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CAMPI ELETTROMAGNETICI E CIRCUITI

Appunti del corso tenuto dal professor: CAPOZZOLI Amedeo


nell’anno accademico: 2012-2013

PROGRAMMA DEL CORSO

Generalità e leggi fondamentali pagina 3


Equazioni di Maxwell in forma integrale e differenziale e condizioni di raccordo. Relazioni costitutive.
Equazioni di Maxwell nel dominio della frequenza. Teoremi di unicità. Regime sinusoidale. Vettori
sinusoidali e loro rappresentazione fasoriale. Risonanza. Teoremi di Poynting. Relazioni di dispersione.
Polarizzazione di un vettore sinusoidale.

Propagazione libera pagina 73


Onde piane: definizione e rilevanza. Propagazione di un segnale a banda stretta: velocità di gruppo.
Dispersione di un pacchetto d'onda. Espansione in onde piane. Incidenza di un'onda piana su una
discontinuità piana tra dielettrici. Legge di Snell. Coefficienti di riflessione e trasmissione: formule di
Fresnel. Incidenza di un'onda piana su semispazio metallico. Condizione di Leontovic.

Propagazione guidata pagina 122


Guide d'onda metalliche: definizione e contesti applicativi. Il concetto di modo: modi TEM, TE e TM e loro
proprietà di rappresentazione. Modi TEM. Linee di trasmissione: definizione e contesti applicativi. Tensione
e corrente su una linea. Coefficiente di riflessione ed impedenza. Trasporto d’impedenza. Adattamento:
significato e rilevanza. Definizione e significato del Rapporto d’Onda Stazionaria (ROS). Teoremi di
Equivalenza. Principali tecniche di adattamento. Le linee come elementi circuitali. Carta di Smith.
pagina 161
Modi TE e TM. Potenziali in guida come soluzioni di un problema agli autovalori per l’operatore di Laplace.
Linea di trasmissione equivalente. Ortogonalità dei modi. Caratteristiche della propagazione in guida:
frequenza di taglio. Guida d'onda rettangolare. Diagramma di Brillouin. Dispersione e sua rilevanza.
Dimensionamento di una guida d'onda rettangolare. Analisi e caratterizzazione delle linee di maggiore
interesse: cavo coassiale. Potenza ed energia in guida. Equazioni delle linee. Costanti primarie delle linee.
Espansione modale. Perdite nelle guide. Costante di attenuazione.

Radiazione ed elementi di antenne pagina 217


Potenziali elettrodinamici. Campo irradiato da un dipolo elettrico elementare. Campo irradiato da una
distribuzione arbitraria di corrente. Regione di Fraunhofer. Altezza efficace (in trasmissione ed in ricezione),
direttività, guadagno, efficienza. Teorema di reciprocità. Uguaglianza tra altezza efficace in trasmissione ed
altezza efficace in ricezione. Antenne filiformi. Spira elementare. Teorema di dualità e teorema di
equivalenza di Ampere. Teorema delle immagini. Area efficace.

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UNA SPECIE DI PREFAZIONE
Salve! Questi appunti di “Campi Elettromagnetici e Circuiti” NON sono appunti
ufficiali, sono stati scritti da me che sono uno studente quindi ci sarà sicuramente
qualche errore concettuale da qualche parte, su alcune cose di cui non ero sicuro
infatti ho lasciato un po’ di ambiguità apposta.

Il mio consiglio è quello di seguire il corso così potete correggere gli errori che ci
stanno e capite sicuramente meglio, anzi ho messo a disposizione questi appunti
GRATUITI perché così il corso può essere seguito bene e magari evitate di dover
sbobinare tutte le lezioni.

Come vi ho detto questi appunti sono gratuiti, si possono scaricare dal sito
http://www.cdp-r.com; mi scuso preventivamente per errori di battitura, ho corretto
più che potevo, se trovate errori importanti soprattutto concettuali non esitate a
lasciare un commento dove ho caricato il file, cercherò di rispondervi e di rimediare
prima che posso.

Alcune parti del testo noterete che sono più chiare, quelle parti sono
approfondimenti o più spesso richiami matematici che non sono strettamente
necessari, nel senso che le nozioni matematiche scritte possono essere già ben note a
chi legge mentre gli approfondimenti non sono di solito richiesti per l’esame ma è
solo per dare una visione più larga.

Un ultimo consiglio che vi permetto di darvi è di non farvi abbattere da tutte le storie
che sentirete o avete sentito su campi, l’esame è sicuramente più difficile e richiede
più lavoro degli altri ma si può fare tranquillamente.

BUONO STUDIO!

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ESERCITAZIONI SVOLTE CEC


FORMULE PER GLI ESERCIZI

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Generalità e leggi fondamentali
Equazioni di Maxwell in forma integrale e differenziale e condizioni di raccordo

In questo corso ci occuperemo dello studio dei campi elettromagnetici, in particolare tratteremo
fenomeni elettromagnetici variabili nel tempo e non fenomeni stazionari trattati già in
elettrostatica e magnetostatica: per fare questo dobbiamo partire essenzialmente dalle equazioni
di Maxwell che costituiscono un sistema di equazioni a derivate parziali le cui soluzioni sono
esaustive per descrivere il fenomeno elettromagnetico dal punto di vista classico, diverso invece è
l’approccio più moderno dell’elettrodinamica quantistica che non trattiamo.
Innanzitutto introduciamo la simbologia che useremo in questo corso riguardo a scalari, vettori e
matrici: quando la lettera, che è il nome dell’oggetto che stiamo trattando, è sottosegnata oppure
è in grassetto intenderemo che è un vettore

tipicamente dello spazio tridimensionale; uno scalare lo indicheremo senza nessun trattino sotto
mentre una matrice con due trattini o talvolta con la lettera maiuscola:

Per studiare i fenomeni elettromagnetici andremo a lavorare in uno spazio quadridimensionale e


questo perché oltre alle tre coordinate spaziali c’è una variabile temporale, che è proprio quella
distingue il nostro studio dallo studio statico dell’elettromagnetismo, che non può essere
considerata a parte rispetto allo spazio: questo concetto di spazio-tempo, cioè la stretta relazione
tra lo spazio e il tempo, nasce dalla relatività ristretta di Einstein ed è stato formulato
rigorosamente da Minkowski che ha definito per bene lo spazio .
Scriviamo allora le equazioni di Maxwell in forma differenziale, o locale:

Prima di tutto dobbiamo capire chi sono gli oggetti che intervengono: i vettori, che poi sono anche
le incognite da ricavare risolvendo le equazioni, sono il vettore campo elettrico , il vettore
induzione magnetica , il vettore campo magnetico e il vettore induzione elettrica , questi
sono funzioni che in particolare chiameremo campi, cioè sono applicazioni del tipo

dove il vettore quadridimensionale , fatto da tre componenti spaziali racchiuse nel vettore
posizione e dalla componente temporale, prende il nome di evento. Una funzione che ad ogni
evento associa qualcosa è un campo, se associa uno scalare sarà un campo scalare, se associa un
vettore sarà un campo vettoriale, se associa una matrice sarà, come logica estensione, un campo
matriciale. In generale si dice che assoceremo un tensore, oggetto di cui non parliamo nello
specifico, ma il calcolo tensoriale è una delle tecniche più avanzate della matematica che riesce a
trattare in maniera generale gli oggetti matematici di interesse fisico con cui avremo a che fare.

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I campi di nostro interesse sono campi vettoriali che hanno tre componenti cartesiane, una per
ogni direzione dello spazio, e siccome noi trattiamo con vettori spaziali dobbiamo anche
introdurre una notazione per i versori degli assi della terna levogira di: denoteremo i versori dei
tre assi come

e questa notazione è comoda perché se noi volessimo ad esempio indicare il versore del campo
induzione magnetica avremmo velocemente . Diciamo anche che riferimento la terna di assi di
riferimento deve essere sempre levogira, non destrogira, altrimenti non ci troviamo con i segni
delle equazioni di Maxwell, per questo facciamo sempre attenzione ad orientare in modo
opportuno i tre assi seguendo la regola della mano destra. Stiamo inoltre sempre attenti a
distinguere bene le componenti dei campi vettoriali dalle variabili spazio-temporali da cui questi
dipendono, ad esempio stiamo attenti a non confondere il fatto che se un campo vettoriale
dipende solo dalla coordinata spaziale non è detto che abbia solo la componente : questo è un
errore banale ma a volte potrebbe capitare.
Nel seguito ci riferiremo essenzialmente a un sistema di coordinate cartesiane, più avanti però
sarà utile e a volte necessario lavorare con altri sistemi di coordinate e anche in quel caso i versori
opportuni saranno indicati con la notazione ora introdotta.
Il fatto che un fenomeno elettromagnetico sia completamente specificato se risolviamo il sistema
di equazioni di Maxwell e determiniamo il campo elettrico, il campo magnetico, il campo
induzione magnetica e il campo induzione elettrica è una cosa che ci viene detta dalle leggi della
fisica, quindi noi non siamo tanto interessati a capire come mai è così ma ci interessa piuttosto
partire dalle equazioni e andare a capire come possiamo descrivere determinati fenomeni: in
questo senso l’approccio alla materia è più tecnico. Stiamo sempre attenti che avendo equazioni
differenziali quello che ci viene detto è come variano questi vettori, non quanto valgono, infatti
un’equazione differenziale permette di descrivere le variazioni e non i valori specifici delle
incognite: in parole povere il risultato è una funzione, non un numero.
Nel sistema di equazioni di Maxwell ci sono anche altri due campi che sono incogniti: lo scalare
densità di carica elettrica e il vettore densità di corrente , anzi, per essere precisi questi sono
rispettivamente la densità di carica elettrica indotta e la densità di corrente indotta perché
dobbiamo distinguerli dalla densità di carica elettrica impressa e dalla densità di corrente
elettrica impressa 0: questi ultimi due termini sono termini noti, o almeno abbastanza noti se
differiscono poco dai loro valori nominali, perché sono determinati dai generatori presenti.
La densità di carica elettrica e di corrente elettrica indotte sono anche loro incognite perché
dipendono dal campo elettrico e magnetico, dobbiamo poi spiegare bene cosa sono queste due
grandezze fisiche, per ora abbiamo una vaga idea e sappiamo che la densità di carica elettrica
descrive quanta carica c’è per unità di volume e la densità di corrente elettrica descrive quanta
corrente c’è per unità di volume: queste due sono definizioni che danno un’idea degli oggetti che
stiamo trattando, ma poi dobbiamo necessariamente dare delle definizioni rigorose.
Siccome vogliamo evitare di lavorare il più possibile con le funzioni generalizzate, o distribuzioni,
con le quali anche si potrebbe lavorare ma complicano parecchio certi aspetti, dobbiamo notare
che perché il sistema di equazioni di Maxwell sia definito c’è bisogno che i vettori in gioco siano
abbastanza regolari, in particolare l’operatore porta delle derivate rispetto alle componenti
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spaziali e perciò si deve assicurare la derivabilità, perlomeno nel volume di interesse, dei vettori
considerati: quando non è possibile assicurare la derivabilità o si lavora con le distribuzioni oppure
dobbiamo ricorrere alla forma integrale, o globale, delle equazioni di Maxwell:

La cosa che notiamo subito è che non abbiamo più derivate spaziali, quindi non c’è bisogno di
assicurare una derivabilità rispetto alle variabili spaziali ma solo rispetto alla temporale, ed è un
bel vantaggio: lo scotto da pagare è che queste equazioni descrivono il fenomeno in forma globale
e non più locale; le quantità che intervengono sono le stesse, o almeno, la differenza sta solo nel
fatto che al posto della densità di corrente elettrica, fatta dalla somma di densità di corrente
indotta e impressa, ora c’è la corrente elettrica, al posto della densità di carica, fatta da densità di
carica elettrica indotta e impressa, c’è la carica elettrica.
Descriviamo meglio le equazioni: la prima equazione di Maxwell in forma locale dice che il rotore
del campo elettrico è pari a meno (legge di Lenz) la variazione temporale del campo induzione
magnetica, in forma globale dice che l’integrale di linea su un ciclo, cioè su una linea chiusa,
(circuitazione) è pari a meno la variazione temporale del flusso del campo induzione magnetica; in
questa equazione allora intervengono un ciclo , che è una linea chiusa e
orientata, e poi una generica superficie che è costruita sul ciclo e che
pure dobbiamo orientare. Dato che ogni punto del ciclo, supposto che la
curva sia abbastanza regolare, ha una sola retta tangente che ne dà la
direzione nel piano che contiene la curva, per ogni punto ci sono due
versori: scegliere uno piuttosto che l’altro è puramente una convenzione,
di solito si sceglie come positivo il verso di percorrenza antiorario e
perciò per ogni punto sarà positivo il versore concorde con il verso di
percorrenza antiorario e negativo l’altro; la curva per essere orientata
deve essere regolare o al massimo regolare a tratti, cioè ci possono
essere finiti o infiniti ma numerabili punti di non regolarità, per ogni
punto il versore sarà chiamato e ci saranno dei “salti” di questo
versore passando per i punti di non regolarità.
Anche per la superficie che costruiamo su questa curva ci sono due
versori per ogni punto perché ognuno ha un piano tangente e la normale
al piano, che poi è il versore di un punto, può essere scelta in due versi
opposti: la convenzione è quella di usare la regola della mano destra per
vedere in base al verso di percorrenza della curva scelto, come orientare
la normale. Per poter dare un verso dobbiamo anche qui supporre una
regolarità almeno a tratti della superficie, altrimenti questa non è
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orientabile, poi se la superficie è chiusa il verso si attribuirà dicendo entrante o uscente, se la
superficie invece è aperta questo non ha senso e si usa come già detto la regola della mano destra
che consiste brevemente nel chiudere le quattro dita, tranne il pollice, della mano destra
seguendo il verso di percorrenza della curva orientata su cui poggia la superficie, la normale sarà
poi data dal pollice e si indica con . Con questa regola riusciamo ad orientare in modo coerente
ciclo e superficie, e deve essere così altrimenti non ci troviamo con i segni dell’equazione di
Maxwell.
C’è un altro problema legato alla scelta di dato che su un ciclo chiuso si possono costruire
infinite superfici: il problema è presto risolto perché possiamo scegliere quale superficie vogliamo,
a seconda di quale conviene di più, dobbiamo solo stare attenti all’orientamento di cui abbiamo
già parlato ed essendo la superficie orientata noi la indicheremo con .
Consideriamo ora la seconda equazione di Maxwell, in forma locale ci dice che il rotore del campo
magnetico è pari alla variazione temporale del campo induzione elettrica più la densità di corrente
elettrica, in forma globale invece dice che la circuitazione del campo magnetico lungo un ciclo è
pari alla derivata del flusso del vettore induzione elettrica attraverso la superficie orientata più
la corrente che passa attraverso la superficie nell’istante considerato. Per questa seconda
equazione le considerazioni su ciclo e superficie sono esattamente le stesse fatte prima.
La terza e la quarta equazione di Maxwell dicono rispettivamente, in forma locale, che la
divergenza dell’induzione elettrica è pari alla densità di carica elettrica e la divergenza
dell’induzione magnetica è nulla, mentre in forma globale abbiamo il flusso attraverso la frontiera
del volume dell’induzione elettrica è pari alla carica che in quell’istante è contenuta nel volume e
il flusso dell’induzione magnetica attraverso la frontiera di è nullo.
Per queste altre due equazioni dobbiamo solo fare un discorso sull’orientazione del volume:
siccome quello che dobbiamo orientare è la superficie chiusa che racchiude il volume diremo
semplicemente che è positivo quando è uscente.
Prima di passare a descrivere ancora meglio gli oggetti che intervengono nelle equazioni
consideriamo un ultimo aspetto: fin quando stiamo lavorando nel dominio del tempo le grandezze
considerate devono essere tutte reali in quanto sono grandezze che hanno consistenza fisica, poi è
possibile lavorare in qualsiasi altro dominio, in particolare nel dominio complesso o della
frequenza con le trasformate di Laplace e Fourier, in quel caso le grandezze considerate saranno in
generale complesse.

Per continuare il nostro discorso e la nostra spiegazione dettagliata delle equazioni ci riferiamo al
problema di voler passare dalla forma globale alla forma locale, il passaggio inverso vedremo che è
banale, basterà usare essenzialmente il teorema di Stokes e della divergenza.
Come prima cosa diciamo che per quello che dobbiamo fare ci va bene considerare protoni e
neutroni, e a maggior ragione gli elettroni, come puntiformi: questo detto ora è un problema non
banale, se non considerassimo puntiformi questi oggetti ci sarebbero molte complicazioni nello
studio dei fenomeni di interesse, e non possiamo considerarli puntiformi se ad esempio volessimo
scendere ancora “più giù” nello studio della materia perché in quel caso, volendo studiare anche i
meccanismi che interessano l’interno di queste particelle di certo non possiamo pensarle come dei
punti ma dobbiamo guardarle da un punto di vista diverso. Questo approccio si dice macroscopico
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nel senso che dove possibile consideriamo certi oggetti come puntiformi in base alla risoluzione
desiderata, e possibile in base agli strumenti che abbiamo, del fenomeno che stiamo osservando:
in pratica possiamo considerare una cosa puntiforme o no in base a quello che ci dobbiamo e ci
possiamo fare, e abbiamo già detto che i portatori di carica in questo discorso li possiamo
considerare puntiformi.
Seguendo questo approccio consideriamo la quantità , questa ci dà la carica in un volume
che di solito non è assimilabile a un punto, perciò il punto di vista qui è globale e noi vogliamo
passare al punto di vista locale per descrivere i fenomeni. Se ci mettiamo in un intorno del
portatore che per noi è puntiforme, quello che si fa è di considerare una media spazio-temporale
della distribuzione di carica, cioè noi abbiamo che in un punto è concentrata tutta la carica,
appena ci spostiamo non c’è niente e una situazione del genere è descritta da una delta di Dirac,
ma siccome non vogliamo lavorare con le funzioni generalizzate dobbiamo necessariamente
eliminare queste situazioni di tipo impulsivo e pensare che per ogni volumetto considerato
facciamo una media della carica in modo che in ogni intorno è come se ci fosse spalmata una certa
carica. Notiamo, anche se non è poi di chissà quanto interesse per noi, che basterebbe fare una
media spaziale e non anche temporale.
Se noi mediamo la distribuzione di carica non abbiamo più cariche puntiformi ma distribuite nello
spazio e inoltre abbiamo eliminato quella forte variabilità che c’era riguardo ai fenomeni
considerati: sarà un funzionale che ci dà quindi la carica che c’è in un istante in un
determinato volume e non possiamo perciò definire la carica in un punto, sarebbe inammissibile,
per questo passando alla forma locale dobbiamo parlare di densità.
Per poter definire la densità di carica dobbiamo capire meglio come funziona l’oggetto “carica
elettrica” e si può vedere che, se noi consideriamo un volume

si ha che

e si dice che la carica gode della proprietà di additività; inoltre per il discorso fatto prima, se il
volume tende a un punto la carica tende ad annullarsi

Allora consideriamo la quantità

e in questo modo, siccome anche la misura del volume considerato tende ad annullarsi se il
volume tende al punto, abbiamo una forma indeterminata del limite: se il limite convergerà allora
si dirà che la carica è dotata di densità

Questa è la definizione rigorosa di densità di carica e si può dimostrare, ma evitiamo, che


definendo in questo modo la si può determinare la carica presente in un certo volume grazie ad
un integrale. La formula, supposto che l’integrale esista, è

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Potremmo anche indicare con in modo che si capisce ancora meglio rispetto a quale
variabile stiamo integrando, in entrambi i casi il significato è quello di intendere .
La definizione data di densità di carica ci sta anche portando al passaggio dalla forma globale alla
forma integrale della terza equazione di Maxwell, inoltre abbiamo pure già visto come andare da
locale a globale per quanto riguarda densità di carica e carica.
Consideriamo allora la terza equazione di Maxwell

per passare alla forma locale dividiamo per la misura del volume , poi passiamo al limite e
mentre al secondo membro compare la densità di carica al primo abbiamo

che è come se fosse una densità di flusso: questa quantità, se esiste, la chiameremo divergenza e
la indichiamo con

Se ora dalla densità di flusso, cioè dalla divergenza, vogliamo passare al flusso bisogna integrare e
si ha quello che è chiamato teorema della divergenza:

È possibile dimostrare che la divergenza di un qualsiasi vettore, in coordinate cartesiane, si può


scrivere come

e perciò, siccome l’operatore nabla è un vettore

è possibile scrivere la divergenza di un generico vettore come prodotto scalare:

Notiamo due cose: la prima è che la definizione di divergenza è indipendente dal sistema di
coordinate usato, per questo anche se indicheremo la divergenza come prodotto scalare tra
operatore “nabla” e vettore, la notazione migliore sarebbe quella di indicarla con , tuttavia
la notazione in termini di operatore “nabla” sarà valida anche per coordinate diverse da quelle
cartesiane, ad esempio polari o sferiche o cilindriche; la seconda considerazione è che noi abbiamo
fatto il caso in cui l’operatore nabla sia un vettore di dimensione 3 perché lavoriamo in ma è
logico che il vettore può essere di qualsiasi dimensione.
Richiamiamo anche rapidamente tutto quello che c’è da sapere sul prodotto scalare tra due
vettori, il significato che per ora questa operazione assume per noi è:

cioè ad una coppia di vettori reali si associa uno scalare reale; l’associazione si fa in questo modo:

e perciò abbiamo giustificato la notazione di divergenza usata.


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Le proprietà del prodotto ora introdotto che ci interessano sono:

Poi possiamo definire la “norma”, detta anche “modulo”, di un vettore come:

e si vede che

con le considerazioni fatte prima, cioè i vettori devono essere di reali perché nel caso di vettori
complessi è possibile avere un quadrato negativo e poi vedremo cosa succede in quei casi.
In merito al prodotto scalare due vettori si definiscono ortogonali se

Facciamo attenzione a un’ultima cosa prima di tornare alle equazioni Maxwell, molte volte il
prodotto scalare viene scritto anche come

dove è l’angolo tra i due vettori: questa cosa funziona bene in dove i vettori possono essere
anche rappresentati come frecce, ma se trattiamo con vettori complessi o anche con ,
questo non è più vero e allora evitiamo di calcolare il prodotto scalare in questo modo, poi certe
volte sarà conveniente calcolarlo così.
Tornando alla terza equazione di Maxwell possiamo dire che abbiamo visto come si passa dalla
forma globale alla forma locale, e poi sappiamo anche tornare indietro integrando e usando il
teorema della divergenza, abbiamo però già detto che ci sono dei problemi di definizione per la
divergenza nel momento in cui siamo in punti di non derivabilità e in queste zone c’è
necessariamente bisogno di un modo alternativo per scrivere le equazioni di Maxwell in forma
locale, perché è vero che possiamo usare la forma globale che non dà tutti questi problemi ma con
questa non possiamo descrivere cosa succede se non nel complesso, per questo tra poco vedremo
quelle che si chiamano equazioni a raccordo.
Prima di passare alle equazioni a raccordo facciamo il discorso fatto per la terza equazione di
Maxwell anche per la quarta: qui il discorso è molto semplice perché la divergenza l’abbiamo già
definita, al secondo membro non abbiamo niente e perciò possiamo dire velocemente che la
divergenza del campo induzione magnetica, ovvero la densità di flusso di campo induzione
magnetica attraverso la superficie che racchiude il volume , è pari a 0

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Ora iniziamo ad affrontare il discorso delle equazioni a raccordo per queste due equazioni che
abbiamo già discusso e che siamo riusciti a dare in forma locale: iniziamo dalla quarta che è più
semplice perché è uguagliata a zero.
Consideriamo un insieme di punti, che costituisce una superficie, in cui ci sono problemi legati alla
derivabilità del campo induzione magnetica, tipica situazione che si ha quando si passa da un
mezzo a un altro in cui si propaga il campo, consideriamo un punto di questa superficie di
discontinuità e prendiamo un intorno del punto: chiamiamo la
normale alla superficie nel punto che va da a per
convenzione. Proiettiamo verso l’alto l’intorno del punto di e
abbiamo una certa , proiettiamo anche verso il basso sempre di
per avere , in questo modo abbiamo costruito un volumetto
intorno al punto di discontinuità considerato la cui superficie
laterale la indichiamo con ed ha normale . La normale alla
base superiore si chiama e la normale alla base inferiore si
chiama . Abbiamo allora:

Sappiamo che l’integrale si può spezzare in una somma ed abbiamo

e quello che vogliamo fare è far tendere il volumetto al punto: per prima cosa facciamo tendere
a 0 e in questo modo il volume si schiaccia alla superficie che è l’intorno del punto, poi
facciamo tendere al punto ; nel fare questo stiamo attenti ai segni dei versori

L’ultimo limite si capisce perché è nullo, in generale questo è vero per la proprietà di assoluta
continuità dell’integrale cioè, se stiamo integrando su un dominio abbastanza regolare e passando
al limite perdiamo una dimensione, allora l’integrale tende ad annullarsi: questa è una proprietà
che non vale ad esempio con le distribuzioni, infatti

Ecco anche perché preferiamo lavorare nel senso classico, se per noi i campi sono funzioni
ordinarie, al più discontinue, non abbiamo tutti questi problemi nel ricavare formule e in
particolare ora le equazioni di raccordo.
Abbiamo ottenuto con il nostro ragionamento la formula di raccordo in forma integrale, se così si
può chiamare, che è

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Noi però stiamo cercando le formule di raccordo per le equazioni di Maxwell a livello locale e
infatti dobbiamo ancora passare al limite per la superficie che tende al punto: per farlo però
dobbiamo considerare

e ci ricordiamo che questa quantità deve essere nulla dato che abbiamo già ricavato che il
numeratore si annulla, perciò indipendentemente da , che può essere qualsiasi, il limite si deve
annullare; sfruttando il teorema della media integrale scriviamo

ma non ci interessa nemmeno in che punto è stata calcolata la quantità integranda perché noi
andiamo al limite e si ha:

Questo limite deve essere nullo, l’abbiamo già detto, e perciò l’equazione a raccordo ottenuta è

dove non abbiamo specificato nel punto perché questo ragionamento può essere ripetuto per
ogni punto della superficie di discontinuità e perciò l’equazione ci sta dicendo in che modo “salta”
il vettore induzione magnetica: questa equazione allora è dello stesso tipo di quella con la
divergenza perché entrambe dicono come varia il vettore e non quanto vale, abbiamo bisogno poi
di determinate condizioni iniziali per indicare la specifica funzione che descrive l’andamento tra la
classe di funzioni che si ottengono risolvendo l’equazione differenziale; siccome l’equazione a
raccordo è dello stesso tipo dell’equazione con la divergenza abbiamo trovato un risultato utile e
sicuramente valido per il raccordo.
Ora facciamo lo stesso discorso per la terza equazione di Maxwell, ci mettiamo sempre su una
superficie di discontinuità dove facciamo la stessa costruzione attorno a un generico punto già
vista per la quarta equazione, e abbiamo:

L’idea sarà sempre quella di passare al limite, preliminarmente dividiamo l’integrale e passiamo al
limite per :

Ora però il problema è capire cosa succede alla quantità di carica quando stiamo schiacciando il
volume ad una superficie: in generale il limite dovrebbe annullarsi sempre per la ragione che
stiamo perdendo una dimensione, stiamo passando cioè a considerare una superficie a partire da
un volume ed è come quando passiamo da una superficie ad un punto, si capisce che lì la carica
anche deve essere nulla. Spesso però è conveniente introdurre un nuovo concetto che è un
concetto fittizio, un’idealizzazione, quello di densità di carica superficiale: se consideriamo un
volume in cui c’è una certa carica e contraiamo il volume a una superficie, allora la carica tende ad
annullarsi, ma se la carica all’interno del volume la consideriamo distribuita su una superficie,
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quando il volume tende a quest’ultima vediamo sempre la stessa quantità di carica: il discorso è
come per la delta di Dirac, se stringiamo l’intervallo sulla quale la integriamo l’integrale viene
sempre, anche al limite, unitario.
Supponiamo che passando al limite stiamo perdendo la direzione lungo , il discorso ora detto ci
sta dicendo che vediamo la densità di carica volumetrica come:

e ora se il volume tende alla superficie succede che

e con questo espediente abbiamo ottenuto:

Ora dobbiamo far tendere al punto la superficie e il trucco è lo stesso di prima, dividiamo per la
misura della superficie e facciamo il limite, gli integrali li scriviamo grazie al teorema della media
come la misura del dominio per la quantità integranda calcolata in un punto che non ci interessa
nemmeno quant’è visto che poi tutto tenderà al punto e si ha:

Si potrebbe giungere allo stesso risultato anche facendo:

poi qui applichiamo il teorema della media e arriviamo allo stesso risultato; non possiamo dire
invece che se l’integrale è nullo la quantità integranda è nulla perché sappiamo che ad esempio

ma in questo intervallo .
Potremmo sfruttare questa cosa in due casi: se questo vale in un dominio di integrazione qualsiasi,
cioè nel nostro caso, comunque prendiamo l’integrale è nullo, oppure possiamo sfruttarlo
quando siamo sicuri che la quantità integranda ha sempre lo stesso segno nell’intervallo
considerato. Cominciamo a dimostrare la seconda cosa che abbiamo detto, questa non è altri che
la legge di annullamento della somma perché l’integrale è una somma di infiniti termini, se tutti i
termini hanno lo stesso segno è vero che l’integrale si annulla se e solo se tutti i termini sono nulli.
Ora dimostriamo la prima cosa che ci interessa di più perché la troviamo spesso, ed è già
applicabile ora: se l’integrale è nullo qualsiasi sia il dominio di integrazione la funzione non può
essere che nulla perché, se in un punto non si annullasse e la funzione è continua, ci sarebbe un
intorno in cui per il teorema di permanenza del segno ad esempio

Ma allora, se c’è un continuo di punti che non sono nulli, questi danno contributo all’integrale ed è

e c’è un assurdo perché dovevamo poter scegliere qualsiasi dominio di integrazione e ci doveva
venire zero. Abbiamo fatto vedere questa cosa per il caso di un integrale in una dimensione, ma
vale per ogni dimensione considerata con ragionamenti analoghi.

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L’idea delle equazioni di raccordo, si sarà capito, è quella di andare a risolvere le equazioni
differenziali nelle parti continue e di raccordare poi i risultati tra le varie parti continue con i
risultati di queste equazioni che descrivono la situazione dove c’è discontinuità.
Proseguendo su questa linea allora vogliamo discutere anche la seconda equazione di Maxwell,
dopodiché la prima è un caso particolare di questa, così come la quarta può essere considerata
come un caso particolare della terza, solo che siamo partiti dalla quarta per semplicità; ora che
abbiamo capito come funziona il ragionamento possiamo risolvere direttamente la più difficile.
Prima di tutto vogliamo passare dalla forma globale alla locale, riscriviamo le due forme
dell’equazione che vogliamo trattare ora:

Notiamo innanzitutto che non stiamo distinguendo densità di corrente indotta e impressa, così
come non abbiamo distinto la densità di carica indotta e impressa perché per ora non ci cambia
niente. Il problema di passaggio da globale a locale qua è più complicato perché a secondo
membro possiamo notare che dobbiamo passare dalla corrente, che è uno scalare, alla densità di
corrente che è un vettore.
Per il nostro ragionamento consideriamo delle superfici piane per semplicità, poi una qualsiasi
superficie curva può essere approssimata con una “tegolatura” di tante superfici piane, quanto più
piccole queste sono tanto meglio si approssima e sappiamo che al limite, usando infinite tegole
piane infinitesime abbiamo esattamente la curva: questa è proprio l’idea che sta dietro l’integrale
e ci fa capire che ragionare con superfici piane non è limitativo.
Abbiamo una certa corrente che attraversa la nostra superficie piana e vogliamo poi far tendere
questa superficie a un punto come abbiamo già fatto nel caso della densità di carica: solo che il
problema ora sta nel fatto che per il punto considerato possiamo far passare infinite superfici che
si distinguono per la loro direzione e a seconda della direzione dovremmo avere diversi, ovvero
infiniti, valori di densità di corrente. Già il fatto che ci sono più valori della densità al variare delle
direzioni ci fa capire che non possiamo definire uno scalare densità di corrente, ma dobbiamo
definire un vettore: ci sembra però che questo vettore deve essere a dimensione infinita,
fortunatamente però ora facciamo vedere che basta un vettore di .
Per poter mostrare quello che abbiamo detto c’è prima bisogno di enunciare un principio
fondamentale, il principio di conservazione della carica elettrica: questo principio dovrebbe
essere enunciato prima delle equazioni di Maxwell perché è alla loro base, in realtà però si può far
vedere che questo è contenuto e si può ricavare dalle equazioni di Maxwell. Questo principio bene
o male lo conosciamo e ora lo enunciamo per bene, ne esiste anche uno analogo per la massa
anche se lì ci sono dei problemi legati al fatto che la concezione attuale di massa è diversa dalla
classica siccome è considerata energia, altrimenti sorgerebbero tutta una serie di problemi
quando ad esempio una particella si scontra con il suo corrispondente di antimateria (esempio
elettrone e positrone) e si libera un raggio : in quel caso sembrerebbe che si è persa materia, ma
non è così.

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Il principio di conservazione della carica elettrica per fortuna non dà tutti questi problemi e lo
enunciamo in questo modo:

In pratica, considerato un volume chiuso, affinché la carica si conservi nel tempo vuol dire che se
c’è stata una variazione è passata carica, quindi corrente, attraverso il volume: siccome la
convenzione è che la frontiera del volume è orientata positivamente se il vettore normale è
uscente, quando la carica diminuisce la corrente esce, perciò c’è il segno “meno”. L’equazione ora
scritta è anche chiamata equazione di continuità. Sfruttando questo importantissimo principio ora
facciamo vedere che basta un vettore di tre dimensioni per descrivere a livello locale cosa succede
in termini di corrente: prendiamo tre superfici che hanno rispettivamente come normale i versori
degli assi di un sistema di riferimento levogiro, faremo vedere che se c’è un’altra direzione questa
è riconducibile a queste tre. Avendo preso tre superfici abbiamo tre densità, e sono:

Per far vedere che queste tre componenti, che andremo a mettere in un vettore e le orientiamo
con i rispettivi versori degli assi, bastano consideriamo il tetraedro così come costruito nella figura
a lato: notiamo anche che variando la lunghezza dei lati che stanno lungo gli assi è
possibile ottenere tutte le direzioni possibili, perciò il ragionamento che ora facciamo
vale per tutte quante. L’idea di base è quella che alla fine contraiamo il tetraedro al
punto che nella nostra costruzione coincide con l’origine degli assi, e questa
contrazione deve avvenire in modo tale che la faccia obliqua non cambi inclinazione,
cioè dobbiamo conservare la proporzionalità tra i vari lati che stanno sugli assi.
Mettiamoci per ora in ipotesi stazionarie, cioè l’equazione di continuità ci dice che

dove è il volume del tetraedro, con il segno sotto vuol dire che è orientato.
Possiamo scrivere la corrente che passa in una generica superficie, che abbiamo
indicato con nella figura, come combinazione delle altre tre che passano nelle altre facce e cioè
che passano attraverso che sta nel piano , che sta nel piano e che sta nel piano :
facendo in questo modo riconduciamo la scrittura di una densità di corrente generica alle densità
di corrente , e . Abbiamo:

Se consideriamo che ogni componente ha versore pari all’asse corrispondente ci accorgiamo che
tutte le correnti da esse derivate sono entranti e, siccome la corrente che passa attraverso la
superficie del tetraedro deve essere nulla nelle condizioni di stazionarietà in cui siamo, abbiamo
che la corrente dalla quarta faccia (quella obliqua) esce ed è pari alla somma delle altre tre.

14
Definiamo allora la generica densità di corrente:

dove ci ricordiamo che la contrazione al punto deve avvenire come abbiamo detto prima; ora è
facile mostrare che questa generica densità di corrente si può scrivere in termini delle altre tre
perché:

in condizioni di stazionarietà, allora si ha

e possiamo ricondurci alle densità di corrente perché dalle definizioni date sappiamo che si può
scrivere la corrente come un integrale lungo una superficie, cioè un flusso, delle rispettive densità:
applicando direttamente anche il teorema della media otteniamo:

Come al solito non ci interessa chi è il punto nel momento in cui vogliamo passare al
limite come nel nostro caso. Siccome per un fatto puramente geometrico si ha:

e così via anche per le alte componenti, abbiamo trovato che

passando al limite si ha

e allora

Il caso in cui non ci sia stazionarietà ora non lo trattiamo, lo riprenderemo dopo.
Introducendo un po’ di unità di misura si può dire che la densità di corrente si misura in , così
come la densità di carica è e quella superficiale di carica è .
Vediamo allora per bene come facciamo a passare tutta l’equazione da globale a locale:
consideriamo che una generica superficie orientata la possiamo scomporre con superfici che
hanno normale lungo gli assi e che chiameremo e ; possiamo allora andare a
considerare l’equazione di Maxwell lungo queste superfici in cui abbiamo scomposto ed abbiamo:

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Ogni prodotto scalare del tipo restituisce una componente dell’induzione elettrica, in questo
caso ad esempio restituisce . Facciamo il ragionamento per uno solo dei tre, gli altri due saranno
analoghi, andiamo a dividere per la misura della superficie lungo la quale integriamo:

poi passiamo al limite per la superficie che tende a un punto e abbiamo

dove si è definito componente del rotore la densità di circuitazione

L’integrale a secondo membro invece è stato risolto usando il teorema della media e poi nel
passaggio al limite è rimasto solo calcolato nel punto in questione. In definitiva, ripetendo il
ragionamento per le altre due componenti si definisce un vettore di tre dimensioni chiamato
rotore e la relazione tra circuitazione e rotore sarà data dal teorema di Stokes:

In coordinate cartesiane possiamo rappresentare il rotore in termini di operatore nabla come


prodotto vettoriale tra l’operatore e il vettore di cui vogliamo fare il rotore, in ogni caso la
definizione di rotore è indipendente dal sistema di coordinate usato, anche per questo a volte
l’operatore nabla può indicare un vettore con le derivate parziali non rispetto a ma rispetto
a con i rispettivi accorgimenti. Tutto questo a noi non interessa più di tanto, basta solo
sapere che scriveremo il rotore come:

dove con si indica il prodotto vettoriale che si calcola con il determinante formale, perché non è
un vero e proprio determinante, della matrice formale:

Si può dimostrare che questa formula di calcolo del rotore è valida e questa talvolta viene
spacciata, erroneamente, per definizione di rotore.
Introduciamo brevemente qualche proprietà del prodotto vettoriale che ci servirà:

Il prodotto vettoriale associa dunque due vettori si associa un vettore: in realtà il risultato è un
uno pseudovettore, ma non essendo interessati a questo aspetto non ne parleremo.
Le proprietà di cui gode questa operazione sono la linearità del primo fattore, l’anticommutatività,
cioè che invertendo l’ordine dei fatto il risultato cambia segno, a partire da queste due si dimostra
che c’è anche la linearità del secondo fattore e infine un prodotto vettoriale si annulla se e solo se
uno dei due vettori è nullo o se i due sono proporzionali, o anche si dice paralleli.
16
Introduciamo un ultimo tipo di prodotto che incontreremo nel corso ed è il prodotto misto:

Questo prodotto associa uno scalare dati tre vettori: bisogna necessariamente fare prima il
prodotto vettoriale e poi il vettoriale altrimenti l’operazione non ha senso, come proprietà c’è
sempre la linearità del primo fattore, poi si può dimostrare anche quella del secondo e del terzo, e
c’è infine l’invarianza per permutazione ciclica cioè

Il prodotto si annulla se si annulla la parte che è il prodotto vettoriale o la parte che è il prodotto
scalare, e perciò sfruttando pure la permutazione ciclica si annulla se ci sono due vettori paralleli o
due vettori ortogonali.
Abbiamo mostrato come si passa dalla forma integrale della seconda equazione di Maxwell alla
forma locale introducendo la densità di circuitazione che abbiamo chiamato rotore, e abbiamo
visto anche l’equazione di continuità, in particolare nel caso stazionario possiamo dire che la
somma delle correnti entranti e uscenti dalle facce del tetraedro che ci siamo costruiti è nulla; il
caso non stazionario, in cui cioè la somma delle correnti non è necessariamente nulla, si riconduce
facilmente al caso stazionario non facendo l’ipotesi del lentamente variabile come si fa in
elettrotecnica, dato che dobbiamo trattare anche campi fortemente variabili, ma perché il
tetraedro tende a diventare un punto e perciò al limite, siccome abbiamo detto che la carica la
spalmiamo in tutto il volume considerato, e non consideriamo invece che in un punto c’è una
carica e in un altro no siccome ci sarebbero troppi salti bruschi, abbiamo che

cioè di nuovo la somma delle correnti entranti e uscenti nel tetraedro è nulla.
Per il passaggio dalla forma integrale alla forma locale della prima equazione di Maxwell il
ragionamento è come per la seconda, anzi è ancora più semplice perché non compare nessun
termine oltre alla derivata temporale dell’induzione magnetica.
Possiamo dare in forma di integrale l’equazione di continuità come:

e facciamo vedere come si passa dalla forma integrale alla locale, ignorando in questo caso
l’equazione a raccordo che ovviamente ci sarà anche qua: nel nostro caso volumi e superfici sono
fissi nel tempo, per questo possiamo portare la derivata a primo membro sotto il segno di
integrale, inoltre a secondo membro applichiamo il teorema della divergenza ed abbiamo

da cui possiamo portare tutto sotto un unico segno di integrale e abbiamo:

Siccome quest’ultima uguaglianza vale qualsiasi sia il volume scelto, e cioè qualsiasi sia il dominio
di integrazione, possiamo dire che l’integrando è nullo e perciò abbiamo trovato

che è l’equazione di continuità in forma locale.


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Ora possiamo passare a trovare l’equazione a raccordo per la seconda equazione di Maxwell, poi
l’equazione a raccordo per la prima sarà un caso particolare di questa. Come sempre partiamo
dalla forma integrale e poi contraiamo ad un punto senza usare le
derivate, per farlo abbiamo bisogno di un’opportuna costruzione
geometrica: prendiamo un punto della nostra superficie di
discontinuità e consideriamo uno degli infiniti piani del fascio
proprio che passa per la normale del punto , questo piano
interseca in una curva . Prendiamo la curva e la trasliamo
sopra e sotto la superficie di discontinuità nella direzione di di una
quantità così da formare una superficie che sta nel piano del
fascio che abbiamo scelto; il perimetro di
questa superficie è un rettangoloide
che dobbiamo orientare e abbiamo così il
nostro ciclo chiuso lungo il quale fare l’integrale di linea del campo
magnetico, la superficie invece la chiamiamo per semplicità e
sarà la superficie racchiusa dal ciclo.
Data l’orientazione del nostro ciclo con la regola della mano destra
troviamo la normale alla superficie che sarà una certa , di
conseguenza avrà una certa orientazione che segue quella di e
la sua tangente sarà una certa . Scriviamo l’equazione in forma
integrale con e si ha

La circuitazione si spezza in quattro integrali:

e facendo tendere a 0 il secondo e il quarto integrale si annullano perché il dominio di


integrazione perdere una dimensione, restano il primo e terzo integrale e succede che

Notiamo che nei due casi tende rispettivamente a e ; dobbiamo vedere anche che succede
a secondo membro, siccome quando la superficie perde una dimensione anche
l’integrale a secondo membro è nullo ed è rimasto qualcosa dipendente da cosa succede a
: consideriamo allora il concetto di densità di corrente superficiale, che è un trucco
matematico che poi avremo anche modo di vedere meglio ed è un’idealizzazione dello stesso
genere della densità superficiale di carica introdotta per la terza equazione di Maxwell; la nostra
densità di corrente che di solito è volumetrica viene vista in questo modo:

Facciamo in modo cioè di campionare la densità di corrente lungo l’asse z ad esempio e quello che
prima era uno spessore finito l’abbiamo schiacciato su una superficie per cui, anche se e

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l’integrale di superficie che ci dà la corrente in termini di densità di corrente perde una
dimensione abbiamo lo stesso un integrale di linea

Abbiamo allora trovato che

L’ultima equazione vale qualsiasi sia la curva , che si chiama traccia di su : considerando la
cosa detta ora e il fatto che la curva deve tendere al punto abbiamo

che è la nostra equazione a raccordo, o almeno, dovrebbe esserlo: c’è però un problema perché la
seconda equazione di Maxwell è un’equazione vettoriale, noi abbiamo trovato un’equazione a
raccordo scalare e questo non va bene; una cosa però non abbiamo ancora considerato, noi
abbiamo scelto una superficie tra le infinite possibili determinate dagli infiniti piani del fascio e
allora dobbiamo considerare in qualche modo che abbiamo infinite e a seconda del piano
scelto e che l’equazione vale per ognuna di queste; per farlo ci andiamo a scrivere tutto in termini
di che è fisso

e questo si può verificare facilmente aiutandosi con la figura precedente, poi questo lo inseriamo
nell’equazione a raccordo trovata e abbiamo

Sfruttiamo la proprietà di permutazione circolare per il prodotto misto, poi la commutativa del
prodotto scalare e abbiamo a primo membro

In questo modo otteniamo

e ci piacerebbe molto togliere il prodotto scalare ad entrambi i membri perché così abbiamo
ottenuto la nostra equazione vettoriale, però questo non è in generale possibile,basta pensare che

Se però abbiamo una relazione del genere che vale indipendentemente dal secondo fattore,
possiamo vedere facilmente che vale questa semplificazione, lo facciamo vedere per vettori di due
dimensioni ma si può estendere analogamente a più dimensioni

Questa somma non si può annullare a causa delle coordinate del vettore perché questo è
qualsiasi, ne segue che si può annullare solamente quando

Applicando questo all’equazione a raccordo, siccome sappiamo che

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vale qualsiasi sia il versore perché la superficie può essere qualsiasi, possiamo dedurre
l’equazione di nostro interesse

che è vettoriale e perciò ci va bene; dobbiamo però capire cosa ci dice questa equazione, facciamo
prima un discorso generale, dato un generico vettore applicato nel punto e considerata una
superficie questo avrà un componente normale e un componente tangente alla superficie e sarà

da cui possiamo scrivere

dove abbiamo sfruttato che

e perciò moltiplicando per l’unità non abbiamo cambiato nulla, inoltre il vettore componente
normale l’abbiamo scritto come prodotto scalare del vettore per il versore normale, che ci dà la
componente, cioè il modulo del vettore componente, e poi abbiamo moltiplicato per il versore per
dargli direzione e verso.
A questo punto dobbiamo sapere che

e questo ci permette di dire che possiamo scrivere in modo diverso la componente tangente del
vettore a cui siamo arrivati:

Tutto questo ragionamento l’abbiamo fatto perché dobbiamo capire chi è

e si può vedere con la regola della mano destra che la direzione e il verso di questo vettore sono
pari a quella del vettore tangente del campo magnetico, che poi sarebbe la differenza tra i campi
magnetici lungo la discontinuità, ruotato di ; per quanto riguarda il modulo si può verificare
che è lo stesso e perciò alla fine noi, impropriamente, chiameremo anche questo vettore tangente
al piano e nel complesso diremo che l’equazione a raccordo per la seconda equazione di Maxwell
descrive la variazione delle componenti tangenti, se la densità superficiale di corrente è nulla ci
dice che le componenti tangenti al piano del campo magnetico si conservano, altrimenti ci dice in
che modo variano; in ognuno dei due casi noi non sappiamo come varia la componente normale al
piano, possiamo dunque descrivere solo che succede alla due componenti normali.
Per la prima equazione di Maxwell si può fare un discorso analogo e alla fine si vede che non è
altra che una particolarizzazione dell’equazione vista ora:

cioè le componenti tangenti al piano del campo elettrico si conservano.

L’evidenza sperimentale mostra che non esistono monopoli magnetici cioè, mentre esistono due
tipi di cariche elettriche che possono essere portati da corpi carichi diversi, non esiste un’entità
che abbia solo il polo nord ad esempio, o solo il polo sud, ma i due poli non possono essere mai
separati; se esistessero i monopoli comparirebbero altri termini nelle equazioni di Maxwell, in
particolare nella prima e quarta equazione comparirebbero termini analoghi alla densità di
corrente e alla densità di carica per la seconda e terza equazione di Maxwell in forma locale.
20
In realtà il discorso è un po’ più complicato di così perché potrebbero esistere anche dei monopoli
magnetici però, siccome il rapporto tra carica elettrica e carica magnetica resta costante,
sarebbero in ogni caso indistinguibili ed è come se non esistessero; senza entrare troppo nei
dettagli, il ché può essere oggetto di un corso diverso, diciamo che conviene introdurre
fittizziamente questi termini come se i monopoli magnetici esistessero, questo ci serve farlo
perché poi si può vedere che qualcosa di reale descrivono altrimenti è inutile usare questo trucco
matematico: abbiamo quelle che si chiamano equazioni di Maxwell in forma simmetrizzata

dove e prendono rispettivamente il nome di vettore densità di corrente magnetica e densità


di carica magnetica, per noi resteranno puramente un trucco matematico pur avendo la
consapevolezza che il discorso è più articolato e servono effettivamente a descrivere qualcosa.
A queste equazioni bisogna associare poi le rispettive equazioni a raccordo:

Notiamo che il vettore normale alla superficie di discontinuità considerata per le equazioni a
raccordo ora lo indichiamo con e non più con che è un nome di cui ci siamo serviti nelle
dimostrazioni solo per non fare confusione con altri versori.

La forma simmetrizzata l’abbiamo introdotta ma non ci servirà molto se non più avanti, perciò
torniamo alla forma non simmetrizzata e cominciamoci a chiedere se è veramente risolvibile il
sistema di equazioni che abbiamo: dobbiamo contare quante sono le incognite e quante le
equazioni, le incognite sono , , , , e mentre come termini noti ora distinguiamo le densità
indotte dalle impresse e abbiamo perciò e .
In ogni caso, al di là dei termini noti, abbiamo 16 incognite, perché ogni vettore vale per 3, e solo 8
equazioni e sappiamo che un sistema del genere non si può risolvere perché ci saranno troppi
parametri liberi, dobbiamo considerare dell’altro. Iniziamo con il considerare che noi potremmo
avere una relazione tra la densità di corrente elettrica e la densità di carica elettrica data
dall’equazione di continuità, però questa relazione non è utile perché come già detto si può
dimostrare facilmente che è contenuta nelle equazioni di Maxwell: si può mostrare, utilizzando ad
esempio la rappresentazione in coordinate cartesiane di rotore e divergenza, che il rotore è
indivergente, cioè

e sfruttando questo per la seconda equazione di Maxwell si ha

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Il primo membro si annulla, al secondo membro l’operatore di divergenza è lineare perché non
porta altro che derivate e somme e perciò si divide sui due termini, inoltre per il teorema di
Schwartz invertiamo la derivata temporale con le derivate spaziale portate dalla divergenza e
abbiamo

sfruttiamo poi la terza equazione di Maxwell per sostituire alla divergenza del campo induzione
elettrica le densità di carica e abbiamo

che è proprio l’equazione di continuità scritta distinguendo la densità di corrente e di carica


indotta e impressa, perciò l’equazione di continuità non aggiunge niente di nuovo allora a quello
che già ci dicono le equazioni di Maxwell; vediamo anche cosa ci dicono la prima e quarta
equazione di Maxwell, applichiamo la divergenza alla prima equazione di Maxwell

e abbiamo anche già applicato il teorema di Schwartz al secondo membro, siccome il primo
membro si annulla ci viene detto dalla sola prima equazione di Maxwell che

cioè che la divergenza del campo induzione magnetica è costante nel tempo e se usassimo il
principio di causalità si può far vedere che la quarta equazione di Maxwell può essere in realtà
ricavata dalle altre equazioni.
Prima di continuare il discorso per far vedere come l’ultima equazione di Maxwell potrebbe essere
ricavata dalle altre dobbiamo parlare del principio di causalità, che si distingue in principio di
causalità debole e principio di causalità forte: il primo ci dice che se c’è una relazione causa-effetto
tra due grandezze fisiche, l’effetto non può in nessun caso precedere la causa, al massimo può
essere contemporaneo. Il principio di causalità forte invece dice che l’effetto deve sempre seguire
la causa se è distante da quest’ultima perché la velocità massima con cui si può propagare un
determinato fenomeno è la velocità della luce e dunque l’effetto deve avvenire dopo la causa
almeno dopo un tempo pari alla distanza tra causa ed effetto fratto la velocità della luce.
Tornando alla nostra trattazione, se le sorgenti del campo elettromagnetico vengono accese in un
istante finito, non a perché in quel caso ci sarebbe da dire qualcosa di diverso, prima
dell’accensione i campi sono nulli e in particolare

per cui, siccome la prima equazione di Maxwell ci dice che nel tempo la divergenza del campo
induzione magnetica non può cambiare, sfruttando anche solo il principio di causalità debole
abbiamo trovato che

che è la quarta equazione di Maxwell.


In realtà questo non ci dice che possiamo eliminare un’equazione, cosa che complicherebbe
ulteriormente il nostro problema perché avremmo un’ulteriore equazione in meno,
semplicemente perché questo si può fare solamente nel momento in cui noi inseriamo
22
un’equazione che esprima il principio di causalità e perciò tanto vale lasciare la quarta equazione
di Maxwell che possiamo trattare meglio dal punto di vista elettromagnetico.
Le informazioni che ci mancano per risolvere il nostro sistema di equazioni alle derivate parziali
sono innanzitutto le condizioni iniziali perché abbiamo a che fare con equazioni differenziali, e se
vogliamo la soluzione precisa dobbiamo sfruttare le condizioni iniziali per particolarizzare una
famiglia di soluzioni che ci uscirà da queste equazioni differenziali, poi abbiamo bisogno anche di
informazioni sul mezzo materiale nel quale avvengono i fenomeni che stiamo studiando perché le
equazioni sono da risolvere in un certo volume e per un certo intervallo di tempo: dobbiamo
aggiungere allora quelle che si chiamano relazioni costitutive del mezzo.

Relazioni costitutive

Se fossimo nel vuoto le relazioni costitutive sarebbero le seguenti:

e capiamo che essenzialmente queste mettono in relazione l’induzione elettrica con il campo
elettrico, l’induzione magnetica con il campo magnetico e poi tipicamente ci danno
un’informazione sulla densità di corrente elettrica, per quanto riguarda la densità di carica non è
un’informazione nuova perché sappiamo che densità di corrente e di carica sono legate
dall’equazione di continuità. Il fatto tra l’altro che i campi elettromagnetici non si annullino nel
vuoto ci dice pure che non c’è bisogno di un supporto materiale per la propagazione del campo, a
differenza ad esempio di campi meccanici che ne hanno bisogno, ad esempio il suono non si
propaga nel vuoto; due piccoli accenni riguardano il fatto che il vuoto in senso quantistico non è
qualcosa di statico come può essere visto dal punto di vista classico ma ci sono vari fenomeni, e
questo potrebbe interessare nel momento in cui bisogna studiare la questione in modo più
approfondito di quanto faremo noi, inoltre diciamo che il campo elettromagnetico e il campo
meccanico hanno dei legami, basta pensare alla legge di Lorentz che lega il movimento delle
cariche elettriche al campo magnetico.
Dobbiamo però avere le relazioni costitutive nel caso in cui non siamo nel vuoto, serve dunque un
concetto più astratto che tra l’altro non coincide nemmeno con relazioni del tipo

perché capiremo che questo succede solo in un caso davvero particolare e non è di certo il caso
generale; in forma più astratta le relazioni costitutive sono

23
e in queste relazioni vediamo il campo elettrico e il campo magnetico come cause del campo
induzione elettrica, campo induzione magnetica e della densità di corrente elettrica indotta: la
ragione di questo è essenzialmente storica, non c’è un motivo particolare per scegliere
determinati campi come cause ed altri come effetti, la scelta è stata arbitraria e ormai il punto di
vista è sempre questo qui.
Gli sono operatori generici, certamente non sono funzioni perché questo opera su funzioni, non
su numeri; tra l’altro non è nemmeno un funzionale perché è vero che opera su spazi di funzioni
ma non restituisce numeri come fanno i funzionali, nelle relazioni costitutive il risultato
dell’operazione è un’altra funzione.
Inserendo le relazioni costitutive del mezzo dovremmo poter chiudere il sistema, poi torneremo su
questo discorso, ora però ci concentriamo meglio su queste relazioni e innanzitutto dobbiamo dire
che di solito le relazioni costitutive sono relazioni integrali e abbiamo da risolvere perciò un
sistema integro-differenziale.
In molti casi, ma non in tutti, le relazioni costitutive possono essere più semplici perché
scompaiono alcune dipendenze, cioè succede che:

Nel fare questa semplificazione stiamo sicuramente supponendo che gli oggetti non sono in
movimento e questo si vede perché, se consideriamo la forza di Lorentz ad esempio, abbiamo che

e perciò, in generale, se consideriamo la relazione costitutiva della densità di corrente c’è una
dipendenza sia da che da , che è come dire da ; noi invece stiamo trascurando il termine

che descrivere quello che si chiama effetto Hall e questo si può fare nel momento in cui il termine
è molto più grande ed è dominante rispetto alla parte di effetto Hall. Analogamente si possono
far vedere cose del genere per le altre due relazioni costitutive, per cui noi stiamo facendo delle
approssimazioni che ci semplificano molto il problema perché considerare oggetti in movimento
sarebbe molto più complicato, bisogna poi sempre vedere dove è valida questa approssimazione.
Capiamo un po’ meglio l’idea che sta alla base di queste relazioni costitutive, si tratta di vedere un
oggetto come se fosse un sistema a cui si applica un certo campo in ingresso e andiamo a vedere
un altro campo in uscita, consideriamo ad esempio il caso della relazione costitutiva tra e , in
generale succede che un mezzo sottoposto a un campo elettrico si polarizza e si può polarizzare
perché il campo deforma le nuvole elettroniche degli atomi creando dei bipoli a livello atomico,
oppure perché il campo orienta le molecole del mezzo che già sono polari e perciò ci sarà più
carica in un verso che in un altro: in una visione abbastanza semplificata succede che

e cioè c’è un contributo che ci sarebbe anche nel vuoto e un contributo dovuto alla polarizzazione
del mezzo; in generale succede che il vettore polarizzazione dipende dal campo elettrico applicato
secondo la relazione costitutiva

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che noi conosciamo in versione semplificata come

da cui poi ricaviamo

ricordandoci che la suscettività elettrica è pari a

dove quindi è la costante dielettrica relativa al mezzo, è la costante dielettrica assoluta


ottenuta moltiplicando la relativa per la costante dielettrica nel vuoto.
Al di là della forma particolare abbiamo mostrato come in generale possiamo vedere sempre la
dipendenza del vettore induzione elettrica dal campo elettrico e basta, un discorso analogo si può
fare per il campo magnetico e l’induzione magnetica andando a parlare di polarizzazione
magnetica che sarà del tipo

e nel caso particolare analogo a quello visto per il campo elettrico si ha

Lasciando stare le particolarizzazioni cerchiamo di capire com’è fatta una relazione costitutiva in
generale: la relazione costitutiva innanzitutto deve essere causale per poter rappresentare un
fenomeno reale, per questo si capisce anche che la dipendenza non sarà da tutti gli istanti di
tempo ma solo da quelli precedenti al tempo di interesse; come seconda cosa il mezzo deve
essere continuo: la continuità del mezzo si rispecchia poi nella continuità della relazione costitutiva
che è una sorta di continuità della funzione ma il discorso è più complicato perché abbiamo detto
che non abbiamo una funzione e nemmeno un funzionale, è un operatore più complesso.
Ricordandoci cos’è la continuità della funzione possiamo avere un’idea intuitiva della continuità
dell’operatore e cioè possiamo dire che una piccola variazione dell’ingresso, che può essere
oppure , causa una variazione in proporzione dell’uscita oppure ; tecnicamente questa cosa
che abbiamo detto ora non significa niente, ma non potendo approfondire il discorso su questo
operatore dobbiamo limitarci a dare questa idea intuitiva.
L’ultima proprietà di cui deve godere necessariamente la relazione costitutiva è la stabilità BIBO,
cioè la stabilità esterna che vuol dire che quando l’ingresso è limitato anche l’uscita è limitata.
L’ipotesi che d’ora in poi faremo sempre riguardo la relazione costitutiva è la linearità: i mezzi in
realtà non sono mai lineari, linearizzare è in ogni caso un’approssimazione, dipenderà poi dai casi
se questa approssimazione è valida per il nostro studio o no; per quello che faremo noi
supporremo sempre di trattare mezzi lineari, cioè con relazioni costitutive lineari, poi esistono
applicazioni non lineari come ad esempio i laser in cui si sfruttano campi elettromagnetici
fortemente variabili che vanno a eccitare in modo tale il mezzo che non può essere considerato
lineare e non godrà poi nemmeno di altre proprietà che vedremo.
Sappiamo che dire che un mezzo è lineare significa che possiamo applicare la sovrapposizione
degli effetti per studiare i fenomeni che lo riguardano, in particolare poi questo si traduce nel dire
formalmente che è un operatore lineare e questo operatore sarà tale quando è pari allo
sviluppo di Taylor al primo ordine di una relazione più complessa che descriverà il mezzo, sviluppo
valido per un analisi di piccolo segnale, cioè non di grande intensità, e se siamo vicini al punto
iniziale.
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I discorsi che faremo ora sono riferiti essenzialmente alla relazione tra campo induzione elettrica e
campo elettrico, cose del tutto analoghe si potranno dire per le altre due relazioni, poi se ci sono
cambiamenti lo specificheremo.
Formalizzando la linearità ci dice che:

Se gli spazi funzionali con i quali stiamo lavorando sono opportuni per avere la continuità, si
potrebbe dimostrare che

L’integrale si intende quadruplo, per motivi tipografici non riusciamo ad indicare un integrale oltre
il triplo e perciò ci limitiamo ad indicarlo con una linea e specificare che il dominio è .
La funzione barrata sotto doppiamente è una matrice e si chiama funzione diadica di Green,
dove “diadica” indica appunto che si tratta di una matrice, in particolare sarà una matrice e
questo ci fa capire anche che ha senso il prodotto per il vettore tridimensionale campo elettrico;
questa funzione può essere indicata anche con , sempre con due barre sotto, ed è anche
chiamata funzione di risposta impulsiva o point – spread function. Notiamo che stiamo integrando
su tre variabili spaziali e una temporale, con l’apice abbiamo indicato le variabili che in un certo
senso sono di ingresso e rispetto alle quali integriamo, senza apice abbiamo le variabili di uscita e
ci sono altre tre variabili spaziali e una temporale.
La formula ci fa capire che per vedere che cosa succede in un punto, inteso temporale e spaziale,
bisogna sommare i contributi in ingresso per avere tramite la funzione di risposta impulsiva l’uscita
al variare del punto: in principio ci serve la causa in tutti gli istanti di tempo e in tutti i punti dello
spazio, per questo abbiamo messo , poi capiremo meglio cos’altro possiamo dire. L’integrale è
proprio segno che c’è la sovrapposizione degli effetti come abbiamo già capito dicendo che
sommiamo i vari contributi delle diverse cause nei diversi punti.
Il nome funzione di risposta impulsiva data a è giustificata perché si vede che se prendiamo

dove

e se andiamo a integrare

L’ultima uguaglianza è vera per la proprietà di campionamento della delta di Dirac e abbiamo
usato questa distribuzione, anche se noi non lavoreremo mai con le distribuzioni, solo per far
vedere che mettendo questi impulsi in ingresso la risposta è proprio .
Un piccolo cenno alle dimensioni fisiche degli oggetti con cui abbiamo trattato, siccome il campo
elettrico si misura in e le delta di Dirac hanno come dimensione l’inverso della dimensione
dei loro argomenti, cioè

26
abbiamo che

Introduciamo altre proprietà del mezzo oltre alla linearità, queste sono dispersività nello spazio,
dispersività nel tempo, omogeneità (si intende nello spazio), stazionarietà (o anche omogeneità
nel tempo) e isotropia. Ora spiegheremo meglio queste cinque proprietà che sono sempre e in
ogni caso approssimazioni dello stesso tipo di come abbiamo parlato della linearità, valgono
sempre entro certi limiti e per determinate applicazioni.

non dispersività nello spazio


Un mezzo si dice non dispersivo nello spazio se, con buona approssimazione, l’effetto in un punto
dipende unicamente dalla causa applicata nello stesso punto dello spazio; nella realtà un mezzo
risente sempre di quello che succede almeno in un intorno e perciò non è vero che sia non
dispersivo, però se l’intorno è abbastanza piccolo possiamo dire che non è dispersivo, in caso
contrario si dice dispersivo nello spazio.

non dispersività nel tempo


Un mezzo si dice non dispersivo nel tempo se l’effetto in un istante di tempo dipende solo dalla
causa applicata nello stesso istante; dire che un mezzo è non dispersivo nel tempo è come dire che
è senza memoria perché in ogni caso potrebbe dipendere, per il principio di causalità, solo da
istanti precedenti. La non dispersività nel tempo è una forte idealizzazione, in generale non è vero
che un mezzo sia non dispersivo nel tempo ma sarà dispersivo temporalmente.

Prima di andare avanti dobbiamo capire che succede dal punto di vista dell’integrale che esprime
la relazione costitutiva del mezzo, la dispersione spaziale e temporale è indicata dall’integrazione
in d ’ e in , se un mezzo fosse non dispersivo spazialmente o temporalmente scomparirebbero
rispettivamente le integrazioni spaziali o temporali oppure questo può essere indicato nella
funzione di risposta impulsiva, ad esempio, nella realtà i mezzi non possono essere anticausali ed è
logico che non dobbiamo integrale su tutto per quanto riguarda il tempo ma fino a un certo
istante: questo potrebbe essere segnalato invece che sugli estremi di integrazione sul supporto
della che a un certo punto si annulla per quanto riguarda la componente temporale.

omogeneità
La proprietà di omogeneità, o di omogeneità spaziale, significa intuitivamente che il mezzo si
comporta allo stesso modo in tutto lo spazio, per formalizzare meglio si dice che la relazione
costitutiva gode della invarianza per traslazione spaziale e cioè che

dove con abbiamo indicato la traslazione temporale, e cioè

In pratica un mezzo è omogeneo spazialmente se per ricavare la relazione tra, ad esempio,


l’induzione elettrica e il campo elettrico è indifferente se applichiamo prima la relazione
costitutiva e poi trasliamo oppure trasliamo prima e poi la relazione costitutiva.

27
stazionarietà
Un mezzo si dice stazionario, o omogeneo temporalmente, se ha sempre le stesse caratteristiche
nel tempo: questa è una definizione intuitiva che ora formalizziamo meglio, comunque stiamo
parlando sempre di un’approssimazione perché dipende dai punti di vista se l’oggetto in questione
è stazionario o no, ci saranno degli effetti interni al mezzo che lo faranno cambiare nel tempo ma
se questo cambiamento è lento rispetto a quello che dobbiamo fare, e rispetto cioè al tempo per
cui dobbiamo utilizzare il mezzo, possiamo considerarlo stazionario. In modo formale la proprietà
di stazionarietà si formula dicendo che la relazione costitutiva gode di invarianza per traslazione
temporale, cioè

isotropia
L’ultima proprietà che vediamo, quella di isotropia, si può anche chiamare invarianza per
rotazione e noi la vediamo solo nel caso in cui il mezzo è non dispersivo spazialmente altrimenti il
concetto si complica, e ora capiamo anche meglio come; questa proprietà è una proprietà di
simmetria nel comportamento del mezzo allo stesso modo dell’omogeneità e della stazionarietà.
Il concetto di isotropia si può applicare anche solo a un campione da studiare e non direttamente a
tutto il mezzo in esame, perché dipende anche dalla forma dell’oggetto. Ci mettiamo nelle ipotesi
di non dispersività spaziale perché se il mezzo fosse dispersivo spazialmente non riusciremmo a
capire cosa significa che consideriamo un’invarianza per rotazione punto per punto, siccome
l’effetto in un punto dipenderebbe anche da cause in punti diversi da questo.
Introducendo, come per la traslazione, la rotazione di un vettore come

dove intendiamo che il vettore che rappresenta in questo caso una funzione vettoriale sia ruotato
di un angolo pari a nella direzione e verso indicata dal verso dell’angolo secondo la regola della
mano destra, scriviamo l’isotropia come

Per ogni angolo cioè possiamo prima applicare la rotazione e poi la relazione costitutiva o prima la
relazione e poi la rotazione; accenniamo solo al fatto che il vettore dell’angolo non è proprio un
vero vettore, ma non entriamo nei dettagli.

Torniamo alla relazione costitutiva in generale e cerchiamo di capire meglio come tutte le
proprietà vanno a modificare la relazione, innanzitutto sappiamo che se il mezzo è lineare:

Sfruttando il principio di causalità che vale sempre, abbiamo a causa della causalità debole che

o anche possiamo scrivere

28
con la causalità forte invece dobbiamo considerare che non solo non possono influire le cause
dopo l’istante , ma nemmeno gli eventi che accadono in un tempo tale che la causa “non riesce a
percorrere lo spazio” tale per influenzare un certo punto: supponiamo che la velocità di
propagazione sia in modulo pari a , la causa in un punto a distanza dall’origine può influenzare
un punto a distanza solo dopo un tempo

e diremo che

o se non vogliamo scrivere così possiamo scrivere in termini di integrale

Di solito si tende ad usare non la notazione dell’integrale ma includere tutto nel supporto della
risposta impulsiva perché così non si deve modificare la formula e man mano che si sfruttano le
proprietà del mezzo si agisce solo sulla .
Ora possiamo vedere che succede se introduciamo la non dispersività spaziale e temporale:
innanzitutto dobbiamo notare e dimostrare una cosa molto importante

e questo è vero perché il principio di causalità forte ci permette di dire che l’effetto in un punto
può essere determinato da cause in punti diverso da questo solo dopo un certo tempo di ritardo in
cui la causa in un punto diverso da si propaga fino ad esso, ma siccome stiamo supponendo la
non dispersività temporale cioè che accade in non può dipendere da ciò che è accaduto in un
istante diverso dall’istante di riferimento, perciò non può dipendere da ciò che è accaduto in un
punto diverso.
Introducendo la non dispersività spaziale la relazione costitutiva diventa

dove la funzione di Green cambia rispetto al caso di dispersività spaziale perché dobbiamo avere

e cioè la è distribuzionale nel caso di non dispersività spaziale, solo in questo modo infatti ci
ritroviamo con la formula scritta.
Se si introduce invece la non dispersività temporale questa include anche la non dispersività
spaziale, come abbiamo dimostrato, e si ottiene

dove è scomparso anche l’integrale sul tempo e perciò dobbiamo avere che

Quando abbiamo la non dispersività temporale e dunque pure spaziale, invece di indicare la
matrice di risposta impulsiva con una doppia barra sopra si indica con una matrice e cioè
scriviamo

29
Anche se abbiamo detto che la non dispersività temporale è una forte idealizzazione per ora
consideriamo questa proprietà, oltre al fatto che il mezzo è lineare, e introduciamo anche la
stazionarietà in aggiunta così da ottenere

cioè la risposta impulsiva non dipende dal tempo, poi possiamo introdurre anche l’omogeneità e
otteniamo una risposta impulsiva che non dipende nemmeno dal punto considerato

Abbiamo capito perciò le varie proprietà che semplificazioni portano, queste possono essere
ovviamente combinate in modo diverso; ci resta solo da vedere cosa succede introducendo
l’isotropia, e questo lo faremo vedere dimostrandolo ma anticipando possiamo già dire che la
matrice diventa uno scalare e ci ritroviamo

perciò la relazione costitutiva che abbiamo enunciato proprio all’inizio dicendo che vale solo in un
caso molto particolare, esprime la relazione tra campo induzione elettrica e campo elettrico
quando il mezzo è lineare, non dispersivo temporalmente (e perciò spazialmente), omogeneo,
stazionario e isotropo, poi ovviamente è anche causale ma questo si sottintende perché non
esistono mezzi che siano anticausali nella realtà. Un ragionamento analogo, come sappiamo, si
può fare anche per le altre relazioni costitutive, inoltre diciamo anche che una relazione così
semplice è vera solo per il vuoto perché questo è l’unico mezzo che può soddisfare tutte queste
ipotesi, in tutti gli altri casi le ipotesi sono delle approssimazioni che si fanno sulle proprietà del
mezzo per semplificare lo studio dei fenomeni che li interessano.
Per vedere come l’isotropia fa passare da una matrice a uno scalare facciamo vedere prima meglio
il caso di stazionarietà e omogeneità in termini più rigorosi perché i ragionamenti per queste tre
proprietà sono analoghi. Consideriamo un mezzo lineare che sia non dispersivo nel tempo, così da
scrivere la funzione di risposta impulsiva con , e abbiamo che

ma d’altra parte, siccome il mezzo è stazionario, il primo membro si può anche scrivere come

perciò abbiamo trovato che qualsiasi sia il campo elettrico e qualsiasi sia si ha:

cioè la risposta all’impulso non varia con il tempo.


Lo stesso ragionamento lo facciamo per l’omogeneità:

Le espressioni sulle due righe sono equivalenti per ogni campo elettrico e per ogni siccome il
mezzo è omogeneo, in particolare abbiamo trovato che

e questo ci dice che la risposta impulsiva non varia con lo spazio e la dipendenza da scompare.

30
Abbiamo già detto che le proprietà le possiamo combinare in vario modo, in particolare è
importante associare la stazionarietà alla linearità perché si ha un espressione del tipo:

e sappiamo che questo è un integrale di convoluzione: poi lo vedremo meglio nei casi applicativi,
ma il fatto che siamo arrivati a un integrale di convoluzione è molto utile perché nel dominio di
Fourier diventano dei prodotti ordinari.
Facciamo vedere bene il fatto che se c’è la stazionarietà, cioè l’invarianza per traslazione
temporale, la risposta all’impulso dipende dalla differenza tra la variabile e , perché solo in quel
caso parliamo di convoluzione: ignoriamo la dipendenza dallo spazio e scriviamo tutto in una
dimensione per semplicità, prendiamo la relazione costitutiva applicata all’ingresso traslato che è

e la stazionarietà ci dice che questa quantità è uguale alla traslazione della risposta all’ingresso,
cioè è uguale a

Abbiamo così ottenuto

Qua ci aiuta molto il fatto che anche se dovremmo integrare fino a , dunque l’integrale in realtà
non sarebbe su potendo spostare tutto sul supporto di possiamo fare una sostituzione
nell’integrale senza avere problemi con gli estremi di integrazione, in particolare chiamando

gli estremi di integrazione non cambiano e otteniamo

Siccome la variabile di integrazione è muta, o la chiamiamo o la chiamiamo non cambia


niente, perciò possiamo pure scrivere

poi portiamo tutto al primo membro sotto un unico integrale e si può dimostrare che

perché se consideriamo che la relazione vale qualsiasi sia , allora vale anche per

così da avere

Questo perché stiamo lavorando con quantità reali, se le quantità sono complesse vogliamo
ottenere il modulo quadro e perciò dobbiamo moltiplicare per .
In ogni caso abbiamo ottenuto una relazione molto importante che ci dice

31
perché questa quantità deve essere nulla per ogni valore della variabile di integrazione , o quasi
per tutti, e in particolare questa vale per , per cui

che è quello che volevamo, cioè abbiamo dimostrato che in queste ipotesi la relazione costitutiva
è descritta da una convoluzione. Tra l’altro nella dimostrazione abbiamo pure visto che la funzione

perché integrando questa quantità al quadrato l’integrale è nullo, cioè converge.


Come abbiamo fatto la dimostrazione per il caso di stazionarietà, che è l’omogeneità temporale,
possiamo farla anche per l’omogeneità spaziale e far vedere che abbiamo una convoluzione in , e
in definitiva si può ottenere

dove abbiamo scritto le relazioni così per far capire che queste non si applicano solo a casi
particolari in cui supponiamo la non dispersività ma anche a casi più generali.
Ora parliamo invece dell’isotropia, che sappiamo cosa vuol dire solo nel caso di non dispersività
spaziale, ma non dobbiamo invece supporre necessariamente la linearità; dimostriamo che

dove intendiamo ad esempio che il vettore induzione elettrica e il vettore campo elettrico sono
paralleli. Il fatto che causa ed effetto sono paralleli è la stessa cosa che dire che sono proporzionali

e cioè la relazione tra i due vettori è uno scalare, se fosse una matrice invece si avrebbe una
trasformazione lineare in uno spazio finito e i vettori non sono allineati: per questo motivo,
dimostrare che causa ed effetto sono allineati significa anche, come vedremo, che la
risposta all’impulso è uno scalare e non una matrice.
Facciamo la dimostrazione, supponiamo per assurdo che nel caso della relazione
costitutiva ed non sono allineati, se facciamo una rotazione lungo l’asse di
questo vettore non cambia, invece il vettore induzione elettrica cambia: ma
l’isotropia ci dice che se noi ruotiamo la causa e questa rimane se stessa, anche
la rotazione dell’effetto deve rimanere se stessa per cui noi dovremmo avere
due vettori, uno ruotato e l’altro non ruotato, anzi i vettori sono infiniti perché
l’isotropia dice anche che questo vale per ogni rotazione: questo non succede solamente se
i vettori sono allineati perciò i vettori non possono essere che allineati. L’implicazione
inversa di questo teorema non vale in generale, perché se noi ci consideriamo

questa è una relazione costitutiva non lineare, non dispersiva nello spazio e nel tempo e descrive
un mezzo omogeneo e stazionario; a livello di vettori si può vedere facilmente che la causa e
l’effetto sono allineati, vediamo se è isotropo perché se non lo fosse abbiamo trovato anche un
solo caso in cui l’implicazione inversa non vale e perciò non vale in generale questa implicazione.
Prendiamo come ingresso

32
l’uscita a questo ingresso è

Ora ruotiamo l’ingresso di , cioè applichiamo l’ingresso

e vediamo che l’uscita non è ruotata perché è

L’implicazione inversa del teorema allora non vale perché abbiamo dimostrato che pure avendo
causa ed effetto allineati non è vero che i due vettori sono isotropi; quello che si può vedere però
è che se aggiungiamo la linearità questa implicazione inversa vale.
Partiamo dalla relazione costitutiva

perché descriviamo un mezzo non dispersivo nello spazio e nel tempo; fissiamo il vettore posizione
e l’istante di tempo, in questo modo evitiamo di riscrivere sempre la dipendenza dei vettori dallo
spazio-tempo e comunque al variare di questi punti le considerazioni che faremo valgono lo
stesso, vediamo ora che

Supponendo sempre che il mezzo sia pure isotropo, quindi in pratica stiamo dimostrando che se il
mezzo è isotropo la funzione di risposta impulsiva diventa uno scalare.
Esplicitiamo la relazione costitutiva e si ha

La matrice in realtà è un tensore, ed è chiamato perciò tensore dielettrico, ma non approfondiamo


il discorso che non ci interessa, basta sapere che non è proprio una matrice.
Prendiamo il campo elettrico lungo pari a con e abbiamo

dove le componenti e devono essere nulle perché nel caso di isotropia i due vettori sono
allineati: siccome si devono annullare le costanti dielettriche; se questo ragionamento lo
ripetiamo prendendo prima una causa lungo l’asse e poi lungo l’asse troviamo

Abbiamo ottenuto una matrice diagonale, ma ancora non abbiamo visto se possiamo scrivere la
matrice come una costante per la matrice identità. Consideriamo come ingresso

l’uscita sarà

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e possiamo andarci a considerare

dove al primo membro c’è la tangente di un certo angolo e al secondo membro il rapporto tra le
componenti del campo elettrico è la tangente di un certo angolo l’isotropia ci dice che i due
vettori sono allineati e cioè che le due tangenti sono uguali, perciò abbiamo trovato che

Facendo un ragionamento analogo con l’ingresso che ha componente lungo e lungo si ottiene
che tutti gli elementi della diagonale sono uguali e questo valore comune lo chiamiamo per cui
abbiamo dimostrato quello che volevamo.
Infine si può pure dimostrare che

perché

e esce fuori proprio perché è uno scalare, se fosse una matrice non potrebbe.
Allora ricapitolando abbiamo trovato che

e perciò se il mezzo è lineare vale anche l’implicazione

perché è sotto questa ipotesi di linearità che siamo riusciti a dimostrare che se causa ed effetto
sono allineati la matrice dielettrica in realtà è uno scalare per la matrice identità.

Equazioni di Maxwell nel dominio della frequenza

Da ora in poi chiameremo mezzo normale un mezzo che sia lineare, non dispersivo nello spazio,
stazionario e isotropo; poi sarà anche, ovviamente, causale ma non abbiamo supposto la non
dispersività nel tempo perché sappiamo che è un’ipotesi forte e poi nemmeno l’omogeneità
spaziale. Per un mezzo normale la relazione costitutiva è

dove è scalare grazie all’isotropia nonostante non abbiamo supposto la dispersività temporale
e questa cosa non la dimostriamo.
Riscriviamo le equazioni di Maxwell in forma locale, senza equazioni a raccordo:

34
e passiamo al dominio di Fourier, dove sappiamo che per definizione la trasformata è

e l’antitrasformata è

Il problema che vediamo subito ora è che è un vettore complesso e questo introduce tutta una
serie di problemi di cui parleremo, la relazione costitutiva invece si semplifica ed è

dove al posto di scriveremo sempre in realtà. Il comportamento del materiale ora dipende
dalla frequenza, perciò nella rappresentazione in frequenza si studia come la frequenza dei campi
di interesse influenza i comportamenti dei materiali e quale sarà poi la risposta del mezzo.
Riscriviamo tutto il set di equazioni di Maxwell che ora dobbiamo risolvere nel dominio di Fourier:

Sono scomparse dunque le derivate temporali che sono state algebrizzate, non sono scomparsi
invece gli operatori di divergenza e di rotore perché non stiamo trasformando rispetto alla
variabile spaziale: si può anche trasformare rispetto alle coordinate spaziali e portare tutto in
quello che è chiamato il dominio del numero d’onda, dove il numero d’onda altro non è che una
sorta di frequenza spaziale anziché temporale, noi però non useremo mai questa tecnica anche se
in altri casi pratici questo metodo è potente; dobbiamo notare che passando nel dominio di
Fourier, se da un lato si semplificano i calcoli perché le operazioni differenziali diventano
algebriche, dall’altra parte dobbiamo antitrasformare e tornare nel dominio del tempo, nel caso in
cui stiamo nel dominio del numero d’onda dovremmo fare un’antitrasformata che è quadrupla per
cui c’è sempre un trade-off tra quelle che sono le semplificazioni e le complicazioni che si hanno
sfruttando la trasformata. L’antitrasformata noi la faremo essenzialmente in casi particolari in cui
ci sono antitrasformate notevoli, se dovessimo metterci a usare la definizione con l’integrale di
antitrasformata sarebbe molto complicato.
Siccome abbiamo trasformato solo rispetto alla variabile temporale abbiamo ancora un sistema di
equazioni a derivate parziali, in ogni caso abbiamo semplificato le relazioni costitutive per un
mezzo normale siccome nel dominio del tempo sono descritte da una convoluzione e nel dominio
di Fourier saranno allora descritte da un prodotto.
Passando al dominio complesso si tende a chiamare gli oggetti in questione con la lettera
maiuscola corrispondente al nome che hanno nel dominio del tempo, fanno eccezione alcune
quantità come la densità di carica elettrica o la costante dielettrica che saranno indicate ancora
con la lettera minuscola ma sarà chiaro dal contesto in che dominio ci troviamo.
Abbiamo già detto che ora tratteremo vettori complessi a seguito della trasformazione, in
particolare abbiamo che

35
però ci sono delle proprietà particolari che derivano dal fatto che noi stiamo trasformando
quantità reali, in particolare si può dimostrare che la trasformata di Fourier di una funzione reale è
una funzione hermitiana, cioè tale che

Questa proprietà la dimostriamo nel modo seguente:

dove abbiamo sfruttato che il coniugato della somma è la somma dei coniugati, anche se la
somma qui è un integrale, inoltre la coniugazione non va sul dato che il tempo varia in ; ora
sfruttiamo che il coniugato di un prodotto è pari al prodotto dei coniugati e siccome la funzione
è reale non dobbiamo coniugarla, così otteniamo

che è quello che volevamo dimostrare.


Nel caso di funzione hermitiana si possono far vedere anche altre importanti relazioni

e questo è vero perché

e siccome un numero complesso e il suo coniugato hanno lo stesso modulo abbiamo dimostrato la
proprietà di nostro interesse che si esprime in breve dicendo che il modulo di una funzione
hermitiana è pari; poi si ha pure che la fase di una funzione hermitiana è dispari perché

e questa quantità deve essere pari a

ragion per cui

Per essere precisi, in realtà, dobbiamo aggiungere anche una periodicità di a questa relazione
perché sappiamo che due numeri complessi sono uguali se hanno stesso modulo e fase uguale a
meno di multipli di : nella dimostrazione l’abbiamo omessa ma questa periodicità non
dobbiamo dimenticarcela perché può portare a non considerare certe soluzioni del problema e
questo è un grave errore.
Abbiamo visto che una relazione nel campo complesso porta a due relazioni nel campo reale
perché partendo dal fatto che la funzione è hermitiana siamo riusciti a ricavare che la funzione
reale modulo è pari e la funzione reale argomento è dispari, possiamo ricavare ancora altre due
relazioni che riguardano la funzione parte reale e la funzione parte immaginaria di : la
funzione divisa nella sua parte reale e immaginaria è

Ora consideriamoci queste due relazioni

e sappiamo che

36
Allora, dato che due numeri complessi, e perciò anche due funzioni, sono uguali se e solo se hanno
parte reale e parte immaginaria uguale abbiamo ricavato che

e cioè che la funzione parte reale è pari e la funzione parte immaginaria è dispari.
Dopo questa digressione su questa importante proprietà delle funzioni complesse con cui ci
troveremo a trattare, torniamo alle relazioni costitutive andando a considerare un mezzo lineare,
non dispersivo nel tempo e quindi nemmeno nello spazio e isotropo la cui relazione costitutiva
sarà del tipo

Se trasformiamo questa relazione costitutiva, siccome abbiamo un prodotto, uscirà nel dominio di
Fourier una convoluzione, se però si aggiunge la stazionarietà come altra proprietà la permittività
elettrica, cioè , diventa costante rispetto alla variabile che trasformiamo e si avrà

e in questo caso sarà sempre reale perché non l’abbiamo trasformata.


Abbiamo così visto che se non c’è stazionarietà esce una convoluzione nel dominio di Fourier che
complica abbastanza le cose, fisicamente però si può vedere che un mezzo è sempre dispersivo
temporalmente e perciò si avrà sempre una convoluzione nel dominio del tempo se facciamo le
ipotesi di stazionarietà, ipotesi possibile in molti casi di interesse, che diventa prodotto nel
dominio della variabile complessa.
Lo stesso discorso che stiamo facendo per la prima relazione costitutiva, che mette in relazione
campo induzione elettrica e campo elettrico, vale anche per le altre due relazioni, noi
consideriamo sempre la prima perché ci serve esemplificare in qualche modo il discorso che
stiamo facendo, ma ricordiamoci sempre che allo stesso modo si può scrivere

se facciamo l’ipotesi di mezzo lineare, non dispersivo nel tempo e isotropo, e si possono fare
considerazioni analoghe a quelle già fatte se mettiamo altre proprietà, se ne togliamo alcune, se
trasformiamo … si chiama permeabilità magnetica e faremo vedere poi che c’è un legame
cruciale tra la parte reale e immaginaria di e nel dominio di Fourier.
Per ora, riguardo la permittività e la permeabilità non diciamo molto, ci limiteremo a enunciare
qualche proprietà man mano che ci servirà e poi capiremo fisicamente le proprietà che
sfrutteremo da dove derivano; notiamo che non è necessario dire permittività elettrica e
permeabilità magnetica perché basta dire permittività e permeabilità e il significato è chiaro,
sappiamo cioè quando ci stiamo riferendo al campo elettrico e al campo magnetico.
Per quanto riguarda la terza relazione costitutiva noi considereremo sempre, o quasi sempre, che

cioè assumeremo che la relazione costitutiva sia lineare, non dispersiva nello spazio e nel tempo,
isotropa e poi possiamo anche aggiungere la stazionarietà per cui

dove prende il nome di conducibilità. La relazione che abbiamo scritto sappiamo che prende
anche il nome di legge di Ohm in forma locale.

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è, come permittività e permeabilità, (ovviamente) reale nel dominio del tempo e senza entrare
troppo nel dettaglio qui possiamo fare anche un discorso sul segno: le relazione scritta ci fa capire
che tra densità di corrente e campo elettrico c’è proporzionalità, in particolare però il campo
elettrico genera una forza elettrica, dunque un’accelerazione, e siccome vedremo poi meglio che
la densità di corrente elettrica è direttamente proporzionale alla velocità con la quale si muovono
le cariche dovremmo avere che questa accelerazione causa un aumento di velocità; le nostre
considerazioni ci portano cioè a dire che il modulo della densità di corrente dovrebbe crescere
sempre, ma questo non è vero altrimenti non vale che

Il fatto si spiega, in modo molto rozzo, considerando che nel loro moto i portatori di carica di un
mezzo materiale urtano continuamente con altre particelle atomiche e in questi urti perdono
l’energia che acquistano per mezzo dell’accelerazione fornita dal campo elettrico, per questo
motivo a livello macroscopico si fa una media tra brusche accelerazioni e brusche frenate e si ha
una velocità costante che è in accordo con la relazione costitutiva che sappiamo
sperimentalmente essere vera. Abbiamo allora scoperto che i vettori ed sono paralleli e tra
l’altro anche il verso è lo stesso per cui si ha

Nel meccanismo descritto ci sarà una perdita sotto forma di calore perché a causa degli urti
aumenta l’agitazione termica delle particelle del mezzo e questo è poi l’effetto che vediamo di
riscaldamento ad esempio nei cavi che portano la corrente: non potrebbe essere altrimenti perché
in caso contrario avremmo avuto che il campo elettrico serve solo a mettere in moto le cariche,
dopodiché se non ci fosse questa perdita di energia possiamo pure spegnerlo e ci sarebbe una
densità di corrente elettrica che non si esaurisce.

Teoremi di unicità

Pur avendo introdotto le relazioni costitutive non riusciamo a chiudere il problema differenziale e
questo è causato dal fatto già detto che la soluzione di un’equazione differenziale è una famiglia di
funzioni e servono dunque delle condizioni per specificare esattamente la soluzione.
Da un punto di vista più rigoroso il problema elettromagnetico non è ancora chiuso perché non
sappiamo se la soluzione esiste e in caso di esistenza se questa è unica: per quanto riguarda i
problemi di esistenza ci sono dei teoremi che però sono abbastanza complicati, richiedono una
trattazione a un livello più alto, per questo noi non approfondiamo il discorso; il problema
dell’unicità della soluzione è invece quello che dobbiamo affrontare adesso ed è quello che ci
chiuderà il problema elettromagnetico perché ci dice che condizioni dobbiamo aggiungere
affinché la soluzione sia univoca.
Dobbiamo innanzitutto distinguere due tipi di problema: siccome le equazioni devono essere
risolte in un volume si fa distinzione tra problema interno, o anche interiore, se il volume
considerato è limitato, il problema sarà esteriore se il volume non è limitato, dove ci ricordiamo

38
che matematicamente un volume si dice limitato per definizione se esiste una sfera con raggio
finito sufficientemente grande per contenerlo tutto.
Questo per quanto riguarda il dominio spaziale che considereremo, poi dobbiamo specificare pure
il dominio temporale e dunque considereremo

dove è un istante iniziale a partire dal quale si considera il problema e non è da confondere con
l’istante in cui vengono accese le sorgenti che è in generale diverso; considereremo sempre questo
dominio temporale, sia per un problema interno che esterno.
Il dubbio che ora ci viene riguarda il fatto che non è detto che quello che succede per e al di
fuori del volume considerato non ci sia qualcosa che influenza il problema elettromagnetico nel
dominio spazio-tempo considerato e per questo abbiamo bisogno di informazioni che tengano in
conto di questo, in particolare ci saranno delle condizioni iniziali, che sono informazioni date in
e poi condizioni al contorno che sono informazioni date sulla frontiera del volume considerato nel
problema: interviene ora il teorema di unicità che ci dice se queste informazioni date chiudono il
problema e dunque ci fa capire che tipo di condizioni dobbiamo dare.
Iniziamo a considerare un problema interno, abbiamo dunque un dominio limitato nello spazio e
per ora lavoriamo nel dominio del tempo per cui scriviamo

con relazioni costitutive di un mezzo normale non dispersivo nel tempo

La non dispersività nel tempo e nello spazio ci permette di dire facilmente che bastano le
condizioni in e al bordo del volume, cioè ci basteranno condizioni del tipo

dove nell’equazione a contorno è la normale uscente dal volume e dobbiamo anche dire che
la differenza tra l’equazione a contorno e le equazioni a raccordo è che la prima ci dice
esattamente quanto vale quella che è la tangente al campo elettrico, ruotata di 90°, mentre le
equazioni a raccordo dicono come variano le componenti dei campi.
Notiamo che per il campo magnetico non diamo condizioni al contorno ma solo condizioni iniziali,
vedremo che non sono necessarie e bastano quelle per il campo elettrico.
Il teorema di unicità, in questo caso considerato, ci dice che se la soluzione esiste è unica e lo
andiamo a dimostrare considerando che ci sono due soluzioni

a partire dalle quali consideriamo i campi differenza

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I campi differenza non è detto che siano campi elettromagnetici, dobbiamo verificarlo facendo
vedere che soddisfano le equazioni di Maxwell. Scriviamo dunque le equazioni di Maxwell per i
campi soluzione inserendo già le equazioni costitutive nel caso che abbiamo detto, cioè di mezzo
normale e non dispersivo nel tempo, giusto per vedere un po’ come funzionano queste relazioni
costitutive, in realtà per questo passaggio non ci sarebbe nemmeno bisogno di sfruttarle

dove la permeabilità esce fuori dal segno di derivata proprio in virtù del fatto che abbiamo
supposto il mezzo non dispersivo nel tempo. Continuando, sottraiamo membro a membro le due e
si avrà

e questo è vero perché sia la derivata che l’operatore di rotore sono lineari, il mezzo anche è
lineare e perciò abbiamo potuto dire che

In modo analogo si può far vedere che questi due campi differenza soddisfano anche le altre tre
equazioni di Maxwell e sono effettivamente campi elettromagnetici: come detto non è necessario
sfruttare le relazioni costitutive perché si può ottenere lo stesso che il campo differenza soddisfa
le equazioni di Maxwell omogenee, cioè senza sorgenti impresse, con condizioni iniziali e al
contorno omogenee, cioè soddisfa il seguente problema elettromagnetico

però per poter scrivere le relazioni costitutive associate a questo sistema è cruciale la linearità del
mezzo altrimenti non si potrebbero scrivere le relazioni per il campo differenza.
Per dimostrare che la soluzione è unica ci basta far vedere che la soluzione di questo problema è
identicamente nulla e per farlo, oltre a ricordarci che , aggiungiamo che e , cosa
che per ora assumiamo come dogma e poi vedremo perché questo è vero.
Ci servirà sapere che

identità che si dimostra facilmente con strumenti matematici più potenti e che noi non
conosciamo, ma che si può anche dimostrare con i mezzi che conosciamo in modo più lungo e
laborioso. Sfruttando questa relazione sul campo

che per ora non sappiamo chi è ma che scopriremo essere molto importante e avere un significato
fisico rilevante si ha

40
e sfruttando le equazioni di Maxwell otteniamo

Poi usiamo le relazioni costitutive perché noi la dimostrazione la faremo solo per un mezzo
normale e non dispersivo nel tempo e si ha

e ora ci ricordiamo che

e una cosa analoga a quella fatta per il campo magnetico si può fare per il campo elettrico per cui
abbiamo ottenuto

A partire da questa che è l’identità di Poynting in forma locale, integrando su un volume fisso , si
ottiene l’identità di Poynting in forma globale che è

dove sfruttiamo il teorema della divergenza per scrivere

poi ci ricordiamo che permeabilità e permittività sono funzioni solo del punto dello spazio dato che
stiamo considerando un mezzo normale, per questo le derivate possono uscire fuori l’integrale e
diventano derivate totali, visto che stiamo integrando rispetto alle componenti spaziali e dunque il
risultato degli integrali saranno funzioni solo del tempo, alla fine otteniamo:

Il fatto di avere una derivata totale all’esterno dell’integrale sarà un fatto cruciale quando
andremo a fare l’interpretazione fisica di questi che per ora sono solo passaggi matematici, inoltre
dobbiamo ricordarci che applicando il teorema della divergenza si ha uscente dal volume.
L’identità matematica che abbiamo ora ottenuto la applichiamo al campo differenza e avremo
un’identità in cui non compare la densità ci corrente impressa, inoltre scompare il flusso
attraverso la superficie del volume perché considerando che possiamo permutare i termini del
prodotto misto abbiamo

e l’integrando a questo punto è nullo perché le condizioni al contorno del problema


elettromagnetico associate al campo differenza sono omogenee:

41
In conclusione si ottiene la seguente identità per il campo differenza

Definiamo le due quantità

e riscriviamo l’identità in questo modo:

La quantità è non negativa perché la conducibilità è ed è moltiplicata per un modulo


al quadrato che è sempre non negativo, per questo concludiamo

e abbiamo scoperto che la funzione è una funzione decrescente in ogni istante di tempo,
anche prima del tempo iniziale , formalizzando cioè

e in particolare

Quello che ci resta da capire per dimostrare che la soluzione al nostro problema elettromagnetico
è unica a patto di scegliere opportune condizioni iniziali e al contorno, è vedere se le informazioni
date in ci permettono di disinteressarci di quello che è accaduto prima di questo istante: queste
condizioni iniziali, per il campo differenza, dicono che

ma d’altra parte la è risultato di un integrale in cui l’integrando è non negativo essendo


e , allora dobbiamo avere anche che

e ne consegue in conclusione che

e allora abbiamo scoperto che

Se riusciamo a far vedere che l’integrando è nullo, dato che questo è somma di quantità non
negative, abbiamo fatto vedere che si annullano entrambi questi addenti e non potendosi
annullare permettività e permeabilità dato che sono strettamente positive, abbiamo dimostrato il
teorema di unicità facendo vedere che il campo differenza è nullo: per far vedere che l’integrando
è nullo non possiamo sfruttare il fatto che l’integrale è zero per ogni volume dato che è fisso,
dobbiamo sfruttare però proprio il fatto già detto che l’integrando ha segno semidefinito e allora

42
Il teorema risulta dimostrato, inoltre rivedendo le cose che abbiamo sfruttato nei passaggi
possiamo dire anche che è possibile assegnare anche una condizione al contorno diversa che non
fa riferimento al campo elettrico ma al magnetico e dunque sarà una condizione su

perché anche questa condizione permette di annullare il flusso nell’identità di Poynting e si può
arrivare allora alle stesse cose trovate ora; non è possibile in generale assegnare entrambe le
condizioni al contorno, questo perché sarebbe come avere un’equazione differenziale con più
condizioni iniziali di quante ne servono e non è detto che queste siano compatibili, potrebbe
dunque pregiudicarsi l’esistenza della soluzione. È possibile invece assegnare in pezzi disgiunti
della frontiera condizioni una volta sul campo elettrico e una volta sul magnetico, questo non
causa problemi sull’esistenza della soluzione.
Notiamo anche un’altra cosa, se siamo in presenza di un mezzo che non permette la conducibilità,
cioè si ha , il teorema di unicità continua a valere perché abbiamo costante anziché
decrescente, dopodiché, dovendo essere questa cosa compatibile con la condizione iniziale
per il campo differenza, giungiamo allo stesso risultato .
Il fatto che nell’istante abbiamo tutte le informazioni necessarie per risolvere il problema è
qualcosa di stupefacente, siamo riusciti a dimostrare cioè che tutto il passato di questo processo è
racchiuso in questa condizione iniziale che identifica lo stato del sistema, dove per stato del
sistema si intende tutto quell’insieme di informazioni che consentono di sapere come evolverà il
sistema da quel momento in poi noto il forzamento, se c’è.
Nel nostro caso lo stato iniziale è dato dalle condizioni iniziali su campo elettrico e magnetico in un
volume ad un certo istante, se il mezzo fosse dispersivo temporalmente il teorema non
funzionerebbe perché servirebbe conoscere i due campi anche prima dell’istante iniziale.
Ora ci concentriamo sul problema esteriore, il problema principale è vedere che condizioni dare
all’infinito: formulando bene la questione andiamo a dimostrare il problema di unicità per un
problema esterno, nel dominio del tempo, considerando un mezzo normale e non dispersivo nel
tempo, le condizioni iniziali sono date sempre come

e poi diamo sia le condizioni al contorno come prima, supponiamo ad esempio di dare

e dobbiamo pure supporre di avere sorgenti in un dominio limitato e accese in un tempo finito: il
perché di queste due ultime ipotesi, che sono importantissime, lo capiamo a breve.
Ci riscriviamo il sistema di equazioni di Maxwell compreso di relazioni costitutive del mezzo
considerato e abbiamo dunque

43
Nel problema considerato coincide con la frontiera del volume complementare a , cioè
complementare al nostro dominio illimitato in cui stiamo considerando il problema.
L’idea per dimostrare il teorema di unicità per un problema esteriore è quella di passare a un
problema interiore, allora si considera una sfera di raggio grande che contenga il volume
complementare a e si costruisce in questo modo un problema interiore nella sfera, il raggio di
questa sfera è arbitrario per cui possiamo prenderlo grande a piacimento in base alle necessità;
però dobbiamo considerare che la frontiera del volume ora è cambiata perché dobbiamo
aggiungere pure la superficie della sfera, per questo sorge il problema di mettere delle condizioni
al contorno: l’informazione che ci aiuta a fare questo sono le ipotesi sulle sorgenti.
Il fatto di aver supposto di accendere delle sorgenti che sono al finito in un istante finito ci dice che
esiste un intorno dell’infinito in cui il campo è nullo perché, se sfruttiamo la causalità debole
abbiamo che il campo deve essere nullo prima di accendere le sorgenti siccome l’effetto non può
precedere la causa, sfruttando poi la causalità forte possiamo dire che l’effetto delle sorgenti
accese si propaga con velocità finita e perciò prima che la perturbazione vada all’infinito ci vuole
un tempo infinito: se le sorgenti le accendessimo a questo ragionamento non
funzionerebbe, stessa cosa se le sorgenti non fossero in un dominio limitato, in questi due casi il
campo pervaderebbe tutto lo spazio.
La conclusione del ragionamento che abbiamo fatto è che se studiamo il problema tra e basta
prendere un raggio della sfera abbastanza grande in modo che al contorno della sfera non ci sia il
campo e la condizione al contorno sia nulla: data l’arbitrarietà del raggio la cosa si può estendere
per lo studio in un intervallo temporale del tipo e allora, con queste semplici
considerazioni abbiamo anche dimostrato l’unicità della soluzione di un problema esteriore
avendo già dimostrato l’unicità in un problema interiore.
Dobbiamo chiederci ora cosa succede nel dominio trasformato: iniziamo con il dire che nel
dominio del tempo consideriamo un mezzo normale e la non dispersività temporale, quest’ultima
sappiamo che è una forte idealizzazione e vedremo che nel dominio che ora chiameremo dominio
non c’è bisogno di questa ipotesi. Questa cosa è importante notarla perché nel caso di relazioni
costitutive per un mezzo non dispersivo nel tempo si hanno dei prodotti, nel dominio trasformato
questi sarebbero poi delle convoluzioni, invece se non consideriamo la dispersività temporale
abbiamo delle convoluzioni che nel dominio trasformato diventano prodotti ordinari e perciò è
tutto più semplice da trattare; oltre a questa ultima considerazione fatta è ovvio che il fatto che
non è necessaria la non dispersività temporale ci aiuta soprattutto dal punto di vista fisico perché
abbiamo tolto una forte idealizzazione che non possiamo fare come possiamo ad esempio
supporre di avere un mezzo normale.
Considerando allora le relazioni costitutive di un mezzo normale abbiamo il seguente sistema di
equazioni di Maxwell nel dominio

Le equazioni si risolvono per fissato, dopodiché quando antitrasformiamo si considera la


variazione di che poi porta a funzioni del tempo.
44
Regime sinusoidale. Vettori sinusoidali e loro rappresentazione fasoriale. Risonanza

Per continuare il nostro discorso dobbiamo prima capire cosa si intende per regime sinusoidale:
diremo regime sinusoidale la parte dell’evoluzione forzata della risposta di un sistema a un
ingresso di tipo sinusoidale che si ha dopo aver atteso un tempo sufficiente a far scomparire il
transitorio. La questione ora è capire se il transitorio si estingue sempre: questa cosa accade solo
nel caso in cui il sistema è dissipativo, cioè ci sono al suo interno dei meccanismi di perdita che
ovviamente non distruggono parte di energia ma la trasformano in altre forme, di solito in calore.
I sistemi fisici in generale sono dissipativi, per questo si può studiare il regime sinusoidale senza
problemi, tra l’altro in questo caso non servono nemmeno le condizioni iniziali del sistema che
vanno a incidere invece sull’uscita libera del sistema, cioè quella che si esaurisce per , le
condizioni al contorno invece servono in ogni caso.
Osservare il sistema per ai fini di osservare il regime sinusoidale è come dire che stiamo
considerando l’istante iniziale a , per questo già cominciamo a capire che nel dominio
trasformato avremo dei problemi con il teorema di unicità per un problema esterno.
Operando in regime sinusoidale si hanno dei campi sinusoidali, o come si usa dire grandezze
fasoriali, che sono del tipo

e in termini di fasori sono scritte come

Notiamo che nel fasore non compare il tempo, infatti contrariamente a quanto può succedere ad
esempio in elettrotecnica dove si introducono i fasori come se fossero “vettori rotanti”, il nostro
punto di vista è diverso perché nel nostro caso noi facciamo una trasformata rispetto al tempo e
perciò questo scompare, poi per passare dal fasore alla grandezza sinusoidale si fa quella che si
chiama antitrasformata fasoriale che è un’antitrasformata di Fourier fatta in un caso particolare in
cui l’antitrasformata è semplice, in questo caso infatti si ha

si fa cioè prendendo la parte reale del numero complesso ottenuto moltiplicando il fasore per la
quantità . Fra poco mostreremo meglio da dove deriva questa formula, per ora facciamo una
considerazione importante e cioè che tutto quello che stiamo dicendo vale se tutto sta oscillando
a una sola frequenza, non abbiamo una banda di frequenza proprio per il fatto già detto prima che
lavoriamo ad fissato; il fatto che stiamo considerando una data pulsazione è limitativo dato
che sono pochi i casi di interesse in cui tutto oscilla a una frequenza fissata, però il dominio dei
fasori è utile anche per capire che succede intorno a una determinata .
Prendiamo ora un certo segnale e andiamo a considerarci il suo
spettro d’ampiezza, nel caso in cui stiamo parlando di un segnale
puramente sinusoidale si può vedere che c’è una delta di Dirac alla
pulsazione che ora chiameremo , e poi essendo la funzione la
trasformata di una funzione reale abbiamo una funzione complessa
hermitiana e perciò il suo modulo è pari, ragion per cui ci sarà anche un
impulso simmetrico rispetto all’origine che nella figura non è
evidenziato.

45
Se ci riferiamo alla figura seguente possiamo vedere invece un segnale il cui spettro di ampiezza si
sviluppa intorno a una certa pulsazione , se il
segnale è a banda stretta, e cioè se

studiare quello che succede a ogni componente


armonica è equivalente a studiare il centro-banda ,
poi ci sono anche dei modi per raffinare un po’ i
risultati ottenuti con questo studio approssimato ma
in ogni caso riconduciamo lo studio di un segnale
generico a quello di un segnale sinusoidale.
Scopriremo più in là che questa cosa che abbiamo
detto non è proprio vera e perciò non potremmo usare i fasori, però riusciremo a semplificare lo
stesso l’antitrasformata e questo è quello che ci importa di più dato che l’uso dei fasori è proprio
finalizzato a questa cosa.
Il fatto di avere a che fare con funzioni hermitiane, cioè siccome

possiamo lavorare solo con e ricavare poi quello che succede per pulsazioni negative.
Un piccolo appunto sul fatto che noi stiamo usando indifferentemente i termini “pulsazione” e
“frequenza”, per ora non è necessario fare una distinzione ma in generale c’è una bella differenza.
Per chiarire un po’ meglio il discorso fatto specialmente riguardo all’antitrasformata fasoriale
consideriamo che in generale

con un po’ di passaggi e considerando funzioni hermitiane ricaviamo quanto segue

Nell’ultimo passaggio, oltre ad aver invertito gli estremi di integrazione nel secondo integrale,
abbiamo anche sfruttato che la variabile di integrazione la possiamo chiamare come vogliamo e
dunque o o non cambia niente, proseguendo sfruttiamo che il coniugato di una somma è la
somma dei coniugati, anche se la somma è un integrale, e si ha

per cui

46
Questa formula è la formula dell’antitrasformata di Fourier nel caso in cui la funzione sia
reale, già si può vedere che c’è una semplificazione e ci ricorda pure l’antitrasformata che fra poco
dimostriamo, partiamo però dalla trasformata di una funzione sinusoidale

Commentando un po’ possiamo pure osservare che abbiamo trovato una funziona hermitiana
perché ci sono due impulsi di cui quello in è il coniugato di quello in e questo ce lo
dovevamo aspettare perché se non era così avevamo sbagliato qualche calcolo.
Se ora andiamo ad antitrasformare possiamo applicare la formula ricavata prima per funzioni
hermitiane e cioè

e così abbiamo dimostrato la formula di antitrasformata fasoriale.


Riferendoci più nello specifico al fatto che ora siamo interessati al campo elettrico e al campo
magnetico dobbiamo specificare che significa che stiamo considerando vettori sinusoidali: se i
vettori sono sinusoidali abbiamo ad esempio un campo elettrico del tipo

e la loro rappresentazione fasoriale è

Si capisce anche che non ha senso parlare di “fase del campo elettrico”, cioè in generale non è
possibile parlare della fase di un vettore sinusoidale.
Possiamo ora parlare del teorema di unicità nel dominio trasformato, anche in questo dominio
non dimostriamo invece il teorema di esistenza: partiamo con il considerare un problema
interiore in , dobbiamo sfruttare per la dimostrazione l’equivalente dell’identità di Poynting che
si ottiene a partire sempre dalla seguente identità

Il motivo per cui questa volta la quantità da considerare è

lo capiremo poi, per ora cominciamo a notare che e sfruttiamo equazioni di


Maxwell e relazioni costitutive per ottenere

e ora c’è bisogno di fare una discussione sul prodotto scalare per vettori complessi.

47
Dati due vettori complessi definiamo il seguente prodotto

Questo lo chiamiamo prodotto punto, non è però un prodotto scalare a differenza di quanto
accade per vettori reali, il prodotto scalare è invece

Il motivo è che con il prodotto scalare noi vogliamo fare in modo che se prendiamo due vettori
uguali il loro prodotto scalare deve essere il modulo quadro, e solo in questo modo la cosa è
possibile, inoltre a noi interessa pure dire che se il prodotto scalare di un vettore per se stesso è
nullo, allora il vettore è nullo e quando abbiamo definito il prodotto scalare per vettori reali
questo accadeva perché si ha

mentre se usiamo questo prodotto per i numeri complessi questa cosa non è vera siccome non è
detto che un numero complesso al quadrato sia non negativo: questo è un problema perché non si
riesce ad ottenere la norma del vettore sfruttando questo prodotto, ad esempio se consideriamo il
vettore complesso

si può verificare facilmente che con il prodotto punto ci verrebbe che la sua lunghezza è zero pur
non essendo questo il vettore nullo, se invece si usa l’altra definizione abbiamo

e tutto funziona come deve; tra l’altro si può vedere facilmente che questa definizione di prodotto
scalare va bene anche per vettori reali perché in quel caso il coniugato semplicemente non opera e
ritroviamo la definizione di prodotto scalare già data. In conclusione allora possiamo dire questo, il
prodotto scalare tra vettori reali lo possiamo indicare con

se invece vogliamo il prodotto scalare di vettori complessi in termini di prodotto punto si avrà

anche se spesso diremo in modo improprio che questo è “scalar” *, però questa cosa non
deve creare confusione perché abbiamo chiarito bene la questione.
Tornando all’identità di Poynting possiamo scrivere ora

che scriviamo in modo diverso andando a notare anche che nello sfruttare la relazione costitutiva
sulla densità di corrente abbiamo una conducibilità che è reale anche nel campo complesso e
perciò scriviamo quanto segue senza coniugare la conducibilità:

Questa è l’identità di Poynting in forma locale nel dominio trasformato, da questa ricaviamo due
identità prendendo la parte reale e la parte immaginaria: in particolare nel farlo scriveremo

48
dove mettiamo questi segni a parte reale e immaginaria perché nei conti conviene, in ogni caso
poi interpreteremo fisicamente anche e il che giustificherà ancora di più questa scelta.
Iniziamo a prendere la parte reale:

Siccome si ha che

otteniamo

Un discorso analogo lo facciamo per la parte immaginaria ed otteniamo:

Integrando su un volume passiamo alla forma globale sia per la parte reale che per la parte
immaginaria, per comodità gli operatori che danno “il reale di” e “l’immaginario di” li portiamo
fuori dall’integrale e abbiamo le seguenti identità

Per ora facciamo a meno della condizione iniziale dato che ci mettiamo nelle ipotesi in cui ci siano
cause dissipative e perciò la parte libera dell’uscita va via, consideriamo solo le condizioni al
contorno che sono

Non dobbiamo specificare altro, per esempio non si scrive per per il fatto che siamo in e
poi nel dominio trasformato è fissato dunque non si specifica niente sulla pulsazione.
Bisogna aggiungere altre condizioni che vedremo sono necessarie nella dimostrazione e sono

mentre poi per sarà

perché queste sono l’inverso delle parti immaginarie di funzioni complesse trasformate di funzioni
reali, cioè di funzioni hermitiane, e sappiamo che la parte immaginaria di una funzione hermitiana
è dispari; questa cosa ci dice pure che dovendo essere

per cui ” e sono nulle nell’origine. Queste condizioni che abbiamo aggiunto si capirà poi meglio
che altro non sono condizioni che ci dicono che esiste un meccanismo di perdita, con queste
ipotesi la soluzione è unica nel caso in cui almeno una tra e sia strettamente maggiore
perché se fossero entrambe nulle non ci sarebbe il meccanismo di perdita, inoltre la condizione la
estendiamo pure alla conducibilità per cui possiamo dire che

e almeno uno tra questi tre deve avere il maggiore stretto.

49
Notiamo una cosa molto importante, se supponessimo che il mezzo è non dispersivo
temporalmente avremmo che la permettività e la permeabilità nel dominio trasformato sono
ancora reali, per cui e : in pratica la non dispersività temporale porta al fatto che
non ci sono meccanismi di perdita nel mezzo e per questo è una forte idealizzazione.
Grazie a queste premesse e alle due identità ricavate dall’identità di Poynting nel dominio
trasformato andiamo ora a dimostrare il teorema di unicità e scopriremo anche che nel caso in cui
tutti e tre , e sono nulli si dice che si ha “soluzione unica a meno di condizioni risonanti” e
poi dopo capiremo meglio.
L’idea per dimostrare il teorema è la stessa usata prima, andiamo a considerare due soluzioni del
problema elettromagnetica che sono

e prendiamo la loro differenza

Si vede che questa differenza è un campo perché soddisfa le equazioni di Maxwell e questo è
possibile perché ci sono oggetti lineari in gioco, per questo ripetiamo ancora una volta che la
linearità del mezzo, che abbiamo supposto siccome abbiamo preso un mezzo normale, è una
condizione molto importante, riusciamo cioè a vedere che se prendiamo i due sistemi di equazioni
che valgono per le due soluzioni riusciamo a ricavare

e troviamo cioè un sistema omogeneo perché non compaiono la densità di corrente e di carica
impresse, inoltre anche le condizioni al contorno sono nulle

Se allora ci consideriamo le due identità derivate da parte reale e immaginaria dell’identità di


Poynting dobbiamo togliere i termini con la densità di corrente impressa e poi abbiamo anche che

sfruttando la permutazione circolare del prodotto misto e la condizione al contorno; otteniamo:

Ricordiamoci che stiamo ragionando per , se fossimo per non cambia niente perché
nella seconda il primo membro è eguagliato a zero e il segno di non ha proprio importanza, nella
prima invece sta solo davanti a un termine ma in questo termine compaiono e che sono
dispari e allora il segno di è sempre concorde con i segni di questi due termini e verrà sempre un
segno positivo.

50
Siccome ci siamo messi nelle ipotesi in cui , e nella prima equazione abbiamo
la somma di tre termini non negativi e possiamo sfruttare l’annullamento della somma per dire
che ogni singolo termine è nullo, cioè

Siccome tra l’altro i segni degli integrandi sono semidefiniti possiamo dire che sono gli integrandi
ad essere nulli, ci ricordiamo invece che non possiamo sfruttare il fatto che questa identità vale
per ogni volume dato che è fissato: siamo arrivati comunque a dire che

Facciamo il caso che , e sono strettamente positivi, potremmo allora dire che il fatto che si
annullano gli integrandi deve essere necessariamente dovuto al fatto che si annulla il campo
differenza e perciò siamo riusciti a dimostrare che le due soluzioni ipotizzate sono in realtà
coincidenti e la soluzione è unica.
Se invece ipotizziamo che solo la conducibilità è strettamente positiva e gli altri due sono invece
nulli, in questo caso possiamo solo dire che

ma non riusciamo a dire nulla sul campo magnetico: sfruttiamo allora la prima equazione di
Maxwell per poter dire

e come abbiamo fatto in questo caso potremmo vedere i vari casi in cui non si annulla solo uno tra
, e , oppure se ne annullano due: riusciamo sempre, sfruttando le equazioni di Maxwell, a
dire che si annullano entrambi i campi differenza. Riusciamo anche a dire che le cose dette
valgono se facciamo considerazioni su queste tre quantità solo in un sottodominio di e questo lo
si potrebbe dimostrare sfruttando il fatto che i campi sono analitici in .
Ci resta solo da dire cosa succede quando

in questo caso la prima identità diventa , allora dobbiamo sfruttare la seconda che
riscriviamo in questo modo

perché poi vedremo il significato di che compare, qua possiamo dire che quello che si annulla
è la quantità in parentesi quadre siccome e perciò si ha

Il primo membro si chiama energia magnetica media, il secondo energia elettrica media, questa
identità ci dice che le due quantità sono uguali e anche che i campi differenza possono essere non
nulli ma l’importante è che le due energie siano uguali: questa è quella che si chiama soluzione
risonante, perciò se la soluzione esiste è unica a meno di soluzioni risonanti che ci sono per
. Quello che si potrebbe dimostrare è che il campo differenza è non nullo in
corrispondenza di un’infinità numerabile di pulsazioni , questi termini risonanti sono poi quelli
che nell’antitrasformata danno il transitorio.

51
Passiamo ora al problema esterno, in questo caso non ci saranno soluzioni risonanti perché il
campo irradia all’infinito, inoltre enunceremo quand’è che la soluzione è unica senza fare la
dimostrazione perché la dimostrazione qui è un po’ più tecnica: dato il problema elettromagnetico
per un mezzo normale in un volume complementare di un dominio limitato, assegnate le
condizioni al contorno e supponendo l’omogeneità (spaziale) del mezzo in un intorno dell’infinito e
se possibile anche la non dispersività temporale (il vuoto soddisfa queste ipotesi), supponendo di
avere le sorgenti del campo in un dominio limitato dello spazio la soluzione sarà unica se è
assegnata anche una condizione all’infinito che è chiamata condizione di Silver-Muller ed è

Dobbiamo allora discutere solo cosa vuol dire questa condizione: nella condizione di Silver-Muller
comprare che è il modulo del raggio vettore che identifica la posizione di un punto dello
spazio, invece è chiamata impedenza intrinseca del mezzo ed è

e in particolare noi intendiamo l’impedenza intrinseca del mezzo che pervade l’intorno di infinito,
infine è il versore del vettore posizione. La condizione ci dice che

cioè è un infinitesimo di ordine inferiore a quando stiamo andando all’infinito, inoltre notiamo
che sotto l’”o piccolo” c’è un segno che indica che stiamo parlando di un vettore; ricordiamo che il
significato di vuol dire proprio “è un infinitesimo di ordine inferiore a …” quello che è in
parentesi.
Possiamo riscrivere la condizione di Silver-Muller in questo modo:

e cioè che quando andiamo all’infinito si deve verificare che

Vedremo che questa cosa ha a che fare con le onde piane che poi tratteremo, nel frattempo
diciamo invece che si dimostra a partire da queste considerazioni che stiamo facendo che

e cioè che anche i campi elettrico e magnetico sono infinitesimi all’infinito con un ordine di
infinitesimo che è almeno “uno”: per indicare questa cosa, cioè che l’ordine di infinitesimo è
almeno “uno”, scriveremo che

Con questa ultima condizione che abbiamo spiegato per bene siamo riusciti a dire che anche il
problema esterno nel dominio trasformato ammette soluzione unica, non c’è niente da dire in
questo caso su , e e abbiamo chiuso così il problema elettromagnetico.

52
Teoremi di Poynting

Passiamo ora a dare un’interpretazione fisica dell’identità di Poynting che abbiamo sfruttato per i
teoremi di unicità, cerchiamo dunque di capire i passaggi matematici che abbiamo fatto che
interpretazione hanno.
Innanzitutto dobbiamo dire che il campo elettromagnetico descrive dei fenomeni fisici che sono
diversi da quelli meccanici e termodinamici, però ci sono legami tra questi fenomeni fisici:
consideriamo il primo principio della termodinamica, questo non è altro che una formulazione
diversa del principio di conservazione dell’energia, tra l’altro la relatività ristretta ci dice pure che
massa è uguale a energia per cui è anche una formulazione del principio di conservazione della
massa; la necessità di attribuire a un sistema fisico il concetto di energia deriva proprio dal
discorso della conservazione perché nel principio della termodinamica sopra citato, che è

si ha che la differenza tra quantità di calore che l’ambiente fornisce al sistema e il lavoro che il
sistema fa sull’ambiente è pari a una variazione di quella che si chiama energia interna, cioè è
come se il sistema avesse un proprio indicatore interno che segna quanta energia sta entrando,
quanta ne sta uscendo e quanta è “a deposito, siccome sia il calore che il lavoro sono modi per
dare e prendere energia: ricordiamo a proposito che la convenzione è che quando il calore sta
entrando nel sistema la quantità di calore della trasformazione infinitesima che si compie sarà
mentre è negativa se sta uscendo, il contrario avviene per il lavoro fatto dal sistema, sarà
negativo se entra e positivo se esce, cioè se è il sistema che lo sta facendo sull’ambiente.
Il modo per dare concretezza al campo elettromagnetico di cui abbiamo parlato fin ora è il
teorema di Poynting perché questo ci mostra che gli si può attribuire un’energia e dunque questo
campo interagisce con l’esterno, compie un lavoro ed è in questo modo legato sia alla meccanica
che alla termodinamica, il teorema di Poynting cioè ci dirà come si scrive questa energia.
L’energia è una funzione di stato, dunque conoscendo lo stato del sistema possiamo determinare
che energia ha il sistema: è ragionevole pensare che l’energia debba essere una funzione di stato
perché lo stato è l’insieme di informazioni che in un certo istante hanno tutta la memoria passata
che serve a determinare l’evoluzione futura del sistema, e anche se sappiamo l’energia possiamo
dire che cosa succederà al sistema dato che ha a disposizione una certa energia. Notiamo anche
una cosa importante riguardo al primo principio della termodinamica scritto prima, mentre è
una funzione di stato essendo un’energia, gli scambi di energia e non sono funzioni di stato,
ecco anche il motivo per cui si indica anziché il simbolo di derivata.
Nella termodinamica classica si dice che l’energia è una grandezza estensiva, cioè l’energia
complessiva di più sistemi si può calcolare come somma delle energie dei singoli sottosistemi, in
realtà però questo non è proprio vero perché c’è sempre un termine di interazione tra i sistemi
che si trascura facendo in questo modo.
Per enunciare il teorema di Poynting mettiamoci come prima cosa nel dominio del tempo,
consideriamo un dominio limitato o meno dello spazio che abbia con una certa normale uscente
e ci consideriamo l’identità di Poynting che scriviamo in forma integrale supponendo di avere un
mezzo normale non dispersivo nel tempo: siamo cioè nelle ipotesi nelle quali abbiamo enunciato i
due teoremi di unicità nel dominio del tempo e in queste condizioni abbiamo dimostrato che
bastano le condizioni iniziali date sui campi elettrico e magnetico per descrivere lo stato del
53
sistema, perciò l’energia si calcolerà in qualche modo sapendo il campo elettrico e il campo
magnetico nel volume considerato istante per istante; l’identità di Poynting è

ma è facile far vedere che vale anche

e perciò non c’è bisogno di fare ipotesi sul mezzo, in ogni caso noi iniziamo a dare l’interpretazione
fisica facendo le ipotesi sul mezzo e in seguito vedremo cos’altro possiamo dire.
Innanzitutto diciamo che nell’identità compare il vettore di Poynting che è la quantità

poi ci cominciamo a considerare i termini

Per interpretarli ci ricordiamo che il campo elettromagnetico esercita una forza sulle cariche che è
la forza di Lorentz

e la carica si muove sotto l’azione di questa forza lungo una traiettoria, non lungo una curva
arbitraria perché il cammino è forzato in dipendenza da come agisce il campo su di essa. La forza
che abbiamo scritto in realtà può andare sia dal campo alla carica che dalla carica al campo perché
le cariche in movimento emettono anche loro un campo elettromagnetico.
In ogni caso in questo processo si sta erogando una certa potenza istantanea

dove è il vettore velocità della carica, perché se consideriamo il lavoro fatto dal campo o dalla
carica lungo la traiettoria si ha

e siccome la potenza istantanea è la derivata temporale del lavoro si ottiene proprio l’espressione
che abbiamo scritto, chi sta erogando poi questa potenza dipende dal segno, ad esempio sarà
positiva se la sta erogando il campo e negativa in caso contrario.
Introduciamo a questo punto la densità per unità di volume di forza di Lorentz, che ci serve per
poter avere un punto di vista locale, e sarà

La densità di forza di Lorentz si misurerà come ovvio in , il discorso che si fa per introdurla è
quello già visto per la densità di corrente elettrica e perciò non lo ripetiamo, dobbiamo solo capire
perché escono quei due termini: è chiaro che passando alla forma locale la carica diventa una
densità di carica e perciò

analogamente nel secondo termine deve accadere che

dove è il “campo velocità”.

54
Facciamo una piccola digressione su questo campo velocità perché ci servirà per quello che
dobbiamo dire ora, l’approccio a questa questione è Euleriano nel senso che si descrive il
fenomeno andando ad indicare la velocità in un punto in ogni istante dell’oggetto che passa in
quel punto in quell’istante, per questo noi scriviamo

e cioè abbiamo un campo; la cosa è contrapposta invece all’approccio Lagrangiano che descrive il
fenomeno dal punto di vista della velocità andando a seguire l’oggetto in tutto il suo moto e per
questo in questo caso dovremmo scrivere

I due modi per scrivere la velocità chiariscono bene qual è la differenza, tornando a noi dobbiamo
riuscire ora a capire perché

per poter giustificare la formula della densità di forza di Lorentz scritta.


Immaginiamo che il moto si svolga solo lungo l’asse , poi potendo fare il ragionamento
analogamente anche per le componenti e possiamo dimostrare questa cosa per ogni vettore
dello spazio tridimensionale, consideriamo anche una superficie che ha come normale e
abbiamo allora

è la quantità di carica che passa attraverso la superficie nell’unità di tempo per cui si ha

La carica che passa nel tempo sarà in un volume cilindrico che ha come base e come altezza
se è la velocità delle cariche, per questo possiamo scrivere

e abbiamo così mostrato, eguagliando le due cose scritture, che

Ragionando componente per componente abbiamo cioè mostrato

e perciò

A partire dalla densità di forza di Lorentz possiamo scrivere la densità di potenza come

dove l’ultimo passaggio è giustificato dal fatto che un prodotto misto con due vettori uguali è
nullo, allora abbiamo trovato che .
Integrando su un volume si ha la potenza

e allora i due termini che compaiono nell’identità di Poynting sono rispettivamente la potenza che
le sorgenti impresse forniscono al campo quando

55
altrimenti sarà la potenza che il campo fornisce alle sorgenti, poi l’altro termine è la potenza che
se positiva è quella che il campo fornisce alle sorgenti indotte ed è il termine

Siccome questo ultimo termine è sempre non negativo se consideriamo che

questa è sempre la potenza che il campo fornisce alle sorgenti indotte e infatti ci deve essere
sempre questa dissipazione di energia da parte del campo nei confronti delle sorgenti altrimenti il
campo potrebbe pure non dover alimentare le sorgenti, cosa che sappiamo non essere vera
altrimenti il campo accenderebbe solo le sorgenti e poi potremmo pure toglierlo.
Questa potenza tra l’altro è dissipata per effetto Joule, cioè è poi visibile nel fatto che ad esempio
si scaldano i fili della corrente, e così deve essere perché deve valere la conservazione dell’energia:
c’è da dire che questa energia dissipata non diventa inutilizzabile, si potrebbe anche usare il calore
per scaldare ad esempio dell’acqua e il vapore può essere sfruttato per generare il campo, ma
comunque bisogna passare sempre attraverso questo meccanismo se non vogliamo dissipare tutto
sotto forma di calore e in questo processo sempre ci sono delle perdite.
Siccome abbiamo capito che il teorema di Poynting è una riscrittura del principio di conservazione
dell’energia cerchiamo di capire chi sono gli altri termini partendo da questi che ora sappiamo
cosa vogliono dire, in realtà però non possiamo capire contemporaneamente chi sono entrambi i
termini rimasti e perciò useremo un trucco: cominciamo a riscrivere l’identità moltiplicando per

Facciamo scomparire il flusso del vettore di Poynting considerando di prendere come volume tutto
lo spazio, la frontiera allora va a finire nell’intorno dell’infinito dove il campo è nullo se le sorgenti
sono state accese al finito e sono in un dominio limitato: facendo questo otteniamo

e possiamo notare le analogie con

anzi possiamo proprio dire che nel nostro caso è

poi

e perciò l’energia del campo elettromagnetico sarà

È possibile che questa sia l’energia perché già sappiamo che il campo magnetico ed elettrico
forniscono lo stato del sistema e l’energia deve essere una funzione di stato.
Prima di andare avanti facciamo un piccolo cenno alle unità di misura:

56
Anche dimensionalmente si può vedere che l’ultimo integrale considerato ha proprio le dimensioni
di un’energia, cioè (Joule): la densità di energia sarà allora

e abbiamo ritrovato tra l’altro la stessa espressione che già conosciamo nel caso statico che è
somma di un’energia associata al campo magnetico e quella del campo elettrico.
Se ora torniamo a considerare un volume al finito possiamo vedere che succede se è presente
pure il flusso del vettore di Poynting: questo starà ad indicare una certa energia trasportata dal
campo elettromagnetico che esce dal volume attraverso la sua frontiera e il segno ci dice pure se
l’energia esce o entra da questo volume, per cui l’energia uscirà dal volume se

Questo ci spiega pure perché il campo elettromagnetico può essere usato per cuocere, come
succede nel forno a microonde, infatti è possibile emettere una determinata potenza che poi agirà
sull’oggetto da cuocere andando per esempio a mettere in agitazione l’acqua che sta in questo
cibo perché viene fornita potenza alle sorgenti della densità di corrente avendo l’acqua una buona
conducibilità : questo spiega anche perché invece il piatto non si riscalda.
Possiamo arrivare all’interpretazione del vettore di Poynting perché siccome il suo flusso è una
potenza (si misura quindi in Watt), il vettore è una densità di potenza che si misura in

Anche la parte del flusso in cui c’è è importante per capire come incide il vettore di Poynting.
Dobbiamo notare che il teorema ci ha permesso di dare un’interpretazione del flusso solo lungo
una superficie chiusa, se la superficie è aperta dobbiamo vedere che succede, e inoltre dobbiamo
anche osservare una cosa importante: consideriamoci un vettore

cioè un vettore costruito sommando al vettore di Poynting un vettore indivergente, siccome il


flusso di questo sarà nullo per il teorema della divergenza, abbiamo che possiamo pure sostituire
‘ a e perciò il vettore sembra non essere univocamente definito su superfici chiuse;
considerando invece superfici aperte i due vettori sono diversi perché il teorema della divergenza
non si potrà applicare sulla superficie aperta: ci aiuta allora l’osservazione sperimentale, questa ci
dice che ci permette di calcolare sia la potenza su superficie chiuse che la potenza con superfici
aperte, questa cosa non la permette invece ‘, perciò il vettore di Poynting è univocamente
definito e va bene anche per superfici aperte che non avevamo ancora considerato.
Avendo chiarito grazie al teorema di Poynting il significato fisico dell’identità di Poynting e
scrivendo

possiamo rivedere il teorema di unicità interpretandolo fisicamente.


Diamo invece ora un’interpretazione nel dominio dei fasori, consideriamo dunque un mezzo che è
solo normale, la non dispersività temporale non è richiesta, abbiamo che il vettore di Poynting è

57
Dobbiamo capire perché nel dominio dei fasori il vettore si scrive in questo modo qua, la cosa non
deriva dal fatto che abbiamo trasformato ma è perché ragioniamo con grandezze che sono
mediate su un certo periodo temporale: c’è bisogno di considerare la media perché, se facciamo
riferimento a un bipolo, in questo ci sarà una certa corrente e insisterà una certa tensione istante
per istante, si ha dunque una potenza

e se ad esempio tensione e corrente sono grandezze sinusoidali

è possibile calcolare la potenza istante per istante, ma ai fini pratici questo non interessa, interessa
di più la media e dunque interessa

Nell’ultimo passaggio abbiamo sfruttato le formule di Werner, che derivano dalle formule di
addizione e sottrazione di seno e coseno, per scrivere

Nell’integrale c’è un coseno che ha pulsazione e lo stiamo integrando sul suo periodo che è
, per cui il suo integrale e nullo e abbiamo trovato che

Scrivendola in termini di fasori ci dobbiamo ricordare che

e dunque si ha

In pratica abbiamo scoperto che quando abbiamo grandezze sinusoidali quella che si chiama
potenza attiva è pari alla parte reale della metà del fasore della prima grandezza per il coniugato
della seconda. Esce questo , a differenza di quanto poteva accadere in elettrotecnica, perché
qui stiamo usando la convenzione del valore massimo e non del valore efficace per i fasori.
La quantità

è chiamata potenza complessa, la sua parte reale l’abbiamo interpretata ed è la potenza attiva
fornita al bipolo, dobbiamo ancora capire chi è la sua parte immaginaria e possiamo già anticipare
che questa è quella che è chiamata potenza reattiva.

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Tornando all’identità di Poynting nel dominio dei fasori abbiamo due relazioni

dove il vettore complesso di Poynting è del tipo

e dove abbiamo fatto le ipotesi di un mezzo normale in cui

In base al discorso fatto prima sulla potenza viene da pensare che il termine

è la potenza media, o attiva, uscente dal volume anche se la cosa non è immediata perché siccome
il mezzo è dispersivo nel tempo non sappiamo se si può parlare di potenza media: però il
complementare del volume considerato, che potremmo chiamare , è non dispersivo nel
tempo perché può essere ad esempio il vuoto e dunque noi possiamo invertire il punto di vista
dicendo che questo termine esprime la potenza media che esce da e di conseguenza è pari a
quella che entra in : questo ha risolto il problema perché ora è solo una questione di segni, il
fatto che abbiamo detto che è la potenza media che entra in non vuol dire che la potenza può
solo entrare ma può anche uscire quando la potenza entrante è negativa.
Possiamo dire ancora di più se consideriamo che

e ci andiamo a scomporre il campo elettrico nella sua componente tangente e normale per avere

In questa espressione il secondo termine è nullo perché abbiamo un prodotto misto con due
vettori uguali, potendo ripetere questo ragionamento anche per il campo magnetico si ha

e cioè che per calcolare il flusso del vettore di Poynting servono solo le componenti del campo
elettromagnetico che sono tangenti alla frontiera e questo vale sia che calcoliamo il flusso lungo
che lungo che è la frontiera del volume complementare a : se c’è una superficie di
discontinuità sappiamo anche che, a meno della presenza di una densità di corrente superficiale,
le componenti tangenti si conservano e perciò il flusso è lo stesso sia che viene calcolato sulla
frontiera di immediatamente dentro che dalla frontiera di che è immediatamente fuori il
volume di riferimento: tutto questo ci permette di giustificare rigorosamente il fatto che anche nel
caso di dispersività temporale possiamo interpretare il flusso del vettore di Poynting

come potenza istantanea che esce o entra dal volume, e poi il suo equivalente nel dominio dei
fasori è la potenza media. Questa puntualizzazione era necessaria dato che nel dominio del tempo
noi abbiamo chiamato anche la non dispersività temporale e perciò abbiamo ragionato senza
problemi di potenza istantanea, se c’è dispersività temporale la cosa non era così ovvia.

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Ora passiamo a considerare un altro termine, partendo dal dominio del tempo consideriamo

e passiamo al valore medio scrivendo il prodotto punto, che in questo caso è un prodotto scalare,
per esteso, cioè consideriamo l’integrando

Sappiamo come si calcola il valore medio e perciò si ha

Ora basta integrare sul volume l’ultima quantità ottenuta e abbiamo visto che passando al
dominio dei fasori il valore medio della potenza fornita dal campo alle sorgenti, o dalle sorgenti al
campo, dipende dal segno, è espressa da

Questo ci fa capire che tutta l’identità scritta per la parte reale dell’identità di Poynting esprime la
relazione che c’è tra le potenze medie, o attive, e perciò possiamo dire anche che

è il valore medio di

e cioè della potenza attiva fornita dal campo alle sorgenti impresse, cioè non è altro che è la
potenza media dissipata per effetto Joule. Ci resta solo da discutere chi è

e per farlo partiamo dal considerare nel dominio del tempo l’integrale

che è l’espressione di una parte dell’identità di Poynting in cui non abbiamo sfruttato ancora le
relazioni costitutive per scrivere l’induzione magnetica ed elettrico. A partire da questa
espressione passiamo ai valori medi e sfruttando poi le relazioni costitutive abbiamo:

Lo stesso ragionamento lo facciamo per l’altro termine che coinvolge il campo elettrico e
l’induzione elettrica

e perciò abbiamo mostrato l’ultimo termine che ci resta da analizzare nella parte reale
dell’identità di Poynting con i fasori a quale quantità nel dominio del tempo è legato, per poter
dare l’interpretazione fisica però dobbiamo partire dai termini di cui conosciamo già il significato
fisico, non possiamo fare un’analogia con quello che abbiamo visto nel dominio del tempo dato
che in quel caso abbiamo chiamato anche la non dispersività temporale e perciò sotto questa

60
ipotesi nel dominio dei fasori avremmo avuto : sotto questa ipotesi questo pezzo si
doveva annullare ma non si è annullato andando a mediare dato che il mezzo è solo normale;
considerando dei mezzi passivi e vista l’interpretazione data agli altri termini possiamo dire che

rappresenta potenza dissipata per un meccanismo diverso dall’effetto Joule oppure è energia
immagazzinata, non può essere altro come ad esempio avviene in mezzi non passivi, in quel caso
può succedere che ci sia della potenza presa dal mezzo che poi a sua volta prenderà da altre parti
(questo succede nei laser per esempio).
Scriviamo questo termine nel dominio del tempo in questo modo

dove si intende essere potenza dissipata ma non per effetto Joule, allora stiamo dicendo che
ipotizziamo che questo termine sia composto anche da una parte di energia che viene
immagazzinata e una parte dissipata, poi passiamo ai valori medi e si ha

Se ci andiamo a calcolare

e questa quantità è nulla perché l’energia in questo caso è una quantità che oscilla dato che siamo
in regime sinusoidale, perciò è la stessa in e dopo un periodo : abbiamo trovato che il termine

e questo si accorda con il fatto già detto che e sono legati a dei meccanismi di perdita:
questa potenza si chiama potenza dissipata per isteresi elettrica e magnetica.
In tutti i mezzi, a parte che per il vuoto, compare questo termine perché tutti i mezzi sono
dispersivi nel tempo e perciò chiamare la non dispersività temporale è una forte idealizzazione
dato che si vanno a trascurare queste perdite che non sono affatto trascurabili se non in pochi casi
o in una prima analisi approssimata.
Siccome questa energia è sicuramente dissipata possiamo dire che

come avevamo già anticipato quando era stato necessario sfruttare queste ipotesi nei teoremi di
unicità e abbiamo detto a suo tempo anche che

dato che queste sono la parte immaginaria di funzioni hermitiane: ora possiamo anche capire che
non può essere che così altrimenti avremmo che per pulsazioni negative l’energia non si dissipa.
Cogliamo anche l’occasione per fare un’altra puntualizzazione, nel dominio del tempo,
ricordandoci però che in quel caso chiamiamo anche la non dispersività temporale, abbiamo
sfruttato nel teorema di unicità che la permettività e la permeabilità sono e e ora
possiamo capire il perché: consideriamoci la densità di energia elettromagnetica

61
dobbiamo dire che questa dovrebbe essere definita a meno di una costante perché nell’identità di
Poynting compare differenziata, cioè è come se fosse l’energia interna nell’espressione

per cui una costante non cambierebbe niente, ragionando però in senso classico è ragionevole
supporre che, siccome quando non c’è campo non c’è energia, la costante la possiamo porre
uguale a zero: attenzione che questo è un ragionamento in senso classico, e a noi basta questo,
però nella realtà ci sono degli aspetti da analizzare meglio rispetto alle cose dette; ora supponiamo
per un momento che la costante non sia nulla e che nell’espressione della densità di energia
magnetica siano , ci ritroveremmo in una situazione in cui si compie un lavoro senza che
si spenda energia e questo non è fisicamente possibile, come d’altra parte non è possibile che
perché in questo caso addirittura non solo non spendiamo energia per sostenere il campo
elettromagnetico e riusciamo a compiere con questo un lavoro ma ci prendiamo pure dell’energia,
cioè avremmo a che fare con un processo che crea energia, e questo è impossibile.
Siccome entrambe le cose non sono possibili è chiaro che deve essere

Torniamo alla parte reale dell’identità di Poynting nel domino dei fasori che abbiamo ora
analizzato fisicamente, consideriamo che la pulsazione tenda allo zero, cioè stiamo andando a
finire nel caso statico, e vediamo in questo caso cosa succede a

In questa espressione si ha che

perché con succede che pure e e tutto allora va ad annullarsi, ammenoché i


campi non divergono, ma non consideriamo questo caso. Sappiamo però che anche nel caso
statico si può parlare di un ciclo di isteresi e perciò ci dovrebbe essere anche nel caso statico una
potenza dissipata per isteresi magnetica ed elettrica: le cose sembrano non concordare ma il
problema sta nel fatto che quando si ha un ciclo di isteresi quello è un processo non lineare e
perciò non valgono tutte le considerazioni che stiamo facendo venendo a mancare la linearità.
Ora passiamo ad analizzare la parte immaginaria dell’identità di Poynting con i fasori, dobbiamo
cioè interpretare

Il flusso della parte immaginaria del vettore di Poynting la chiamiamo potenza reattiva che il
campo trasporta fuori dal volume, il termine a secondo membro invece è la potenza reattiva che si
scambiano il campo e le sorgenti impresse: per ora resta solo un nome il fatto di chiamare questi
termini “potenza reattiva”, tra un attimo spieghiamo meglio la cosa.
Ci resta da interpretare il termine

e supponiamo per un momento di chiamare anche la non dispersività temporale, ragion per cui
abbiamo e , poi vedremo cos’altro possiamo dire.
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Sappiamo che nel dominio del tempo abbiamo in questo caso l’energia del campo
elettromagnetico che dividiamo in energia del campo magnetico e energia del campo elettrico
, cioè scriviamo

Passiamo ai valori medi per vedere se le quantità che abbiamo nel dominio dei fasori sono i valori
medi di queste due energie

Analogamente abbiamo

Allora scriviamo:

dove con e abbiamo indicato rispettivamente l’energia magnetica ed elettrica media:


ricordiamoci pure che nella soluzione risonante l’energia magnetica ed elettrica sono uguali e in
questo caso la loro differenza sarebbe nulla.
Analizziamo ora meglio

abbiamo detto che questa è la potenza reattiva scambiata dal campo con le sorgenti impresse e
ora possiamo dire meglio questo cosa vuol dire: facciamo il discorso ipotizzando che il campo
fornisca energia alle sorgenti, poi sappiamo che dipende dal segno chi sta dando energia e chi la
sta ricevendo, in generale le sorgenti possono prendere più energia di quella che serve in un certo
periodo, la potenza attiva ci fa capire in quel periodo quanta energia è stata usata perché è
appunto la potenza media dissipata nel periodo, quando però è stata richiesta più energia di
quella che effettivamente serviva dopo bisogna tornare indietro questa energia; praticamente
stiamo dicendo che mentre la potenza attiva indica quanta energia viene usata la potenza reattiva
ci fa capire come avvengono questi scambi energetici tra campo e sorgenti, o ad esempio tra
generatori e componenti vari di un circuito.
Il bilancio energetico c’è in ogni caso perché l’energia presa in più poi viene ritornata e dunque
sembra che tutto sia “in regola”, pensiamo ad esempio che non ci sia la parte con e abbiamo
che la differenza tra energia media del campo elettrico e magnetica ci indica quanta di questa
potenza, che ora chiamiamo reattiva essendo consapevoli di cosa vogliamo dire, viene scambiata.
Il problema però è che nel fare questi scambi una parte di energia viene inevitabilmente dissipata
e perciò se le sorgenti richiedono al campo molta più energia di quella che poi sfruttano per poi
tornare indietro quella che non serve si ha uno spreco inutile di energia che tra l’altro porta anche
ad altri problemi, come ad esempio il surriscaldamento dei fili di collegamento se parliamo di linee
di trasmissione: questo è il motivo per cui si rende necessario il rifasamento e si cerca di annullare

63
la potenza reattiva, per cui anche se ci sembra che non ci importa niente della potenza reattiva
data che mediamente è nulla questo è un termine molto importante.
Per capire meglio andiamoci a considerare la potenza complessa

c’è una parte di potenza attiva che è

e una parte reattiva che è

Possiamo vedere nella figura a lato la rappresentazione di queste energie


e ci accorgiamo che la migliore configurazione è quella in cui la corrente e
la tensione sono paralleli perché la potenza attiva non cambia, e questo è
necessario, la potenza reattiva invece è proprio nulla. Possiamo scrivere

e in elettrotecnica in genere basta rifasare mettendo un


capacitore in modo che , a noi serve che il
coseno sia proprio unitario.
Tra l’altro è importante rifasare anche perché in questo
modo diminuiamo il modulo della corrente a parità di
potenza attiva e questo è utilissimo oltre che per una
questione di potenza anche perché se il valore picco-picco è alto è più difficile riuscire a generare
un’onda del genere, di certo è più agevole avere un campo che generi una corrente che ha
ampiezza piccola.
Il discorso fatto ci permette anche di capire che la parte con il flusso della parte immaginaria del
vettore di Poynting rappresenta la potenza reattiva attraverso la frontiera come avevamo detto.
Abbiamo ragionato nel caso in cui ci sia anche la non dispersività temporale, dobbiamo rimuovere
questa ipotesi però perché noi interpretiamo l’espressione per un mezzo che è solo normale: in
questo caso la differenza è che si parlerà di pseudoenergie per riferirsi a e perché ci sono
parti di energia che non sono di campi elettromagnetici.

Relazioni di dispersione

Dobbiamo introdurre ora delle relazioni riguardanti la permettività elettrica e la permeabilità


magnetica che vanno sotto il nome di relazioni di dispersione o anche di Kramers-Kronig e che
servono a legare la parte reale e immaginaria rispettivamente di e per poterne dare
un’interpretazione fisica.
Consideriamo un mezzo normale, sappiamo che

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analogamente possiamo scrivere la relazione che lega campo magnetico e induzione magnetica,
consideriamo però solo la prima e ragioniamo su questa, il ragionamento si può ripetere poi per
l’altro caso: passiamo nel dominio trasformato applicando la trasformata di Fourier e si ha

dove ci ricordiamo che

Possiamo omettere la dipendenza dallo spazio perché un mezzo normale è anche non dispersivo
nello spazio e perciò facciamo un ragionamento punto per punto.
Se consideriamo

dobbiamo fare obbligatoriamente una trasformata nel senso delle distribuzioni perché

e questo succede perché se sollecitiamo troppo il mezzo, cioè a una frequenza molto alta, il mezzo
non riesce a polarizzarsi: dunque all’infinito questa funzione non si annulla e perciò non è
sommabile, ragion per cui è evidente che la permittività nel dominio complesso è risultato di una
trasformata che non è fatta in senso ordinario siccome

trasforma funzioni sommabili in funzioni sommabili.


Possiamo capire che abbiamo delle distribuzioni in gioco considerando che:

dove il vettore è il vettore di polarizzazione elettrica e se il mezzo è normale vale che

dove , o anche , si chiama suscettività elettrica. Se il mezzo visto come sistema è stabile, la
funzione di trasferimento deve essere sommabile per cui è possibile trasformarla in senso
ordinario.
Grazie alle considerazioni ora fatte abbiamo che

cioè sfruttando la delta di Dirac siamo riusciti a portare tutto sotto un unico integrale e allora la
è una distribuzione perché è pari a

e si può vedere anche che se trasformiamo e portiamo la pulsazione all’infinito viene proprio .
Siccome non vogliamo lavorare con le distribuzioni l’idea e quella di togliere almeno all’infinito,
ci consideriamo dunque una permittività che possiamo chiamare normalizzata del tipo

65
e siccome all’infinito questa si annulla possiamo pure dire che deriva da una trasformata fatta in
senso ordinario.
Detto questo procediamo a dimostrare le relazioni di Kramers-Kronig e vedremo che la
considerazioni fatta poco fa sarà molto importante: conosciamo la formula di Cauchy

In realtà la formula corretta prevede di moltiplicare per il numero di cicli, cioè per il numero di
volte che gira intorno al punto che rappresenta la singolarità della funzione integranda,
perché se non sta nel ciclo l’integrale deve venire nullo, come sappiamo dato che una
funzione olomorfa in campo complesso ha integrale curvilineo nullo per il teorema di Cauchy.
Scriviamoci la formula come

e prendiamo la parte reale e la parte immaginaria di questa relazione, supponendo che la quantità

sia reale, si avranno due relazioni che sono

la quale ci permette di ottenere la parte immaginaria di conoscendo la parte reale di e


poi si ha pure

Queste relazioni quindi legano parte reale e immaginaria delle due quantità e e questo
sarà utile anche per le nostre relazioni di dispersione che vogliono fare proprio questo, legare pare
reale e immaginaria ad esempio della permittività elettrica.
Cominciamo con il considerare

L’ultimo passaggio è giustificato dal fatto che consideriamo l’impulso che determina la risposta
impulsiva come applicato nell’origine e a causa del principio di causalità deve essere

perché la risposta impulsiva non può precedere l’arrivo dell’impulso.


Detto questo vogliamo passare alla trasformata di Laplace unilatera e per farlo basta notare che

Possiamo allora andarci a considerare che è una funzione analitica nel semipiano di
convergenza, ed è pure olomorfa dato che siamo nel campo complesso, per questo facciamo i
ragionamenti su e poi non è altri che la sua restrizione all’asse immaginario.

66
È importante capire chi è l’ascissa di convergenza, in generale è

nel nostro caso sicuramente c’è la convergenza sull’asse immaginario perciò almeno e il
piano di convergenza è almeno tutto il semipiano complesso destro, a sinistra dell’asse
immaginario non sappiamo e non possiamo sapere che succede quindi non possiamo lavorarci.
Possiamo anche notare che se con la funzione considerata è infinitesima perché
stiamo trasformando in senso classico.
Le relazioni di Kramers-Kronig si ottengono con un ragionamento analogo a quello della formula di
Cauchy, l’idea ora è far comparire una singolarità nella funzione che sarà integrata sul ciclo
mettendo apposta un polo, però la differenza è che nel nostro caso il polo sarà sulla frontiera del
ciclo dato che questo polo deve comparire sull’asse immaginario e dobbiamo avere

Attenzione che non ha già poli sull’asse immaginario di suo perché è una funzione continua
essendo la trasformata di una funzione sommabile.
Il problema ora riguarda come scegliere il ciclo sul quale applicare la formula di Cauchy, le figure
sotto ci fanno capire che un ciclo tipo il primo non è possibile prenderlo perché non si
comprenderebbe la singolarità, come il secondo nemmeno perché non possiamo andare nel
semipiano sinistro, l’unica possibilità è considerare il ciclo che vediamo nella terza figura.

Scegliendo il terzo ciclo però non possiamo applicare la formula di Cauchy così come la
conosciamo perché abbiamo una singolarità sulla frontiera allora l’idea è di escludere questa
singolarità prendendo un ciclo tipo il primo ma centrato nella singolarità, poi si porta il raggio
piccolo ad annullarsi per avere un ciclo tipo il terzo nella figura e noi porteremo anche il raggio
grande all’infinito in modo da considerare tutto il semipiano destro del piano complesso: si
potrebbe vedere che succede facendo questa cosa sfruttando il teorema del piccolo e del grande
cerchio, ma noi useremo un metodo diverso che non sfrutta questo teorema.

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Prendiamo un ciclo come in figura orientandolo in modo che il
cerchio grande segua il senso orario, per cui il piccolo deve seguire il
senso antiorario, possiamo scrivere

perché abbiamo l’integrale curvilineo di una funzione analitica in


campo complesso. Sviluppiamo l’integrale e abbiamo

e questo vale qualsiasi sia e per cui se facciamo tendere il raggio grande all’infinito e il piccolo
a zero succede che

dato che diverge con ordine di infinito “uno” divergendo la , anche diverge con lo
stesso ordine e si bilanciano ma rimane che è infinitesimo all’infinito e fa annullare questo
integrale: in questa ultima cosa detta è cruciale che la trasformata è in senso ordinario altrimenti
non avremmo potuto fare questo ragionamento ed è per questo che è necessario definire una
permittività normalizzata in questo modo. Invece se facciamo

perché se il cerchio fosse completo verrebbe , dato che è il cerchio è a metà dobbiamo
mettere e poi il residuo è in questo caso

A seguito di questo ragionamento il limite sull’integrale curvilineo si riduce a

Ci resta da vedere che succede nella parentesi: siamo sull’asse immaginario e possiamo allora
mettere al posto di , questo è un cambio i variabile ai fini dell’integrale per cui nella quantità
integranda si mette in evidenza un e ci sono delle semplificazioni, poi cambiano pure gli estremi
di integrazione e otteniamo

Considerando il limite che sta portando il raggio grande all’infinito e il raggio piccolo ad annullarsi
questo integrale viene

però dobbiamo stare attenti che questo non è un integrale proprio, è un valor principale perché
dobbiamo per forza fare prima la somma e poi passare al limite, se facessimo prima i limiti
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distribuendo il limite che sta fuori la parentesi sulle due quantità, per andare poi a sommare in un
secondo momento, l’integrale divergerebbe.
Abbiamo trovato

dove è la trasformata di Laplace ristretta all’asse immaginario, cioè è la trasformata di


Fourier e possiamo scrivere

Ora scindiamo la parte reale e immaginaria come abbiamo fatto vedere prima nel caso generale,
scriviamo dunque

siccome poi a noi interessano più in termini di che in termini di basta ricordarsi che

e abbiamo concluso. Queste due relazioni fanno vedere che la perdita e la dispersione, in
particolare ora ci riferiamo alla dispersione temporale, sono meccanismi profondamente legati,
anzi sono due manifestazioni della stessa cosa: se infatti ci mettiamo in un caso in cui non ci sono
perdite abbiamo che la parte immaginaria della permettività si annulla perché abbiamo detto a
suo tempo che , e pure , sono legati alle perdite del mezzo e dunque viene

Questa cosa ci dice chiaramente che

e dunque è scomparsa la dipendenza da , cosa che vuol dire che non c’è dispersività temporale.
Nel caso inverso invece in cui non abbiamo dispersività temporale scompare la dipendenza dalla
pulsazione e siccome si ha una quantità costante può uscire dall’integrale e otteniamo

Possiamo ripetere questo ragionamento per l’altra relazione e trovare

perciò, siccome parte reale e immaginaria della permittività normalizzata sono nulle, abbiamo

Concludendo, senza perdite la permeabilità viene reale e indipendente da : questa


approssimazione abbiamo detto che in generale è grave perché trascuriamo quantità non
trascurabili, l’approssimazione in generale la possiamo fare quando la parte immaginaria della
permeabilità è piccola rispetto alla parte reale e cioè quando

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Il rapporto tra parte immaginaria e reale della permeabilità si chiama tangente di perdita ed è il
modulo di questa quantità che discrimina se possiamo fare l’approssimazione pensando che non ci
siano perdite: questo potrebbe non accadere per tutte le frequenze, in generale si considera la
permeabilità praticamente reale in un intervallo di frequenze, cioè in una banda, chiamata finestra
di trasparenza e diciamo che in questa banda la radiazione, che poi capiremo cos’è, passa sempre.
Anche il concetto di memoria è legato alle perdite perché la memoria ci dice cosa viene prima e
cosa viene dopo, la stessa cosa la possiamo capire se andiamo ad osservare le perdite perché
riusciamo ad accorgerci che una cosa viene dopo quando il sistema ha perso potenza: di
conseguenza un mezzo con memoria è anche dispersivo temporalmente come avevamo detto già
e come doveva essere visto che abbiamo trovato che la dispersività è legata alle perdite.

Polarizzazione di un vettore sinusoidale

Continuiamo a ragionare a regime sinusoidale, perciò anche con i fasori, e consideriamo il campo
elettrico, poi gli stessi discorsi si possono sempre ripetere per il campo magnetico; mettiamoci in
un punto per omettere la dipendenza dallo spazio e scriviamo il campo componente per
componente in questo modo

Stiamo considerando dunque un campo sinusoidale che abbiamo scritto nel dominio del tempo e
poi anche nel dominio dei fasori, in particolare possiamo scrivere nel dominio dei fasori il vettore

di cui possiamo dividere anche la parte reale e immaginaria di ogni componente per ottenere

Se consideriamo un campo del genere, avendo fissato il punto siccome abbiamo fissato il vettore
posizione che identifica la posizione del campo nello spazio, possiamo dire che con il passare del
tempo c’è solo un estremo libero del vettore . che può variare e
tracciare una curva: la forma di questa curva è legata a quella che si chiama
polarizzazione.
Possiamo dire di più su questa curva che traccia il campo elettrico, questa
sicuramente è chiusa perché la funzione campo elettrico è periodica di
e inoltre è obbligatoriamente una curva piana che si sviluppa in
quello che è chiamato piano di polarizzazione perché . si muoverà nel
piano che generano i due vettori e dato che questi due sono la parte
reale e immaginaria del campo nel dominio dei fasori e dunque lo individuano in modo completo
siccome un vettore complesso è individuato dalla sua componente immaginaria e reale: fatta
questa osservazione ci conviene allora scegliere le coordinate cartesiane e in modo che questo
piano coincida con il piano di polarizzazione e in questo modo facciamo scomparire perché
è ortogonale al piano di polarizzazione e non ci saranno variazioni lungo questa coordinata.

70
Vogliamo cercare anche di togliere la fase di uno dei due, possiamo farlo ad esempio togliendo
se consideriamo un certo e trasliamo in questo modo l’origine dei tempi perché
tanto al fenomeno non interessa in che istante iniziamo a contare: facendo questa cosa otteniamo

Ora basta scegliere in modo che

e cioè scegliamo

in modo che nella prima scompare la fase, nella seconda al posto della fare viene la differenza
delle fasi che chiameremo e otteniamo

Questa è l’equazione parametrica della curva con parametro e visto che siamo riusciti a scrivere
questa formula ci siamo semplificati molto il lavoro per arrivare all’equazione algebrica dove si
elimina la , cioè dove scompare la dipendenza dal parametro. Il modo più comodo per trovare
l’espressione algebrica è considerare che sicuramente , o almeno uno dei due è non
nullo altrimenti stiamo parlando del campo nullo, allora possiamo scrivere

dopodiché considerando la seconda portiamo i coseni al primo membro ed eleviamo al quadrato

Il seno quadro lo scriviamo in termini di coseno e sfruttiamo la prima equazione per avere

Questo è il metodo più veloce e pratico, non conviene invece far comparire l’arcocoseno perché
non riusciremo ad analizzare la situazione, aggiustando un po’ quello che abbiamo ottenuto si ha

e ancora

Questa è un’equazione del tipo

cioè una conica e si può vedere in particolare che è un’ellissi che per mezzo del termine non è
detto che abbiamo asse maggiore e asse minore lungo gli assi e ma sarà ruotata in generale: la
71
curva può girare in due sensi, parleremo allora di polarizzazione destrorsa e polarizzazione
sinistrorsa e facciamo attenzione che quando diciamo che può girare intendiamo che questo
accade nel dominio del tempo, se stessimo parlando di fasori non si muoverebbe niente.
Ci sono due casi particolari di interesse che sono il caso della polarizzazione lineare e quello della
polarizzazione circolare: come fanno capire già i nomi questi si hanno nei due casi in cui l’ellisse
degenera in un segmento o in un cerchio; l’importanza della polarizzazione sta nel fatto che
bisogna conoscerla per riuscire a prendere il segnale, in particolare la polarizzazione lineare e
circolare sono quelle che vengono usate per le onde che portano il segnale televisivo tramite
digitale terrestre o satellite.
Concentriamoci sulla polarizzazione lineare, questa si verifica quando

perché in questo caso l’equazione algebrica della curva diventa

e l’equazione ottenuta è proprio quella di una retta perché è

dove il segno ci dice anche se le componenti del campo sono in fase o in controfase.
Ora invece vediamo il caso di polarizzazione circolare, si ha una degenerazione dell’ellisse quando

La condizione sull’angolo si esprime anche dicendo che le componenti sono in quadratura e questa
può essere sia in anticipo che in ritardo a seconda del multiplo di considerato: ce ne sono due in
particolare, una in anticipo e un'altra in ritardo, perché abbiamo che la polarizzazione può essere
sia destrorsa che sinistrorsa. Con queste condizioni l’equazione diventa

che è l’equazione di una circonferenza di raggio .


Abbiamo già detto che non si possono annullare insieme e e si può vedere facilmente
grazie all’equazione che se si annulla si ha una polarizzazione lineare lungo l’asse , se si
annulla si ha una polarizzazione lineare lungo l’asse , tra l’altro questo è anche ovvio perché
se si annulla uno di questi due si annulla anche la rispettiva componente del campo così come
l’abbiamo scritto all’inizio e dunque il campo ha una sola componente sinusoidale che oscilla.
Possiamo allora concludere dicendo che si ha polarizzazione lineare se si verifica una delle
seguenti condizioni:

Tutte e due le componenti non si possono annullare e perciò nella condizione sulla polarizzazione
circolare scriviamo semplicemente

senza dover necessariamente scrivere che sono non nulli.

72
Propagazione libera
Onde piane: definizione e rilevanza

Iniziamo ora a vedere la prima soluzione dell’equazione di Maxwell ed è dunque anche la prima
volta che possiamo vedere com’è fatta praticamente una soluzione dato che fin ora ne abbiamo
discusso solo in generale.
Cominciamo da quella più semplice possibile: consideriamo un mezzo normale e che non ci siano
sorgenti impresse e scriviamo le equazioni nel dominio trasformato in questo modo

Le altre due equazioni non è necessario scriverle perché possono essere ricavate dalle prime due
facendone la divergenza, infatti sfruttando che il rotore è indivergente si ha

e analogamente per l’altra.


Un’altra cosa da notare è che non abbiamo scritto nemmeno le sorgenti indotte, non perché non
ci siano ma perché è possibile inglobare il contributo della conducibilità nella permittività
introducendo il concetto di permittività equivalente, infatti abbiamo

e definiamo

Quello che cambia è la parte immaginaria della permettività dato che la conducibilità e la
pulsazione sono quantità reali e questo fatto è cruciale perché la parte immaginaria della
permittività sappiamo che è legata ad un meccanismo di perdita, siccome anche la conducibilità è
un meccanismo di perdita tutto il ragionamento è sensato; inoltre possiamo anche dire che a
questa parte immaginaria si aggiunge un pezzo che ha lo stesso segno perché è

e sappiamo che

Grazie a questo vale il teorema di Poynting pure se usiamo la permittività è quella equivalente
dato che non si va a modificare l’ipotesi che la parte immaginaria della permittività deve essere
equivalente.
Un problema che ci poniamo ora è però capire come accorgersi che la perdita è legata al
meccanismo di isteresi piuttosto che alla conducibilità: per capirlo basta notare che nella
permittività equivalente la parte legata alla conducibilità compare divisa per la pulsazione e perciò
il contributo che porterà sarà un andamento iperbolico in funzione della pulsazione, inoltre ci sarà
pure un polo in , polo che non ci sarebbe nel caso la permittività non fosse quella equivalente
perché è trasformata di una funzione sommabile e perciò è continua; è possibile dunque
accorgersi in vari modi se la permittività considerata è quella equivalente o meno, di solito quello
che conviene vedere è se c’è l’andamento iperbolico di cui abbiamo detto, cioè vedere se per
la permittività equivalente diverge.
73
L’introduzione di questa porta anche un altro vantaggio, se ci andiamo a considerare

e ci ricordiamo che l’equazione di continuità nel dominio trasformato è

possiamo pure vedere che

e dunque la terza equazione di Maxwell diventa

e anche in questa equazione abbiamo inglobato le sorgenti indotte sfruttando il concetto di


permittività equivalente.
Attenzione che nel ragionamento dove abbiamo sfruttato l’equazione di continuità nel dominio
dei fasori non potevamo sfruttare la relazione

riportata al dominio dei fasori perché questa è una relazione meccanica e perciò non può essere
inclusa nelle equazioni di Maxwell come invece può essere inclusa l’equazione di continuità che si
ricava dalle equazioni di Maxwell, inoltre nel dominio dei fasori ci sarebbe una convoluzione se
trasformiamo quella relazione perché nel dominio del tempo abbiamo un prodotto.
Detto questo torniamo al sistema che dobbiamo risolvere e scriveremo sempre per indicare la
permittività anche se è equivalente, per risolverlo aggiungiamo anche l’ipotesi di omogeneità
spaziale così da avere

Per semplificare ulteriormente la soluzione del sistema vorremmo cercare di avere derivate totali
anziché parziali, proviamo allora a cercare una soluzione del tipo

cioè supponiamo che il campo vari solo lungo un asse che per esempio sarà l’asse : in realtà se
sfruttassimo pure l’omogeneità spaziale scopriamo che basterebbe fissare che uno dei due campi
vari lungo un solo asse e l’altro dovrà variare di conseguenza solo sullo stesso asse perché ad
esempio possiamo considerare

e si vede che se il campo elettrico è funzione solo di anche il campo magnetico deve esserlo nel
caso in cui la permeabilità non dipenderebbe da . Con la posizione fatta calcoliamoci il rotore

calcoliamo poi il rotore del campo magnetico allo stesso modo e otteniamo

74
dopodiché si sostituiscono i due risultati rispettivamente nella prima e nella seconda equazione di
Maxwell, poi scriviamo il campo non in forma compatta come vettore ma componente per
componente e quello che si ottiene è

e il primo insieme di equazioni ci dice che se il campo elettrico varia solo lungo , asse che si
chiama direzione di propagazione e poi capiremo meglio il perché, allora il campo magnetico è
nullo su quest’asse per cui le onde magnetiche di questo tipo sono trasverse alla direzione lungo la
quale si propaga il campo, anzi possiamo dire che tutto il campo elettromagnetico è trasverso alla
direzione di propagazione perché dalla seconda equazione abbiamo ottenuto che pure il campo
elettrico è ortogonale a questa direzione.
Fatte queste considerazioni possiamo riscrivere due sistemi di equazioni in questo modo

e ci concentriamo sulla soluzione del primo sistema perché la soluzione del secondo è analoga;
notiamo che ancora dobbiamo sfruttare l’omogeneità spaziale, ci servirà dopo per poter portare
permeabilità e permittività fuori dalle derivate: questo ci fa capire pure che ci potrebbe bastare
supporre solo l’omogeneità lungo perché solo rispetto a questa variabile compaiono le derivate,
in ogni caso però lasciamo l’ipotesi di omogeneità in tutto lo spazio perché certe volte può servire
un’omogeneità più generale.
Abbiamo da risolvere un semplice sistema di equazioni a derivate totali, per farlo ricaviamo prima

e poi sostituiamo questo nella seconda equazione

Notiamo che per ottenere questo risultato abbiamo dovuto sfruttare l’omogeneità. La quantità

è il quadrato di quella che si chiama costante di propagazione e viene definita come

L’equazione

è quella di un oscillatore armonico e sappiamo che le soluzioni si ottengono considerando

cioè prendendo le soluzioni dell’equazione caratteristica associata all’equazione differenziale, che


è omogenea, e ricavando da queste che

75
Le costanti e prendono dei nomi particolari, si chiamano e e capiremo meglio che
questo è legato al fatto che il primo addendo si chiama onda progressiva e il secondo onda
regressiva, cosa che fra poco spieghiamo.
La costante di propagazione in generale è complessa ed è del tipo

perché la permittività e permeabilità, nel dominio trasformato, sono complesse e la loro radice è
complessa. In assenza di perdite si capisce pure che è

perché in quel caso la permittività e la permeabilità hanno parte immaginaria nulla, cioè sono reali
e dunque la radice del loro prodotto che compare nella costante di propagazione è reale.
Consideriamo prima questo caso senza perdite, la soluzione dell’equazione è

Vogliamo vedere in che modo si propaga l’onda, per vedere il movimento però dobbiamo tornare
al dominio del tempo perché sappiamo che nel dominio dei fasori non si muove nulla, otteniamo

con

che riscriviamo in modo diverso sfruttando la parità del coseno:

e poi con ragionamenti analoghi otteniamo pure

Concentriamoci sul primo addendo che abbiamo già chiamato onda progressiva, ora cerchiamo di
capire perché gli abbiamo dato questo nome e per farlo lo riscriviamo in modo diverso
considerando per semplicità , cosa che si può fare facilmente cambiando l’origine dei
tempi o dello spazio, e poi in modo da ottenere

Allora possiamo dire questo, se avessimo considerato avremmo avuto un certo andamento
nello spazio al variare di , considerando abbiamo la stessa onda ma traslata perché è
come se fosse

e questa è la quantità di cui viene traslata rigidamente, perché non ci sono perdite, l’onda in un
tempo pari a : questa traslazione avviene in verso positivo per cui all’aumentare di si segue la
direzione e anche il verso dell’asse ed è giustificato il nome “onda progressiva”. La velocità con la
quale si propaga è detta velocità di fase ed è pari a

e il periodo temporale dopo la quale si ripete l’onda è .


Come già detto se ci fosse lo sfasamento si traslerebbe solo l’inizio e dunque non cambia niente.
Il caso regressivo è lo stesso, facendo le stesse considerazioni si capisce il nome “onda regressiva”
in quanto si vede che al variare del tempo c’è una traslazione rigida che va in verso opposto

76
all’asse di propagazione con la velocità di fase che è la stessa che nel caso di onda progressiva, anzi
si può vedere facilmente che questa è

quindi già qui si tiene conto del fatto che il verso di traslazione è opposto.
Fissiamo invece ora l’istante temporale e vediamo cosa succede rispetto a : anche in questo caso
l’onda è periodica con un periodo che è

e questa prende il nome di lunghezza d’onda.


Dobbiamo però considerare anche il caso in cui ci siano delle perdite, facciamo il conto sull’onda
progressiva e poi per il caso della regressiva è analogo:

Si capisce anche che nel caso di perdite deve essere perché l’onda si deve attenuare e
perciò la costante di propagazione deve avere la parte immaginaria negativa, inoltre non può
essere nulla altrimenti ricadiamo nel caso di assenza di perdite: questo ci dice pure che quando
andiamo a calcolarci la costante di propagazione che è

dobbiamo andare a prendere necessariamente la determinazione della radice con la parte


immaginaria non positiva perché l’altra soluzione è matematicamente possibile ma fisicamente
irrealizzabile, non è possibile infatti avere un’onda che nel tempo si amplifica da sola.
Nella ci sono allora due meccanismi, uno è legato alla propagazione ed è quantificato da e
l’altro è legato alla dissipazione, o attenuazione, ed è quantificato da , uno dei due meccanismi
può essere prevalente rispetto all’altro: in realtà questa distinzione tra i meccanismi non è da
intendere in senso stretto, viene fatta più per capire meglio i vari contributi di attenuazione e
propagazione ma in realtà il meccanismo complessivo è quello che conta.
Dobbiamo però considerare un problema, se il sistema fosse

la soluzione sarebbe la stessa che abbiamo trovato perché se ripercorriamo il procedimento la


costante viene eliminata a seguito di una derivazione, quindi ci sembra che la soluzione che
abbiamo trovato vale per infiniti sistemi che si ottengono al variare di questa costante e tra l’altro
la forma in cui si presenta questo sistema ci fa capire pure che non si tratta di una sistema di
equazioni di Maxwell: ci accorgiamo che stiamo risolvendo il sistema giusto quando, una volta
trovata la , andiamo a ricavare anche le dalla prima equazione e dobbiamo ricavarla
obbligatoriamente in questo modo, se la ricavassimo ad esempio dalla seconda equazione,
sbagliamo: detto questo la soluzione è

77
La quantità che compare fuori dalla parentesi all’ultimo membro è

e cioè è l’inverso dell’impedenza intrinseca del mezzo; cogliamo l’occasione per ricordare qualche
unità di misura che poi ci fa capire anche che i conti sono stati fatti bene, il campo magnetico si
misura in , il campo elettrico in e questo è moltiplicato per per cui
dimensionalmente ci troviamo.
Allora, per concludere, abbiamo risolto il primo sistema e abbiamo trovato:

dove abbiamo definito

La soluzione trovata in questo caso non solo ci dice che i campi elettrico e magnetico sono
ortogonali rispetto alla loro direzione comune di propagazione ma sono ortogonali anche tra di
loro, inoltre ci fa capire che se ci mettiamo su piani con costante i campi sono costanti e perciò
questa soluzione viene chiamata onda piana.
In realtà dobbiamo formulare il concetto di onda piana in modo migliore, si dice che l’onda
progressiva e l’onda regressiva sono onde piane, la loro somma che fornisce poi la soluzione non è
un’onda piana perché nella definizione di onda piana noi vogliamo fare in modo che sia possibile
identificare la direzione e il verso in cui il campo sta andando e siccome la soluzione è somma di
un’onda progressiva che segue il verso di propagazione e un’onda regressiva che va in verso
opposto, identificare il verso non è possibile: solo se la direzione e il verso fossero gli stessi allora
la somma delle onde piane sarebbe a sua volta un’onda piana.
Diamo la definizione generale di onda piana partendo dal considerare il vettore complesso

Che è un campo fatto da un vettore costante rispetto allo spazio, che può essere lungo una
qualsiasi direzione, per un esponenziale in cui non deve comparire obbligatoriamente la direzione
come abbiamo fatto fin ora, dunque ci può essere un esponente del tipo

Nel caso in cui abbiamo trovato la soluzione la direzione di propagazione era e dunque era il caso
particolare in cui

mentre il raggio vettore può essere anche in quel caso scritto in modo generico come

Allora diremo onda piana una soluzione delle equazioni di Maxwell che è del tipo

dove il vettore è costante rispetto al variare della posizione e non della pulsazione.
Bisogna però capire com’è fatto il campo magnetico perché abbiamo dato la definizione solo per il
campo elettrico, inoltre dobbiamo anche capire se ci limitazioni riguardo ai vettori e , che
si chiama vettore di propagazione per distinguerlo dalla costante di propagazione che è scalare.

78
Per ottenere le condizioni che ci servono dobbiamo considerare il fatto che abbiamo che l’onda
piana è soluzione delle equazioni di Maxwell, prendiamo allora la prima equazione e scriviamo il
rotore del campo elettrico come

e questo lo si ottiene sfruttando un’identità che è bene conoscere ed è

dove è un campo scalare, è un campo vettoriale e ci ricordiamo che è il gradiente: l’identità


si può dimostrare velocemente con strumenti matematici che non conosciamo, in ogni caso si
possono fare tutti i conti considerando l’operatore “nabla” in coordinate cartesiane per verificare
questa identità. Facciamo anche attenzione al fatto che noi conosciamo solo il significato di
gradiente di uno scalare, se dovesse uscire il gradiente di un tensore che non è scalare, e cioè in
particolare di un vettore o di una matrice, abbiamo sbagliato qualcosa perché nel nostro corso non
useremo mai queste operazioni che non sappiamo fare.
Siccome è costante rispetto alle variabili spaziali il suo rotore è nullo e perciò nell’identità
scritta ci resta solo il primo addendo che andiamo a sviluppare facendo

Come regola pratica possiamo anche notare che quando applichiamo l’operatore “nabla” alla
quantità esponenziale l’operazione restituisce questo esponenziale dove al posto
dell’operatore ci sta – e avremo modo di notarlo anche dopo: non bisogna prendere questo
come cosa rigorosa ma appunto come regola pratica perché ci fa fare i conti più velocemente,
comunque bisogna stare sempre attenti.
Abbiamo trovato in conclusione

e notiamo che anche qua vale la regola pratica di mettere – al posto di .


Dobbiamo fare un appunto sul vettore di propagazione: siccome questo è complesso non è
possibile parlare di direzione e verso, in genere si vede che la sua parte reale è legata alla
propagazione e la sua parte immaginaria all’attenuazione, come già abbiamo visto per la costante
di propagazione, poi sappiamo pure che i due meccanismi non sono distinti ma comunque la parte
reale sarà un vettore che è legato alla direzione della propagazione mentre il vettore parte
immaginaria sarà legato alla direzione di attenuazione.
Se ora andassimo a ricavare il campo magnetico scopriamo subito che

con

e cioè che anche il campo magnetico deve essere dello stesso tipo, cosa che si intuisce e abbiamo
ricavato velocemente date le relazioni tra campo elettrico e magnetico.

79
Per vedere come si scelgono e consideriamo le prime due equazioni di Maxwell:

La prima l’abbiamo già utilizzata analizzata e infatti ci dice che

come abbiamo già visto, mentre la seconda ci dice

dove stiamo attenti che nella seconda equazione abbiamo sfruttato l’asimmetria del prodotto
vettoriale per invertire l’ordine dei fattori e togliere il segno meno.
Prendendo la prima relazione scritta come

e sostituendo nella seconda abbiamo

poi ci ricordiamo la formula del doppio prodotto vettoriale

e dalla seconda otteniamo che

Siccome

nella seconda parentesi compare un prodotto misto con due vettori uguali che dunque è nullo e
abbiamo trovato la prima condizione di interesse che è

Questo è un prodotto punto, non un prodotto scalare dato che i vettori sono complessi e non
potremmo dire che essi sono ortogonali, però lo diremo comunque in senso improprio. Questa
condizione ce la potevamo aspettare perché sappiamo che c’è ortogonalità tra la direzione di
propagazione e il campo elettrico , in ogni caso qui è improprio sia parlare di direzione, che di
ortogonalità. Si deduce pure che

e questa condizione è equivalente alla precedente perché si può ricavare da quella.


Poi abbiamo pure, dall’espressione che stavamo vedendo prima, che

e questo implica che

perché se ad annullarsi fosse staremmo parlando di campi nulli e noi non siamo interessati alla
soluzione banale. La condizione allora ci dice

e non scriviamo il modulo quadro del vettore complesso perché ancora una volta non abbiamo a
che fare con un prodotto scalare, possiamo invece chiamarlo e ci dobbiamo ricordare che
questa quantità può essere pure negativa avendo a che fare con un vettore complesso.
80
Concludiamo allora dicendo che un’onda piana è una soluzione delle equazioni di Maxwell che
rispetta le condizioni che abbiamo trovato, la cosa importante è che i vettori , e sono
trasversi tra loro, cosa significa poi questo dal punto di vista geometrico dipende perché sono
vettori complessi e non è possibile parlare di direzione e verso.
Se guardiamo al vettore campo elettrico possiamo anche cercare di capire qual è l’andamento
spaziale di un’onda piana, ci aspettiamo ovviamente qualcosa di simile a quello che abbiamo già
analizzato prima di formulare il concetto generale di onda piana

e anche qui compaiono un termine di attenuazione e un termine di propagazione legati alla parte
immaginaria e reale del vettore di propagazione.
Si capisce facilmente che l’ampiezza è costante quando

perché questo termine è legato all’ampiezza ed è un piano perché si può riscrivere questa
equazione in questo modo

e dunque abbiamo un piano con come vettore normale: l’ampiezza è dunque costante su piani
ortogonali a questo vettore che è la parte immaginaria del vettore di propagazione, e questi sono
quelli che si chiamano piani equiampiezza.
Possiamo fare le stesse considerazioni riguardo la fase su

perché questa equazione descrive un piano in cui uno dei vettori normali è la parte reale del
vettore di propagazione e in conclusione possiamo dire che questa equazione ci dice che i piani
ortogonali a sono piani equifase. I vettori parte immaginaria e reale del vettore di propagazione
non sono in generale allineati e perciò l’onda non è costante su piani come nel caso particolare
visto prima, ma avrà ampiezza costante sui certi piani e fase costante su altri.
Vediamo anche se, come ci possiamo aspettare, è legato a perdite e per farlo ci andiamo a
considerare una delle relazioni che caratterizzano un’onda piana scritta come

L’ultimo passaggio è giustificato dal fatto che in assenza di perdite la permittività e la permeabilità
sono reali e hanno dunque solo la parte e , sviluppiamo allora il primo membro e imponiamo
che questo sia reale

da cui ricaviamo che si deve imporre

e perciò in assenza di perdite non è necessario che sia ma ci viene detto solo che il vettore
di propagazione è fatto da due vettori ortogonali: ora abbiamo proprio l’ortogonalità in senso
stretto perché i vettori in gioco sono reali e dunque il prodotto punto è un prodotto scalare.
Si usa parlare di onde piane omogenee quando oppure e dunque capiamo anche che
in assenza di perdite le onde piane non sono necessariamente omogenee, lo sono solo se si
annulla .

81
Facciamo alcune osservazioni per concludere: per trovare questa soluzione particolare delle
equazioni di Maxwell ci siamo messi nell’ipotesi di assenza di sorgenti, però ci dovranno essere
sorgenti fuori al volume considerato che generano il campo; inoltre dobbiamo vedere se sono
soddisfatte le condizioni di Silver-Muller e ci accorgiamo che in questo caso non sono soddisfatte
perché quando il raggio va all’infinito i campi dovrebbero essere infinitesimi almeno del primo
ordine, ma nel nostro caso questo non accade perché basta prendere una qualsiasi direzione
ortogonale a e lì il campo ha ampiezza costante: questo ci fa capire che nelle condizioni in cui
abbiamo enunciato il teorema di unicità le onde piane non sono una soluzione accettabile, anzi in
verità le onde piane non esistono perché per generare onde di questo tipo servirebbero delle
sorgenti illimitate. Vedremo meglio però che queste onde piane servono ad approssimare
localmente delle soluzioni reali pur non essendo queste onde fisicamente realizzabili e poi
vedremo pure che si può fare un espansione in onde piane, cioè sovrapponendo onde piane si può
rappresentare qualsiasi soluzione delle equazioni di Maxwell omogenee (cioè senza sorgenti
impresse) per un mezzo normale e omogeneo spazialmente.
Il discorso fatto sulle onde piane che servono ad approssimare situazioni reali è come quando ci
consideriamo l’antitrasformata di Fourier e scriviamo

Questa funzione viene vista come una somma di funzioni esponenziali complesse pesate in base a
, siccome l’esponenziale di per sé non è un segnale ad energia finita perché non è a quadrato
sommabile è comunque un oggetto ideale, non fisicamente realizzabile, però il fatto che questi
vengono in qualche modo pesati fa sì che si possa rappresentare un segnale reale e vedremo che
la stessa cosa succederà per le onde, anzi ci sarà proprio la trasformata di Fourier in mezzo.

Propagazione di un segnale a banda stretta: velocità di gruppo. Dispersione di un pacchetto d'onda

Cerchiamo di capire ora cosa succede se non siamo in puro regime sinusoidale, si dice anche che ci
mettiamo nel caso non monocromatico per intendere che non c’è una sola sinusoide, un solo
colore; consideriamo nel dominio del tempo la quantità

cioè prendiamo la componente su di un campo fatto di sola onda progressiva che per semplicità
supponiamo si propaghi lungo e lo scriviamo con l’antitrasformata di Fourier, non quella
fasoriale, per esprimerlo in termini di componenti in frequenza; nell’espressione si ha

Da questa antitrasformata possiamo capire che il meccanismo di propagazione funge da filtro


perché nella trasformata di Fourier ogni componente in frequenza del campo, cioè ogni ,
viene pesata con la funzione di trasferimento

82
Se il meccanismo di propagazione funzionasse come un filtro ideale tutto sarebbe invariato in
uscita, anche se con un ritardo perché se non ci fosse questo violeremmo il principio di causalità,
ma nel caso generale di filtro non ideale ci saranno delle distorsioni che cambieranno la forma
della funzione in uscita. In generale non è importante la distorsione di fase quanto quella di
ampiezza, questo perché ad esempio l’orecchio umano non riesce ad accorgersi che c’è stato un
cambiamento nella fase; allora consideriamo che è del tipo

e il meccanismo di propagazione ha dunque una risposta in ampiezza e una in fase: nel caso ideale
dovrà essere perché non dovrà variare l’ampiezza e poi vediamo che deve essere
lineare, infatti in assenza di perdite il filtro sarà ideale, e questo si capisce perché sono le perdite
che portano la distorsione, e d’altra parte se non ci sono perdite è lineare con la fase dato
che e sono reali e indipendenti dalla pulsazione ed è

ragion per cui quello che si vede in uscita è un’onda traslata rigidamente; nella realtà ci sono
sempre perdite, dunque c’è sempre distorsione e questo è un problema.
Nel caso ideale di assenza di perdite è possibile conoscere conoscendo , infatti,
considerando un mezzo normale e non dispersivo nel tempo, il filtro ideale è tale che

siccome

si capisce facilmente che è

e cioè abbiamo, come ci aspettavamo, una replica traslata con una velocità di traslazione

Sappiamo però che un mezzo materiale ha sempre perdite perciò è sempre dispersivo
temporalmente: in particolare se abbiamo un segnale non nullo in una banda in corrispondenza
della quale praticamente la permittività e la permeabilità hanno la parte immaginaria quasi nulla, a
quelle frequenze si può approssimare il caso reale con il caso ideale di assenza di perdite nel
mezzo, in generale però non si può fare. Consideriamo dunque il caso in cui ci sono perdite nel
mezzo materiale ma il segnale sia a banda stretta, che sappiamo voler dire che se è
l’intervallo di frequenze in cui il segnale è diverso a zero si ha

e vogliamo che il meccanismo di propagazione, che ora non può essere assimilato a un filtro
ideale, sia il più ideale possibile: sviluppando con Taylor vogliamo allora che

abbia costante perché la distorsione di ampiezza dà fastidio se si deve antitrasformare, poi


deve essere una funzione lineare di cioè dobbiamo poter sviluppare con Taylor fino al
primo ordine, richiedere che sia proprio costante in generale non è possibile.

83
Notiamo pure che siccome la è la trasformata di una funzione reale fortunatamente ci
possiamo disinteressare delle frequenze negative perché queste vengono già incluse nella formula

e se non fosse così sarebbe stato un bel problema perché se è grande avremmo dovuto fare
uno sviluppo in serie di Taylor che includesse minimo l’intervallo e avevamo poche
speranze che l’approssimazione fatta fosse stata buona.
Facciamo anche una considerazione sulla banda: la banda del segnale è l’insieme delle frequenze
in cui il segnale è non nullo o almeno significativamente non nullo, o anche si potrebbe parlare di
banda in relazione all’energia e dire che la banda del segnale è quell’intervallo di frequenze in cui
c’è una certa percentuale di energia del segnale, percentuale che dipende dall’applicazione di
interesse. Siccome nel tempo i segnali sono sempre a supporto limitato, perché se pensiamo ad
esempio al segnale voce di uno speaker della radio capiamo che non può che essere un segnale
limitato, otteniamo sempre funzioni non limitate nel dominio di Fourier, siccome sappiamo che a
un segnale limitato nel dominio del tempo ne corrisponde uno non limitato nel dominio della
frequenza, tra l’altro se il segnale si annullasse nel dominio della frequenza, siccome la trasformata
è analitica, si annullerebbe identicamente in tutto il dominio: per questo motivo la banda del
segnale sarà un certo intervallo di frequenze in cui è significativo considerare il segnale non nullo.
Fatta questa considerazione, che ci permette di capire che possiamo ritenere il supporto di una
funzione nel dominio di Fourier limitato o meno a seconda dei casi e delle approssimazioni
possibili, andiamo a ottenere la nostra onda progressiva tramite antitrasformazione supponendo
di dividere nella sua parte reale e immaginaria e sfruttando l’ipotesi di banda avere una
banda praticamente limitata cambiamo gli estremi di integrazione

poi con l’ipotesi di banda stratta sviluppiamo con Taylor e

e vogliamo poter trascurare il termine quadrato nella prima e il termine di primo grado nella
seconda espressione; si possono pure scrivere queste espressioni sfruttando il resto di Peano o di
Lagrange e arrestandosi rispettivamente al primo e all’ordine zero, dimostrare che questa
approssimazione ci va bene può essere fatta si può fare analogamente a come faremo ora.
Supponendo che queste approssimazioni siano lecite si ha

dove un termine è uscito fuori dall’integrale e dalla parte reale e questo è un termine attenuativo,
presente a causa delle perdite, che nelle ipotesi fatte è valutato al centro banda: notiamo anche
che sebbene la presenza di perdite implichi necessariamente un’attenuazione, quando c’è

84
attenuazione non è detto che ci debbano essere per forza delle perdite come abbiamo già visto
quando abbiamo detto che non è legato necessariamente alle perdite nelle onde piane.
Ora ci resta da capire cosa ci dice il resto della formula, per capirlo poniamo
nell’integrale e con questa operazione stiamo in pratica portando il centro banda nell’origine
delle frequenze, vedremo meglio tra poco che questa operazione è significativa, facendo questa
operazione e portando fuori dall’integrale quello che si può otteniamo

Allora ne concludiamo che

e ora possiamo pure capire che il termine fuori dell’integrale nella parte reale è il termine che si
otterrebbe se il segnale fosse monocromatico, cioè se ci fosse solo una sinusoide alla pulsazione di
centro banda, infatti in quel caso l’integrale sarebbe unitario e ci ritroveremmo a seguito di questa
antitrasformazione un’onda progressiva in cui compare un coseno attenuato, cosa che concorda
con quello che già sappiamo; la presenza dell’integrale invece prende in considerazione il fatto che
il segnale non è monocromatico.
Possiamo anche riscrivere in questo modo l’onda progressiva:

e in questa formula in particolare ci interessa l’integrale perché anche se gli estremi sono – e
è la stessa cosa di avere un integrale su tutto siccome il supporto di è limitato a
– , poi possiamo vedere anche la presenza del nucleo di Fourier

e perciò abbiamo un’antitrasformata di Fourier: in generale a seguito di questa antitrasformata


non è detto che venga un segnale reale, dipende dal fatto che il segnale che noi abbiamo traslato
sia a simmetria hermitiana o meno e in generale questa simmetria non c’è, ma non ci possiamo
soffermare su questo e allora ci consideriamo il caso più facile, che poi è quello utile per le
applicazioni, in cui la simmetria hermitiana c’è.
Diciamo qualcosa in più riguardo alla traslazione di un segnale così da capire anche che significato
ha la traslazione che abbiamo fatto prima con il cambio di variabili nell’integrale, se abbiamo un
segnale trasformato da un certo , possiamo traslarlo andando a moltiplicare per ,
però in questo caso viene un segnale traslato che non è simmetrico e perciò non ci va bene.

85
Se invece l’operazione che facciamo è quella di moltiplicare il segnale per un
otteniamo il segnale traslato che ci serve che ha anche il suo simmetrico: questa operazione
consiste in quella che si chiama “modulazione d’ampiezza” tramite la funzione sul coseno,
dove prende il nome di portante ed oscilla alla frequenza portante , che è la frequenza
del centro banda, la è invece la modulante che serve a caricare l’informazione modulando
l’ampiezza della cosinusoide, questo è quello che avviene nelle radio AM.

Quando si fa questa operazione si dice anche che abbiamo portato lo spettro dal segnale dalla
banda base alla banda traslata e questo è utile in primis perché ogni segnale deve essere
trasmesso in un certo canale che cambia al variare della banda, in particolare varia al variare del
centro banda, inoltre se trasliamo il segnale abbiamo pure il vantaggio che a frequenze più alte
l’approssimazione del segnale a banda stretta è migliore perché la condizione di banda stretta è

e perciò o dobbiamo ridurre l’ampiezza della banda o dobbiamo aumentare la frequenza


portante: nelle fibre ottiche ad esempio l’idea è quello di trasportare l’informazione a frequenze
altissime e questo migliora la qualità dell’informazione.
Sappiamo che la lunghezza d’onda di un segnale è definita come

dove è la frequenza che si ottiene dividendo la pulsazione per , ovviamente è la velocità


della luce e ci ricordiamo a proposito che

il che giustifica i passaggi fatti. La formula della lunghezza d’onda ci fa capire che all’aumentare
della frequenza diminuisce la lunghezza d’onda e questo, ai fini della costruzione di un’antenna
vedremo che vuol dire fare un’antenna più corta e questo non solo è un vantaggio sotto molti
aspetti ma è proprio una necessario perché non è possibile fare antenne rigide molto lunghe: poi
approfondiremo meglio questo discorso parlando di antenne, per ora accenniamo al fatto che
nella radio AM c’è bisogno di antenne lunghe perché siamo in basse frequenze e per questo si
usano le radio FM che lavorano a frequenze più alte. Diciamo pure però che ad esempio in fibra
ottica trasliamo molto e andiamo in regime di banda stretta perché portiamo la frequenza
portante nell’ordine dei terahertz, però dobbiamo capire che non è possibile traslare troppo
siccome intervengono altri meccanismi che danno fastidio a frequenze alte, perciò, come in tutta
l’ingegneria, c’è sempre un trade-off.
È possibile anche trasmettere più informazioni disgiunte in frequenza sullo stesso canale in quanto
è possibile separare i segnali e filtrare solo quello che ci serve sfruttando il multiplexing, le
86
tecniche di divisione di frequenza e l’FDMA (frequency-division multiple access); oppure è
possibile trasmettere sullo stesso canale in tempi diversi come ci appare logico essendo abituati a
vedere sullo stesso canale TV, ad esempio, trasmissioni diverse nell’arco di tempo di una giornata,
e questa tecnica è chiamata multiplexing a divisione di tempo.
Quando un ricevitore riceve il segnale che prima di essere trasmesso è stato opportunamente
traslato c’è poi bisogno in genere di operare un’altra traslazione per riportare il segnale nella
banda di interesse, ad esempio nella banda di frequenze ascoltabili dall’orecchio umano, e questa
operazione di demodulazione è quello che succede quando passiamo da a .
A seguito dell’operazione che abbiamo visto per ottenere il segnale, lo spettro del segnale può
essere ancora reale quando antitrasformiamo e nell’ipotesi che sia reale in abbiamo il
segnale modulante nella banda base, in abbiamo il segnale in , cioè abbiamo

dove è il segnale modulante che volevamo trasmettere e questo ha una velocità di gruppo

Una relazione molto importante sulla velocità di gruppo si ricava considerando che

La velocità di gruppo è la vera velocità con la quale si sposta l’onda e la relatività ristretta ci dice
che questa è sempre minore o al più uguale della velocità della luce, mentre non si può dimostrare
lo stesso per la velocità di fase che abbiamo introdotto già ed è

Questa velocità di fase non esprime la velocità del segnale dunque, infatti non è nemmeno una
velocità fisica, quella che conta è la velocità di gruppo. Il nome velocità di gruppo è dovuto al fatto
che stiamo studiando il pacchetto d’onda, e non un puro tono sinusoidale, per cui ci sono più onde
che formano un pacchetto compatto; ogni onda ha poi la sua velocità di fase, se da cui
questa velocità dipende lo possiamo considerare lineare con , allora la velocità di fase è costante
altrimenti non lo è e in questo caso si perde l’unità del segnale, anzi non è nemmeno possibile
parlare di segnale perché ci ogni componente ha una sua velocità e le varie parti del segnale
arrivano in tempi diversi disperdendo l’informazione che il segnale dovrebbe portare.
La dispersione o meno del segnale dipende dalla lunghezza del canale perché se siamo in ipotesi di
banda stretta le varie velocità di fase saranno poco diverse tra loro, ma la lunghezza del canale
incide molto perché anche una piccola differenza tra le velocità può diventare rilevante se il tratto
di canale che il segnale deve percorrere è lungo.
Avendo discusso bene tutta la questione ci resta da capire che peso hanno le approssimazioni
fatte e : innanzitutto, quando abbiamo scritto

abbiamo trascurato i termini

87
e dobbiamo capire quando questo è possibile perché nel nostro caso abbiamo in gioco degli
esponenziali e quando approssimiamo bisogna stare attenti che non implica che

in quanto c’è un problema legato alla periodicità, ad esempio consideriamo

In questo caso viene

e allora

Se facciamo l’approssimazione perché ci sembra si possa fare dato che è molto più piccolo di
facciamo un grave errore perché in questo caso abbiamo un risultato totalmente diverso che è

Allora dobbiamo capire bene in che condizioni approssimare considerando che deve essere
e perciò vuol dire che

cioè quando

Concludendo, quando abbiamo un esponenziale come quello considerato l’approssimazione si fa


quando , e non bisogna confrontarlo con , nel nostro caso in particolare deve essere

Facciamo il caso peggiore, cioè quando siamo con nell’estremo destro dell’intervallo, allora
l’approssimazione si può fare quando

e facendo un ragionamento analogo per l’altro termine che l’approssimazione è valida se

Notiamo in queste espressioni quello che abbiamo già detto, l’approssimazione dipende da e
ma anche dalla lunghezza del canale.
Concludiamo mostrando graficamente quello che succede nella modulazione AM: nell’ipotesi di
banda stretta abbiamo una portante che possiamo rappresentare con una cosinusoide alla
frequenza portante (alta), e questa varia molto velocemente rispetto alla funzione modulante
che è l’inviluppo della cosinusoide e che trasla rigidamente con una velocità (fisica) nelle ipotesi
appena date su ed , il prodotto tra le due fornisce il segnale carico di informazione.

88
Espansione in onde piane. Incidenza di un'onda piana su una discontinuità piana tra dielettrici

Consideriamo un’onda piana che si propaga in un mezzo normale ma non omogeneo, in generale è
molto difficile studiarla perché si richiedono strumenti matematici più potenti di quelli che
conosciamo e in ogni caso è complicato anche con questi strumenti capire per bene cosa succede,
la tecnica che si utilizza è quella di valutare a mano delle soluzioni approssimate e poi sfruttare un
calcolatore per avere delle soluzioni più precise perché questo può usare dei metodi numerici per
il calcolo, però queste soluzioni devono essere coerenti con la nostra intuizione, con la fisica e
soprattutto con le soluzioni approssimate che troviamo noi che per questo sono utilissime.
Ci proponiamo ora di trattare un caso semplice che è quello di un’onda piana che arriva in
corrispondenza di una discontinuità piana tra due dielettrici: chiameremo onda incidente l’onda
che sarebbe presente in assenza dell’ostacolo
che nel nostro caso è la discontinuità. Quando
un’onda incidente incontra un ostacolo si creano
delle correnti che generano un campo diffuso
che poi capiremo meglio cos’è, per ora diciamo
che quando l’onda incidente arriva e incontra la
discontinuità si crea questo campo che è fatto da
un’onda rifratta e un’onda riflessa, la prima è
l’onda che si propaga nell’altro dielettrico e
l’onda riflessa invece si propaga nello stesso
dielettrico in cui c’è l’onda incidente.
Prima di continuare il nostro discorso dobbiamo
introdurre il concetto di conduttore elettrico
perfetto, anche detto CEP o PEC (perfect electric
conductor): il conduttore elettrico perfetto è un’idealizzazione del buon conduttore, consideriamo
cioè un mezzo materiale che ha permittività equivalente pari a

Se la parte conduttiva prevale sulla parte dielettrica si parla di buon conduttore, cioè si avrà

Questa approssimazione è possibile quando

e perciò la condizione di buon conduttore è che il rapporto tra parte immaginaria e reale della
permittività equivalente sia in modulo molto maggiore dell’unità ed è una condizione che dipende
anche dalla frequenza alla quale ci troviamo; se in particolare questo termine oltre ad essere
molto maggiore dell’unità diverge allora si parla di conduttore elettrico perfetto: spesso si dice
“quando diverge” per cui la divergenza di questa quantità non è attribuita al fatto che la
pulsazione o la costante dielettrica tendano ad annullarsi, ma piuttosto alla conducibilità.
Questa concetto funziona anche da un altro punto di vista, consideriamo

89
cioè la potenza dissipata per effetto Joule, siccome la potenza non può essere infinita dobbiamo
avere necessariamente un campo elettrico infinitesimo altrimenti la
potenza divergerebbe insieme con la conducibilità e allora all’interno di
un conduttore elettrico perfetto il campo elettromagnetico, per
pulsazioni non nulle, è nullo per cui le equazioni di Maxwell basta
risolverle solo all’esterno del conduttore: per farlo abbiamo bisogno
della condizione al contorno sul volume di CEP e questa la ricaviamo
sfruttando le equazioni a raccordo scritte per il caso di un sistema di
equazioni di Maxwell simmetrizzato cosicché si ha

La prima equazione a raccordo è uguale a zero perché sul CEP possono esserci corrente elettriche
ma non magnetiche e per questo ci conviene sfruttare proprio questa prima equazione al raccordo
per ottenere la condizione al contorno che ci serve essendo più semplice, considerando inoltre che
il campo elettrico all’interno del conduttore, cioè è nullo, possiamo scrivere la condizione come

e cioè la componente tangente al volume del campo elettrico è nulla.


Un’altra relazione di interesse, che però non è una condizione al contorno quindi non servirà per la
soluzione del problema elettromagnetico, la otteniamo se sfruttiamo l’equazione a raccordo della
quarta equazione di Maxwell che ci dice

e date le relazioni costitutive che legano il campo magnetico al campo induzione magnetica
possiamo anche dire questa condizione dice

Possiamo ora capire meglio cos’è il campo diffuso se andiamo a considerare il caso particolare in
cui un’onda incidente colpisce il conduttore elettrico perfetto: in questo caso si vede che l’onda
incidente non è soluzione del problema elettromagnetico esterno al CEP perché il conduttore
elettrico perfetto forza che la componente tangente al campo elettrico incidente deve essere
nulla, ma questo non è vero perché in generale la tangente al campo incidente può essere
qualsiasi è per questo che interviene il campo diffuso che viene generato per aggiungersi
al campo incidente e formare un campo totale che è

tale da avere

La componente tangente alla discontinuità del campo elettrico diffuso è allora uguale e opposta
alla componente tangente del campo elettrico incidente. Questo campo diffuso viene generato
dalle correnti sulla superficie del conduttore elettrico perfetto, anche se sappiamo che le correnti
superficiali sono un’idealizzazione, ma infatti anche il conduttore elettrico perfetto è un oggetto
ideale e questa situazione può essere solo un’approssimazione di quello che avviene in realtà.

90
Torniamo a considerare i due semispazi
normali omogenei dove intendiamo che le
siano equivalenti nel caso generale e nella
figura a lato abbiamo rappresentato i vettori
, e che sono rispettivamente i vettori di
propagazione dell’onda incidente, riflessa e
trasmessa (che è lo stesso di rifratta) e poi
abbiamo rappresentato anche l’angolo di
incidenza .
Il vettore di propagazione dell’onda incidente
lo possiamo tranquillamente disegnare perché
l’onda considerata è per ipotesi omogenea e per questo motivo oppure , se l’onda
fosse non omogenea si avrebbero due direzioni distinte per parte immaginaria e reale e non
avrebbe senso disegnare se non per avere un’idea intuitiva di quello che succede; in generale
invece onda riflessa e trasmessa non sono omogenee e perciò è improprio rappresentare i
rispettivi vettori di propagazione. Diciamo anche che la presenza di un’onda riflessa e trasmessa
per noi è intuitiva, si potrebbe dimostrare che deve essere così ma noi non lo dimostriamo e lo
diamo per buono, l’unica cosa che abbiamo mostrato è che in un caso molto particolare ci deve
essere un campo diffuso ma per il resto non sappiamo niente.
Nella situazione descritta dobbiamo soddisfare le equazioni di Maxwell e le equazioni a raccordo,
poi dovremmo soddisfare le equazioni a contorno, ma avendo preso due semispazi non lo
dobbiamo fare perché la frontiera è nulla, e infine dovremmo soddisfare le condizioni all’infinito
ma siccome le onde piane non soddisfano queste condizioni bisognerebbe in questo caso
riformulare il problema per dare una condizione all’infinito soddisfatta da onde piane e noi non lo
facciamo perché questo esula dagli scopi del nostro corso.
Prima di continuare c’è bisogno di introdurre un altro concetto a cui abbiamo già accennato che è
quello di espansione in onde piane e lo introduciamo per un mezzo normale che sia anche
omogeneo nello spazio perché poi questo potrà essere applicato a ognuno dei due semispazi
omogenei che stiamo considerando; inoltre dobbiamo
supporre l’assenza di sorgenti e allora ci andiamo a
considerare il semispazio con come possiamo
vedere in figura a lato e supponiamo che le sorgenti, che
devono esserci altrimenti il campo sarebbe sempre
nullo, sono nell’altro semispazio.
Questo che andiamo ora a trattare è un teorema di
esistenza e unicità perché andiamo a costruirci l’intera
soluzione in un caso semplice che siamo in grado di
trattare e non dimostriamo solo che questa è unica
come abbiamo già fatto nei teoremi di unicità: la
condizione al contorno per questo caso si dà sul piano
e viene data sulla componente tangente

91
in particolare su e che sono quelle che si chiamano componenti di “apertura”
per dire che non sono campi, infatti sono considerati su una superficie e non nello spazio, e in
particolare sono delle componenti tangenti dei campi.
Le equazioni da risolvere sono

e sono omogenee perché non ci sono sorgenti in che è il semispazio dove le risolviamo, per
questo non compaiono correnti impresse e le eventuali indotte stanno nella permittività che è
quella equivalente.
Dato che le onde piane sono soluzione in questa situazione e il mezzo è pure lineare, sommando
onde piane si ottiene ancora una soluzione che non è un’onda piana necessariamente, perché
abbiamo detto che la somma di onde piane non è detto che sia onda piana, allora abbiamo

Noi speriamo che questa formula, che ora spieghiamo per bene, sia effettivamente una somma di
onde piane perché abbiamo scritto in pratica che al variare di andiamo a sommare le varie onde
che sono del tipo

e cioè possono essere onde piane, è cambiata solo la notazione perché abbiamo scritto al posto
di e all’esponente abbiamo scritto per esteso il prodotto scalare, stesso ragionamento per il
campo magnetico. Il variare del vettore di propagazione

significa che stanno variando le sue componenti, però integriamo solo rispetto a due componenti
perché dato che deve essere

ne ricaviamo che dipende dalle altre componenti essendo

dove il segno della radice si sceglie in modo da soddisfare il principio di causalità e cioè in modo
tale che si vada dalle sorgenti all’infinito e non dall’infinito alle sorgenti.
Siccome al variare del vettore di propagazione varia l’onda nell’integrale vediamo la dipendenza di
questi e dalle componenti e . La sovrapposizione degli effetti ci dice che il risultato
dell’integrale sarà una soluzione se stiamo sommando tutte soluzioni e perciò imponiamo che
queste che stiamo sommando siano onde piane imponendo

condizioni che includono anche

e perciò è equivalente imporre una coppia piuttosto che l’altra.

92
Le condizioni al contorno devono essere soddisfatte al variare di perché se questo è vero tutto il
resto è fissato data la condizione che lega campo elettrico e magnetico: queste condizioni al
contorno le dobbiamo soddisfare comunque siano assegnate, in particolare scriviamoci

se andiamo a proiettare sugli assi otteniamo le condizioni in termini dell’apertura che abbiamo
introdotto prima e cioè si ottengono le due condizioni

Se riusciamo a capire che comunque assegniamo l’apertura si riesce a ricavare ed abbiamo


risolto e in effetti è così perché

e perciò, volendo ragionare in senso classico, se abbiamo delle funzioni che convergono abbiamo
da fare un’antitrasformata di Fourier bidimensionale e abbiamo trovato che

Però ci sembra di non aver dimostrato l’unicità della soluzione perché abbiamo trovato e ma
ci manca : per dimostrare l’unicità ci basta ricordare che avendo un’onda piana vale che

e dall’ultima relazione possiamo ottenere la componente conoscendo le altre due componenti:


la quantità si chiama spettro delle onde piane. Per la condizione all’infinito dobbiamo far vedere
che questi integrali, valutandoli asintoticamente, vanno a zero ma come abbiamo detto non lo
vediamo. Quello che abbiamo dimostrato ci ha permesso di costruire una soluzione fisica a partire
da soluzioni che non esistono e le onde che sommiamo sono tutte del tipo , cioè sono onde
che vanno in verso concorde con , se erano del tipo sarebbero andare in verso opposto.
Se consideriamo il caso di assenza di perdite abbiamo un reale e perciò ogni componente del
vettore può essere reale oppure immaginaria pura, poi siccome

possiamo dire che questa componente è reale o immaginaria in dipendenza dai valori di e : si
avrà un reale quando , altrimenti abbiamo un che è del tipo

con perché, siccome già sappiamo che la scelta sul segno della radice deve essere fatta in
modo che l’attenuazione ci sia al crescere della , dobbiamo avere un coefficiente positivo;
diciamo pure che di solito e sono reali, infatti nella formula di espansione in onde piane
l’integrale varia in .

93
Nel caso particolare in cui è immaginario puro si ha

e dunque l’onda è non omogenea.


Se non ci sono perdite l’onda può propagarsi senza attenuazione ma
deve essere e ci troviamo con quello che avevamo già detto
sul caso di assenza di perdite in un’onda piana; l’onda si propaga su
e e si attenua esponenzialmente su , in particolare possiamo
parlare di onde evanescenti che sono onde che si attenuano subito
e sono non nulle solo in un intorno di e , questo intorno si
chiama visibile e il cerchio visibile è descritto da , ciò
che sta al di fuori di questo cerchio è l’invisibile; in merito a questo
possiamo fare un’osservazione importante, ci andiamo a
considerare ad esempio

e sul piano non abbiamo il contributo dato da , se poi ci allontaniamo dal piano
questo termine dà contributo all’integrale; se in particolare usciamo dal visibile è immaginario
puro, questo vuol dire che fuori dal visibile si ha un’attenuazione e cioè abbiamo un filtro passa
basso che fuori dal visibile non fa passare nulla: questo ci dice che il contributo all’integrazione si
vede essenzialmente nel cerchio visibile. Questo filtraggio è dovuto al meccanismo propagativo e
perciò non c’è modo di eliminarlo, inoltre siccome è legato alla lunghezza d’onda ci spieghiamo
anche perché possiamo vedere solo determinare lunghezze d’onda con il nostro occhio: in questo
senso possiamo parlare di cerchio del visibile e dell’invisibile in relazione alla nostra capacità di
vedere i colori e questo è un caso più particolare delle onde che stiamo trattando in generale.
Ora che abbiamo introdotto per bene l’espansione in onde piane possiamo scrivere il campo
diffuso come sovrapposizione di onde piane, ma in realtà si può dimostrare che basta una sola
onda per la parte riflessa e una sola onda per la parte rifratta, infatti quando abbiamo parlato di
campo diffuso abbiamo già detto che c’è un’onda rifratta e una riflessa e nessuno ci assicurava che
il campo fosse fatto in questo modo perché noi sappiamo solo che incide un’onda piana, ora
abbiamo giustificato questa cosa anche se non abbiamo fatto la dimostrazione.
Vediamo come sono fatte queste due onde, nel semispazio omogeneo destro che stiamo
considerando ci sarà una solo onda piana come soluzione, nel semispazio sinistro ci sono due onde
piane e queste devono essere raccordate sulla discontinuità: si lascia da dimostrare per esercizio
che le equazioni a raccordo per campo elettrico e campo magnetico, che coinvolgono le
componenti tangenti, racchiudono quelle di induzione elettrica e induzione magnetica e perciò
possiamo sfruttare solo due equazioni per raccordare, cioè dobbiamo solo imporre

94
A questo punto dobbiamo capire il campo che sta arrivando com’è fatto, cioè c’è bisogno di capire
com’è polarizzata l’onda incidente: abbiamo già parlato di polarizzazione per un vettore
sinusoidale, abbiamo detto che la polarizzazione è lineare quando si verifica una di queste tre
condizioni

in generale la polarizzazione di un vettore è lineare quando questo è proporzionale a un vettore


reale perciò ad esempio è polarizzato linearmente il vettore

mentre un vettore del tipo

è polarizzato circolarmente perché le sue componenti sono in quadratura di fase e poi si può pure
vedere che le componenti lungo e sono di ugual modulo.
Considerando il piano di incidenza generato da e dalla normale alla discontinuità, si parlerà di
polarizzazione parallela del campo quando il piano di incidenza è parallelo al campo, si parlerà
invece di polarizzazione perpendicolare quando il piano di incidenza è ortogonale. In generale
parlando di polarizzazione si fa riferimento al campo elettrico, siccome abbiamo visto che per le
onde piane campo elettrico e magnetico sono ortogonali avremo pure che se il campo elettrico è
polarizzato perpendicolarmente il campo magnetico sarà polarizzato parallelamente e viceversa.
Se il campo elettrico incidente è polarizzato perpendicolarmente ad esempio, questo sarà

con ed reali, ed è proporzionale a un vettore reale dato che noi ci mettiamo sempre nelle
ipotesi che l’onda incidente abbia componenti reali, si capisce che sia la polarizzazione parallela
che quella perpendicolare sono polarizzazioni lineari: infatti quando il campo elettrico è
polarizzato perpendicolarmente il vettore di propagazione e il campo elettrico incidente devono
essere ortogonali, cioè

perché trattando con vettori reali il prodotto scalare lo possiamo scrivere in questo modo,
altrimenti dovremmo coniugare uno dei due termini, considerando che per un’onda piana

possiamo capire anche com’è messo il campo magnetico di incidenza, soprattutto capiamo che
anche è polarizzato linearmente perché

e mettendo tutto assieme si capisce che pure il campo magnetico di incidenza è proporzionale a
un vettore reale. Nel caso in cui il campo elettrico sia in polarizzazione parallela invece si parte dal
vedere che il campo magnetico è polarizzato linearmente ed è ortogonale al vettore di
propagazione e quindi, per ragionamenti analoghi a quelli fatti prima, anche il campo elettrico sarà
polarizzato linearmente e sarà perpendicolare al vettore di propagazione.

95
Se abbiamo una polarizzazione generica possiamo decomporre in polarizzazione parallela e
perpendicolare andando a considerare le componenti parallele e perpendicolari rispettivamente di
campo elettrico e campo magnetico di incidenza.
La polarizzazione parallela si chiama anche TM che significa “trasverso magnetico”, questo nome
infatti ci fa capire che il campo magnetico non ha componente longitudinale, cioè lungo ; la
polarizzazione perpendicolare si chiama anche TE che
significa “trasverso elettrico”.
Facciamo il caso di polarizzazione parallela e
riferendoci alla figura supponiamo che anche e
siano in polarizzazione parallela, cioè con questa
terminologia intendiamo dire che supponiamo che
anche le onde di trasmissione e riflessione stanno in
polarizzazione parallela, riferirsi ai vettori di
propagazione altrimenti non significherebbe niente.
Noi abbiamo detto che supponiamo che anche
quest’ultime sono in polarizzazione parallela ma si
può far vedere che la parte trasversa del campo
elettrico diffuso sta ancora nel piano di incidenza.
Per avere le formule con i segni che fra poco otterremo mettiamo sempre l’asse sulla trasversa
del campo elettrico come in figura, una scelta diversa è possibile ma poi bisogna stare attenti che
cambiano parti della formula; con le scelte fatte si ha

e allora siccome per in contribuisce solamente la parte trasmessa e per in


contribuisce la parte incidente e riflessa che sono tutte nulle abbiamo trovato che una delle
condizioni al contorno è automaticamente soddisfatta perché è un’identità

stesso discorso per la terza che coinvolge , ci restano allora da soddisfare la prima e la quarta
relazione che riscriviamo

Nel semipiano abbiamo

perché il campo ha solo componente incidente e riflessa e inoltre per la incidente il non ha
componente su mentre per la riflessa può esserci. Per invece abbiamo

e dobbiamo imporre l’uguaglianza delle due valutare per qualsiasi siano e , cioè

Un ragionamento analogo per il campo magnetico ci porta a scrivere

96
Per essere possibile questo deve necessariamente essere

che possiamo chiamare e poi

Queste due espressioni vanno sotto il nome di prima legge della riflessione e prima legge della
trasmissione ed esprimono il fatto che le componenti del vettore di propagazione dell’onda
riflessa e dell’onda trasmessa si trovano nello stesso piano in cui sta il vettore di propagazione
dell’onda incidente, infatti visto che la componente su del vettore di propagazione incidente è
nulla si sono annullate anche le componenti su dell’onda trasmessa e riflessa.
Deve essere necessariamente così perché è come se avessimo

e questo implica perché se trasformiamo con Fourier esce la somma di tre delta
traslate, se vogliamo che la somma di queste delta si annulli devono essere traslate tutte nello
stesso punto dato che le loro ampiezze, che sono rispettivamente , e , non si annullano
contemporaneamente.
Questa cosa ora detta ci ha permesso di dimostrare la prima legge di trasmissione e riflessione e in
particolare da queste si può vedere anche che

da cui otteniamo

e cioè l’angolo di incidenza e riflessione devono essere uguali, perché ai fini fisici la periodicità di
non conta: questa prende il nome di seconda legge della riflessione. Dobbiamo notare che
stiamo supponendo sempre angoli reali ma potremmo anche avere angoli complessi, caso che noi
non trattiamo.
L’altra identità che abbiamo ottenuto e ci resta da analizzare ci dice infine

da cui

e possiamo dividere entrambi i membri per per poi definire le quantità

che si chiamano rispettivamente indice di riflessione e indice di trasmissione e otteniamo così la


seconda legge della trasmissione o legge di Snell

Alla luce di quello che abbiamo ora detto possiamo togliere gli esponenziali da tutte le espressioni
per ottenere anche

e in questo sistema abbiamo due dati che sono le componenti del campo incidente e quattro
incognite che sono le componenti restanti: siccome abbiamo onde piane però possiamo legare
a e a e allora possiamo anche risolvere questo sistema.
97
Sapendo che

possiamo fare il caso del campo incidente e calcolarci il campo elettrico dal magnetico facendo

con

e allora otteniamo

Se ci serve la componente del campo elettrico abbiamo

e la costante di proporzionalità tra e è quella che si chiama impedenza caratteristica; non


si specifica che è l’impedenza caratteristica dell’onda incidente perché abbiamo un comune
all’onda incidente e a quella riflessa dato che si ha

Questo si può verificare facilmente perché si vede che

ed è

poi dobbiamo scegliere il segno meno davanti alla radice perché l’onda riflessa torna indietro e
abbiamo

Allora quello che scriveremo sarà

e chiameremo l’impedenza perché è l’impedenza caratteristica nel primo semispazio;


attenzione che non è un’impedenza intrinseca perché l’informazione è sul mezzo e sull’angolo con
cui arriva l’onda, non solo sul mezzo. Analogamente abbiamo una

in quanto e possiamo definire l’impedenza caratteristica

Abbiamo allora un sistema risolvibile perché è un sistema di due equazioni in due incognite

98
Si definisce coefficiente di riflessione la quantità

e poi coefficiente di trasmissione la quantità

e abbiamo il sistema scritto come

la cui soluzione è

I coefficienti ora introdotti sono molto comodi perché ci permettono di calcolare il campo riflesso
e trasmesso a partire dal campo incidente e perciò non dobbiamo risolvere il sistema di equazioni
che descrive la situazione direttamente ricavando campo riflesso e/o trasmesso ma possiamo
ricavare solo l’incidente: nel fare questa cosa però vengono coinvolte le componenti trasverse, poi
siccome vale che

possiamo ricavarci la componente longitudinale, cioè quella lungo ; si usano le trasverse di solito
perché queste devono soddisfare le equazioni a raccordo e perciò conviene.
Con l’introduzione di e abbiamo risolto il sistema, ricordiamoci però che questo vale nel caso
di una sola discontinuità e non se ci sono più discontinuità, anche fossero piane.
Possiamo fare anche altre considerazioni, il coefficiente di riflessione è

e da questa definizione possiamo anche vedere che sarà nullo, cioè non si avrà riflessione, se le
due impedenze caratteristiche sono uguali: questo non significa che i mezzi sono per forza uguali,
in ogni caso se i mezzi fossero uguali cioè non c’è discontinuità e il tutto funziona. L’onda riflessa
tipicamente, ma non sempre, è un effetto che dà fastidio, tant’è vero che ad esempio alcune lenti
da vista vengono trattate per essere antiriflesso.
Abbiamo dunque trattato il caso di polarizzazione parallela riguardo una discontinuità piana tra
due dielettrici normali, si capisce però che oltre all’idealizzazione di avere un’onda piana, che già
abbiamo detto non essere una soluzione fisica ma porta a soluzioni fisiche con l’espansione in
onde piane, c’è bisogno di considerare che il caso di discontinuità piana è in realtà abbastanza
raro: ancora una volta qua si tratta di una prima approssimazione, una curva spaziale qualsiasi può
essere localmente e in prima approssimazione confusa con il suo piano tangente ed è possibile
allora studiare cosa succede come abbiamo fatto adesso, questa è un’approssimazione in ottica
geometrica e avremo modo di trattarlo meglio in altri corsi, in ogni caso l’approssimazione è
possibile quando gli oggetti sui quali incide l’onda sono grandi rispetto alla lunghezza d’onda, se
pensiamo ad esempio che il centro del visibile è ci accorgiamo che nel visibile tutti gli
oggetti sono “grandi”.

99
Adesso vediamo che succede nel caso dell’incidenza perpendicolare, o TE, considerando che la
situazione è come in figura e le cose a cui
dobbiamo fare attenzione sono prima di tutto i
versi del campo elettrico e magnetico, poi bisogna
mettere sulla componente trasversa del campo
elettrico, di conseguenza si mette la in modo da
avere la terna levogira visto che la è sempre la
stessa. Dobbiamo partire sempre dalle equazioni a
raccordo che valgono in qualsiasi polarizzazione

e da queste si ricava in ogni caso

solo che nel caso di polarizzazione parallela abbiamo visto , nel caso di polarizzazione
perpendicolare invece si annulla dato che il piano di incidenza ora è , per questo ora si ha

Poi

dove il versore è reale perché l’onda piana è omogenea, mentre può essere complesso; in
termini di questo possiamo scrivere

con che è un angolo reale sempre perché l’onda è piana omogenea e poi c’è il meno a causa
dell’orientazione dell’asse . Si vede che ancora una volta

dove questa volta stando in polarizzazione TE si ha

Ora possiamo vedere che succede al raccordo perché, come avviene nel caso di polarizzazione
parallela, anche qui si può far vedere che per descrivere la situazione nei due semipiani omogenei
basta una sola onda per parte, il generico campo riflesso e trasmesso dunque non si scrive come
integrale di onde piane ma in termini di una sola onda riflessa e di una sola onda trasmessa che
soddisfino le equazioni a raccordo; per quanto riguarda la condizione all’infinito abbiamo già detto
che in questa situazione non la sappiamo ma si può far vedere che è soddisfatta, se non altro
perché ci sono tutte onde che vanno all’infinito e non onde che tornano indietro altrimenti
violiamo la causalità.
100
Due delle equazioni a raccordo sono automaticamente soddisfatte siccome ci siamo messi apposta
in polarizzazione perpendicolare, le due equazioni soddisfatte sono ancora la seconda e la terza

e questo succede perché abbiamo piazzato gli assi di riferimento in modo intelligente per avere
soddisfatte le stesse due equazioni a raccordo viste nell’altra polarizzazione.
Per vedere se la soluzione che stiamo pensando per il problema elettromagnetico va bene ci sono
rimaste da soddisfare solo la prima e la quarta equazione a raccordo: dovremmo scrivere le
equazioni con gli esponenziali dove gli esponenti sono diversi da prima perché ora e è
non nullo, ma questi se ne vanno in ogni caso e viene

Ora però consideriamo come relazione

e scriviamo il magnetico in termini dell’elettrico perché ora il campo elettrico nel piano di
incidenza ha solo componente lungo mentre il campo magnetico ha due componenti nel piano
tangente e non conviene scrivere il campo elettrico in termini di questo.
Siccome

possiamo capire che

Ci ricordiamo che ora

mentre il campo elettrico è tutto lungo e perciò

allora possiamo scrivere per esteso il campo magnetico come

A noi serve la componente , cioè la trasversa, del campo magnetico e perciò capiamo subito che
la componente che ci serve ce la dà il secondo termine in parentesi e verrà

Se andiamo sull’onda riflessa e sulla trasmessa verrà

e abbiamo scritto in questo modo, cioè raggruppando la frazione in quel modo, perché la frazione
ha le dimensioni di un’ammettenza, cioè Siemens o , e si ricorda facilmente perché sappiamo
che per passare da campo elettrico a magnetico ci vuole un’ammettenza.

101
Definiamo impedenza caratteristica

ed è diversa da quella in polarizzazione parallela che è

In genere per distinguere le due impedenze si può scrivere

o anche

e questa seconda notazione conviene di più normalmente perché poi capiremo che è meglio
ricordarsi “trasverso elettrico” o “trasverso magnetico” piuttosto che “polarizzazione
perpendicolare” o “polarizzazione parallela”.
Avremo due impedenze caratteristiche siccome abbiamo due semispazi omogenei che sono

e queste sono utili perché siccome abbiamo detto

possiamo scrivere

È importantissimo notare che le espressioni sono identiche a quelle che abbiamo in polarizzazione
parallela, cambiano solo le impedenze caratteristiche nei due casi: allora otteniamo sempre

dove il coefficiente di riflessione e di trasmissione sono definiti allo stesso modo in cui li abbiamo
definiti già, le soluzioni del sistema pure sono le stesse e le riscriviamo

Ricordiamo sempre che stiamo facendo tutto in termini di componente trasversa, poi la
componente longitudinale si ricava date le relazioni che valgono tra i campi elettrico e magnetico
nel caso di onde piane. Notiamo pure che il campo somma di riflessa e incidente non è un’onda
piana perché in generale è somma di due onde piane che vanno in direzioni opposte.
In entrambi i casi di polarizzazione c’è un caso particolare che si ha quando e si dice che
siamo in incidenza normale perché il vettore di propagazione è ortogonale alla superficie di
discontinuità: in questo caso non c’è distinzione tra polarizzazione parallela e perpendicolare
perché il piano di incidenza è indeterminato, è un fascio di piani, perciò la distinzione non ha
senso. In incidenza normale si ha

perché in questo caso

102
e allora anche l’onda riflessa e l’onda trasmessa emergono normalmente al piano di discontinuità.
Ci calcoliamo le impedenze caratteristiche e si ha

cioè l’impedenza caratteristica è pari a quella intrinseca, stessa cosa per l’impedenza caratteristica
in polarizzazione perpendicolare

Questo vuol dire che i coefficiente di riflessione e trasmissione si ottengono con le impedenze
intrinseche del mezzo considerato e non con le caratteristiche.

Coefficienti di riflessione e trasmissione: formule di Fresnel

Fino ad ora abbiamo introdotto e usato i coefficienti di riflessione e trasmissione e abbiamo pure
visto che in incidenza normale questi si scrivono in termini di impedenza intrinseca, vogliamo però
vedere ora come variano questi con : in generale i due coefficienti sono complessi e legano tra
loro le componenti trasverse dei campi, poi siccome

possiamo studiarci solo come varia il coefficiente di riflessione al variare di come incide l’onda
sulla discontinuità.
Cominciamo a considerare la polarizzazione parallela, si ha

Per capire il coefficiente di riflessione come varia con dobbiamo esplicitare la dipendenza da
quest’angolo nell’espressione che abbiamo e perciò scriviamo

questo perché sappiamo che in polarizzazione parallela


mentre possiamo scrivere in termini
dell’angolo, sapendo che l’onda è omogenea, come

ma se vogliamo soddisfare le equazioni di


Maxwell perché deve essere

e in questo interviene sempre il fatto che l’onda che


incide ha vettore di propagazione reale, altrimenti
questo non era un prodotto scalare. Dal risultato
ottenuto abbiamo pure che

103
e questa cosa la si poteva capire osservando la figura, poi abbiamo

Utilizzando quello che abbiamo ottenuto e facendo un po’ di operazioni algebriche per scrivere il
coefficiente in forma semplice da ricordare si ha

e questa prende il nome di formula di Fresnel per il coefficiente di polarizzazione parallela.


In questa espressione vediamo che compare il rapporto tra e che è

cioè lo possiamo scrivere come rapporto tra gli indici di rifrazione, che abbiamo già visto e che si
introducono di solito nel caso di assenza di perdite come

Il rapporto degli indici di rifrazione viene indicato di solito con e la formula di Fresnel diventa

Consideriamoci ora la polarizzazione perpendicolare e in modo analogo si avrà

dove

e sostituendo abbiamo

che possiamo aggiustarci mettendo in evidenza nella radice, semplificando si ha

Attenzione che i coefficienti di Fresnel valgono per una discontinuità piana tra due semispazi, non
si possono usare in altre situazioni, ad esempio non si possono usare in un mezzo stratificato piano
quando le discontinuità sono più di una, noi abbiamo ricavato i coefficienti di Fresnel solo nel caso
104
di singola discontinuità piana e in questo caso solo possiamo usarli. Diciamo pure che, come si
vede facilmente, in generale i coefficienti di Fresnel sono complessi perché sono complessi.
Abbiamo ricavato i coefficienti di Fresnel nel caso generale, per capire però cosa succede, cioè
come funzionano questi coefficienti, ci metteremo in una situazione semplice che è il caso di mezzi
senza perdite e con : l’ipotesi che le permeabilità magnetiche siano uguali non è un’ipotesi
tragica, per molti dielettrici infatti la permeabilità è prossima a quella del vuoto, poi ci sono anche
materiali tipo i ferromagnetici che non hanno per niente la permeabilità prossima a quella del
vuoto; l’ipotesi di mezzo senza perdite ci dice che e di conseguenza anche è
reale. Riscrivendo i coefficienti di Fresnel in questi ipotesi abbiamo che il coefficienti di riflessione
nel caso di polarizzazione parallela resta lo stesso, quello in polarizzazione perpendicolare invece
cambia data l’ipotesi fatta sulle permeabilità ed è

I coefficienti di riflessione anche in queste ipotesi che abbiamo fatto non è detto che siano reali, in
generali sono complessi perché dipende da che succede alla radice dove può variare il seno
dell’angolo, e perciò il coefficiente di riflessione sarà reale o meno in dipendenza di quando vale

Sappiamo anche che se l’angolo di incidenza è nullo siamo in incidenza normale, se invece l’angolo
di incidenza tende ad essere si parla di incidenza radente.
Tornando alla radice dobbiamo capire quando il radicando è negativo, questo può succede solo
quando , e attenzione che ha senso dire questa cosa perché è reale, altrimenti non
avrebbe senso dire che è minore dell’unità: solo in questo caso la radice sarà un immaginario puro
e il coefficiente di riflessione sarà complesso perché il seno quadro può essere al massimo pari a 1,
è ovvio che se fosse il radicando non sarà mai negativo.
Dobbiamo analizzare allora due casi, il primo sarà

e il secondo sarà

non ci interessa invece il caso perché siccome questo indice nelle ipotesi in cui siamo è

il caso in cui è unitario corrisponde a dire che non c’è discontinuità e dunque il discorso che
stiamo facendo è inutile.
Iniziamo ad affrontare il caso e abbiamo già detto che in questo caso la radice può
diventare immaginaria pura, in particolare la transizione tra radicando positivo e negativo avviene
quando

In corrispondenza di questo si annulla il radicando, per valori maggiori di questo angolo che
prende il nome di angolo limite , o anche angolo critico , il radicando diventa negativo perché
il seno quadro diventa maggiore dell’indice di rifrazione e dunque abbiamo un coefficiente di
riflessione complesso, per valori di al di sotto dell’angolo critico invece abbiamo un coefficiente
105
di riflessione reale. Questa cosa detta ora vale sia in polarizzazione parallela che in polarizzazione
perpendicolare perché il radicando in entrambi i casi è lo stesso, ed è sempre quella radice che in
entrambi i casi discrimina se il coefficiente di riflessione è reale o complesso; quando
abbiamo

Il coefficiente di riflessione sappiamo che è quel coefficiente che moltiplicato per l’onda incidente
ci dà l’onda riflessa e dunque in generale ci aspettiamo che perché l’onda riflessa non può
essere che minore o uguale dell’onda incidente, cioè se il mezzo è passivo l’onda riflessa non può
avere intensità maggiore della incidente, ma comunque discuteremo meglio questa cosa più in là.
A seguito di questo ragionamento abbiamo capito che in corrispondenza dell’angolo critico il
coefficiente di riflessione ha modulo unitario e perciò vuol dire che in corrispondenza di
quell’angolo l’onda riflessa ha la stessa intensità dell’onda incidente, ora vogliamo vedere che
succede al modulo del coefficiente di riflessione quando l’angolo di incidenza è diverso dell’angolo
critico e dunque prendiamo

e mettiamoci prima cosa per , in questo caso la parte reale sia del numeratore che del
denominatore è il coseno, la parte immaginaria è data dalla radice che sarà del tipo

e otteniamo

Consideriamoci invece la polarizzazione parallela e abbiamo

o meglio potremmo considerare anche il modulo quadro per evitare di avere la radice;
cominciamo a vedere che succede dopo l’angolo critico per vedere se è come il coefficiente di
riflessione perpendicolare che resta unitario in modulo anche dopo l’angolo critico: come prima la
parte reale è data dal coseno, la parte immaginaria invece è data dal termine in cui interviene la
radice e questa volta, invece da fare come prima che abbiamo scritto la radice come per
semplicità, scriviamo

e questo lo facciamo per far vedere che dobbiamo stare attenti quando facciamo il modulo perché
se scrivessimo la radice senza quel modulo commetteremmo un errore essendo la radice
immaginaria pura; detto questo abbiamo

106
e abbiamo visto che anche per il coefficiente di riflessione parallelo, al di sopra dell’angolo critico,
il modulo è unitario.
Riassumendo, per angoli di incidenza maggiori o uguali
dell’angolo critico, sia che siamo in polarizzazione
perpendicolare che parallela, l’onda riflessa avrà la stessa
intensità dell’onda incidente: questo non si esprime
dicendo che dall’altro lato non c’è onda trasmessa perché il
campo c’è dall’altro lato.
Tutto questo è fatto nel caso perché se
l’equazione

ammette soluzione, ma complessa e invece il nostro angolo


di incidenza deve essere reale perciò è come se non
avessimo soluzione.
Facciamo vedere che il seno può essere maggiore dell’unità,
consideriamo

e siccome questa è una funzione analitica-olomorfa in tutto il campo complesso perché è


composta di esponenziali che sono interi, cioè analitici-olomorfi in tutto il campo complesso, si
prolungano tutte le proprietà che ha nel campo reale al campo complesso: in particolare al campo
complesso si estendono tutte le formule trigonometriche che conosciamo nel campo reale: allora
possiamo pure scrivere il seno di argomento complesso come

e si ha

perciò scriviamo

Nel nostro caso noi vogliamo

perciò prima di tutto il seno deve essere reale, il ché equivale a dire

e questa quantità non si può annullare a causa del seno iperbolico perché il seno iperbolico si
annulla solo nell’origine, se succede questo il diventa reale essendo e il seno non può
essere maggiore dell’unità, allora la quantità considerata si deve annullare per colpa del coseno:
per annullarsi il coseno, considerato anche l’intervallo in cui può variare , vuol dire che

107
e perciò sarà pure

dove il coseno iperbolico è tutto maggiore dell’unità e si trova che se scegliamo un angolo che sia

abbiamo il seno reale e maggiore dell’unità. Nel nostro caso, come abbiamo già detto, la soluzione
non c’è perché ci serve un angolo reale.
Potevamo capire che c’è un angolo limite anche considerando la legge di Snell che dice

e osservando che

vediamo che c’è una stranezza quando il seno dell’angolo non è minore o uguale dell’unità,
cosa che può succedere, dipende da quanto vale questo , anzi in particolare possiamo proprio
vedere che questa cosa succede quando

In questo caso l’angolo trasmesso è complesso e non ha senso disegnarlo: i valori per cui l’angolo
è associato a un seno reale e minore dell’unità è fino a che

e dunque dipende dall’angolo , ci sarà un certo angolo di incidenza per il quale questo prodotto
è proprio pari all’unità e quell’angolo sarà l’angolo critico di cui abbiamo parlato.
Da un punto di vista fisico capiamo che succede quando l’angolo diventa complesso, cioè
quando andiamo oltre l’angolo limite: l’onda trasmessa ha e poi

e in particolare nel abbiamo la stessa radice vista nei coefficienti di Fresnel, dall’angolo limite in
poi il diventa immaginario puro e sarà del tipo

con perché l’onda si deve attenuare altrimenti il processo è anticausale: stiamo dicendo
che l’onda piana trasmessa non è omogenea perché è

dove si vede che la parte reale e la parte immaginaria sono perpendicolari, e si trova perché siamo
nel caso senza perdite, quindi l’onda si propaga in una direzione e si attenua nella direzione
perpendicolare e non ha senso disegnarla. Questa cosa si verifica quando l’indice di rifrazione del
secondo mezzo è minore di quello del primo, infatti deve essere , dall’angolo critico in poi
l’onda sarà tutta riflessa, o meglio l’intensità della riflessa sarà la stessa di quella dell’onda
incidente ma la trasmessa ci sta sempre, e questo meccanismo prende il nome di riflessione
108
totale: il nome riflessione totale può trarre in inganno perché sembra che l’onda è tutta riflessa,
mentre abbiamo appena finito di dire che non è così, si dice riflessione totale perché il modulo del
coefficiente di riflessione è unitario, scopriremo poi ancora meglio perché si dice totale, cioè cos’è
che si riflette tutto, perché non è tutta l’onda ad essere riflessa essendoci pure la trasmessa.
Abbiamo detto prima che deve essere positivo perché avevamo , questa è una cosa più
generale perché quando c’è una scelta da fare sul segno della radice bisogna sempre andare a
vedere se i segni sono concordi con la causalità; diciamo inoltre che dato che la costante di tempo
dell’esponenziale è

questo ci dà pure un idea di quanto tempo ci mette l’onda ad attenuarsi, cioè dopo quanto è
trascurabile perché ormai si è attenuata talmente che può essere considerata nulla.
Tutto questo che abbiamo detto non accade nel caso , in questo caso la radice non diventa
mai immaginaria pura.
Riassumendo il coefficiente di riflessione parallelo e quello perpendicolare è complesso con
modulo unitario nel caso dopo l’angolo critico, mentre nel caso non diventa mai
complesso; in incidenza radente nel caso abbiamo sempre che i coefficienti sono in
modulo unitari perché siamo sicuramente sopra l’angolo critico, nel caso si ha

e dunque sono sempre in modulo unitario.


Ora dobbiamo vedere tutto l’andamento del coefficiente di riflessione: capiamo sicuramente che,
come abbiamo già detto, il coefficiente di riflessione non può essere in modulo maggiore dell’unità
e perciò arriveremo al valore che si ha in incidenza radente, o per angoli superiori all’angolo critico
se , da sotto, vogliamo però vedere se c’è monotonia e perciò consideriamoci

e ci studiamo il coefficiente così, non in modulo, perché che succede quando diventa complesso lo
sappiamo già.
Per vedere come questa funzione varia con l’angolo non conviene fare uno studio di funzione ma
cerchiamo ci scriverla in un modo più comodo come composta da funzioni note: la radice a
numeratore dà fastidio e allora facciamo

A questo punto possiamo ignorare il “ ” perché se sappiamo la monotonia della frazione questa
è la stessa della frazione con la costante aggiunta, la frazione ce la scriviamo come

e ci possiamo concentrare solo sulla radice perché a questa si aggiunge la costante ma non ne
cambia la monotonia, poi siccome questa radice sta a denominatore si inverte la monotonia, nel
109
senso che se ci viene crescente la radice sarà decrescente la funzione e viceversa; la radice ce la
siamo scritta come

che è una forma molto comoda perché ora l’unica cosa che ci interessa guardare è il coseno che è
l’unica cosa che varia con l’angolo: noi siamo per

e in questo intervallo il coseno è strettamente decrescente, siccome la funzione è crescente in


abbiamo che il coseno al quadrato in questo intervallo è ancora strettamente
decrescente, poi questo sta a denominatore e quindi dobbiamo considerare

com’è: questo dipende dal segno del numeratore perché

Allora la crescenza o la decrescenza dipende dal fatto che oppure : non vogliamo
metterci a distinguere i due casi, quello che conta è il fatto che abbiamo una funzione che è
strettamente monotona, per cui la radice è strettamente monotona, il suo inverso pure e in
conclusione abbiamo che è strettamente monotono, ora ci basta sapere dove parte e dove
arriva e abbiamo capito se è crescente o decrescente.
Lo stesso ragionamento si può ripetere per il coefficiente di riflessione parallela e otteniamo lo
stesso risultato per cui iniziamo proprio dal diagramma di iniziamo dal caso : abbiamo
già visto che in incidenza radente questo coefficiente vale 1, poi in si ha

e dunque grazie a questo valore possiamo capire che il coefficiente


di riflessione parallelo è strettamente crescente, come ci
aspettavamo, poi è chiaro che e dunque possiamo dire
come avevamo anticipato che il coefficiente di riflessione parallelo è
sempre in modulo minore dell’unità, infine vediamo dalla figura che
ci sarà un angolo, unico, in cui il coefficiente si annulla e dunque c’è
un angolo per cui l’onda incide sulla discontinuità ma non c’è onda
riflessa: quest’angolo prende il nome di angolo di Brewster .
Se facciamo il grafico del modulo del coefficiente di riflessione
possiamo vedere meglio che c’è un range in cui il coefficiente di
riflessione in modulo è molto piccolo, e questo range è un
intorno di : questo spiega perché in generale, quando andiamo
in polarizzazione al suolo, il campo tende ad essere polarizzato
parallelamente al suolo perché se prendiamo il campo elettrico
nel piano di incidenza fatto dalla normale al suolo e dal , cioè
110
se prendiamo il campo elettrico in polarizzazione parallela, l’onda
riflessa è piccola nell’intorno di mentre se il campo elettrico è
perpendicolare al piano di incidenza, cioè siamo in polarizzazione
perpendicolare, scopriremo che non c’è un nullo e perciò il
campo si riflette prevalentemente in modo parallelo al suolo; questa è anche la ragione per cui si
usano le lenti polarizzate per cancellare il disturbo che viene dal suolo quando si riflette l’onda.
Notiamo che prima abbiamo potuto rappresentare il coefficiente senza il modulo perché nel caso
in cui siamo non c’è un angolo critico e il coefficiente di riflessione parallelo non sarà complesso.
Tracciamo ora il diagramma per il coefficiente di riflessione perpendicolare sempre nel caso
, abbiamo già visto che il coefficiente in funzione dell’angolo è strettamente monotono,
poi sappiamo che non diventa mai complesso in questo caso
così possiamo rappresentarlo anche senza il modulo, infine ci
basta sapere che

e grazie a questo otteniamo l’andamento del coefficiente


come vediamo in figura: questa volta ci accorgiamo che il
coefficiente non si annulla.
Nella figura a lato riportiamo in modulo l’andamento del
coefficiente sia perpendicolare che parallelo e si vede che in
generale il coefficiente di riflessione parallelo risulta essere in
modulo più piccolo del perpendicolare e questo significa che in
riflessione la polarizzazione è prevalentemente perpendicolare
al piano di incidenza come avevamo anticipato, cioè
nell’esempio visto anche prima è parallelo al suolo.
Vediamo ora che succede per , in questo caso il grafico
lo possiamo fare senza modulo fino all’angolo critico, se
vogliamo capire che succede dall’angolo critico in poi si può
fare il grafico separato di parte reale e immaginaria, o in generale si rappresenta il modulo e
abbiamo già visto che quello che succede è che entrambi i
coefficienti di riflessione sono in modulo unitari.
Cominciando dal coefficiente di riflessione parallelo basta
vedere che

e dunque il valore è lo stesso ma a differenza di prima ora


abbiamo una quantità positiva perché , poi
dobbiamo anche considerare che

e sappiamo che il coefficiente è strettamente monotono per


cui il diagramma è come in figura; rappresentiamo anche il
diagramma del modulo e in entrambi i casi possiamo vedere

111
che c’è un valore per il quale il coefficiente di riflessione parallelo si annulla. Facciamo attenzione
che nella figura proposta a lato la scalatura degli assi del diagramma di è stata scelta in modo
diverso da quella del diagramma di per mettere in evidenza le peculiarità dei due andamenti,
per questo il diagramma in modulo rappresentato non coincide con il diagramma che si otterrebbe
se si fa il modulo direttamente sulla figura che rappresenta il diagramma di .
Per quanto riguarda il coefficiente di polarizzazione perpendicolare invece abbiamo

e con queste informazioni ci rappresentiamo direttamente il diagramma del modulo, potremmo


fare come prima che abbiamo rappresentato prima il
diagramma del coefficiente non in modulo e poi quello in
modulo ma ora è inutile perché fino a che non diventa
complesso il coefficiente è sempre positivo, l’unica differenza
tra i due diagrammi sarebbe che non possiamo rappresentare
che succede per nel caso del diagramma di .
Ora quello che ci interessa capire è quanto vale l’angolo di
Brewster e il ragionamento come ovvio lo dobbiamo fare solo
per il coefficiente di riflessione parallelo perché solo in quel
caso il coefficiente di riflessione si annulla: nel momento in cui si ha

l’annullamento è dovuto al numeratore, potrebbe anche essere dovuto ad un infinito del


denominatore che non sia infinito anche del numeratore, o comunque sappiamo che potrebbe
essere anche causato dal fatto che il denominatore va ad infinito più velocemente del numeratore,
ma comunque si vede che in questo caso a denominatore non può venire una quantità infinita e
perciò noi vogliamo l’angolo per il quale

e per quest’angolo non si deve annullare anche il denominatore altrimenti abbiamo una forma
indeterminata, sappiamo pure che l’angolo di Brewster è unico perché lo deduciamo dal
diagramma. Nel nostro caso si vede ad occhio che se si annulla il numeratore non si annulla il
denominatore e perciò scriviamo che il coefficiente si annulla se e solo se

che nel caso in cui siamo, cioè con , equivale a dire

e risolviamo questa equazione

112
e otteniamo dunque

Siccome la trigonometria ci dice che

abbiamo scoperto che

e l’angolo di Brewster si trova subito come

Possiamo pure dire che se arriva una polarizzazione generica all’angolo di Brewster il campo
riflesso è polarizzato linearmente perché la riflessa sarà tutta in polarizzazione perpendicolare e
noi sappiamo che la polarizzazione perpendicolare o quella parallela prese singolarmente sono
lineari, una combinazione delle due no: capiamo che se facciamo incidere un campo,
approssimabile con un’onda piana, su una discontinuità piana con angolo di incidenza pari ad
angolo di Brewster possiamo fare quello che si chiama polarizzatore per riflessione cioè sfruttando
questa riflessione passiamo da un campo polarizzato genericamente a uno polarizzato
linearmente, sempre nelle ipotesi di approssimazione a un’onda piana.
Ancora non abbiamo capito però, nel caso , perché
dall’angolo critico in poi si parla di riflessione totale e per capirlo
cominciamo a vedere quanto vale la potenza trasportata
dall’onda: supponiamo sempre di avere la nostra superficie di
discontinuità, la potenza per unità di superficie che scorre nella
direzione è data dal vettore di Poynting, che dà la densità di
potenza, moltiplicato scalarmente per il versore della direzione di
interesse, cioè

poi integrando su una superficie con normale abbiamo la


potenza che il campo trasporta attraverso la superficie.
Calcoliamoci allora questa densità di potenza

e i campi li possiamo decomporre in campo trasverso e perpendicolare, poi in polarizzazione TM il


campo magnetico sarà tutto trasverso, in polarizzazione TE viceversa sarà il campo elettrico ad
essere tutto trasverso, noi comunque facciamo il caso generale e scriviamo

Mettendo questo nell’espressione della densità di potenza si ha

dove non abbiamo coniugato perché è un versore reale, in questa espressione si vede
chiaramente che il secondo addendo è nullo dato che si ha un prodotto misto con due vettori

113
paralleli e poi possiamo anche decomporre il prodotto rispetto alla somma nel primo addendo e
abbiamo di nuovo uno prodotto misto con due vettori paralleli perciò otteniamo:

cioè nel calcolo della densità di potenza complessa lungo contano solo le parti trasverse dei
campi. Ora scriviamoci le parte trasverse, grazie alle scelte fatte sugli assi sia in polarizzazione
parallela che in perpendicolare abbiamo

e perciò si ha

Andando ancora più nel dettaglio mettiamoci davanti alla discontinuità dove i campi sono la
sovrapposizione di un’onda incidente e di una riflessa, in particolare partendo dall’elettrico si ha

Mettiamoci in polarizzazione parallela per fissare le idee, allora , poi i sono tutti uguali
mentre il lo chiamiamo perché siamo nel primo mezzo stando attenti che per l’onda riflessa
si deve cambiare il segno e allora otteniamo

La stessa cosa la facciamo per il campo magnetico e si ha

dove abbiamo sfruttato l’impedenza caratteristica in polarizzazione parallela grazie alla quale
abbiamo le seguenti relazioni tra campo magnetico ed elettrico:

Ora ci possiamo calcolare la potenza, in particolare noi vogliamo il flusso di potenza che attraversa
la discontinuità quindi ci mettiamo per : notiamo che a monte o a valle della discontinuità tra
i dielettrici intuitivamente si capisce che la potenza si deve conservare, questo è confermato
rigorosamente dalle equazioni di Maxwell perché sappiamo che su una discontinuità si conservano
le componenti tangenti dei campi, che sono quelle che intervengono nel calcolo della potenza
perché le componenti trasverse dei campi sono tangenti alla superficie di discontinuità.
Noi stiamo calcolando la potenza immediatamente a monte perché abbiamo usato il campo nel
primo semipiano dove c’è onda incidente e riflessa, se lo calcolavamo immediatamente a valle ci
serviva solo l’onda trasmessa.
I campi considerati per il calcolo della potenza dipendono da e da , se invece prendiamo la
densità di potenza si può vedere che questa dipende solo da perché

114
questa cosa porta a un problema perché se ci mettiamo in una superficie piana parallela alla
discontinuità e integriamo sulla superficie per ottenere la potenza, dato che la densità di potenza
non dipende da e l’integrale divergerà e perciò la potenza, sia attiva che reattiva, che transita
su un generico piano ortogonale all’asse è infinita, ma questo è causato sempre dal fatto che le
onde piane non sono fisiche e perciò otteniamo questo risultato che fisicamente è impossibile.
Fatta questa osservazione calcoliamoci la potenza per , dovremmo scrivere perché
siamo immediatamente prima della discontinuità, ma non c’è bisogno per il fatto che abbiamo
detto che la potenza si conserva e perciò anche se l’espressione cambia immediatamente prima o
immediatamente a valle noi siamo interessati al valore, abbiamo:

Sfruttiamo il coefficiente di riflessione per scrivere il campo riflesso in termini dell’incidente, ora il
coefficiente è quello della polarizzazione parallela ma facendo gli stessi conti per la polarizzazione
TE si arriva a un espressione dove dobbiamo mettere quello perpendicolare quindi è uguale

Supponiamo di essere nel caso senza perdite, l’impedenza caratteristica è allora reale perché è

dove la permittività è reale e si può verificare che pure la lo è, perciò il coniugato non opera
nell’espressione precedente: questa ipotesi semplificativa ci serve perché così riusciamo subito a
fare parte reale ed immaginaria per ottenere la densità di potenza attiva e la densità di potenza
reattiva, in particolare ci interessa quella attiva che è

In questa espressione vediamo che il termine davanti alla parentesi è quello che ci dà la densità di
potenza quando il coefficiente di riflessione è nullo, cioè quando non c’è onda riflessa, e perciò
questa è quella che si chiama densità di potenza incidente che nel nostro caso senza perdite è
tutta attiva; per avere la densità di potenza che sta attraversando la sezione dobbiamo
moltiplicare la densità di potenza incidente per e perciò alla densità di potenza incidente
si deve sottrarre la quantità

che è chiamata densità di potenza riflessa: da questo si capisce ancora una volta che

perché se non fosse così la densità di potenza riflessa sarebbe più alta della densità di potenza
incidente e questo non è possibile, oppure ancora meglio si può vedere che se non fosse così
abbiamo una densità di potenza che invece di andare in direzione di va nella direzione opposta e
perciò invece di entrare nel mezzo passivo sta uscendo, cosa che non è possibile.
Abbiamo allora visto per bene che il coefficiente di riflessione non può essere in modulo maggiore
dell’unità come avevamo anticipato, poi capiamo pure che se la densità di potenza attiva
115
che transita nella discontinuità è nulla, cioè arriva potenza attiva e viene tutta riflessa: ecco perché
si parla di riflessione totale, è la densità di potenza attiva che viene riflessa tutta. Notiamo che è
sempre più corretto parlare di densità di potenza, e non di potenza, perché abbiamo visto che se
facciamo la potenza su una superficie questa diverge.
Ricordiamoci che la densità di potenza attiva è il valore medio della densità di potenza istantanea
e perciò non stiamo dicendo che istantaneamente non transita potenza attraverso l’interfaccia ma
che mediamente transita potenza nulla, tant’è che in generale ci può essere una densità di
potenza reattiva che dipende dal termine

e questo termine esprime proprio lo scambio di densità di potenza che ci deve essere perché
mediamente la densità di potenza sia nulla, se istantaneamente fluisce potenza attraverso
l’interfaccia in un altro instante deve fluire potenza uguale e opposta.

Incidenza di un'onda piana su semispazio metallico. Condizione di Leontovic

Cerchiamo ora di capire che succede quando un’onda piana incide su


un semispazio di buon conduttore, perciò il secondo semispazio oltre
a e ha pure una e siccome è di buon conduttore sappiamo
che quando andiamo a scrivere la permittività equivalente si ha una

dove prevale il termine con la conducibilità

Supponiamo di avere come piano di incidenza e la prima cosa che


vogliamo determinare è capire com’è fatta l’onda trasmessa: si vede
che anche il dell’onda trasmessa starà nel piano di incidenza e sarà del tipo

dove nel nostro caso

perché anche se non ci fossero perdite per isteresi elettrica e/o magnetica, a causa della
conducibilità la permittività equivalente è in ogni caso complessa, per questo sarà del tipo

Dobbiamo cercare di ricavare lo conosciamo perché supponendo di avere a che fare con
un’onda piana omogenea si ha

L’informazione che la componente tangente dei si deve conservare già l’abbiamo sfruttata, e per
determinare e sfruttiamo che stiamo considerando un’onda piana, per questo imponiamo

116
Supponiamo per semplicità del ragionamento che non ci siano perdite magnetiche, per cui
e questa non è un’ipotesi tragica perché in molte applicazioni di interesse si usano materiali senza
perdite magnetiche significative, come ad esempio rame o ottone, allora sfruttando anche il fatto
che siamo in ipotesi di buon conduttore scriviamo

e siamo arrivati a dire che questo prodotto punto deve dare come risultato un immaginario puro;
siccome d’altra parte

abbiamo ottenuto l’equazione

da cui prendendo parte reale e immaginaria otteniamo

Definiamo

che ha le dimensioni di e il sistema si scrive come

Dalla condizione di buon conduttore in cui siamo possiamo andare al limite per avere un
conduttore elettrico perfetto quando e di conseguenza : in questa condizione
andiamo a risolvere il sistema.
Prima di risolvere notiamo che il sistema può essere scritto pure come

e facendo questo, nel piano la prima e


seconda equazione descrivono due iperboli: noi
siamo interessati al primo quadrante perché
vogliamo e e possiamo vedere
dalla figura che abbiamo un’unica soluzione di
interesse. Ora risolviamo invece il sistema nel
caso ideale che abbiamo detto, capiamo
guardando la figura che quando siamo sulla
bisettrice del primo e terzo quadrante abbiamo

e questo ci interessa perché se nel nostro caso


abbiamo che il suo inverso diverge e in particolare avremo

117
cioè parte reale e immaginaria del tendono a coincidente ed entrambe varranno al limite
proprio : questo ci basta per poter scrivere il campo trasmesso

che possiamo scrivere pure come

e dunque l’onda si propaga lungo e lungo e si attenua esponenzialmente lungo , in particolare


si attenua nella direzione perpendicolare alla discontinuità, e non è una novità: l’esponenziale
diventa nullo dopo qualche costante di tempo, dato che nel nostro esponenziale la costante di
tempo è possiamo dire che l’onda si annulla una volta che è entrata nel conduttore dopo due o
tre e per questo chiamiamo spessore di penetrazione perché questo ci indica lo spessore nel
quale il campo riesce a penetrare in un buon conduttore. Quando il conduttore diventa perfetto,
cioè per , il campo non entra proprio; in generale il fatto che il campo non entra in un buon
conduttore viene detto effetto Pelle e questa è la ragione per il quale i metalli schermano: dipende
ovviamente dall’applicazione, in particolare dalla frequenza delle onde, che metallo usare, quale
metallo è cioè buono per quel caso perché in dipendenza della situazione varia il , tipicamente ad
esempio per le microonde lo spessore di penetrazione vale qualche micron. Diciamo pure che
abbiamo una corrente indotta laddove c’è il campo elettrico, se il campo elettrico non penetra
all’interno del conduttore allora la corrente indotta sta solo fino allo spessore di qualche fino ad
avere una situazione limite in cui nel CEP abbiamo una corrente superficiale indotta.
Se ora ci scriviamo il come

dove

vediamo che l’onda emerge attenuandosi nella direzione ortogonale alla superficie discontinuità e
propagandosi nella direzione che è intermedia tra e , quando però il vettore parte
immaginaria e il vettore parte reale sono entrambi diretti lungo perché in questo caso abbiamo

e dunque la componente lungo si può trascurare: facendo questo l’onda trasmessa emerge tutta
normalmente al conduttore perché la parte reale e immaginaria di sono parallele e questo
succede qualsiasi sia l’angolo di incidenza; questa è una cosa strana perché in generale al variare
dell’angolo di incidenza cambia il e dunque cambia come emerge l’onda trasmessa, però
abbiamo visto che il variare dell’angolo di incidenza non conta se siamo nel caso

L’ultima condizione la scriviamo in modo diverso perché il fatto che questa quantità sia molto
minore dell’unità potrebbe dipendere dal seno, cioè dall’angolo, ma la condizione diventa davvero
significativa quando quest’angolo di incidenza è grande e lo stesso abbiamo un’onda trasmessa
ortogonale alla discontinuità per cui la condizione di interesse è

118
Le condizioni di onda piana ci dicono che

dove facciamo attenzione che il pedice sta indicando che stiamo parlando di onda trasmessa,
quelle non sono le componenti trasverse del campo; siccome poi nel nostro caso

significa che il campo elettrico e magnetico trasmessi non hanno componente lungo , andando a
sostituire otteniamo due relazioni che ora ci permettono di dire i campi sono trasversi

Noi sappiamo che il campo elettrico e il campo magnetico trasmessi sono legati dalla condizione di
onda piana e questa in generale vale a valle ma non a monte della discontinuità dove c’è l’onda
incidente e l’onda riflessa, e sappiamo che la somma di più onde piane non è in generale un’onda
piana: la relazione però vale anche a monte nel nostro caso perché a valle di una discontinuità si
conservano le componenti tangenti, siccome ora i campi trasmessi sono tutti trasversi non
abbiamo il problema di eventuali componenti non tangenti che non si conservano nella
discontinuità e non ci fanno valere la relazione sia a monte che a valle, a conclusione di questo
ragionamento dunque consideriamo che le relazioni che ci possono interessare sono

e prendiamo la seconda dove la permettività è quella equivalente, poi considerando come si scrive
nel nostro caso, unito al fatto che abbiamo un buon conduttore, scriviamo

Questa relazione vale anche per le componenti tangenti dei campi a monte della discontinuità per
come abbiamo detto e perciò scriviamo

In realtà non c’è bisogno di specificare per il campo magnetico che è quello tangente perché
essendoci un prodotto vettoriale per avremmo in ogni caso

Inoltre il campo elettrico tangente lo scriviamo possiamo scrivere in termini di tutto il campo
elettrico con un doppio prodotto vettoriale, cosa che abbiamo già visto, e lo vediamo di nuovo
facilmente notando che si ha

Scriviamo allora quella che si chiama condizione di Leontovic come

e questa è una condizione di tipo impedenza che si può aggiungere alle condizioni al contorno
quando dobbiamo risolvere un problema elettromagnetico: si può dimostrare infatti un teorema
di unicità diverso da quello trattato da noi in cui al posto delle condizioni al contorno, o insieme a
119
queste se le condizioni al contorno sono date solo in una parte della frontiera del volume di
interesse, si mette una condizioni di tipo impedenza, data bene, che ci permette di chiudere il
problema. La condizione si chiama di tipo impedenza perché se ad esempio pensiamo a un circuito
noi invece di dare quanto vale la componente tangente del campo elettrico o del campo
magnetico diamo un’impedenza di carico, cioè assegniamo il rapporto di una tensione con una
corrente, e questa cosa è un caso particolare di quello che si fa con i campi elettromagnetici: dare
un’impedenza di carico equivale a dare una relazione tra campo elettrico e campo magnetico che
è quindi una condizione di tipo impedenza come la condizione di Leontovic; notiamo che
ovviamente non possiamo fare il rapporto di campo elettrico e magnetico perché sarebbe un
rapporto di vettori, perciò abbiamo detto che si dà una relazione tra i due campi, non un rapporto.
Il problema che ora ci poniamo è considerare il fatto che la condizione di Leontovic è una
condizione di tipo impedenza ma è valida per onde piane, per cui in un problema elettromagnetico
generale non è possibile usarla come condizione: la cosa si risolve perché abbiamo visto che un
qualsiasi campo si può espandere in onde piane, anche se qui c’è un piccolo abuso che non
trattiamo, e abbiamo una condizione che non cambia al variare dell’onda piana dato che non varia
con l’angolo, dunque è sempre valida per tutte le onde piane: si può sommare membro a membro
perché è possibile raggruppare tutti i campi elettrici e tutti i campi magnetici dato che il termine

non varia con l’angolo, non dipende cioè dall’onda piana: abbiamo capito allora che è cruciale che
la relazione non dipende da come incide l’onda perché solo così possiamo usare l’espansione in
onde piane. La condizione l’abbiamo dimostrata per una discontinuità piana, se la discontinuità
non è piana si fanno delle approssimazioni locali andando ad approssimare la superficie con il
piano tangente nel punto opportuno, poi il versore sarà un che entra nel conduttore e perciò
in generale la condizione di Leontovic si scrive come

Si può dimostrare che la cosa ora detta vale se il raggio di curvatura della superficie è grande
rispetto allo spessore di penetrazione.
Capiamo meglio, per concludere, chi è questo

Si può vedere che questo non è altro che l’impedenza intrinseca del metallo perché

dove nella radice dell’unità immaginaria che sappiamo essere

abbiamo scelto il segno dato che la parte reale di deve essere positiva e lo capiremo meglio
dopo andandoci a calcolare la densità di potenza entrante, se scegliessimo l’altra determinazione
della radice avremmo un problema legato al fatto che esce densità di potenza da un conduttore
che è passivo.

120
Continuando abbiamo

che è quello che avevamo anticipato e perciò la condizione di Leontovic si scrive come

Calcoliamoci ora la densità di potenza attiva entrante nel conduttore che sappiamo essere

e capiamo pure che se il conduttore è elettrico perfetto la densità di potenza attiva entrante è
nulla perché per il CEP la componente tangente di campo elettrico è nulla e questo si trova con
l’intuizione fisica che se abbiamo un conduttore elettrico perfetto l’onda che incide viene tutta
riflessa; sfruttando Leontovic la densità di potenza attiva ce la scriviamo come

e ritroviamo il fatto detto prima che la parte reale di non può essere negativa altrimenti esce
potenza attiva dal metallo, invece la potenza attiva deve entrare nel conduttore e si dissiperà per
effetto Joule a causa della conducibilità che è presente.
La densità di potenza attiva, facendo la parte reale dell’impedenza intrinseca del metallo, ce la
possiamo scrivere anche come

e se vogliamo la potenza attiva che si dissipa nel conduttore basta fare l’integrale sulla superficie
attraverso la quale questa potenza sta passando, questo ci farà capire quanto valgono le perdite
all’interno del conduttore.

121
Propagazione guidata
Guide d'onda metalliche: definizione e contesti applicativi

La propagazione di un campo elettromagnetico può essere essenzialmente di due tipi: la prima è la


propagazione libera che si ha quando il campo si propaga da solo nello spazio una volta che è stato
generato e inviato in qualche modo, ad esempio la propagazione delle onde radio nell’etere è una
propagazione libera; il secondo tipo di propagazione che possiamo avere è quella guidata che
consiste nel costringere il campo a propagarsi rimanendo confinato in una certa struttura detta
struttura guidante e questa può essere realizzata con vari
materiali, in particolare a noi interesseranno quelle fatte con
con un dielettrico e un metallo: quando si guida il campo
abbiamo il vantaggio di non disturbare altri segnali e poi non
disperdiamo nemmeno il nostro campo nello spazio. Esempi
di strutture guida sono il cavo coassiale utilizzato ad esempio per portare il
segnale captato da un’antenna al televisore e questo è fatto da un’anima di
conduttore, un dielettrico che separa l’anima dalla calza che è fatta di un altro
conduttore e poi il tutto è protetto da una guaina; poi possiamo avere la linea
bifilare che è la linea fatta da due conduttori e che normalmente si usa nelle
case per gli impianti di distribuzione di energia elettrica, ma addirittura possiamo avere dei tubi
che sono guide d’onda circolari o anche rettangolari.
Lo studio che faremo noi sulla propagazione guidata riguarderà
strutture particolari che sono con sezione invariante per traslazione
su una direzione dello spazio, dette in breve cilindriche, ma non
perché questa deve essere un cilindro; puntualizziamo inoltre che la
direzione dello spazio rispetto alla quale la sezione non varia la
chiameremo e per ora non c’entra nulla con la direzione di
propagazione, capiremo poi cosa possiamo dire a riguardo.
L’immagine a lato riassume quello che abbiamo detto ora, la parte
(a) rappresenta quello che noi intenderemo per guida d’onda, la parte (b) invece rappresenta una
struttura che per noi non è una guida d’onda.
Risolveremo il problema elettromagnetico nel caso di un mezzo normale, che ci ricordiamo vuol
dire mezzo lineare, non dispersivo nello spazio, stazionario e isotropo, e aggiungeremo pure
l’omogeneità, inoltre considereremo anche che la nostra guida d’onda sia contornata di CEP,
ragion per cui, detta la normale alla superficie laterale, la condizione al contorno sarà

Abbiamo dato la condizione sulla superficie laterale ma nulla abbiamo detto sulle basi, perciò non
abbiamo dato una condizione al contorno completa: il problema qui sta nel fatto che sulle basi
della guida ci dovrà essere da un lato il generatore del segnale e dall’altro il carico, per questo
nulla possiamo dare in generale su questa parte del contorno, allora risolvendo il problema posto
così troveremo infinite soluzioni e la soluzione unica cercata si troverà poi forzando la condizione
sulle basi nel momento in cui sappiamo cosa attaccare alla guida d’onda.

122
Il concetto di modo: modi TEM, TE e TM e loro proprietà di rappresentazione

Per risolvere il problema elettromagnetico nel caso della propagazione guidata considerata è
conveniente scrivere le equazioni di Maxwell in forma diversa: innanzitutto diciamo che il sistema
di equazioni di Maxwell a cui dovremmo far riferimento è

dove abbiamo sfruttato le ipotesi fatte sul mezzo, tra l’altro la permittività e la permeabilità
potrebbero anche uscire dalla divergenza avendo supposto l’omogeneità spaziale ma per ora non
ci interessa, poi abbiamo usato la permittività equivalente in modo da inglobare nella seconda
anche la densità di corrente indotta e nella terza anche la densità di carica indotta, però dobbiamo
notare che non ci sono le sorgenti impresse perché per ora vogliamo considerare che stanno fuori
dal volume considerato: ovviamente non possiamo considerare che non stanno nemmeno fuori
altrimenti staremmo parlare della soluzione banale, cioè campo elettromagnetico nullo, e non ha
senso fare tutti questi ragionamenti per trovare la soluzione. Il sistema di equazioni viene riscritto
in base all’idea avuta da Marcuvitz e Schwinger di decomporre il campo in una parte trasversa a
e una lungo , che chiamiamo componente longitudinale, in questo modo

dove le componenti trasverse ed sono state accorpate nel vettore trasverso e poi abbiamo
scritto la componente longitudinale esplicitando il versore dell’asse , cioè in sintesi quello che
abbiamo fatto è scomporre il vettore posizione come

Quello che faremo vedere è che semplicemente riscrivendo il sistema di equazioni di Maxwell a
seguito di queste considerazioni riusciremo a ricavare i campi elettrico e magnetico trasversi da
certe equazioni e da questi poi ricaviamo le componenti longitudinali; si capisce pure che queste
componenti trasverse sono importanti perché oltre a dividere il problema riusciremo a chiuderlo
con le condizioni sulle basi che mancano dandole proprio sulle componenti trasverse.
Si può verificare facendo i conti, oppure con un po’ di calcolo differenziale, che il sistema di
equazioni di Maxwell si può riscrivere in questo modo:

Nel sistema ora scritto compare la costante di propagazione e poi c’è quello che si
chiama gradiente trasverso della divergenza trasversa dove in particolar e possiamo dire che

123
cioè “nabla trasverso” è l’operatore che deriva solo rispetto alle coordinate trasverse ed ma
abbiamo scritto in questo modo perché se avessimo scritto

avremmo adoperato una scrittura che va bene solo per le coordinate cartesiane, con la scrittura
precedente siamo invece più generali. Ora che abbiamo scritto il sistema capiamo che possiamo
ricavare prima le componenti trasverse del campo elettromagnetico perché queste compaiono
solo nella prima e seconda equazione, poi dalla terza e quarta ricaviamo le longitudinali.
Oltre a riscrivere il sistema di equazioni cerchiamo anche di trovare delle soluzioni più semplici,
dalle quali poi speriamo di trovare tutte le soluzioni possibili combinandole in qualche modo, e
perciò cerchiamo solo soluzioni di tipo TEM oppure TE oppure TM: le soluzioni TEM sono soluzioni
in cui sia il campo elettrico che magnetico longitudinale è nullo, infatti TEM sta per “trasverso
elettromagnetico”, poi analogamente per le soluzioni “trasverso elettrico” sarà e per le
soluzioni “trasverso magnetico” sarà ; questo ancora non ci basta, vogliamo addirittura
cercare di trovare delle soluzioni in cui la parte trasversa sia fattorizzata, cioè del tipo

dove le funzioni e sono scalari mentre le funzioni e sono funzioni vettoriali e la


notazione di e non è da confondersi con quella di campo elettrico e magnetico nel dominio del
tempo, sarà comunque chiaro dal contesto quello che si intende con le notazioni che possono
essere un po’ equivoche.
L’idea di questa fattorizzazione deriva dal fatto che quando troviamo una soluzione a una certa
sezione questa potrebbe andare bene anche altrove, quando ci spostiamo da una sezione all’altra
quello che potrà cambiare sarà un coefficiente davanti che quindi sarà funzione della sola , e
questo potrebbe essere possibile perché abbiamo una struttura invariante per traslazione, se la
struttura non fosse cilindrica questa cosa non si potrebbe proprio fare.
Una soluzione con componente longitudinale nulla e che possiamo fattorizzare prende il nome di
modo e parleremo rispettivamente di modi TEM, modi TE e modi TM per indicare soluzioni in cui
si annullano le componenti longitudinali rispettivamente del campo elettromagnetico, solo del
campo elettrico o solo del campo magnetico, e poi fattorizziamo sia il campo elettrico che
magnetico trasversi in ogni caso.
Le funzioni e prendono il nome di funzioni scalari di modo o molto spesso tensione e corrente
ma non perché lo siano sempre, vedremo che questo è vero solamente nel caso dei modi TEM, per
gli altri modi non sono davvero tensione e corrente ma spesso si chiamano lo stesso con questi
nomi; le funzioni ed prendono il nome di funzioni vettoriali di modo. Notiamo anche che le
dimensioni fisiche di ed e di ed sono del tutto arbitrarie, per i modi TEM la scelta che
conviene fare è quella di misurare la tensione in volt e perciò la corrispondente funzione vettoriale
di modo in , mentre misuriamo la corrente in ampere e quindi anche la in : questo
perché abbiamo detto che per i modi TEM la e la sono veramente la tensione e la corrente.

124
Dobbiamo anche considerare che nella fattorizzazione è possibile per esempio moltiplicare e
dividere per una costante arbitraria non nulla, cioè

ragion per cui la fattorizzazione non è univoca e in particolare ed non sono univocamente
determinati: queste due arbitrarietà sono quelle che ci fanno poi sperare che riusciamo a scrivere
una soluzione generale come sovrapposizione di queste soluzioni più semplici.

Modi TEM

Cominciamo con il considerare le soluzioni TEM fattorizzate, cioè i modi TEM, sintetizzando
abbiamo allora

Questo lo andiamo a sostituire nel sistema di equazioni di Marcuvitz e Schwinger ed otteniamo

Per ora in realtà abbiamo sfruttato solo che la soluzione è TEM, non abbiamo ancora fattorizzato,
poi notiamo anche che nella prima e seconda equazione si annullano i gradienti della divergenza
perché la terza e quarta ci dicono che la divergenza trasversa di quelle quantità è nulla.
Consideriamo la seconda equazione, possiamo anche scriverla in questo modo

dove abbiamo moltiplicato i due membri per il versore longitudinale e a primo membro il versore
è entrato nel segno di derivata essendo costante, a partire da questo possiamo operare al secondo
membro sfruttando che il doppio prodotto vettoriale lo scriviamo come

e l’ultimo passaggio è giustificato dal fatto che nella prima parentesi abbiamo il prodotto scalare,
perché i versori sono reali, di due versori uguali e viene dunque il modulo quadro e nella seconda
parentesi invece abbiamo il prodotto di due versori ortogonali che è nullo, in conclusione si ha

Dalla prima equazione otteniamo invece che

e possiamo allora sostituire questo nell’espressione trovata prima per ottenere

125
dove abbiamo sfruttato l’omogeneità del mezzo per portare la permittività fuori dalla derivata e
abbiamo potuto scrivere la derivata seconda, poi aggiustando otteniamo

nella quale compare la costante di propagazione al quadrato e abbiamo l’equazione


dell’oscillatore armonico che restituirà come soluzione una famiglia di funzioni del tipo

dove tecnicamente noi abbiamo risolto l’equazione, che è a derivate rispetto alla , fissando e
andando a risolvere per ognuno di questi vettori trasversi; tra l’altro risolvendo abbiamo scoperto
che l’integrale generale è la sovrapposizione di due soluzioni fattorizzate che possiamo vedere
essere anche un’onda progressiva e un’onda regressiva, ma stiamo attenti che non sono onde
piane perché il coefficiente davanti all’esponenziale non è indipendente dalle coordinate spaziali.
Il fatto che sia già una sovrapposizione di soluzioni fattorizzate fa capire che nel caso di soluzioni
TEM è naturale parlare di modo TEM, perché senza sfruttare che vogliamo soluzioni fattorizzate le
abbiamo ottenute, per i modi TE e TM invece non sarà così facile ottenere questa famiglia di
soluzioni scritta in questo modo. Per chiudere la questione però dobbiamo ancora trovare e
perché ancora non sappiamo come la soluzione varia con e .
Sfruttiamo l’ipotesi di modo, che sappiamo voler dire

e inseriamo questa cosa nella prima e seconda equazione di Marcuvitz e Schwinger, omettendo le
dipendenze dalle variabili abbiamo

e possiamo portare le funzioni vettoriali di modo fuori dalla derivata perché sappiamo che queste
dipendono solo da e , allora la derivata diventa totale e concentrandoci per ora solo sulla prima
delle due abbiamo

Abbiamo così separato le variabili, come si fa spesso nella teoria delle equazioni a derivate parziali,
e ora facciamo questo ragionamento: portiamo a primo membro la parte che dipende da che sta
a secondo membro, in questo modo otteniamo

La divisione fatta è lecita perché c’è almeno una sezione in cui la è non nulla altrimenti il
campo magnetico trasverso, e quindi tutto il campo magnetico nel caso TEM, si annulla sempre e
questo porta ad annullare pure l’elettrico: staremmo cercando la soluzione banale, ma che la
soluzione banale c’è lo sappiamo già e tutto questo casino è inutile, allora l’ultimo passaggio è
lecito perché vogliamo soluzioni non banali. Ora si vede che in parentesi quadra c’è una funzione
scalare funzione della sola , al massimo ci sta che dipende da ma ora non è questo che
126
dobbiamo guardare; possiamo dire anche di più perché il termine a secondo membro e l’ che sta
a moltiplicare a primo membro dipendono solo da , fissati e l’uguaglianza deve essere
vera al variare della sezione e perciò deve essere per forza che la nostra funzione in parentesi
quadra è costante. Allora abbiamo scoperto

dove abbiamo scelto arbitrariamente il nome della costante e poi capiremo perché scriverla così,
per ora ci concentriamo sul fatto che abbiamo trovato

e pure

Dall’ultima equazione capiamo pure che è adimensionale perché le funzioni vettoriali di modo si
misurano tutte e due in mentre è adimensionale perché è un versore.
Questa costante è un’indeterminazione che deriva da dalla fattorizzazione perché sappiamo che
quando fattorizziamo succede sempre una cosa del tipo

cioè non esiste un’unica fattorizzazione. In teoria la costante siamo liberi di sceglierla a piacere,
però scopriremo che in questo caso ci sarà un modo per sceglierla perché si prenderà in modo che
la funzione scalare sia proprio la corrente.
Delle due uguaglianze la prima è un’equazione in ed e si capisce che ci serve un’altra
equazione che ora ci cerchiamo, l’altra equazione mette in relazione le funzioni vettoriali di modo
e pure ci è molto utile: le mette in relazioni in entrambi i sensi perché noi abbiamo

cioè abbiamo in dipendenza di , ma possiamo avere pure il contrario andando a pre-


moltiplicare per e attenzione che è importante specificare che stiamo pre-moltiplicando e non
post-moltiplicando perché il prodotto vettoriale è antisimmetrico: per ricordasi se dobbiamo pre-
moltiplicare o post-moltiplicare basta pensare che quando c’è dobbiamo metterlo prima, per
invece viene dopo.
Otteniamo dunque in dipendenza di considerando

dove facciamo attenzione che nell’ultimo passaggio non abbiamo spostato le parentesi perché il
prodotto vettoriale non è associativo, abbiamo solo invertito la parentesi con il versore sfruttando
l’anticommutatività, però il segno meno che usciva è scomparso perché poi abbiamo invertito
pure i fattori nella parentesi; usiamo la formula del doppio prodotto vettoriale e si ha

Nell’ultima espressione abbiamo il prodotto scalare di due vettori perpendicolari che sono e
dato che il primo è tutto trasverso e non ha componente lungo , questo prodotto si annulla,
l’altro prodotto scalare è il prodotto di un versore per se stesso per cui abbiamo

127
Torniamo a trovare l’altra equazione che ci serve riguardo alle funzioni scalari di modo, prendiamo

e con ragionamenti analoghi a prima si ha

dove nell’ultimo passaggio abbiamo sfruttato il risultato trovato poco fa; ora ci vogliamo togliere
assolutamente non possiamo dividere, quello che si fa è portare tutto al primo membro e si ha

L’annullamento a questo punto è causato dalla parentesi quadra perché in caso contrario abbiamo
che si annulla sempre il campo magnetico trasverso, ma allora si annulla tutto il campo magnetico
siccome stiamo parlando di modi TEM, e si annulla pure il campo elettrico e abbiamo di nuovo la
soluzione banale: noi vogliamo le soluzioni non banali e perciò possiamo dire

Questa è l’altra equazione che ci serviva e nel complesso abbiamo il sistema

e questo ci serve per andare a risolvere il nostro problema differenziale; questo è il sistema di
quelle che si chiamano equazioni dei telegrafisti ed è fatto da semplici equazioni ordinarie, come
volevamo ottenere quando abbiamo fattorizzato. Il nome è dovuto al fatto che quando sono state
ottenute, non per questa via, servivano a descrivere il comportamento dei segnali telegrafici.
Ancora non abbiamo risolto definitivamente il nostro problema perché sappiamo trovare e ,
sappiamo che da otteniamo e viceversa ma almeno uno dei due ci serve: dobbiamo provare a
sfruttare la terza equazione di Marcuvitz e Schwinger

dove abbiamo sostituito già la fattorizzazione al campo elettrico trasverso; possiamo portare fuori
dalla divergenza trasversa la perché le derivate che stanno in questo operatore agiscono su e
ma non sulla e dunque non abbiamo nessun problema, questo passaggio ci permette di capire
che allora la causa dell’annullamento di

è per forza la divergenza perché siccome questa uguaglianza deve essere vera qualsiasi siano ,
e , di nuovo, se si annullasse la tensione si annullerebbe pure il campo elettrico, di conseguenza si
annulla il campo magnetico e abbiamo la soluzione banale. Possiamo dire

e pure qua la colpa dell’annullamento è della divergenza perché non può annullarsi: abbiamo
scoperto che è indivergente.
Facciamo la stessa cosa per la quarta equazione di Marcuvitz e Schwinger e si ha pure

128
cioè pure è indivergente; i passaggi sono del tutto analoghi e sono così semplici perché stiamo
nel modo TEM, per questo è stato inutile ripetere tutto il discorso, si può fare per esercizio.
Però ci serve dell’altro e allora ricordandoci un’identità vettoriale che abbiamo visto già per il
teorema di Poynting diciamo che

quindi stiamo usando di nuovo la relazione che ci ha permesso di dire che è indivergente, in
questa possiamo calcolare subito il rotore di che è nullo perché il versore è costante e da quello
che è rimasto ci piacerebbe dire

così avremmo scoperto che è pure irrotazionale perciò essendo già indivergente si dice che è
armonico; questa cosa è importantissima perché un problema in cui abbiamo un campo armonico
in assenza di sorgenti l’abbiamo già visto in elettrostatica, perciò nella sezione il campo lo
troviamo risolvendo un problema bidimensionale elettrostatico. Il problema è che l’equazione

ci dice solo che i due vettori sono ortogonali, non è detto che il rotore si annulli: allora sviluppiamo
il rotore e scriviamo

cioè abbiamo scoperto che per sua stessa natura il rotore trasverso è nullo dappertutto tranne che
su , ora la condizione che abbiamo ci dice che è nullo pure su e perciò possiamo dire che tutto
è irrotazionale, come volevamo.
Su possiamo fare proprio lo stesso identico ragionamento perché abbiamo

e abbiamo scoperto che pure è armonico. Capiamo che possiamo determinare una delle due
funzioni vettoriali di modo e l’altra si determina di conseguenza date le relazioni che abbiamo, cioè
possiamo scegliere il set di equazioni che vogliamo.
Il problema ora è che vogliamo fare come in elettrostatica, lì avendo un campo armonico ce lo
siamo scritti in termini di potenziale con il gradiente: ragioniamo su , noi sappiamo che è
irrotazionale, se riuscissimo a scriverlo come

ci andrebbe bene perché dobbiamo soddisfare

e la seconda è automaticamente soddisfatta perché il rotore del gradiente è nullo, mentre nella
prima si ha

dove la divergenza del gradiente è il laplaciano scalare e si indica con

cioè siamo arrivati a un problema alle derivate parziali di Laplace che si può risolvere, o meglio
questa è l’equazione da risolvere, poi dobbiamo vedere le condizioni da associare.

129
Però per scrivere come gradiente, di un potenziale scalare monodromo si dice, il campo deve
essere conservativo e se il campo è conservativo è pure irrotazionale, ma in generale
l’irrotazionalità non implica la conservatività.
Ricordiamoci che un campo si dice conservativo se la circuitazione sul ciclo che fa parte di un
dominio è nulla qualsiasi sia il ciclo considerato, cioè in formule

dove è il dominio considerato; si può dire che un campo è conservativo anche in un altro modo
equivalente, come sappiamo, cioè si può dire che

cioè l’integrale non dipende dal cammino scelto per integrare ma solo dagli estremi.
Dalla irrotazionalità si può passare alla conservatività solo se il dominio è semplicemente
connesso, cioè dobbiamo avere una condizione sulla topologia del dominio che è la semplice
connessione. Sappiamo che un dominio è semplicemente connesso se comunque si considera un
ciclo all’interno del dominio lo si può deformare con continuità trasformandolo in un punto senza
mai uscire dal dominio, cioè in pratica non ha buchi.
L’ipotesi sul dominio è quella che ci permette di usare Stokes dato che ci permette di scrivere

Nel momento in cui il dominio è semplicemente connesso abbiamo una per ogni ciclo
considerato sulla quale consideriamo il rotore perché dalla definizione di semplice connessione di
un dominio che abbiamo ora dato riusciamo a definire la superficie quando nella deformazione si
spazza una certa superficie che è proprio la : se su questa superficie il rotore è nullo il teorema
di Stokes ci dice che lo è anche la circuitazione e cioè abbiamo un campo, o vettore, conservativo.
In molti casi di nostro interesse non abbiamo la semplice connessione, basta pensare ad esempio
al cavo coassiale, in questo c’è evidentemente un buco data dalla discontinuità tra il dielettrico e il
conduttore di cui è fatta l’anima, allora in generale sembra che non si riesce ad ottenere come il
gradiente di un potenziale: si dimostra però che questo è irrotazionale e anche conservativo, cosa
che non vale per ed ecco perché il problema lo risolviamo trovando e non .
Per fare questa cosa consideriamo allora la prima equazione di Maxwell

che scriviamo in forma globale come

e con riferimento al cavo coassiale ci andiamo a considerare un ciclo che racchiude una
superficie con la normale lungo la direzione longitudinale perché la sta sulla sezione del cavo
coassiale; l’orientamento del ciclo sarà antiorario e vogliamo far vedere che la circuitazione viene
sempre nulla: farlo è molto semplice perché nelle ipotesi in cui ci siamo messi si ha

130
e siccome stiamo considerando un modo TEM sappiamo che la per cui la circuitazione del
campo elettrico è nulla e questo è un campo conservativo. Se però il ciclo considerato uscisse dalla
sezione questo che abbiamo ora dimostrato non è più vero.
Il risultato ottenuto lo possiamo scrivere come

perché essendo il modo TEM il campo è tutto trasverso, poi andiamo a fattorizzare e otteniamo

Dato che la sezione si può scegliere a piacimento è evidente che questa quantità si annulla per
colpa dell’integrale perché se si integrasse sempre per colpa di staremmo parlando della
soluzione banale e staremmo facendo allora un discorso inutile; se l’integrale è nullo abbiamo
trovato che è conservativo perché questo integrale è una circuitazione: in questa ultima cosa
detta la topologia della sezione non è di interesse, possiamo pure avere un dominio non
semplicemente connesso, il problema è solo che non dobbiamo uscire dalla sezione, se usciamo
dalla sezione la cosa non è più vera. Allora abbiamo mostrato quello che avevamo già detto e cioè
che oltre ad essere irrotazionale è anche conservativo. Possiamo ora dire che

Dobbiamo notare che con stiamo indicando il laplaciano scalare e non è da confondere con il
laplaciano vettore di cui ancora non sappiano nulla, inoltre non lo indichiamo con perché
questa notazione in certi casi può creare equivoca.
Vediamo ora che succede ad , si vede facilmente che questo non è conservativo perché

e potrebbe dunque esserci questa densità di corrente elettrica che sarà inclusa nella in tutta la
superficie tranne il buco, se ad esempio consideriamo il cavo coassiale sappiamo che sull’anima
del cavo coassiale in generale scorre una corrente non nulla per cui andando a scrivere

anche se il flusso del campo elettrico lo si può annullare scegliendo una superficie che abbia
normale lungo e perciò il campo, essendo trasverso, in prodotto scalare con si annulla, nulla
possiamo dire sul flusso della densità di corrente non sapendo nulla della corrente superficiale che
scorre sul conduttore elettrico perfetto che costituisce l’anima del cavo coassiale. Ne concludiamo
allora che in generale è irrotazionale ma non conservativo.
Cerchiamo di capire un attimo però quanto vale la corrente che scorre sulla calza, cioè sul
conduttore esterno del cavo coassiale: consideriamoci un ciclo che sta lungo il conduttore elettrico
perfetto della calza, la circuitazione del campo magnetico è nulla siccome sul CEP il campo
elettromagnetico è nullo, per questo motivo se scegliamo in una sezione del cavo abbiamo che

e dunque o la corrente totale tra anima e calza si annulla oppure entrambe le correnti sono nulle,
ma la seconda possibilità si dimostra non essere possibile per cui effettivamente la corrente nella
calza è l’opposto della corrente nell’anima.

131
Riassumendo abbiamo trovato prima di tutto l’equazione dei telegrafisti che ci dice

poi abbiamo appena scoperto che ed sono irrotazionali e solenoidali, cioè a divergenza nulla, e
in particolare il primo è anche conservativo, ragion per cui

Grazie a questo abbiamo ottenuto

ma ci manca ancora una condizione che dobbiamo andare a trovare.


Abbiamo pure relazioni tra le funzioni vettoriali di modo che sono

Non abbiamo ancora sfruttato che la superficie laterale della guida che stiamo considerando è di
conduttore elettrico perfetto e cioè non abbiamo sfruttato

con normale alla frontiera per cui in questo caso è ortogonale a .


È vero che la componente normale alla superficie laterale è ortogonale alla
direzione longitudinale perché siamo nelle ipotesi di sezione invariante per
traslazione lungo e dunque non può essere che così, in altri termini si può
dire pure che a destra di una sezione ci deve stare la stessa cosa che sta a
sinistra e allora la non può pendere da nessuno dei due lati, deve essere per
forza ortogonale alla . Fatta questa considerazione scriviamo anche che

e allora

Ancora una volta qui non può essere la causa dell’annullamento perché se si annullasse la
tensione ad ogni sezione staremmo parlando, inutilmente, della soluzione banale, e allora ci basta
che ad una sola sezione la tensione non sia nulla per poter dire

Aiutandoci con la figura a lato ora andiamo a scrivere

e possiamo allora dire, scrivendo come gradiente di che

Il doppio prodotto vettoriale che abbiamo lo possiamo scrivere in modo diverso

e la seconda parentesi si annulla perché il gradiente del potenziale è trasverso alla , mentre nella
prima parentesi la teoria sulle derivate direzionali ci dice che

132
Abbiamo così ottenuto

Questa è la condizione che dobbiamo aggiungere per ottenere il problema di Laplace

e siamo allora in presenza di un problema differenziale alle derivate parziali dove la condizione ci
dice che è costante su ogni pezzo connesso del dominio: stiamo attenti che ad esempio nel cavo
coassiale abbiamo una frontiera non connessa, per cui la condizione ci dice solo che sulla
superficie dell’anima c’è un costante e sulla superficie della calza anche una costante in
generale diversa da quella sull’anima, una cosa analoga succede nella linea bifilare; questo fatto
che la connessione c’è su ogni pezzo costante va molto bene a livello fisico, ma non ne discutiamo.
Notiamo che il problema di Laplace che stiamo considerando non è né un problema di Diriclhet,
perché la condizione non ci dice il valore della funzione sulla frontiera, né un problema di
Neumann perché non abbiamo assegnato la derivata normale sulla frontiera ma quella tangente.
Per il modo TEM abbiamo trovato tutte le equazioni che ci servono, però
dobbiamo capire cosa viene risolvendo; prima di procedere è necessario
fare delle considerazioni riguardo al problema di Laplace: per prima cosa
vediamo com’è fatta una soluzione di questo problema e lo facciamo
andando a considerare una sezione come in figura a lato, questa ha tre
contorni e supponiamo che su ognuno dei contorni vale , che sono
delle costanti complesse in generale.
Allora l’idea è questa, si considerano tre soluzioni, la prima è che è
soluzione quando si suppone

poi si considera la soluzione che risolve il problema quando

e infine la soluzione che risolve il problema quando

Essendo queste tre delle soluzioni possiamo scrivere

Queste tre sono delle funzioni di base con cui vorremmo scrivere l’integrale generale
perché siccome l’equazione di Laplace è lineare possiamo scrivere tutto con la
seguente combinazione lineare

In questo discorso ci sembra allora di avere tanti modi TEM


quanti sono i contorni, in realtà si fa vedere facilmente che
ne servono di meno, sfruttando infatti che le funzioni
considerate sono armoniche (si sottintende reali se non
specificato altrimenti) in quanto hanno laplaciano nullo,
sappiamo che il massimo e il minimo stanno sulla frontiera:

133
attenzione che possiamo dire direttamente “il massimo e il minimo” siccome possiamo far vedere
che queste funzioni sono reali, in caso contrario dovevamo parlare di massimo e minimo modulo.
Facciamo vedere che le sono effettivamente reali, consideriamo che in generale la funzione
può essere complessa e perciò espressa nella forma

sappiamo che questa è a Laplaciano nullo per cui

In particolare consideriamoci la parte immaginaria, sui contorni della sezione abbiamo


per cui le condizioni al contorno di ogni ci dicono che questa è nulla sulla frontiera, essendo la
armonica questi saranno anche i valori massimi e minimi e perciò la funzione è identicamente
nulla: avendo dimostrato che la parte immaginaria della è nulla abbiamo dimostrato che
questa funzione è reale.
A questo punto consideriamoci

e sappiamo

Per la costruzione fatta le condizioni al contorno per questa funzione sono


che su ogni parte della frontiera la funzione è unitaria e perciò, essendo i
massimi e minimi della funzione sulla frontiera, la funzione : grazie a
questo possiamo riscrivere una delle soluzioni base come combinazione
delle altre in questo modo

e l’integrale generale sarà a questo punto

cioè per scrivere l’integrale generale ci bastano una costante e la combinazione lineare di due
soluzioni base, anzi la costante non serve nemmeno perché della funzione potenziale così ottenuta
andremo a fare il gradiente e perciò la costante scompare: abbiamo mostrato in questo modo che
se il numero di contorni di una sezione è bastano funzioni base per l’integrale generale.
Abbiamo scoperto anche che se abbiamo un solo contorno non ci sono funzioni di base nel senso
che con il ragionamento fatto noi poniamo che la funzione sul contorno è unitaria per trovare una
soluzione base, dopodiché con questa scriviamo la soluzione come

ma essendo la armonica reale è anche costante e pari al valore assunto sul contorno, cioè
e allora abbiamo trovato che nel caso considerato

e stiamo cioè parlando della soluzione banale in modo inutile: possiamo allora dire che se il
contorno è uno solo non abbiamo modi TEM.

134
Linee di trasmissione: definizione e contesti applicativi. Tensione e corrente su una linea

Iniziamo con il risolvere il problema elettromagnetico di cui abbiamo discusso per bene nel modo
TEM e perciò iniziamo con il risolvere l’equazione dei telegrafisti per trovare ed

consideriamo in particolare la seconda, l’omogeneità spaziale del mezzo ci permette di portare la


permittività fuori dalla derivata e possiamo scrivere

dove la costante si è semplificata e abbiamo ottenuto l’equazione dell’oscillatore armonico

e sappiamo qual è l’integrale generale; prima di scriverlo però dobbiamo notare che una volta
trovata la dobbiamo ricavare la solamente inserendo il risultato trovato nella prima equazione
e non nella seconda perché c’è il solito problema della costante, cioè noi potremmo avere come
prima equazione

e la costante scompare quando inseriamo ricavata da questa nella seconda perché c’è una
derivata, se poi andassimo a inserire i trovati in

avremmo un’ambiguità in quanto avremmo trovato soluzioni che possono essere di infiniti sistemi
che variano per una quantità costante rispetto e tra l’altro è quasi certo che non sono sistemi
che descrivono un problema di tipo elettromagnetico, allora abbiamo giustificato come mai
quando abbiamo trovato la la la dobbiamo obbligatoriamente trovare inserendo il risultato in

Detto questo abbiamo che

dove e sono le costanti dell’integrale generale e ancora una volta vediamo che abbiamo la
somma di un’onda progressiva e una regressiva perché nel dominio del tempo e in assenza di
perdite si ottengono due onde che si propagano rispettivamente nel verso concorde e nel verso
opposto dell’asse : ecco che ora l’asse è anche la direzione di propagazione.
Abbiamo detto che siamo in assenza di perdite, con le perdite ci sarebbe un’attenuazione come
abbiamo già visto per le onde piane ma stiamo attenti che queste non sono onde piane.
Ricaviamo anche la corrente

135
Fuori dalla parentesi dell’ultima espressione ottenuta abbiamo l’inverso dell’impedenza
caratteristica della linea che chiamiamo linea di trasmissione, cioè una struttura guidante che
supporta la propagazione di modi TEM. Abbiamo anche visto che la che è la costante di
propagazione della linea coincide con la costante di propagazione del mezzo che riempie la linea,
ma non è sempre così; quindi definiremo impedenza caratteristica della linea

e abbiamo scoperto che si può scrivere in termini di impedenza intrinseca e della costante; allora
ci riscriviamo meglio i risultati ottenuti dell’equazione dei telegrafisti e abbiamo

con

e possiamo notare che è la stessa storia delle onde piane, però non sono onde piane.
Per descrivere la soluzione allora servono essenzialmente due parametri che sono e e questi
prendono il nome di parametri secondari della linea, poi abbiamo le costanti e che sono da
determinare con le condizioni alla base che diamo nel momento in cui attacchiamo un carico a
valle e un generatore a monte della struttura guidante.
La soluzione delle equazioni dei telegrafisti prendono il nome di equazioni del trasporto di
tensioni e correnti e si possono dare in forma viaggiante come abbiamo fatto perché evidenziano
onda progressiva e regressiva, ma anche introducendo seno e coseno e si parla in quel caso di
forma stazionaria, cioè si può scrivere

dove possiamo vedere che

cioè è il valore della tensione nell’origine dell’asse , mentre poi abbiamo da capire chi è
e lo facciamo andando a considerare in forma stazionaria l’equazione del trasporto della corrente

In questa equazione si vede

da cui

e poi possiamo pure dire che

e concludiamo riscrivendo tutto come

136
Cerchiamo di interpretare un po’ questi risultati, consideriamo che siamo nel caso senza perdite,
ragion per cui scriviamo e abbiamo due funzioni periodiche di periodo spaziale pari a

che è la lunghezza d’onda, ci cominciamo a chiedere di quanto dobbiamo spostarci perché ad


esempio la tensione in un sia all’incirca la stessa di , cioè vogliamo

Si capisce facilmente che questo è vero sicuramente se

poi sarà vero anche per altre infinite soluzioni siccome stiamo trattando con funzioni periodiche
ma vogliamo soffermarci su questa e otteniamo che

e cioè dobbiamo spostarci di molto poco rispetto alla lunghezza d’onda: questa cosa è importante
perché se guardiamo le formule del trasporto ci accorgiamo che man mano che ci spostiamo sulla
linea di trasmissione la tensione e la corrente cambiano ed è come se il carico a valle che noi
vediamo, supponendo di partire da un corto circuito ad esempio, diventa man mano che ci
spostiamo un carico induttivo, poi un aperto, poi un carico capacitivo e così via, cioè spostandoci
noi vediamo un carico che cambia e diventa vari tipi di carico, è come se a una certa distanza
vediamo un resistore, poi ci spostiamo e vediamo un capacitore; l’ultima cosa detta era un
esempio, ricordiamoci sempre che se parliamo di carico capacitivo non vuol dire che c’è
fisicamente un capacitore ma solo che il carico è con reattanza negativa e ora è ancora più chiaro
perché non è ha senso immaginare che ci sta un avvolgimento se abbiamo un carico induttivo ad
esempio, eccetera.
La condizione trovata poco fa ci permette di capire che l’elettrotecnica, in cui un resistore resta un
resistore, così come un capacitore è un capacitore e basta, è vera nel momento in cui ci spostiamo
di poco rispetto alla lunghezza d’onda per fare misure di tensione e di corrente, altrimenti tutto
quello che si studia in elettrotecnica sarebbe falso: ricordiamoci che quando usiamo le equazioni
di Maxwell sono queste che ci dicono cosa succede veramente, in elettrotecnica si usano le leggi di
Kirchhoff che sono un’approssimazione nel caso del lentamente variabile, infatti se ci facciamo un
conto veloce possiamo vedere che alla frequenza industriale di con la quale la corrente
viene distribuita nelle nostre case, facendo per semplicità l’ipotesi di propagazione in un mezzo
vuoto abbiamo

per cui otteniamo che se vogliamo che la nostra approssimazione fatta in elettrotecnica sia valida
dobbiamo spostarci all’incirca di una quantità molto minore di e in effetti la
linea bifilare che distribuisce la corrente nelle case è molto minore di .

137
Coefficiente di riflessione ed impedenza. Trasporto d’impedenza

Dobbiamo definire ora l’impedenza e per farlo dimentichiamoci della definizione classica e del
concetto che abbiamo di impedenza, per noi l’impedenza è

perciò è dipendente dalla sezione considerata; possiamo poi parlare ovviamente di ammettenza,
possiamo dividere l’impedenza in parte reale e immaginaria per parlare di resistenza e reattanza e
possiamo anche dividere l’ammettenza in parte reale e immaginaria per parlare di conduttanza e
suscettanza. La definizione data vale ovviamente pure nell’elettrotecnica, non dobbiamo pensare
però alla classica impedenza perché abbiamo visto che c’è una variabilità del carico visto a una
certa sezione che non avevamo mai considerato prima.
Sfruttando le formule del trasporto in forma stazionaria scriviamo

che possiamo aggiustare un po’ e otteniamo

e l’ultima formula, che va sotto il nome di formula del trasporto di impedenza, è molto
importante e va ricordata, notiamo inoltre che non è .
La formula ora scritta è utile negli esercizi, in particolare noi ci metteremo nel caso di assenza di
perdite e allora scriveremo

e ora, trattando con una tangente di argomento reale, è più chiaro vedere che abbiamo una
funzione periodica di periodo

Da questa formula ora scritta è anche più evidente il discorso fatto che al variare della sezione
dalla quale guardiamo il carico questo cambia. Vediamo anche proprio con le formule questa cosa,
consideriamo di chiudere il cavo coassiale con un tappo di conduttore elettrico perfetto, questo è
quello che chiamiamo corto circuito ed evidentemente possiamo dire

se poniamo l’origine di riferimento dell’asse sul tappo, poi in questo caso è evidente pure che

perché non può essere che anche la corrente a questa sezione si annulla altrimenti staremmo
parlando della soluzione banale, grazie a questa osservazione sicuramente non abbiamo una
forma indeterminata quando calcoliamo l’impedenza e queste è dunque nulla.
Riguardo all’origine , questa si può fissare in base ai casi vedendo qual è la scelta che
conviene di più come abbiamo già visto in questo caso, la scelta che faremo noi di solito è quella in
figura dove notiamo due cose importanti: la prima è che la direzione di
138
propagazione deve sempre puntare verso il carico, poi la linea di trasmissione, sia questa un cavo
coassiale o altro, la possiamo rappresentare sempre come linea bifilare in cui specifichiamo i
parametri secondari che la descrivono; di solito detto lo spostamento, si tende a scrivere tutto in
termini di questo e si scrive

e abbiamo trovato che spostandoci abbiamo un immaginario puro dato che essendo

e l’impedenza intrinseca è reale in assenza di perdite, poi non lo sappiamo ma vedremo che anche
è reale, e pure .
Avendo scoperto che abbiamo un immaginario puro abbiamo in pratica un carico visto che può
essere capacitivo o induttivo, in particolare inizialmente vediamo un carico induttivo perché la
reattanza è positiva, poi se la tangente va all’infinito vediamo un aperto, poi un carico capacitivo e
il ciclo si ripete. In particolare si può vedere che vediamo un aperto dopo .
Facciamoci anche un altro conto, come prima abbiamo visto che succede se la corrente e la
tensione stanno a una frequenza industriale ora vediamo che succede ad esempio nella
trasmissione radio e ci facciamo il calcolo per : si può vedere che otteniamo una
e considerando su che distanza si trasmette cominciamo a capire i problemi che ci sono,
ancora peggio se andiamo nelle trasmissioni per i cellulari perché siamo nell’ordine dei e
viene e così via potremmo farci il conto per la trasmissione in nella fibra ottica.
Di solito si tende a dare l’informazione sull’impedenza in un modo equivalente, si introduce cioè
un parametro diverso che contiene la stessa informazione e prende il nome di coefficiente di
riflessione definito come

Si usa il coefficiente di riflessione piuttosto che l’impedenza sempre a seconda dei casi, in termini
di questo possiamo dare la terza formula del trasporto e scrivere

Si dice che il in tensione è l’opposto del in corrente, di solito quando si scrive ci si riferisce
implicitamente al coefficiente di riflessione in tensione, se è quello in corrente si indica con ed è

Dato che abbiamo detto che impedenza e coefficiente di riflessione contengono le stesse
informazioni deve essere possibile passare da uno all’altro, e infatti si vede facilmente che

139
da cui si vede anche che il coefficiente di riflessione è adimensionale, poi si ha

e questa formula ci ricorda quella già vista nelle onde piane.


Data la dipendenza del coefficiente di riflessione dall’impedenza, in assenza di perdite, anche
è periodico e questo è anche evidente da

dato che non essendoci perdite, e il periodo sarà

Possiamo a questo punto andarci a studiare l’andamento di tensione e corrente, in modulo, con
quello che si chiama diagramma d’onda stazionario: mettiamoci sempre in assenza di perdite e
cominciamo con il considerare l’andamento in modulo della tensione normalizzata alla

Per capire come varia questa quantità ora scritta ci andiamo a considerare e possiamo vedere
che in modulo succede che

e cioè in assenza di perdite il coefficiente di riflessione ha modulo costante per cui lo possiamo
scrivere come

Siccome poi sappiamo anche che il modulo del coefficiente di


riflessione è minore o al più uguale dell’unità se il carico è
passivo possiamo rappresentare la variazione di nel
piano complesso come vediamo in figura dove il verso di
rotazione in direzione del carico è quello antiorario e il verso
di rotazione in direzione del generatore è quello orario.
Aiutandoci con questa figura capiamo cosa succede al
diagramma d’onda stazionario per la tensione, innanzitutto
un giro completo lo si ha quando ci spostiamo di

poi si vede che andando verso il carico la sta crescendo, dato che noi puntiamo sempre l’asse
verso il carico, e allora anche la fase del coefficiente di riflessione cresce giustificando il fatto che
abbiamo detto che il verso di rotazione antiorario è in direzione del carico, in particolare

sta decrescendo quando andiamo verso l’asse reale negativo e poi cresce di nuovo andando verso
l’asse reale positivo, il minimo dell’andamento sarà assunto nel punto sull’asse reale negativo ed è

mentre il massimo sarà assunto sull’asse reale positivo ed è

140
Ragionamenti analoghi si fanno per il diagramma d’onda della corrente in cui

e allora dove è massimo quello della tensione questo assume valore minimo e viceversa,
otteniamo in definitiva qualcosa del tipo mostrato in figura
che rappresenta quello della tensione.
La forma che si ottiene potrebbe
sembrare in certi casi tipo
sinusoidale, in realtà non è proprio
così tant’è verso che man mano che
il modulo del coefficiente di riflessione tende
all’unità la curva comincia ad assumere una forma come quella mostrata.
È possibile studiare anche il modulo quadro anziché il modulo con i diagrammi d’onda stazionari,
iniziamo allora a scrivere quello della tensione

e analogamente si ottiene quello della corrente

Consideriamoci ora un carico puramente reattivo e ci scriviamo il coefficiente di riflessione alla


sezione del carico come

dove sappiamo che in assenza di perdite nei modi TEM l’impedenza caratteristica è reale; ci
riscriviamo questa espressione come

dove se la reattanza è un reale positivo il carico sarà induttivo, se è un reale negativo sarà
capacitivo. Se andiamo a fare il modulo di questa quantità, essendo numeratore e denominatore
complessi coniugati abbiamo che e questo ci fa capire che, siccome almeno nelle onde
piane il coefficiente di riflessione è legato alla potenza attiva in riflessione, il carico considerato
non assorbe potenza attiva cosa che infatti è vera dato che il carico è puramente reattivo e
assorbe solo potenza reattiva. In altre parole abbiamo scoperto che

e vale anche il viceversa, se il coefficiente di riflessione in modulo è unitario il carico è reattivo.


Speriamo di poter riscrivere anche la potenza complessa come

e allora andiamoci a considerare il flusso del vettore di Poynting

141
Per poter scrivere la potenza complessa come vogliamo dobbiamo vedere se l’integrale che è
rimasto è unitario, per ora comunque facciamo finta che sia vero e questo ci permette di dire che

Attenzione che per trovare questo risultato abbiamo dovuto supporre il caso senza perdite per cui
, a partire da questo possiamo riscrivere anche in modo diverso la potenza complessa come

Possiamo analizzare questo risultato nel seguente modo, a moltiplicare la parentesi c’è quella che
chiameremo potenza incidente

perché è la potenza quando il coefficiente di riflessione è nullo ed è una quantità reale, la potenza
complessa si ottiene poi moltiplicando la potenza incidente per tutto il termine che sta in
parentesi, se andiamo a fare parte reale e immaginaria di questa potenza complessa otteniamo la
potenza attiva e la potenza reattiva

in particolare la potenza attiva si può scrivere come

Possiamo anche scrivere la potenza complessa come potenza progressiva e regressiva e abbiamo

Essendo

si avrà pure che

Può essere utile scrivere la potenza pure come

cioè sia in termini di impedenza che di ammettenza, con

e questo è l’inverso di un numero complesso perciò dobbiamo fare attenzione.


Si può pure definire l’ammettenza caratteristica

142
Dalla potenza complessa scritta in questo modo si ottiene poi la potenza attiva e reattiva facendo
rispettivamente la parte reale ed immaginaria e perciò se

si avrà

dove ancora una volta stiamo attenti quando facciamo la parte reale dell’ammettenza perché
bisogna stare attenti che

Tornando ai diagrammi d’onda stazionari


nel caso di carico puramente reattivo
vediamo che questi sono nella forma come
in figura e possiamo dire dove sono i nulli
di tensione e corrente ma solo nel caso in
cui siamo in assenza di perdite, perché il caso con le perdite ancora lo dobbiamo fare, e il carico è
reattivo.
Il massimo della tensione o della corrente nei diagrammi di onda stazionaria prendono il nome di
massimo massimo e analogamente per il minimo minimo perché se noi andiamo a tracciare un
diagramma fino a una certa può succedere che non è abbastanza affinché la tensione o la
corrente mostri tutto il suo andamento siccome può succedere che ad esempio la linea è corta
rispetto alla lunghezza d’onda e sul tratto considerato ci sarà un massimo e un minimo ma questo
non è il massimo e il minimo che può realmente assumere la grandezza considerata, cioè non è il
massimo massimo o il minimo minimo.
Nel caso in cui abbiamo un coefficiente di riflessione reale positivo vuol dire che

e si può trovare che allora

sta nel punto in cui

e con ragionamento analogo troviamo che

sta nel punto in cui

perché in questi punti il coefficiente di riflessione è reale negativo.

143
Adattamento: significato e rilevanza. Definizione e significato del Rapporto d’Onda Stazionaria

Le equazioni dei telegrafisti si possono scrivere anche in termini di parametri secondari, infatti

e perciò possiamo scrivere

così il sistema diventa

Ora vorremmo avere un coefficiente di riflessione nullo attaccando un carico così tutta la potenza
va sul carico annullando la riflessa: questo è il concetto di adattamento.
Si vede facilmente che siccome

per annullare il coefficiente di riflessione dobbiamo annullare il numeratore, dato che il


denominatore non può divergere, e cioè deve essere

Si dice che la linea è adattata oppure che il carico è adattato alla linea e per fare questa cosa c’è
bisogno di usare un circuito di adattamento.
È utile definire un coefficiente che prende il nome di rapporto d’onda stazionario ed è

Questo coefficiente si definisce nell’ipotesi di linea sufficientemente lunga affinché la tensione


possa assumere il suo massimo massimo e il suo minimo minimo.
Si capisce facilmente che

Il rapporto d’onda stazionario varia tra , quando il abbiamo un adattamento


completo, in realtà questo è un caso ideale e si può considerare che il carico è già adattato quando

Teoremi di equivalenza

Dobbiamo ora poter introdurre il generatore e per farlo dobbiamo enunciare il teorema di
equivalenza, di cui daremo quattro formulazioni, per un mezzo normale, con sorgenti in un
dominio limitato dello spazio e con validità solo nel dominio per come andiamo a dimostrarli.

144
Consideriamo la figura: anche se abbiamo rappresentato solo le densità di corrente, le sorgenti
comprendono anche le densità di carica e inoltre sono tutte sorgenti impresse perché le eventuali
indotte le consideriamo grazie alla permittività equivalente; con questa configurazione di sorgenti
si produce un certo campo

A questo punto consideriamo una configurazione diversa, al posto delle


sorgenti impresse interne al volume consideriamo delle correnti
magnetiche ed elettriche superficiali e tali che

Con questa configurazione si genera un campo equivalente e il teorema


di equivalenza nella sua prima formulazione dice che

sulla frontiera invece c’è discontinuità che poi è tra l’altro descritta dalle relazioni che definiscono
le correnti superficiali.
Per dimostrare questo teorema si applica il teorema di
unicità che ci dice che se la soluzione esiste è unica a patto di
assegnare le dovute condizioni: il campo nullo che abbiamo
all’interno del volume soddisfa le equazioni di Maxwell
omogenee, poi abbiamo il campo all’esterno che è , e
questo soddisfa le equazioni di Maxwell per ipotesi, inoltre
all’esterno per ipotesi questo soddisfa pure le condizioni di
Silver-Muller e perciò abbiamo verificato anche la condizione
all’infinito; resta da vedere che succede sulla frontiera, che è
solo la frontiera del volume dato che “l’infinito non ha
frontiera”: qui si danno le equazioni a raccordo

e considerando com’è fatto il campo equivalente otteniamo proprio le equazioni con cui abbiamo
definito le correnti superficiali, infatti queste correnti superficiali ce le siamo costruite apposta per
dimostrare che il campo equivalente è soluzione.
Il dubbio che può venire è che questo teorema di equivalenza non serve a niente perché per il
campo equivalente noi abbiamo bisogno delle correnti superficiali e per sapere queste ci serve il
campo , da cui siamo partiti per cui dobbiamo aver già risolto il problema elettromagnetico
che coinvolge questo campo: in realtà il teorema serve per poter trasformare un problema in un
altro che può essere in determinati casi più semplice e per esempio noi possiamo mettere quale
mezzo vogliamo nel volume, il teorema ci dice non cambia niente, così potremmo eliminare le
discontinuità tra i mezzi materiali; quindi il teorema di equivalenza ha una valenza concettuale ma
serve anche per poter fare meglio determinati calcoli o ancora se sappiamo in modo approssimato
il campo nel volume possiamo ottenere in modo approssimato le correnti superficiali.

145
L’ultima cosa detta è quello che tipicamente si fa con i fori, se pensiamo di avere un conduttore
elettrico perfetto che scherma, o separa, due parti e in questo c’è un foro come ad esempio è
mostrato in figura, si può usare il teorema di equivalenza per capire nel caso in cui da una parte c’è
un’onda piana incidente che succede dall’altra parte: in questa situazione si
dice che per quello che succede a destra si possono mettere delle correnti
equivalenti sulle pareti di CEP, in questo senso a volte si dice che il teorema di
equivalenza richiama il principio di Huygens perché questo dice che assegnata
la sorgente e una superficie, sulla superficie si possono mettere delle sorgenti
secondarie opportune che generano il campo che sarebbe stato generato dalla
sorgente primaria: in realtà il discorso è diverso perché Huygens non
conosceva le equazioni di Maxwell e formulava tutto per i fronti d’onda, però
la filosofia del ragionamento assomiglia molto.
Il discorso che stiamo facendo ci dice pure che non esiste un’unica sorgente che determina il
campo all’esterno del volume considerato perché possiamo avere diverse sorgenti che all’esterno
producono lo stesso campo.
Tornando al nostro conduttore forato, possiamo mettere correnti elettriche e magnetiche
superficiali e qui nasce il problema detto prima, per determinare queste correnti fittizie dobbiamo
prima risolvere il problema elettromagnetico che coinvolge il campo incidente sullo schermo e poi
riusciamo a capire che correnti superficiali abbiamo: però si può fare un’approssimazione, si può
immaginare che sulle pareti che abbiamo non ci sia campo in componente tangente, ipotesi
questa che si può dimostrare essere matematicamente inconsistente, però funziona in prima
approssimazione un po’ come succede per Kirchhoff, e poi sulla parte restante si dice che c’è
praticamente il campo incidente. Non è per niente così perché in realtà c’è pure il campo diffuso
dall’ostacolo, però se il foro è grande rispetto alla lunghezza d’onda l’approssimazione è buona,
non in tutto il volume ma comunque non approfondiamo il discorso, era solo per dare l’idea.
Passiamo ora alla seconda formulazione del teorema di equivalenza e questa nasce dal fatto già
detto che all’interno del volume possiamo metterci quello che
vogliamo e in particolare ci mettiamo un conduttore elettrico
perfetto: facendo questa cosa si può vedere che le correnti elettriche
impresse superficiali non servono e il teorema di equivalenza dice che
in questa configurazione abbiamo

dove non c’è bisogno di specificare che nel volume il campo è nullo
dato che è ovvio essendoci il CEP ed è diverso da prima perché ora il
campo equivalente lo stiamo cercando solo fuori, nel volume non lo
cerchiamo proprio: questo porta a una situazione diversa perché nella prima formulazione il
problema elettromagnetico deve essere risolto in tutto lo spazio, perciò sulla frontiera del volume
considerato si devono dare le equazioni che raccordano la discontinuità, ora invece il problema
deve essere risolto solo fuori dal volume e dunque sulla frontiera si devono dare delle condizioni
che sono condizioni al contorno.

146
Iniziamo a vedere che il campo equivalente è soluzione del problema elettromagnetico,
sicuramente questo soddisfa le condizioni all’infinito perché il vecchio campo le soddisfaceva per
ipotesi, poi all’esterno il campo soddisfa anche le equazioni di Maxwell sempre perché all’esterno
abbiamo ancora il vecchio campo. Ci restano da verificare le condizioni al contorno e dobbiamo
capire bene la situazione, consideriamo allora la figura a
lato dove la corrente superficiale è come prima

e in questa situazione possiamo fare una doppia scelta: la


prima è pensare che il nostro volume inizia dalla
superficie di conduttore elettrico perfetto che nella figura
abbiamo espanso e la vediamo tratteggiata, facendo così
abbiamo da dare una condizione al contorno sulla
frontiera tratteggiata del volume che sarà

dato che la superficie tratteggiata è quella del conduttore elettrico perfetto, poi c’è una
condizione al raccordo perché abbiamo correnti magnetiche impresse.
La seconda scelta invece è considerare che partiamo fuori dal volume e ci arriviamo al limite,
sempre prendendo la superficie tratteggiata ma ora questa non è l’espansione del volume di CEP,
è tutta un’altra superficie esterna dalla quale partiamo per arrivare al conduttore elettrico
perfetto: in questa seconda situazione non abbiamo condizioni al raccordo perché non stiamo
raccordando una discontinuità, solo che non sappiamo quant’è la condizione sul contorno dato
che ora il contorno non è più di CEP e non possiamo dire come prima che la componente tangente
di campo elettrico è nulla, anche se stiamo andando al limite, perché ci sarà un salto causato dalle
correnti superficiali e la componente tangente del campo elettrico non si conserva come ci dice
l’equazione a raccordo per il campo elettrico.
In pratica noi al limite stiamo andando al volume, ma ci stiamo andando in modo diverso e per
questo nel primo caso c’è condizione al contorno nulla e la condizione al raccordo da dover
verificare, perché abbiamo una corrente superficiale sul nostro volume, nel secondo caso
consideriamo un volume che non ha condizioni a raccordo da soddisfare perché non abbiamo
correnti superficiali, solo che non conosciamo la condizione al contorno.
La scelta che facciamo noi è la seconda, sono del tutto equivalenti ma in questo modo non
dobbiamo soddisfare equazioni al raccordo e ci restano quelle al contorno: la condizione al
contorno ce la costruiamo con l’equazione a raccordo perché se consideriamo che fuori il volume
lo indichiamo con (2) e dentro con (1) e poi abbiamo la normale al volume sappiamo che

e questa è soddisfatta se al limite la superficie tratteggiata si schiaccia sul conduttore perché è

e la corrente magnetica superficiale allora diventa

Abbiamo visto così che la componente tangente è venuta proprio la corrente superficiale come la
avevamo definita, cioè abbiamo una condizione al contorno che è soddisfatta per costruzione.

147
Abbiamo costruito la condizione al contorno sfruttando la condizione a raccordo e questo è stato
possibile perché mentre nella prima formulazione che il campo all’interno sia nullo era un risultato
del teorema, nella seconda formulazione il campo all’interno nullo è un ipotesi per la
dimostrazione perché ci abbiamo messo apposta un conduttore elettrico perfetto.
Dalla cosa ora vista si capisce indirettamente che non serve la
corrente elettrica superficiale, il problema è capire come sia possibile
questa cosa: facciamo allora vedere che se abbiamo un conduttore
elettrico perfetto sul quale imponiamo noi una il campo irradiato da
questa sarà nullo: dobbiamo verificare se sono soddisfatte tutte le ipotesi
del teorema di unicità, sicuramente il campo nullo soddisfa le condizioni
all’infinito, poi anche le equazioni di Maxwell all’esterno sono soddisfatte
perché sono omogenee avendo messo solo un conduttore con delle
correnti superficiali sopra e dunque non ci sono sorgenti fuori dal volume in questo caso, ci
dobbiamo infine chiedere se è soddisfatta la condizione al contorno

dato che noi abbiamo impresso correnti elettriche superficiali, non magnetiche: pure questa
condizione è soddisfatta e dunque il campo nullo è l’unica possibile soluzione di questo problema
elettromagnetico. Attenzione che in questa situazione non si può ragionare con la condizione al
raccordo data sul campo magnetico perché sul CEP ci possono essere correnti elettriche
superficiali indotte che si sommano a quella impressa da noi e in generale la corrente indotta non
è nota, invece non si possono indurre correnti magnetiche sul CEP, perciò ragionando così non
abbiamo problemi. Ora riusciamo a capire che la irradia campo nullo perché siccome sia dentro
che fuori al volume considerato il campo magnetico è nullo abbiamo

e cioè noi mettiamo una corrente elettrica superficiale ma se ne induce un’altra uguale e opposta
che la cancella, non irradia dunque perché si induce un’immagine.
Notiamo una cosa però, noi nella seconda formulazione non mettiamo la e abbiamo discusso
bene questa cosa, ma c’è una corrente elettrica superficiale anche se non la mettiamo noi perché
anche nella seconda formulazione il campo magnetico all’interno è nullo, all’esterno invece è il
vecchio campo e quindi c’è un salto che l’equazione a raccordo ci
dice essere causato da una corrente elettrica superficiale che si è
indotta grazie al conduttore.
Passiamo ora alla terza formulazione e questa è un po’ la duale
della seconda perché invece di mettere un conduttore elettrico
perfetto ci mettiamo un conduttore magnetico perfetto e possiamo
ragionare in modo del tutto analogo a prima. Diciamo che per
introdurre il concetto di CMP dobbiamo introdurre una
conducibilità magnetica e poi mandarla al limite come facciamo nel
CEP, solo che qui è logico che la questione è un po’ diversa perché
sia il CEP che il CMP non esistono, sono idealizzazioni, ma il
conduttore elettrico perfetto si vede come limite di un buon conduttore elettrico mentre non

148
possiamo dire una cosa analoga per il conduttore magnetico perfetto. In ogni caso il discorso è
come quando abbiamo introdotto le equazioni di Maxwell in forma simmetrizzata, si usano dei
trucchi matematici per poter introdurre oggetti che non esistono ma che in certi casi sono utili e
così quest’altra formulazione del teorema di equivalenza può essere usata in certi casi quando
conviene di più. Non sviluppiamo tutto il discorso perché si può lasciare per esercizio dato che il
filo logico del ragionamento è esattamente lo stesso che abbiamo appena finito di affrontare con
la seconda formulazione del teorema di equivalenza.
Infine ci interessa anche la quarta formulazione che useremo subito ed è
una variante un po’ più sofisticata del teorema di equivalenza:
consideriamo il primo oggetto in figura a lato in cui supponiamo che
l’oggetto sia rivestito di conduttore elettrico perfetto, questa in pratica è
la nostra guida d’onda che da un certo punto in poi non sappiamo che fa,
all’interno ci sono delle sorgenti che irradiano un certo campo dentro e
fuori che è , , poi si considera un secondo caso che vediamo nel
secondo oggetto della figura a lato in cui abbiamo lo stesso oggetto con
le stesse sorgenti dentro ma tappato con il conduttore elettrico perfetto:
ci interessa allora solo il campo dentro perché fuori non ci sarà campo e
noi chiameremo questo

perché con il tappo di CEP abbiamo realizzato un corto circuito.


Consideriamo ora l’altra figura in cui vediamo che all’interno della struttura non c’è niente e c’è
poi una corrente elettrica che abbiamo messo noi ed è pari a

Vogliamo dimostrare che questa corrente superficiale produce

Dobbiamo sempre soddisfare il teorema di unicità, all’esterno abbiamo


il vecchio campo per cui le condizioni all’infinito e le equazioni di
Maxwell sono soddisfatte, all’interno il campo equivalente pure soddisfa le equazioni di Maxwell
perché all’interno non abbiamo sorgenti e dunque abbiamo equazioni omogenee che sono
soddisfatte dal campo che abbiamo essendoci una differenza; rimangono le condizioni al raccordo

Le correnti magnetiche non ci sono ovviamente perché non ce le abbiamo messe, ora siccome
sappiamo com’è fatto il campo equivalente scriviamo

e questo è vero perché è il campo che abbiamo con il corto circuito, ma in questo caso il
campo tangente elettrico deve essere nullo dato che il tappo è di conduttore elettrico perfetto e
allora questa condizione è soddisfatta; poi si ha

149
e pure questa è soddisfatta perché la corrente superficiale l’abbiamo costruita apposta in questo
modo. Abbiamo trovato che questa è l’unica soluzione del nostro problema elettromagnetico.
Ricordiamoci che tutto questo è basato sul teorema di unicità in cui interviene la linearità e
dunque ci deve essere la linearità del mezzo perché le equazioni di Maxwell di per se sono lineari,
il problema è il mezzo, e infatti siccome ora facciamo vedere che questa quarta formulazione è
legata ai teorema di Thévenin e Norton, ci ricordiamo che anche in elettrotecnica per dimostrare
questi teorema dei generatori equivalenti abbiamo supposto la linearità dei componenti.
Guardando alla figura vediamo che dove avevamo messo le sorgenti abbiamo i generatori e poi
abbiamo la nostra guida d’onda, applicando la formulazione del teorema di equivalenza abbiamo
la corrente superficiale elettrica che produce lo
stesso campo a valle che sarebbe prodotto dai
generatori; supponiamo inoltre che abbiamo un
solo modo che è TEM.
Ovviamente valgono le equazioni al raccordo

dove la normale in questo caso coincide con , poi


la corrente superficiale la possiamo scrivere in termini del campo magnetico di corto circuito e
infine il campo elettrico e magnetici sono tutti trasversi dato che siamo in modo TEM, ma anche se
non avessimo i modi TEM potremmo mettere solo la parte trasversa dato che abbiamo un
prodotto vettoriale per il versore longitudinale: in ogni caso l’ipotesi di modo ci serve per scrivere
campo elettrico e magnetico in forma fattorizzata e allora abbiamo

Le funzioni vettoriali di modo sono uguali perché quello che cambia con la sezione sono le funzioni
scalari di modo, da queste equazioni deduciamo che

cioè a monte e a valle c’è la stessa tensione e le correnti sono dati dall’espressione ora scritta: a
noi interessa quello che succede a valle, cioè a e perché l’idea è di sostituire tutto con
qualcosa di equivalente e perciò scriviamo

dove abbiamo scritto la corrente in termini di impedenza e


tensione perché siamo nella situazione mostrata a lato e
l’impedenza è quella che vediamo quando spegniamo le
sorgenti: abbiamo ottenuto il teorema di Norton.
Sappiamo pure che il teorema di Norton è equivalente a Thévenin quindi è inutile ripetere il
discorso e possiamo dire anche che nelle nostre linee avremo una situazione come in figura a
sinistra dove abbiamo sfruttato proprio il teorema del generatore equivalente di tensione: in
questo caso a sinistra abbiamo sfruttato tecnicamente la quarta formulazione del teorema di
equivalenza e abbiamo chiuso il problema con una condizione di
tipo impedenza perché abbiamo chiuso la linea con un carico.
150
Principali tecniche di adattamento. Le linee come elementi circuitali

Abbiamo già parlato di adattamento dicendo che l’adattamento consiste nel far vedere alla linea
un’impedenza pari alla sua impedenza caratteristica, dobbiamo però vedere qualche circuito di
adattamento. Lo schema generale di un circuito
di adattamento è mostrato in figura con una
scatola chiusa messa tra il carico e la linea che
può essere vista come un doppio bipolo, questo
circuito non dovrebbe avere perdite perché
sappiamo che uno dei motivi per cui si adatta è che vogliamo che tutta la potenza associata
all’onda progressiva si vada a dissipare sul carico, ed è dunque pure evidente che un carico
puramente reattivo non si può adattare perché questo non potrà mai assorbire potenza attiva:
ovviamente qualsiasi circuito mettiamo questo avrà sempre delle perdite, ma non dobbiamo
mettercele intenzionalmente. Questo circuito inoltre dovrebbe coprire tutta la banda di
funzionamento, cioè si deve fare l’adattamento a larga banda, e questo di solito è un problema.
Iniziamo con un adattatore molto semplice che è mostrato nella figura: quello che vogliamo
adattare è un carico reale, per adattarlo alla linea si può usare un altro tronco di linea con
impedenza caratteristica da determinare e
idealmente questa è reale perché cerchiamo di fare la
linea senza perdite, poi imponiamo

e questo significa che

cioè si mette un tronco di linea di trasmissione con questa lunghezza , dove il è quello di
questo tratto di linea perché ogni tratto ha ovviamente il suo cambiando per ogni tratto il , e la
cui impedenza caratteristica deve essere opportunamente determinata.
Per scegliere l’impedenza caratteristica consideriamo che

avendo supposto carico reale, poi ci vogliamo calcolare e dobbiamo fare il trasporto lungo
questo tratto di cui sappiamo la lunghezza, perciò si ha

e attenzione che in questa formula del trasporto perché l’asse deve puntare sempre
verso il carico; siccome sappiamo che per ipotesi la tangente è infinita e viene

Per ottenere adattamento deve essere , che è l’impedenza caratteristica del tratto di linea
che stiamo adattando perché così della potenza incidente niente viene riflesso e se il tratto di linea
introdotto è senza perdite tutta questa potenza va sul carico, allora dobbiamo imporre

151
cioè l’impedenza caratteristica deve essere la media geometrica dell’impedenza di carico e
dell’impedenza caratteristica della linea da adattare.
Notiamo che questo adattatore funziona solo con carico reale perché se il carico è complesso la
radice viene complessa, dunque non è reale e compaiono perdite che non vogliamo introdurre:
allora possiamo dire che l’adattatore a , che non è altro che un tratto di linea lungo di cui
possiamo variare l’impedenza, funziona tipicamente da adattatore solo con carichi reali.
Uno dei limiti di questo adattatore è il fatto che adatta solo carichi puramente reali, ma c’è un
limite anche legato alla banda perché la lunghezza sarà solo a una certa frequenza dato che la
frequenza potrebbe comparire nell’impedenza caratteristica che è

ma pure se supponiamo di avere un mezzo non dispersivo per cui l’impedenza non varia con la
frequenza, allora in generale la dipendenza dalla frequenza sta in e cambia quella che si chiama
lunghezza elettrica che è

Dipende dai contesti quale dei due viene presa, in ogni caso differiscono solo per un : si
considera questa quantità perché quello che conta non è la lunghezza in sé ma la lunghezza
rispetto alla lunghezza d’onda, inoltre capiamo che se questa quantità varia con la frequenza
l’adattamento ce lo troviamo alla frequenza a cui ci siamo messi per fare i conti, ma poi al variare
della frequenza non abbiamo più adattato.
In generale questo adattatore è uno dei peggiori, un’idea ce la può dare pure il fatto che nella
formula di compare la tangente e per capire la variabilità vediamo la derivata che è

In questo caso noi ci siamo messi in , intorno a questo valore la derivata va a l’infinito per
cui piccole variazioni della frequenza portano grandissime variazioni del valore della tangente: la
banda di questo adattatore è allora molto stretta.
L’altra limitazione di questo adattatore si elimina
subito perché possiamo far diventare il carico visto
reale andando a mettere una reattanza in serie, o una
suscettanza in parallelo, tale da cancellare la parte
immaginaria e per farlo si usa un tratto di linea chiuso
su un corto perché questo, man mano che lo trasportiamo, ci dà
tutte le reattanze; si potrebbe fare anche un tratto di linea chiuso su un aperto e le
considerazioni sono analoghe dato che un corto dopo diventa un aperto e
viceversa. Un tratto di linea, idealmente senza perdite e chiuso su un corto o su un
aperto si chiama stub, in questo quello che si può variare è la lunghezza.
Un’altra possibilità invece è quella di trasportare l’impedenza di un tratto opportuno, questo
perché sappiamo che

152
dove è reale perché nessuno mette un tratto
di linea con perdite apposta, perciò ne
deduciamo che se è reale pure il
coefficiente di riflessione è reale e viceversa: il coefficiente di riflessione, muovendoci su una linea,
ruota sulla circonferenza di centro l’origine e raggio , ruotando prima o poi diventa reale e
perciò riusciamo in questo modo, dimensionando , ad ottenere un’impedenza reale.
Vediamo ora un altro schema di adattamento che si chiama adattatore a singolo stub, in
particolare vediamo lo stub serie: il circuito di adattamento è fatto da un tronco di linea di
lunghezza variabile e di una derivazione serie chiusa su un corto di lunghezza variabile, dobbiamo
determinare e e in generale per realizzare l’adattamento servono sempre due parametri
perché se vogliamo imporre una condizione del tipo

questa è un’equazione sul campo complesso che


porta a due equazioni sul campo reale, se
assumiamo che è reale abbiamo

Questo sistema in genere è non lineare per cui non


è detto che ce la facciamo a trovare le soluzioni,
cioè anche con due parametri variabili non è detto
che riusciamo a realizzare l’adattamento.
Il sistema può essere difficile da risolvere, se però
abbiamo una reale la cosa si semplifica e se non lo fosse potremmo mettere un tratto della
stessa linea che ci fa vedere un’impedenza reale, cioè oltre a mettiamo un tratto con un'altra
lunghezza che fa diventare il carico visto reale.
Nella nostra configurazione abbiamo

con

Il fatto che è puramente immaginaria è importante perché quando andiamo a fare la parte
reale questa non interviene e siamo sulla buona strada per riuscire a separare le variabili
nell’equazione: il sistema a seguito delle considerazioni è

e nella prima equazione compare solo l’incognita , nella seconda invece entrambe ma poco
importa perché la prima ci darà e poi risolviamo la seconda.
Ci aspettiamo infinite soluzioni perché le impedenze sono periodiche di e perciò ci serve un
criterio per scegliere i valori più opportuni di e .
Iniziamo con lo scrivere la formula del trasporto d’impedenza dove ci ricordiamo sempre che l’asse
deve puntare il carico, l’origine la mettiamo al termine del tratto di lunghezza e perciò il
trasporto sarà fatto di , cioè abbiamo

153
dove il carico è reale per le considerazioni fatte prima, ora siccome l’incognita sta solo nella
tangente possiamo scrivere

e risolvere tutto in : cominciamo ad imporre la condizione data dalla prima equazione

da questa si ricava che

dove dobbiamo ricordarci, ed è importante, che la tangente è

per cui quando arriviamo a questo punto la prima cosa da fare è capire se è soluzione
perché questi valori della tangente corrispondono a quando l’angolo diventa

e il motivo per cui questa cosa si deve vedere per prima è che se andassimo a risolvere portando il
denominatore a secondo membro, e fosse soluzione, i valori in si semplificano e
perdiamo delle soluzioni. Vediamo allora che succede per questi valori

Questa non può essere una soluzione perché dovrebbe e se fosse così l’adattamento
sarebbe inutile.
Siccome l’infinito non è soluzione dobbiamo scrivere

e notiamo che qui il termine in non si è semplificato perché abbiamo già visto che l’infinito non
è soluzione: abbiamo da risolvere allora questa equazione di secondo grado, siccome sicuramente
possiamo semplificare ed avere

L’ultima relazione ci va bene perché deve essere reale non negativo siccome non ci sono le
perdite, o almeno non ce le mettiamo noi apposta, e quel rapporto è reale non negativo dato che
sia l’impedenza caratteristica che il carico sono reali non negativi. Otteniamo

e avendo due soluzioni in abbiamo una doppia infinità numerabile di soluzioni:

154
In realtà scritte meglio queste soluzioni sono

e questo perché nella prima infinità di soluzioni possiamo metterci pure lo 0 dato che anche in
questo caso sarà non negativa, nell’altra non ci mettiamo lo 0 perché in questo caso se ce lo
mettessimo avremmo e questo non è possibile.
Di queste infinite soluzioni di solito si sceglie la più piccola perché vogliamo i tratti di linea più corti
possibili, in particolare capiamo che le due da confrontare sono

e tra queste due la più piccola in assoluto è la prima perché sta nel primo quadrante mentre la
seconda sta nel secondo quadrante.
Avendo trovato andiamo a considerare l’equazione con le parti immaginarie e dobbiamo
determinare la parte immaginaria di che è data dalla formula del trasporto di un corto

ragion per cui abbiamo

da cui possiamo ottenere dato che è tutto noto: vediamo che la reattanza ci viene reale e
opposta perché lo stub sta cancellando la reattanza.
Concludendo allora abbiamo

e si prende sempre la lunghezza più piccola per ridurre l’ingombro, cosa che in generale è la più
vantaggiosa ma non sempre, e pure per un altro motivo importante: in generale quando le
lunghezze non sono le minime la banda si stringe perché come detto il conto è fatto per certi , e
dunque per certe frequenze, se allora da andiamo a cambia pure che va a
e di quanto varia si capisce vedendo che quello che compare all’interno della tangente è

È questo che dobbiamo analizzare e qui a parità di , cioè a parità di banda, la variazione
dipende dalla che dunque conviene che sia la più piccola possibile.

Carta di Smith

Introduciamo uno strumento molto utile per capire che succede su una linea di trasmissione e in
particolare per l’adattamento, anche se non serve solo nell’adattamento: questo strumento
prende il nome di carta di Smith o abaco di Smith. La carta di Smith è una rappresentazione grafica
155
di quello che succede al coefficienti di riflessione su un tratto di linea di
trasmissione: conviene scegliere e non l’impedenza perché, anche
se sono equivalenti perché hanno lo stesso contenuto informativo,
l’impedenza per un carico passivo viene rappresentata nel semipiano di
Gauss a parte reale positiva mentre il coefficiente di riflessione per un
carico passivo è tale che , per cui basta una regione finita del campo complesso; inoltre
si ha come formula del trasporto

e questa formula è molto semplice perché non compaiono le tangenti sopra e sotto come
nell’impedenza, anzi grazie a questa vediamo che il coefficiente di riflessione si muove su una
circonferenza di centro l’origine e raggio . In particolare noi abbiamo questa espressione per il
trasporto perché ci dobbiamo ricordare che siamo nel caso senza perdite e perciò .
Sulla carta non basta rappresentare solo il coefficiente di riflessione con la circonferenza di cui
abbiamo parlato ma si completa andando a metterci le curve a parte reale costante e le curve a
parte immaginaria costante dell’impedenza: queste curve sono il luogo geometrico dei punti che
rappresentano i coefficienti di riflessione corrispondenti a impedenze con la stessa parte reale o
con la stessa parte immaginaria.
Il coefficiente di riflessione lo possiamo scrivere dividendo parte reale e immaginaria come

poi ci consideriamo l’impedenza normalizzata

e scriviamo anche questa dividendo parte reale e immaginaria

dove le lettere minuscole ricordano che abbiamo normalizzato all’impedenza caratteristica; detto
questo allora possiamo scrivere

Fissiamo la parte reale dell’impedenza normalizzata per determinare la curva descritta dalle
coppie di punti

da cui

cioè abbiamo trovato una conica, per capire di che conica si tratta scriviamo in modo diverso
l’espressione e ci ricordiamo pure che per cui non si annulla ed è lecito scrivere

Abbiamo trovato un’ellissi che però è traslata perché compare il termine proporzionale a , se
fosse comparso il termine misto sappiamo che era anche ruotata ma non è questo il caso.
Possiamo scrivere l’espressione ancora in modo diverso come

156
e ce la scriviamo così perché a primo membro abbiamo fatto comparire un quadrato di binomio
siccome vogliamo scrivere

In questo modo siamo arrivati a una forma che per noi è più facile trattare, diciamo pure che in
generale per portare una curva del genere nella forma di interesse, che di solito è quella canonica,
si deve traslare e poi l’eventuale rotazione si toglie prendendo la
matrice associata e diagonalizzandola per cui si dovrebbe
risolvere un problema agli autovalori, noi però abbiamo evitato
tutto questo e siamo arrivati a una circonferenza che è

e ne deduciamo che il centro di questa circonferenza sta sempre


sull’asse ma si sposta al variare della ; anche il raggio varia e
in particolare al crescere della resistenza normalizzata il raggio
diminuisce, quello che otteniamo è rappresentato in figura dov’è
mostrato il verso crescente di .
Nel dedurre che nella figura succede questo non è necessario fare uno studio di funzione, basta
andare a considerare prima cosa l’ascissa del centro che possiamo scrivere anche come

e questa funzione cresce al crescere di , per il centro va a coincidere con il punto del
piano considerato e la circonferenza si riduce a un punto, man mano invece che la
circonferenza si allarga perché il centro si sposta in verso opposto all’asse e il raggio cresce
siccome lo possiamo scrivere come

ed è evidente che è pari a 1 meno il valore dell’ascissa del centro.


Notiamo che se il raggio vale si ha proprio la circonferenza di centro l’origine e raggio
unitario che corrisponde infatti a carichi puramente reattivi e il è in modulo unitario: è coerente
perché tutta la potenza attiva deve essere riflessa.
Cerchiamoci ora le curve a parte immaginaria costante, cioè fissiamo e imponiamo

ci aggiustiamo un po’ l’espressione e ricaviamo

facendo un po’ di conti si capisce facilmente che otteniamo la conica

157
e dobbiamo scriverla così perché abbiamo messo a primo membro i e gli in una forma che ci fa
capire che abbiamo ancora delle circonferenze del tipo

La figura mostra che succede al variare di , noi dobbiamo guardare


solo all’interno della circonferenza di raggio unitario e centro
l’origine ma comunque abbiamo rappresentato tutto per capire che
succede: tutti i centri delle circonferenze stanno sulla retta verticale
che passa per il punto , al crescere della reattanza
normalizzata le circonferenze diventano sempre più piccole fino a
tendere al punto perché il raggio diventa più piccolo e
contemporaneamente il centro si avvicina a questo punto. L’analisi
che abbiamo fatto ora si può fare sia nel caso che vuol dire
carico induttivo, che nel caso che vuol dire carico capacitivo, la situazione è totalmente
simmetrica.
La carta di Smith in sostanza va a mappare le rette contenute nel
piano che rappresentano l’insieme dei punti a costante o
l’insieme dei punti a costante attraverso quella che si chiama
trasformazione bilineare, siccome quello che ci interessa è in
particolare perché non si può avere una resistenza negativa,
abbiamo delle semirette in realtà e per questo quello che ci interessa
è cosa succede nella circonferenza di raggio unitario e centro l’origine
come detto prima.
Disegnando allora la carta di Smith come ci interessa abbiamo
quello che è mostrato in figura a lato. Tra tutte le circonferenze
ce n’è una di particolare interesse che corrisponde a quella con
: nella figura questa circonferenza è evidenziata
maggiormente, si tratta della circonferenza

e questa circonferenza rappresenta la condizione

perché

Siamo vicini all’adattamento perché ora ci basta solo cancellare la parte immaginaria per avere

e questo si può fare mettendo uno stub, per questo la circonferenza in questione prende il nome
di circonferenza di pre-adattamento. Il carico adattato si ha nell’origine perché in quel punto il
coefficiente di riflessione è e perciò si capisce che basta eliminare la parte immaginaria.

158
Ora il problema è capire chi sono i punti e e lo facciamo considerando

se

e allora nel punto abbiamo un aperto, analogamente l’altro si capisce chi è perché facciamo

e allora abbiamo un corto.


Consideriamoci ora un adattatore a singolo stub e
vediamo come si utilizza in questo caso la carta di Smith:
questa carta di Smith serviva quando non c’erano i
calcolatori, ora che ci sono sembrerebbe inutile usarla
però noi dobbiamo poter sempre controllare se il
risultato del calcolatore è valido, per farlo dobbiamo
avere un’idea di quello che succede nel circuito e perciò
ci serve questa carta che è un modo qualitativo ma
rigoroso di analizzare il problema dell’adattamento.
Diciamo pure che spesso i coefficienti di riflessione vengono presentati su carta di Smith.
In figura abbiamo un adattatore a singolo stub serie, poi ci rappresentiamo pure la carta di Smith e
nel circuito dobbiamo determinare e .
Per prima cosa si rappresenta la circonferenza di pre-adattamento nella carta, il nostro obiettivo è

Siccome

dove sappiamo pure che

perché abbiamo il trasporto di un corto, dobbiamo avere

Per riuscire nell’adattamento allora dobbiamo stare sulla circonferenza di pre-adattamento.


Prendiamoci in generale

e se questo è quello in figura abbiamo un carico


induttivo perché ci troviamo sopra, se era
capacitivo ci trovavamo nel semipiano inferiore.
Il primo tratto del circuito di adattamento, quello di
lunghezza , è un trasporto e conviene farlo sul
coefficiente di riflessione dato che è più semplice
dovendo solo ruotare, in particolare il coefficiente
deve ruotare nel senso orario perché andiamo
verso il generatore: per fare questo trasporto ci
disegniamo la circonferenza di centro l’origine e

159
raggio , su questa circonferenza ruotiamo il coefficiente fino ad arrivare sulla circonferenza di
pre-adattamento, cioè ci dobbiamo fermare quando intersechiamo la circonferenza di pre-
adattamento perché questo tratto serve ad avere la parte reale giusta; se continuassimo a ruotare
otterremmo un’altra intersezione, e poi potremmo fare un altro giro ed avere quindi infinite
intersezioni, ma questo lo sappiamo già perché quando abbiamo fatto l’adattamento con le
equazioni abbiamo visto che si ha una doppia infinità numerabile di soluzioni. Con la carta di Smith
allora capiamo subito qual è la lunghezza più corta perché otteniamo subito l’angolo più piccolo di
cui ruotare, e questo sarà perché

e in particolare abbiamo per cui si ha

dove il segno meno ci dice solo in che verso si deve ruotare, e infatti noi abbiamo ruotato in senso
orario, poi dobbiamo andare a vedere l’angolo che è quello che ci interessa.
Abbiamo allora capito che con la carta di Smith sappiamo subito come avere la parte reale giusta,
inoltre possiamo pure dire che la circonferenza di adattamento la intersechiamo sempre, c’è una
stranezza solo quando perché intersechiamo la circonferenza di pre-adattamento in un
aperto, ma sappiamo che in questo caso il carico è puramente reattivo e non si può adattare.
Arrivati a questo punto dobbiamo determinare e per farlo dobbiamo trovare la reattanza giusta
che annulla la parte immaginaria del carico: sulla
carta si vede subito qual è la curva con la reattanza
che ci serve perché alla sezione , dove abbiamo
già adattato la parte reale dell’impedenza, si ha una
reattanza e per riuscire a cancellare questa
dobbiamo prendere la circonferenza a parte
immaginaria costante che passa per il punto della
circonferenza di pre-adattamento sul quale stiamo,
poi ci andiamo a considerare la circonferenza
speculare rispetto all’asse e questa ci permette di
realizzare lo stub che ci serve. Questa cosa detta ora
corrisponde esattamente all’equazione

Nella figura si può vedere dove sta ed è così perché lo stub non solo deve avere la parte
immaginaria giusta ma deve essere anche il trasporto di un corto, ragion per cui ci dobbiamo
muovere sulla circonferenza di centro l’origine e raggio unitario. Questa considerazione ci
permette di capire chi è perché dobbiamo ruotare passando da un corto al punto , si deduce
subito quanto vale l’angolo ricordandoci che dobbiamo ruotare sempre in senso orario,
perché ci allontaniamo sempre dal carico, e dedotto l’angolo è facile trovare .
Se sulla carta vogliamo passare da impedenza a ammettenza tutto è identico se al posto del in
tensione usiamo il in corrente, siccome l’ammettenza è l’inverso dell’impedenza si ha che

160
Questa formula è invertita nel segno rispetto alla prima e si può scrivere come

che formalmente è un’espressione uguale a quella per l’impedenza, solo che qui è cambiato il
coefficienti di riflessione. In verità noi vogliamo usare sempre il coefficiente di riflessione in
tensione e allora vuol dire che dobbiamo invertire sia il segno di che di , cioè un punto della
carta di Smith delle ammettenze è semplicemente il simmetrico rispetto all’origine del punto della
carta di Smith delle impedenze.

Modi TE e TM

Cominciamo ora con il considerare delle soluzioni TE fattorizzate che sappiamo essere chiamate
modi TE e in formule allora possiamo scrivere

Ovviamente la componente longitudinale del campo magnetico è non nulla altrimenti si ricade nel
caso TEM già trattato, con queste ipotesi prendiamo le equazioni di Marcuvitz e Schwinger

e il primo membro della quarta equazione si annulla, poi sfruttiamo questo per eliminare il pezzo
con il gradiente della divergenza nella prima e otteniamo

e fin qui abbiamo sfruttato solo l’ipotesi di soluzione TE, ora sfruttiamo la fattorizzazione partendo
dalla prima equazione che è la più corta in cui compare il campo trasverso e abbiamo

Nelle parentesi quadre dell’ultima espressione abbiamo una funzione scalare della sola ,
considerando che fissati e , e cioè fissato il vettore di componenti , questa uguaglianza deve
essere verificata qualsiasi sia la sezione a cui ci mettiamo capiamo anche che la funzione tra
parentesi quadre deve essere costante: nel caso TEM avevamo detto che la costante la
chiamavamo perché vedremo che questo ci servirà nella determinazione di tensione e
161
corrente, ma nel caso TE anticipiamo che questo non sarà possibile e perciò la costante conviene
sceglierla più comoda possibile, cioè ; la prima equazione dei telegrafisti ottenuta è

Dobbiamo poi trovare la seconda equazione dei telegrafisti, per ora comunque cominciamo a
vedere che dall’espressione

possiamo ricavare anche che

essendo la funzione in parentesi quadre pari all’unità, questo ci dà una relazione tra le funzioni
vettoriali di modo che ci permette di ricavare da , anzi in realtà ci permette anche il contrario
perché basta notare che

Sfruttando l’anticommutatività del prodotto vettoriale scriviamo

e riusciamo ad ottenere

Nell’ultimo passaggio abbiamo sfruttato la formula del doppio prodotto vettoriale che ci permette
ora di scrivere, siccome è tutto trasverso, che

Ricaviamoci ora la seconda equazione dei telegrafisti, consideriamo la seconda equazione di


Marcuvitz e Schwinger e scriviamola fattorizzando i campi

Abbiamo appena ricavato la relazione che c’è tra le funzioni vettoriali di modo e perciò possiamo
scrivere anche

Facciamo lo stesso procedimento già visto, portiamo a primo membro e otteniamo


un’espressione in cui tra parentesi quadre compare una funzione scalare dipendente dalla sola
che poi possiamo dire anche essere costante in quanto fissate la e la dobbiamo poter dire che
l’uguaglianza è verificata qualsiasi sia la sezione alla quale ci mettiamo e dunque otteniamo

Anche qui questa costante non serve lasciarla indeterminata per scopi futuri però ora conviene
sceglierla tale che ci sia al denominatore e si può fare perché sicuramente altrimenti
siamo nel caso statico, allora scriviamo

162
dove il nome per ora è solo una scelta arbitraria, poi ne capiremo meglio il motivo, se non altro
possiamo cominciare a capire che numeratore e denominatore hanno le stesse dimensioni e infatti
la costante deve essere adimensionale. Vediamo un momento che succede all’espressione con a
seguito di quello che abbiamo detto avremo

L’ultima equazione scritta contiene molte informazioni di cui poi capiremo l’importanza.
Abbiamo ottenuto il sistema con le due equazioni dei telegrafisti nel caso TE che sono:

Vogliamo riscrivere tutto in termini di quelli che sono i parametri secondari della linea equivalente,
cioè la linea in cui si propaga il modo TE, linea che non possiamo chiamare linea di trasmissione
perché per definizione quest’ultima è una struttura in cui si propagano i modi TEM; abbiamo in
termini di parametri secondari della linea che

dove dunque

e poi

e da quest’ultima espressione possiamo ricavare

I risultati trovati ci fanno vedere che formalmente viene la stessa cosa delle onde piane, anche se
qui è una cosa totalmente diversa, poi la che dobbiamo ancora vedere se è una costante di
propagazione, per ora è solo un nome.
Notiamo anche che nel caso TE non possiamo parlare propriamente di tensione e corrente perché
queste non sono le tensioni e correnti nel senso classico come era per il modo TEM, a rigore
dovremmo parlare di funzioni scalari di modo ma in pratica si parla sempre di tensioni e correnti
aggiungendo al massimo che sono equivalenti.
Per vedere se è la costante di propagazione si possono fare i conti e si scopre che come nel caso
TEM in cui abbiamo visto che è la costante di propagazione, sarà

163
però non funziona tutto come per i modi TEM perché se ora ci mettiamo nel caso senza perdite
possiamo vedere che

dove anticipiamo che e poi lo faremo vedere, con queste considerazioni possiamo capire
che la radice sarà reale e pari a un certo quando si verifica che mentre sarà un
immaginario puro con quando e in questo secondo caso si può
vedere dalle formule del trasporto che c’è una pura attenuazione anche in assenza di perdite, cioè
il modo non si riesce a propagare a causa della struttura, in particolare dato che

con permittività e permeabilità reali dato che siamo in assenza di perdite, ci sarà attenuazione o
meno in dipendenza del valore della frequenza angolare: la frequenza tale che

cioè tale che si annulli il radicando è chiamata frequenza angolare di taglio ed è precisamente

Quando siamo a frequenze angolari superiori alla frequenza di taglio il modo è in propagazione, in
caso contrario si dice che è in cut-off.
Si può vedere in particolare che se esiste una frequenza di taglio non nulla e al di sotto di
questa frequenza non c’è propagazione, questo è anche il motivo per cui a basse frequenze come
quelle del campo elettromagnetico che permette di distribuire l’energia elettrica nelle case, non
possiamo usare come mezzo di propagazione dei tubi e dobbiamo usare delle linee che
costituiscono domini non semplicemente connessi, come ad esempio la linea bifilare o il cavo
coassiale. Possiamo anche dire che la frequenza di taglio diminuisce man mano che si aumenta la
sezione del tubo, in ogni caso per frequenze tipo ci vorrebbe un tubo dalla sezione
esageratamente lunga per metterlo in un’abitazione.
Andiamo ora a vedere che succede alle funzioni vettoriali di modo, se consideriamo la quarta
equazione di Marcuvitz e Schwinger questa ci dice

e dato che non si può annullare a causa della corrente perché altrimenti avremmo corrente nulla
ad ogni sezione e dalle equazioni dei telegrafisti si può vedere che si annulla anche la tensione,
cioè abbiamo la soluzione banale al nostro problema, ne dobbiamo dedurre che

cioè è solenoidale come nel caso TEM; continuiamo a fare i conti e andiamo ora a vedere che
come nel caso TEM abbiamo pure

Innanzitutto diciamo che sfruttando la permutazione ciclica del prodotto misto abbiamo

e allora

È vero che questi due vettori sono ortogonali perché il prodotto punto in realtà è un prodotto
scalare in questo caso dato che il coniugato sul secondo fattore non opera essendo reale, ma
164
con questa considerazione non possiamo dedurre che dobbiamo farlo calcolandoci il
rotore

Ma la componente su si deve annullare dato che abbiamo visto che il rotore e sono ortogonali
e allora abbiamo dimostrato che

Ora riprendiamo una formula vista prima e capiamo perché abbiamo detto che conteneva tante
informazioni, possiamo scrivere

e da questa deduciamo che possiamo scrivere come il gradiente di uno scalare che questa volta
prenderà il nome di potenziale in guida, perché possiamo scrivere

dove è la divergenza di fratto ; notiamo pure che essendo la divergenza fratto


adimensionale anche lo scalare avrà le dimensioni di come .
Qui abbiamo introdotto il potenziale non perché siamo riusciti a vedere che oltre ad essere
irrotazionale è pure conservativo ma l’abbiamo dedotto direttamente dall’equazione

Possiamo scrivere nella formula precedente, al posto di il gradiente del potenziale ed abbiamo

e semplificando ci accorgiamo che la scelta di mettere il meno con al denominatore è da questo


punto di vista irrilevante perché abbiamo

Essendo il gradiente un operatore lineare possiamo riscrivere l’ultima formula come

dove è comparso il laplaciano scalare perché abbiamo il prodotto scalare di due operatori nabla.
L’ultima equazioni scritta ci dice che lo scalare cercato per scriverci soddisfa l’equazione

in cui non conosciamo né il valore di né della costante a secondo membro, vedremo però che
questa costante si può scegliere nulla, per ora occupiamoci di dare una condizione al contorno
sfruttando che la linea la facciamo rivestita di conduttore elettrico perfetto, abbiamo

Possiamo scrivere il campo trasverso al posto del campo elettrico perché ora stiamo cercando
soluzioni TE, inoltre possiamo pure fattorizzare e siccome la tensione non si potrà annullare dato
che non stiamo cercando soluzioni banali, otteniamo

165
La condizione però la vogliamo in termini di e perciò sfruttando la relazione tra le funzioni
vettoriali di modo e facendo un po’ di conti con il doppio prodotto vettoriale otteniamo

Ora siccome ci ricordiamo che le strutture da noi considerate sono a simmetria cilindrica abbiamo
che la normale è sicuramente perpendicolare a e dunque il loro prodotto scalare è nullo, per
questo dato che è costante dall’espressione precedente ricaviamo

Abbiamo quasi ricavato la condizione al contorno che ci serve, ora ci basta scrivere il campo come
gradiente di ed otteniamo

e cioè, scrivendo in termini di derivata direzionale abbiamo

Questa è una condizione di tipo Neumann che dobbiamo associare al problema differenziale, anzi
ora possiamo dire anche di più sul problema perché siccome sappiamo che la soluzione
dell’equazione differenziale che abbiamo sarà del tipo

ci possiamo scegliere la soluzione particolare come

e questo è possibile perché effettivamente questa è una soluzione dell’equazione che ricordiamo
essere

Allora la soluzione cercata è del tipo

ma questo termine costante non ci serve perché di questo potenziale noi faremo il gradiente per
ottenere e sappiamo che derivando il termine costante diventa ininfluente, inoltre anche il
contorno è soddisfatto e in definitiva possiamo dire che il problema da risolvere è

Un problema differenziale nella forma

si chiama problema di Helmotz scalare, però questa equazione prevede che siano noti e
mentre noi abbiamo incognita.
La nostra equazione ce la possiamo scrivere come

e possiamo pure notare che è un problema di autovalori perché è un problema del tipo

166
perché l’operatore laplaciano, che è lineare, si può mappare in qualche modo come una matrice
che descrive una trasformazione lineare; senza entrare troppo nei dettagli questo ci serve a dire
che un problema del genere ammette sempre soluzione qualsiasi sia , se non altro c’è la
soluzione nulla ma comunque noi vogliamo soluzioni non banali e dunque possiamo dire che un
problema di autovalori ha sempre un autovettore associato

Se a un autovalore sono associati più autovettori l’autovalore si dice degenere.


Le stesse cose le diciamo per il nostro problema differenziale e si cercano i valori di per avere
soluzioni non banali, in questo caso avremo delle autofunzioni anziché autovettori, ma in realtà
questa distinzione di nomi non è nemmeno necessaria perché le funzioni possono essere viste in
uno spazio vettoriale e allora sono lo stesso vettori.
Per analizzare bene questo problema ci vogliono conoscenze matematiche che non abbiamo,
allora diamo direttamente le proprietà di cui dimostreremo solo due, possiamo dire che:
1.
2.
3.
4.
5.
Commentiamo un po’ queste proprietà, la prima è importante perché ci aiuterà nei calcoli questo
fatto di avere delle reali non negative, anzi vedremo anche che possiamo prenderle positive.
La seconda proprietà è importante perché ci permette di dire che se andiamo a costruire le
soluzioni sommando modi TEM, TE e TM, e poi vedremo come mai questo è possibile, dobbiamo
sommare un’infinità numerabile di termini e dunque avremo una serie e non un integrale.
La terza proprietà è cruciale perché ci fa capire che i , e dunque le frequenze di taglio, non si
accumulano al finito ma solo all’infinito e questo è davvero importante perché se si accumulassero
al finito avremmo infiniti modi in propagazione siccome a sinistra di una certa pulsazione, che può
essere quella di taglio per un determinato modo, ci sarebbero infiniti modi che si propagano,
invece ora possiamo dire che ne sono solo finiti perché fissata una frequenza a sinistra abbiamo
solo altri finiti autovalori ad ognuno dei quali corrisponde un modo in propagazione. Allora
possiamo dire anche che la serie diventa ai fini pratici una somma finita perché i modi in cut-off
dopo un poco muoiono e rimangono quelli in propagazione che sono finiti siccome sono quelli
sotto una certa frequenza di taglio scelta.
La quarta proprietà è importante in quanto riusciamo a dimostrare che per guide d’onda del tipo
considerato le autofunzioni sono finite, dunque il grado di degenerazione è finito, si dice anche
che l’autospazio associato ad ogni valore è a dimensione finita; per comodità se un autovalore
è degenere lo ripeteremo tante volte quanto è il grado di degenerazione, cioè tante volte quante
sono le autofunzioni associate, nel momento in cui ci vogliamo costruire una tabella a cui ad ogni
autovalore associamo un’autofunzione.
La quinta proprietà in seguito alle considerazioni fatte prima ci permette di capire quali sono le
autofunzioni che sono ortogonali tra loro e lo capiremo meglio perché questa è una delle due
proprietà che dimostreremo.

167
Prima di passare ad analizzare meglio alcune proprietà vediamo un momento la componente
longitudinale del campo magnetico come si ricava, abbiamo dalla terza equazione di Marcuvitz e
Schwinger nel caso TE che

e dunque siamo riusciti a ricavarci anche questa componente conoscendo il potenziale in guida e
la tensione: qui notiamo una cosa molto interessante, la dipendenza è dalla tensione e non dalla
corrente come ci potevamo aspettare, in questo senso sembra un po’ anomalo ma noi sappiamo
che nel caso TE ed non sono tensioni e corrente nel senso classico, come cioè le possiamo
interpretare per il caso di modi TEM.
Tornando alle proprietà degli autovalori c’è bisogno di dire che lo spazio vettoriale associato in cui
studiamo il problema agli autovalori deve essere uno spazio normato, c’è bisogno cioè di
introdurre una legge del tipo

in modo che possiamo parlare di distanza e lunghezza, anche se nel caso in cui lo spazio vettoriale
è di funzioni parlare di distanza tra funzioni non ha tanto senso, però l’idea alla base è questa, ad
ogni vettore si associa un numero reale non negativo che gode di determinate proprietà.
Si introduce in questo spazio anche il concetto di prodotto scalare e si dice che lo spazio vettoriale
è dotato di prodotto interno o anche che è pre-Hilbertiano, questo prodotto è come già sappiamo
un’applicazione

che gode di determinate proprietà che conosciamo, il risultato appartiene al generico campo
che è il campo soggiacente allo spazio vettoriale.
Se uno spazio è dotato di prodotto scalare è dotato anche di norma perché sappiamo che

perciò uno spazio pre-Hilbertiano è più di uno spazio normato dato che ha il prodotto scalare e la
norma che è indotta da questo.
In questo caso si possono fare i prodotti scalari tra vettori e in questo senso se i vettori sono
funzioni possiamo vedere se queste sono ortogonali: riferiamoci allo spazio vettoriale delle
funzioni a quadrato sommabili, anche se in realtà la cosa è più complicata di così perché il
prodotto scalare è più raffinato e poi capiamo che non ci bastano funzioni a quadrato sommabili
perché dobbiamo derivare queste autofunzioni di cui stiamo parlando dato che compaiono
operatori differenziali nelle equazioni di nostro interesse, comunque non entrando nei dettagli
abbiamo che il prodotto scalare è

e questo si può verificare che soddisfa tutte le proprietà tipiche del prodotto, cioè linearità del
primo fattore, la sesquilinearità e cioè

anche se a volte si dice che è hermitiano, ma è più corretto il nome precedente, e poi la terza
proprietà è che

168
dove notiamo che avendo scritto maggiore o uguale a zero abbiamo detto anche che il prodotto
deve essere reale dato che il campo complesso non è ordinato: nell’insieme delle funzioni a
quadrato sommabili il prodotto scalare gode di tutte queste proprietà.
Dicendo che le funzioni sono ortogonali noi diciamo che nell’insieme che per noi è si ha

C’è un’altra proprietà di interesse che è

cioè qualsiasi funzione dello spazio considerato può essere espressa come combinazione lineare, o
meglio serie, di questi elementi e perciò

dove la convergenza è in norma quadra o media quadratica, cioè converge nel senso dell’energia
per noi dato che siamo in : questo significa come sappiamo che

poi si può far vedere che converge pure puntualmente e uniformemente.


Avendo un insieme completo speriamo di poter rappresentare tutti i campi usando i modi
altrimenti sarebbe inutile studiarli.
Notiamo una cosa, ad autovalori distinti corrispondono autofunzioni ortogonali,
se invece le autofunzioni corrispondono ad autovalori non distinti non è detto
che queste siano ortogonali ma si possono ortogonalizzare usando il
procedimento di Gram-Schmidt, ovviamente i vettori che in questo caso sono
funzioni devono essere linearmente indipendenti: possiamo capirlo facilmente
se pensiamo a vettori come frecce, consideriamo i due vettori in un piano in
figura, per trarne due vettori ortogonali uno si lascia com’è e l’altro si scompone
in una componente ortogonale e una parallela al primo, dopodiché questa componente proiettata
si toglie e si ha

e ora

Se ora avessimo un terzo vettore, che ovviamente non deve stare nel piano generato dai due
vettori considerati prima perché altrimenti c’è dipendenza lineare tra i tre e non possiamo
ortogonalizzare, andiamo a togliere la proiezione sul piano; se poi c’è un quarto vettore togliamo
la proiezione sullo spazio generato dai primi tre e così via. Il procedimento è concettualmente
banale, poi Gram e Schmidt fanno tutto con le matrici e diventa tutto più generale.
Andando a ortogonalizzare le funzioni che stiamo considerando riusciamo ad ottenere un sistema
non solo completo ma anche ortogonale: è quello che facciamo quando usiamo un riferimento
nello spazio con i versori, i versori sono tutti ortogonali tra loro e anzi possiamo dire anche di più
perché possiamo considerare

169
e otteniamo un insieme di funzioni ortonormali proprio come i versori che hanno modulo unitario.
I sistemi ortonormali completi sono utili perché abbiamo una cosa del tipo

cioè possiamo calcolare subito i coefficienti dell’espansione in serie di Fourier che ci siamo
considerati perché

dato che in pratica possiamo scrivere in termini di delta di Kronecker che

e abbiamo

in modo del tutto analogo a quando ci cerchiamo le componenti lungo o di un vettore, ad


esempio, e non facciamo altro che moltiplicare scalarmente per il versore opportuno: per fare
questo ci vuole l’ortonormalità, cioè ortogonalità e normalizzazione degli elementi della base.
In tutto questo notiamo che possiamo dividere per la norma perché sappiamo che la norma è nulla
solamente se l’elemento di cui facciamo la norma è nullo e in questo insieme da noi considerato
l’elemento nullo non c’è dato che stiamo cercando le soluzioni non banali.
Andiamo ora a dimostrare le due proprietà che avevamo detto iniziando da

e questa cosa è cruciale e l’abbiamo già sfruttata nel caso senza perdite per fare i conti e siamo
riusciti a dire che se siamo sotto la pulsazione di taglio i modi non si propagano e se siamo sopra si
propagano, se fossero complessi il problema del cut-off non si pone proprio; d’altra parte se
l’autovalore fosse negativo invece di andare a sommare i modi ci sarebbero sottrazioni nella serie
che costruisce le soluzioni a partire dai modi.
Per dimostrare questa proprietà si parte dalla prima identità di Green in forma differenziale che è

dove le due funzioni considerate sono scalari; questa identità si ricava da

che è dello stesso tipo di quella già vista

Noi usiamo quella di prima con la divergenza invece che con il rotore, applicandola al caso in cui il
vettore è il gradiente di e otteniamo l’identità che ci serve.
Nel nostro caso scriviamo la prima identità di Green in forma differenziale mettendo nabla
trasverso e laplaciano scalare trasverso

andandola a integrare otteniamo la prima identità di Green in forma integrale che è quella che ci
serve per la dimostrazione

170
dove a primo membro abbiamo sfruttato il teorema della divergenza, poi possiamo notare che

e questa derivata direzionale, siccome la dobbiamo calcolare sulla frontiera ponendo ,è


nulla per la condizione di Neumann associata al problema differenziale in questione: allora
mettendo e poi si ha

Sfruttando che

e che nel primo integrale compare il modulo si ha

e possiamo scrivere in definitiva

così abbiamo dimostrato quello che volevamo.


Ricordiamoci sempre che dividiamo per la norma dato che non vogliamo soluzioni banali e allora
non abbiamo norme nulle, inoltre l’autovalore sarà proprio 0 quando si annulla la norma del
gradiente trasverso e cioè

ma anche se in verità l’autovalore nullo c’è il potenziale guida non serve costante perché quando
andiamo a ricavare abbiamo il gradiente e la costante non ci dà contributo dato che noi
vogliamo soluzioni non nulle in : la cosa in realtà è un po’ più sofisticata, però per noi togliamo
l’autovalore nullo per avere soluzioni non banali e questa cosa ci va proprio bene perché abbiamo
varie formule in cui l’autovalore compare a denominatore e non può essere nullo.
Adesso facciamo vedere che ad autovalori distinti corrispondono autofunzioni ortogonali e per
farlo dobbiamo utilizzare la seconda identità di Green che diamo in forma differenziale e si ottiene
in questo modo: per la prima identità di Green possiamo dire che

che a noi serve scritta con gli operatori trasversi; andando ad integrare otteniamo una formula che
per noi è di maggiore interesse perché abbiamo, sfruttando il teorema della divergenza, che

A primo membro distribuiamo il versore e abbiamo delle derivate direzionali che valutate sulla
frontiera si annullano se andiamo a considerare che e dato che il coniugato non
dà problemi anche se la condizione non l’abbiamo sul coniugato, e poi ovviamente sappiamo che
ogni deve soddisfare il problema

171
Sfruttando sempre che

possiamo scrivere

dove dobbiamo notare che

essendo gli autovalori reali. Questa identità si può riscrivere come

e nell’ipotesi di considerare autovalori distinti l’annullamento deve essere per forza causato
dall’integrale e cioè le autofunzioni devono essere ortogonali come volevamo dimostrare.

Nel caso dei modi TEM abbiamo visto che la è reale, qui in generale non è vero e infatti abbiamo
sempre messo i coniugati perché abbiamo questo potenziale complesso, però si può far vedere
che le possiamo sempre scegliere reali, ma non sono reali.
Consideriamoci

e mettendole nel problema abbiamo l’equazione

e da questa che è un’equazione in campo complesso si ricavano due equazioni sul campo reale
considerando parte reale e immaginaria, inoltre lo stesso si fa per le condizioni di Neumann dato
che anche la derivata direzionale è lineare e in conclusione abbiamo due problemi

Notiamo che i ragionamenti fatti sulla parte reale e immaginaria li abbiamo potuti fare perché è
reale, altrimenti dovevamo scomporre pure questo. Abbiamo trovato che se è soluzione lo sono
anche la sua parte reale e immaginaria: se l’autovalore non è degenere sappiamo che a questo
corrisponde una sola autofunzione, o meglio una sola a meno di una costante moltiplicativa e
quindi sono infinite autofunzioni tra loro proporzionali che costituiscono un autospazio associato
all’autovalore non degenere, se l’autovalore è degenere l’autospazio ha dimensione maggiore;
dentro all’autospazio associato all’autovalore non degenere cade sia la parte reale che la parte
immaginaria perché sono autofunzioni corrispondenti allo stesso autovalore, allora possiamo
prendere una delle due e l’altra si ottiene a meno di una costante, perciò possiamo prendere un
potenziale in guida sempre reale. Se l’autovalore fosse degenere prendendo parte reale e
immaginaria si ottengono tra e ma qua dentro sono indipendenti sempre solo perché
questa è la dimensione dell’autospazio, allora ci scegliamo solo quelle indipendenti e abbiamo
scelto sempre solo autofunzioni reali.
Potendo scegliere il potenziale reale abbiamo anche ed reali, volendoli vedere come fasori
questi sono polarizzati linearmente.

172
Ora dobbiamo passare a vedere che succede per i TM: già possiamo cominciare a capire perché
stiamo usando questi tre modi, i TEM saranno usati per e che sono solenoidali e irrotazionali, i
TE saranno usati per che sono solenoidali ma non irrotazionali e per gli che sono al contrario
irrotazionali ma non solenoidali e infine i TM ci serviranno per non solenoidali ma irrotazionali:
dietro questo c’è un teorema notevole che è il teorema di Helmotz che dice che un campo
vettoriale si può sempre scomporre in una parte solenoidale e irrotazionale, una parte solenoidale
e non irrotazionale e una parte irrotazionale ma non solenoidale, per questo noi stiamo facendo
questi discorsi sui modi così da costruirci tutte le soluzioni in funzione di questi.
Scriviamoci le equazioni di Marcuvitz e Schwinger e imponiamo che volgiamo soluzioni TM per cui
e , poi fattorizziamo per avere dei modi. Abbiamo

Cominciamo dall’equazione più corta, come sempre, in questo caso è la seconda e usando la
fattorizzazione otteniamo

Ancora una volta possiamo dire che nella parentesi c’è una funzione scalare dipendente dalla sola
e inoltre questa funzione è costante perché fissati e dobbiamo avere che l’uguaglianza è
soddisfatta ad ogni sezione e l’unica possibilità è che la quantità in parentesi quadre è costante: la
costante la potremmo lasciare indeterminata ma anche in questo caso, come nei TE, non ci servirà
a nulla e conviene metterla pari ad 1 per ottenere l’equazione dei telegrafisti nel caso TM

e contemporaneamente abbiamo

che lega le funzioni vettoriali di modo in entrambi i sensi perché possiamo scriverla anche come

Dalla prima equazione di Marcuvitz e Schwinger poi ricaviamo

Ce la scriviamo come

Di nuovo la quantità in parentesi quadre è una funzione scalare costante e mettiamo

173
introducendo anche in questo caso che poi capiamo meglio chi è, ma si capisce che non è detto
che sia lo stesso dei TE perché in quel caso i sono gli autovalori del problema con condizioni di
Neumann mentre qui non sappiamo ancora cosa verrà.
Scriviamo il sistema di equazioni dei telegrafisti

dove possiamo notare che rispetto al caso TE il ruolo di tensioni e correnti, che anche in questo
caso saranno equivalenti, si sono scambiati. Vogliamo scrivere tutto in termini di parametri
secondari anche in questo caso e allora scriviamo

dove

da cui l’impedenza caratteristica è

e formalmente, solo formalmente, è la stessa equazione che abbiamo ottenuto per le onde piane
in polarizzazione TM. Inoltre ricaviamo pure

L’espressione di è la stessa dei TE ma non sono gli stessi sempre perché non sappiamo se i
sono gli stessi o diversi, lo dobbiamo vedere ancora andando a considerare il problema per il
potenziale che avremo anche in questo caso.
Possiamo ricavarci pure l’equazione per dall’equazione usata per trovare la seconda equazione
dei telegrafisti ed abbiamo

cioè ora abbiamo scritto come il gradiente di un potenziale scalare per cui faremo vedere che è
irrotazionale ma è addirittura conservativo.
Fatto questo inseriamo nell’equazione

l’espressione trovata per ed abbiamo

da cui ancora ricaviamo

e notiamo che si è semplificato per cui questa costante, pure nel caso TM, è in questa
circostanza ininfluente.
174
L’ultima espressione ci dice

e poi dobbiamo ricavare la condizione da associare all’equazione considerando sempre che


abbiamo un conduttore elettrico perfetto sul contorno e perciò

perché questo è tangente alla superficie laterale, ma poi c’è pure

perché una volta annullato ci potrebbe essere una parte del campo trasverso e perciò pure
questo si deve annullare; da questo si ricava subito

e come nel TEM viene

condizione che ci dice che sulle parti connesse del bordo il potenziale è costante, però dobbiamo
pure considerare l’altra condizione che nel TEM non avevamo e sfruttando che

ci ricaviamo

visto che l’annullamento non può essere causato dalla corrente equivalente altrimenti abbiamo la
soluzione banale perché si può vedere che si annullerà anche .
Avendo

il potenziale in guida è

e ne deduciamo subito

Allora non solo il potenziale è costante sui pezzi connessi della frontiera ma addirittura è sempre
nullo: abbiamo ottenuto un problema differenziale con condizione di Dirichlet omogenea che è

Però ci dà fastidio che l’equazione differenziale è eguagliata a una costante, vorremmo metterla
pari a 0 e perciò consideriamo sempre che e scriviamo

che si può vedere che risolve il problema: qua però la questione è più articolata perché nei modi
TE questa andava bene pure per la condizione da soddisfare dato che c’era la derivata e la
costante andava via, in questo caso la condizione è diversa e non possiamo dire che , anzi
questa costante va a cambiare i coefficienti di espansione della soluzione dell’omogenea.
È vero che passando al gradiente per ottenere la costante non serve ma il problema è che nel
frattempo la costante è intervenuta nel determinare , però si vede che questa costante è del
175
tutto irrilevante e quindi noi andiamo a considerare il problema omogeneo associato che serve in
ogni caso: studiamo allora

Per questo problema andiamo a vedere le proprietà sugli autovalori del problema e si vede che le
proprietà dei sono esattamente le stesse del caso TE con la differenza che

non perché escludiamo l’autovalore nullo come nel caso precedente ma perché nel caso TM non
dobbiamo proprio considerare questo valore che porterebbe a risolvere

e questo problema ha soluzione unica che è quella banale e di cui non ci dobbiamo interessare; è
differente da prima perché se la condizione è di tipo Neumann la soluzione è unica a meno di una
costante, mentre per la condizione Dirichlet si vede che la soluzione è proprio unica e volendo
puntualizzare possiamo dimostrare che la soluzione è unica sfruttando che è una funzione
armonica complessa e il suo massimo modulo, assunto sulla frontiera, è nullo come ci dice la
condizione.
Le considerazioni che possiamo fare sulle altre proprietà sono sempre che gli autovalori si
accumulano all’infinito unicamente per cui abbiamo finiti modi che si propagano che stanno a
sinistra della frequenza di taglio, ad ogni autovalore si associano finite autofunzioni e ad autovalori
distinti ci sono autofunzioni ortogonali; ortogonalizziamo sempre quelle che sono autofunzioni
legate allo stesso autovalore, possiamo anche dividere per la norma e otteniamo un insieme
ortonormale che sappiamo essere anche completo perché si potrebbe dimostrare.
Il problema che ora ci poniamo è capire perché se abbiamo due spazi di autofunzioni e che
sono completi non possiamo espandere la in termini di oppure in termini di siccome
per come stiamo ragionando sembrerebbe che bastano solo i modi TE o solo i modi TM.
Il problema è che non funziona

perché noi sappiamo che la serie puntualmente sulla frontiera non può convergere siccome la
convergenza è in e questo si riflette nel fatto che la convergenza della serie non è uniforme:
siccome la convergenza non è uniforme quando calcoliamo

non possiamo passare la derivata, contenuta nell’operatore differenziale , sotto la serie.


Diciamo che anche in questa occasione c’è un problema legato agli spazi in cui si formula il
problema, per cui per noi gli spazi in cui ci sono e le coincidono, in generale potrebbe non
essere vero ma questa questione non ci interessa. Allora, concludendo, potremmo costruire e
sfruttando solo i modi TE o solo i modi TM ma non possiamo andare sui campi che è quello che ci
interessa.
Andiamo a dimostrare anche nel caso TM le stesse due proprietà già viste nel TE riguardo ai ,
consideriamo la prima formula di Green in forma integrale e questa volta considerandoci

176
abbiamo

dove ora per annullare l’integrale a primo membro possiamo sfruttare direttamente che si annulla
la funzione e non la derivata come nel caso TE, e questo è vero perché anche se c’è il coniugato
non cambia niente. Notiamo che non dobbiamo confondere il pedice che sta vicino alle e sta
ad indicare gli elementi dello spazio vettoriale con la che è una cosa diversa, indica solo che è la
derivata normale, ma la notazione non dovrebbe essere equivoca.
Annullando l’integrale a primo membro e aggiustando gli altri integrali si ha

poi facendo la considerazione sul fatto che la norma non si annulla abbiamo che .
Sfruttando poi la seconda identità di Green in forma integrale con e si ha

Ancora una volta si annulla il primo membro siccome le funzioni si annullano sulla frontiera, non
c’è nemmeno bisogno di dire che si annulla la derivata, poi sostituendo

dove non si coniuga essendo reale, abbiamo

che implica che le due autofunzioni sono ortogonali in non potendosi annullare questa quantità
per colpa della parentesi se siamo nelle ipotesi di autovalori distinti.
Anche in questo caso, avendo autovalori reali, possiamo dire che le autofunzioni non sono reali ma
si possono scegliere reali e i campi sono tutti polarizzati linearmente in conseguenza di questo.
Concludiamo dicendo pure che TE e TM non hanno in generale gli stessi autovalori perché nei
problemi cambia la condizione al contorno, nel primo è di Neumann e nel secondo di Diriclhet.

Guida d'onda rettangolare

Vogliamo iniziare a risolvere il problema differenziale che ci permette di trovare il potenziale in


guida sia nel caso dei modi TE che nel caso dei modi TM, essenzialmente ci concentriamo su una
guida d’onda rettangolare come in figura perché già con la guida d’onda circolare le cose si
complicano, i TEM invece non ci sono in questa guida perché abbiamo visto che la struttura
guidante di un TEM deve avere almeno due contorni altrimenti il
problema differenziale sul potenziale ha soluzione costante.
Iniziamo dai TE, dobbiamo risolvere:

177
dove è vista in uno spazio bidimensionale; cominciamo a cercare soluzioni semplici del tipo

e dovremmo capire poi se otteniamo tutte le soluzioni perché nessuno ci dice che la soluzione di
questo problema si può fattorizzare in questo modo.
Siccome il laplaciano scalare trasverso è

a seguito della fattorizzazione l’equazione da risolvere diventa

A questo punto dividiamo per e scriviamo

Lasciando solo i termini in a primo membro otteniamo un’equazione molto semplice dato che il
primo membro è funzione solo di e il secondo solo di , fissando abbiamo una quantità
costante a secondo membro che chiameremo

e da questa si ricava subito l’equazione

che è semplicissima perché è quella di un oscillatore armonico.


Analogamente ragioniamo sulla e otteniamo

e otteniamo l’equazione

Sfruttando la condizione di Neumann che abbiamo sul problema differenziale iniziale otteniamo le
condizioni iniziali, se infatti vediamo la frontiera divisa in quattro parti
come in figura abbiamo che sul lato 1

perché notiamo che la direzione in questo caso è la derivata rispetto


a , che in verità sarebbe uscente da e perciò dovrebbe essere – ,
ma avendo eguagliato a 0 la cosa è irrilevante.
Sugli altri lati facciamo ragionamenti analoghi e abbiamo

Questi condizioni le dobbiamo tramutare in condizioni per e , per cui dalla prima si ha

e così via otteniamo

178
Facciamo ora un ragionamento sulla prima e sulle altre sarà analogo: la colpa dell’annullamento
non può essere di perché altrimenti questo si dovrebbe annullare sempre per e
otterremmo la soluzione banale che non dobbiamo considerare, per questo possiamo dire che

Siamo riusciti in questo modo a far diventare il problema da risolvere un problema ai limiti più
semplice in quanto per entrambe le equazioni ottenute abbiamo il valore della derivata della
funzione agli estremi dell’intervallo. Sappiamo già che la soluzione delle equazioni è

e cominciamo a forzare sulla prima la condizione ai limiti, poi per la seconda equazione sarà la
stessa cosa; derivando si ha

e dobbiamo imporre

Cominciamo a non considerare il caso , che pure potrebbe essere, dobbiamo imporre
: in verità funziona pure quando è perché in questo caso anche se non è
nullo nell’espressione di compare il seno con argomento e perciò questo secondo
addendo si annulla lo stesso, perciò in ogni caso abbiamo ottenuto

e andiamo a forzare l’altra condizione

L’annullamento non può essere causato da altrimenti si annulla tutto, la soluzione di questo non
può che essere

anche se vedremo che è del tutto irrilevante specificare che è intero relativo, ma comunque per
ora ignoriamo e scriviamo

Nell’ultima espressione per come abbiamo detto ora la cosa possiamo vedere che ci sta pure
e perciò tutto è contenuto in questa condizione.
La soluzione in conclusione è

e abbiamo messo per ricordarci che questa costante dipende dall’ che stiamo considerando.
Sulla possiamo dire le stesse cose e otteniamo

Questo vuol dire che il generico potenziale guida, che dipende da due indici, sarà

179
dove abbiamo accorpato le due costanti e in un'unica costante e abbiamo ottenuto la
nostra autofunzione il cui autovalore associato è

In realtà non sappiamo se questi sono gli autovalori e le autofunzioni per il TE perché li abbiamo
ricavati nel caso di fattorizzazione della soluzione, il problema è capire se stiamo trascurando le
soluzioni non fattorizzate.
Per vedere che queste sono tutte le soluzioni ricordiamoci che le funzioni devono costituire un
sistema completo, perciò sicuramente sono linearmente indipendenti dato che non avrebbe senso
mettere funzioni dipendenti per costruire una base con queste: per mostrare che abbiamo un set
completo di funzioni ci ricordiamo che la serie di Fourier è un’espansione di funzioni in termini di
seni e coseni, che sono funzioni complete, e cioè abbiamo

Questa scrittura ci fa capire che seni e coseni sono completi, poi sappiamo anche che

dove è il periodo in cui abbiamo il pezzo di funzione che viene ripetuto infinite volte per
costruire tutta la funzione di interesse.
Nelle soluzioni da noi trovate ci sono dei coseni, poi in realtà abbiamo una funzione di due variabili
e perciò abbiamo due coseni moltiplicati tra loro, comunque nel frattempo guardiamo solo la
variabile e possiamo dire che le autofunzioni contengono il termine

Il periodo è , cioè è il doppio dell’intervallo in cui varia la , inoltre non abbiamo dei seni
nella nostra espressione e ci sembra che non abbiamo allora la completezza nelle soluzioni
trovate: dobbiamo però ricordarci che se la funzione è pari la serie di Fourier è fatta di soli
coseni, e questo si capisce perché in quel caso

analogamente se la funzione fosse dispari ci sarebbero solo seni,


le nostre soluzioni allora potrebbero essere pari e siccome non lo
possiamo sapere dobbiamo vedere se è possibile ottenere una
funzione pari con una funzione generica: per farlo prendiamo la
nostra funzione, in generale tra , e la replichiamo pari
dall’altra parte, questa funzione pari ora è definita in ed
è questa funzione, che va sul doppio del periodo, che viene
replicata e sviluppata in serie.
La serie di Fourier in questo caso si scrive come

180
e guardando le soluzioni ottenute possiamo capire che noi siamo in questa situazione, per questo
abbiamo un set di autofunzioni completo in : attenzione che è completo in e non in
perché è il primo periodo che ci interessa, il trucco di considerare il doppio del periodo
funziona perché rendiamo la funzione pari ma poi dobbiamo considerarla solo nel nostro periodo.
Il ragionamento si può ripetere per il coseno in funzione di e abbiamo dimostrato che le
sono un insieme completo.
Ovviamente potremmo pure ottenere una serie di Fourier di soli seni
riflettendo dispari e notando anche che se la funzione nell’origine
non è nulla andando a riflettere uscirà una discontinuità e lì non ci
sarà convergenza uniforme, ma comunque il set è completo: questo
ci servirà per i modi TM.
Le autofunzioni che abbiamo dimostrato essere complete sono già
ortogonali dato che ad autovalori diversi corrispondono autofunzioni
ortogonali, dobbiamo però renderle ortonormali e questo si fa
scegliendo opportunamente : la costante non è in generale
reale ma la possiamo scegliere reale perché abbiamo visto che il
potenziale in guida nel caso TE si può scegliere pure reale e dato che i coseni che compaiono nelle
sono reali tutto ricade sulla scelta della costante davanti.
Quello che ci serve è

dove abbiamo scritto la norma quadra per evitare la radice, potremmo anche scegliere la norma
non quadrata ma è la stessa cosa; dobbiamo fare

L’integrale doppio si può iterare e fare

e ne risolviamo uno perché l’altro sarà uguale, cioè concentriamoci su

Innanzitutto facciamo il caso , in questo caso l’integrale viene pari ad , poi ci andiamo a
fare il caso e possiamo fare il cambio di variabile seguente proprio perché :

L’integrale è

Possiamo concludere che

181
Notiamo anche che quando abbiamo trovato gli autovalori abbiamo detto che , ora
possiamo dire che in verità

perché se lo cambiamo in – l’autovalore, che è

non cambia essendoci il quadrato, stesso discorso per la , inoltre l’autofunzione nemmeno
cambia perché i coseni che compaiono sono pari. Inoltre gli indici non possono essere entrambi
nulli perché se lo fossero abbiamo l’autovalore nullo a cui corrisponde l’autofunzione costante che
non ci serve: ora possiamo convincerci ancora meglio che nel caso di autovalore nullo il potenziale
in guida è costante perché basta andare a sostituire questo nell’espressione di e si otterrà

Tornando alla norma possiamo dire che

e dobbiamo porla pari all’unità per cui abbiamo una costante che è

e le autofunzioni sono di conseguenza

Queste costituiscono il nostro sistema completo ortonormale.


Vogliamo ora capire chi è il primo modo TE che si accende e si mette in propagazione: innanzitutto
anticipiamo che i TM si accendono sempre dopo o al massimo contemporaneamente a un TE e
perciò possiamo guardare a questi modi qui.
Dobbiamo andare a guardare la pulsazione di taglio

e si accende prima il modo con la pulsazione più piccola, cioè con la radice dell’autovalore, che a
volte impropriamente si chiama anche autovalore, più piccola: dato che nella guida d’onda
perché di solito la guida è sempre rettangolare, può degenerare in una quadrata ma è un caso
particolare, riferendoci a

capiamo subito che, non potendo scegliere , il primo deve essere


perché così si annulla la parentesi destra e rimane la sinistra che essendo fratto è sicuramente
più piccola. Il modo fondamentale allora è il ed è davvero fondamentale perché abbiamo
detto che i TM si accendono sempre dopo: dopo il capiremo chi si accende.
Per vedere com’è fatto questo modo consideriamo che:

182
ed è ovvio che ad ognuno dovremmo mettere il pedice perché ad ogni potenziale ,
associato a un , si può associare tutto questo; poi possiamo scrivere pure

e infine dobbiamo considerare anche perché il modo è TE:

Ovviamente anche qua servirebbero i pedici ma non li abbiamo messi per non appesantire la
scrittura.
Ora possiamo vedere davvero com’è fatto il modo fondamentale della guida rettangolare:

questo potenziale dunque dipende solo da per il e sarà tutto costante rispetto a , poi ci
calcoliamo

e sapendo che

concludiamo

Ci siamo accorti che anche in questo modo fondamentale dipende solo dalla , come ci
aspettavamo visto che il potenziale in guida dipende solo da , e va solo lungo la direzione ;
possiamo pure notare che c’è dipendenza solo dalla geometria della sezione, come deve essere
perché il nostro problema differenziale sulla dipende solo dalla geometria della guida.
Calcoliamoci pure

e scopriamo che dipende solo da come ci aspettavamo ed è diretto tutto lungo : inoltre
questo ci dice che tutto il campo elettrico, essendo tutto trasverso in TE, sta lungo ; il campo
magnetico trasverso invece sta tutto lungo essendo

però questo non è tutto il campo perché ci manca che ora ci calcoliamo

Ci rimane da vedere

183
e in questa espressione compare il mezzo con , mezzo che influenza solo e perché
invece ed dipendono solo dalla geometria del mezzo.
Questo è tutto quello che ci serve sapere, in verità ci restano ed che però si determinano
risolvendo le equazioni dei telegrafisti. Andiamo a vedere com’è l’andamento per campo elettrico
e magnetico, tutto dipende solo da come abbiamo detto, iniziamo da

e notiamo che il modulo qui non è necessario perché


e il seno in questo intervallo è non negativo, in ogni
caso lo lasciamo lo stesso e, guardando la figura, capiamo
come va il campo la cui direzione sappiamo già essere tutta
lungo : cerchiamo di interpretare questo diagramma,
sull’ordinata c’è il valore del campo elettrico, delle volte però
si mette la di lato non perché sia in funzione di ma
perché è l’altra variabile della sezione e con questo disegno
vogliamo avere un’idea di che succede nella sezione; il
diagramma è concorde con la soluzione che abbiamo perché il campo deve essere nullo in
componente tangente, dato che c’è CEP, sul contorno e possiamo vedere che sul lato di sopra il
campo non è nullo ma la sua tangente lo è perché lì il campo è tutto normale, sotto anche il
campo è tutto normale e abbiamo soddisfatto le condizioni al contorno sopra e sotto, sulle pareti
laterali si annulla a causa del seno perché viene 0 in entrambi i casi.
Il diagramma va interpretato perché ci serve a capire se la soluzione trovata è buona, anzi di solito
il trucco consiste nel partire da questo e costruirsi opportunamente la soluzione in modo che
soddisfi le opportune condizioni al contorno.
Veniamo ora al campo magnetico trasverso

e si può vedere che il campo magnetico trasverso è tutto


lungo questa volta, poi ovviamente dipende solo dalla
variabile come abbiamo detto essere vero per tutti i campi
in questa situazione.
Ricordandoci che sul CEP la componente normale (non
tangente!) del campo magnetico deve essere nulla, possiamo vedere che sulla parete superiore
della guida è tutto tangente, sulla inferiore è 0 perché è tutto tangente e sulle laterali viene
annullato dal seno, altrimenti ci sarebbe la componente normale.
Ultima cosa che ci interessa è

e in questo caso il valore assoluto è necessario. Dal diagramma


vediamo che mentre il campo elettrico e il campo magnetico

184
trasversi sono massimi in modulo al centro della sezione, il campo magnetico longitudinale vale 0
al centro: questo concorda con le condizioni al contorno non perché si annulla sul bordo, e dal
diagramma si vede chiaramente, ma perché sulle pareti laterali è perpendicolare al piano che
contiene la sezione della guida, cioè rispetto alle superfici laterali è tangente e siccome sul
conduttore deve essere nulla la componente normale, non la tangente, ci troviamo.
Passiamo ai TM, consideriamo

e anche qui risolviamo fattorizzando

poi sostituiamo e il procedimento è lo stesso perché stiamo maneggiando la stessa equazione per
cui possiamo dire direttamente

cambiano solo le condizioni al contorno che ora sono

che scritti in termini di e sono

Ora facendo il solito discorso otteniamo

e perciò aggiungendo queste condizioni al contorno alle soluzioni trovate si hanno due problemi ai
limiti

Risolviamo solo il primo perché il secondo è analogo, dobbiamo imporre le condizioni al contorno
e dunque

da cui si ottiene

perché se si annulla pure abbiamo una soluzione identicamente nulla, allora otteniamo

185
ed è la stessa cosa del TE; concludendo abbiamo ottenuto

e poi si ottiene pure

e vedremo meglio ed dove variano, per ora possono essere interi relativi.
Abbiamo trovato

e poi

Gli autovalori trasversi sembrano gli stessi, le autofunzioni sicuramente sono diverse; ora
possiamo dire anche che in realtà

perché stavolta e non possono essere proprio nulli, nemmeno uno dei due alla volta, perché
l’autofunzione verrebbe nulla, poi indici positivi e negativi ci danno la stessa cosa perciò sono
numeri naturali e non relativi.
Tutto il resto si ottiene ricordandoci le formule del TM:

e sappiamo che ci vogliono gli indici ad ogni grandezza considerata, a parte ad esempio per la
perché e , così come , non variano con gli indici.
Gli autovalori non sono gli stessi, nel caso TM sono un sottoinsieme del TE perché non ci sono
e : il modo TM fondamentale è e questo ha la stessa pulsazione di taglio di
siccome è lo stesso, per questo resta giustificato il fatto che il TE si accende sempre prima, poi
capiamo che il modo fondamentale in assoluto è il .
Ci resta da determinare in modo da avere

Anche questo insieme di è un insieme completo perché ogni autofunzione è scritta in termini
di seni a periodo doppio e abbiamo già fatto prima tutto il discorso; qua abbiamo i problemi sulla
convergenza nel caso in cui il valore nell’origine salta perché quando andiamo a fare la funzione
dispari e questa nell’origine non è nulla abbiamo un salto di discontinuità e la serie di Fourier
tenderà al valore medio nell’intervallo di cui salta, questo porta dei problemi sulla convergenza
che non è uniforme e dunque abbiamo problemi nell’integrare per serie e ancora di più nel
derivare per serie. Questo problema però non si pone nel nostro caso perché sul bordo è nullo e
cioè sia in che in nell’origine vale zero, infatti in questo caso si può dimostrare che la
convergenza è verificata anche in spazi migliori di .
Calcoliamoci la norma

186
e anche in questo caso si può scegliere reale, risolviamo solo il primo integrale perché l’altro
è analogo, si ha

dove non ci siamo posti proprio il problema perché sappiamo che questo non può essere.
Poi ovviamente

e allora

e abbiamo concluso, abbiamo tutto quello che ci serve anche nel caso TM.

Diagramma di Brillouin

Adesso dobbiamo discutere un po’ meglio la propagazione dei modi in guida d’onda: iniziamo a
considerare la formula del trasporto della tensione

Nell’ipotesi in cui il tratto di linea considerato sia adattato, in modo da non far tornare indietro
inutilmente la potenza del segnale e per non avere altri effetti indesiderati che per ora non
consideriamo, abbiamo solo onda progressiva e sappiamo che in generale, se l’onda non è una
pura sinusoide, si distorce se la velocità di fase è diversa al variare di , cioè non è lineare con .
Nel caso dei modi TEM la costante di propagazione sulla linea è

e supponendo che il mezzo sia non dispersivo nel tempo la permittività e permeabilità non
dipendono dalla frequenza, dunque è una funzione lineare di .
Nel TE e nel TM dobbiamo guardare che è

dove abbiamo assunto pure qui che il mezzo sia non dispersivo, cioè senza perdite: ovviamente a
noi quello che interessa è una costante di propagazione funzione lineare di nella banda di
interesse perciò non c’è bisogno di richiedere la non dispersione per tutte le frequenze.
Dalla formula si vede che anche in ipotesi di mezzo senza perdite la è funzione non lineare di
perché c’è la , che è l’autovalore del modo considerato, e poi si deve fare una radice, quindi la
distorsione ci sarà in ogni caso: in questo caso allora la distorsione non è legata direttamente alla
dispersione, c’è sicuramente un legame ma non è detto che se il mezzo è non dispersivo la
propagazione è anch’essa non dispersiva.

187
Ci interessa capire qual è il legame di con e per farlo si usano i diagrammi di dispersione,
chiamati anche diagrammi di Brillouin; mettiamoci sempre nel caso senza perdite, avremo due casi
che dipendono dalla struttura guidante, perché dipendono dall’autovalore : il primo caso è che
il modo sia in propagazione e il secondo è che questo sia in cut-off.
Iniziamo da

e cioè siamo in propagazione, in questo caso ed è pari a

Conviene quadrare per togliere la radice e si ha

e scriviamo

perché le due variabili che ci interessano sono e che andiamo a mettere allo stesso lato, poi
per quanto riguarda il denominatore di lo scriviamo così perché diventa evidente che questa
conica è un’iperbole, dunque c’è una relazione iperbolica tra e che possiamo vedere in figura:
di solito si mette sull’asse delle ascisse e sull’asse delle
ordinate, l’iperbole è in forma canonica perché non c’è il termine
misto che sarebbe segno di una rotazione; siamo interessati ai
valori di positivi perché quelli negativi vanno nell’onda riflessa
che non consideriamo, poi siamo interessati come sempre a
pulsazioni positive dunque il diagramma lo facciamo solo nel primo
quadrante e c’è un ramo di iperbole.
Quando otteniamo

per cui nel diagramma si vede chiaramente la pulsazione di taglio e da lì si parte per vedere
l’andamento che evidentemente è non lineare. Si può vedere che l’asintoto rappresenta una
situazione in cui l’iperbole tende a diventare una retta e cioè diventa

perché diventa molto grande e possiamo trascurare in modo che la costante di propagazione
diventa quella del mezzo, o quella del TEM se ci fosse. L’asintoto dell’iperbole non è altro che

ed è come se fosse una velocità di fase.


Vediamo che succede invece in cut-off, cioè per : in questo caso

dove cioè

188
La relazione con la pulsazione la otteniamo sempre quadrando e si ha

mettiamo tutto dallo stesso lato e si ha

Questa ora è un’ellissi, in particolare ci serve un ramo di ellissi perché ci interessa e sempre
pulsazioni positive: il disegno si fa in modo da mettere questo diagramma nello stesso piano di
prima, l’ellissi è sempre non ruotata perché non c’è il termine misto e poi abbiamo la pulsazione di
taglio per .
Interpretiamo il diagramma: se siamo a frequenza più
bassa di quella di taglio andiamo in cut-off e
consideriamo la parte sinistra del diagramma, se
siamo in propagazione consideriamo invece la parte
destra, in entrambi i casi consideriamo solo
pulsazioni positive perché trattando con funzioni
hermitiane il caso di pulsazioni negative si può
dedurre di conseguenza mentre il caso di pulsazione
nulla non interessa perché è il caso statico.
Per non avere distorsione nella propagazione del
modo si deve lavorare dove l’andamento tra e è
lineare per cui sembra che dobbiamo metterci in alta frequenza, in realtà questo porta una
difficoltà e in generale non ci si mette a lavorare lì.
Ricordiamoci che la costante di propagazione in guida non è da confondere con la costante di
propagazione nel mezzo : nel modo TEM la costante di propagazione nella linea è e coincide
con quella del mezzo, ma per TE e TM la costante di propagazione in guida è , così come
abbiamo pure definito

che è la lunghezza d’onda nel mezzo, ed è diversa in generale dalla lunghezza d’onda in guida

Quando studiamo tensione e corrente su una linea e andiamo a vedere i massimi e i minimi ci si
riferisce alla lunghezza d’onda in guida, non a quella del mezzo, oppure quando diciamo che la
funzione è periodica di e siamo in TE o TM ci riferiamo alla , nel modo TEM ci siamo riferiti
a perché in quel caso, essendo , si ha .
Fatto questo appunto torniamo al diagramma di Brillouin: man mano che consideriamo i vari modi
ognuno ha il suo diagramma di dispersione e la sua pulsazione di taglio, pulsazioni che sappiamo
accumularsi all’infinito e perciò la situazione è come in
figura; in tutto questo ci sarà poi il modo fondamentale che
sappiamo essere il .
Vediamo dove conviene andare a lavorare: aiutandoci con la
figura vediamo che a una certa frequenza ci saranno dei

189
modi in propagazione e in cut-off, se c’è anche il TEM c’è pure il modo corrispondente
all’intersezione con l’asintoto; laddove c’è un andamento abbastanza lineare tra e si vede
subito che accendiamo più modi, se ad esempio ci serve il modo nel punto A si vede che si
accendono anche altri modi e man mano che saliamo l’andamento diventa più lineare ma stiamo
accendendo diversi modi contemporaneamente.
Accendendo più modi insieme c’è un meccanismo di dispersione e allora dobbiamo distinguere
due tipi di dispersione: la prima è una dispersione intramodale, cioè che sta dentro al modo, che è
causata dalla relazione non lineare tra e per cui è legata direttamente alla struttura dove si
propaga il modo; se invece facciamo propagare più modi contemporaneamente ognuno ha una
velocità di propagazione, sia di fase che di gruppo, in particolare la velocità di gruppo è

e queste velocità di gruppo, che non sono altro che i coefficienti angolari delle tangenti alle curve
del diagramma di dispersione, cambiano da un modo ad un altro, dunque c’è quella che si chiama
dispersione intermodale che fa sì che i modi arriveranno al ricevitore ma non con le stesse
relazioni con cui sono partiti e otteniamo distorsione.
La dispersione intermodale è evitabile in generale non lanciando più modi, perciò si cerca sempre
di essere in un regime di propagazione monomodale, per la dispersione intramodale non possiamo
farci niente perché questa è legata alla struttura e perciò più di far propagare un singolo modo
non possiamo fare granché, almeno per quello che sappiamo per ora.
Abbiamo ragionato nella parte destra del diagramma di Brillouin, non ci interessiamo invece di
quello che succede nella parte sinistra perché c’è pura attenuazione.

Dispersione e sua rilevanza. Dimensionamento di una guida d'onda rettangolare

Il diagramma di dispersione ci serve anche a dimensionare una guida d’onda rettangolare, che è
anche l’unica guida d’onda che consociamo: per dimensionarla dobbiamo e possiamo solo variare
e assegnata la banda in cui vogliamo che funzioni che sarà

Ricordiamoci che autovalori sono

poi sappiamo che gli indici non possono essere entrambi nulli nel TE e
nessuno dei due può essere nullo nel TM; conoscendo gli autovalori
possiamo dire anche che

e infine le pulsazioni di taglio sono

190
Il primo modo a propagarsi, cioè quello a cui corrisponde la pulsazione di taglio più piccola, è come
sappiamo il infatti abbiamo

e si capisce che questo è il primo dato che nelle nostre ipotesi; poi abbiamo

e vogliamo capire il più piccolo tra questi chi è perché vogliamo capire chi si propaga dopo come
modo: ovviamente crescendo i crescono le pulsazioni di taglio e perciò è inutile ragionare sulle
pulsazioni, ragioniamo direttamente sui
Si capisce che il è più grande del perché abbiamo quantità non negative in somma sotto
il radicando, allora prima di questo ci sarà il ma non sappiamo se questo viene subito dopo il
modo fondamentale perché dobbiamo valutare il : noi sappiamo solo ma questo non ci
dice niente se non che si accende prima di tutti il .
è più grande di quando

perché possiamo vedere che

Allora, prima cosa vediamo come scegliere e fatto questo avremmo fissato anche la pulsazione
del modo fondamentale: in principio ci si mette a lavorare sempre un po’ più sopra della
pulsazione di taglio del modo fondamentale perché altrimenti basta che ci si sposta un po’ e si và
nella zona in cui c’è attenuazione, inoltre vogliamo una relazione lineare e perciò dobbiamo salire
un po’ in frequenza, poi se la banda è stretta si può linearizzare in ogni caso.
Se vogliamo far passare almeno dobbiamo imporre

dove sappiamo che

e deve essere

dove siamo in assenza di perdite perciò non abbiamo un bensì un .

191
Abbiamo allora

la dimensione cioè deve essere metà della lunghezza d’onda associata alla pulsazione più
piccola, che è la lunghezza più grande e perciò si capisce perché non si fanno le guide d’onda a
dato che la lunghezza d’onda in quel caso viene migliaia di chilometri, mentre basta
aggiungere un conduttore per fare ad esempio un cavo coassiale o una linea bifilare e ridurre
notevolmente le dimensioni.
A questo punto vogliamo dimensionare , allora vediamo che
possiamo avere pulsazioni sopra la fondamentale diverse a
seconda del che scegliamo, noi cerchiamo di avere la più alta
possibile così da avere un range in cui il regime è monomodale
che sia più grande: vediamo meglio, ormai la è bloccata e perciò
abbiamo bloccato pure la , a questo punto dobbiamo agire su
per vedere dove piazzare la e abbiamo due casi
rappresentati nelle figure a seconda della relazione tra ed ;
nel primo caso la sta sicuramente sopra la , nel secondo
caso siamo sotto e abbiamo un range monomodale più
piccolo rispetto al primo caso dove c’è il più grande possibile.
Si potrebbe pensare allora che conviene fare più piccolo
possibile così almeno guadagniamo nelle dimensioni e abbiamo
una guida sottile, però questa cosa non funziona perché il
conduttore che contorna la guida non è un vero conduttore
elettrico perfetto e questo porta a un’attenuazione dovuta alle
perdita di potenza che poi vedremo meglio a breve: introducendo
l’attenuazione vedremo che in realtà crolla tutta la teoria fatta perché non è detto che le
pulsazioni si accumulino all’infinito, poi ci sono altri problemi sulle proprietà
degli autovalori, addirittura non esiste nemmeno il TEM perché questo si basa
proprio sul CEP.
Vediamo un momento l’ultima cosa detta, consideriamo la struttura cilindrica
in figura in cui ora non abbiamo più un conduttore elettrico perfetto sulla
superficie e dunque c’è una dissipazione per effetto Joule, allora scriviamo

poi supponendo che non ci siano perdite causate al mezzo, per cui non abbiamo la parte
immaginaria di permittività e permeabilità, e supponendo che non abbiamo sorgenti impresse,
riscriviamo

e ci rimane solo un termine di conducibilità che ci fa capire che la parte reale del flusso del vettore
di Poynting uscente, dato come è messo il versore, è l’opposto della potenza dissipata per effetto

192
Joule; allora in questo caso per calcolare la potenza dissipata facciamo il flusso del vettore di
Poynting e poi ne facciamo la parte reale

ed è nullo perché abbiamo tre vettori in un piano e perciò questi sicuramente sono dipendenti, se
abbiamo un prodotto misto tra vettori dipendenti, che non è altri se non il determinante dei tre
vettori, viene nullo. Allora un TEM non ci può dare una potenza complessa dissipata all’interno del
conduttore, ma se ci sono perdite la potenza deve esserci per forza e quindi in sostanza il TEM non
esiste: questo è legato al TEM perché se entrambi i campi non sono solo trasversi non abbiamo tre
vettori in un piano e il ragionamento non funziona.
Tornando al dimensionamento di abbiamo detto che non possiamo farlo piccolo a piacere, e lo si
può vedere affrontando il problema delle perdite con un approccio perturbativo che ci evita di
trattare tutto da capo e che ora iniziamo ad introdurre: consideriamo la potenza che attraversa
una sezione della guida e che è

poi abbiamo una certa potenza che si dissipa sulla superficie laterale ed è

Riferendoci alla figura abbiamo una e una , supponiamo che ci sia solo progressiva
per cui nella potenza complessa

si ha

Se la linea non ha perdite nel mezzo è reale, con le perdite non siamo in
grado di prevedere che succede con la teoria fatta ma sappiamo che ci
sarà un termine attenuativo: quello che si può vedere con questo approccio è che i modi che
abbiamo rimangono come sono, si rovinano le convergenze delle serie tramite le quali
costruiremo la soluzione siccome la convergenza si conserverà solo in media quadratica, ma quello
che ci interessa di più è che cambia la componente tangente di campo elettrico sulla superficie
laterale, la quale non può essere zero altrimenti il flusso del vettore di Poynting viene nullo, e per
questo compare un termine di attenuazione anche se il mezzo all’interno della guida è senza
perdite perché è un termine di attenuazione dovuto alle perdite sulle pareti.
Allora perturbando scriveremo

e dobbiamo stimare : questo verrà molto piccolo se il conduttore è buono, però è chiaro che
anche se è piccolo e abbiamo un consistente non possiamo trascurare l’attenuazione, dunque
piccolo non significa niente perché è dimensionale, è che conta, è questo che è adimensionale.
Detto questo si ha

193
cioè l’attenuazione sulla potenza è diversa dall’attenuazione sul segnale perché c’è : con
questo approccio perturbativo, che poi vedremo meglio, possiamo allora scrivere

e questa cosa ci serve per scrivere

cioè il coefficiente di attenuazione è legato al rapporto tra la variazione di potenza attiva da una
sezione a un’altra sezione, fratto la potenza a una certa sezione.
Conviene scrivere

e così, se vediamo la figura, ci accorgiamo che

cioè questa differenza è pari all’opposto della potenza che fluisce


dalla superficie laterale allora si ha

e l’integrale si può iterare perché la struttura considerata è invariante per traslazione, per cui si ha

Tecnicamente per ottenere l’ultima formula dovremmo considerare che è stato fatto un cambio di
variabili quindi ci dovremmo mettere a fare tutto il calcolo con lo jacobiano, ma comunque non ci
mettiamo a discutere questo e abbiamo direttamente questo integrale che risolviamo con il
teorema della media perché in parentesi abbiamo una funzione di e allora si ottiene

Il problema è capire come si calcola l’ultima quantità, ma comunque la cosa che ora ci interessa è
che abbiamo

e siccome nella nostra guida rettangolare, ma il ragionamento funziona pure per guide circolari,
abbiamo

si capisce che il coefficiente di attenuazione nel nostro caso è

Se ora abbiamo un coefficiente di attenuazione che va all’infinito e questo è un problema:


perciò, siccome deve essere almeno , conviene scegliere proprio pari a questo valore.

194
Scegliere

è quello che si fa per la guida standard, poi non si fa sempre così, ma questa scelta ci dà un trade-
off ottimo tra attenuazione e ampiezza della banda monomodale.
Diciamo anche che con questo dimensionamento, una volta fissato è fissato pure .

Analisi e caratterizzazione delle linee di maggiore interesse. Potenza ed energia in guida

Ora sistemiamo alcune cose sul modo TEM che abbiamo lasciato in sospeso e in seguito ci
riferiremo al cavo coassiale, poi si possono estendere questi risultati ad altre strutture in modo
banale; per prima cosa dimostreremo che si può definire il concetto di tensione.
Tensione in generale non vuol dire niente, dobbiamo parlare di tensione tra il
conduttore dell’anima e della calza nella stessa sezione e sappiamo che si intende

cioè è un integrale di linea che dipende dai punti e considerati, che sono punti in una stessa
sezione, e in generale pure dalla curva; sappiamo pure che nel caso in cui il campo elettrico è
conservativo questa dipendenza dalla curva scompare, in elettrodinamica il campo non è
conservativo in generale però abbiamo scoperto che quando ci muoviamo nella sezione nel caso
TEM il campo elettrico risulta conservativo e perciò solo in questo caso
possiamo definire una tensione tra i conduttori nella sezione: si capisce allora
facilmente che la tensione in questo caso non dipende dalla curva considerata
per calcolarla ma solo dai due punti tra i quali facciamo l’integrale di linea, ma
lo stesso non possiamo parlare di tensione tra i conduttori perché abbiamo
ancora da specificare i punti, si potrà parlare di tensione tra i due conduttori
solamente se esiste un numero complesso che possiamo associare all’integrale
di linea del campo che sia indipendente dalla curva ma anche dai punti scelti sul primo e sul
secondo: aiutandoci con la figura facciamo vedere che se facciamo l’integrale tra e o tra e
è la stessa cosa, prima di tutto usiamo la conservatività per scrivere

dove il ciclo orientato è quello in figura e il campo si intende che sia tutto trasverso perché stiamo
considerando un TEM, inoltre dobbiamo stare nella sezione; l’integrale si può scrivere come

sfruttando l’additività dell’integrale, scritto così possiamo notare che il secondo e ultimo integrale
sono nulli perché la curva tra quei punti è tutta tangente al conduttore, e se il conduttore è un CEP
il campo elettrico tangente è nullo, quindi possiamo scrivere

195
cioè siamo riusciti a dimostrare quello che volevamo e possiamo parlare di una certa tensione

che non è detto che sia la funzione scalare di modo, però lo possiamo far vedere considerando che

e si capisce che la funzione scalare di modo si può identificare con la tensione solo se l’ultimo
integrale ha valore unitario, integrale che possiamo scrivere come

dove abbiamo scritto in termini di potenziale e poi abbiamo sfruttato

Le funzioni di base con le quali costruiamo il potenziale sappiamo che valgono 1 su


un contorno e 0 su tutti gli altri e uno dei potenziali è quello in cui mettiamo 1
sull’anima e 0 sulla calza, anzi questo è anche l’unico perché sappiamo che questo
basta nel caso di un coassiale: detto questo allora abbiamo

e cioè con la scelta fatta per il potenziale è venuto direttamente il risultato che ci serviva.
Ora dobbiamo passare sulla corrente, sappiamo pure che la corrente è quella che scorre sull’anima
e sulla calza c’è quella uguale e opposta, in generale questa corrente è l’integrale di linea del
campo magnetico su un ciclo perché l’equazione di Maxwell ci dice che

con la superficie scelta arbitrariamente e noi scegliamo quella racchiusa dal


ciclo che giace nella sezione: con questa scelta si vede pure che e
perciò nel primo integrale doppio si ha

dato che nel TEM il campo longitudinale è nullo, allora concludiamo

Ovviamente con un altro ciclo veniva la stessa cosa, l’importante però che circondiamo l’anima
altrimenti, se ci mettiamo in un sottodominio semplicemente connesso, essendo nel TEM
irrotazionale ci viene pure conservativo e la circuitazione del campo magnetico sarebbe nulla.
Possiamo parlare dunque di corrente a una sezione e vediamo che questa si può identificare con la
funzione scalare di modo perché

e nel TEM si ha

196
per cui si ha

Riusciamo a identificare la corrente con la funzione scalare di modo se

per cui qui interviene la scelta della costante che ci siamo portati dietro fin ora; capiamo pure che
è reale come avevamo anticipato perché nel TEM è proprio reale per le di base che abbiamo
scelto, ci potevano essere delle scelte che avrebbero portato ad complesso ma la scelta fatta da
noi è più vantaggiosa. In generale quindi

Poi siccome

si capisce pure che è una costante che dipende solo dalla geometria della
sezione, non interviene la frequenza, né il mezzo, per cui si dice che è un fattore geometrico.
Per vedere un po’ meglio com’è fatta la costante possiamo permutare il prodotto misto, poi il ciclo
lo scegliamo come circonferenza all’interno della sezione, dove abbiamo rappresentato pure i
versori, e così abbiamo

e dato che come abbiamo rappresentato si ha un sistema di riferimento in coordinate polari ci


verrà

Allora la costante è data da questo integrale di linea fatto su una circonferenza concentrica
all’anima del cavo con raggio arbitrario che sia maggiore del raggio dell’anima e minore del raggio
della calza, cioè abbiamo ottenuto

Avendo discusso la scelta della costante ora possiamo far vedere che effettivamente

che è un risultato che abbiamo già sfruttato ma non abbiamo ancora dimostrato.
La potenza in generale si scrive come

Possiamo scrivere i campi trasversi perché siamo in TEM, ma anche se non fossimo in questa
ipotesi si può fare lo stesso perché abbiamo un prodotto scalare per il versore longitudinale e
perciò in ogni caso otteniamo

197
dove abbiamo sfruttato l’ipotesi di modo, poi siamo ad una certa sezione e allora tensione e
corrente sono usciti dall’integrale, il coniugato su si può togliere perché sappiamo che se
abbiamo un modo TEM le sue funzioni vettoriali di modo sono reali, quello che dobbiamo far
vedere è allora che

Per farlo permutiamo e sfruttiamo la relazione tra ed , si ha

siccome poi il prodotto punto è un prodotto scalare essendo entrambi i fattori reali, abbiamo

Possiamo pure capire che se riusciamo a dimostrare quello che vogliamo, e già sappiamo che ci
riusciremo, abbiamo scoperto che non ha norma unitaria e questa è una cosa specifica del TEM.
Continuando andiamoci a calcolare

e per fare questo integrale sfruttiamo la prima identità di Green

dove scegliamo per avere

e il laplaciano è nullo siccome siamo nel caso di modo TEM, per questo otteniamo

Se integriamo sulla sezione otteniamo la relazione integrale che ci permette di scrivere

Ora aiutandoci con la figura vediamo con’è fatta la frontiera perché applicando il teorema della
divergenza possiamo scrivere

e in questo modo ci siamo ricondotti a un’espressione comoda


perché sappiamo quando vale la sulla frontiera dato che in
particolare scegliamo sul conduttore dell’anima e vale
sulla calza, cioè si ha

Dato che è come in figura e abbiamo una circonferenza ci viene

e possiamo dire questa cosa siccome possiamo scegliere qualsiasi circonferenza per calcolare la
costante, per questo abbiamo dimostrato che effettivamente

198
cosa che ci permette di dire

La scelta per la costante è importante pure quando dobbiamo calcolare l’energia elettrica e
magnetica, in particolare nell’ipotesi di modo TEM e di mezzo omogeneo abbiamo che

e sappiamo pure che

per cui verrà

Possiamo fare il calcolo anche per l’energia magnetica, per fare questa cosa allora ci dobbiamo
chiedere quando vale

Abbiamo un prodotto vettoriale tra due vettori reali da fare, per questo verrà pari al modulo di
uno per il modulo dell’altro per il seno dell’angolo compreso, ma quest’angolo compreso è
perché è tutto trasverso e cioè è ortogonale a per cui quello che viene è

A questo punto possiamo calcolare

e cioè viene

Ancora una volta possiamo notare che nel TEM e non sono normalizzati, non hanno cioè
norma unitaria. Guardando com’è fatto il cavo possiamo calcolarci anche la costante quanto
vale andando a risolvere il problema di Laplace, in generale si ha in
coordinate polari che

ma siccome stiamo cercando soluzioni che sono simmetriche per


rotazione rispetto all’asse possiamo supporre che il potenziale non
dipende dall’angolo e sia una , se vediamo che questa è
soluzione, sapendo che la soluzione è unica, sappiamo pure che la
nostra supposizione è giusta: vogliamo fare questa cosa perché in
questo caso l’equazione non sarà più alla derivate parziali ma sarà
un’equazione differenziale ordinaria. In coordinate cartesiane si avrebbe

199
e passando in coordinate polari, nella quale non c’è dipendenza da , si può vedere che è

essendo , altrimenti c’è una singolarità che crea problemi ma trattando con il cavo coassiale
l’origine è esclusa, possiamo semplificare e abbiamo

In particolare possiamo dire pure che in verità

Siccome abbiamo una derivata che si annulla possiamo dire

e ci viene

Dobbiamo forzare il contorno imponendo che sull’anima il potenziale vale 1 e sulla calza 0 perciò si
avrà il seguente sistema per trovare le costanti

Sottraendo membro a membro viene

per cui viene

dove e perciò il logaritmo viene negativo, possiamo allora mettere un segno meno per
invertire numeratore e denominatore e scriviamo

e abbiamo una quantità positiva a denominatore.


Poi ci possiamo trovare anche l’altra costante ma non serve perché siamo interessati a

e perciò andando a derivare questa costante scompare, si avrà in particolare

Avendo ottenuto questo riusciamo a capire pure meglio come sono fatti e nel cavo coassiale
così come li abbiamo visti nella guida d’onda rettangolare perché una
volta ottenuta una delle due funzioni vettoriali di modo possiamo
ricavare l’altra: partendo dal campo elettrico, abbiamo già ricavato la
funzione vettoriale di modo ad esso associata e possiamo vedere che
questo campo è tutto radiale e decade come nel passare dal
conduttore interno a quello esterno.

200
Ricaviamoci poi

e in particolare iniziamo a calcolare la costante sulla circonferenza centrata nell’origine con raggio
tra e , si ha

Avendo trovato il valore della costante possiamo inserirlo anche nelle espressioni per calcolare
l’energia, in particolare invece ci andiamo a calcolare

e abbiamo trovato che il campo magnetico è azimutale, cioè sta messo


come in figura, e questo campo ci ricorda il campo magnetico di un filo di
corrente indefinito così come il campo elettrico ci ricorda quello all’interno
di un capacitore cilindrico, infatti è la stessa cosa.

Equazioni delle linee. Costanti primarie delle linee

Fino ad ora abbiamo parlato di parametri secondari delle linee, vuol dire però che ci sono dei
parametri che sono primari: questi prendono il nome di induttanza per unità di lunghezza e
capacità per unità di lunghezza e si indicano rispettivamente con e ; la capacità è legata al
rapporto carica su tensione, per cui è qualcosa che moltiplicato per la tensione a una certa sezione
ci dà la quantità di carica per unità di lunghezza presente sulle pareti della linea, per quanto
riguarda l’induttanza questa è quel parametro che moltiplicato per la corrente ci deve dare il
flusso dell’induzione: non ci metteremo a far vedere che questa cosa è possibile, ma vedremo
come a partire da un modello semplice della struttura si può parlare di costanti primarie e come
queste sono legate ai parametri secondari.
Se prendiamo un pezzetto di struttura da a lo dobbiamo poter rappresentare con il
doppio bipolo, che è un circuito a parametri concentrati, mostrato in figura, in cui abbiamo un
induttore e una capacità e questo si fa quando prendiamo un tratto di linea corto rispetto
alla lunghezza d’onda, anche se si può far vedere che la cosa vale pure se il tratto non è corto.
Si capisce perché c’è l’effetto capacitivo se vediamo che nella linea si hanno due conduttori e si
può creare quest’effetto, analogamente quando la corrente scorre sul filo e poi torna indietro c’è
una variazione di flusso rispetto al pezzo di linea.
Vediamo facilmente che a partire da questo modello così semplice si ottengono le equazioni dei
telegrafisti, infatti sfruttando le leggi dell’elettrotecnica
abbiamo

201
da cui possiamo scrivere

Facendo il limite otteniamo un comportamento di tensione e corrente coerente, almeno in linea di


principio, e infatti andando al limite per otteniamo

che sono le equazioni delle linee in termini di parametri primari, parametri definibili solamente
quando è possibile parlare di tensione e corrente in senso proprio dato che solo in quel caso
possiamo parlare di capacità e induttanza, perciò si capisce che si possono definire solo nel modo
TEM perché nei modi TE e TM le funzioni scalari di modo non sono vere tensioni e corrente, nel TE
ad esempio è improprio parlare di tensione perché mentre nel caso del cavo coassiale c’era una
tensione tra i conduttori, quando abbiamo una guida d’onda rettangolare non sappiamo dove
possiamo parlare di tensione, se non altro non è detto che il campo elettrico sia
conservativo per cui se cambiamo la curva lungo la quale si calcola la tensione
l’integrale di linea che ci dà la tensione cambia; d’altro canto la corrente che
attraversa la sezione in generale può valere zero, dipende dal modo che si sta
propagando, perché se pensiamo al TE e consideriamo

la circuitazione del campo magnetico è nulla se scegliamo un ciclo con contorno quello della
struttura che è fatto di CEP, poi pure l’integrale doppio del campo elettrico viene nullo perché tra
tutte le superfici di cui e bordo possiamo prendere quella tale per cui il campo elettrico ,
cioè coincide con , e siccome il modo è TE questa componente è nulla: il flusso della
densità di corrente viene nullo e perciò il TE trasporta corrente nulla.
Allora, detto che possiamo definire i parametri primari solo per il modo TEM, partendo dalle
equazioni delle linee otteniamo che

e nel caso del cavo coassiale ci siamo pure calcolati la costante che è

perciò

202
Osserviamo che queste espressioni ci permettono di scrivere

e abbiamo relazioni che ci permettono di ricavare i parametri primari dai secondari e viceversa

I parametri primari sono importanti non solo perché sono stati ricavati prima dei secondari ma
pure perché ci permettono di scrivere l’energia in modo comodo come

e questa espressione è importante perché è in una forma in cui l’integrando è una densità di
energia elettrica media per unità di lunghezza e somiglia all’energia nel capacitore che è

per cui ogni pezzettino per unità di lunghezza è come se fosse l’energia di un capacitore.
Ricordiamoci che c’è e non perché usiamo i valori massimi e non quelli efficaci.
Le stesse considerazioni si possono fare riguardo a

Espansione modale

Dobbiamo chiudere il discorso a proposito dell’espansione modale, in particolare mettiamo un po’


d’ordine nei modi TE e TM e vogliamo mettere tutto insieme perché scriviamo la soluzione
generale a partire dai modi TE, TM e TEM: questi oggetti generano una successione di che sono

dove è il numero di pezzi connessi del contorno perciò abbiamo che TE e TM sono un’infinità
numerabile di modi, mentre per i TEM sono finiti; ci ricordiamo pure come si ottengono gli e in
particolare ci ricordiamo che

203
Il teorema di Helmotz, come anticipato, ci dice che un campo vettoriale è possibile espanderlo in
una componente che sia solenoidale e irrotazionale, una che sia solenoidale ma non irrotazionale
e una che sia irrotazionale ma non solenoidale, perciò possiamo scrivere

dove come sappiamo, la prima è la parte solenoidale e non irrotazionale, la seconda è la


componente irrotazionale ma non solenoidale e la terza somma è la componente solenoidale e
irrotazionale, e questo lo sappiamo perché abbiamo già visto per ogni modo come è fatto ,
ovviamente poi si può fare un’espansione analoga per il campo magnetico e si possono fare
considerazioni analoghe. Notiamo che espandiamo il campo trasverso in una sezione trasversa e
questo perché con le equazioni di Marcuvitz e Schwinger sappiamo che basta ricavare la parte
trasversa, trovata questa si trova la componente longitudinale e dunque abbiamo tutto il campo.
Poi osserviamo pure che gli indici sono diversi per ogni sommatoria perché ognuno corre sui
rispettivi modi, stiamo sommando cioè su tutti i TE, poi su tutti i TM e poi su tutti i TEM.
Dobbiamo dire pure che per ogni modo, se consideriamo il potenziale o , questo è completo in
ma quando si passa per il gradiente si ottengono degli che espandono rispettivamente solo la
parte solenoidale ma non irrotazionale, irrotazionale ma non solenoidale e solenoidale e
irrotazionale per cui le sono complete solamente per determinate parti dell’espansione, non
possiamo usare un solo potenziale per tutti e tre i modi come è stato già spiegato.
Ci poniamo ora il problema di capire come si trovano i coefficienti di espansione, coefficienti che
dobbiamo notare essere le soluzioni delle equazioni dei telegrafisti con parametri secondari che
cambiano da modo a modo, e perciò pure i coefficienti cambiano da modo a modo, inoltre questi
contengono la variazione del campo con il variare della sezione: per calcolare questi coefficienti
dobbiamo chiudere il problema elettromagnetico, cioè per ora abbiamo una soluzione che è
indeterminata e allora dobbiamo dare le informazioni mancanti sulle due basi della guida che si
considera, poi sulla superficie laterale sappiamo che l’informazione è che il campo ha componente
tangente nulla e questa informazione non ci serve avendola già sfruttata.
Potremmo dire che dobbiamo associare una condizione di tipo impedenza, però lasciamo stare
questo e riferiamoci al teorema di unicità per cui diciamo che dobbiamo dare le condizioni al
contorno, cioè dobbiamo dare la componente tangente del campo elettrico

e a partire da queste ci costruiamo i coefficienti di espansione perché


questa informazione per ogni modo ci permette di calcolare quello che
ci serve; inoltre diciamo che siccome stiamo facendo un’espansione è
come se avessimo la serie di Fourier, dato che abbiamo delle funzioni di
base che sono ortonormali i coefficienti si trovano andando a fare il
prodotto scalare, nello spazio dove stanno le funzioni di base, tra la componente trasversa del
campo e la funzione di base, cioè noi in generale otteniamo per ogni modo

allora dando due informazioni, quella in e in , stiamo dando le tensioni e possiamo scrivere

204
poi da questo sistema lineare ci andiamo a ricavare e : per
poter fare questa cosa però come detto noi facciamo il prodotto
scalare tra la e la funzione di base che deve essere ortonormale,
il problema è che non sappiamo se queste sono ortonormali: per il
modo TE e TM andremo a vedere a breve se gli hanno norma
unitaria, e poi specifichiamo in che spazio, ma già capiamo che per il TEM la cosa non funziona
perché abbiamo visto che in quel caso la norma non è unitaria e perciò dobbiamo ricordarci di
scalare opportunamente.
Ragioniamo in ogni caso solo sui TE e sui TM e ricordiamoci che se abbiamo due campi vettoriali,
quando diciamo che stiamo facendo il prodotto scalare dobbiamo considerare la quantità

e da questo capiamo subito come si calcola la norma, cosa che già sappiamo perché l’abbiamo
usata nel TEM in modo intuitivo, in particolare nel caso del modo TE possiamo fare

e passiamo a perché nel TE è questo che si può scrivere come gradiente del potenziale in guida,
inoltre ci ricordiamo che questa funzione di modo si può scegliere reale, e allora possiamo fare il
prodotto vettoriale come modulo del primo per modulo del secondo per il seno dell’angolo
compreso, seno che è unitario in questo caso e perciò abbiamo

Vediamo pure che la norma delle funzioni vettoriali di modo vengono uguali perché la costante è
stata scelta come ; per risolvere l’integrale usiamo l’identità di Green con

per questo si ha

e questa quantità è unitaria perché abbiamo normalizzato le e vediamo allora come la scelta di
fare in modo che le costituiscano un sistema di funzioni ortonormali è molto vantaggiosa e ci
permette di avere funzioni vettoriali di modo normalizzate, anzi un’altra scelta intelligente che è
stata fatta a suo tempo è quella di dividere per , scelta che per noi era senza senso dato che le
costanti si semplificavano appena si sostituiva questa cosa nelle equazioni.
Il fatto che la norma ci viene unitaria ci aiuta pure quando calcoliamo l’energia perché nel caso del
TEM compare un ma nel caso del TE e TM compare e avremo un calcolo più facile da fare.
Vediamo il caso TM che è la stessa cosa

dove abbiamo applicato ancora una volta la prima identità di Green con ; il calcolo si
può fare anche per l’altra funzione vettoriale di modo e sarà

205
per ragioni analoghe a prima, questo vale infatti perché si può scegliere reale e allora il prodotto
vettoriale dà il risultato scritto; possiamo fare le stesse considerazioni di prima e perciò capiamo
anche qua quanto è stato conveniente ortonormalizzare le e dividere per .
Fino ad ora abbiamo visto che gli e gli nei modi TE e TM sono normali, cioè hanno norma
unitaria, ora dobbiamo far vedere che sono ortogonali così abbiamo un sistema di funzioni
ortonormali, solo il caso TEM si tratta a parte siccome dà un po’ di problemi, perciò pensiamo ad
esempio di stare in guida rettangolare e i TEM non li abbiamo proprio. Quello che dovremmo far
vedere è in pratica che sono ortogonali due modi diversi che siano TE, TM o TEM oppure anche un
TE e un TM, un TM e un TEM o un TE e un TEM: noi faremo vedere solamente il caso in cui un TE
va in prodotto scalare con un altro TE diverso, poi un TM va in prodotto scalare con un altro TM e
infine il caso in cui un TE va in prodotto scalare con un TM e qua non c’è bisogno di specificare che
sono diversi perché è ovvio che sono diversi essendo due modi di tipo diverso.
Facciamo vedere il caso TM – TM e ci chiediamo se

La quantità a primo membro la scriviamo come

e abbiamo tolto il coniugato perché sappiamo che si può scegliere reale. Facendo i conti si ha

e applichiamo l’identità di Green così da avere

a partire da questa integriamo, al primo membro usiamo il teorema della divergenza e otteniamo

L’integrale a primo membro è nullo perché nel TM sulla frontiera il potenziale in guida è nullo, poi
si annulla pure

perché le sono ortogonali, ne concludiamo che

e quindi

Analogamente facciamo il caso TE – TE e dobbiamo mostrare la stessa cosa per cui scriviamo

con si intende; dobbiamo però passare su perché nel TE è questo che è scritto in termini
di potenziale, allora facciamo così

206
Passiamo ai potenziali e poi dobbiamo sfruttare sempre l’identità di Green

Abbiamo scritto direttamente il risultato perché i passaggi sono proprio gli stessi di prima, si può
verificare cosa viene per esercizio.
In conclusione facciamo vedere che sono ortogonali un modo TE con un modo TM, cioè

dove non si specifica perché dobbiamo ricordarci che il primo è TE e il secondo è TM:
dobbiamo allora vedere se

dove non mettiamo il coniugato sempre perché si possono scegliere reali le , poi dobbiamo
scrivere in termini di perché questo è un TE, mentre l’altro non si deve cambiare, allora si ha

poi passiamo ai potenziali per avere

Ora non si può usare l’identità di Green, dobbiamo usare invece un’identità che abbiamo già visto

e ci conviene permutare l’integrando per avere

cosicché se poniamo

abbiamo

Sappiamo che il gradiente è irrotazionale, si può verificare facilmente facendo i conti con gli
operatori scritta in forma cartesiana, allora abbiamo

così nel nostro integrale otteniamo

Nell’ultimo integrale applichiamo il teorema di Stokes e viene

Questo viene zero perché la , essendo associata a un TM, sulla frontiera è nulla e perciò viene

Tornando all’espansione modale osserviamo che in questo contesto la soluzione potrebbe non
essere unica perché il problema è interiore e passare per il teorema di unicità per dimostrare la
completezza dei modi non conviene, funzionerebbe se ci fossero delle perdite ma in assenza di
207
perdite ci possono essere le soluzioni risonanti e perciò la questione non funziona proprio: se si
vuole vedere che siamo in condizioni di risonanza dobbiamo guardare al sistema

e il determinante di questo sistema può essere nullo per cui il sistema diventa indeterminato, in
quel caso allora la soluzione non è unica, e questo ci dice che la struttura sta risuonando. In realtà
si potrebbe far vedere che i modi funzionano pure quando la struttura sta risuonando ma non lo
faremo vedere, l’importante è saperlo.
Tutto il discorso si può ripetere sul campo magnetico in modo identico, fatto questo possiamo
andare ad affrontare il problema del calcolo della potenza perché per ora l’abbiamo vista nel caso
del modo TEM, ora vogliamo vedere come si scrive quando abbiamo tutti i modi insieme e allora
consideriamo

e possiamo scrivere ancora la somma perché l’unione di infinità numerabili è ancora numerabile,
per questo non è che dobbiamo mettere un integrale e questa scrittura è lecita.
I campi trasversi ci bastano perché la potenza complessa è

e in questa espressione possiamo mettere la sommatoria

Le somme si possono portare fuori per cui si ha

Come sempre abbiamo tolto il coniugato sulla perché sappiamo che si può scegliere reale, poi
quello che ci interessa ora è vedere quanto viene l’integrale e dimostreremo che

cioè è pari alla delta di Kronecker: si dice che c’è ortogonalità in potenza e grazie a questo
possiamo scrivere

Questo ci dice che pure per i TE e i TM la potenza si scrive nel caso di un solo modo come

se invece abbiamo più modi dobbiamo semplicemente sommare.


Faremo vedere che viene la delta sempre nei tre casi in cui abbiamo analizzato pure l’ortogonalità
dei modi, iniziamo con il caso TE – TM perché in questo caso, siccome i modi sono sempre diversi,
deve venire

208
non può esserci un caso in cui l’integrale viene unitario perché

significa che l’integrale viene 1 quando i modi sono uguali e viene 0 quando i modi sono diversi,
qua i modi sono sempre diversi: è facile vedere che questa quantità è sempre nulla perché basta
notare che

e cioè abbiamo sfruttato la dimostrazione fatta prima quando abbiamo fatto vedere che un modo
TE e uno TM sono ortogonali.
Poi facciamo il caso TE – TE

e questo viene perché abbiamo visto che

e abbiamo sfruttato sia il risultato di prima sull’ortogonalità di modi diversi, sia il fatto che la
norma di nei TE è unitaria, cosa che abbiamo visto già.
Infine facciamo vedere il caso TM – TM

e qui si fa lo stesso discorso di prima, sappiamo che se viene la norma quadra di e nel
modo TM questa è unitaria, se i modi sono diversi questa quantità è nulla come abbiamo fatto
vedere poco fa.

Perdite nelle guide. Costante di attenuazione

Abbiamo già accennato al fatto che se abbiamo perdite nel materiale l’espansione modale
funziona lo stesso, ci dobbiamo ricordare solo che e diventano complesse e perciò anche altre
grandezze come l’impedenza caratteristica diventano complesse, inoltre si può notare che non c’è
più una transizione brusca tra propagazione e cut-off dato che la è sempre complessa essendo

con che ora è complesso per cui non si fa più distinzione tra radicando positivo e negativo,
dunque non c’è una frequenza di taglio: ovviamente se le perdite sono piccole vediamo un
comportamento che assomiglia a quello che abbiamo visto nel caso ideale di assenza di perdite.
Per il resto le equazioni funzionano lo stesso perché quando abbiamo risolto il problema agli
autovalori ci interessava solo la geometria della sezione, non ci importava del mezzo, però se ci
sono perdite nel conduttore, cosa che c’è sempre, la soluzione si complica perché le soluzioni così

209
come le abbiamo trovate non sono soluzione delle equazioni di Maxwell e abbiamo pure fatto
vedere che in realtà non esiste proprio il modo TEM.
Come detto prima o riscriviamo tutto da capo, e il problema dal punto di vista matematico si
complica, o come classicamente si fa in fisica matematica sfruttiamo un approccio perturbativo:
l’idea è quella di mettere un buon conduttore per il quale l’approssimazione di conduttore
elettrico perfetto è buona, questo vuol dire che la distribuzione di campo assomiglia molto a
quella dei modi che abbiamo visto, solo che tutto si può fare tranne che trascurare l’attenuazione
lungo ; in questo modo dunque la struttura dei modi rimane la stessa e facciamo sempre il
discorso che sopra la frequenza di taglio i modi si propagano e sotto no anche se non è più vero,
ma almeno la costante di propagazione la dobbiamo perturbare e abbiamo già visto che si scrive

inoltre ci siamo pure ricavati il coefficiente di attenuazione

Se consideriamo il campo ideale l’integrale a numeratore viene nullo e ritroviamo che nel caso
ideale ci deve essere un coefficiente di attenuazione nullo, cioè ritorniamo nel caso senza perdite,
a denominatore poi abbiamo la potenza che fluisce all’interno della guida attraverso la sezione, e
questa ce la scriviamo comunque come campo imperturbato perché il campo rimane
imperturbato eccetto che per la componente tangente del campo elettrico sulla frontiera del
volume, se perturbassimo anche questa componente non riusciremmo a stimare la potenza che
entra, cioè quella che si dissipa all’interno del conduttore.
Se prendiamo solo l’onda progressiva abbiamo

dove è la corrente sulla struttura immaginata ideale: allora a denominatore possiamo mettere
questo, è a numeratore che non possiamo mettere il campo imperturbato e ci serve la
componente tangente di campo elettrico per stimare il coefficiente di attenuazione.
Con queste considerazioni riscriviamo

e ci viene in soccorso ora la condizione di Leontovic che ci consente di ottenere la perturbazione


sulla componente tangente di campo elettrico.
La condizione di Leontovic dice che se siamo su un buon conduttore

dove

sappiamo che si chiama spessore di penetrazione, inoltre capiamo pure che quando la
va a zero e cioè come sappiamo la componente tangente di campo elettrico è nulla quando
abbiamo un conduttore elettrico perfetto. Il problema è che ora non abbiamo un conduttore
elettrico perfetto però facciamo vedere che per calcolare un’approssimazione della componente

210
tangente del campo elettrico possiamo considerare un campo magnetico ideale: dobbiamo
immaginare che siamo vicini ad avere un conduttore elettrico perfetto, ragionando allora in
termini di delta significa che , quando è proprio nullo abbiamo il campo imperturbato

quando invece comincia a diventare non nullo ci viene l’idea di scrivere il campo magnetico in
serie di Taylor, o meglio di Mac-Laurin, come

e capiamo che è questo il motivo per cui si ragiona in e non in , nel secondo caso ci dovremmo
mettere in un intorno dell’infinito e non potremmo fare dunque l’espansione in serie; abbiamo
allora un

che non solo varia con le coordinate spaziali ma anche con al variare del materiale, per questo lo
possiamo sviluppare in serie di e poi noi siamo vicini al conduttore elettrico perfetto per cui la
è piccola e lo sviluppo è buono.
Per il campo elettrico, o meglio il pezzo tangente del campo elettrico, scriviamo

ma la componente tangente quando è nulla perché quello è il caso di conduttore elettrico


perfetto e cioè in realtà abbiamo

Perciò lo sviluppo della componente tangente di campo elettrico parte direttamente dal primo
ordine: l’approccio perturbativo ci dice che serve solo il termine di primo ordine.
Consideriamoci allora e vediamo come va in termini di , si capisce che

e cioè è lineare in : questo ci interessa perché se andiamo a sfruttare la condizione di Leontovic


abbiamo che la componente tangente al primo ordine del campo elettrico si ricava dal termine di
ordine zero del campo magnetico, cioè dal campo magnetico imperturbato come avevamo detto.
Dobbiamo vedere che succede alla potenza che entra nel conduttore, consideriamo allora una
superficie con normale entrante nel conduttore altrimenti la condizione di Leontovic è sbagliata
perché staremmo dicendo che il conduttore fa uscire potenza dal nulla, facendo questo si ha

dove abbiamo messo solo il campo elettrico tangente alla superficie a causa del prodotto misto,
potremmo mettere anche il campo magnetico tangente ma non ci interessa, inoltre notiamo che
la superficie sulla quale integriamo l’abbiamo chiamata e non per non confonderla con la
sezione della guida: da questa espressione possiamo vedere subito l’ordine per la potenza attiva
che entra all’interno del conduttore perché basta sostituire le espressioni in serie dei campi

Andando a fare i prodotti escono vari termini, di tutti ci interessa solo quello lineare in e allora
per stimare la potenza ci serve il campo magnetico imperturbato e il campo elettrico perturbato al

211
primo ordine: siccome il campo elettrico al primo ordine si calcola in termini di campo magnetico
imperturbato nel complesso la potenza si calcola dal campo magnetico imperturbato e abbiamo

Da questa espressione, siccome

abbiamo trovato che

A questo punto possiamo pure dire che nel calcolo del coefficiente di attenuazione, nell’integrale
di linea a numeratore possiamo mettere solo il campo magnetico imperturbato e sarà

e questo coefficiente lo possiamo calcolare perché sappiamo com’è fatto il campo magnetico
imperturbato essendocelo ricavato a suo tempo.
Vediamo ora com’è fatto il coefficiente di attenuazione nel caso di modi TE e TM, iniziamo con il
TM perché è più facile dato che, dovendoci mettere il campo magnetico imperturbato, abbiamo
un campo magnetico tutto trasverso nell’espressione del coefficiente ; dobbiamo considerare

poi è il versore normale alla superficie laterale della guida perché il flusso l’abbiamo fatto
attraverso la superficie laterale: allora abbiamo

In questa espressione se ne va l’eccitazione, cioè la corrente si semplifica, poi essendo un TM il


potenziale lo conosciamo su e dunque quello che resta lo scriviamo come

Notiamo che il coefficiente di attenuazione dipende dalla frequenza perché questa compare in
con una radice e poi in dove supponiamo che il mezzo sia non dispersivo per cui non sta in ma
solo nell’espressione così come l’abbiamo scritta prima: l’attenuazione allora varia con la
frequenza e ci sono certe frequenze per cui il coefficiente di attenuazione è più piccolo per cui è
più vantaggioso lavorare a quelle frequenze.
Continuando applichiamo la formula del doppio prodotto vettoriale e abbiamo

212
e siccome i due versori che compaiono sono ortogonali perché la normale è tutta trasversa, la
prima parentesi si annulla e concludiamo che

Il modulo quadro di un versore sappiamo che è unitario, poi scriviamo

e allora abbiamo

Da questa espressione del coefficiente di attenuazione, che ci permette di calcolarlo perché ci


sono tutti termini che sappiamo quanto valgono, ci vogliamo ricavare l’andamento con la
frequenza, allora per farlo esplicitiamo tutti i termini che dipendono da ricordandoci che stiamo
supponendo i mezzi non dispersivi e dunque permittività e permeabilità sono indipendenti dalla
frequenza, si ha

Quello che si fa normalmente è normalizzare tutto alla frequenza di taglio prima di tutto facendo

e poi negli altri pezzi si moltiplica e divide opportunamente per la per ottenere

Ottenuta questa espressione si può tracciare un diagramma


perché ci interessa andare a metterci nel punto in cui il
coefficiente di attenuazione è minimo e dal diagramma si vede
subito che questo succede quando

cosa che si può verificare studiando la funzione

Dobbiamo notare che nel diagramma è presente una stranezza perché abbiamo che quando la
pulsazione diventa quella di taglio, cioè quando

il coefficiente di attenuazione diverge: il motivo per cui succede questa cosa, che è strana perché
non c’è nessun motivo per cui il coefficiente di attenuazione debba divergere, è che avvicinandosi
213
alla frequenza di taglio fallisce l’approccio perturbativo che stiamo usando per studiare il caso
delle perdite. Notiamo inoltre che il diagramma l’abbiamo tracciato solo per e questo
perché ci interessa solo quello che succede in propagazione.
Passiamo ora al caso TE e facciamo dei calcoli analoghi per trovarci un’espressione del coefficiente
di attenuazione, in questo caso si avrà

ma questa volta il campo magnetico non è tutto trasverso, si ha invece

Per scrivere la componente longitudinale del campo magnetico dobbiamo usare le equazioni di
Marcuvitz e Schwinger e abbiamo già trovato che

Facendo questo abbiamo ottenuto un’espressione di campo magnetico in termini di che è quello
che ci serve perché nel caso TE sappiamo che è questo a essere scritto in termini di potenziale

Allora abbiamo che il coefficiente di attenuazione si scrive come

e dobbiamo fare il modulo quadro.


È opportuno fare un richiamo sul calcolo dei moduli: il modulo quadro di un numero complesso è

Se invece abbiamo un vettore complesso allora si ha

Se il vettore complesso è del tipo

quello che si fa è

Solo se i due vettori in cui si scompone sono ortogonali possiamo dire che il modulo della
somma è la somma dei moduli, e cioè

Attenzione a non confondere come stanno messe tra loro le fasi delle componenti di un vettore
complesso con la posizione reciproca delle componenti, ad esempio

ma se scriviamo

dobbiamo chiederci come stanno messi tra loro i versori, non c’entra niente che parte reale e
immaginaria stanno in quadratura.

214
Tornando a noi allora dobbiamo fare il modulo quadro e siccome nel modulo c’è la somma di due
vettori che sono tra loro ortogonali perché

abbiamo

dove

perché questi sono due vettori reali tra loro ortogonali, allora abbiamo

In questa espressione prima di tutto ci scriviamo la tensione in termini della corrente perché così
può scomparire l’eccitazione, cioè scriviamo

dove l’impedenza è reale perché siamo in propagazione e sappiamo che essendo

siccome stiamo sempre trattando mezzi senza perdite, non c’è parte immaginaria in e , poi il
sappiamo essere reale in propagazione e immaginario puro in cut-off.
Oltre a questo scriviamo pure

e in conclusione abbiamo

Lavoriamo poi sull’altro pezzo in parentesi quadre, qui compare

che a meno di una rotazione di 90° è la componente tangente di , questa la scriviamo come

Con queste considerazioni possiamo scrivere

In particolare in questa espressione possiamo vedere che

e a partire da questa espressione possiamo studiare l’andamento con la frequenza: per farlo
innanzitutto vediamo il termine davanti alla parentesi come va con la frequenza

215
Andando a tracciare il diagramma in questo caso si vede che al
crescere della pulsazione questa quantità diverge, quando siamo
nella pulsazione di taglio la quantità di annulla.
Ora dobbiamo analizzare i termini in parentesi e iniziamo da

dove non consideriamo avanti perché questo sicuramente non dipende dalla frequenza:
riguardo a questo termine dobbiamo dire che spesso potrebbe non esserci quando non c’è una
dipendenza di da e questo succede nel caso di modi, che però non sono i fondamentali, ad
esempio in guida d’onda circolare; c’è anche da dire che se c’è una deformazione nella struttura
avviene che si accendono tutti i modi, cioè se abbiamo che si sta propagando ad esempio solo il
modo fondamentale, per compensare l’asimmetria della struttura si accendono tutti i modi che
poi dopo un po’ vanno in cut-off: a proposito di questo dobbiamo dire dopo quanto i modi vanno
in cut-off, pensiamo alla guida rettangolare e sotto la frequenza di taglio abbiamo

quantità che è nel nostro ragionamento e questo è vero perché sotto la


frequenza diventa trascurabile. Sappiamo poi che

e allora possiamo concludere che va con l’inverso delle dimensioni trasverse di , siccome la
costante di tempo nell’attenuazione è perché l’esponenziale è

possiamo dire che il modo in cut-off “muore” dopo qualche costante di tempo, cioè dopo qualche
e quindi dopo qualche dimensione trasversa di .
Fatta questa considerazione allora nell’espressione di prima dipendono dalla frequenza solamente

perché trascuriamo il primo addendo nella parentesi e nell’integrale non c’è niente che dipende
dalla frequenza: allora abbiamo

Da questa espressione si vede che andando alla pulsazione di taglio abbiamo una quantità che
diverge mentre quando questa quantità tende ad annullarsi e perciò abbiamo il
diagramma come mostrato in figura dove compare la solita
stranezza riguardo alla divergenza della costante di
attenuazione quando ci avviciniamo alla pulsazione di taglio
sempre causata dall’errore che commettiamo con questo
approccio perturbativo.

216
Radiazione ed elementi di antenne
Potenziali elettrodinamici

Fino ad ora abbiamo parlato della propagazione guidata, dobbiamo capire invece come il campo
elettromagnetico si propaga senza il supporto di una struttura che lo guida, cioè dobbiamo
studiare la propagazione libera e dunque iniziamo a parlare della radiazione.
Il vantaggio della propagazione libera è quello di poter lanciare il campo nell’etere (anche se
sappiamo che non c’è l’etere ma è rimasto questo antico retaggio) e questo si muove senza essere
guidato: dobbiamo allora capire che succede quando il campo si propaga in questo modo, poi
dobbiamo capire quali sono gli strumenti per passare da una struttura guidante alla propagazione
libera e dalla propagazione libera alla propagazione guidata.
Lo schema generale è quello in figura, c’è una linea di trasmissione che porta il campo a un
oggetto trasmettitore che invia il segnale,
dopodiché il ricevitore ha un altro dispositivo
che cattura le onde e manda di nuovo il campo
nella linea di trasmissione: questo dispositivo
che permette di passare da propagazione libera
a guidata e viceversa prende il nome di
antenna e può essere usata sia in ricezione che in trasmissione.
Se vogliamo produrre un campo elettromagnetico si capisce che dobbiamo avere delle sorgenti, e
cioè, cominciando a guardare in trasmissione, dobbiamo avere delle densità di corrente e di
cariche che generano e irradiano il campo: scopriremo in realtà che bastano le densità di corrente,
e per far scorrere le correnti la cosa più semplice che viene in mente è utilizzare un supporto
metallico. In ricezione poi vedremo com’è fatto questo oggetto che sarà in grado di catturare le
onde che arrivano.
Per prima cosa allora dobbiamo calcolare il campo prodotto dalle sorgenti: cominciamo dal
problema astratto, prendiamo una distribuzione di correnti in un dominio limitato dello spazio
perché nella pratica si capisce che è inutile prenderle in un dominio illimitato, e questa densità di
corrente la indichiamo con ; non scriviamo perché in verità le correnti indotte possono essere a
loro volta sorgenti del campo, dunque non è detto che il campo possa essere generato solo dalle
correnti impresse, nel nostro caso infatti c’è un generatore che induce delle correnti sull’antenna,
comunque questa sia fatta, e a loro volta queste correnti sono sorgenti del campo irradiato.
Questo fatto che indichiamo le sorgenti del campo come correnti indotte è legato alla procedura
che si usa per risolvere il problema elettromagnetico in questa situazione: prima si calcolano quali
sono le sorgenti indotte dal generatore e poi si calcola il campo che queste irradiano, perciò si
scrive in questo modo. Per capire allora se un certa densità di corrente è nota o meno dovremo
capire il contesto in cui stiamo, dal nostro punto di vista le sono note se dobbiamo vedere che
campo irradiano.
Le sorgenti per noi saranno immerse in un mezzo normale, poi preciseremo delle questioni, e
aggiungeremo pure l’omogeneità nello spazio: in una situazione del genere diciamo che stiamo
irradiando in spazio libero, cioè non ci sono ostacoli perché gli ostacoli sono le disomogeneità dello

217
spazio; nella pratica non stiamo ovviamente quasi mai in spazio libero, però dobbiamo procedere
per gradi e iniziamo da questo caso semplice.
Per affrontare questo problema si parte in ogni caso dalle equazioni di Maxwell

Abbiamo otto equazioni, poi in realtà sappiamo che sfruttando che il rotore è indivergente può
bastare scrivere le prime due dato che e perciò sarebbero sei equazioni in sei incognite: al
solito si cercano di manipolare le equazioni per ridurre le incognite, come ad esempio abbiamo
fatto in guida d’onda e siamo arrivati a uno scalare per modo, perché ogni modo è dato da un
potenziale che è un campo scalare.
Anche in questo caso si introducono i potenziali, che sono di natura diversa da quelli visti fin ora,
perché ci sono potenziali vettori oltre che potenziali scalari: iniziamo da

e se riusciamo a scrivere come il rotore di qualcosa capiamo che l’equazione è soddisfatta


immediatamente perché il rotore è indivergente, scriviamo allora

dove è un potenziale vettore.


Fin ora noi abbiamo visto che se abbiamo un campo conservativo lo possiamo ricavare da un
potenziale scalare monodromo, se il campo è solo irrotazionale non funziona questa cosa; nel
nostro caso invece, noi vogliamo ricavare un campo indivergente da un potenziale vettore:
sappiamo che se il campo lo scriviamo come rotore questo è pure indivergente, ma non sappiamo
chi ci assicura che un qualsiasi campo indivergente si può scrivere come il rotore di qualcosa;
questa è la stessa cosa che succede quando abbiamo un campo irrotazionale e non è detto che lo
possiamo scrivere come gradiente di un potenziale, il problema è vedere se è conservativo, allora
anche in questo caso si introduce un concetto analogo alla conservatività che è il concetto di
campo a flusso conservativo: un campo si dice a flusso conservativo quando, comunque si
consideri una superficie chiusa all’interno del dominio di interesse, il flusso del campo vettoriale su
questa superficie è nullo, cioè

Si chiama campo a flusso conservativo perché supponendo di prendere una superficie chiusa
orientata che racchiude un volume la possiamo suddividere in due parti e che sono due
superfici aperte che insistono sullo stesso bordo, se il campo è a flusso conservativo comunque
consideriamo questa superficie all’interno del nostro volume l’integrale di flusso è nullo e dato che

se portiamo uno dei due integrali a secondo membro abbiamo un che punto per punto è
l’opposto e che chiameremo per poter scrivere

218
cioè il flusso che attraversa un pezzo della superficie è uguale e opposto al flusso che sta
attraversando l’altro pezzo di superficie, che è come dire che il flusso si sta conservando; questo
ovviamente si può fare comunque si prende la superficie nel dominio che racchiuderà il volume.
Si può dimostrare che

così come quando il campo è conservativo esiste un tale che il suo gradiente ci dà il campo, per
cui ad un campo conservativo si associa un potenziale scalare, a un campo a flusso conservativo si
associa un potenziale vettore.
Dobbiamo capire se nel nostro caso abbiamo un campo a flusso conservativo perché noi sappiamo
che è solenoidale e basta, possiamo dire che questo campo solenoidale è pure a flusso
conservativo quando abbiamo in aggiunta una proprietà topologica del dominio considerato e
questa proprietà è la connessione superficiale semplice: il problema infatti è che noi vogliamo far
diventare il flusso un integrale di volume applicando il teorema della divergenza, cioè vogliamo

ed è ovvio che se in questo volume la divergenza è nulla, nel momento in cui l’ultima uguaglianza è
valida, ci viene anche che è a flusso conservativo; il problema però è che, anche se la superficie
chiusa sulla quale facciamo il flusso sta nel dominio considerato, non è detto che il volume da esso
racchiusa sta tutto nel dominio, perciò noi sappiamo che la divergenza è nulla nel dominio ma
nelle parti che non stanno nel nostro dominio non sappiamo niente: il dominio deve consentire
allora che, comunque consideriamo la superficie, il volume di cui la superficie è frontiera sta tutto
nel dominio e perciò la proprietà di connessione superficiale semplice si enuncia in questo modo:
comunque consideriamo una superficie chiusa all’interno del dominio di interesse la si può
deformare con continuità riducendola a un punto senza mai uscire dal dominio. Quando la
superficie la deformiamo per trasformarla in un punto è ovvio che stiamo spazzando un volume.
Allora l’indivergenza e il dominio a connessione superficiale semplice implicano che il campo
considerato è a flusso conservativo e lo possiamo scrivere come il rotore di qualcosa.
Il dominio in cui dobbiamo risolvere il problema è perché è tutto lo spazio, perciò è
sicuramente un dominio a connessione superficiale semplice per cui, mettendo questo insieme a

possiamo sicuramente scrivere il campo magnetico come rotore di un potenziale vettore.


Notiamo una cosa, di solito un campo a divergenza nulla si dice anche solenoidale, infatti questo è
un nome che abbiamo già usato, solenoidale però potrebbe talvolta indicare anche un campo a
flusso conservativo e perciò per evitare questa ambiguità, laddove ci potrebbe essere, diremo
“indivergente” e “a flusso conservativo”, il nome solenoidale non lo usiamo.
Tornando a noi, siamo arrivati a dire che possiamo scrivere

e per questo la quarta equazione di Maxwell è automaticamente soddisfatta, poi inseriamo questo
risultato nella prima equazione di Maxwell perché man mano dobbiamo arrivare a un nuovo
sistema di equazioni che contiene le stesse informazioni del sistema di partenza e allora abbiamo

219
da cui otteniamo

Il campo vettoriale in parentesi è irrotazionale, siccome il nostro dominio è pure a connessione


lineare semplice possiamo dire che quel vettore è un campo conservativo e lo possiamo scrivere
come gradiente di un potenziale scalare monodromo

e con questo anche la prima equazione di Maxwell è soddisfatta, poi il campo elettrico lo si ottiene
facilmente facendo

e siamo riusciti così a passare da un problema in cui ci sono sei incognite, cioè le tre componenti
del campo elettrico e le tre del campo magnetico, a un problema in cui ci sono quattro incognite
che sono le tre componente del potenziale vettore e il potenziale scalare.
Però, anche se siamo riusciti a scriverci i campi in funzione di questi potenziali, non sappiamo
ancora quali equazioni devono soddisfare questi e e perciò dobbiamo sfruttare le altre due
equazioni di Maxwell rimaste per trovare le informazioni che ci servono:

e sfruttando l’ipotesi di omogeneità fatta possiamo scrivere

dove abbiamo

e poi dobbiamo usare la definizione di laplaciano vettore: il laplaciano vettore si può indicare con

cioè come il laplaciano scalare perché tanto si capisce che stiamo considerando uno piuttosto che
l’altro guardando l’oggetto a cui è applicato, però per non confonderci scriveremo

e questo perché il laplaciano vettore che ora definiamo per bene è sostanzialmente diverso dal
laplaciano scalare che è la divergenza del gradiente; il laplaciano vettore è

Il nome laplaciano vettore deriva dal fatto che se consideriamo un campo espresso in coordinate
cartesiane, e solo cartesiane possono essere, come

si ha che

e cioè si può dimostrare che il laplaciano vettore di un campo vettoriale espresso in coordinate
cartesiane è un campo vettoriale le cui componenti sono date dal laplaciano scalare del campo
vettoriale di partenza.
Sfruttando questo operatore allora possiamo scrivere

e perciò nella nostra equazione otteniamo

220
che scritta un po’ meglio è

dove abbiamo sfruttato la linearità del gradiente e l’omogeneità del mezzo per scrivere la
parentesi in quel modo. Scriviamo l’equazione in questa forma non solo perché il laplaciano
vettore con le coordinate cartesiane è semplice da fare ma anche perché compare qualcosa che
somiglia all’equazione di Helmotz, che è un tipo di equazione differenziale a cui abbiamo già
accennato e che può essere sia scalare nella forma

ed è quella che abbiamo già visto parlando di guide d’onda, e poi c’è quella vettoriale nella forma

Notiamo due cose, la prima è che e sono termini noti rispettivamente delle due equazioni,
inoltre abbiamo già detto quando abbiamo parlato delle guide d’onda che in quel caso non veniva
proprio l’equazione di Helmotz scalare perché il là era un autovalore del problema e dunque
avevamo un problema agli autovalori non un problema di Helmotz, nelle equazioni di Helmotz
invece è anche questa una quantità nota. Queste equazioni di Helmotz sono importanti perché
sono un tipo di equazioni differenziali che si possono risolvere.
Nell’equazione che stiamo analizzando abbiamo una quantità nota che è

mentre l’altro termine contiene i potenziali che sono incogniti e allora non è venuta un’equazione
di Helmotz, dovremmo cercare di toglierci quel termine che ci dà fastidio per farla venire.
Abbiamo usato anche la seconda equazione di Maxwell e siamo arrivati a tre equazioni scalari per i
potenziali perché ne abbiamo trovata una vettoriale, ce ne serve un’altra e perciò sfruttiamo la
terza equazione di Maxwell, andando a sostituire si ha

e sfruttando l’omogeneità del mezzo possiamo scrivere

dove abbiamo sfruttato pure la linearità della divergenza; se in questa equazione non ci fosse il
termine

avremmo un’equazione di Poisson (non di Laplace perché c’è un termine noto non nullo), e
l’equazione di Poisson è quella che si ottiene in elettrostatica dove abbiamo un campo che è
conservativo che scriviamo come gradiente di un potenziale; qua non siamo nel caso
elettrostatico, infatti abbiamo quel termine che non scompare in generale, scompare se la
pulsazione è nulla e in quel caso siamo in statica.
Quello che possiamo ottenere dall’equazione ora ricavata è un’equazione di Helmotz scalare
perché basta aggiungere a primo e secondo membro una stessa quantità e aggiustare per avere

dove e perciò possiamo scrivere tutto come

221
così da ottenere un’equazione del tutto simmetrica a quella vettoriale ottenuta prima: come nel
caso precedente questa somiglia ad un’equazione di Helmotz ma non lo è perché abbiamo sempre
i potenziali incogniti al secondo membro, nell’equazione di Helmotz invece ci deve essere un
termine noto al secondo membro.
Riassumendo, avendo sfruttato anche le rimanenti equazioni di Maxwell abbiamo trovato:

e da queste equazioni si ricavano i potenziali che ci permettono di scrivere i campi, abbiamo perciò
ridotto il numero di incognite da sei a quattro come avevamo detto.
Le equazioni sarebbero facilmente risolvibili se la parentesi che compare in entrambe fosse nulla,
in generale questo non è vero però possiamo sfruttare il fatto che i potenziali non sono
univocamente determinati e questa libertà potrebbe essere utile per eliminare la parentesi:
facendo questa cosa le equazioni sono anche apparentemente disaccoppiate perché la prima
equazione, che è vettoriale, contiene solo il potenziale vettore come incognita, la seconda
equazione contiene invece solo il potenziale scalare, e questo è un altro vantaggio.
Però abbiamo detto che le equazioni sono “apparentemente disaccoppiate” perché

e cioè possiamo risolvere solo la prima equazione e poi ci calcoliamo il potenziale scalare
direttamente: se possiamo fare così arriviamo a una sola equazione vettoriale di Helmotz e
abbiamo dunque tre equazioni in tre incognite.
Per togliere la parentesi andiamo a ricalibrare i potenziali perché non essendo definiti
univocamente possiamo aggiustarceli come vogliamo: il fatto che i potenziali non sono
univocamente determinati si capisce facilmente perché se prendiamo

cioè due potenziali vettori che danno lo stesso campo magnetico, questi due sono tali che

e cioè se abbiamo due potenziali vettori tali che la loro differenza è irrotazionale, questi ci danno
lo stesso campo magnetico: dato che siamo in tutto lo spazio, che è un dominio a connessione
lineare semplice, l’irrotazionalità equivale alla conservatività e cioè possiamo scrivere

I potenziali vettori allora sono determinati a meno del gradiente di un potenziale scalare, che non
c’entra niente con che è il potenziale per generare il campo: però non sappiamo se abbiamo lo
stesso campo elettrico al variare del potenziale vettore, dobbiamo verificare

e allora per mantenere lo stesso campo elettrico dobbiamo cambiare anche il potenziale scalare.
In conclusione allora usiamo l’indeterminazione dei potenziali per passare da

in modo che non cambino il campo magnetico e il campo elettrico.

222
Per capire come deve cambiare in basta mettere nell’espressione del campo elettrico
l’espressione del nuovo potenziale scalare e otteniamo

da cui

e dato che il nostro dominio è connesso possiamo dire che l’argomento del gradiente è costante,
non dobbiamo dire costante sui pezzi connessi del dominio, e si ha

In realtà la costante non serve nemmeno perché dobbiamo fare il gradiente del potenziale scalare
per avere quello che ci serve e perciò possiamo ometterla e concludiamo che per ricalibrare i
potenziali dobbiamo fare

Queste equazioni prendono il nome di condizioni di gauge (o ricalibratura) e ci dicono


semplicemente che grazie a un potenziale è possibile cambiare il potenziale vettore e il
potenziale scalare in modo che questi ci diano lo stesso campo elettrico e magnetico che avevamo
prima della ricalibratura. Si capisce che abbiamo una libertà enorme perché possiamo variare a
nostro piacimento in modo da ottenere dei potenziali che fanno certe cose piuttosto che altre:
questo è un problema dal punto di vista fisico perché sembra che i potenziali non abbiano
significato fisico, d’altra parte sappiamo che il significato fisico ce l’hanno i campi, tuttavia ci sono
dei fenomeni che fanno intendere che anche i potenziali hanno un significato fisico ma non ne
discutiamo perché non ci interessa.
Se in particolare scegliamo in modo da poter annullare

siamo in una condizione particolare di ricalibratura che prende il nome di gauge di Lorentz.
Vediamo allora quando siamo in gauge di Lorentz, imponiamo

e questi potenziali ricalibrati li scriviamo in termini dei potenziali originari che per noi sono noti in
questo ragionamento, abbiamo

e manipolando questa equazione abbiamo

Ora il secondo membro è noto nel nostro ragionamento e perciò questa volta abbiamo ottenuto
un’equazione di Helmotz scalare dove chiamiamo

Dato che abbiamo un’equazione di Helmotz sappiamo che c’è la soluzione e perciò possiamo
concludere che sicuramente esiste un potenziale che ci permette di andare in gauge di Lorentz:
le soluzioni di questa equazione in realtà sono infinite perché se troviamo una che è soluzione
particolare dell’equazione a questa possiamo aggiungere tutte le soluzioni dell’equazione
omogenea associata che sono infinite perché ci sono le costanti indeterminate e perciò andiamo in
gauge di Lorentz con una soluzione particolare di questa equazione, ma poi abbiamo infinite scelte

223
che possiamo fare restando sempre in gauge di Lorentz: questa libertà di scelta è utilissima, ma
questo non significa che possiamo scegliere i potenziali come vogliamo.
Con questo risultato abbiamo da risolvere questo problema

e abbiamo già detto che basta risolvere la prima equazione perché stando in gauge di Lorentz si ha

Notiamo pure che abbiamo un problema più semplice perché come detto abbiamo ridotto il
numero di incognite, allo stesso tempo però c’è una complicazione perché è aumentato il grado
dell’equazione da risolvere.
Se usiamo la prima equazione, o la seconda, con la condizione data dal gauge di Lorentz che funge
da terza equazione sembra che la prima e la seconda equazione non sono legate, e questo è in
contraddizione con il fatto che la terza equazione ci dice che i potenziali devono essere legati per
andare in gauge di Lorentz: la contraddizione si risolve perché in realtà nella prima e seconda
equazione ci sono e che non sono indipendenti perché

Si può vedere pure che se prendiamo la condizione data dal gauge di Lorentz e la sfruttiamo in

la prima equazione sarà automaticamente soddisfatta perché basta scrivere anche la densità di
carica in termini della densità di corrente e otteniamo

che è un’equazione riconducibile a

Ci sono altre ricalibrature utili, ad esempio possiamo avere

e questa condizione si chiama gauge radiativo o anche gauge di Coulomb, ed è una condizione
molto utile quando siamo in assenza di sorgenti: se forziamo questa condizione, andando a
riprendere l’equazione in

abbiamo

e cioè il potenziale scalare non è altro che quello elettrostatico che è soluzione dell’equazione di
Poisson (per questo si chiama anche gauge di Coulomb), potenziale che ci dà la soluzione di
regime, cioè la soluzione quando dopo aver applicato la densità di carica il transitorio si esaurisce.
Il potenziale statico sappiamo che ci permette di avere subito il campo elettrico come

224
dato che il campo elettrico è conservativo, cioè è più che irrotazionale, però questo ha un
problema dato che se accendiamo le sorgenti otteniamo istantaneamente il potenziale in tutto lo
spazio, cioè andiamo in contraddizione con la causalità forte: in elettrostatica il problema non c’è
perché guardiamo la soluzione a regime e cioè per cui il campo ha già invaso tutto lo
spazio, ma in dinamica questo problema c’è e si risolve osservando che in realtà noi stiamo
dicendo che i potenziali violano la causalità forte, non i campi, nei campi che si ottengono in
termini sia di che di succederà che il potenziale vettore sarà tale da cancellare il termine
istantaneo che introduce il potenziale scalare e che dà un ritardo in termini di campi: il potenziale
vettore sarà allora fatto da un pezzo istantaneo e un pezzo che ritarda.
Questo discorso ora fatto ci fa capire che dobbiamo stare attenti alle proprietà fisiche dei
potenziali perché ci sono certe leggi, pure fondamentali come il principio di causalità, che questi
possono violare mentre i campi no perché sono quelli il vero fenomeno fisico.
È possibile dimostrare che se abbiamo sorgenti solenoidali si può andare contemporaneamente
sia in gauge di Coulomb che in gauge di Lorentz e questo è utile perché subito si passa ai campi: in
gauge di Lorentz si ha

se andiamo pure in gauge di Coulomb otteniamo

Fatto tutto questo discorso abbiamo capito che basta risolvere la prima equazione, cioè
l’equazione di Helmotz vettoriale, e la soluzione la dobbiamo trovare per una densità di corrente
generica perché altrimenti ogni volta dobbiamo risolvere da capo: verrà allora una funzione di
Green come soluzione in modo che al variare di poi otteniamo tutte le possibili soluzioni.
Per capire meglio questa cosa il nostro problema lo si può vedere come un sistema, in ingresso
abbiamo la densità di corrente e in uscita il potenziale vettore, il sistema in particolare sarà lineare
dato che il problema è lineare e per questo basta la risposta impulsiva per calcolare l’uscita in
funzione dell’ingresso, che poi è la stessa cosa della funzione di Green, cambia solo il nome, nella
teoria delle equazioni differenziali si chiama soluzione fondamentale, nella teoria dei campi
funzione di Green e nella teoria dei sistemi risposta impulsiva.
Allora ci basta trovare la risposta ad un ingresso impulsivo, cioè prendiamo
un particolare ingresso che è un impulso di Dirac, poi si sovrappone, tramite
integrale, per ottenere la generica soluzione: dato il sistema di riferimento in
figura allora si dà prima un impulso lungo , poi ne mettiamo pure uno lungo
e uno lungo

e attenzione che, con le coordinate cartesiane, si ha

se non altro si capisce dalle dimensioni che sono diverse le due cose.
225
Vediamo pure che le dimensioni di sono , così solo ci troviamo che le dimensioni della
densità di corrente sono , per cui questa non è una corrente o densità di corrente.
Con questo ingresso andiamo a risolvere l’equazione differenziale

e in generale il potenziale soluzione non sarà unico, la soluzione dovrà essere unica sui campi e lo
sarà se oltre alle sorgenti, come ci dice il teorema di unicità, imponiamo le condizioni al contorno:
ma la frontiera del nostro dominio è vuota perché è tutto lo spazio, perciò da associare al nostro
problema rimane solo la condizione di Silver-Muller e l’unicità l’avremo solo sui campi magnetico
ed elettrico, non sui potenziali, proprio grazie a questa condizione.
Per risolvere l’equazione vettoriale proiettiamo sugli assi cartesiani

e poi, siccome questo sistema di equazioni è abbastanza complicato, l’idea è quella di prendere
una soluzione che sia semplice, poi capiremo se questa è effettivamente soluzione, e ci prendiamo
dunque una soluzione in cui

cioè supponiamo che delle prime due equazioni che sono omogenee la
soluzione è quella nulla, poi solo la terza equazione darà contributo
sostanziale nella soluzione. Questa idea che abbiamo è abbastanza azzardata,
però ovviamente quando uno risolve la prima volta questo problema si fa
un’idea e capisce che le cose possono andare in un certo modo.
La terza equazione ora è del tipo

siccome l’impulso sta nell’origine se ci mettiamo per abbiamo


l’equazione di un oscillatore armonico, poi bisogna raccordare la soluzione al
centro e per farlo si pensa che la derivata seconda deve dare il termine
impulsivo, allora la derivata prima avrà un salto di discontinuità e la funzione
sarà tale da avere questa discontinuità sulla derivata, ad esempio
possiamo avere una cosa come in figura a lato.
Nel nostro caso abbiamo

Per capire com’è fatta prendiamo un volume sferico come in figura e integriamo

e il secondo membro è questo perché integrando sul volume la delta verrà


1. Dato che il laplaciano scalare è la divergenza del gradiente possiamo
applicare il teorema della divergenza e ottenere

226
dove nel flusso compare la derivata direzionale

Questa uguaglianza vale per ogni , perciò dobbiamo capire che succede quando va a zero: in
questo caso il secondo membro è costante perché non dipende da , allora il primo membro non
si deve annullare e capiamo che è proprio – che modula l’effetto della delta nella soluzione
dell’equazione; noi sappiamo che se la funzione è regolare l’integrale è assolutamente continuo,
perciò quando perdiamo una dimensione l’integrale si annulla: se va a zero la sfera e la
superficie sferica tendono a un punto e perciò gli integrali sicuramente si annullano, per questo
dobbiamo avere una singolarità nell’origine altrimenti non ci troviamo.
Capiamo che singolarità ci serve, consideriamo che la sfera si annulla andando come perché il
volume della sfera è

mentre il flusso va a zero come ci va la superficie sferica, e cioè siccome

ci va come : ne concludiamo che si annulla prima l’integrale di volume, perciò è il flusso che
deve contenere il pezzo che non va a zero e deve avere un andamento con dato che nel
flusso campare una derivata che ci darà nell’integrando il pezzo che ci serve.
Facciamo anche in questo caso un ipotesi semplificativa, in generale

ma noi supponiamo che sia

e poi vediamo sempre se questa ipotesi fatta va bene: come sempre l’ipotesi non è fatta a caso,
deriva invece dal fatto che la sorgente è simmetrica rispetto all’origine e noi speriamo che ci sia
una soluzione che conservi questa simmetria, stessa cosa che abbiamo fatto già nel caso del cavo
coassiale supponendo che la situazione sia indipendente da come ruota l’oggetto in questione,
cioè supponendo di avere un’invarianza per rotazione pure nella soluzione, cosa che non è sempre
vera e perciò questa è solo un ipotesi che facciamo. Con il ragionamento fatto allora cerchiamo

Per trovare usiamo l’equazione in cui il laplaciano scalare sarà scritto in termini di coordinate
sferiche e perciò quello che abbiamo è

e abbiamo posto uguale a zero perché cominciamo a risolvere nel caso , poi ovviamente il
caso non è da prendere in considerazione perché questa coordinata sferica non può essere
negativa: siamo arrivati a un’equazione in con derivate totali, che ci aggiustiamo per avere

227
e in conclusione abbiamo

e cioè è soluzione di un oscillatore armonico e sarà

La soluzione ha un termine progressivo e uno regressivo, il primo termine va dall’origine all’infinito


e il secondo va dall’infinito all’origine: qui però abbiamo un problema perché il termine

diverge per e questo non può essere perché se ci sono anche piccole perdite non può
esserci niente che diverge altrimenti andiamo contro la conservazione dell’energia, stiamo infatti
creando dal nulla dell’energia, quello che succede nel caso senza perdite deve essere invece quello
che succede al limite per le perdite che vanno a zero e perciò nemmeno nel caso senza perdite
questo termine deve andare all’infinito, cioè si conclude che in ogni caso e allora

D’altro canto pure se vediamo la situazione subito con assenza di perdite abbiamo un’onda che
dall’infinito va all’origine e questo è un meccanismo anticausale, perciò in ogni caso abbiamo
dimostrato che la soluzione deve essere per forza di questo genere. Poi capiremo pure meglio la
questione perché interpreteremo fisicamente, in parte, la condizione di Silver-Muller.
Resta da determinare imponendo che nell’origine c’è quel termine impulsivo, cioè dobbiamo
imporre che

e questo ci fa capire che fa la delta di Dirac: abbiamo allora

L’integrando del flusso è costante rispetto all’integrazione perché abbiamo una funzione solo di ,
mentre il è una variazione lungo la superficie sferica, e perciò questo termine lo portiamo fuori
dall’integrale e verrà calcolato per , poi ci resta l’integrale di volume e quello è inutile da
calcolare perché se ci ricordiamo che dobbiamo andare al limite per sappiamo che questo
termine si annulla e ci verrà in conclusione

e cioè

Possiamo già concludere direttamente che

e si vede che questo potenziale vettore soddisfa le condizioni di Silver-Muller perciò questa
soluzione, con tutte le ipotesi che abbiamo fatto per trovarla, va bene.
228
Quello che abbiamo ottenuto fin ora è il potenziale dovuto a un impulso di corrente tutto lungo ,
ovviamente si può ripetere tutto per gli altri assi e cambia solo il versore che dà la direzione del
potenziale.
Ora dobbiamo capire perché i campi devono andare almeno con , ricordiamoci che la
condizioni di Silver-Muller ci dice

e poi

Cerchiamo di capire da dove viene questa condizione non facendo tutto il ragionamento ma dando
un’idea intuitiva: consideriamo una sorgente e supponiamo di prendere una superficie sferica
centrata nell’origine, se calcoliamo la potenza complessa che attraversa questa superficie sferica
di raggio si ha

La potenza attiva sarà

e cominciando a considerare il caso in cui il mezzo che pervade il nostro


spazio è senza perdite vediamo che succede alla potenza attiva: in questo
caso ci aspettiamo una potenza costante con e infatti se consideriamo la
situazione in figura e sfruttiamo il teorema di Poynting abbiamo

perché è il volume tra le due superfici sferiche come si vede in


figura, questo flusso deve essere nullo perché non abbiamo sorgenti
in quella parte: il teorema di Poynting allora ci permette di dire

perché, aiutandoci sempre con la figura, si vede che sulla


superficie è pari a mentre sulla superficie è pari a .
Se la quantità che abbiamo considerato è costante vuol dire che
all’aumentare dell’area, che va come , la parte reale del vettore di
Poynting deve andare come e possiamo dire anche che

perciò i due campi vanno come almeno. Diciamo almeno perché se ci sono delle perdite
l’integrale sulla superficie più esterna, che nel nostro caso è , è minore di quello sulla superficie
più interna e siccome l’area espressa dal va sempre come abbiamo che

229
Ora interpretiamo

e lo facciamo cominciando a vedere quanto vale il vettore di Poynting in un’onda piana:


consideriamo un’onda piana omogenea e in questo caso

con versore reale perché l’onda è omogenea, invece può essere pure complesso; il campo
elettrico si scrive come

e già cominciamo a capire che la condizione all’infinito esprime una relazione tra il campo elettrico
e il campo magnetico che è la stessa che sia ha nel caso di un’onda piana omogenea: questo non
vuol dire che all’infinito abbiamo un’onda piana perché nell’onda piana il
versore di propagazione è sempre lo stesso, in generale non è sempre lo
stesso, localmente però, a meno di infinitesimi di ordine superiore al primo,
è come se ci fosse un’onda piana: questa cosa si può capire meglio
osservando la figura dove è rappresentato che succede per molto grande.
Notiamo pure che è importante che ci sta e non altrimenti l’onda sta
tornando dall’infinito e questo non è possibile come già detto molte volte.
Capiamo che la forma del potenziale vettore ottenuta è buona, cioè

perché se non fosse venuto un potenziale che va come non avremmo mai potuto avere campi
che soddisfano la condizione all’infinito.
Ora vediamo la potenza, nel caso di onda piana

e in questa parentesi quadra

perché in generale

nell’onda piana, poi se l’onda è omogenea possiamo scrivere

Allora viene

e abbiamo scoperto pure che il vettore di Poynting punta nella direzione di propagazione.
Possiamo fare il calcolo in modo analogo per avere tutto in termini di campo elettrico e quello che
si ottiene sarà

e se siamo in assenza di perdite possiamo pure dire che l’impedenza intrinseca è reale, perciò il
coniugato in quel caso non serve.
230
Campo irradiato da un dipolo elettrico elementare

Vogliamo ora capire chi è questo che abbiamo già detto avere le dimensioni di e perciò
non è una densità di corrente, anche se il nome da questo punto
di vista è un po’ equivoco.
Dobbiamo modellare una situazione impulsiva, ma gli impulsi
non esistono in realtà per cui l’idea è quella di prendere un filo
di corrente che sta tutto sull’asse : ovviamente il filo non può
essere infinitesimo, ci sarà una certa sezione, ma idealmente
abbiamo una densità di corrente del tipo

perché come ci spostiamo rispetto a e non abbiamo


corrente. Anche in deve comparire la delta di Dirac e perciò
facciamo la costruzione come in figura: attenzione che è il
valore della corrente, non è il valore che è assunto su o su
anche se la figura rappresentata così può trarre in inganno;
prendiamo questo valore della corrente così abbiamo un rettangolino di area unitaria e al limite
nel senso delle distribuzioni verrà la delta che ci serve. Nella pratica questa situazione equivale a
prendere un filo di corrente piccolo rispetto alla lunghezza d’onda e questo ci darà quello che si
chiama dipolo elementare.
La corrente si può scrivere come

perché solo sul filo c’è corrente, e dato che

capiamo che la densità di corrente deve essere del tipo

o meglio, data l’espressione della corrente, possiamo scrivere

Aiutandoci con la figura capiamo che stiamo dicendo, se ci mettiamo in un posto che non è l’asse
non abbiamo densità di corrente e questo è dato dalle due delta di
Dirac, poi sull’asse dipende a che coordinata andiamo a tagliare
con la nostra superficie e abbiamo o meno corrente: la situazione
sull’asse sta approssimando una delta di Dirac e infatti si può
vedere facilmente che al limite sarà

e cioè la densità di corrente così come ce la siamo costruita sta


approssimando l’impulso di corrente

231
Possiamo dire allora che, per costruire un impulso di corrente, dobbiamo prendere un filo
sottilissimo e piccolo rispetto alla lunghezza d’onda sul quale scorre una corrente costante (questo
è cruciale), poi abbiamo anche visto che è il termine corrispondente a e questo prodotto
deve rimanere costante altrimenti, per , la si annulla: vedremo tra poco questo cosa
esprime e così avremo capito cos’è .
Supponiamo ora di considerare una superficie fatta da una superficie
che interseca un punto dell’asse in cui c’è la corrente e da una
superficie costruita sul ciclo , andiamo ad integrare l’equazione di
continuità sul volume racchiuso dalla superficie così costruita e si ha

dove

e dove possiamo chiamare

per cui, considerando la costruzione fatta per la superficie, abbiamo

L’integrale su è nullo perché non c’è densità di corrente che attraversa quella superficie dato
che questa corrente si ferma in un punto che sta dentro il volume, allora possiamo scrivere

dove è mostrato in figura ed è proprio pari a per cui l’integrale non ci dà altro che e ne
possiamo concludere

Capiamo così com’è distribuita la carica sul dipolo elementare: dobbiamo prendere una superficie
che interseca l’asse e costruirci un volume come abbiamo fatto prima, se la costruzione è tale
che siamo sopra al punto non abbiamo nessuna corrente, perciò in questo volume non deve
cadere carica; se prendiamo una superficie che taglia a una qualsiasi sezione tra
e invece ci deve stare una certa carica perché sicuramente abbiamo una
corrente che passa per la superficie frontiera del volume, che sarà la stessa
qualsiasi sia la sezione alla quale tagliamo; infine, se prendiamo una superficie
che taglia sotto ma con un volume che racchiude tutto il dipolo elementare,
anche in questo caso non dobbiamo avere carica complessivamente perché il
volume può essere tale che la sua frontiera non è attraversata da una corrente. A
conclusione di questo ragionamento si capisce che in ci deve stare una carica
e in una carica : questo giustifica il nome dipolo.
Per concludere allora il dipolo elementare si fa con un filo infinitamente sottile e
piccolo rispetto alla lunghezza d’onda che abbia due “serbatoi di carica” sopra e
sotto per permettere che sul filo scorra una corrente costante: nella pratica
questi due serbatoi si fanno mettendo un piattino metallico alle estremità del dipolo, ad esempio.

232
Possiamo pure scrivere

e siccome è quello che si chiama momento del dipolo, perché è la distanza tra le due cariche
e , abbiamo capito che non è altro che quella quantità che divisa per ci dà il
momento dipolare; il momento dipolare si indica di solito con .
Questa configurazione è diversa da quella che abbiamo in elettrostatica perché nel tempo la carica
cambia dato che oscilla sinusoidalmente, e questo si capisce osservando la formula scritta ora che
esprime proprio questa variazione della carica siccome sta ad indicare che, nel dominio del
tempo, abbiamo una derivata sulla carica che ci dà la corrente: la variazione di carica è possibile
solamente perché c’è un filo che collega le due cariche altrimenti violeremmo il principio di
conservazione della carica.
A questo punto troviamoci il campo generato da questa configurazione: il campo elettrico lo
possiamo ricavare considerando che

e possiamo usare questa espressione in cui non c’è la densità di corrente perché siamo al di fuori
delle sorgenti, perciò ci basta trovare il campo magnetico; il campo magnetico si ricava con

dove, scrivendo invece che per indicare che stiamo su , si ha

e dunque abbiamo

In questa espressione abbiamo semplificato grazie al fatto che il mezzo è omogeneo, ora per
calcolare questo campo usiamo

e abbiamo

ma

perché abbiamo il rotore di un versore, cioè di una quantità costante, e allora dobbiamo fare solo

Siccome

dobbiamo fare una derivata composta e perciò il gradiente lo possiamo scrivere in modo diverso
andando a mettere in evidenza un termine che compare in tutti e tre gli addendi e otteniamo

233
Facciamo allora i conti

per cui

e poi

e otteniamo

Con questi conti abbiamo il campo magnetico scritto come

e ci possiamo aggiustare questo risultato aiutandoci con la


figura e scrivendo perciò

e il campo si usa scriverlo come

Il campo magnetico è diretto tutto lungo , si potrebbe


dimostrare che questa cosa è vera per ogni campo a simmetria di rotazione.
Questo campo magnetico non dipende da e questo proprio perché è a simmetria di rotazione,
dipende invece da , in particolare il campo magnetico è nullo nelle direzioni dell’asse
dell’antenna perché il campo si annulla quando oppure , poi è massimo quando
; infine il campo dipende da , infatti all’aumentare del raggio il modulo del campo
magnetico diminuisce, e ci troviamo che c’è un termine che deve soddisfare le condizioni
all’infinto. In realtà il campo magnetico è fatto di due parti perché siccome c’è

e si vede che un termine va come e un altro come , quando andiamo per il


termine che sopravvive è il primo, per invece succede il contrario. In generale siamo
interessati al termine di campo lontano, che è quello che va come .
Nel caso senza perdite e possiamo scrivere

e il campo elettrico si ottiene con il rotore, poi lo faremo quando ci serve. Quando non è reale,
cioè quando non siamo nel caso senza perdite, interviene pure un termine esponenziale all’infinito
che annulla il campo, perciò va molto più che come .

234
Campo irradiato da una distribuzione arbitraria di corrente

Abbiamo visto che succede nel caso di un impulso di corrente, ora vogliamo capire che succede
con una sorgente generica: l’idea è semplice, si prende la sorgente e la si divide
in tanti pezzettini che sono tutti dipoli elementari, poi si sommano tutti i
contributi e facendo così quello che si ottiene sarà

Interpretiamo questa formula, il generico impulso ci dà

o comunque possiamo mettere qualsiasi versore, dipende su che asse


abbiamo messo il dipolo elementare, perciò in generale otteniamo una per
ogni componente e se sommiamo verrà un vettore così come l’abbiamo nella
formula con l’integrale; cominciamo a guardare

qui è la distanza dall’origine, punto dove sta la sorgente, in generale ci


interessa la distanza dalla sorgente e non dall’origine per cui in una
distribuzione di carica generica dobbiamo considerare un che è la
distanza tra il punto sorgente e il punto campo.
Poi abbiamo il momento dipolare che a parte è

e non discutiamo perché ma intuitivamente si capisce.


Ecco perché l’integrale viene in questo modo e possiamo pure dire che la
funzione di Green è

A partire da questo potenziale calcoliamo il campo magnetico ed elettrico con


le formule che conosciamo nel caso di gauge di Lorentz

e si capisce che la densità di corrente è la sorgente del campo perché a partire da questa si calcola
il potenziale vettore e il potenziale vettore serve per calcolare i campi, perciò per fare un’antenna
noi pensiamo di far scorrere una sorgente su un metallo (ma si può usare anche un dielettrico) la
quale sarà sorgente di un campo irradiato.
Però c’è un problema perché il ragionamento fatto fin ora ci ha permesso di calcolare il campo
irradiato in spazio libero, cioè in un mezzo omogeneo nello spazio, e noi non abbiamo un mezzo
omogeneo perché la corrente sta scorrendo su un conduttore, che possiamo immaginare
conduttore elettrico perfetto, mentre il campo sta irradiando in un mezzo diverso: i calcoli fatti

235
allora sembra che non servono a niente, il problema dovrebbe essere risolto in un mezzo non
omogeneo e in generale anche se abbiamo un conduttore elettrico perfetto ma di una forma
generica non si riesce a dare la funzione di Green, cioè non si riesce a dare la soluzione in forma
chiusa.
La questione si risolve usando il teorema di equivalenza: si
prende un volume che contorna il CEP e poi la prima
formulazione del teorema di equivalenza ci dice che possiamo
prendere lo stesso volume togliendo il mezzo da dentro e
mettendo sul contorno delle densità di corrente elettrica e
magnetica che saranno

che sono nulle perché prima avevamo un conduttore elettrico


perfetto, poi

e con questa situazione abbiamo un campo elettromagnetico


che all’esterno del volume è lo stesso di prima, all’interno del volume il campo elettromagnetico è
nullo. Le correnti elettriche sono le stesse sul CEP e sulla frontiera del volume che abbiamo dopo
aver applicato il teorema di equivalenza perché queste correnti danno il salto di campo da zero al
campo che abbiamo fuori al volume, il campo fuori è lo stesso nei due casi e dentro invece è
sempre zero, sia con il CEP sia dopo aver applicato il teorema. Nel volume ora il campo è nullo e ci
possiamo mettere tranquillamente lo stesso mezzo che abbiamo anche fuori, cioè possiamo
ottenere lo spazio libero, perciò capiamo quanto è potente il teorema di equivalenza.

Regione di Fraunhofer

Scriviamo ora il campo in zona lontana, chiamata anche regione di Fraunhofer, nel caso in cui a
generare il campo irradiato sia una distribuzione generica di carica: iniziamo dal campo magnetico
e basta sfruttare il potenziale vettore che abbiamo per scrivere

Sfruttando l’omogeneità del mezzo possiamo portare fuori dal rotore e semplificarlo con quello
a denominatore che abbiamo davanti al rotore, poi portiamo fuori anche la costante davanti
all’integrale, chiamiamo

e inoltre notiamo che il rotore sta operando rispetto a dato che è fatto rispetto al punto campo,
non rispetto al punto sorgente, perciò se l’integrale converge “bene” possiamo portare le derivate
date dal rotore sotto il segno di integrale: non ci mettiamo a vedere la convergenza dell’integrale,
facciamo direttamente il passaggio un po’ impropriamente dato che qui l’integrale è singolare,

236
però si può far vedere che con un trucco si può fare lo stesso il passaggio che vogliamo fare e
perciò scriviamo

dove non possiamo portare anche fuori dal rotore perché è vero che non dipende da , però noi
dobbiamo considerare tutto il pezzo

dato che il rotore si applica a un vettore, non può applicarsi a uno scalare; facendo così è venuta
un’espressione analoga al caso di sorgente impulsiva, procediamo come prima e usiamo sempre
l’identità

e otteniamo

Ora

perché non dipende dalle variabili rispetto alle quali il rotore deriva e per questo possiamo dire
che è

e ci resta da fare il gradiente:

Siccome

si ottiene

In conclusione il campo magnetico è

Questo è il campo magnetico generico, fino ad ora non abbiamo fatto nessuna approssimazione,
però ora vogliamo il campo lontano, allora dobbiamo tenerci solo i termini che vanno come e
avremo così quello che si chiama .
Diciamo anche che l’integrale che compare nella formula del campo magnetico prende il nome di
integrale di radiazione.

237
Per evidenziare dove sta ci scriviamo il campo magnetico ottenuto come

e possiamo capire che in tutti i termini in cui compare , aver scritto il campo in questo modo
però ci permette di capire anche con che ordine compare all’interno dei vari termini: vediamo
come è fatto in modo da far comparire :

dove notiamo che non c’è il coniugato sulla seconda parentesi in radice perché stiamo trattando
con vettori reali siccome questi sono delle distanze; possiamo sviluppare il prodotto sotto radice e
scriviamo

A partire da questo possiamo scrivere

e ora basta ricordarsi che lo sviluppo binomiale è

dove ci siamo fermati al primo ordine perché al massimo è quello l’ordine che ci serve: nel nostro
caso infatti otteniamo

In realtà della parentesi quadra ci interessa solamente l’ perché, anche se ci siamo conservati il
termine del primo ordine, se questo si moltiplica per il termine davanti alla parentesi già abbiamo
un termine quadratico, perciò scriviamo

Nell’espressione del campo magnetico, per costruirci il campo lontano dobbiamo prendere solo

e scartare

Per ora dunque

ma dobbiamo vedere che succede all’esponenziale, perciò ci mettiamo nel caso di assenza di
perdite per semplicità, poi ricordandoci che

238
possiamo dire che

e dobbiamo vedere chi è per capire gli ordini: sappiamo che

e per questo possiamo dire

dove notiamo che lì c’è un “O grande” dato che non è un infinitesimo di ordine inferiore a quello
che c’è in parentesi ma va come , quindi va come la quantità in parentesi.
Questo risultato lo mettiamo nell’esponenziale e otteniamo

e abbiamo il prodotto di un tre esponenziali: il primo non dà problemi dato che e perciò
l’esponente è immaginario puro, ragione per cui abbiamo un termine con modulo unitario che
oscilla e non contribuisce al decadimento all’aumentare del raggio; il secondo esponenziale
nemmeno dà problemi ai fini del calcolo del campo lontano dato che non c’è dipendenza da ma
solo da ; per quanto riguarda l’ultimo esponenziale dobbiamo usare lo sviluppo in serie per
capire che succede e si ha qualcosa del tipo

perciò capiamo che possiamo tenerci tutto tranne l’”O grande” dato che, se mettessimo anche
questo nell’integrale, avremmo un termine in , un altro ce l’abbiamo già perché l’abbiamo dal
termine analizzato prima e in conclusione otterremmo un termine in che non dobbiamo
ottenere perché nel campo lontano abbiamo detto che ci servono solo gli infinitesimi di ordine al
più 1, siamo in ipotesi in cui gli infinitesimi di ordine superiore si sono già annullati.
Ci rimane ancora da capire che ci dobbiamo tenere per quanto riguarda il versore, sarebbe a dire

e dobbiamo riprendere

per vedere cosa conservare e cosa no: qui dobbiamo prendere solo i termini di ordine 0 in
perché abbiamo capito che il termine di ordine 1 ci sta già, se ce ne fosse un altro o uno di ordine
superiore non andrebbe bene perché sarebbe un termine che già si è annullato nella regione in cui
ci stiamo mettendo, per questo motivo è facile capire osservando che

che dobbiamo avere solamente

239
L’interpretazione geometrica dell’ultimo risultato ottenuto è semplice, stiamo dicendo che se il
punto campo tende all’infinito andiamo a trascurare la distanza dell’origine
dal punto sorgente perché questa sarà una quantità fissata che al limite è
trascurabile.
A conclusione del ragionamento fatto dunque il campo nella regione di
Fraunhofer è

L’espressione può essere scritta anche come

e il termine in parentesi ci ricorda il potenziale vettore che è

solo che noi abbiamo approssimato perché stiamo cercando il campo lontano e perciò in realtà il
termine in parentesi è

che è il potenziale nel caso in cui il raggio sta andando all’infinito.


Si capisce che così ci ricordiamo facilmente del campo magnetico nella regione di Fraunhofer
perché il campo magnetico lo si ottiene come

e la traccia che c’è il rotore nella formula del campo magnetico scritta prima sta nel termine –
perché è come quando nelle onde piane abbiamo visto che c’è una regola empirica grazie alle
quale quando facevamo un operazione con bastava mettere un – e qualcosa di opportuno
vicino: qua è la stessa cosa perché abbiamo

Questa cosa ci dice pure che localmente, all’infinito, il campo si comporta come un’onda piana il
cui vettore di propagazione è , cosa che abbiamo già accennato ad esempio quando abbiamo
discusso un po’ le condizioni di Silver-Muller.
Vediamo ora com’è fatto il campo elettrico, questo lo ricaviamo da

ma siccome stiamo considerando i campi all’infinito applichiamo la regola che abbiamo per le
onde piane per fare il rotore e otteniamo velocemente

240
e notiamo che

Allora abbiamo ottenuto

e cioè nei termini di primo ordine i campi elettrico e magnetico soddisfano la condizione di Silver-
Muller, poi ci saranno i termini di ordine superiore che abbiamo escluso quando ci siamo costruiti
il campo così, termini di ordine superiore che compaiono anche nella condizione all’infinito.
Possiamo infine determinare l’espressione del campo elettrico completa che è

Ci resta solo da dire quand’è che siamo in zona lontana, cioè in che
condizioni le approssimazioni fatte per ottenere i campi risultano
valide: in generale se abbiamo un radiatore la cui distribuzione di
corrente radiante è contenuta in un volume andiamo in zona
lontana quando, prendendo la sfera di centro l’origine e raggio
minimo per contenere il radiatore, si ha

dove è la distanza del punto in cui vogliamo il campo dall’origine e


è il diametro della sfera, poi dobbiamo avere

cioè la distanza deve essere molto più grande della lunghezza d’onda e infine
dobbiamo avere

Ovviamente esiste la sfera perché stiamo pensando il radiatore in un dominio limitato


dello spazio e inoltre dobbiamo notare che l’origine degli assi può essere presa in modi
diversi, ad esempio nella figura a sinistra l’origine è presa in modo che la sfera che
contiene il radiatore sia davvero la più piccola, ma va bene sia
questa scelta che la scelta fatta nella figura precedente nel senso
che la scelta che ci fa avere la sfera più piccola possibile è la
migliore, se prendiamo una sfera più grande stiamo sbagliando
perché è come se fittizziamente stessimo considerando un radiatore
che è più grande di quanto è in realtà, però la differenza è solo che
andiamo in zona lontana dopo, cioè la regione di Fraunhofer inizia
solo più lontano di quanto dovrebbe iniziare in realtà, ma sempre in
zona lontana siamo.

241
Altezza efficace, direttività, guadagno, efficienza

Partiamo dall’ultima espressione ottenuta, in particolare ci consideriamo la quantità

e questa si può vedere che dipende solamente da e , sicuramente infatti non dipende da
mentre dalle due coordinate sferiche dipende perché dipende dalla direzione in cui stiamo
guardando, direzione espressa appunto da e .
In generale conviene normalizzare il campo elettrico alla corrente di riferimento, perciò
l’espressione del campo trovata prima si scrive come

e questo lo si fa perché è normale pensare che se aumenta la corrente di alimentazione


dell’antenna aumenta il campo irradiato, se diminuisce diminuisce pure il campo, dato che non
compare esplicitamente questa corrente di alimentazione è convenuto farla comparire: abbiamo
così un pezzo che dipende dall’alimentazione dell’antenna che è

e poi c’è un altro pezzo che non dipende da come la stiamo alimentando ed è

e questo non dipende dalla corrente di riferimento perché a numeratore ci sta la , e cioè ci sta la
densità di corrente che è sorgente del campo irradiato, che poi integrata è la corrente, a
denominatore c’è la corrente che è sorgente del campo irradiato perché ce l’abbiamo messa noi e
nel complesso abbiamo un oggetto che non dipende dalla e prende il nome di altezza efficace
in trasmissione, quantità indicata con

Questo risultato è abbastanza sorprendente perché ci fa capire che comunque si progetta


l’antenna, in in zona lontana il campo va sempre come

e dunque il progettista può agire solo sull’altezza efficace in trasmissione in modo che l’antenna
irradi diversamente al variare di e , cioè al variare della direzione. Di un’antenna dunque, per
prevederne il campo in zona lontana, serve essenzialmente l’altezza efficace in trasmissione, il
termine rimanente è sempre lo stesso e ci dice solo come va il campo, in più ci fa capire anche che
al variare della corrente di alimentazione il campo irradiato cambia di intensità.
La definizione formale di altezza efficace è

e si capisce facilmente il perché: da questa definizione sappiamo come si calcola proprio


praticamente l’altezza in trasmissione.

242
Osservando la formula del campo elettrico si può vedere facilmente che in zona lontana questo
non ha componente radiale perché c’è un prodotto vettoriale con , e questa cosa ce lo dice
anche la condizione di Silver-Muller secondo la quale il campo all’infinito deve essere tutto
trasverso rispetto alla direzione dovendosi comportare localmente come un’onda piana; partendo
dal campo elettrico si vede che pure il campo magnetico ha componente radiale nulla e questa è
una cosa che invece la condizione di Silver-Muller non ci dice.
Ci sono altri parametri che caratterizzano il funzionamento di un’antenna, in particolare i
parametri che ci fanno capire com’è irradiato il campo in trasmissione sono il guadagno e la
direttività; iniziamo a considerare le direttività che si definisce come

Qui stiamo sempre supponendo che il mezzo nell’intorno dell’infinito è senza perdite, definiamo
allora questo parametro come il rapporto tra due densità di potenza: innanzitutto il limite significa
che ci stiamo mettendo a distanza molto grande, siccome facciamo il limite la quantità che viene
non dipenderà da perché una quantità passata al limite non dipende dalla variabile rispetto alla
quale si fa il limite; poi a numeratore abbiamo una densità di potenza che è

perché abbiamo visto che questa è l’espressione di densità di potenza nel caso di onda piana, noi
non abbiamo un’onda piana ma il campo è localmente approssimato
con un’onda piana, precisamente questa è la densità di potenza
irradiata nella direzione data da e e viene confrontata con la
quantità al denominatore che pure è una densità di potenza perché
abbiamo l’inverso dell’area della superficie sferica moltiplicata per

e questo è il flusso del vettore di Poynting, che sappiamo che si può


scrivere in questo modo perché l’abbiamo vista prima e perché la
normale alla superficie sulla quale si integra è , infatti nell’integrale ci
sarebbe un : il flusso è allora la potenza irradiata
dall’antenna nel caso in cui il mezzo è senza perdite perché quella che irradia l’antenna è quella
che ci ritroviamo qualsiasi sia la superficie considerata quando non abbiamo perdite, se avessimo
perdite man mano che prendiamo una superficie con raggio più grande questa potenza va
diminuendo.
Nel complesso la quantità a denominatore è una densità di potenza che diremo essere la densità
di potenza che l’antenna irradierebbe isotropicamente, cioè se l’antenna fosse un radiatore
isotropo, che è un radiatore che irradia in tutte le direzioni allo stesso modo, e ovviamente questo
è un oggetto ideale: si può dimostrare proprio matematicamente che non esiste una sorgente in
un dominio limitato nello spazio che può irradiare in tutte le direzioni. Si parla di radiatore
isotropo perché vogliamo confrontare come irradia la nostra antenna rispetto a un’antenna ideale
e per questo il parametro prende il nome di direttività: questo parametro ci fa capire se l’antenna
243
è più direttiva o meno direttiva rispetto al radiatore isotropo e ci dovranno essere per forza delle
direzioni in cui l’antenna irradia di meno e alcune in cui l’antenna irradia di più.
Capiamo facilmente che se vogliamo un’antenna che collega due punti specifici è inutile prendere
un’antenna che irradia isotropicamente, che non esiste nemmeno, ma si prenderà un’antenna
molto direttiva in una certa direzione e si crea così un ponte radio, poi ci possono essere anche
antenne che irradiano in varie direzioni perché ad esempio i radiodiffusori devono riuscire a
mandare i segnali radio a quanti più utenti possibile: ovviamente è inutile in questi casi irradiare
anche in alto e perciò si irradia solo in quello che è il piano equatoriale. Si capisce che le antenne
direttive sono utili, relativamente al caso in cui devono essere usate, per risparmiare potenza e per
non disturbare altri utenti perché poi l’antenna direttiva irradierà male in tutte le altre direzioni
tranne quella in cui serve irradiare. L’irradiazione può essere più o meno forte anche in
dipendenza della banda in cui siamo, ad esempio in banda VHF si irradia molta potenza, perché se
si irradia a certe frequenze si possono sfruttare dei meccanismi che permettono di inviare il
segnale a distanze molto grandi.
Passiamo ad analizzare un aspetto più matematico: il limite che definisce la direttività funziona
perché a numeratore abbiamo il modulo quadro del campo elettrico, sappiamo che quando
diventa molto grande questo campo va come e perciò il modulo quadro va come , però
questa quantità viene bilanciata da che abbiamo a denominatore e sale su al numeratore e
per questo rimane solo la potenza irradiata che si mantiene costante se il mezzo è senza perdite.
È stato necessario capire che questo limite è ben posto altrimenti non avrebbe senso la definizione
data di direttività, però l’abbiamo visto facilmente che il limite è buono sfruttando come sono fatti
i campi all’infinito. In generale dunque il limite esiste, poi ci possono essere delle direzioni nelle
quali il limite si annulla e si dice che si hanno dei nulli nel diagramma di radiazione: questi nulli si
possono mettere intenzionalmente, pensiamo ad esempio ad applicazioni militari in cui può
esserci il bisogno di inviare alcune informazioni ma non si devono disturbare dei radar, o anche
altre applicazioni del genere, che però riguardano la ricezione di cui parleremo, che sfruttano
quello che si chiama null placing, o piazzamento dei nulli.
Abbiamo già detto che oltre alla direttività si definisce anche un altro parametro che è il guadagno
ed è dato da

La definizione è la stessa di direttività solo che a denominatore nella prima abbiamo la potenza
irradiata mentre ora abbiamo la potenza in ingresso che viene consegnata dalla guida
all’antenna e dato che in generale l’antenna non è ideale si capisce che

perché una parte della potenza in ingresso si dissipa a causa delle perdite sull’antenna, se
l’antenna è metallica si dice che la potenza in ingresso è la somma della potenza irradiata e della
potenza dissipata a causa delle perdite ohmiche, perché possiamo immaginare che solo nel caso
ideale l’antenna metallica è fatta di conduttore elettrico perfetto, in realtà sarà un buon
conduttore: allora non è tanto utile la direttività ma il guadagno, che è più piccolo della direttività

244
dato che la potenza in ingresso è più grande della potenza irradiata, e poi quello che ci fa passare
dal guadagno alla direttività è l’efficienza dell’antenna definita in generale come

che sarà una quantità minore dell’unità ed è tale che

e vorremmo che l’efficienza sia vicina il più possibile a 1.


Nel guadagno allora stiamo confrontando la potenza irradiata dall’antenna in una certa direzione
data da con la densità di potenza che irradierebbe un radiatore isotropo ideale con la stessa
potenza in ingresso: ideale qua significa che non ha perdite, poi il radiatore isotropo è già ideale
perché non esiste. Il radiatore isotropo ideale è tale che irradia tutta la potenza che gli arriva ed in
tutte le direzioni in ugual modo, quando definiamo il guadagno allora confrontiamo con questo la
potenza che la nostra antenna irradia e perciò potrà essere di più o di meno di un radiatore
isotropo a seconda di quanto vale il guadagno in ogni direzione.
Nel data sheet di un’antenna è importante andare a vedere quanto vale il guadagno perché a
seconda dell’applicazione ci può servire un’antenna ad alto o a basso guadagno, spesso questo
guadagno non si dà in tutte le direzioni ma solo nelle direzioni di massimo ed è tipicamente
espresso in decibel.
Questo è quello che succede in trasmissione, dal punto di vista circuitale abbiamo una situazione
come in figura e dove c’è la transizione tra guida e antenna in generale si diffrangono tutti i modi,
se però ci mettiamo sufficientemente lontano da questa transizione c’è solo il modo
fondamentale: sufficientemente lontano significa di
qualche dimensione trasversa, perciò dipende dalle
dimensioni della sezione della guida.
La guida si chiude in termini di impedenza, e se ci
mettiamo alla sezione dalla quale si vede solo il modo
fondamentale abbiamo una che è l’impedenza di
ingresso dell’antenna: allora, sempre che abbiamo un
solo modo, l’antenna appare alla guida che la sta
alimentando come un’impedenza, se abbiamo più modi il rapporto tensione corrente cambia e per
ogni modo abbiamo un’impedenza perciò possiamo parlare di un’impedenza di ingresso
solamente se stiamo in regime monomodale o ci mettiamo abbastanza lontano dalla discontinuità,
cioè dalla transizione, in modo da vedere un solo modo.
Ai fini circuitali la potenza attiva che va in ingresso all’antenna è pari a quella che si dissipa
sull’impedenza di ingresso: questa potenza che si dissipa è in parte quella irradiata e in parte
dissipata per le perdite ohmiche sull’antenna stessa, se fosse tutta dissipata sull’antenna questa
non serve a niente perché è come se avessimo fatto una stufa, poi non può essere che tutta la
potenza è irradiata e abbiamo già visto perché, noi speriamo che la potenza sia quanto più
possibile irradiata; la potenza che irradia l’antenna la guida la vede come dissipata, per questo alla
guida appare come potenza persa sul carico, ma non è tutta persa.

245
Si definisce anche la resistenza di irradiazione che è

cioè è una resistenza fittizia sulla quale, se scorre la corrente di alimentazione dell’antenna, si
dissipa una potenza che è uguale a quella che l’antenna sta irradiando; si può pure scrivere

dove la resistenza ohmica è la resistenza che se percorsa dalla corrente che alimenta l’antenna dà
la potenza che si dissipa per effetto Joule sull’antenna.
Ora dobbiamo capire come fare la ricezione: la situazione
è come in figura, abbiamo un’antenna collegata alla
struttura guidante, che può essere una linea di
trasmissione o una linea equivalente, l’antenna può
essere fatta ad esempio di conduttore elettrico perfetto
e su questa arriva la radiazione elettromagnetica che induce una corrente e si crea una tensione ai
capi della linea che è la tensione di alimentazione della linea. Ai fini di quello che succede sulla
linea si può applicare il teorema di equivalenza e mettere un generatore equivalente di Thévenin o
di Norton: per fare questo deve essere tutto lineare, altrimenti il teorema di equivalenza nella sua
quarta formulazione non lo possiamo applicare, ma nessuno mette ad esempio un diodo
sull’antenna che rende la situazione non lineare.
Nel circuito equivalente compare la tensione a vuoto e l’impedenza di ingresso dell’antenna,
dobbiamo sempre stare abbastanza lontani dalle connessioni per vedere solo il modo
fondamentale e solo in quel caso possiamo vedere un’impedenza : l’impedenza di ingresso è
facile da calcolare, si spegne l’alimentazione e si vede l’impedenza alla sezione distante qualche
dimensione trasversa, il problema è calcolare la tensione a vuoto
perché questa dipenderà dal campo che si produce quando arriva il
campo irradiato dall’antenna trasmittente sulla ricevente.
Già adesso ci conviene distinguere due concetti: il campo effettivo
che abbiamo sull’antenna è quello che chiamiamo campo incidente,
e di questo abbiamo già parlato quando ci siamo occupati di
diffusione elettromagnetica, questo campo è quello prodotto
sull’ostacolo, che nel nostro caso è l’antenna, quando l’ostacolo non
è presente, quando mettiamo invece l’ostacolo si genera anche un campo diffuso che si somma
all’incidente e ci dà il campo totale.
La tensione è dovuta al campo totale e non può dipendere solo da come è fatto il campo incidente
perché vorrebbe dire che non dipende da come è fatta l’antenna e perciò sarebbe inutile farla,
però vorremmo cercare di scrivere tutto in termini di campo incidente.
In generale non si può scrivere tutto in termini di campo incidente, però conoscendo quest’ultimo
sappiamo anche com’è fatto il diffuso e perciò in principio con il campo incidente su tutta la
superficie dell’antenna ci calcoliamo il campo totale: in verità ci basta solo il campo tangente che
incide sull’antenna perché questo ci permette di capire come deve essere fatto il campo diffuso.
Se noi allora assegniamo il campo incidente

246
dove è la superficie dell’antenna, la tensione sarà

con che in generale è un funzionale perché questo prende la funzione componente tangente del
campo incidente su tutta la superficie dell’antenna, da questa si calcola il campo diffuso e poi la
tensione a vuoto: questo funzionale sarà lineare se tutti i mezzi considerati sono lineari, il
problema però è scrivere questa relazione lineare.
Per scrivere la relazione dobbiamo notare che nella maggior parte dei casi abbiamo un campo che
arriva da lontano, per cui nella regione dell’antenna abbiamo un’onda localmente piana del tipo

e per conoscere il campo nella regione ricevente basta , che è il campo ricevente in un punto
perché è il campo incidente per e poi , con queste due cose abbiamo il campo incidente su
tutta l’antenna: in realtà basta il campo in un punto e se sappiamo il mezzo di cui è fatta l’antenna
basta la direzione del , perché poi il suo modulo lo sappiamo già; l’ultima osservazione è
utilissima perché fissata la direzione da cui sta arrivando l’onda noi dobbiamo dare solo e per
questo scriviamo

dove ora è meno che un funzionale, è una funzione perché il suo argomento è un vettore
numerico, precisamente è un vettore di tre numeri: abbiamo dunque una funzione lineare di tre
variabili che possiamo scrivere come una matrice che ha colonne, cioè tanti quanti sono gli
ingressi, e le righe sono che è il numero di uscite perché è

o meglio possiamo scrivere la tensione a vuoto come

In realtà questa è quella che si chiama altezza efficace in ricezione e si scrive dunque come

La tensione a vuoto allora si ottiene grazie a questa quantità e scopriremo che è molto facile farlo
perché per una grande classe di antenne, che sono le antenne reciproche, l’altezza in trasmissione
e in ricezione è la stessa e per questo un’antenna trasmette così come riceve.
La tensione a vuoto la scriviamo in conclusione come il prodotto punto

e questa tensione in generale è quella a una certa sezione sufficientemente lontana dalla
discontinuità della connessione della guida con l’antenna in modo tale che tutti i modi che si sono
generati alla discontinuità si sono attenuati ed è rimasto solo il modo fondamentale, questo
perché vogliamo operare sempre in regime monomodale per poter definire una tensione e una
corrente, che potrebbero anche non essere vere tensioni e correnti se il modo sul quale stiamo
operando è TE o TM. L’altezza efficace in ricezione dipende dalla direzione con la quale sta
arrivando l’onda piana sull’antenna, come abbiamo visto per l’altezza in trasmissione.
Il ragionamento fatto ci dice che esiste questa altezza efficace in ricezione ma non sappiamo
quanto vale, per capirlo dobbiamo introdurre il teorema di reciprocità.

247
Teorema di reciprocità

Supponiamo di avere un volume dello spazio e due set di sorgenti


che non sono necessariamente tutte contenute nel volume come
vediamo nella figura, ogni set genera un campo elettromagnetico e
il teorema di reciprocità permette di legare tra loro questi campi: il
mezzo è assunto lo stesso in tutto lo spazio, per la dimostrazione
considereremo un mezzo normale e poi vedremo cosa si può dire
anche in ipotesi diverse.
Si parte dalla seguente divergenza

e sfruttiamo il fatto che ogni campo deve soddisfare le equazioni di Maxwell

Le altre due equazioni di Maxwell non servono nel ragionamento e perciò non le scriviamo.
Detto questo basta fare i calcoli, iniziamo applicando l’identità di Poynting alla divergenza scritta
prima

Sviluppiamo i prodotti e otteniamo

e semplificando siamo arrivati a dire

Ora integriamo sul volume, applichiamo il teorema della divergenza e otteniamo

e questo è il teorema di reciprocità; ricordiamoci che il versore deve essere uscente dal volume
e poi diciamo pure che i termini che compaiono nell’integrale di volume si chiamano reazione dei
campi sulle correnti.
Si può dimostrare che questo teorema vale anche nel caso in cui il mezzo è normale ma si toglie
l’isotropia e si aggiunge la reciprocità, cioè siccome se il mezzo non è isotropo permittività e
permeabilità sono delle matrici quadrate, la reciprocità vuol dire che le matrici sono simmetriche

Capiamo anche che se il mezzo è isotropo e le matrici si riducono a degli scalari allora abbiamo
anche la reciprocità perché uno scalare è una matrice simmetrica.
Il teorema di reciprocità ha molte applicazioni, per esempio un sottocaso di questo teorema si usa
in elettrotecnica, noi ci concentriamo ora su alcuni casi notevoli di nostro interesse e vediamo che
succede all’integrale di flusso.

248
di CEP o di CMP
Se abbiamo un volume la cui frontiera è di conduttore elettrico perfetto l’integrale di superficie si
annulla perché

Stessa cosa se abbiamo un conduttore magnetico perfetto, in questo caso si ha

e si può lo stesso distribuire il prodotto punto, applicare la permutazione ciclica del prodotto misto
e ottenere delle espressioni in cui compare questo termine che si annulla.
Il ragionamento vale anche se solo una parte della frontiera del volume è di CEP o di CMP, in quel
caso l’integrale si annulla solo su quella parte.

Il volume non contiene le sorgenti


Se non ci sono sorgenti nel volume si annulla l’integrale

Attenzione che questo non vuol dire che non c’è campo, il campo può essere prodotto dalle
sorgenti fuori dal volume. In ogni caso, annullandosi questo integrale abbiamo

Superficie sferica con raggio infinito


Se abbiamo le sorgenti in un dominio limitato nello spazio
possiamo prendere una sfera di centro l’origine degli assi e raggio
che le contiene tutte e possiamo dire che

Questo perché vale la condizione di Silver - Muller per entrambi i


campi dato che le sorgenti sono in un dominio limitato dello
spazio e poi dobbiamo avere un mezzo che sia definitivamente
omogeneo, cioè esiste un intorno dell’infinito in cui il mezzo è
omogeneo; nel nostro caso si ha pure e possiamo scrivere
la condizione all’infinito

Sfruttando questo scriviamo

Ora, per il raggio che va all’infinito, va all’infinito come ma i campi elettrici devono andare a
0 almeno come , siccome abbiamo un campo elettrico moltiplicato per un infinitesimo di

249
ordine superiore a nel complesso l’integrando si annulla con ordine di infinitesimo superiore a
e perciò in conclusione

Il volume contiene tutte le sorgenti


Abbiamo sempre delle sorgenti in un dominio limitato dello spazio,
dunque ci può essere un volume limitato che le contiene: essendo il
volume limitato si può prendere una superficie sferica che lo contiene
e chiamando la sfera si applica il teorema di reciprocità a

dove con si indica la differenza in questi casi e dove

Applicando il teorema di reciprocità si ha

e questo si annulla perché non ci sono sorgenti in . Ora considerando che

possiamo scrivere

Siccome possiamo prendere la superficie sferica grande quanto vogliamo la possiamo fare in
particolare di raggio infinito, per questo il primo integrale si annulla e otteniamo quello che
volevamo dimostrare, cioè

Facciamo attenzione ai versori che abbiamo usato negli integrali, questi sono mostrati nella figura:
ovviamente nell’ultimo integrale non conta se il versore è entrante o uscente tanto viene nullo.

di buon conduttore
Se la frontiera del volume è di buon conduttore possiamo scrivere la condizione di Leontovic

dove la normale deve assolutamente essere entrante nel conduttore, altrimenti la condizione è
sbagliata. Se solo una parte è di buon conduttore si può applicare il ragionamento che ora
facciamo solo a quella parte. Consideriamo

e al posto dei campi possiamo mettere le loro componenti tangenti avendo un prodotto punto per
, lo facciamo solo per il campo elettrico e scriviamo

250
Uguaglianza tra altezza efficace in trasmissione ed altezza efficace in ricezione

Ci proponiamo ora di applicare i risultati trovati con il teorema di reciprocità per dimostrare
l’uguaglianza di altezza efficace in trasmissione ed in
ricezione. Consideriamo la situazione in figura dove
abbiamo un’antenna alimentata da una struttura
guidante, questa struttura è collegata a uno scatolotto di
conduttore elettrico perfetto che contiene le sorgenti e
per semplicità supponiamo che le sorgenti siano solo
correnti elettriche; ci mettiamo alla sezione per poter
parlare di tensione e corrente: questa sezione viene scelta in modo da mettersi lontano dalle
sorgenti per non avere altri modi oltre al fondamentale siccome troppo vicino alle sorgenti c’è la
discontinuità dovuta alla transizione dalle sorgenti alla struttura di CEP, inoltre ci mettiamo anche
lontano dalla discontinuità data dall’attacco della struttura guidante al CEP perché questa
potrebbe non essere di conduttore elettrico perfetto e dunque ci sono
sempre altri modi oltre al fondamentale dovuti alla discontinuità: quando
diciamo lontano sappiamo che intendiamo di qualche dimensione trasversa
in modo che tutti i modi che non sono il fondamentale sono andati in cut-
off. Per ora la sezione può essere considerata
equidistante da sorgenti e discontinuità, dopo vedremo
che non è proprio così perché dobbiamo sceglierla
considerando anche un’altra cosa.
Applichiamo ora un impulso di corrente come vediamo
nella figura che sarà del tipo

dove sarà il vettore posizione generico e è il versore del dipolo che in generale è orientato
arbitrariamente: questa è quella che si chiama una sorgente test. Supponiamo che il mezzo sia
reciproco e applichiamo il teorema di reciprocità al volume che sta fuori al
volume evidenziato nella figura a sinistra, cioè in tutto lo spazio tranne
che in questo volumetto: l’integrale di flusso deve essere esteso alla
frontiera del volume che è quella tratteggiata in figura perché noi stiamo
applicando il teorema di reciprocità ad un volume che è come se fosse
una sfera di raggio infinito a cui abbiamo tolto il volume in figura, siccome
la sfera di raggio infinito ha frontiera nulla la frontiera del volume di
interesse è quella tratteggiata, però dobbiamo notare pure che sulla parte in rosso, che è
conduttore elettrico perfetto, non c’è un contributo e dunque di tutto il flusso rimane

con la normale evidenziata in figura in modo che sia uscente dal volume.
Poi al secondo membro non abbiamo correnti magnetiche, delle correnti elettriche che abbiamo
non sta nel volume e dunque scriviamo

251
dove è il campo prodotto quando è acceso e è spento, l’antenna sta perciò funzionando in
trasmissione: possiamo notare che stiamo mettendo insieme il comportamento in ricezione e
quello in trasmissione grazie al teorema di reciprocità perché poi avremmo anche il campo che
è quello prodotto da quando è spento e siamo in ricezione.
Ora, ricordandoci com’è fatto l’impulso di corrente e applicando il campionamento della delta,
quello che otteniamo è

e notando che su il versore possiamo concludere

Vogliamo scrivere tutto in termini di tensione e correnti, o meglio in termini di e , e per farlo la
prima cosa che dobbiamo fare è scrivere i campi a primo membro in componenti tangenti e lo
possiamo fare grazie al fatto che abbiamo il versore

dove le funzioni vettoriali di modo sono le stesse perché si ottengono dai potenziali e dipendono
solo dalla geometria della sezione, non dipendono dal mezzo che riempie il volume considerato e
nemmeno dall’eccitazione, per questo conviene introdurli nel nostro ragionamento e infatti ora
possiamo scrivere

con

e perciò abbiamo

dove e sono la tensione e corrente alla sezione quando l’antenna opera in trasmissione,
mentre e sono tensione e corrente alla stessa sezione quando l’antenna opera in ricezione e
perciò per far comparire l’altezza efficace in ricezione basta notare che il campo incidente non è
altro che nel nostro caso, inoltre dobbiamo avere la tensione a vuoto e perciò

Per far apparire l’aperto che ci serve alla sezione osserviamo che a questa sezione vediamo
un’impedenza puramente reattiva perché il tratto è senza perdite essendo il conduttore elettrico
perfetto: dato che abbiamo un’impedenza puramente immaginaria possiamo spostarci con la
sezione fino a che quello che vediamo un aperto, in sappiamo che sicuramente lo troviamo un
aperto, e perciò questa è l’altra cosa che bisogna considerare per scegliere dove mettere la
sezione oltre a volere solo il modo fondamentale; capiamo pure l’importanza di aver messo quel
pezzo di CEP, in caso contrario ci sarebbe stata una potenza dissipata sulle pareti.

252
Alla sezione in cui ci siamo messi e perciò otteniamo

dove possiamo scrivere la tensione a vuoto come prodotto punto di altezza efficace in ricezione e
campo alla sezione , cioè

Questo funziona se l’antenna sta sufficientemente lontana dalla trasmittente in modo che quello
che arriva è un’onda piana, perciò possiamo scrivere anche il campo irradiato da in termini di
altezza efficace in trasmissione notando che la corrente di alimentazione in trasmissione è e
otteniamo

A questo punto ci serve , cioè il campo prodotto da un dipolo elementare che è dato
dall’impulso di corrente , sappiamo già il campo magnetico e da questo si ottiene il campo
elettrico facendo il rotore in coordinate sferiche per cui scriviamo

Facendo qualche commento vediamo che all’infinito gli andamenti dei campi sono buoni perché
abbiamo almeno un infinitesimo di ordine pari a , poi per il raggio che tende ad annullarsi si
vede che prevale il campo elettrico sul campo magnetico perché nel campo elettrico ci sono dei
termini e questo ci dice che l’energia immagazzinata è prevalentemente elettrica, cioè il
comportamento di una configurazione con un dipolo elementare per è di tipo capacitivo.
Il campo elettrico si dice che è tutto contenuto nel piano meridiano perché ha solo componenti
lungo e , in zona lontana si vede subito che viene

perché è questo il termine che resta quando il raggio cresce, perciò l’altezza efficace di un dipolo
elementare è

e si capisce perché si chiama altezza efficace, almeno per il dipolo elementare, perché se questo
dipolo lo guardiamo con

è come se questo irradiasse con una lunghezza pari alla sua vera
lunghezza, se ci spostiamo invece, e lo guardiamo da un angolo diverso, la
lunghezza che vediamo è

come è evidente aiutandosi con la figura, dunque vediamo una lunghezza


sempre più piccola che è una lunghezza efficace che ci serve per irradiare in quella direzione.

253
Nel nostro caso

e perciò sostituendo scriviamo

dove i versori che compaiono nella formula sono mostrati nella


figura. Semplificando si ottiene

e ora scegliamo come orientare l’impulso di corrente: infatti fin ora


non abbiamo dato un’orientazione preferenziale per il dipolo
elementare, ora invece vogliamo che il dipolo sia ortogonale alla
direzione di osservazione perché facendo così riusciamo ad ottenere
com’è chiaro guardando la figura che

e abbiamo

Questo non vuol dire che le due altezze sono uguali ma che hanno la stessa componente lungo ,
questo versore ha la limitazione che deve essere ortogonale al raggio vettore che individua il
dipolo elementare, però potendolo variare a piacimento con questa limitazione si può far vedere
che le altezze efficaci hanno le stesse componenti trasverse rispetto alla direzione di
propagazione; per quanto riguarda la componente radiale invece sappiamo che per l’altezza
efficace in trasmissione la componente radiale è nulla perché il campo in zona lontana ha
componente radiale nulla, per l’altezza efficace in ricezione dobbiamo considerare che questa
moltiplica il campo incidente, che è un’onda piana, e questo campo ha componente radiale nulla:
per questo motivo l’altezza efficace in ricezione può avere qualsiasi componente
radiale, in particolare prendiamo quella nulla e in questo modo abbiamo dimostrato

Antenne filiformi

Cominciamo a vedere un altro tipo di antenna semplice, l’antenna filiforme: un


esempio di antenna filiforme l’abbiamo già visto considerando il dipolo
elementare che non è altro che un filo corto rispetto alla lunghezza d’onda
e caricato con due serbatoi di carica agli estremi in modo da garantire che
la corrente circolante nel filo sia costante, una generica antenna filiforme
invece è un filo idealmente di conduttore elettrico perfetto di lunghezza
dove scorre la corrente, di diametro , tagliato, tipicamente ma non sempre, al
centro per realizzare il gap dell’antenna dove poi questa antenna sarà alimentata

254
grazie a una struttura guidante; tagliando il filo si ottengono dunque due armature e queste due
saranno distanti .
I veri morsetti dell’antenna non si pensano mai come i punti di attacco della struttura guidante ma
si considera una sezione della struttura guidante sufficientemente lontana per avere solo il modo
fondamentale. Di solito l’alimentazione avviene tramite coassiale, anche se poi bisogna bilanciare
per non avere un’alimentazione sbilanciata.
L’analisi di questa antenna viene condotta in generale quando il diametro del filo è molto piccolo
rispetto alla lunghezza d’onda, o meglio

la grandezza del gap anche molto piccola

poi anche

e infine

Su questa ultima condizione si può introdurre un parametro detto snellezza che quantifica quanto
è snella l’antenna, di solito infatti conviene farla lunga e sottile, anche se non sempre perché a
volte conviene fare l’antenna un po’ più spessa per guadagnare in banda: noi comunque non
introduciamo questo parametro perché non ci servirà.
Analizziamo meglio le prime due condizioni, il fatto che

vuol dire che la regione del gap deve essere molto piccola rispetto alla lunghezza
d’onda e dunque si può fare l’analisi in regime quasi-stazionario, cioè il gap lo si
può immaginare come se fosse un condensatore a piatti piani e paralleli, siccome
però si vede chiaramente che ci sono effetti di bordo consistenti così come
abbiamo rappresentato in figura, si aggiunge pure l’ipotesi

per limitare questi effetti.


Un’antenna come questa si chiama dipolo, per farne l’analisi come sempre si
calcola la corrente sull’antenna e poi si fa radiare la corrente per capire come
irradia, c’è inoltre bisogno di calcolare l’impedenza di ingresso, si ottiene l’altezza
efficace (in trasmissione o in ricezione che tanto è uguale) e il guadagno; noi non vedremo come si
calcola la corrente che si induce sull’antenna, vedremo solo come si può far radiare in spazio libero
la corrente che si dimostra essere

dove è la costante di propagazione del mezzo in cui è immersa l’antenna e poi


dobbiamo anche dire che la formula è valida per il sistema di riferimento in figura a
sinistra, che è il riferimento proprio di questo tipo di antenne.

255
Ragioniamo in alimentazione centrata, cioè il taglio viene fatto al centro, e poi il sistema degli assi
sta centrato nel gap come abbiamo detto prima, si capisce che la corrente di alimentazione non
è altro che la corrente che sta al centro essendo

Notiamo pure che la corrente si annulla agli estremi perché

Cerchiamo di capire perché è ragionevole che la corrente si annulli agli estremi, infatti in questo
caso non facciamo come per il dipolo elementare dove si mettono i serbatoi di
carica per non far annullare la corrente: consideriamo la parte superiore
dell’antenna guardata dall’alto, poi il ragionamento è analogo per la parte di
sotto, nelle condizioni di simmetria in cui ci siamo messi si capisce che la corrente
al centro del filo deve essere nulla perché tutto il sistema è a simmetria di
rotazione, se allora avessimo una densità di corrente per assurdo come diretta
nella figura a destra, noi potremmo ruotare tutto e dovremmo avere una densità
di corrente che è anch’essa ruotata, però data la simmetria per rotazione
facendo questa cosa non ci si accorge di cambiamenti e allora diventa chiaro
che l’unica densità di corrente che possiamo prendere è quella che ha infinite
direzioni e, dato che in questo caso la densità di corrente non può divergere,
questa può essere solo la densità di corrente nulla, solo in quel
caso ruotando non cambia nulla. La corrente è legata ai campi, in
particolare la densità di corrente elettrica sappiamo che è legata al
campo magnetico, ma spostandoci su tutta la faccia questo non
varia perché abbiamo un oggetto piccolo rispetto alla lunghezza d’onda e siamo
dunque nel caso quasi-stazionario: essendo la corrente indotta invariante su questa
sezione, vuol dire che su tutta la faccia la corrente è praticamente nulla, è nulla cioè
fino a quando questa faccia è piccola rispetto alla lunghezza d’onda perché non si
riesce ad accumulare la carica che sta salendo da sotto. Allora anche la densità
corrente che sta salendo quando arriva al top dell’antenna deve essere nulla perché
non può passare per il top e scendere di nuovo, inoltre siccome il diametro dell’antenna è piccolo
rispetto alla lunghezza d’onda possiamo pensare che la densità di corrente, che starebbe
scorrendo sul bordo perché abbiamo un conduttore elettrico perfetto, è come se stesse scorrendo
al centro dato che il filo è praticamente infinitesimo e possiamo dunque scrivere

Tutto questo è approssimato, le approssimazioni sono però abbastanza buone nelle condizioni in
cui ci siamo messi e per questo possiamo calcolarci l’altezza efficace:

dove nell’ultimo passaggio abbiamo applicato la proprietà di campionamento della delta di Dirac e
abbiamo ottenuto per questo la corrente calcolata per che moltiplica l’integrale che varia

256
lungo : come al solito vediamo che la corrente di alimentazione se ne va e infatti l’altezza efficace
non dipende dall’eccitazione.
Nell’espressione che stiamo trattando abbiamo il prodotto vettoriale

e possiamo scrivere questo perché i versori sono reali,


dunque basta fare il prodotto dei moduli per il seno
dell’angolo compreso e metterci il versore opportuno
che si capisce qual è guardando la figura, poi abbiamo

e si ha pure

sempre grazie al fatto che i versori sono reali.


Con questi risultati scriviamo l’integrale come

Dobbiamo fare quest’integrale, prima di tutto ci scriviamo l’esponenziale con le formule di Eulero
e quello che abbiamo è

L’integrando è fatto da

che è una funzione pari in perché si può vedere facilmente che questa funzione ha un
andamento simmetrico rispetto all’asse delle ordinate, poi abbiamo a moltiplicare un coseno che è
pari e un seno che è dispari in per cui, siccome stiamo integrando su un intervallo simmetrico
rispetto all’origine, il pezzo

non dà contributo e ci resta da risolvere

che essendo l’integrale di una funzione pari su un intervallo simmetrico rispetto all’origine, è
uguale a

così grazie a questo ci siamo tolti il valore assoluto.


Per risolvere questo integrale usiamo le formule di Werner, cioè

e otteniamo

A conclusione di questo ragionamento possiamo scrivere

257
L’integrale da risolvere è del tipo

e allora si ha

Questa è l’espressione dell’altezza efficace, di solito l’antenna filiforme si utilizza a così


da avere

per cui l’espressione dell’altezza efficace diventa

In generale l’andamento di corrente su un’antenna a è fatto come


mostrato nella figura a lato, dove sull’asse delle ascisse abbiamo il valore
della corrente e sulle ordinate la , perché basta prendere

e graficando si vede che viene questa curva, se l’antenna è via via più lunga si capisce che la
corrente comincia ad oscillare sull’antenna.
Il vantaggio di un’antenna di questo tipo è che

e se connettiamo una struttura guidante con piccole perdite, andando ad adattare abbiamo già un
carico reale, non c’è bisogno di eliminare la parte immaginaria, dobbiamo adattare solo la parte
reale se ce ne fosse bisogno: questo è un bel vantaggio perché in generale il circuito di
adattamento stringe la banda e aumenta le perdite, per questo quanto meno dobbiamo adattare
meglio è. Inoltre l’antenna a ha un’irradiazione massima alla sezione e ha un buon
comportamento in termini di impedenza: il
comportamento in termini di impedenza si può
vedere dalla figura, quando è corto rispetto alla
lunghezza d’onda, cioè quando l’antenna è corta,
è piccolo e la resistenza di ingresso è molto
piccola: questo è uno svantaggio perché in
generale se abbiamo adattato, e considerando
che nel caso ideale , la potenza in

258
ingresso deve essere trasferita tutta in potenza irradiata, siccome è

se la resistenza di irradiazione è piccola, perché coincide con questa resistenza di ingresso,


dobbiamo avere una corrente di alimentazione molto alta per trasferire la potenza desiderata e
questo vuol dire che nell’adattamento non ci abbiamo guadagnato perché abbiamo forti perdite
che saranno espresse da un valore alto della resistenza ohmica .
Dalla figura poi vediamo un caso in cui si annulla la reattanza e lì la resistenza di ingresso vale circa
, in questo punto la lunghezza dell’antenna è : non avendo la parte immaginaria abbiamo
già detto che è un bel vantaggio e si vede che in queste condizioni l’antenna irradia come irradiava
un dipolo elementare, è massima l’irradiazione nella direzione e ha un nullo nella
direzione dell’asse, cosa che concorda con il fatto che il campo lontano sulla direzione dell’asse di
un filo deve essere sempre nullo. Andando avanti nel diagramma vediamo che c’è un altro nullo
della reattanza e si potrebbe pensare di fare un’antenna di quella lunghezza, però in generale si
vede che non conviene perché facciamo solo un’antenna più lunga senza guadagnarci.
Un caso di interesse che vogliamo trattare è quello in cui l’antenna è corta rispetto alla lunghezza
d’onda e non si tratta di un dipolo elementare perché in questo caso la corrente agli estremi si
annulla, cosa che nel dipolo elementare non succede, infatti in questo caso parleremo di dipolo
corto: iniziamo a vedere quanto vale l’altezza efficace nel caso in cui abbiamo un dipolo corto, cioè
quando

in questo caso possiamo approssimare seno e coseno con lo sviluppo in serie perché gli argomenti
di seno e coseno nel nostro caso sono o o dove è un angolo reale e quindi il coseno è
limitato ed è in modulo al massimo unitario: sfruttiamo allora che

e otteniamo

Vediamo che questa espressione dell’altezza efficace è diversa da quella del dipolo elementare
che è

perché mentre è la lunghezza del dipolo elementare, è la semilunghezza del dipolo corto:
questa cosa si spiega pure vedendo che nel caso di un dipolo elementare la corrente è costante su
tutto il dipolo, nel caso del dipolo corto la corrente è

e abbiamo potuto fare l’approssimazione anche a numeratore perché

259
perciò

Facendo così otteniamo

il cui andamento si capisce subito se ci aiutiamo con la figura a lato e


capiamo anche che la lunghezza che viene nell’altezza efficace è la
metà perché qua la distribuzione di corrente è triangolare mentre su
un dipolo elementare sappiamo che è costante. Mentre dunque il
dipolo elementare sfrutta tutta la lunghezza per irradiare, il dipolo
corto non la sfrutta tutta perché in prossimità di la corrente
sta scendendo e l’antenna non irradia.

Spira elementare

Consideriamo un’altra antenna comune che è la spira elementare o spira di corrente: la spira di
corrente è un filo nella forma di circonferenza di raggio
percorso da una corrente , noi la immaginiamo nel
piano e poi vediamo dalla figura che ci sono anche
due morsetti ai quali si attaccherà la struttura guidante.
Siccome vogliamo che la corrente su questo filo, o loop,
non vari, dobbiamo fare l’ipotesi di raggio molto piccolo
rispetto alla lunghezza d’onda

Ci vogliamo calcolare il campo irradiato, tutto il campo


non solo quello in zona lontana, perciò vogliamo
ottenere il potenziale vettore dal quale ottenere i campi;
come prima cosa ci dobbiamo scrivere la densità di
corrente, in questo caso si può far vedere che questa è
solenoidale, la cosa per noi è intuitiva perché i campi
solenoidali hanno linee di forza chiuse e in questo caso la linea di
campo è chiusa: sapendo questa cosa, una volta calcolato il
potenziale vettore possiamo andare contemporaneamente in gauge
di Lorentz e in gauge di Coulomb e allora

La densità di corrente si scrive come

perché ci dice che la corrente sta su una superficie sferica,


avendo messo pure la vuol dire che siamo alla sezione ,
dunque in un piano, e l’intersezione tra piano e superficie sferica è la

260
circonferenza che ci serve, poi abbiamo messo l’ampiezza e la direzione grazie al versore.
Per calcolare il potenziale vettore associato a questa densità di corrente usiamo la formula che
conosciamo dove è il modulo del raggio vettore del punto sorgente mentre è il modulo del
raggio vettore del punto campo

Per fare il conto aggiungeremo anche l’ipotesi che siamo lontani dalla spira

il ché non vuol dire che siamo in zona lontana ma solo che non siamo dentro la spira, né molto
vicino ma a una distanza sufficiente.
Sfruttando com’è fatta la densità di corrente scriviamo

e conviene cambiare le coordinate, invece di integrare in


integriamo in : per fare questo cambio abbiamo

poi diciamo pure che varierà in mentre il raggio varierà in


e per questo otterremo

Con questo cambio di variabili si vede subito che la delta campiona e dobbiamo mettere
per cui possiamo scrivere

Ci calcoliamo il modulo

Abbiamo scritto il modulo in questo modo perché vogliamo approssimare questa quantità
sfruttando l’ipotesi e infatti, iniziamo a scriverci

che sfruttando una formula già vista, cioè

applicabile se perché questo non è altro che uno sviluppo in serie di Taylor, otteniamo

Poi lo stesso facciamo per approssimare il termine che compare ad esponente

261
Vogliamo sempre approssimare al termine lineare, però qui c’è un problema perché

è un infinitesimo di ordine , non è di ordine superiore, e non lo possiamo togliere: si può però
notare che

e ora abbiamo un termine che è di secondo ordine nel prodotto di e perché se sfruttiamo
sia che che , per cui se è piccolo pure è piccolo, questo termine è
trascurabile nell’espressione essendo

e cioè il secondo addendo è già del secondo ordine e a noi serve l’ordine fino al primo.
Allora abbiamo:

e sviluppando pure l’esponenziale rimasto scriviamo

dove ci arrestiamo a questo ordine perché contiene e dunque questo secondo addendo è già
un termine del primo ordine. L’integrale diventa:

Nella parentesi quadra è comparso un termine del secondo ordine perché abbiamo

e perciò lo trascuriamo così da avere

Dividiamo l’integrale in due parti e abbiamo prima da risolvere

che viene zero perché, aiutandoci con la figura, se sommiamo al variare di


stiamo integrando su tutta la spira ed abbiamo dunque la somma di contributi uguali
e opposti che si annullano a due a due, perciò l’integrale diventa

262
Il potenziale vettore rimasto lo scriviamo come

Concentriamoci solo sull’integrale che ci è rimasto da risolvere e iniziamo a


capire quanto vale il prodotto scalare . Aiutandoci con la figura a lato
possiamo vedere quali sono le proiezioni sull’asse del versore : è semplice
capire innanzitutto che la proiezione sull’asse è pari al modulo del versore, che
è unitario, per il coseno dell’angolo compreso tra il versore e l’asse che è , poi
per vedere quanto valgono le proiezioni sugli assi e
dobbiamo prima proiettare nel piano e abbiamo che
questa proiezione è lunga dopodiché è facile ottenere le
proiezioni sugli assi moltiplicando rispettivamente per e
e in conclusione allora

Questo è il versore scritto in termini di coseni direttori, cioè in


termini delle componenti del versore che si scrivono come seni e coseni
perché il modulo del versore è unitario.
È facile ottenere anche

ma questo versore sta tutto nel piano perché la spira sta in questo piano e perciò e si
ottiene subito

Il prodotto scalare tra i due, che è quello che ci serve, sarà

Ora dobbiamo scrivere in coordinate cartesiane anche , ci aiutiamo con la figura a lato e
capiamo subito che è

Ci scriviamo l’integrale che ora è diventato

Abbiamo da fare questi due integrali, sfruttiamo le formule di Werner così


da scriverci

e integrando questa prima quantità si ha

263
perché il primo addendo non dipende dalla variabile di integrazione e viene dunque moltiplicato
per l’intervallo di integrazione, il secondo addendo è un seno a pulsazione doppia rispetto alla
variabile di integrazione e integrato su un periodo non dà contributo; un ragionamento analogo
facciamo con

e integrando questa quantità si ha

In conclusione abbiamo trovato

Abbiamo dunque il potenziale vettore che è

e ricordiamoci che questo non è il potenziale in zona lontana, cosa che si può capire pure vedendo
che in questa espressione compaiono termini in e non solo in .
Abbiamo anche già detto che riusciamo ad andare contemporaneamente in gauge di Coulomb e in
gauge di Lorentz e per questo possiamo scrivere il campo elettrico come

e notiamo che mentre nel dipolo il campo elettrico è diretto come qui, per la spira, è diretto
come . Da questo campo otteniamo il campo in zona lontana trascurando gli infinitesimi di
ordine superiore al primo e si vede subito che è

e poi, aggiustandoci un po’ il risultato, risuciamo a mettere in evidenza quanto vale l’altezza
efficace, perciò scriviamo

dove

e allora il campo è scritto nella forma

dove l’altezza efficace è

che è una quantità che non dipende da , varia solo con in modo analogo al dipolo
elementare solo che quest’ultimo ha il campo elettrico che va come mentre qui il campo
elettrico va con ; un’altra analogia che possiamo notare, e che ci serve a ricordare meglio
l’altezza efficace della spira, è che qui compare l’area della spira mentre nel dipolo compare la sua
lunghezza.
264
Questo campo elettrico in zona lontana ci ricorda il campo magnetico in zona lontana di un dipolo
elementare perché è un oggetto tutto lungo che va come e ed è come se campo
elettrico e magnetico si fossero scambiati di ruolo: questo non è un caso perché esiste a riguardo
un notevole teorema chiamato teorema di dualità che trattiamo nel prossimo paragrafo.

Teorema di dualità e teorema di equivalenza di Ampere

Consideriamo le equazioni di Maxwell

o meglio ci bastano la prima e la seconda, le altre due in questo ragionamento non servono,
possiamo scambiare campo elettrico e magnetico con questa trasformazione di dualità

e si ha

Ora basta aggiustare le espressioni e quello che otteniamo è

e cioè abbiamo trovato un campo che soddisfa ancora le equazioni di Maxwell solo che invece di
avere una densità di corrente elettrica ora abbiamo una densità di corrente magnetica; se
considerassimo pure le equazioni con le divergenze si potrebbe vedere che anche in quel caso la
trasformazione di dualità funziona e dunque abbiamo ottenuto questo risultato che va appunto
sotto il nome di teorema di dualità o talvolta principio di dualità.
Nel nostro caso possiamo dire che se abbiamo una spira, che nella figura è quella
in rosso, questa è equivalente a un dipolo magnetico, che vediamo in verde, cioè
un pezzetto di filo in cui scorre corrente magnetica: questo va sotto il nome di
teorema di equivalenza di Ampere, sapendo questo risultato è inutile fare tutto il
conto che ci siamo fatti per trovare il campo prodotto dalla spira, bastava partire
dal campo prodotto del dipolo e applicare le trasformazioni di dualità.

265
Teorema delle immagini

Dobbiamo enunciare, senza dimostrare, un ultimo teorema che ha importanti applicazioni


pratiche ed è quello che si chiama teorema delle immagini: consideriamo la situazione in figura,
abbiamo un piano di conduttore elettrico perfetto che
tipicamente si chiama piano di massa e sopra questo piano
abbiamo due dipoli elementari, il primo disposto
verticalmente e il secondo orizzontalmente: il teorema
delle immagini ci permette di eliminare questo piano di
conduttore elettrico perfetto in quanto è un problema
quando si devono studiare le antenne e con il CEP non
possiamo dire che irradiano in spazio libero, inoltre questo
teorema ci permette anche di modellare dei fenomeni che ora vediamo meglio.
L’enunciato del teorema delle immagini è che alla situazione descritta si può sostituire una
situazione equivalente in cui non c’è il conduttore elettrico
perfetto e simmetricamente al piano che era fatto di CEP si
dispongono dei dipoli elementari dove l’orientazione della
densità di corrente elettrica è la stessa se il dipolo è disposto
verticalmente, è opposta se è disposto orizzontalmente: questo
enunciato è sintetizzato bene in figura. Diciamo pure che nel caso
in cui invece di avere densità di corrente elettriche abbiamo
densità di correnti magnetiche, cioè se abbiamo dipoli magnetici,
si ha che a un dipolo verticale corrisponde un dipolo verticale
simmetrico in cui la densità di corrente magnetica ha verso
opposto, se il dipolo è messo orizzontalmente invece il dipolo
simmetrico avrà la stessa orientazione di corrente.
Il teorema delle immagini serve anche per modellare, in modo
molto approssimato, l’effetto del suolo che si ha quando
un’antenna opera perché dobbiamo considerare che non c’è mai
una propagazione in spazio libero, oppure il teorema delle
immagini può essere anche sfruttato per riuscire a fare
un’antenna che sia la metà della lunghezza che effettivamente serve sfruttando in modo
opportuno un piano di conduttore elettrico perfetto.

Area efficace

Definiamo ora un ultimo parametro che è di interesse per quanto riguarda le antenne in ricezione
e questo è l’area efficace, un parametro che ci permette di capire quanta potenza arriva su un
antenna se conosciamo la densità di potenza che sta arrivando, cioè si definisce come

266
Diciamo subito che in principio l’area efficace non ha niente a che vedere con l’area fisica
dell’antenna. Dobbiamo discutere meglio la definizione, in particolare dobbiamo capire perché si
scrive che il prodotto dell’area efficace per la densità di potenza è pari alla potenza massima
dissipata sul carico: in verità quello che è di interesse non è la potenza che l’antenna riesce a
raccogliere ma quella che riesce a dissipare sul carico ad essa
collegato, perché della potenza che l’antenna raccoglie ce n’è una
parte che viene trasferita al carico ma anche una parte che viene
irradiata a sua volta dall’antenna stessa; quanta potenza si dissipa
sul carico dipende da che carico abbiamo, se consideriamo la
situazione in figura che descrive l’antenna con un generatore
equivalente e poi abbiamo ad essa collegata il carico, la potenza
che si dissipa su questo carico è

e si vede chiaramente la dipendenza dall’impedenza di carico: viene subito da scegliere un carico


che sia adattato al generatore, in questo caso diciamo pure che è adattato in potenza, e cioè
prendiamo

e la potenza dissipata sul carico sarà

In questa potenza è scomparsa la dipendenza dal carico e la potenza che riusciamo a dissipare su
questo carico è la massima disponibile al generatore, però non è ancora la massima in assoluto
perché si può fare ancora qualcosa per aumentare il modulo della tensione a vuoto: sappiamo che

e per aumentarlo viene subito in mente di aumentare il modulo del campo incidente, cioè di fare
in modo che il campo che arriva sia di intesità maggiore, però questa è una cosa che non vogliamo
fare perché dobbiamo riuscire ad ottimizzare la situazione con il campo incidente dato, cioè per
noi il campo incidente deve essere già fissato perché non c’è niente di straordinario
nell’aumentare il modulo di questo campo che arriva per aumentare la tensione, la vera
ottimizzazione è quella di sfruttare al meglio il campo che sta arrivando: allora ci ricordiamo della
disuguaglianza di Schwartz, o Cauchy-Schwartz, per il prodotto scalare che è

e vale proprio l’uguale quando i due vettori sono proporzionali

Notiamo che non stiamo mettendo i segni sotto le lettere per indicare che abbiamo dei vettori
perché questa disuguaglianza vale per uno spazio vettoriale generico e dunque è limitativo
sottosegnare le lettere per indicare che sono i vettori con cui lavoriamo di solito.
Questa disuguaglianza si può applicare nel nostro caso scrivendo:

e se

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allora la disuguaglianza vale proprio con l’uguale. Per massimizzare la tensione a vuoto allora ci
dobbiamo mettere anche in condizione nel quale l’altezza efficace è proporzionale al coniugato del
campo che sta incidendo e questa si chiama adattamento in polarizzazione: l’area efficace allora
si definisce nel caso in cui abbiamo adattamento in potenza e adattamento in polarizzazione.
Tutto il ragionamento funziona se il campo incidente è localmente piano quindi dobbiamo stare
sempre attenti a quando sfruttiamo il concetto di area efficace; inoltre capiamo la ragione fisica
per cui compare il coniugato sul campo incidente nella condizione di adattamento in
polarizzazione: per avere un’idea facciamo un esempio, se il campo inviato è in polarizzazione
circolare ad esempio sinistrorsa, mettendoci dal punto di vista della ricevente noi vediamo un
campo che sia in polarizzazione circolare ma destrorsa e perciò compare il coniugato.
Avendo introdotto anche l’area efficace concludiamo vedendo qualche relazione di interesse tra i
vari parametri introdotti per un’antenna, iniziamo a legare direttività, resistenza di irradiazione e
altezza efficace e consideriamo

dove non abbiamo messo il limite perché abbiamo scritto tutto direttamente con il campo in zona
lontana, in questa espressione abbiamo

e poi

per cui sostituendo abbiamo

Questa relazione si usa scriverla come

e conviene ricordarla così perché conosciamo la direttività e l’altezza efficace nei riferimenti propri
per alcune antenne elementari che sono

e perciò per queste antenne possiamo ottenere subito la resistenza di irradiazione.

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Si può ottenere anche subito un’altra relazione che coincolge il guadagno invece della direttività
perché basta considerare che il guadagno ha la potenza in ingresso invece della potenza irradiata
nella sua espressione e perciò arriviamo a dire

e dunque invece della resistenza di irradiazione calcoliamo la resistenza in ingresso.


In entrambi i casi non sappiamo quanto vale la parte immaginaria dell’impedenza dunque stiamo
attenti che non conosciamo, con queste formule, tutta l’impedenza ma solo la sua parte reale:
fortunatamente in generale non serve sapere tutta l’impedenza perché se siamo in adattamento
in potenza sappiamo che la formula della potenza richiede solo la resistenza.
Un’ultima relazione è quella che lega guadagno e area efficace: ci scriviamo l’area efficace come
rapporto tra la potenza dissipata sul carico in adattamento in potenza e la densità di potenza

e poi sfruttiamo che per la definizione di area efficace siamo anche in adattamento in
polarizzazione per cui se ne ricava

dove la densità di potenza si scrive in questo modo perché ci dobbiamo ricordare che l’area
efficace si definisce se il campo incidente è un’onda localmente piana, per noi anche omogenea, e
poi siamo sempre in assenza di perdite, per cui la densità di potenza non dipende dalla direzione
dalla quale sta arrivando l’onda. La relazione di interesse, perché è molto semplice da ricordare è

che si scrive di solito come

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