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DISABILITÀ

INTELLETTIVA
CHE COSA È E COME APPROCCIARSI
ALL’INSEGNAMENTO DELLA LETTURA
DISABILITÀ INTELLETTIVA

Introduzione
Nelle scuole italiane, in media, c’è 1 allievo con disabilità intellettiva ogni 2 classi, cioè 1 allievo
con disabilità intellettiva ogni 50 coetanei, con una certa variabilità fra i vari ordini di scuola, che cor-
risponde a circa il 2%. Questo dato non sorprende, le disabilità intellettive caratterizzano la grande
maggioranza degli alunni certificati con disabilità secondo la Legge 104 del 1992. Infatti, se chiedia-
mo agli insegnanti di sostegno, che hanno un’esperienza professionale di più 20 anni, quale diagno-
si o quali caratteristiche avevano gli alunni o gli studenti con disabilità da loro seguiti, emerge che,
almeno in 3 casi su 4 (cioè attorno al 75%, ma anche oltre), avevano difficoltà di ragionamento e di
pensiero. Questo significa che, sia per gli insegnanti di sostegno, che per gli altri docenti curricolari,
la probabilità di avere fra i propri allievi un bambino o un ragazzo con disabilità intellettiva è altissima;
in altre parole, la probabilità che un insegnante non incontri mai nella propria carriera scolastica un
allievo con disabilità intellettiva tende allo zero.

Le disabilità intellettive
In estrema sintesi possiamo dire che per una diagnosi di disabilità intellettiva sono necessari tre
criteri:
1. prestazioni in un test di intelligenza inferiori a 70-75;
2. significative difficoltà nell’adattamento in famiglia, a scuola e nella società;
3. insorgenza delle difficoltà cognitive e di adattamento durante lo sviluppo (indicativamente
prima dei 18 anni).
Sono comunque opportune varie riflessioni e precisazioni, che presentiamo nei paragrafi che se-
guono.

Ritardo mentale o disabilità intellettive?


A partire almeno dal 2000 gli studiosi hanno sempre più utilizzato l’espressione disabilità intellettive
al posto di “ritardo mentale”. Questo per vari motivi:
• il termine “disabilità” è diventato progressivamente comune, di base, a cui accostare gli aggettivi
(disabilità) visive, uditive, motorie, intellettive ecc.;
• rispetto ad altri termini (per esempio “handicappato”) ha un connotato meno negativo, più neu-
tro e tecnico-scientifico;
• il termine “ritardo” può far pensare a uno sviluppo rallentato, ma omogeneo, mentre la ricerca
e la realtà clinica evidenziano l’esistenza di disomogeneità nello sviluppo (per esempio, con
punti di debolezza più nel linguaggio che nel ragionamento, come nella sindrome di Down, o nelle
abilità spaziali, come nella sindrome di Williams, o in certi rapporti sociali, come nella sindrome
di X fragile). L’esistenza di diversi profili di sviluppo (a volte legati a particolari sindromi, altre volte
dovuti a cause diverse, come nel caso delle paralisi cerebrali infantili) invita inoltre a usare il plurale:
disabilità intellettive.
Nonostante ciò l’uso del termine “ritardo mentale” è ancora molto diffuso, non solo nelle diagnosi
redatte nel passato, ma anche in quelle attuali. Questo è fondamentalmente dovuto alla lentezza
con cui si aggiorna la normativa sociosanitaria (o le indicazioni agli operatori). Considerando ciò che
è successo nel passato, ci si può aspettare che l’uso dell’espressione “ritardo mentale” continui in
modo non sporadico per almeno altri dieci anni.

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Quanti sono i bambini e i ragazzi


con disabilità?
Nei primi diciotto anni di vita almeno 1 bambino/a o adolescente su 50 ha notevoli o gravi difficoltà
personali, sociali e scolastiche a causa di disabilità intellettiva (da sola o in associazione con altri
disturbi). Essi costituiscono la maggioranza degli allievi certificati con disabilità (o in situazione di
handicap, secondo la vecchia terminologia) con riferimento alla Legge 104 del 1992. Secondo una
rilevazione ISTAT divulgata a dicembre 2015, il 3,1% degli alunni della scuola primaria e il 3,8% degli
studenti di scuola secondaria di I grado sono stati certificati secondo la Legge 104/92 e la classe
da loro frequentata usufruisce anche dell’apporto di un insegnante di sostegno (e a volte di altri
operatori).
Per quanto riguarda i tipi di disabilità, quelle intellettive sono presenti anche in altre diagnosi e in
particolare in quelle etichettate con un generico “ritardo di sviluppo” (difficoltà comunque non lievi,
altrimenti non potrebbe esserci certificazione) o “altro”.
In definitiva, una stima adeguata della prevalenza delle disabilità intellettive nel periodo scolastico
secondo le rilevazioni ISTAT e le rilevazioni MIUR precedenti (Vianello e Mammarella, 2015) è at-
torno al 2%.
Si tratta di un dato discordante rispetto a quanto presente nel più recente manuale diagnostico e
statistico della American Psychiatric Association (DSM-5; APA, 2013), che ritiene che la prevalenza
delle disabilità intellettive sia dell’1%. Nel DSM non si distingue fra età evolutiva e altre età e soprat-
tutto ci si riferisce alle diagnosi in cui la disabilità intellettiva è ritenuta la causa primaria dei problemi
adattivi. Per esempio, è probabile che non rientrino in questo 1% molte diagnosi di disturbi dello
spettro dell’autismo in cui sono presenti anche disabilità intellettive (spesso gravi).

PER SAPERNE DI PIÙ

GLI ALUNNI CON DISABILITÀ NELLE SCUOLE ITALIANE PRIMARIE E SECONDARIE DI I GRADO
Secondo i dati elaborati dall’ISTAT (2015), riferiti all’anno scolastico 2014-2015, i bambini e i ragazzi con disabilità (di qualunque
tipo) sono circa il 3% nella scuola primaria e circa il 4% nella scuola secondaria di I grado.
Alunni e studenti certificati con disabilità:
3,1% (86 985) nella scuola primaria;
3,8% (66 683) nella scuola secondaria di I grado;
In entrambi gli ordini di scuola i maschi sono più delle femmine (circa il doppio):
68% nella scuola primaria; 65% nella scuola secondaria di I grado.
Non sono autonomi nello spostarsi, nel mangiare o nell’andare in bagno:
7,4% nella scuola primaria; 5,7% nella scuola secondaria di I grado.
Tipi di disabilità:
1,1% cecità; 3,7% ipovisione; 2,1% sordità profonda o grave;
3,1% ipoacusia; 13,8% motoria; 19,5% di apprendimento;
21,4% linguaggio; 26% sviluppo; 41,9% intellettiva;
17,4% attenzione e comportamentali; 16,4% affettiva e relazionale; 20,1% altro tipo di disabilità.
Gli insegnanti di sostegno, inoltre, sono aumentati nel corso degli anni, arrivando a essere 79 462 (il 6,8% in più rispetto all’anno
precedente). A questi si aggiungono quelli presenti nella scuola secondaria di II grado.
Il rapporto insegnante di sostegno/alunni con disabilità è, perciò, di:
1,6 alunni per insegnante di sostegno nella scuola primaria;
1,8 studenti per insegnante di sostegno nella scuola secondaria di I grado.

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Cause
Le cause delle disabilità intellettive possono essere sia genetiche, che biologiche non genetiche
(Baroff, 1989). Per esempio, tra le cause genetiche, la più nota è la sindrome di Down (Vianello,
2006), dovuta alla trisomia 21, ossia alla presenza di un cromosoma 21 in più; le sindromi di Williams
(Fontani, 2012), di Angelman (Vianello, 2015) e di Prader-Willi (Waters, 1999) sono invece causate
da una delezione (perdita di materiale genetico). Varie altre sono le sindromi che per cause ge-
netiche comportano disabilità intellettive. Le otto più studiate e/o famose sono:

• Sindrome di Down;
• Sindrome di X fragile (Saunders, 2000; Lanfranchi e Vianello, 2004);
• Sindrome di Williams;
• Sindrome di Prader-Willi;
• Sindrome di Angelman;
• Sindrome di Rett (Antonietti, Castelli, Fabio e Marchetti, 2003);
• Sindrome 5p- (“Cri du chat”) (Vianello, 2015);
• Sindrome di Cornelia de Lange (Fiori, Lanfranchi, Moalli e Vianello, 2006).

Per ciascuna di esse, negli approfondimenti online, presenteremo un “caso” e una scheda sintetica
sulle loro caratteristiche principali.
Per la sindrome di Down, in quanto la più famosa e frequente, e la sindrome di Cornelia de Lange,
poiché caratterizzata da notevole variabilità, presenteremo più casi in più ordini di scuole.

Lungo è l’elenco delle cause biologiche non genetiche (si veda Vianello, 2015). Tra queste, pos-
siamo ricordarne solo alcune, per esempio la rosolia della madre durante la gravidanza, radiazioni,
anossia durante il parto, traumi cranici, meningiti, malnutrizione.
Per un insegnante ciò che conta è sapere quali funzioni sono state colpite, perché è su di
esse che opera e non direttamente sul funzionamento cerebrale.
Anche il tipo di ambiente ha un suo effetto: vivere in un ambiente impoverito o arricchito influenza lo
sviluppo cognitivo di tutti e quindi anche quello dei bambini con una dotazione intellettiva “biologica-
mente” bassa. Con il termine intelligenza ci riferiamo a un insieme di fattori che possono essere più
o meno sfavoriti o favoriti nel loro sviluppo. C’è chi allena bene la propria intelligenza (qualsiasi sia il
punto di partenza) e chi la allena poco e/o male. Come abbiamo evidenziato sia in un volume de-
dicato ai potenziali di sviluppo nelle disabilità intellettive (Vianello, 2012) che in uno dedicato al Fun-
zionamento Intellettivo Limite (Vianello, Di Nuovo e Lanfranchi, 2014), l’influenza ambientale sul QI
(Quoziente Intellettivo) può essere notevole. Pensiamo a due bambini con sindrome di Down che
a 24 mesi avevano lo stesso QI di 55, ma che hanno usufruito di ambienti educativi molto diversi. A
12 anni le prestazioni in un test di intelligenza di quello che è vissuto in un ambiente arricchito pos-
sono risultare di ben 30 punti superiori rispetto a quello di chi è vissuto in un ambiente impoverito.
In particolare il primo avrà imparato a leggere e scrivere e il secondo no.
L’influenza negativa dell’ambiente spiega anche perché nelle realtà caratterizzate da svantaggio
socioculturale le disabilità intellettive sono maggiori. Da una parte sono maggiori i rischi di cause
biologiche (uso di droga o alcol durante la gravidanza, scarsa igiene, non adeguata utilizzazione del-
le risorse del Servizio Sanitario Nazionale in caso di malattie o infezioni ecc.), dall’altra sono minori
gli stimoli “allenanti” l’intelligenza. Può per esempio verificarsi che un bambino che nei primi anni di
vita aveva un QI di 80 venga certificato come studente con disabilità intellettiva (QI 65) a 13-14 anni.

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Livelli di gravità
Nel corso del volume, soprattutto nel riportare i casi, faremo riferimento ai gradi di gravità della disa-
bilità intellettiva. Sono necessarie alcune precisazioni e riflessioni.
La prima riguarda il fatto che in questo testo usiamo l’espressione “disabilità intellettive” al posto
di “ritardo mentale”. Come abbiamo visto, le diagnosi del passato, ma anche quelle attuali, riportano
spesso il termine “ritardo mentale”: siamo in un periodo di passaggio terminologico.
La seconda si riferisce al fatto che l’ultimo Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali
(DSM-5), uscito nella sua edizione inglese nel 2013 e in quella italiana nel 2014, apporta modifiche
notevoli ai precedenti (APA, 1952, 1968, 1980) e in particolare al DSM-IV (APA, 2000). Oltre all’uso
di “disabilità intellettive” al posto di “ritardo mentale”, abbandona anche la classificazione dei
gradi di gravità secondo il livello del QI. Altre sono le modifiche (Vianello, 2015b), ma non cen-
trali per questa guida. Riportiamo ambedue le classificazioni, facendo notare che quanto proposto
dal DSM-5 richiederà molto tempo per diventare prassi. Questo anche per il fatto che le Aziende
Sanitarie Locali italiane dipendono dalle Regioni e non fanno riferimento al DSM (dell’Associazio-
ne Americana degli Psichiatri), ma ai documenti dell’Oms – Organizzazione Mondiale della Sanità
(WHO, 1992, 1999, 2001, 2007), in particolare al manuale ICD-10, cioè la decima versione della
International Classification of Diseases, che è in corso di aggiornamento. Nel frattempo non resta
che conoscere bene la distinzione tradizionale dei gradi di gravità1.

GRADI DI GRAVITÀ DEL RITARDO MENTALE SECONDO IL DSM-IV


Possono essere specificati quattro gradi di gravità, che riflettono il livello della compromissione intellettiva:
Lieve, Moderato, Grave e Gravissimo.
• Ritardo Mentale Lieve livello del QI da 50-55 a circa 70
• Ritardo Moderato livello del QI da 35-40 a 50-55
• Ritardo Mentale Grave livello del QI da 20-25 a 35-40
• Ritardo Mentale Gravissimo livello del QI sotto 20 o 25.

La categoria “Ritardo Mentale, Gravità Non Specificata” può essere usata quando c’è forte motivo di supporre un
Ritardo Mentale, ma l’intelligenza del soggetto non è valutabile con i test standard (per esempio, in soggetti troppo
compromessi o non collaborativi, o nella prima infanzia).

1. Questa distinzione è complicata dal fatto che quella dell’ICD-10 non è perfettamente sovrapponibile a quella del DSM-IV. Tuttavia,
è sufficiente sapere che medio e moderato sono equivalenti. Per non appesantire la presentazione abbiamo anche eliminato i codici
di classificazione dell’ICD-9 e dell’ICD-10.

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Il DSM-5 invita a specificare la gravità della disabilità intellettiva con una modifica notevole rispetto al
DSM-IV: è abbandonato il riferimento ai punteggi dei test di intelligenza. Per il DSM-5 la gravità deve
essere stabilita dal funzionamento adattivo, perché è questo che determina i supporti (l’assistenza)
necessari. Cambia anche una denominazione: non “gravissima”, ma “estrema”.

GRADI DI GRAVITÀ DELLA DISABILITÀ INTELLETTIVA SECONDO IL DSM-5


• Lieve
• Moderata
• Grave
• Estrema

Sono opportuni alcuni sintetici esempi.

• Riccardo ha 9 anni. La diagnosi di disabilità intellettiva lieve è giustificata non tanto dal fatto
che in un test di intelligenza è emerso un QI generale di 65, quanto dalla necessità di essere seguito
a scuola e in famiglia per poter imparare a leggere e a fare i primi calcoli. Attualmente le sue presta-
zioni scolastiche sono equivalenti a quelle di un bambino di fine prima. Le sue abilità adattive non
preoccupano come i suoi apprendimenti scolastici.
• Giovanna ha 11 anni. La diagnosi di disabilità intellettiva moderata è opportuna (considerato
anche il suo QI di 50) in quanto necessita non solo di sostegno scolastico, ma anche di fisioterapia e
logopedia, date le sue notevoli difficoltà linguistiche. Inoltre carenti sono anche le sue abilità adattive.
• Roberto, di 13 anni, ha una diagnosi di disabilità intellettiva grave (con QI di 35). Nonostante
sia stato sempre seguito da un insegnante di sostegno non ha imparato a leggere. L’età equivalente
del suo linguaggio espressivo è inferiore ai 4 anni. Ha bisogno di cure costanti e terapie. Con il pas-
sare del tempo ha imparato a vestirsi e a badare alla propria igiene personale.
• Ludovica, 9 anni, con la sindrome di Angelman, ha una diagnosi di disabilità intellettiva molto
grave (estrema, se usassimo la terminologia del DSM-5). Il suo QI è inferiore a 25. Molto carente
è il suo linguaggio espressivo (3 parole). Le prestazioni cognitive sono paragonabili a quelle di un
bambino nel secondo anno di vita. Soffre di crisi epilettiche. Ha bisogno di molteplici supporti: inse-
gnante di sostegno, assistente educatore, comunicazione aumentativa alternativa, fisioterapia ecc.

Con bambini di età inferiore ai 5 anni, con i quali è difficile una valutazione adeguata, il DSM-5 preve-
de anche una diagnosi di “Ritardo globale dello sviluppo”, in cui devono essere presenti significativi
ritardi nello sviluppo.
Infine, la categoria “Disabilità intellettiva (disturbo dello sviluppo intellettivo) senza specificazione” è
riservata agli individui di età superiore ai 5 anni quando la valutazione del grado di disabilità intellettiva
è resa difficile o impossibile a causa di compromissioni sensoriali o fisiche associate, quali cecità o
sordità prelinguistica, disabilità locomotoria o presenza di gravi problemi comportamentali o disturbi
mentali concomitanti. Questa categoria dovrebbe essere utilizzata solo in circostanze eccezionali.
Il riferimento all’adattamento sociale e, ancor meglio, alle necessità di supporto non è una novità.
Esso è stato proposto in modo deciso dall’American Association on Mental Retardation (ora Ame-
rican Association on Intellectual and Developmental Disabilities) nei primi anni 2000 (AAMR, 2002).

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La diffusione delle disabilità intellettive


In psicologia e in medicina si utilizza il termine “prevalenza” per indicare il numero di soggetti che
posseggono una determinata caratteristica in un dato momento. Secondo il DSM-5 la prevalenza
di disabilità intellettiva nella popolazione generale è di circa l’1%.
Non si tratta di un dato nuovo, poiché era presente anche nel DSM-IV, ma è comunque problema-
tico e necessita di alcune riflessioni.
Innanzitutto, è importante sottolineare che una prevalenza dell’1% è in netto contrasto con la
previsione della curva normale secondo cui le persone con QI inferiore a 70 sono circa il 2,3%
della popolazione. La curva normale di Figura 1.1, infatti, rappresenta la distribuzione di una presta-
zione o di una “caratteristica”, in questo caso il punteggio di QI: la fascia verde indica la distribuzione
“normale” della popolazione, mentre quelle gialle rappresentano i livelli più alti, sopra la media, e
quelle rosse le fasce più basse, quindi con un QI basso o molto basso.
Quindi, se si considera la distribuzione dei QI degli individui secondo la curva normale si ha che:
• il 68,2% della popolazione ha un QI fra 85 e 115 (fascia verde);
• il 13,6% ha un QI fra 70 e 85 (funzionamento intellettivo limite o borderline) (fascia azzurra);
• il 2,15% ha un QI inferiore a 70 (prima fascia rossa);
• lo 0,13% ha un QI inferiore a 55 (seconda fascia rossa).
La curva normale prevede quindi che poco più di due individui ogni cento coetanei abbia un QI in-
feriore a 70 e solo poco più di uno su mille un QI inferiore a 55.

N. punteggi
 igura 1.1 – Applicazione
F
della curva normale 40
dei punteggi in QI
(qui esemplificata con 35
scale con deviazione
standard di 15). 30
25
20
15
10
5

– 4 – 3 – 2 – 1 Media + 1 + 2 + 3 +4

Come spiegare questa discrepanza (1% o 2,3%)? Varie sono le ipotesi, che possono essere fra
loro complementari.

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• La realtà è diversa da quella prevista dalla curva normale e le persone con disabilità intellettiva
sono meno di metà di quanto previsto.
• Le persone con disabilità intellettiva sono il 2,3%, ma più di metà di loro non viene diagnosticata.
• Le persone con QI inferiore a 70 sono il 2,3% della popolazione, ma più del 50% non ha problemi
di adattamento e non necessita di supporti/aiuto e quindi non viene diagnosticata con disabilità
intellettiva (in questo caso, quindi, il QI non basta).
• Considerando tutte le età, le persone con disabilità intellettiva sono l’1% della popolazione, ma in
età scolastica sono di più.

Il DSM-5 precisa inoltre che le disabilità gravissime sono il 60% di tutte le disabilità intellettive, cioè
la maggioranza, e non lo 0,13% (ossia 4-5 volte di più).
Si tratta di un dato nuovo, perché in passato prevaleva tra gli studiosi l’idea (basata sulla curva
normale) che più ci si allontanava dal QI con valore 100 e meno erano le persone coinvolte. Questo
dato, senza escludere la validità di altre ipotesi, conferma la prima, cioè che la realtà è diversa da
quanto previsto dalla curva normale.
Viene così confermato quanto molti operatori scolastici sostenevano da tempo e cioè che
sono numerose le situazioni molto gravi. In questa guida daremo loro spazio, per esempio pre-
sentando la sindrome di Angelman o di Rett e situazioni gravi di altre sindromi caratterizzate da
molta variabilità (per esempio la sindrome di Cornelia de Lange).
Per i nostri fini possiamo concludere che, secondo le diagnosi degli operatori sanitari e le necessità
della scuola, gli allievi bisognosi di aiuto (tra cui l’insegnante di sostegno) a causa di carenze intellet-
tive, e quindi certificati secondo la Legge 104/92, sono più di quelli previsti dal DSM-5 (e dai manuali
diagnostici precedenti) – e cioè attorno al 2% – e che molti di questi sono gravi.
Questi allievi hanno difficoltà di adattamento e bisogno di sostegno/aiuto assai superiore a
quello di cui hanno normalmente bisogno gli individui a sviluppo tipico (o con bisogni educa-
tivi speciali, ma senza disabilità).

I disturbi in associazione alle disabilità intellettive


Abbastanza alto è il rischio di comorbilità per le disabilità intellettive.
Molti sono gli alunni e gli studenti con diagnosi di disturbi dello spettro dell’autismo (con varie de-
nominazioni: autismo, disturbo pervasivo dello sviluppo, disturbo generalizzato dello sviluppo ecc.).
Poiché le indicazioni sulla prevalenza dei disturbi dello spettro
dell’autismo sono varie, non è di conseguenza possibile stabilire
quanti siano nella condizione di doppia diagnosi di disturbo dello DEFINIZIONE
spettro dell’autismo e di disabilità intellettiva. Agli inizi degli anni
2000, le stime sull’autismo più accreditate erano di 3-5 persone Comorbilità
ogni 10 000. Già allora, comunque, vi erano stime alternative Il termine comorbilità (o comorbidità)
è utilizzato in campo medico e psi-
indicanti un tasso di prevalenza maggiore. Nel 2013 il DSM-5 ha
cologico per indicare la presenza di
stimato un tasso di prevalenza molto più alto: 1 ogni 100. Con due o più disturbi in associazione o
la prevalenza di 3-5 persone ogni 10 000, in compresenza. Per esempio, si ha
comorbilità se una persona soffre di
diabete e ha anche una malattia car-
diovascolare.

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DISABILITÀ INTELLETTIVA

 ox “Gli alunni
B i soggetti con doppia diagnosi (quindi anche con disabilità intellettiva) era-
con disabilità nelle no stimati essere 2-4 ogni 10 000. Con la nuova stima del DSM-5, quanti
scuole italiane pri- potrebbero essere i soggetti con doppia diagnosi? Non si sa. Prudente-
marie e secondarie mente potremmo concludere che sono almeno 1 su 1000 e cioè lo 0,10%.
di I grado”, p. 14
Se ci riferiamo al Box “Gli alunni con disabilità nelle scuole italiane primarie
e secondarie di I grado”, si tratta di almeno un alunno o studente, fre-
quentanti la scuola primaria o la scuola secondaria di I grado, ogni 31-38
certificati con la Legge 104/92.
Anche quando la diagnosi primaria è di disabilità intellettiva associata a una sindrome, si può avere
comorbilità con i disturbi dello spettro dell’autismo. Per esempio si stima che una percentuale attor-
no al 5% degli individui con la sindrome di Down abbia anche un disturbo dello spettro dell’autismo.
Questa percentuale è un po’ più alta per bambini e ragazzi con la sindrome dell’X fragile.
La sindrome di Rett, fino alla pubblicazione del DSM-5 nel 2013, era inserita fra i disturbi pervasivi
dello sviluppo (etichetta usata al posto di disturbi dello spettro dell’autismo). Ora è considerata a
parte, ma le manifestazioni comportamentali di tipo autistico sono ancora tipiche della sindrome.
La comorbilità è frequente anche con l’ADHD (Attention Deficit and Hyperactivity Disorder; Deficit di
attenzione e iperattività).
Disturbi di tipo psichiatrico sono infine presenti nel 30-40% delle persone con disabilità intellettive
(circa 20% nella sindrome di Down).

Disabilità intellettive e autismo


La maggioranza degli allievi con disturbi dello spettro dell’autismo ha anche disabilità intellettive.
È molto diffusa la prassi, nei manuali e nelle guide dedicate all’autismo, di focalizzare l’attenzione
sui cosiddetti “Autistici ad alto funzionamento”. Poiché la presenza di disabilità intellettive non è un
criterio necessario per la diagnosi di autismo (i criteri riguardano infatti le notevoli difficoltà a livello
comunicativo e sociale e i comportamenti stereotipati), si tende infatti a presentare le situazioni
“pure” più che quelle caratterizzate da comorbilità. Se questo può avere una sua funzionalità a livello
teorico, può risultare tuttavia fuorviante da un punto di vista operativo.

Immaginiamo 10 insegnanti di sostegno di scuola secondaria di I grado che abbiano letto le più
classiche di queste guide o i più famosi manuali sull’argomento e che prima dell’inizio dell’anno sco-
lastico siano stati informati che insegneranno in una classe in cui è iscritto anche un bambino con
disturbi dello spettro dell’autismo. Cosa si aspetteranno? Un bambino “Asperger” un po’ strano, ma
intelligente e loquace? Un bambino a cui vengono proposte le storie con cui si studia la teoria della
mente? Non lo sappiamo. In termini probabilistici, tuttavia:
• almeno 2-4 di quei bambini hanno una disabilità intellettiva molto grave, caratterizzata da assenza
di linguaggio verbale e da uno sviluppo cognitivo limitato all’intelligenza senso-motoria (o agli inizi
dello sviluppo del pensiero simbolico; quindi un’età mentale non superiore a 18-24 mesi);
• altri 2 hanno un’intelligenza valutata con un QI superiore a 85;
• gli altri 4-6 hanno difficoltà cognitive che vanno dalla disabilità intellettiva grave al funzionamento
intellettivo limite.
Che faranno quei 10 insegnanti di sostegno se saranno “esperti” solo di disturbi dello spettro dell’au-
tismo e non di disabilità intellettive?

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DISABILITÀ INTELLETTIVA

Dalla mia esperienza clinica, educativa, scolastica e abilitativa risulta che per almeno il 70% dei bam-
bini/ragazzi con disturbi dello spettro dell’autismo sono necessarie ambedue le competenze: quella
relativa allo sviluppo in caso di disabilità intellettive e quella relativa ai disturbi dello spettro dell’au-
tismo. Ambedue richiedono inoltre una profonda conoscenza dello sviluppo tipico (requisito alla
comprensione dello sviluppo atipico). In questa guida ci sono le basi relative alle disabilità intellettive.
Sono opportune alcune considerazioni in caso di disturbo dello spettro dell’autismo.
• è importante offrire un ambiente familiare, comprensibile, prevedibile, che non dia ansia (psicologi-
camente strutturato). Non è facile in una classe attiva e alla ricerca delle novità. Può essere utile cre-
are uno spazio in cui l’allievo può “rifugiarsi”. Può anche essere il suo tavolino, vicino all’insegnante:
può andarci ogni volta che ne ha voglia, “per caricarsi e poi si riparte”. E lì trova i suoi contenitori,
dove prendere o porre i simboli che usa per la comunicazione aumentativa alternativa.
• Quasi sempre è essenziale essere esperti di comunicazione aumentativa alternativa (Fontani,
2016). Esperti e… creativi. Oggi è molto facile fare e stampare foto, trovare in internet immagini
adeguate ai nostri scopi. La mediazione di figure può permettere un notevole potenziamento della
comunicazione.
• Sensibilità e training sono necessari per capire che cosa può essere disturbante per un bambino/
ragazzo con disturbi dello spettro dell’autismo: un rumore forte, un riflesso, una luce forte, una stan-
za (per esempio la palestra) troppo grande, un cibo troppo cremoso o troppo duro, essersi sporcato
le mani ecc. Stimoli per noi controllabili possono essere per lui una “tempesta sensoriale”.
• Comprendere i messaggi verbali può essere molto impegnativo, più di quanto lo sia per bambini
con la stessa età mentale.

PER SAPERNE DI PIÙ

La Comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA)


Già molto conosciuta nella scuola – forse più operativamente che teoricamente – è una efficace risposta alla necessità di dialogo
quando il linguaggio verbale è carente. Rispetto al linguaggio dei segni usato con le persone con disabilità uditiva sono utilizzate
immagini (con il passare del tempo sempre più realistiche, ma pur sempre simboliche).
Il termine Aumentativa indica la complementarietà con il linguaggio verbale e Alternativa che può essere usata al posto di quella
verbale. Alcuni preferiscono limitarsi a parlare di Comunicazione Aumentativa in quanto ritengono che il termine Alternativa possa
creare l’equivoco che essa è “del tutto” alternativa al linguaggio verbale e non complementare.
Il linguaggio verbale, soprattutto se in presenza, è normalmente accompagnato da gesti, espressioni emotive, posture, pause ecc.
che contribuiscono a comunicare meglio (aumentando l’efficacia comunicativa). Nella CAA questo viene fatto con piena consape-
volezza e programmazione, proprio per ovviare ad un linguaggio verbale carente.
Inizialmente fu sperimentata con persone con paralisi cerebrale infantile e successivamente con persone con disturbi dello spettro
dell’autismo e infine con quelle con disabilità intellettive (soprattutto se gravi). È essenziale per bambini/e o ragazzi con sindrome
di Angelman, con sindrome di Rett o con disturbi dello spettro dell’autismo e disabilità intellettiva grave; e per altri bambini/ragazzi
con linguaggio verbale assente o limitato a poche parole.
Può realizzarsi in vari modi; per esempio attraverso il computer. Nella scuola è molto diffuso l’uso di immagini durante le attività.
Si tratta spesso di figure su cartoncino o su carta plastificata. Rispetto al linguaggio dei segni, permette alle persone con autismo
di evitare la situazione in cui si guarda in volto l’altro. In una prima fase vengono utilizzate immagini come se fossero “immagini-
frase” (invece delle “parole frase” dei bambini dai 12 mesi di vita). Ogni immagine, mostrata o presa da un contenitore o riposta,
indica qualcosa di ampio: una richiesta (“ho sete, dammi da bere”), aver finito un comportamento (“ho finito questo esercizio” dopo
aver classificato immagini in animali o piante) ecc. In una seconda fase, con le immagini si possono formare frasi.
La ricerca in internet permette di trovare tutte le immagini di cui c’è bisogno: ciò che conta è sapere bene che farne.

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DISABILITÀ INTELLETTIVA

Come leggere una valutazione diagnostica


Mi è successo spesso, in corsi di formazione o aggiornamento, che alcuni insegnanti mi dicessero
che non avevano informazioni sul bambino con disabilità intellettive inserito nella loro classe. Dialo-
gando ho capito quanto segue.
Questa mancanza di informazione in alcuni casi era dovuta a mancanza di iniziativa, anche da
parte loro, in quanto non avevano chiesto la documentazione al dirigente scolastico e/o ai genitori.
Altre volte avevano documentazioni così generiche da essere inutili o quasi. Consideravano tali, per
esempio, le valutazioni contenenti frasi del tipo:
• sindrome di Down (senza ulteriori informazioni sulla gravità);
• ritardo mentale lieve (senza specificazione del QI);
• scarse capacità nelle autonomie;
• difficoltà di attenzione;
• difficoltà di apprendimento e di memorizzazione;
• particolarmente bisognoso di supporti.

Anche recentemente ho potuto notare che, senza escludere situazioni di notevole eccellenza, la
documentazione fornita alla scuola è obiettivamente poco informativa. Per questo motivo ritengo
utile presentare alcuni concetti che possono essere trovati in una valutazione diagnostica
redatta dagli specialisti, in modo che gli insegnanti abbiano tutte le indicazioni necessarie per riu-
scire a comprenderle o per sapere quali
E S E M P I O informazioni aggiuntive eventualmente
richiedere.
Paolo ha 10 anni e la sindrome di Down. Qui di seguito possiamo
Per rendere più immediata la comprensio-
vedere una sintesi dei vari punteggi presenti nella sua relazione
diagnostica. ne, proponiamo un esempio nel Box qui a
lato che ci permetta di contestualizzare i
Prestazioni intellettive diversi elementi trattati.
QI di deviazione QI 50
QI di rapporto QI 60
Età mentale 6 anni Quando è indicata
Età mentale scala cognitiva del DP-3 6 anni la sindrome
Iniziamo con l’eventuale indicazione di una
Comportamenti adattivi (intervista DP-3)
sindrome: di Down, di Williams, di X fra-
Età equivalente 6-7 anni
gile ecc. Si tratta di un’informazione utile
Scala socio-emotiva (intervista DP-3) perché permette di orientare gli approfon-
Età equivalente 7 anni dimenti necessari: è opportuno studiare
quella particolare sindrome (online sono
Comunicazione (intervista DP-3) presenti schede sintetiche delle più impor-
Età equivalente 5-6 anni tanti).
Linguaggio
Si scoprirà così che ogni sindrome tende
Produzione (Boston Naming test) 5 anni ad avere profili cognitivi, linguistici, so-
Comprensione (Peabody) 5-6 anni ciali e comportamentali peculiari. Que-
sto è molto utile.
Prestazioni scolastiche: lettura (MT) Si scoprirà anche, tuttavia, che la varia-
Classe equivalente 2a primaria bilità intrasindromica è notevole. In alcuni
casi, come nella sindrome di Down, que-
Prestazioni scolastiche: aritmetica (AC-MT)
Classe equivalente 1a primaria
sto accade perché i livelli di gravità della
disabilità intellettiva possono essere diver-

11
DISABILITÀ INTELLETTIVA

si, per l’influenza di eventuali comorbilità (per esempio sindrome di Down e di-
sturbo dello spettro dell’autismo). In altri casi, come nella sindrome di Prader-Willi
o ancor più di Cornelia de Lange, perché la variabilità va da livelli molto gravi alla
normalità.
Nella maggioranza dei casi, comunque, la disabilità intellettiva non è connessa a Approfondimenti
una sindrome. Manca quindi un’indicazione di profilo sindromico tipico. sulle sindromi

Quando sono indicati i livelli di gravità


I livelli di gravità della disabilità intellettiva sono indicati sempre (o quasi) nelle valutazioni. Il riferimento
è quello indicato nel paragrafo precedente, con riferimento a ICD-10 o DSM-IV: lieve, medio/mode-
rato, grave, molto grave/profondo.
Cosa ci dice questa valutazione? La gamma dei QI all’interno della quale si colloca l’individuo. Per
esempio, ritardo mentale/disabilità intellettiva lieve significa che il QI è fra 55 e 70 (qualche volta tra
50-55 o tra 70-75, dato che è lasciata una certa discrezionalità a chi fa la diagnosi). Se non è indi-
cato il valore del QI si tratta di un’informazione molto generale. Esiste infatti una grande differenza
fra, per esempio, 58 e 68.

Quando è indicato il QI
Se nella valutazione è indicato il QI (per esempio con le Scale Wechsler; 1955, 1967, 1974, 1991,
2003) si elimina l’incertezza fornita dall’avere solo una gamma di punteggi (55-70; 40-55; 25-40;
meno di 25). Continuando con il nostro esempio potrebbe esserci l’indicazione che il QI è 60. Que-
sta specificazione è tuttavia meno informativa di quanto si creda. Essa ci dice (si veda la curva nor-
male presentata prima) che, su 100 coetanei, le sue prestazioni al test di intelligenza sono tra le due
peggiori. Poiché 60 è più vicino a 55 che a 70, si potrebbe concludere che si tratta della peggiore
fra 100. Se fosse stata 68 avremmo potuto concludere che c’è un suo coetaneo che fa peggio di
lui. Tutto qua? Purtroppo sì.
E se un individuo ha un QI di 50? L’informazione è che si tratta del peggiore su 1000. E con QI
40? Stessa informazione, e cioè il peggiore su 1000. E con QI 30? Stessa informazione. Anzi non
proprio. Sappiamo anche che chi ha un QI di 30 ha avuto delle prestazioni inferiori a chi ha avuto un
QI di 40, che a sua volta ha fatto peggio di chi ha un QI di 50. Ma qual è la rilevanza di quest’ultima
informazione? Dipende dall’uso che se ne fa; in ogni caso, nel contesto scolastico, è poco utile.
I QI presenti nelle valutazioni sono quasi sempre “QI di deviazione”. Questi permettono analisi molto
raffinate, ma per i fini scolastici indicano operativamente solo la “posizione” di un individuo rispetto
ai coetanei. Nel caso delle disabilità intellettive, come abbiamo visto, ci aiutano a capire se questa
posizione è la novantanovesima, la centesima o… la millesima. Tutto questo, se la realtà fosse
descritta adeguatamente dalla curva normale. Non è così, come abbiamo già visto. Per esempio
sappiamo (come ci dice il DSM-5) che non è vero che gli individui con QI inferiore a 55 sono 1,3 su
1000: sono 4 o 5 volte di più.
L’uso del QI di deviazione ha una sua utilità a fini normativi per stabilire chi ha disabilità intellettiva,
ma la sua rilevanza a livello operativo è veramente molto bassa. La scuola ha bisogno di altri indici
oltre al QI.

12
DISABILITÀ INTELLETTIVA

DEFINIZIONE

QI (Quoziente Intellettivo) di deviazione


Posizione occupata da un individuo nelle prestazioni fornite in un test di intelligenza, rispetto a una ideale popolazione di coetanei
le cui prestazioni sono coerenti con quelle previste da una curva normale con media 100 (e deviazione standard diversa a seconda
dei test utilizzati, per esempio 15 nelle Scale Wechsler, le più usate, e 16 nel test Terman-Merrill). Esempio QI di deviazione 70:
quasi il 98% dei coetanei fornisce prestazioni complessive migliori al test di intelligenza e circa il 2% fornisce prestazioni peggiori.
QI di rapporto
In questo caso l’indice indica il rapporto tra età mentale (EM) ed età cronologica (EC) moltiplicato per 100. QI = EM / EC x 100.
Esempio QI di rapporto 70: bambino di 10 anni che fornisce prestazioni a un test di intelligenza tipiche, in media, dei bambini
di 7 anni; oppure bambina di 70 mesi (5 anni e 10 mesi) che fornisce prestazioni uguali, in media, a quelle dei bambini di 42 mesi
(3 anni e 6 mesi).

Età mentale e QI di rapporto


Tra gli indici utili per la scuola, il primo è l’età mentale. Si tratta di un in-
dice poco considerato dagli studiosi di psicometria, e per buone ragioni,
dal loro punto di vista. È tuttavia pragmaticamente più utile del QI. In ogni
caso, sarebbe opportuno utilizzarli entrambi.
Per esempio, sappiamo che Paolo ha 10 anni e la sindrome di Down, che
il suo QI è 50 e che la sua età mentale è di circa 6 anni. Credo sia facile
essere d’accordo che per un insegnante è più informativo sapere che in
media le prestazioni di intelligenza rese possibili dal suo pensiero e dal suo
ragionamento assomigliano a quelle di un bambino di 6 anni (che si iscri-
ve in 1a classe primaria) che non sapere che il suo QI è 50. Meglio averli
entrambi. Anzi meglio averne anche un terzo, con un semplice calcolo. Il
ATTENZIONE! QI di rapporto, che si ottiene facendo età mentale diviso età cronologica
per 100. Nel caso di Paolo otteniamo 60.
È un errore dedurre l’età
mentale dal QI di devia-
Non ci si stupisca se i valori dei due QI sono diversi. Sono indici differenti:
zione! • il primo ci indica la posizione di un individuo in una curva normale;
• il secondo indica il rapporto fra l’età cronologica e l’età mentale.
Infatti non si può dedurre l’età mentale dal QI di deviazione: nel nostro
esempio, avremmo “tolto” a Paolo un anno di età mentale.
Purtroppo (per i nostri fini), in tutto il mondo e non solo in Italia, si privilegia
il QI di deviazione. Gli stessi manuali dei test più usati (le scale Wechsler),
pur permettendo in qualche modo di calcolare l’età mentale, sono costru-
iti in modo da sintetizzare i risultati in QI di deviazione.
DEFINIZIONE

Età mentale
Il costrutto di età mentale si riferisce all’età in cui la maggioranza dei bambini raggiunge certe prestazioni cognitive.
Per esempio Paolo, con la sindrome di Down, ha 6 anni e 3 mesi, ma le sue prestazioni a un test di intelligenza sono complessiva-
mente risultate quelle dei bambini a sviluppo tipico di 4 anni e 6 mesi: la sua età mentale è quindi 4 anni e 6 mesi.
Età equivalente
Si può utilizzare l’espressione età equivalente come alternativa a età mentale, soprattutto quando non ci si riferisce alle prestazioni
complessive a un test di intelligenza, ma a qualcosa di specifico.
Per esempio Paola, con la sindrome di Prader-Willi, ha 8 anni e 9 mesi, ma le sue prestazioni in un test di comprensione verbale sono
quelle dei bambini a sviluppo tipico di 5 anni e 6 mesi: la sua età equivalente in questo test è quindi 5 anni e 6 mesi.

13
DISABILITÀ INTELLETTIVA

Età equivalente e classe scolastica equivalente


Un altro indice molto utile è quello di età equivalente. È possibile incontrarlo, per esempio, nelle
valutazioni, quando troviamo i risultati di interviste strutturate o alcuni questionari (come le Vineland,
Sparrow, Balla e Cicchetti, 1984; Sparrow, Cicchetti e Balla, 2005; il DP-3, Lanfranchi e Vianello,
2015; o ABAS, Ferri, Orsini, Rea, 2014) che vengono proposti ai genitori e i cui risultati vengono
sintetizzati in età equivalenti.

Continuando il nostro esempio, nella relazione della valutazione diagnostica di Paolo, leggiamo che
gli è stato proposto il DP-3 ed è risultato che secondo i genitori ha un’età equivalente di circa 6 anni
nella scala cognitiva, tra i 6 e i 7 anni nei comportamenti adattivi, tra i 5 e i 6 nella comunicazione e
7 nella scala socio-emotiva.
Si tratta di valutazioni dei genitori, ma sono, di norma, più attendibili di quanto possa sembrare (an-
che perché filtrate da esperti, con strumenti appositamente creati).

Anche la comprensione e la produzione linguistica possono essere espresse in termini di età equi-
valenti e potremmo vederlo indicato per il test Peabody (Dunn e Dunn, 1997) per la comprensione,
il Boston Naming Test (Kaplan, Goodglass e Weintraub, 1983) per la produzione, la BVN 5-11 (Bi-
siacchi, Cendron, Gugliotta, Tressoldi e Vio, 2005).

Una variante dell’età equivalente è la classe scolastica equivalente. Per esempio, potremmo re-
perire l’informazione che Paolo legge come un bambino di classe 2a primaria attraverso la valuta-
zione effettuata con le Prove MT (Cornoldi e Carretti, 2016) e le sue prestazioni in aritmetica (ACMT;
Cornoldi, Lucangeli e Bellina, 2012) sono come quelle di un bambino alla fine della classe 1a.

Sulla base dei vari indici presentati è possibile creare dei profili, che evidenziano non solo le diffe-
renze specifiche rispetto allo sviluppo tipico, ma anche i punti di forza e di debolezza dell’individuo,
considerato indipendentemente dal confronto con la norma.

14
DISABILITÀ INTELLETTIVA

UNA PROPOSTA DI PERCORSO


PER INSEGNARE A LEGGERE A
BAMBINI E RAGAZZI CON DISABILITÀ
INTELLETTIVA
DISABILITÀ INTELLETTIVA

MAPPA DEL PERCORSO QUESTA UNITÀ SARÀ PRESENTATA


NELLE PAGINE SEGUENTI
UNITÀ
DIDATTICA 1 IMPARARE A LEGGERE PARTENDO DAL PROPRIO NOME
Motiviamo il bambino/ragazzo a imparare a leggere partendo dal proprio nome (e poi cognome) e dai
nomi delle persone di riferimento (genitori, fratelli/sorelle, insegnanti ecc.); usiamo le lettere di questi
nomi per favorire processi di analisi e sintesi di altre parole.

QUESTA UNITÀ SARÀ PRESENTATA NELLE


PAGINE SEGUENTI CON ALCUNI MATERIALI
UNITÀ
DIDATTICA 2 RICONOSCERE PAROLE LUNGHE E CORTE
Avviamo la discriminazione, a livello globale (sincretico), di una parola scritta da un’altra, basandoci
sulla lunghezza sia quando viene prodotta oralmente che quando è scritta.

QUESTA UNITÀ SARÀ PRESENTATA NELLE


PAGINE SEGUENTI CON ALCUNI MATERIALI
UNITÀ
DIDATTICA 3 RICONOSCERE PAROLE DI UGUALE LUNGHEZZA
Guidiamo l’individuazione nelle parole scritte di alcune caratteristiche particolari (le “qualità vistose”)
delle lettere/grafemi di cui sono composte, per avviare la discriminazione analitica delle lettere.

UNITÀ
DIDATTICA 4 RICONOSCERE LE LETTERE DELL’ALFABETO
Sosteniamo l’apprendimento delle lettere dell’alfabeto, stabilendo una corrispondenza con
un’immagine e una parola di riferimento.

UNITÀ
DIDATTICA 5 TROVARE LE PAROLE CHE INIZIANO CON... POI LEGGERLE INSIEME
Favoriamo il ricordo delle lettere dell’alfabeto, a livello di immagine e di fonema, attraverso
l’individuazione di una lettera target.

UNITÀ
DIDATTICA 6 TROVARE LE PAROLE CHE HANNO LA LETTERA... POI LEGGERLE INSIEME
Favoriamo l’analisi delle parole e il ricordo delle lettere dell’alfabeto attraverso l’individuazione di una
lettera target per sostenere la produzione dell’immagine mentale e l’accoppiamento grafema-fonema.

UNITÀ
DIDATTICA 7 TROVARE LE PAROLE CHE HANNO LA SILLABA... POI LEGGERLE INSIEME
Favoriamo processi di sintesi di due lettere in una sillaba e di analisi delle parole per individuare le
sillabe.

UNITÀ
DIDATTICA 8 ACCOPPIARE LE PAROLE
Favoriamo l’analisi delle parole attraverso l’individuazione delle lettere di cui sono composte le parole.

UNITÀ
DIDATTICA 9 TROVARE DOVE È SCRITTO
Favoriamo il collegamento fra parole ascoltate e parole scritte, sostenendo un avvio al riconoscimento
delle parole tra altre (almeno in parte da leggere).

UNITÀ
DIDATTICA 10 COSA MANCA? COMPLETARE LE PAROLE
Favoriamo l’analisi delle parole scritte, attraverso attività di scelta di una lettera mancante tra più opzioni.

16
DISABILITÀ INTELLETTIVA

UNITÀ DIDATTICA 1 IMPARARE A LEGGERE


INDICAZIONI PER L’INSEGNANTE PARTENDO DAL PROPRIO
NOME
Obiettivo: imparare a leggere partendo dal proprio nome (e cognome) e dai nomi di altre persone
significative.

Il focus dell’attività: enfatizzare l’importanza degli aspetti motivazionali e di saper leggere e


scrivere il proprio nome (e cognome); propedeutica a tutte le Unità seguenti.

Materiali/schede: cartoncino rigido per realizzare i cartellini con i nomi: scriviamo in maiuscolo
il nome dell’allievo/a, il cognome, i nomi di genitori, eventuali fratelli o sorelle e di uno o più insegnanti, le
parole MAMMA e PAPÀ (o BABBO), ritagliamo ogni nome e plastifichiamo i cartellini; se possibile, creiamo
altrettanti cartellini con una fotografia per ogni nome; contenitori per i cartellini.

Le attività
Come usare il nome dell’allievo/a nelle varie Unità didattiche
COME PROCEDERE
• L’interesse degli allievi e delle allieve per il proprio nome (e successivamente cognome) è noto: sfrut-
tiamolo per iniziare a motivarli a imparare a leggere. Favoriamo i processi di analisi e sintesi dei nomi
facendoli osservare; alcuni hanno nomi semplici, altri più complessi:
 SARA, DORA, LUCA, MARA, RITA, UGO, IDA...
 CESARE, TERESA, DAVIDE, MARINO/A, RENATO/A...
 CATERINA, CAROLINA...
 ELENA, EMMA, ANNA, EMILIO/A, PAOLO/A, MARIA, BRUNO/A, MARCO, GIORGIO/A, PIETRO, SILVIA/O,
MIRCO/A, LUIGI, DARIO/A, MATTEO, LUISA, FABIO, MARIO...
 MICHELA/E, ANTONIO/A, FRANCESCO/A, MANUELE/A, ADRIANO/A, GABRIELE, ANNALISA, LEONARDO,
GABRIELLA, ENRICO/A, BEATRICE, STEFANO, RICCARDO, PATRIZIO/A, GIOVANNI/A, ROBERTO/A...
 SALVATORE, MICHELANGELO, ALESSANDRO/A, MASSIMILIANO…

Consideriamo le caratteristiche del nome dell’allievo/a, per utilizzarle al momento opportuno, come in-
dicato a seguire. Segniamo nel volume con una sigla (o scrivendo proprio il nome) tutte le pagine in cui
l’uso del nome può risultare utile.

• Proponiamo alcuni esempi su come inserire il nome dell’allievo nelle diverse attività, rimandando alle
singole Unità per le indicazioni specifiche.

 L’Unità 2 lavora sul confronto di parole lunghe e corte per imparare a distinguerle. Con queste attività,
tutti i nomi vanno bene: confrontiamo i nomi lunghi con le parole più corte, come RE o MELA, e i nomi
corti con quelle lunghe, come POMODORO. Se per esempio il nome è CATERINA o CAROLINA, ciò che con-
ta è che è più lungo di RE (o di SARA, se Caterina o Carolina conoscono una bambina con questo nome).

 Nell’Unità 3 il confronto riguarda parole di uguale lunghezza (con struttura CVCV e VCV), in questo caso
sono utilizzabili alcuni nomi, come SARA, DORA, LUCA, MARA, RITA, UGO, IDA.
Anche nelle attività in cui si confrontano parole che iniziano con la stessa lettera, possiamo utilizzare i
nomi dell’allievo/a: se si chiama MARA, possiamo aggiungere il suo nome a MELA, MARE, MANO, MURO;
se il nome è LUCA, lo possiamo affiancare a LANA, LUPO, LUNA e LAGO.
Nella parte in cui si lavora sulle parole con struttura VCV, possiamo presentare i nomi di 3 lettere che ini-
ziano con una vocale, quindi possiamo presentare UGO insieme a UVA, OCA, ORO, APE, ALA, AGO, AMO.

 Possiamo usare tutti i nomi con le attività dell’Unità 4: è questo il momento per valorizzare la prima
lettera di ogni nome, per esempio D di DADO ma anche di DARIA, F di FATA ma anche di FABIO ecc.

17
DISABILITÀ INTELLETTIVA

IMPARARE A LEGGERE PARTENDO DAL PROPRIO NOME 1 UNITÀ DIDATTICA

 Anche nell’attività “Trova le parole che cominciano con... e poi le leggiamo insieme” (Unità 5), pos-
siamo utilizzare tutti i nomi. Mettiamo insieme i nomi con la stessa iniziale, per esempio PAOLO con
PERA, PALO, PANE e PINO.

 Molti nomi sono adatti per le attività dell’Unità 7, con cui sosteniamo il riconoscimento delle sillabe
target all’interno delle parole: potremo confrontare il nome MARIA per esempio con MANO e MARE,
LUCA con LUPO e LUNA, PATRIZIA con PANE e PALO e così via.

 Tutti i nomi vanno bene per le attività “Trova dove è scritto...” (Unità 9) e “Completa le parole” (Unità
10). In queste Unità possiamo lavorare con i nomi più difficili da leggere e da scrivere, per esempio,
possiamo presentare:
• i nomi che contengono le doppie, come MATTEO, insieme alle parole LATTE, MAMMA, NONNO,
PALLA, PIZZA, POLLO, GATTO, CULLA;
• il nome MATTEO anche quando proporremo la parola AEREO;
• i nomi che contengono il “ch”, come MICHELA o MICHELE, quando lavoreremo con CHIESA.

In questa fase è utile realizzare e utilizzare anche il cartoncino del cognome e, forse ancora di più, i
cartoncini con i nomi dei genitori, di eventuali fratelli o sorelle e di uno o più insegnanti. Conserviamo
i cartoncini in un contenitore a loro dedicato e teniamoli sempre a disposizione.
• Per quanto riguarda i genitori, è opportuno creare anche i cartoncini con scritto MAMMA e PAPÀ (o
BABBO in Toscana e non solo). Ricordiamo che quando lavoriamo con il cartoncino PAPÀ dobbiamo
spiegare che cos’è quell’accento; se il bambino sa che esiste il PAPA...
• Con MAMMA e BABBO ci sono già le doppie; non si tratta di un problema in più perché saranno
proprio queste parole il riferimento per tutte le altre con le doppie che troveranno in seguito.

 I nomi complessi non dovrebbero essere considerati un ostacolo, ma un movente all’apprendimento.


L’importante è non avere fretta. Con alcuni nomi dovremo avere molta pazienza, per esempio con
FRANCESCA, che contiene gruppi consonantici complessi. In questo caso, possiamo far notare le diver-
se lettere: la F quando nelle attività ci saranno FATA e FILO, la R con ROSA e RETE, la A con APE, ALA,
AGO e AMO ecc. Possiamo proporre questo lavoro in particolare con le attività dell’Unità 4.

Proporre altri nomi significativi


COME PROCEDERE
• Usiamo anche un po’ di creatività, realizzando cartoncini con parole diverse, in base agli interessi dell’allievo/a
e al rapporto che abbiamo con lui/lei, da tenere a disposizione per essere usati durante le attività delle varie
Unità didattiche.

• In alcuni casi, possiamo preparare cartoncini con i nomi:


 della città in cui abita;
 della città dove abitano i nonni, se diversa;
 della località preferita di villeggiatura;
 dell’animale o degli animali di casa (cane, gatto, pesci...);
 della scuola.

• In altri casi, potremmo trovare utili cartoncini più legati alle attività scolastiche, per esempio:
 PAUSA, BAGNO, INTERVALLO...;
 i nomi dei giorni della settimana, mesi, giorni del mese, come DOMANI, DOMENICA...
 BRAVO/A, LETTURA, ARITMETICA o MATEMATICA, STORIA, GEOGRAFIA, SCIENZE, INGLESE... (e i nomi
dei rispettivi insegnanti).
Realizziamo i cartoncini con i MATERIALI A, B, C (online); in questa sezione troviamo anche le lettere per
comporre le parole (nel MATERIALE D ed E, online).

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DISABILITÀ INTELLETTIVA

UNITÀ DIDATTICA 2 RICONOSCERE PAROLE


INDICAZIONI PER L’INSEGNANTE LUNGHE E CORTE

Obiettivo: avviare alla discriminazione tra parole lunghe e parole corte.


Il focus dell’attività: accoppiare parola e figura.
Materiali/schede: fotocopiamole e incolliamole sul cartoncino, ritagliamo le figure e i nomi (se è
possibile, plastifichiamo gli elementi), 8 gettoni o monete da 1 euro.

Le attività
Confronto di parole: molto corta e molto lunga
COME PROCEDERE
• Iniziamo presentando all’allievo/a il cartoncino con il disegno del re e quello del pomodoro (SCHEDA 1).
• Poi mettiamo sul tavolo, a parte e senza corrispondenza con le immagini, i due cartoncini con le parole. Di-
ciamo che su uno c’è scritto RE e sull’altro POMODORO e che dobbiamo mettere il cartoncino con scritto RE
vicino (sopra o sotto) alla figura del re e quello su cui è scritto POMODORO vicino alla figura del pomodoro.
 Come aiutare l’allievo/a senza suggerire la soluzione? Possiamo far notare che POMODORO è una parola
più lunga, quando la diciamo, di RE.
Pronunciamo entrambe le parole sillabandole e accompagnando la produzione con dei colpetti ritmati sul
tavolo, uno per ogni sillaba, spostando anche la mano di qualche centimetro verso destra al momento del
colpetto successivo. Facciamo notare che, per po-mo-do-ro, abbiamo fatto 4 colpetti e usato più spazio
sul tavolo, e, per re, un solo colpo senza spostare la mano per un secondo colpetto.
Possiamo anche usare dei gettoni (o monete da 1 euro): ne poniamo uno sul tavolo ogni volta che diamo
un colpetto: ne metteremo quindi uno per RE e quattro per POMODORO. Poi diciamo che, anche quando
si scrive, POMODORO è una parola più lunga di RE.

 L’allievo/a può imparare a discriminare (non a leggere) le due parole a confronto anche senza essere in
grado di riconoscere alcuna lettera o sillaba. Durante questa attività ha comunque imparato a suddivi-
dere alcune parole in sillabe, che è molto utile per il futuro: in questa fase la parola RE è una unità e la
parola POMODORO è più di una unità e, anche se non è detto che abbia piena consapevolezza che la
parola sia formata da 4 sillabe, è sufficiente che intuisca che è più di una o due unità.

• Poi presentiamo le figure di re e di piramide (SCHEDA 1) (o di patatine, SCHEDA 2) e, a parte, da accoppiare,


i cartoncini con le parole corrispondenti, riproponendo la scansione delle sillabe, con i colpetti sul tavolo e
lo spostamento della mano da sinistra a destra a ogni sillaba pronunciata.

Confronto di parole: corta e molto lunga


COME PROCEDERE
• Passiamo quindi al confronto fra una parola di due unità e una di quattro, mostriamo le figure di mela e
pomodoro e i cartoncini con scritto MELA e POMODORO (SCHEDA 1).
• È possibile che già in questa fase l’allievo/a sia colpito da alcune “qualità vistose” nelle parole scritte. Per
esempio, può notare:
 la prima lettera di MELA, la M, “che va su, poi giù e torna su”, “che va a zig-zag”. Accogliamo questo
collegamento, ma senza accelerare: riprenderemo il tutto in un secondo tempo, quando passeremo si-
stematicamente all’analisi delle sillabe. In questa fase possiamo sostenere questa riflessione spontanea
con domande del tipo: “Come facciamo a ricordarci dove è scritto MELA?”. E anche: “Che cosa ti sembra
questa lettera (indicando la M)?”, senza insistere e rinforzando solo se dice qualcosa che ci sembra utile
per il futuro;
 un’altra lettera nella parola, come la A (“È come una casetta”), presente in MELA, ma non in POMODORO.
19
DISABILITÀ INTELLETTIVA

RICONOSCERE PAROLE LUNGHE E CORTE 2 UNITÀ DIDATTICA

Quando la indica, diciamo qualcosa come: “Questa è una A” e poi scandiamo la parola ME-LA, enfatiz-
zando la A, oppure: “Proprio così… nella parola PO-MO-DO-RO (indicandola lentamente) non c’è la A”;
 tutti i cerchi che ci sono nella parola POMODORO: 4 lettere O e possiamo ragionare insieme in modo
analogo a come abbiamo fatto per la A.

• Procediamo nello stesso modo con il confronto fra MELA e PIRAMIDE (SCHEDA 1) e poi con RANA e PATATI-
NE, CANE e PATATINE (SCHEDA 2). Se l’allievo/a è motivato e attento, possiamo ampliare l’attività cercando
insieme una lettera che c’è in MELA, ma non in PIRAMIDE. Per esempio L, e la enfatizziamo nel pronunciare
ME-LA. Anche in questo caso, non forziamo il bambino/ragazzo e proponiamo questa attività solo se viene
naturale, tenendo presente che l’obiettivo primario non è distinguere le lettere, ma cercare qualità vistose
che differenziano le parole.

• Presentiamo RE e MELA quando l’allievo/a riconosce nelle due parole alcune lettere, dato che le differenze
in lunghezza non sono grandi. In caso contrario, lavoriamo ancora con parole di 4 sillabe CV, come CAPITA-
NO, PARABOLA, CAROLINA, realizzando i cartoncini e procurandoci delle immagini adatte.
Potrebbe essere utile utilizzare anche parole di 5 sillabe CV, come LAVORATORE e RAPINATORE. In questo
caso, dopo aver stampato le parole e averle ritagliate, confrontiamole con parole CVCV e limitiamoci a
chiedere qual è più lunga e quale più corta, senza usare le immagini. Si può per esempio chiedere: “Dove è
scritto CAPITANO? E dove CANE?”.
Al momento opportuno, può essere utile anche tagliare i cartoncini in sillabe e posizionarli sul tavolo nel
corretto ordine.

CA NE e CA PI TA NO
Possiamo metterle una sopra e una sotto in modo che risulti evidente la diversa lunghezza e, se è il caso, far
notare che iniziano con la stessa sillaba CA.

CA NE

CA PI TA NO

Confronto di parole: parole di 2 sillabe e parole di 3 sillabe


COME PROCEDERE
• Quando l’allievo/a è in grado di discriminare senza incertezza parole di 2 sillabe CV da parole di 4 sillabe CV,
presentiamo parole di 2 o di 3 sillabe, con la struttura CVCV e CVCVCV: iniziamo dal confronto tra RANA e
TAVOLA e poi CANE e TAVOLA (SCHEDA 2) .
• Continuiamo a presentare immagini e parole finché l’allievo/a ha imparato a distinguere le parole di 3 sil-
labe da quelle di 2 sillabe.

Ulteriori indicazioni
Con un adulto – Proponiamo le attività quando la classe sta svolgendo attività di lettura o scrittura. In una logica di
insegnamento differenziato, sono proponibili anche quando la classe sta lavorando sulle discipline. In questo caso,
è necessaria una scelta mirata, per esempio il confronto può avvenire fra parole di 2 sillabe e parole di 3 sillabe:
• per Storia: ROMA e ROMOLO
• per Geografia: MARE (o LAGO) e LAGUNA (o CANALE)
• per Scienze: LUCE (o FARO) e FANALE

Con altri bambini – Queste attività sono troppo facili per presentarle in classe così come vengono proposte all’al-
lievo con disabilità intellettiva. Possiamo affidare la funzione di “aiuto insegnante” a uno o più bambini che sono
disponibili a fare da tutor: possono fare da mediatori e aiutare il compagno, senza suggerire. Poi si può proporre
al compagno o ai compagni una prova più adatta al loro livello, trasformandola in un‘attività di ricordo di figure
capovolte (come nel gioco del memory).

20
DISABILITÀ INTELLETTIVA

UNITÀ DIDATTICA 2 RICONOSCERE PAROLE LUNGHE E CORTE


MATERIALI
HEDA
SC
Confronto di parole 1
UD 2

POMODORO PIRAMIDE
MELA RE
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18
21
DISABILITÀ INTELLETTIVA

RICONOSCERE PAROLE LUNGHE E CORTE 2 UNITÀ DIDATTICA


MATERIALI
HEDA
SC
Confronto di parole 2
UD 2

PATATINE TAVOLA
CANE RANA
© 2021 Giunti EDU S.r.l. - Firenze

© 2021 Giunti EDU S.r.l. - Firenze

19
22
DISABILITÀ INTELLETTIVA

UNITÀ DIDATTICA 2 RICONOSCERE PAROLE LUNGHE E CORTE


MATERIALI
HEDA
SC
Confronto di parole 3
UD 2

BARILE GELATO
FOCA PIPA
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DISABILITÀ INTELLETTIVA

RICONOSCERE PAROLE LUNGHE E CORTE 2 UNITÀ DIDATTICA


MATERIALI
HEDA
SC
Confronto di parole 4
UD 2

MATITA REGINA
TOPO PERA
© 2021 Giunti EDU S.r.l. - Firenze

© 2021 Giunti EDU S.r.l. - Firenze

21
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DISABILITÀ INTELLETTIVA

UNITÀ DIDATTICA 2 RICONOSCERE PAROLE LUNGHE E CORTE


MATERIALI
HEDA
SC
Confronto di parole 5
UD 2

NUVOLA BUDINO
VASO SEGA
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DISABILITÀ INTELLETTIVA
UNITÀ DIDATTICA 3 RICONOSCERE PAROLE
INDICAZIONI PER L’INSEGNANTE DI UGUALE LUNGHEZZA
UNITÀ DIDATTICA 3 RICONOSCERE PAROLE
Obiettivo:
INDICAZIONI PERtrovare DI UGUALE
nelle parole scritte alcune
L’INSEGNANTE LUNGHEZZA
caratteristiche particolari delle lettere/grafemi di cui sono
composte.

Il focus dell’attività: accoppiare parola-figura e avviare la discriminazione analitica delle lettere.


Obiettivo: trovare nelle parole scritte alcune caratteristiche particolari delle lettere/grafemi di cui sono
Materiali/schede:
composte. fotocopiamole/stampiamole e incolliamole sul cartoncino, ritagliamo le figure
e le parole (se è possibile, plastifichiamole); i materiali dell’Unità didattica 2.
Il focus dell’attività: accoppiare parola-figura e avviare la discriminazione analitica delle lettere.
Le attività
Materiali/schede: fotocopiamole/stampiamole e incolliamole sul cartoncino, ritagliamo le figure
Confronto diè parole
e le parole (se che inizianoi nello
possibile, plastifichiamole); stesso
materiali modo
dell’Unità didattica 2.
COME PROCEDERE
Le attività
• Lavorando con le Unità 1 e 2, è possibile che siano emerse alcune prime analisi (collegamenti fonema-
grafema) e che vi siano stati dei riconoscimenti di “qualità vistose” nelle parole scritte. Per esempio: P di
Confronto di parole che iniziano nello stesso modo
POMODORO (“P ha la pancia”, “P ha un testone”); B di BANANA (“B ha due pance”, “B ha un testone e una
COME PROCEDERE
panciona”); T di TOPO (“T ha una lineetta sopra l’altra”); O di TOPO (“ci sono due cerchi in questa parola”);
A alla fine di MELA (“A è come una casetta, una capanna”)…
• Lavorando
• Con
con le Unità 1 e 2, è possibile che siano emerse alcune prime analisi (collegamenti fonema-
queste attività guidiamo la scoperta delle “qualità vistose” di molte parole e sosteniamo l’allievo/a
grafema) e che vi siano stati dei riconoscimenti di “qualità vistose” nelle parole scritte. Per esempio: P di
con aiuti mirati. Presentiamo:
POMODORO (“P ha la pancia”, “P ha un testone”); B di BANANA (“B ha due pance”, “B ha un testone e una
 prima le parole
panciona”); T dicon
TOPOiniziale
(“T hadiversa (SCHEDE
una lineetta 1-6);
sopra l’altra”); O di TOPO (“ci sono due cerchi in questa parola”);
 poi le parole
A alla fine di con
MELA iniziale
(“A è uguale;
come una tracasetta,
queste,una
quelle che hanno la prima e quelle con le prime due let-
capanna”)…
tere uguali (MARE-MANO; PANE-PALO; CASA-CANE;
• Con queste attività guidiamo la scoperta delle “qualità LUPO-LUNA)
vistose” di(SCHEDE 7-14); e sosteniamo l’allievo/a
molte parole
 infine,
con aiutile parole
mirati. che hanno le prime tre lettere uguali, come nei casi di singolare-plurale (CANE-CANI;
Presentiamo:
ROSA-ROSE), che sono
 prima le parole anche un’ottima
con iniziale occasione
diversa (SCHEDE per favorire il riconoscimento delle vocali (A, O, E,
1-6);
I) (SCHEDE 15-22).
 poi le parole con iniziale uguale; tra queste, quelle che hanno la prima e quelle con le prime due let-
tere uguali (MARE-MANO; PANE-PALO; CASA-CANE; LUPO-LUNA) (SCHEDE 7-14);
 infine, le parole che hanno le prime tre lettere uguali, come nei casi di singolare-plurale (CANE-CANI;
ROSA-ROSE), che sono anche un’ottima occasione per favorire il riconoscimento delle vocali (A, O, E,
I) (SCHEDE 15-22).

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Ulteriori indicazioni
Proponiamo attività contestualizzate alle discipline, per favorire una didattica inclusiva. Quando l’attività della classe
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riguarda materie come Geografia, Storia e Scienze è necessaria una scelta mirata delle parole: per esempio il con-
fronto può avvenire fra parole di due sillabe CVCV, come ROMA e LUPA per Storia o MARE e LAGO per Geografia.
Ulteriori indicazioni
Proponiamo attività contestualizzate alle discipline, per favorire una didattica inclusiva. Quando l’attività della classe
riguarda materie come Geografia, Storia e Scienze è necessaria una scelta mirata delle parole: per esempio il con-
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fronto può avvenire fra parole di due sillabe CVCV, come ROMA e LUPA per Storia o MARE e LAGO per Geografia.
DISABILITÀ INTELLETTIVA

RICONOSCERE PAROLE DI UGUALE LUNGHEZZA 3 UNITÀ DIDATTICA


MATERIALI
HEDA
SC
Confronto di parole 1
UD 3

CASA RANA
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TOPO MELA
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DISABILITÀ INTELLETTIVA

UNITÀ DIDATTICA 3 RICONOSCERE PAROLE DI UGUALE LUNGHEZZA


MATERIALI
HEDA
SC
Confronto di parole 2
UD 3

VITE LUPO
FATA DADO
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DISABILITÀ INTELLETTIVA

RICONOSCERE PAROLE DI UGUALE LUNGHEZZA 3 UNITÀ DIDATTICA


MATERIALI
HEDA
SC
Confronto di parole 3
UD 3

VASO SOLE
ROSA PERA
© 2021 Giunti EDU S.r.l. - Firenze

© 2021 Giunti EDU S.r.l. - Firenze

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29
DISABILITÀ INTELLETTIVA

UNITÀ DIDATTICA 3 RICONOSCERE PAROLE DI UGUALE LUNGHEZZA


MATERIALI
HEDA
SC
Confronto di parole 4
UD 3

FILO SEGA
RETE PANE
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DISABILITÀ INTELLETTIVA

RICONOSCERE PAROLE DI UGUALE LUNGHEZZA 3 UNITÀ DIDATTICA


MATERIALI
HEDA
SC
Confronto di parole 5
UD 3

LANA FARO
NAVE VELA
© 2021 Giunti EDU S.r.l. - Firenze

© 2021 Giunti EDU S.r.l. - Firenze

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DISABILITÀ INTELLETTIVA

UNITÀ DIDATTICA 3 RICONOSCERE PAROLE DI UGUALE LUNGHEZZA


MATERIALI
HEDA
SC
Confronto di parole 6
UD 3

PINO TANA
PALO LUNA
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32
Questo Ebook è un estratto
dei seguenti volumi

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