bisogno di offrire buoni motivi per le conquiste desiderate dai ceti dominanti. L'esperienza ha insegnato che il miglior casus belli, cio quello comunemente pi accettato dai cittadini, riguarda i diritti umani e la difesa della popolazione civile sotto l'attacco di un tiranno. Agli occidentali piacer sempre pensarsi come "liberatori", mentre difficilmente essi abboccherebbero ancora a stupidaggini palesemente inventate come le armi di distruzione di massa di Saddam. Anche adesso che tutti sanno che quelle armi non sono mai esistite, il mainstream difende comunque le ragioni della guerra ricordando che Saddam era un dittatore, e sostenendo che quindi stato un bene levarlo di mezzo. Questa menzogna (la guerra era giusta) funziona ancora perch si collega ad una verit (Saddam era un dittatore). Le strategie di manipolazione mediatica dell'impero si sono affinate nel momento in cui

Un

... diventato chiaro che le menzogne che funzionano meglio sono quelle che si collegano a delle verit. La complessit del sistema informativo-comunicativo moderno fa s che una menzogna che non ha nessun collegamento, nemmeno lontano, con fatti accertati (o che presentino almeno un fondo di verit) rischia, prima o poi, di venire a galla. Con il conseguente discredito e perdita di credibilit per chi ha diffuso la balla. Se invece si riesce a collegare le menzogne a qualcosa di reale, anche la balla pu restare in piedi. Accade perci che quando l'impero decide di conquistare Paesi governati da regimi autoritari preferisce utilizzare lo schema indicato da Monacelli e costruire una "emergenza umanitaria", anzich puntare su questioni che oramai avrebbero molto meno appeal presso l'opinione pubblica, come ad esempio la presunta pericolosit per il pianeta di Stati che hanno invece pochissima forza militare. Fatto questo, si possono poi utilizzare ulteriori menzogne, anche colossali, per sostenere le ragioni della guerra. E quel che ha fatto la NATO nel caso della Libia, diffondendo a mani larghe notizie inventate di massacri mai avvenuti, di fosse comuni mai esistite e cos via. Il punto che queste falsit sono davvero efficaci proprio perch si basano su un fondo di verit. La propaganda della NATO attacca quei regimi che mette sotto tiro sul piano in cui essi sono effettivamente attaccabili (il loro carattere oppressivo), e non su uno nel quale in realt non lo sono (la loro pericolosit militare). La stragrande maggioranza delle popolazioni occidentali ha (giustamente) interiorizzato la difesa dei diritti umani e delle libert civili come un dovere civico. Per questo, chi prova ancora ad opporsi alla guerra, pu essere tentato di chiudere un occhio verso le dittature, e porsi sulla difensiva negando o minimizzando il carattere autoritario dei regimi che di

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volta in volta vengono inquadrati dal mirino della NATO, nel tentativo di disinnescare le ragioni degli interventisti. Poich spesso le caratteristiche di quei regimi sono ampiamente note, l'unico effetto che si pu ottenere in questo modo quello di rafforzare ulteriormente le ragioni della guerra, poich chi vi si oppone sembra voler difendere dei dittatori. I caratteri oppressivi di un regime non dovrebbero mai essere negati da chi ha a cuore le ragioni della pace e della democrazia. Del resto, le guerre della NATO sono un rimedio che ha sempre ulteriormente peggiorato il male delle dittature che avrebbero dovuto combattere. Le ragioni per essere contrari a qualsiasi "intervento umanitario" sono molteplici, ma il miglior modo per rafforzare la causa della Pace mettere in luce le conseguenze che gli interventi militari hanno prodotto per le popolazioni che li hanno subiti. Tutti possono facilmente comprendere che prima di compiere una determinata azione, utile guardare agli effetti prodotti da altre azioni simili, e gi messe in atto. Dunque sufficiente guardare la situazione attuale dei Paesi che hanno subito i pi recenti interventi militari NATO per vedere con chiarezza che nessuna "emergenza umanitaria" pu essere risolta con i cacciabombardieri. Se l'emergenza esiste, i bombardamenti la peggiorano. Se stata inventata, i bombardamenti la creano. L'Afghanistan stato attaccato 10 anni fa con il mantra della liberazione delle donne dai taliban e dai burka, e oramai gli effetti dell'invasione sono sotto gli occhi di tutti: un numero incalcolabile di lutti, in un Paese in mano a criminali che ha ancora pi problemi di quanti ne avesse prima dell'intervento. E cosa altrettanto ovvia, le donne sono ancora sotto i burka. Ragionamenti simili possono essere fatti per l'Iraq o per la stessa Libia, che sta vivendo una guerra sanguinosissima, la quale probabilmente sfocer

in un lungo scontro interno tra le forze che appoggiano il CNT e quelle che vi si oppongono, perch fedeli a Gheddafi oppure semplicemente perch rifiutano di mettere il loro Paese in mani straniere. Ora nel mirino c' la Siria, da tempo c' l'Iran. Due regimi autoritari rispetto ai quali il giochetto spiegato da Monacelli pu funzionare alla perfezione. Non ancora stato messo in opera solo perch questi Paesi sono ben pi forti di quelli attaccati finora, e perch godono di significative relazioni internazionali. La Libia era sostanzialmente isolata, mentre Assad e Ahmadinejad hanno buoni rapporti con Russia e Cina, che finora si sono sempre opposte alle bozze di risoluzioni ONU presentate dagli USA o da altri Paesi occidentali, e che avrebbero potuto aprire lo scenario a possibili interventi militari. Per tentare di porre un freno alla macchina infernale della "guerra infinita" essenziale affermare con la massima forza e determinazione che sempre inaccettabile intervenire militarmente per rovesciare un governo, o fomentare dall'esterno rivolte armate contro il potere, anche di fronte a regimi repressivi e dittatoriali. Gli "interventi umanitari" non sono mai stati realizzati in nome delle esigenze delle popolazioni colpite, n mai lo saranno. La guerra ha sempre e solo una finalit: realizzare gli interessi di chi la fa.

Il miracolo economico del North Dakota: non il petrolio di Ellen Brown Tradotto da Common Dreams. ComeDonChisciotte

In un articolo apparso sul New York Times


il 19 agosto intitolato Il Miracolo del North Dakota, Catherine Rampell scrive: Se il suo segreto non il petrolio, cosa c di cos particolare in questo stato? Il North Dakota ha una cosa che gli altri stati non hanno: una banca di propriet dello stato. Dimenticatevi del miracolo texano. Diamo invece uno sguardo al North Dakota, che ha la pi bassa disoccupazione e il pi alto tasso di crescita di posti di lavoro della nazione. Secondo i nuovi dati diffusi oggi dal Bureau of Labor Statistics, il North Dakota aveva un tasso di disoccupazione pari a solo il 3,3 per cento a luglio, un terzo di quello nazionale (9,1%) e circa un quarto del tasso dello stato con pi persone senza lavoro (il Nevada, col 12,9 per cento). Il North Dakota ha avuto la pi bassa disoccupazione della nazione (o era prossima a esserlo) in tutti i mesi da luglio 2008. Il suo mercato del lavoro si riflette anche nella crescita degli stipendi. [] anno dopo anno, le sue paghe sono cresciute del 5,2 per cento. Il Texas viene al secondo posto, con un incremento del 2,6 per cento. Perch il North Dakota riesce a fare cos bene? Per una delle stesse ragioni per cui il Texas riuscito a fare bene: il petrolio. Il North Dakota lunico stato ad avere un surplus continuato dalla crisi bancaria del 2008. Il petrolio sicuramente un fattore, ma non quello che ha messo il North Dakota in cima alla lista. LAlaska ha circa la stessa popolazione del North Dakota e produce quasi il doppio del petrolio, ma la disoccupazione in Alaska ancora al 7,7 per cento. Il Montana, il South Dakota e lo Wyoming hanno tutti beneficiato dal rialzo dei prezzi dellenergia, e il Montana e lo Wyoming estraggono molto pi gas del North Dakota. I giacimenti petroliferi di Bakken coprono parte del Montana come del North Dakota, e la produzione maggiore arriva dal campo petrolifero di Elm Coulee in Montana. E il tasso di disoccupazione del Montana lo stesso dellAlaskas, il 7,7 per cento. Un certo numero di altri stati ricchi di minerali non sono stati inizialmente colpiti dal rallentamento delleconomia, ma hanno perso entrate a causa dei recenti cali del prezzo del petrolio. Il North Dakota lunico stato ad avere sempre un attivo di bilancio dallinizio della crisi bancaria del 2008. I suoi bilanci sono cos in salute

che ha recentemente ridotto le tasse individuali e quelle sulle propriet di un totale di 400 milioni di dollari, e sta discutendo di altri tagli. Ha anche il pi basso tasso di mutui non pagati per gli immobili e il pi basso indice di default sulle carte di credito nel paese, e non ha avuto fallimenti bancari almeno nellultimo decennio. Se il suo segreto non nel petrolio, cosa ha di cos particolare questo stato? Il North Dakota ha una cosa che gli altri stati non hanno: una banca di sua propriet. Laccesso al credito il fattore che ha favorito sia un rialzo dei profitti nel petrolio che nellagricoltura. La Bank of North Dakota (BND) non in concorrenza con le banche locali ma collabora con loro, aiutandole per i requisiti di capitalizzazione e di liquidit. Partecipa ai prestiti, fornisce garanzie e agisce come una sorta di miniFed per lo stato. Nel 2010, in base al resoconto annuale della BND: La Banca ha fornito linee di credito federali garantite e non garantite a 95 istituzioni finanziarie per un totale di 318 milioni di dollari nel 2010. le vendite dei Fondi Federali hanno avuto una media di oltre 13 milioni di dollari al giorno, con il massimo raggiunto a giugno per 36 milioni. In un periodo di quindici anni la BND ha contribuito maggiormente al budget dello stato rispetto alle entrate del petrolio. La BND ha anche un programma di prestiti chiamato Flex PACE, che consente a una comunit locale di fornire assistenza ai richiedenti prestito nei settori della conservazione dei posti di lavoro, della creazione di tecnologia, delle vendite al dettaglio, delle piccole imprese e dei servizi essenziali alla comunit. Nel 2010, in base al resoconto annuale della BND: Le necessit per il finanziamento ai Flex PACE erano notevoli, e sono aumentati del 62 per cento per aiutare sia i servizi essenziali alla comunit che gli sviluppi del settore energetico presenti nel North Dakota occidentale.La partecipazione ai prestiti delle banche commerciali salita fino al 64 per cento dellintero portafoglio, pari a 1,022 miliardi di dollari. Le entrate della BND hanno avuto un forte impatto sul bilancio dello stato. Ha portato oltre 300 milioni di dollari di entrate fiscali nei forzieri dello stato nel corso dellultimo decennio, una somma notevole per uno stato che ha una popolazione inferiore a un decimo di quella della contea di Los Angeles. Secondo uno studio del Center for State Innovation, dal 2007 al 2009 la BND ha portato nelle casse dello stato quasi gli stessi soldi delle entrate derivanti dal petrolio e dal gas (le entrate del petrolio e del gas hanno raggiunto 71 milioni di dollari mentre la Bank of North Dakota ne ha apportati 60). Nel corso di quindici anni, secondo altri dati, la BND ha contribuito

pi al bilancio dello stato rispetto alle entrate petrolifere. La banca di propriet statale permette al North Dakota di sfruttare le proprie risorse al massimo vantaggio. Il denaro e le riserve bancarie del North Dakota vengono tenute allinterno dello stato e qui investite. Il portafoglio dei prestiti della BND mostra una crescita ininterrotta dei programmi di finanziamento dal 2006. Secondo il resoconto annuale della BND: Finanziariamente, il 2010 stato il nostro anno migliore di sempre. I profitti sono aumentati fino da quasi 4 a 61,9 milioni nel corso del settimo anno consecutivo di profitti record. I guadagni sono dovuti a una base di depositi forte e in crescita, creati da un settore energetico in rialzo e delleconomia agricola. Abbiamo terminato lanno con il pi alto livello di capitali nella nostra storia fino a quasi 325 milioni di dollari. La Banca ha restituito il 19 per cento dei profitti, che rappresenta il ritorno dello stato per i propri investimenti. Un margine di ritorno del 19 per cento! Quanti stati hanno guadagni simili dai loro investimenti a Wall Street? Timothy Canova professore di Legge Economica Internazionale alla Chapman University School of Law di Orange, in California. In un articolo del giugno 2011 intitolato The Public Option: The Case for Parallel Public Banking Institutions, ha paragonato la situazione finanziaria del North Dakota a quella della California. Parlando del North Dakota e della sua banca di stato, scrive: Lo stato deposito le sue entrate fiscali nella Banca, che a sua volta assicura che una larga fetta dei fondi dello stato verranno investiti nelleconomia interna. Inoltre, la Banca pu restituire una parte dei suoi profitti alla tesoreria della stato. [] Grazie in parte a questi accordi istituzionali, il North Dakota lunico stato che ha avuto continuamente un attivo di bilancio da prima della crisi finanziaria e il pi basso tasso di disoccupazione della nazione.. Poi va a analizzare le cattive condizioni della California: Per contrasto, la California la pi grande economia statale della nazione, e non avendo una banca si propriet incapace di impiegare centinaia di miliardi di dollari di entrate fiscali in investimenti produttivi allinterno dello stato. Invece, la California deposita i suoi molti miliardi di entrate in grandi banche private che spesso prestano i fondi fuori dallo stato, li investono in strategie speculative (comprese le scommesse dei derivati contro le obbligazioni dello stesso stato) e non restituisce niente dei profitti ottenuti alla tesoreria dello stato. Nel frattempo, la California soffre di rigidi condizioni per il credito privato, alti livelli

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di disoccupazione ben al di sopra della media nazionale e la stagnazione degli incassi locali e dello stato. Lunica sua risposta stata quello di rimbalzare da una crisi di bilancio allaltra negli ultimi tre anni, e ogni volta ha effettuato tagli di spese che hanno ulteriormente indebolito la sua economia, la base imponibile e il rating del credito. Non tutti gli stati hanno il petrolio (che difficilmente pu essere considerato una base sostenibile di uneconomia), ma tutti possono imparare dalla banca di propriet dello stato che consente al North Dakota di sfruttare le proprie risorse al massimo vantaggio. Gli stati che depositano le proprie entrate e investono i propri capitali nelle grandi banche di Wall Street stanno gettando al vento questa opportunit economica.

Debito pubblico: la grande truffa - di Giulietto Chiesa

Ma

davvero dobbiamo tenerceli questi banchieri? A cosa servono le banche? Cos'e' la finanza? Perche' siamo tutti indebitati? Chi e' responsabile di questo debito? E' tutto normale in quello che sta accadendo, o c'e' qualcosa che non quadra? Non si finirebbe piu' di fare domande quando si assiste alla commedia quotidiana delle borse che crollano, dei politici che si danno la colpa l'un l'altro, dei fantomatici speculatori che non si sa chi siano, salvo che sono certamente dei balordi miliardari che ci portano via i soldi dalle tasche. Eppure tutto e' chiaro come il sole. Chi comanda il mondo occidentale (non il mondo, ma solo l'Occidente) sono le grandi banche. Le grandi banche sono solidali tra di loro e fanno parte di un pool molto ristretto. I creditori, apparentemente, sono loro. Sono loro che ormai dettano agli Stati quello che devono fare. E' la dittatura del denaro che ha cancellato ogni democrazia. Ma e' poi vero che gli dobbiamo qualche cosa? La risposta - la sanno tutti quelli che sanno - e' che siamo stati derubati. I grandi conglomerati finanziari dell'Occidente sono andati tutti in fallimento nel 2007. Sarebbero crollati tutti se la Federal Reserve, la Banca Centrale Europea e i paesi produttori di petrolio non fossero intervenuti, di fatto coprendo i loro crack. Hanno lasciato fallire la Lehman Brothers, per dare un contentino al grande pubblico ignaro. Tutti gli altri sono stati salvati. Con i soldi nostri. Nessuna regola e' stata introdotta per tagliargli le unghie. E loro, una volta salvati dai governi, hanno chiesto di essere pagati una seconda volta. Certo i crediti, sulla

carta, li hanno, ma sono i prestiti che hanno elargito sul niente. Producevano denaro con dei trucchi e lo prestavano facendosi pagare l'interesse da noi. Quando si e' scoperto che bluffavano, hanno convocato i governi e i banchieri centrali (entrambi loro maggiordomi) e hanno detto: siamo troppo grossi per fallire. Volete farci affondare? Peggio per voi. Niente piu' campagne elettorali gratis, niente piu' potere. Vi faremo fronteggiare le folle infuriate e scateneremo i nostri media contro di voi. Vi faremo a pezzi, pubblicheremo dove sono i vostri conti in banca, vi rinfacceremo i soldi che vi abbiamo dato sottobanco. E governi e banche centrali hanno ovviamente ceduto, essendo i loro manutengoli. La Grecia, l'Irlanda, il Portogallo sono stati gli esperimenti preliminari. Bisogna salvarli!, gridano tutti, altrimenti crolla l'euro, crolla l'Europa. Ma chi li deve salvare? Cioe' chi deve pagare i loro (falsi) debiti ai grandi banchieri? Gli Stati. Ma gli Stati sono gia' in rosso dopo i salvataggi delle banche del 2007-2008. Allora devono pagare le popolazioni. Anche l'Italia. Stanno dicendo ai popoli europei che e' finito il patto sociale che ha retto negli ultimi sessant'anni l'Europa occidentale. Via il welfare, praticamente di colpo. E poi? Dicono: poi si deve ricominciare a crescere. Cioe' a consumare. Ma con quali soldi, se i redditi di tutti i lavoratori verranno falciati? E con quali beni, visto che dovremo privatizzare perfino il Colosseo, mentre le aste delle privatizzazioni saranno affollate di banchieri che verranno a comprare usando i nostri debiti, cioe' usando il denaro virtuale che loro hanno prodotto e noi abbiamo gia' pagato una volta. Rapina bella e buona, o brutta e cattiva, se volete. E noi che facciamo? I partiti, la sinistra non hanno nessuna idea alternativa, avendo da decenni ormai accettato tutti i ricatti possibili e immaginabili ed essendo parte della grande truffa. La mia idea e' di mandarli tutti a quel paese e di organizzarci per impedire che ci esproprino. Bisogna dire, chiaro e tondo, che quei debiti sono illegali. Fatti da regimi corrotti alle nostre spalle. Cioe' non esigibili. Vogliamo sapere chi sono i creditori, vogliamo vederli in faccia, uno per uno. Vogliamo prima di tutto un audit indipendente. Poi vogliamo che cambino le regole. Uno Stato non e' equiparabile a una banca. Le vite di milioni di persone non sono quelle dei ricchi detentori delle maggioranze dei pacchetti azionari di una banca. Gli Stati devono avere accesso al denaro a tasso zero. Le banche devono avere riserve pari almeno alla quantit

di prestiti che erogano. Eresia, eresia!, grideranno gli economisti che in tutti questi anni hanno tenuto bordone ai ladri. Ma noi dobbiamo rispondere: non pagheremo!. Il problema e' come. La mia risposta e': difendere il nostro territorio. Come fanno i No tav della Val di Susa. Loro hanno capito e si sono organizzati. Facciamo la stessa cosa a Napoli e a Roma, a Palermo e a Bologna. Vedrete che li costringiamo a trattare.

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