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Corriere della Sera, 26 Giugno 1928

Béla Kun sarà giudicato oggi


Perché la negata l’estradizione
Vienna, 2 giugno, notte

(a.b.) Ufficialmente si comunica che il Governo austriaco ha deciso di rispondere negativamente


alla domanda di estradizione di Béla Kun avanzata dal governo ungherese. Il comunicato ricorda
che la richiesta di estradizione fu presentata in base a un mandato di cattura, dovendo l’ex-
commissario del popolo rispondere di delitti considerati dalle autorità ungheresi come comuni e non
politici. La richiesta ungherese è stata esaminata in tre istanza: Tribunale provinciale, Tribunale
superiore e Ministero della Giustizia. I due primi, sia pure con diverse motivazioni, non ha avevano
proposto di concedere l’estradizione, ma il Ministero della Giustizia non ha creduto di accogliere
tale proposta

La tesi del delitto politico


Nella motivazione del rifiuto è detto che il Ministero ha esaminato anzitutto se le azioni criminose
dell’imputato Béla Kun abbiano avuto cause o scopi politici. Dalla stessa domanda di estradizione
non risulta che l’accusato abbia agito per ragioni personali, per odio o per vendetta; mente appare
possibile che mirasse a scopi politici e cioè a reprimere presunti o reali movimenti
controrivoluzionari e rafforzare così la Repubblica dei Consigli. In ogni caso non risulta che abbia
agito per motivi o per scopi di altra natura: e tanto meno risulta che i delitti abbiano carattere
comune. Sebbene l’uccisione del due ufficiali ucraini e del capitano Mildner sia stata commessa con
particolare brutalità e atrocità, non è dimostrato – dice sempre la motivazione – che Béla Kun abbia
esercitato una influenza anche sul modo della esecuzione.
Se il rifiuto era previsto, altrettanto non si può dire della sua motivazione. Lo rileva la stessa
ufficiosa Reichspost la quale scrive ironicamente che l’illustre detenuto può ringraziare il ministro
della Giustizia austriaco se non cadrà nella mani dell’autorità ungheresi: secondo il diritto e secondo
la legge, Béla Kun avrebbe dovuto essere consegnato all’Ungheria, ma la politica non lo permette.
Il processo contro l’ex-dittatore accusato di avere costituito in Austria una società segreta, di aver
dato alla Polizia false generalità e di avere violato il decreto di espulsione, e contro i suoi complici
Giorgio Mayerhofer e signorina Ilona Brauer, si inizierà domattina davanti al Tribunale del primo
distretto presieduto dal giudice Czerny. I tre accusati saranno difesi dagli avvocati Rosenfeld,
Schönhof e Skrein. L’accusa sarà sostenuta dal procuratore di Stato dott. Schwartz.
Il voluminoso atto d’accusa ricorda come Béla Kun, venuto in Austria nel 1919 dopo il crollo della
repubblichetta sovietica ungherese, venisse espulso per sempre il 15 luglio 1920 per ragioni di
ordine pubblico. Egli si recò a Mosca dove gli furono assegnati importanti incarichi militari; in
seguito si occupò di propaganda comunista all’estero e rimase nello stesso tempo a capo del
movimento comunista in Ungheria. Il partito comunista ungherese fu sciolto e proibito, ma continuò
a sussistere attraverso un comitato centrale diretto da Béla Kun e del quale facevano parte i più
intraprendenti emigrati russi.

L’attività dell’ex-dittatore

Il comitato trasferì la sua sede a Vienna nel 1927. Esso teneva tre sedute plenarie ogni anno,
preparate da una “Commissione per l’estero” presieduta dall’ex-dittatore. Dal materiale sequestrato
(lettere, protocolli, appunti) e tradotto accuratamente risulta che Béla Kun esercitava una
straordinaria influenza sui comunisti ungheresi e sbrigava quasi da solo il lavoro di propaganda. Il
comitato, a sensi legge, costituisce una società segreta. Inoltre le sue manifestazioni avvenivano
sotto il manto di formule convenzionali: i suoi membri erano chiamati con falsi nomi.
In un promemoria contenente «istruzioni per il lavoro illegale», è detto fra l’altro: «Per i colloqui
servitevi di locali sempre diversi: accertate che i muri non abbiano orecchi; nei luoghi pubblici
mettetevi in modo da non essere ascoltati». A Vienna l’associazione cominciò a funzionare nel
1927. Béla Kun, nonostante la espulsione, fu ripetutamente nella capitale austriaca nei mesi di
agosto e dl settembre, sotto falso nome, facendosi fra l’altro chiamare ingegnere Giuseppe Wagner.
A eccezione del Mayerhofer che ha ammesso di avere affittato i locali di aver affittato i locali di un
suo piccolo magazzino di coloniali a Béla Kun, gli altri arrestati, fra cui certi Szekely e Lukács,
assolti in istruttoria, hanno rifiutato di fornire particolari sull’attività dell’associazione. Béla
Kun per parte sua ha dichiarato di essere venuto e Vienna «per dedicarsi a una organizzazione
politica e a lavori letterari». La scoperta dell’associazione comunista avvenne il 26 aprile. Gli
accusati hanno quindi già scontato due mesi di carcere preventivo. La pena prevista per i reati loro
imputali va da 3 a 12 mesi per quanto riguarda Béla Kun e da 1 a 3 mesi per i suoi complici.
In considerazione delle voci che attribuiscono ai comunisti l’intenzione di liberare l’ex-dittatore con
la violenza, le autorità prendono severe misure dando disposizioni perché l’edificio del Tribunale
sia convenientemente vigilato dalla forza pubblica. Tutti coloro che entreranno nell’aula saranno
perquisiti a eccezione naturalmente dei rappresentanti delle missioni straniere. In realtà solo pochi
privilegiati potranno assistere al dibattimento perché la stanza del Tribunale è piccola e lo spazio
riservato al pubblico può contenere soltanto una ventina di persone.

L’Ungheria farà un altro passo?

Stasera si è svolto in un locale della Maria Hilferstrasse un comizio comunista, trascorso senza
incidenti. L’interesse per il processo è enorme avendo Béla Kun preannunziato che intende tenere
un grande discorso sulla posizione odierna del bolscevismo. In questo caso, però, il tribunale
ordinerà il proseguimento del dibattito a porte chiuse. La sentenza si avrà probabilmente entro
domani sera.
Non si sa ancora quale sarà la sorte di Béla Kun dopo il processo e la eventuale espiazione della
pena. L’Ungheria sembra farà un altro passo presso il Governo austriaco.
L’ex-dittatore non può invocare dall’Austria, contrariamente a quanto affermano i giornali di
estrema sinistra, il diritto di asilo essendo penetrato nel territorio della Repubblica austriaca
violando un decreto di espulsione e non in qualità di rifugiato politico, bensì per cospirare contro la’
legge dei paese che involontariamente lo ospitava.
«Il diritto di asilo – scrive a questo proposito la Reichspost – non sembra che c’entri per nulla. Se il
Ministero della Giustizia non ha accolto la domanda di estradizione, ciò dimostra soltanto con quale
scrupolosità il Governo federale si sforzi di evitare anche l’apparenza di un provvedimento
inumano». Se la Germania non dovesse accordare a Béla Kun il permesso dl passaggio sul territorio
tedesco, si pensa negli ambienti comunisti di far venire un aeroplano dalla Russia che riporterebbe
Bela Sua a Mosca.

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