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Bartok visto da Lukács

«Rinascita-Il contemporaneo», n. 43, 30 ottobre 1970

Caro direttore, bellissimo, forse, l’articolo di Giorgio Lukács sul Contemporaneo (Rinascita n. 37):
ma è un articolo che si stenta a ritenere datato 1970. Potrebbe essere stato scritto vent’anni fa. Come
può stabilirsi la grandezza storica di un musicista senza entrare, sia pure con minima competenza,
nel merito della sua musica? Può la valutazione sociologica di un prodotto dell’arte concepirsi
ancora come compito di profani? Non può dirsi nemmeno che lo scritto di Lukács operi una
«profanazione» dialettica della musica di Bartók: la scorciatoia sociologica che il grande e vecchio
Lukács ci indica non è una falsa scorciatoia? Non conduce a un falso traguardo critico? La musica
di Bartók non resta sempre oltre il termine di quel discorso? Sarei grato di una risposta di
Pestalozza.

Cordiali saluti.

Gianpaolo Spina
Bologna

***

Credo inutile sottolineare la sempre straordinaria capacità di Lukács di collocare una figura, in
questo caso di musicista, nel quadro storico-sociale della sua epoca, ovvero di inserirlo nell’arco dei
problemi culturali del suo tempo. Detto questo, le tue osservazioni mi pare vadano nella direzione
giusta. Da una parte, direi, si sente dietro il discorso di Lukács la mancanza di autentiche
conoscenze musicali, non solo tecniche. Voglio dire che gli manca una visione completa e
complessa di che cosa è stata ed è la musica del ’900, di dove si colloca veramente il punto nodale
del suo sviluppo e del suo rapporto critico con il mondo borghese e il capitalismo. Ciò non emerge
tanto o soltanto dal giudizio schematico, che viene dato su Schoenberg e la dodecafonia, ma direi
proprio da una carenza di approfondimento dell’opera bartokiana sul piano musicale. Cioè la
sopravvalutazione di Bartók nel disegno della musica contemporanea mi pure nasca proprio dal
fatto che non viene visto dove Bartók è davvero grande, importante e significativo. Non nel
semplice rapporto con il canto popolare, che semmai rischia di essere un rapporto particolare,
chiuso nella situazione specifica, e anche regressivo, se così inteso; ma nel come, nella musica
Bartókiana, il canto popolare diviene struttura stessa della crisi del linguaggio colto, tonale. Qui, e
bisognerebbe analizzare prima di tutto il problema del ritmo, per esempio, sta il nucleo della
contemporanea critica di Bartók al populismo musicale (cioè uso populistico del folklore) e
all’esotismo estetizzante delle avanguardie borghesi fuggite dalle proprie responsabilità e rifugiatesi
nel folklore (con tutto, ed enorme, rispetto, Stravinski stesso). Allora d’altra parte, si coglie
l’intreccio fra Bartók e l’avanguardia europea più avanzata, quella schoenberghiana, e si vede come
in maniera uguale e contraria l’uno e l’altro hanno vissuto e affrontato l’alternativa sociale,
distruttiva, dell’alienazione. Salvo poi entrare nel merito delle proposte e prospettive fornite.
Insomma sono d’accordo con te che è una questione di metodo, e pur convinto che il saggio di
Lukács offra un contributo o forse soprattutto costituisca uno stimolo importante, credo anch’io che,
come dici, la musica di Bartók resta sempre oltre il termine del suo discorso.
Luigi Pestalozza

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