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Dispense di

FINANZA AZIENDALE

– Edizione 2019 –

a cura di
MASSIMO B eS R
ELCREDI ILVIA IGAMONTI

Milano 2019
 EDUCatt - Ente per il Diritto allo Studio Universitario dell’Università Cattolica
© 2019
Largo Gemelli 1, 20123 Milano - tel. 02.7234.22.35 - fax 02.80.53.215
e-mail: editoriale.dsu@educatt.it (produzione); librario.dsu@educatt.it (distribuzione)
web: www.educatt.it/libri
 
Edizione realizzata a scopo didattico. L’editore è disponibile ad assolvere agli obblighi di copyright per i materiali eventualmente utilizzati all’interno della pubblicazione per i quali non sia
stato possibile rintracciare i beneficiari.
INDICE

Il programma del corso

LETTURE
Lettura n. 1
Due indicatori di valutazione:  il rapporto prezzo/utili e il rapporto valore  di
mercato/valore di libro del patrimonio netto
Lettura n. 2
L’utilizzo dei dati contabili in finanza aziendale;  i prospetti dei flussi finanziari
Lettura n. 3
Le implicazioni della teoria della diversificazione e del capm per la gestione
d’impresa
Lettura n. 4
Le scelte di struttura finanziaria; gli effetti dei costi  di transazione e della
preferenza per l’ordine gerarchico  di attivazione delle fonti di finanziamento

PRESENTAZIONI
Presentazione 1
Introduzione alla finanza aziendale
Presentazione 2
Il valore di un’obbligazione
Presentazione 3
Il valore di un’azione
Presentazione 4
Criteri di valutazione degli investimenti
Presentazione 5
L’utilizzo dei dati contabili  nella finanza aziendale: introduzione
Presentazione 6
Prospetti dei flussi finanziari
Presentazione 7
“Rossi e Guarneri SpA”
Presentazione 8
Come calcolare un prospetto dei flussi attesi?
Presentazione 9
Interpretazione dei prospetti dei flussi finanziari
Presentazione 10
Flussi e procedimenti di valutazione
Presentazione 11
Introduzione a rischio e rendimento
Presentazione 12
Dalla frontiera efficiente all’equilibrio di mercato
Presentazione 13
Decisioni di finanziamento (struttura finanziaria)
Presentazione 14
Decisioni di finanziamento (struttura finanziaria)
Presentazione 15
Decisioni di finanziamento (struttura finanziaria)  mm e le imposte sui redditi
societari
Presentazione 16
MM e formule di valutazione
 
IL PROGRAMMA DEL CORSO

Premessa
Questa presentazione del programma illustra in dettaglio i vari argomenti svolti
durante il corso. Per ciascun punto del programma vengono indicati i capitoli di
riferimento del Manuale (“Corporate Finance” di Ross-Hillier-Westerfield-Jaffe
(R-H)), alcune letture aggiuntive e le Presentazioni usate a lezione (sia le letture che
le presentazioni sono riportate nella presente dispensa).
Lo studio ottimale della materia comporta – oltre che la frequenza assidua alle lezioni
– la lettura tempestiva (ossia graduale, in contemporanea alle lezioni) e combinata di
tutti i supporti didattici utilizzati (Manuale, Letture, Presentazioni), che sono –
ovviamente – tra loro complementari e non sostitutivi l’uno dell’altro. È assai utile
accompagnare frequenza e studio dei singoli punti del programma con lo svolgimento
– sempre graduale – degli esercizi a fondo capitolo del Manuale (per i capitoli indicati
relativamente a ciascun punto del programma) e dei temi d’esame di anni passati –
disponibili su Blackboard con le relative soluzioni – che saranno di volta in volta
indicati dal docente.

0. Introduzione alla Finanza Aziendale


L’approccio alla Finanza Aziendale richiede il possesso preliminare di talune nozioni
di base sulle decisioni dell’investitore, sul funzionamento dei mercati finanziari e sul
ricorso a tali mercati da parte delle imprese.

Testi di riferimento per lo studio: Tali argomenti hanno carattere preliminare e


saranno trattati molto rapidamente a lezione: si rinvia pertanto ai capitoli 1, 2
(paragrafi da 2.1 a 2.3) e 14 (paragrafi da 14.1 a 14.5) del R-H.

1. Le determinanti dei prezzi delle attività finanziarie. Il principio del valore
attuale. La valutazione delle obbligazioni e delle azioni.
Obiettivo di questa parte del programma: introdurre la regola del valore attuale, che
costituisce uno strumento di valutazione utilizzato in tutto il corso. Si analizza
l’applicazione del concetto di valore attuale alla valutazione di azioni e obbligazioni.
Viene inoltre introdotta la nozione di efficienza informativa dei mercati finanziari, che
riguarda la capacità dei mercati finanziari di esprimere con efficienza i prezzi delle
attività finanziarie secondo il principio del valore attuale. Vengono ripresi in questa
parte argomenti di matematica finanziaria, di cui viene illustrata l’utilità per la
Finanza Aziendale.
Testi di riferimento per lo studio: il cap. 4 del R-H contiene la parte più strettamente
matematico-finanziaria di definizione e applicazione della nozione di valore attuale. Il
cap. 4 è composto di quattro paragrafi. L’unico paragrafo superfluo per le applicazioni
utilizzate nel corso è il terzo, sui periodi di capitalizzazione, in quanto per semplicità
si utilizzeranno sempre – nel corso e negli esercizi d’esame – periodi annuali con tassi
di capitalizzazione composta. Tutti gli altri paragrafi trattano materiale utilizzato nel
corso, utile per svolgere gli esercizi d’esame (con l’avvertenza che sono solitamente
richiesti esercizi in cui il problema è l’attualizzazione piuttosto che il calcolo di un
montante).
Il cap. 5 del R-H affronta l’applicazione del principio del valore attuale alla
valutazione di obbligazioni e azioni, e il suo contenuto è coperto integralmente.
Il cap. 13 del R-H riguarda l’efficienza informativa dei mercati dei capitali. Si ritiene
utile anticipare parzialmente la trattazione di questo punto in questo segmento di
lezioni. La piena trattazione del contenuto del cap. 13 sarà svolta solo con il punto 5
del programma del corso. In pratica, in questo stadio, vengono solo fornite definizioni
corrispondenti ai paragrafi 13.2 e 13.3. Si veda inoltre la Lettura n. 1. Si allega il
testo delle Presentazioni 1, 2 e 3 utilizzate a lezione.

2. L’impiego del VAN per l’analisi delle decisioni aziendali. Definizione del
concetto di VAN. Come individuare i flussi rilevanti.
Obiettivo di questa parte del programma: chiarire le motivazioni della superiorità del
criterio del VAN come criterio di selezione dei progetti di investimento, mettendolo a
confronto con alcuni criteri alternativi. Vengono inoltre approfondite alcune
problematiche che riguardano particolari tipologie di progetti d’investimento, che
vengono risolte con specifiche procedure di calcolo.
Testi di riferimento per lo studio: cap. 6 del R-H. Si allega il testo della
Presentazione 4 utilizzata a lezione.

3. Struttura e dinamica finanziaria d’impresa. Lo stato patrimoniale condensato. I


flussi finanziari come elementi causanti la variazione della struttura
finanziaria dell’impresa. La nozione di CCN operativo; i flussi di CCN
operativo.
Obiettivo di questa parte del programma: in qualunque applicazione aziendale di
natura finanziaria si utilizzano dati contabili, rielaborati secondo modalità tipiche. Si
esaminano la costruzione dello stato patrimoniale condensato, la definizione di CCN
operativo, la definizione dei risultati parziali rilevanti del conto economico, nonché la
costruzione ed interpretazione del prospetto dei flussi finanziari (sia storici che
prospettici). Sarà poi presentata la nozione di Flussi di Cassa Operativi Netti (FCN),
alla base dei modelli di valutazione dei progetti di investimento e dell’impresa nel suo
complesso.
Testi di riferimento per lo studio: questa parte del programma non fa riferimento al
Manuale (il Cap 3 DEVE dunque essere saltato). Si vedano invece la lettura 2
(Utilizzo dati di bilancio in Finanza) e le Presentazioni da 5 a 9. Si precisa, a tale
proposito, che la Presentazione 5 è dedicata alle tecniche di analisi di SP e CE, le
presentazioni 6 e 8 sono dedicate alla costruzione e analisi dei prospetti dei flussi
finanziari (storici e prospettici) e la Presentazione 9 è dedicata all’interpretazione dei
flussi e alla nozione di FCN. La Presentazione 7 è un’esercitazione svolta.

4. Le determinanti del valore dell’impresa. La valutazione dell’impresa non


indebitata. Rischio, rendimento richiesto e valutazione del capitale d’impresa.
Il concetto di efficienza informativa dei mercati finanziari.
Obiettivo di questa parte del programma: sono già state fornite in precedenza alcune
nozioni fondamentali per la valutazione dell’impresa (per il momento considerata non
indebitata) e per la valutazione dei progetti di investimento. Si introducono ora i
principi fondamentali sull’utilizzo dei flussi finanziari nei processi di valutazione
dell’impresa (attraverso le due formule basate sull’attualizzazione, rispettivamente,
dei dividendi e dei flussi di cassa attesi – Dividend Discount Model o DDM e
Discounted Cash Flow Model o DCF). Successivamente si approfondisce come
procedere al calcolo del VAN di un progetto di investimento, simulando i vari passi di
questo processo che si ritrovano nella realtà aziendale. Sono presentati i legami tra
formule di valutazione dei progetti e dell’impresa. Infine, si sottolinea l’esigenza di
attualizzare i flussi utilizzati nelle formule di valutazione a un tasso che sia con essi
coerente. Il punto è destinato ad essere successivamente ripreso nel punto 7 del
programma.
Testi di riferimento per lo studio: cap. 7 del R-H. Si allega il testo della
Presentazione 10  utilizzata a lezione.

5. La relazione rischio-rendimento nei mercati finanziari e le implicazioni per la


gestione finanziaria aziendale. Gli effetti della diversificazione sul rischio. Il
modello Capital Asset Pricing Model (CAPM). Ripresa e approfondimento del
concetto di efficienza informativa dei mercati finanziari.
Obiettivo di questa parte del programma: in questa parte si affronta esplicitamente il
tema del rischio nelle valutazioni finanziarie. Vengono presentate le nozioni-base
della teoria del portafoglio, le definizioni di rischio complessivo e rischio sistematico
di un titolo e di un portafoglio. Successivamente, viene presentato il Capital Asset
Pricing Model (CAPM) come modello di misurazione della relazione tra rischio e
rendimento atteso dagli investitori. Dopo avere trattato il tema del rischio, può essere
completata anche la trattazione dell’efficienza informativa dei mercati finanziari.
Testi di riferimento per lo studio: cap. 9 e 10 del R-H, nonché il cap. 12 e il resto del
cap. 13 già citato per ciò che concerne l’argomento dell’efficienza informativa dei
mercati finanziari. Si vedano inoltre la Lettura 3 (su Diversificazione, CAPM e
gestione) nonché le Presentazioni 11 e 12.

6. Gli effetti della scelta debito/mezzi propri per l’economia dell’impresa e per la
sua valutazione. I teoremi Modigliani-Miller e le loro implicazioni per la
valutazione dell’impresa.
Obiettivo di questa parte del programma: analizzare gli effetti della scelta di struttura
finanziaria sul valore dell’impresa. In un primo momento si completa l’analisi
dell’utilizzo dei dati contabili nelle decisioni finanziarie aziendali. Si tratteranno gli
indicatori di struttura finanziaria ricavabili dal bilancio d’esercizio, discutendo il loro
ruolo nell’attribuzione del processo di rating al debito aziendale e le conseguenze in
termini di tasso di interesse richiesto. Si sposterà poi l’attenzione sul punto di vista
degli azionisti, interessati ad esaminare gli effetti della struttura finanziaria sul valore
delle azioni. Si procede quindi all’analisi dei teoremi Modigliani-Miller, introducendo
lo studente alla comprensione di alcuni dei principali aspetti rilevanti della struttura
finanziaria per il valore delle azioni, in particolare imposte (dirette e indirette) e costi
del dissesto.
Testi di riferimento per lo studio: cap. 15 del R-H. Il cap. 16 è ad utilizzo parziale:
sono da studiare i paragrafi 16.1, 16.2.1, 16.2.2, 16.4 e 16.10. Si vedano inoltre la
Lettura 4, nonché le presentazioni 13, 14 e 15.

7. La coerenza tra flussi e tassi nei processi di valutazione. Il tasso di rendimento
impiegato nel calcolo del VAN (la nozione di WACC). Interdipendenza tra
decisioni di finanziamento e valore delle decisioni di investimento (metodologie
del VAM, WACC e FTE).
Obiettivo di questa parte del programma: rivisitare gli argomenti trattati in
precedenza al fine di esaminare quali siano gli aspetti specifici di cui è necessario
tenere conto quando si valutano aziende o progetti di investimento realizzati da
imprese che (come normalmente accade) siano indebitate. Vengono quindi analizzate
nei loro risvolti applicativi le tre metodologie del VAM (Valore Attuale Modificato),
WACC (Weighted-Average-Cost-of-Capital, cioè Costo medio ponderato del capitale)
e FTE (Flow-To-Equity).
Testi di riferimento per lo studio: cap. 17 del R-H. Si veda anche la presentazione 16,
utilizzata a lezione.
LETTURE
Lettura n. 1
DUE INDICATORI DI VALUTAZIONE:
IL RAPPORTO PREZZO/UTILI E IL RAPPORTO
VALORE
DI MERCATO/VALORE DI LIBRO DEL
PATRIMONIO NETTO

Si tratta di due indicatori molto utilizzati nella pratica per sintetizzare la valutazione
che il mercato attribuisce o può attribuire a una determinata impresa. Il loro utilizzo è
in realtà suscettibile di diverse sfumature, su cui vale la pena soffermarsi. Mentre il
primo (il rapporto prezzo/utili) è abbondantemente trattato dal R-H (par. 5.8), sul
secondo ci sono nel testo solo pochi accenni (par. 14.1).

Il rapporto prezzo/utili
Il testo fornisce molte informazioni su questo indicatore, che sono riprese e in parte
sviluppate durante il corso, e che in questa sede possono essere riassunte come segue.
1. Si può dire che se un’impresa non ha opportunità di crescita con VAN positivo, la
misura del rapporto Prezzo/Utili (P/U) dovrebbe essere pari  all’inverso del tasso di
rendimento richiesto dagli investitori (il costo-opportunità R, pari al rendimento
offerto dal miglior investimento alternativo, a parità di condizioni). Per imprese
con opportunità di crescita, si somma a ciò il rapporto tra VAN delle opportunità di
crescita (VANOC) e utili.
2.  In generale: P = U / R + VANOC, dove U = Utile per azione e P = Prezzo di
un’azione. Alternativamente: MV = U x N / R + VANOC, dove MV è il valore di
mercato di tutte le azioni (la capitalizzazione di mercato) e N è il numero totale di
azioni emesse dall’impresa.Se VANOC = 0, allora la formula si riduce a: P = U / R.
Di qui, dividendo ambo i membri per U, si ottiene: P / U = 1 / R.
3.  Il valore del rapporto prezzo/utili dipende però anche da aspetti strettamente
contabili riguardanti il denominatore del rapporto. Due imprese molto simili
possono adottare politiche di bilancio differenti, che tendono in un caso a
evidenziare utili elevati, nell’altro utili moderati. Nella misura in cui il mercato
finanziario è in grado di valutare criticamente le politiche di bilancio, attribuirà un
valore del rapporto più elevato alla seconda impresa, che ha utili “di migliore
qualità” dal punto di vista della politica di bilancio che li ha prodotti.
4.  Se siamo disposti ad accettare che il mercato finanziario possa sbagliare le sue
valutazioni – e quindi in ultima analisi che sia violata l’ipotesi di efficienza
informativa in forma semi-forte – un elevato rapporto prezzo/utili potrebbe
denunciare una erronea sopravvalutazione delle azioni, e un rapporto basso una
loro sottovalutazione. L’implicazione sarebbe: compra azioni con bassi rapporti
P/U e vendi azioni con elevati rapporti P/U.
5. La misura del rapporto P/U dipende anche dalla rischiosità di una certa impresa, in
quanto a maggiore rischiosità corrisponde un maggior tasso di attualizzazione (R)
impiegato per valutare l’impresa. Ora, al punto 1) si è richiamato che la misura del
rapporto P/U dovrebbe essere pari  all’inverso del tasso di rendimento atteso dagli
investitori. Quindi imprese con maggior rischio avranno, a parità di utile e di
VANOC, un più basso rapporto prezzo/utili. Dopo aver svolto la parte sul CAPM,
si disporrà di tutti gli elementi per comprendere che il rendimento richiesto sui
titoli azionari, il quale coincide con il tasso di attualizzazione impiegato nelle
formule di valutazione, varia in funzione del rischio dell’impresa, e si disporrà
anche di una definizione precisa di “rischio” delle azioni dell’impresa.

Altri aspetti che merita sottolineare:


6.  Durante le lezioni  (si veda la Presentazione 3) si fa notare come in realtà, se il
rapporto prezzo/utili è calcolato utilizzando l’utile corrente, esso possa essere
transitoriamente basso o elevato a seconda della fase del ciclo degli utili a sua volta
legata alla fase del ciclo economico del sistema nel suo complesso. In un momento
di picco del ciclo l’utile sarà transitoriamente elevato, in un momento di minimo,
transitoriamente basso: quindi l’utile corrente deve essere in qualche misura
“normalizzato” rispetto all’andamento del ciclo degli utili, il quale introduce una
variabilità dell’utile indipendente rispetto a quella determinata da nuovi
investimenti e, a differenza di quest’ultima, transitoria.
7.  Nella pratica, per superare alcuni problemi di interpretazione ora richiamati, si
“controlla” il rapporto prezzo/utili andando a osservare delle varianti di tale
rapporto. Ad esempio, sulle pagine del quotidiano “Il Sole 24-ore” dedicate ai
listini di borsa viene riportato ogni giorno il rapporto prezzo/(utili+ammortamenti)
(detto anche Price/Cash Flow). Questa variante dell’indicatore serve in parte ad
affrontare il problema della qualità contabile degli utili (un’impresa che sfrutta
ogni possibilità per accrescere gli ammortamenti e quindi adotta, in quest’aspetto,
una politica di bilancio più prudenziale, avrà un rapporto prezzo/utili elevato data
la migliore qualità del suo utile, ma un rapporto prezzo/(utili+ammortamenti) più
normale e comparabile con quello di un’impresa che sceglie una politica meno
prudenziale per gli ammortamenti) in parte per affrontare il problema della
normalizzazione con riguardo all’andamento del ciclo economico e degli utili
(perché la somma di utili più ammortamenti è meno variabile con il ciclo
economico).
Il rapporto valore di mercato/valore di libro del patrimonio netto
Si tratta della frazione MV/BV (Market Value/ Book Value – sottinteso: del
Patrimonio Netto) che vede al numeratore il valore di mercato complessivo delle
azioni della società (MV), e al denominatore il valore contabile del patrimonio netto
(BV, il quale non è altro che il valore contabile delle azioni, se si tiene conto non solo
del valore contabile riferito al capitale sociale, ma anche di quello delle riserve e degli
utili non distribuiti, pure di spettanza degli azionisti).
Per comprendere il significato di questo rapporto pensiamo, anzitutto, a un’impresa
priva di debiti finanziari (unlevered). Pensiamo all’attivo dell’impresa al netto dei
debiti di funzionamento (CCN commerciale + immobilizzazioni): il valore contabile
dell’attivo così definito coincide in questo caso con il valore contabile del patrimonio
netto.
Se il criterio fondamentale che definisce la valorizzazione contabile dell’attivo è il
criterio del costo, è corretto dire che il valore dell’attivo (e quindi, nel caso a cui si fa
riferimento, del patrimonio netto) a una certa data è il valore di costo del patrimonio
aziendale, cioè dell’insieme degli investimenti posti in essere dall’impresa, a quella
medesima data.
Più precisamente, ipotizziamo per semplicità che il principio contabile fondamentale
sia quello del costo storico. Il costo storico dell’attivo (cioè i costi sostenuti in passato
per costituire l’insieme degli investimenti posti in essere dall’impresa) tende a essere
inferiore al costo corrente (quanto costerebbe oggi costituire l’insieme degli
investimenti posti in essere dall’impresa). Supponiamo però ancora che per la nostra
impresa, oltre che l’assenza di debiti finanziari, si dia la coincidenza tra costo storico
e costo corrente. Allora il valore contabile dell’attivo (e quindi del patrimonio netto)
corrisponde a quanto costerebbe oggi, porre in essere un investimento complesso
identico alla nostra impresa, con le sue dotazioni di capitale circolante commerciale
netto e di immobilizzazioni.
Al denominatore della frazione in cui si identifica il rapporto di cui stiamo parlando,
quindi, abbiamo il valore contabile dell’attivo. Al numeratore il suo valore di mercato
il quale, in un’impresa priva di debiti finanziari, coincide con il valore di mercato
delle azioni. E quest’ultimo, abbiamo appreso, non è altro che il valore attuale del
denaro che l’impresa produrrà e pagherà ai suoi azionisti.
Quindi il rapporto MV/BV pone a confronto il valore che si ottiene dalla gestione di
un certo insieme di investimenti effettuati (mercato) con il costo sostenuto per
effettuarli (valore di libro). In ciò si denuncia la parentela di questo rapporto con il
criterio del VAN nella valutazione degli investimenti. Nel calcolo del VAN vogliamo
proprio vedere se il valore che otteniamo dalla gestione del singolo investimento
(valore attuale dei flussi di cassa che esso produrrà) è maggiore del costo per porre in
essere l’investimento. La differenza più ovvia è che il VAN riguarda un singolo
investimento, mentre il rapporto MV/BV riguarda l’impresa nel suo complesso. Una
seconda importante differenza è che nel caso del singolo investimento, calcoliamo il
VAN per decidere se vale la pena effettuare un investimento, mentre il rapporto
MV/BV ci dice ex-post se il totale degli investimenti già effettuati dall’impresa sono
stati profittevoli. Vi è infine l’evidente differenza che nel VAN sottraggo il costo dal
valore stimato dei flussi, mentre nel rapporto valore di mercato/valore di libro divido
il valore di mercato dei flussi per il costo.
In prima battuta possiamo dire che:
– se il valore di mercato è superiore a quello contabile, cioè a quanto costerebbe oggi
“rifare” l’investimento in quell’impresa, vuol dire che quell’impresa è stata un
buon investimento: il costo di “rifarla” sarebbe inferiore al valore dei flussi di cassa
che si possono ottenere da essa (questo è il caso in cui il rapporto MV/BV è
superiore a 1);
–  se il valore di mercato è pari a quello contabile, quell’impresa è stata un
investimento non particolarmente buono né cattivo; ci sarebbe una relativa
indifferenza tra “rifarla” o no, dato il valore dei suoi flussi di cassa attesi (questo è
il caso in cui il rapporto MV/BV è pari a 1);
– se il valore di mercato è inferiore al valore contabile, vuol dire che quell’impresa è
un investimento che non andrebbe rifatto; il costo sostenuto per effettuarlo non può
essere recuperato tramite i flussi di cassa che ci si attende l’investimento produca
(questo è il caso in cui il rapporto MV/BV è inferiore a 1).

Non è quindi sorprendente che in imprese in dissesto, che hanno sperimentato


recentemente ampie perdite e non hanno prospettive positive, il rapporto in questione
assuma valori decisamente inferiori a 1 (0,5 o anche meno); mentre in imprese che
godono di un’elevata redditività (nei termini di quanto si studia nel corso, imprese che
hanno in passato realizzato investimenti a VAN positivo, e hanno prospettive di
continuare a realizzarne in futuro) il rapporto può assumere valori di 1,5 e più.
Nella pratica, la redditività dell’impresa, cioè la sua capacità di mettere a frutto i
capitali a lei affidati e quindi la misura del rapporto MV/BV  dipende sia da fattori
endogeni, come la qualità del suo management, che da fattori esogeni, come la
situazione dell’industria in cui opera.
Il fatto che dipenda da fattori endogeni fa sì che l’indicatore venga impiegato talora
come segnale della bontà della gestione; tra imprese simili, quella eccellente, quella
che meglio è stata in grado di rispondere alle aspettative degli azionisti creando
valore, deve caratterizzarsi per un maggior valore del rapporto.
Il fatto che dipenda da fattori esogeni come l’andamento del settore industriale fa sì,
d’altra parte, che la misura media dell’indicatore sia usato come strumento
approssimativo di valutazione.
Si può in effetti affermare (e il discorso vale tanto per il rapporto MV/BV che per il
rapporto P/U) che nella pratica si utilizza sempre di più (anche se non in via
esclusiva), quando si devono effettuare valutazioni, il c.d. metodo dei multipli, il cui
principio, molto semplice, è il seguente.
Supponiamo di dover determinare il valore di un’impresa (per esempio un’impresa
che deve essere quotata, per la quale dobbiamo decidere il prezzo di offerta al
pubblico delle azioni). Andiamo a vedere quanto valgono altre imprese simili (nel
caso di un’impresa da quotare; che prezzo di borsa hanno tali imprese); andiamo cioè
a constatare qual è il MV/BV medio, o il P/U medio di imprese simili; dato che
conosciamo almeno il valore di libro o il valore degli utili della nostra società,
possiamo stimare il valore (di mercato) moltiplicando il MV/BV (o il P/U) medio dei
comparables per il valore del Patrimonio Netto (BV) o quello del’utile (U) della
società in questione. In sintesi:
MV (impresa) = MV/BV (dei comparables) x BV (impresa).
MV (impresa) = P/U (dei comparables) x U (impresa).
In tema di rapporto MV/BV resta da effettuare un paio di precisazioni.
La prima è che, nel ragionamento svolto in precedenza, si è ipotizzato il caso di
un’impresa priva di debiti finanziari (unlevered). Questo permette di semplificare il
primo approccio all’argomento, ma le considerazioni svolte restano perfettamente
valide anche nel caso di un’impresa indebitata. In quel caso, il valore di libro del
patrimonio netto è il valore contabile dell’attivo meno il valore contabile dei debiti, e
il valore di mercato è il valore di mercato dell’attivo meno il valore di mercato del
debito. Anzi, dato che la differenza tra valore di mercato e valore contabile del debito
solitamente non è ampia, la differenza tra valore di mercato e valore contabile
dell’attivo tende a riflettersi per intero nella differenza tra valore di mercato e valore
contabile del patrimonio netto; e quindi restano valide le affermazioni poste sulla
significatività dell’indicatore.
Una seconda semplificazione posta in precedenza è l’ipotesi di coincidenza tra valore
di costo storico e di costo corrente delle componenti dell’attivo. Come si è accennato,
in realtà il costo storico tende a essere inferiore al costo corrente. Ciò significa che
quando l’impresa avrebbe un valore del rapporto pari a 1 se il valore contabile
corrispondesse al costo corrente, ha in effetti un valore superiore a 1 utilizzando i dati
contabili effettivi, a costo storico. In effetti, se la contabilità accogliesse i costi
correnti ci attenderemmo un valore medio di lungo periodo dell’indicatore di 1, che
sarebbe rappresentativo di una situazione media d’equilibrio (un’impresa media
caratterizzata da una redditività né inferiore né superiore a quella richiesta dal
mercato); in concreto, dato l’utilizzo di costi storici, la media di lungo periodo è
vicina piuttosto a valori vicini a 1,2.
Infine, vale la pena di rilevare che un indicatore di contenuto simile al rapporto
MV/BV è quello definito “q di Tobin”. La q di Tobin è il rapporto tra valore di
mercato e valore a costi correnti dell’attivo. Non è quindi un valore di pronta
disponibilità, perché richiede, a partire dal bilancio, il ricalcolo a costi correnti (anche
definiti costi di sostituzione) delle componenti dell’attivo.
Si può dire che il rapporto MV/BV è un indicatore utilizzato dagli operatori del
mercato azionario, mentre  la “q di Tobin” è un indicatore utilizzato dagli economisti.
Il premio Nobel per l’economia Tobin aveva infatti osservato in un suo lavoro che se
in un certo settore industriale il rapporto “q” è superiore all’unità ci può essere spazio
per nuovi investimenti in capacità produttiva; se “q” è inferiore a 1, sarà invece più
conveniente comprare sul mercato un’impresa già in essere, piuttosto che sostenere il
costo di investimenti corrispondenti al valore dell’attivo di quell’impresa a costo di
sostituzione.
Lettura n. 2
L’UTILIZZO DEI DATI CONTABILI IN
FINANZA AZIENDALE;
I PROSPETTI DEI FLUSSI FINANZIARI

I dati contabili sono lo strumento informativo fondamentale dell’impresa, e qualunque


aspetto della gestione aziendale, in concreto, ha a che fare con l’utilizzo di dati
contabili.
Ai fini del corso di finanza aziendale, è importante imparare a utilizzare il bilancio
d’esercizio come strumento di conoscenza della struttura e della dinamica finanziaria
dell’impresa.

1. L’utilizzo dello stato patrimoniale per l’analisi della struttura finanziaria


dell’impresa
Con la nozione di struttura finanziaria ci si riferisce alle modalità con cui in un certo
momento un’impresa si trova a disporre di un certo insieme di impieghi di mezzi
finanziari, e di finanziamenti raccolti per porre in essere tali impieghi (fonti di mezzi
finanziari). Dato un bilancio di esercizio, e la data di riferimento di quel bilancio di
esercizio, lo stato patrimoniale è il prospetto informativo che si utilizza per una prima
rappresentazione della struttura finanziaria dell’impresa a quella data. In prima
battuta, è da considerare che si guarda all’attivo dello stato patrimoniale per una
rappresentazione degli impieghi di mezzi finanziari, e al passivo per una
rappresentazione delle modalità di finanziamento di tali impieghi.
Per una rappresentazione sintetica della struttura finanziaria dell’impresa, si guarda
tipicamente allo stato patrimoniale condensato, cioè a come le voci dell’attivo e del
passivo possono essere raggruppate all’interno di alcune grandi categorie

2. Lo stato patrimoniale condensato


2.1 L’attivo
Le voci dell’attivo vengono raggruppate in due grandi categorie, l’attivo circolante e
le immobilizzazioni. Il criterio per riferire le poste dell’attivo a  queste due categorie è
l’orizzonte temporale entro il quale dalla posta dell’attivo nascerà un’entrata
monetaria. Ogni posta dell’attivo è infatti destinata a convertirsi in moneta . Ad
esempio: i crediti vengono incassati; le rimanenze di prodotti finiti diventano ricavi di
vendita e questi vengono incassati; i vari cespiti che compongono la categoria delle
immobilizzazioni tecniche si traducono indirettamente in moneta, in quanto il loro
valore di bilancio, per così dire, “trasmigra” nel costo dei prodotti che poi vengono
venduti e incassati (viene nel tempo “incorporato” nei beni prodotti e venduti; il
riflesso contabile di questa realtà economica è il processo di ammortamento).
Nell’attivo circolantesi collocano le poste dell’attivo che sono destinate,
individualmente prese, a convertirsi in moneta entro un anno dalla data cui si riferisce
lo stato patrimoniale; nelle immobilizzazioni si collocano le poste dell’attivo che sono
destinate a convertirsi in moneta oltre un anno da questa medesima data.
Si usa inoltre ripartire la macro-classe dell’attivo circolante nelle tre seguenti
sottoclassi, caratterizzate da un grado decrescente di liquidità  (nella accezione che si
sta utilizzando di questo termine, liquidità = vicinanza al recupero monetario di una
componente dell’attivo); disponibilità liquide immediate(poste già allo stadio
monetario o quasi-monetario), disponibilità liquide differite (crediti), rimanenze.
Nota bene: per qualunque stato patrimoniale di un’impresa in funzionamento, è vero
che le singole componenti dell’attivo circolante, individualmente prese, sono
destinate a tradursi in moneta; tuttavia tali singole componenti saranno sostituite da
altre (ad es. si incassano dei crediti verso clienti, ma nascono altri crediti da
incassare). Quindi l’attivo circolante,  considerato in quanto tale e nel suo complesso,
è  un investimento stabilmente sussistente in ogni impresa, che deve essere in ogni
momento finanziato.
2.2 Il passivo
Dunque, da un punto di vista finanziario utilizziamo l’attivo dello stato patrimoniale
per ottenere una rappresentazione dell’insieme degli investimenti in essere a un dato
momento di una certa impresa; dal passivo cercheremo allora una rappresentazione
delle modalità con cui tali investimenti sono finanziati. In questo senso, il passivo
condensato si suddivide in due grandi categorie, che sono le passività e i mezzi
propri.
Il macro-aggregato delle passività comprende tutte le forme di debito nei confronti di
terzi; si suddivide ulteriormente in due sotto-classi, cioè le passività a breve e le
passività a medio-lunga scadenza. Il criterio di demarcazione tra queste due
sottoclassi è il tempo entro cui  la posta del passivo dà luogo a un’uscita monetaria.
Come a ogni attività è collegabile, da un punto di vista logico, una futura entrata
monetaria, a ogni passività è collegabile – ancor più evidentemente, in quanto ogni
debito dovrà essere saldato – un’uscita monetaria. Nell’aggregato delle passività a
breve inseriamo le passività che dovranno essere estinte entro un anno dalla data cui
si riferisce lo stato patrimoniale; nell’aggregato delle passività a medio-lunga
scadenza, le passività che verranno estinte tra oltre un anno.
Una demarcazione logica molto importante, che si sovrappone a questa ora vista, è
quella tra passività di funzionamento e passività di finanziamento.
Le passività di funzionamento sono quelle che nascono di riflesso dalla gestione
operativa, la cui origine è in un certo senso “spontanea” dato il fatto che l’impresa
produce e vende beni e/o servizi; sono passività di funzionamento i debiti verso
fornitori, i debiti verso l’erario, i debiti verso enti previdenziali ecc. Se una passività è
di funzionamento, al suo sorgere non si accompagna un’entrata monetaria (ad es. un
debito verso fornitori non nasce dal fatto che i fornitori mi hanno prestato denaro, ma
dal fatto che mi hanno ceduto beni e/o servizi concedendomi una dilazione di
pagamento).
Le passività di finanziamento sono invece i c.d. debiti finanziari, cioè prestiti ottenuti
da finanziatori, la cui causa è la necessita dell’impresa di mezzi monetari, e al cui
sorgere si accompagna un’entrata monetaria. Caratteristica dei debiti finanziari è la
loro palese onerosità; i finanziatori esigono non solo di essere rimborsati, ma di
ottenere una remunerazione (interessi) commisurata in primo luogo al tempo per il
quale l’impresa utilizza i mezzi finanziari ottenuti a prestito. I debiti di funzionamento
non danno invece di solito luogo al calcolo di interessi (salvo casi particolari, come il
calcolo di interessi di mora se l’impresa non ha pagato puntualmente), anche se per
alcuni di essi si può parlare di un’onerosità implicita (ad esempio; può darsi che se
acquisto dei beni “pronta cassa” anziché pagandoli a 30 giorni dalla data della fattura
possa ottenere uno sconto) comunque difficile da misurare.
Il macro-aggregato dei mezzi propri rappresenta invece quella parte di finanziamento
dell’attivo che l’impresa detiene stabilmente; si può dire che è di spettanza degli
azionisti – nel senso che questi possono disporre la distribuzione di dividendi per
parte di questo aggregato, e comunque sono mezzi finanziari che in sede di
liquidazione della società verranno restituiti agli azionisti una volta rimborsati tutti i
creditori – ma tipicamente è il capitale che gli azionisti lasciano vincolato all’impresa 
per svolgere la propria attività. In modo intercambiabile con il termine “mezzi propri”
si usa quello di “patrimonio netto”; in effetti i mezzi propri sono algebricamente pari
al totale dell’attivo (il patrimonio lordo) meno le passività. L’ammontare dei mezzi
propri può cioè essere pensato come il valore contabile della porzione del patrimonio
dell’impresa “libero” da debiti.
Merita sottolineare che le componenti del patrimonio netto possono avere innanzitutto
una di queste due origini; possono derivare da mezzi finanziari di cui gli azionisti
disponevano personalmente e che hanno deciso di conferire all’impresa (versamenti
di capitale sociale e fondo sovrapprezzo azioni); possono derivare da utili prodotti
dall’impresa, che gli azionisti hanno deciso di non distribuirsi (riserve e utili a
nuovo). A questi due casi, di valore sostanziale da un punto di vista finanziario, è da
aggiungere quello delle riserve che possono nascere da rivalutazioni contabili (ad
esempio, dal lato dell’attivo rivaluto dei terreni, e in contropartita nasce dal lato del
passivo una riserva di rivalutazione) le quali originano da fenomeni di rilevazione
contabile senza contropartita in movimenti finanziari (l’impresa non si finanzia con
rivalutazioni, mentre si finanzia con aumenti di capitale sociale o non prelevando
utili).
3. Il Capitale Circolante Netto
Una grandezza emergente dallo Stato Patrimoniale condensato, che assume
particolare rilievo nella pratica, e anche ai fini del corso, è il Capitale Circolante Netto
(CCN).
Si danno due definizioni di CCN:
a) In una prima accezione si parla di CCN finanziario, definito come differenza tra il
totale dell’attivo circolante e il totale delle passività a breve.
b) In una seconda accezione si parla di CCN operativo (o CCN commerciale), definito
come differenza tra il totale dell’attivo circolante e il totale delle sole passività a
breve di funzionamento (non vengono cioè sottratti dall’attivo circolante i debiti
finanziari a breve, che pure fanno parte dell’aggregato delle passività a breve).
Ai nostri fini assume maggior rilievo la nozione di CCN operativo. Per sua natura
esso misura il fabbisogno finanziario (cioè l’esigenza di mezzi di finanziamento, siano
essi debiti finanziari o mezzi propri) che è prodotto dalla gestione, che si aggiunge a
quello derivante dall’investimento in immobilizzazioni. In altri termini: un’impresa,
per produrre e vendere, oltre a sostenere investimenti riferiti all’area delle
immobilizzazioni, deve sostenere investimenti in attivo circolante (soprattutto scorte e
crediti di funzionamento); una parte di questi investimenti in attivo circolante viene
finanziata spontaneamente dalla gestione stessa, poiché nascono debiti di
funzionamento; la parte dell’attivo circolante non finanziata “spontaneamente” dalla
gestione, per la quale l’impresa deve reperire mezzi finanziari, è appunto di entità pari
al  CCN operativo.
Si noti che non fanno parte del CCN operativo le DLI, in quanto un’impresa non si
trova a investire in disponibilità bancarie e titoli a breve (se non per minime giacenze
di cassa di misura trascurabile) per esigenze legate alla gestione operativa; la
detenzione di scorte di liquidità di misura rilevante, quando avviene, dipende
piuttosto da scelte di natura finanziaria. Quindi., la nozione di CCN commerciale che
impiegheremo nel corso viene definita semplicemente come somma di Disponibilità
liquide differite, Rimanenze e (con segno meno) Passività a breve di funzionamento: 
DLD + RIM – PBfunz.
La nozione di CCN finanziario non viene praticamente utilizzata nel corso, ma lo è
con una certa frequenza nella pratica, e la sua definizione va quindi memorizzata. Il
CCN finanziario, sommato alle immobilizzazioni, fornisce la misura della totale
esigenza di reperimento di mezzi finanziari tramite debiti a medio-lunga scadenza e/o
mezzi propri.

4. I prospetti dei flussi finanziari


Lo studio della struttura finanziaria, basato sull’analisi dello stato patrimoniale, ha un
caratterestatico. In altri termini, lo stato patrimoniale condensato può solo
“fotografare” la situazione dell’impresa a una certa data. Nei prospetti dei flussi
finanziari cerchiamo invece di analizzare la dinamica finanziaria dell’impresa; si può
anzi dire che questi prospetti descrivono i movimenti finanziari che hanno cambiato la
struttura finanziaria da un certo momento iniziale (cui è collegato uno stato
patrimoniale iniziale e una struttura finanziaria iniziale) a un certo momento finale
(cui è collegato uno stato patrimoniale finale e una struttura finanziaria finale).
Il prospetto dei flussi finanziari elaborato dall’impresa e destinato alla pubblicazione
(in modo da rendere conto ai finanziatori dell’approvvigionamento/utilizzo di risorse
finanziarie) è chiamato anche rendiconto finanziario.
Che cosa sono i flussi finanziari? Un modo forse poco ortodosso, ma utile a fine
didattici, per definire i flussi finanziari, è quello di identificarli con i movimenti di
valori contabili che intervengono in un certo intervallo, che però hanno una natura
tipicamente finanziaria, e NON meramente contabile. Ad esempio, l’aumento del
debito verso le banche che si riscontrasse in una certa impresa in un esercizio è un
flusso finanziario, perché alla variazione del valore contabile è certamente corrisposta
una variazione finanziaria (un’entrata di nuovi mezzi finanziari grazie al
finanziamento bancario). Una rivalutazione contabile del valore di un terreno, che
l’impresa possedeva sia all’inizio sia alla fine dell’esercizio, è invece un flusso
contabile ma non finanziario, perché essa non ha generato alcuna movimentazione di
mezzi finanziari.
In teoria potremmo, a fine esercizio, enumerare puntualmente tutti i flussi finanziari
che hanno contribuito a modificare la situazione finanziaria (da quella iniziale a quella
finale), elencando, ad esempio, tutti gli incassi e tutti i pagamenti. Questo però
sarebbe poco utile; tipicamente, perciò, il prospetto dei flussi finanziari sintetizzerà i
movimenti finanziari per grandi categorie.
Inoltre, in pratica, produrremo il prospetto dei flussi finanziari partendo dai dati
contabili prodotti secondo la logica del bilancio d’esercizio, e non a  partire da
rilevazioni apposite. Per apprendere a costruire i prospetti dei flussi finanziari, quindi,
bisogna apprendere a rielaborare i dati contenuti nello stato patrimoniale e nel conto
economico, e a considerare quali di essi rappresentino flussi finanziari e quali non.
Si può subito dire che i flussi finanziari seguono anch’essi, a loro modo, una logica
tipo “partita doppia”. I flussi finanziari sono classificabili in due grandi categorie: i
flussi rappresentativi di impieghi di ricorse finanziarie e i flussi rappresentativi di
fonti di risorse finanziarie. Nel corso di qualunque periodo, gli impieghi e le fonti
devono per definizione bilanciarsi.
Tra gli impieghi sono prima di tutto gli aumenti di valore di poste dell’attivo
intervenuti tra l’inizio e la fine del periodo considerato, purché questi incrementi di
valore non dipendano da pure rivalutazioni contabili. Se ad esempio aumenta la posta
“immobilizzazioni tecniche” perché l’impresa ha acquistato nuove macchine, vuol
dire che c’è effettivamente stato un impegno di risorse finanziarie per regolare tale
acquisto.
Allo stesso modo tra le fonti vi sono gli aumenti di valore di poste del passivo. Se
aumenta la voce “capitale sociale” vuol dire che l’impresa nel corso dell’esercizio si è
procurata nuovi mezzi finanziari dai soci emettendo nuove azioni (anche se, in realtà,
sarà necessario approfondire il discorso, distinguendo tra aumenti del capitale sociale
a pagamento, ricollegabili a effettive entrate di nuove risorse finanziarie, e aumenti
gratuiti, ottenuti tramite giroconto di riserve a capitale, cui non corrispondono
movimentazioni di risorse finanziarie)
Cosa succede quando, anziché incrementare, il valore di una posta dell’attivo o del
passivo si riduce? Quando si riduce una posta dell’attivo si ha una fonte(purché tale
decremento non sia dovuto a una pura svalutazione contabile). Ad esempio, se vendo
una partecipazione posseduta, il controvalore che ottengo è una fonte di risorse
finanziarie (che potrò impiegare per altri scopi). Simmetricamente, quando si riduce
una posta del passivo avrò un impiego di risorse finanziarie; se nell’esercizio ho
rimborsato – in tutto o in parte – prestiti bancari, e quindi tra l’inizio e la fine
dell’esercizio diminuisce la voce del passivo rappresentativa dei debiti bancari, avrò
effettivamente impiegato delle risorse finanziarie per tale rimborso.
Questo, per categorie generali, è il trattamento che diamo alle poste del passivo e
dell’attivo al fine di costruire il prospetto dei flussi finanziari. Cosa faremo delle poste
del conto economico?
Evidentemente, per le poste di conto economico c’è una prima differenza; esse sono,
in prima approssimazione, già rappresentative di flussi (grandezze riferite a un
intervallo di tempo) anziché, come le poste dello stato patrimoniale, di fondi (o stock
che dir si voglia). Mentre, per le grandezze di stato patrimoniale, è la loro variazione
ad essere rappresentativa di flusso, le grandezze di conto economico sono già
rappresentative di flussi. Ma tali grandezze hanno sempre tutti i requisiti per essere
considerati flussi finanziari? Nella maggior parte dei casi, sì. Ad esempio, alle vendite
a clienti corrispondono movimenti finanziari; esse potrebbero essere considerate fonti
di risorse finanziarie, perché l’impresa attraverso la vendita si procura risorse
finanziarie. I costi del personale, di converso, potrebbero essere considerati impieghi.
Alcune voci di conto economico non sono, però, rappresentative di flussi finanziari (si
pensi agli ammortamenti, derivanti dal calcolo pro-quota della quota “di competenza”
del costo complessivo di un impianto: è chiaro, in questo caso, che si tratta di una
voce derivante da una mera rilevazione contabile, cui non corrispondono movimenti
di risorse finanziarie).
Inoltre, come meglio si vedrà tra breve, le varie poste del conto economico che sono
effettivamente rappresentative di movimenti finanziari (e non tutte lo sono) vengono
tipicamente condensate, e quindi nel prospetto dei flussi finanziari non appariranno
distintamente le fonti corrispondenti alle vendite e gli impieghi corrispondenti al
costo del personale, ma un aggregato rappresentato dalla sommatoria delle vendite
meno i costi operativi.

5. L’importanza dei  flussi finanziari in finanza aziendale


I flussi finanziari sono un ingrediente fondamentale per ogni passo che da qui in
avanti svolgeremo nel corso. In questa fase apprenderemo in primo luogo a ricostruire
i movimenti dei flussi finanziari storici (ossia riferiti a un periodo passato),
ipotizzando cioè già di disporre dei dati contabili (stato patrimoniale e conto
economico) riferiti ad un periodo gestionale.
A fini gestionali, è peraltro del massimo rilievo l’impiego del concetto di flussi
finanziari attesi (prospettici), in sede di programmazione della gestione futura; in altri
termini, al fine di prevedere l’insieme dei flussi finanziari che un certo andamento
della gestione d’impresa produrrà, per giudicare sull’insieme di finanziamenti che
l’impresa si deve predisporre ad acquisire o a rimborsare; in altri termini, la
previsione dei flussi finanziari futuri è indispensabile per la programmazione
finanziaria, intesa come predisposizione della raccolta delle risorse finanziarie
necessarie, o la decisione in merito a che fare delle risorse finanziarie eccedenti
(rispetto ai fabbisogni programmati), che in alcune situazioni possono prodursi.
Un ulteriore impiego della nozione di flussi finanziari si avrà, nel corso, quando si
tratterà dei processi di valutazione dell’impresa e dei progetti d’investimento
aziendali.
Come si vedrà, infatti, la valutazione dell’impresa può essere basata non solo
sull’attualizzazione dei dividendi attesi dagli azionisti (Dividend Discount Model o
DDM), ma anche sull’attualizzazione dei flussi finanziari che ci si attende l’impresa
possa produrre in futuro (Discounted Cash Flow Model o DCF). Analogamente, la
valutazione dei progetti di investimento è basata sulla considerazione dei loro flussi di
cassa prospettici, cioè dei flussi finanziari in entrata e in uscita che si stima tali
progetti producano nel loro orizzonte di vita.

6. Come si rappresentano i flussi finanziari


Esistono varie modalità di rappresentazione dei prospetti dei flussi finanziari, che si
distinguono essenzialmente per come vengono rappresentate le variazioni di poste
dell’attivo e del passivo. La tematica della varietà di rappresentazioni impiegate ha
rilievo soprattutto in sede di lettura dei bilanci d’esercizio delle imprese, in quanto
non esiste una modalità univoca di rappresentazione accolta nei rendiconti finanziari
che le imprese allegano ai bilanci d’esercizio.
Per quanto riguarda lo svolgimento del corso, faremo riferimento alla modalità di
rappresentazione che si presenta come più utile sotto il profilo gestionale, cioè il
prospetto dei flussi c.d. di CCN operativo.
Nel prospetto dei flussi di CCN operativo (si veda la Presentazione 6) rappresentiamo
appunto come inglobati all’interno della grandezza della variazione del CCN
operativo tutti i flussi derivati dalle poste dell’attivo e del passivo in esso comprese.
Materialmente, ciò vuol dire che non riportiamo singolarmente nel prospetto dei flussi
gli incrementi o decrementi di Disponibilità liquide differite, Rimanenze, e Passività a
breve di funzionamento, ma evidenziamo un’unica voce di impiego “incremento del
CCN operativo” se questa grandezza è aumentata tra l’inizio e la fine del periodo
considerato, o un’unica voce di fonte dal nome “decremento del CCN operativo” se
questa grandezza è diminuita. In altri termini, consideriamo il flusso relativo, in
monte, al CCN, come un unico flusso legato a una singola posta dell’attivo che
sostituisce, perché ingloba in essa, le singole poste che la compongono. Se
l’investimento nell’insieme di queste poste (ottenuto sommando componenti
dell’attivo circolante e togliendo componenti del passivo a breve) aumenta, vuol dire
che nell’esercizio l’impresa ha impiegato mezzi finanziari in questo blocco di valori,
se l’investimento diminuisce vuol dire che l’impresa è riuscita a procurarsi mezzi
finanziari riducendo le risorse impegnate in quest’area.
Anche le variazioni delle poste dello stato patrimoniale che stanno fuori del CCN
operativo vengono aggregate. Tipicamente (mai questo aggettivo è più appropriato,
perché non esiste nessuna fonte di regole uniformi per predisporre questi prospetti,
quindi nella pratica si possono incontrare diverse varianti) si aggregheranno e/o
compenseranno le variazioni riferite alle disponibilità liquide immediate, ai debiti
finanziari a breve e a medio/lunga scadenza e alle poste del patrimonio netto (eccetto
l’utile d’esercizio, del quale si dirà tra breve). Quindi, ad esempio, se l’insieme dei
debiti finanziari a medio/lunga scadenza aumenta, si avrà nel prospetto una fonte di
mezzi finanziari riferita a questo blocco di valori, se diminuisce si avrà un impiego. Si
evidenzieranno anche le variazioni riferite alle immobilizzazioni, in genere distinte
per le tre grandi componenti; come pure le variazioni riferite ai pagamenti di TFR, e
agli aumenti di capitale.
Infine, è da considerare come si inseriscono nel prospetto dei flussi di CCN operativo
le poste del conto economico.
È anzitutto da osservare che non sono rappresentative di flussi finanziari, e quindi non
vengono considerate, alcune voci di costo cui non corrispondono, nel corso del
singolo esercizio, movimenti finanziari; nello schema della Presentazione 7 si tratta
delle poste, che sono quelle di questo tipo che ricorrono più spesso, riferite agli
ammortamenti e agli accantonamenti a FTFR.  Si tocca così il tema delle “rettifiche”,
che verrà meglio ripreso in seguito, cioè dell’esigenza “di ripulire” le variazioni di
voci attive e passive e le voci del conto economico da variazioni puramente contabili
e non finanziarie.
Quindi dal conto economico emerge un importante blocco di valori che viene definito
flusso di gestione operativa, il quale non è altro che la differenza tra ricavi e costi
operativi di natura monetaria, come rappresentato nella Presentazione 6.
In questa differenza non si tiene conto, come già detto, di accantonamenti a TFR e
ammortamenti, in quanto costi non monetari. Non si tiene conto di oneri e proventi
finanziari, in quanto di natura non operativa. Non si tiene conto neanche di
plusvalenze e minusvalenze; se queste sono derivanti semplicemente da
rivalutazioni/svalutazioni, la ragione risulta evidente (sono movimenti puramente
contabili); se invece derivano da alienazioni, vi è un movimento finanziario, ma
questo movimento finanziario non corrisponde alla misura delle plus/minusvalenze,
quindi queste ultime non sono considerate in quanto tali. Esse verranno invece
considerate nel ricostruire l’ammontare delle entrate da disinvestimenti. Infine, non si
tiene conto in questa differenza dei costi per imposte; ancora una volta, non perché
non siano costi monetari, ma solo perché di natura non operativa.
Si noti che la grandezza “flusso di gestione operativa” può essere ottenuta
indifferentemente togliendo ai ricavi i costi monetari operativi secondo quanto appena
indicato, o sommando all’utile i costi e ricavi che non vengono considerati nella
differenza.
Infine nel prospetto dei flussi finanziari appariranno gli impieghi di mezzi finanziari
per imposte, le fonti di mezzi finanziari ottenute dai disinvestimenti, e i pagamenti di
dividendi, come meglio si vede nella presentazione 6.
Si noti che l’utile d’esercizio, in quanto tale, non appare nel prospetto dei flussi
finanziari. L’utile d’esercizio, infatti, è una grandezza che non ha un immediato
significato finanziario. Invece dell’utile d’esercizio appare nel prospetto la grandezza
“flusso di gestione operativa” che non è altro che un modo di misurare
l’autofinanziamento prodotto dalla gestione, cioè quanto l’impresa si è procurata
risorse finanziarie riuscendo a vendere i propri beni e servizi realizzando un
controvalore superiore all’ammontare dei costi operativi monetari sostenuti
nell’esercizio.
Di solito il “flusso di gestione operativa” è positivo, e quindi una fonte di
finanziamento, perché solo in condizioni di estremo disequilibrio economico
un’impresa ha prezzi di vendita non remunerativi rispetto ai costi monetari operativi.
Un’impresa non può perdurare a lungo in tale situazione senza diventare insolvente,
salvo che i soci contribuiscano conferendo nuovi mezzi monetari; se infatti l’impresa
ha ricavi di vendita inferiori ai costi monetari, deve accendere nuovi prestiti, ma se
permane in questa condizione dal lato del conto economico non potrà mai rimborsarli.
Nel breve periodo può far fronte a questa situazione disinvestendo, ma questa non è
certamente una soluzione stabile ai suoi problemi. Quindi, di solito il flusso di
gestione operativa è positivo e superiore alla misura dell’utile d’esercizio, perché non
appare con segno negativo una voce di costo importante come gli ammortamenti;
proprio per quest’ultima ragione, non è raro che un’impresa esca con una perdita
d’esercizio, e ciò nonostante abbia un flusso di gestione operativa positivo.

7. Una metodologia semplificata per il calcolo del prospetto dei flussi di CCN
operativo
La Presentazione 6 espone, tramite un esempio, un metodo semplificato di calcolo del
prospetto dei flussi di CCN operativo. Il metodo generale completo presuppone
l’acquisizione della tecnica dei “fogli di lavoro” con i quali si passa dai dati di
bilancio ai prospetti dei flussi; con tale metodo è possibile rielaborare le varie
situazioni contabili, complesse a piacere, che si presentano in pratica. La metodologia
semplificata che si presenta qui è invece sufficiente solo a passare ai prospetti dei
flussi partendo dai bilanci “stilizzati” che si utilizzano nel corso e nei temi d’esame. A
fini didattici, tuttavia, questa metodologia è soddisfacente, in quanto permette di
comprendere in modo esauriente gli elementi essenziali del problema.
Il metodo in questione, per il quale si rinvia alla Presentazione 6, si impernia sulla
memorizzazione della necessità di compiere un numero fisso di passi, che sono:
1. Calcolo dei flussi relativi all’area di gestione finanziaria:
1a. Calcolo dell’incremento (decremento) dei debiti finanziari a breve
1b.  Calcolo dell’incremento (decremento) dei debiti finanziari a medio-lungo
termine
1c. Calcolo dei mezzi provenienti dagli azionisti e dei pagamenti di dividendi
2. Calcolo dei flussi relativi all’area di gestione operativa:
2a. Calcolo del flusso di gestione operativa
2b. Calcolo del pagamento di imposte
2c. Calcolo dei pagamenti di TFR
3. Calcolo dei flussi relativi all’area di gestione degli investimenti:
3a. Calcolo degli investimenti e disinvestimenti di immobilizzazioni
3b. Calcolo dell’incremento (decremento) di CCN operativo
4. Calcolo dell’incremento (decremento) della liquidità.

La variazione della liquidità deve pareggiare il saldo dei flussi delle altre tre aree.
Lettura n. 3
LE IMPLICAZIONI DELLA TEORIA DELLA
DIVERSIFICAZIONE E DEL CAPM PER LA
GESTIONE D’IMPRESA

Su questo tema sono opportune alcune note d’integrazione al contenuto del cap.12 del
R-H. Nel corso di questo capitolo è ben chiarito come il CAPM fornisca gli
ingredienti per la determinazione della grandezza del costo del capitale, fondamentale
nei processi di valutazione del capitale d’impresa e di singoli progetti di investimento.
La teoria del prezzo del rischio sui mercati dei capitali (il CAPM non è altro che
questo) ha però vari ulteriori risvolti per la “filosofia” stessa con la quale l’azienda
deve approcciare il rapporto con gli investitori.
Un aspetto che merita assolutamente sottolineare è quello che possiamo etichettare
come additività del valore.
Il punto riguarda la convenienza a perseguire strategie di diversificazione aziendale.
Prima che il contenuto delle teorie della diversificazione finanziaria e del CAPM
uscisse dall’ambito accademico e divenisse largamente noto in ambito manageriale
(soprattutto a partire dagli anni ’80) era comunemente ritenuto che la diversificazione
fosse un bene in sé per le imprese di maggiore dimensione. Gli anni ’60 e ’70 erano
state per le grandi imprese – in primo luogo americane ma anche di altri paesi, come
il nostro – gli anni d’oro della creazioni di grandi “conglomerate”, cioè imprese in cui
si teorizzava l’opportunità di essere presenti in diversi settori industriali, con varie
divisioni della stessa impresa, o con schemi di gruppi di imprese strettamente
coordinati da una holding e quindi operanti unitariamente. Un’impresa conglomerata
può essere un’impresa presente contemporaneamente in settori disparati come i beni
di consumo e i servizi alberghieri.
La giustificazione teorica di questo assetto strategico era fornita dal modello del
Boston Consulting Group (BCG), che curiosamente forniva una motivazione che può
essere definita di tipo finanziario. Tale modello argomentava l’opportunità della
presenza in vari settori, asserendo che una grande impresa doveva essere presente in
un portafoglio di industrie e prodotti in modo tale da bilanciare i fabbisogni finanziari
e continuare ad avere opportunità di crescita. Nel portafoglio ideale ci sarebbero
dovute essere combinazioni di industrie/prodotti a diversi livelli di crescita, in modo
tale che i settori ad elevato sviluppo – e quindi normalmente con ampi fabbisogni
finanziari – fossero finanziati da industrie/ prodotti maturi, che sperimentando tassi di
crescita bassi o nulli – se profittevoli – generano flussi di cassa reimpiegabili
all’interno della conglomerata.
Si tratta, con tutta evidenza, di una visione che ipotizza la necessità che l’impresa sia
in grado nel complesso di autofinanziarsi, e quindi di essere indipendente dal sistema
finanziario. È un primo punto abbastanza criticabile di questa filosofia. Non è infatti
chiaro perché per finanziarie una combinazione industria/prodotto in crescita sia
necessario utilizzare all’interno della stessa impresa l’eccedenza di liquidità di altri
settori (creando cioè quello che spesso viene definito “mercato interno dei capitali)
anziché semplicemente ottenere finanziamenti dal mercato dei capitali vero e proprio;
se questo è efficiente, dovrebbe essere bene in grado di fare pervenire mezzi a
business profittevoli, ma che hanno fabbisogni finanziari perché sono in crescita (un
esempio più recente della capacità del mercato di mobilitare ingenti capitali per
finanziare imprese in crescita – in questo caso, prima ancora che diventassero
profittevoli – è stato quello dei cosiddetti “titoli internet”).
Strettamente collegata a questa motivazione di favore per le conglomerate era quella
secondo cui nelle conglomerate la presenza di varie combinazioni prodotto/settore
permette di “stabilizzare gli utili”. È un argomento che ha a che fare con gli effetti
della diversificazione per un portafoglio di titoli; come la diversificazione tra vari
titoli permette di ridurre il rischio complessivo di un portafoglio, e quindi stabilizza i
risultati attorno al rendimento atteso, così la diversificazione nelle conglomerate
permette di ridurre il rischio non sistematico legato agli andamenti negativi dei vari
settori di attività. Quando l’impresa è presente in vari settori, se in un esercizio un
singolo settore ottiene per fattori esogeni risultati inferiori alle aspettative, il suo
risultato sarà probabilmente compensato da quello di qualche altro settore in cui
l’impresa è presente.
A prima vista – soprattutto se non si è ancora studiato l’effetto della diversificazione
per l’investimento in titoli – potrebbe quindi sembrare che la diversificazione
conglomerale crei valore. Si prenda infatti un’impresa conglomerata e un’altra non
conglomerata con lo stesso livello di utili attesi futuri. L’impresa conglomerata offrirà
una minore variabilità degli utili attorno al valore atteso e quindi, si potrebbe
argomentare, investitori avversi al rischio dovrebbero essere disposti a pagare di più
per le sue azioni.
L’argomento però non è valido per la semplice ragione che la conglomerata non fa
altro che ciò che è in grado di fare da solo, e a minor prezzo (in termini di costi di
transazione), il singolo investitore. Tramite il processo di diversificazione sul mercato
azionario, questi può eliminare fino al massimo possibile il rischio specifico, fino a
rimanere esposto, quando detiene il portafoglio di mercato, al solo rischio sistematico.
Se l’investitore ha già “stabilizzato” al massimo il rendimento della sua ricchezza,
non ha per lui nessun pregio che anche l’impresa intraprenda un processo simile. Nei
termini del CAPM, non è interessato alla varianza complessiva del rendimento del
titolo azionario dell’impresa conglomerata, ma solo al suo coefficiente beta. Se due
imprese hanno lo stesso livello di utili e dividendi attesi, e lo stesso coefficiente beta,
esse hanno anche lo stesso valore, anche se una è conglomerata – e quindi ha bassa
varianza complessiva del rendimento – e l’altra non lo è, e quindi è maggiormente
esposta al rischio specifico del suo singolo campo di attività.
Dovrebbe essere intuitivo che creare grandi imprese conglomerate solo per
stabilizzare gli utili è assurdamente costoso. Mentre un investitore deve
semplicemente pagare commissioni d’acquisto per diversificare, un’impresa
conglomerata deve sopportare i costi dell’accresciuta complessità manageriale
(istituire sistemi più pesanti di controllo di gestione e sopportare i costi di uno staff
dirigenziale di gruppo; integrare culture manageriali profondamente diverse nei vari
settori; se prende alla lettera le prescrizione del modello BCG, sopportare i costi di
monitoraggio informativo di settori industriali disparati, per curare possibili
opportunità d’investimento) che sono infinitamente più elevati.
Ecco perché negli anni ’80 e ’90 all’idea strategica della “crescita conglomerale” si è
contrapposta quella della “focalizzazione”. Alla base della sottolineatura dei benefici
della focalizzazione c’è l’idea che la diversificazione settoriale di per sé non porti
benefici, ma costi; e che, comunque, il modo migliore in cui un’impresa può garantire
la propria sopravvivenza in mercati concorrenziali sia quello di essere eccellente; ora,
è molto difficile per un’impresa essere in grado di eccellere nel fare più di un piccolo
numero di cose – se non una sola – che sono quelle su cui dovrebbe appunto
focalizzarsi.
Ciò non va preso come un’affermazione categorica, posta dalla moderna teoria
finanziaria, dell’impossibilità di sopravvivenza di un’impresa conglomerale.
Certamente, però, la teoria finanziaria dà una forte indicazione secondo cui
l’autosufficienza finanziaria e la riduzione del rischio non sono motivazioni sufficienti
per una strategia conglomerale; un’impresa che voglia perseguirla ne deve trovare
altre. Esistono e prosperano tutt’oggi imprese ampiamente diversificate, e addirittura
imprese conglomerali nello stile degli anni ’70. Spesso, però, hanno motivazioni
specifiche di esistenza. Per esempio, una delle principali imprese francesi è la LVMH
(Louis Vuitton-Moet-Hennessy) che vende prodotti disparati come l’abbigliamento di
alta moda, i cosmetici di gamma elevata e lo champagne. Cosa accomuna questi
prodotti? Il fatto di essere prodotti considerati “di lusso”. LVMH ha infatti perseguito
una strategia – al momento in cui vengono scritte queste note, sembra con molto
successo – di eccellere nel marketing, pubblicità, distribuzione e vendita di prodotti di
lusso, sviluppando in tal modo sinergie tra prodotti che sembrano merceologicamente
non correlati. A suo modo è quindi nel contempo diversificata e focalizzata.
Vi è poi un risvolto più applicativo della possibilità che ha l’investitore di
diversificarsi a minor costo dell’impresa. Il fatto che la gestione d’impresa non debba
preoccuparsi più di tanto dell’effetto delle decisioni sul rischio complessivo, perché
comunque il valore dipende solo dal rischio sistematico (nel CAPM, il coefficiente
beta) facilita enormemente l’effettuazione di una serie di scelte di convenienza. Se
l’impresa dovesse tenere conto del rischio complessivo, non potrebbe analizzare i
progetti d’investimento uno per uno; ogni progetto potrebbe essere giudicato
diversamente a seconda dei progetti – già in essere o da intraprendere – con i quali si
combinerebbe. Bisognerebbe cioè tenere conto della correlazione dei risultati di un
progetto con quelli degli altri. Per un’impresa varrebbe molto un progetto poco
correlato con gli altri, perché permetterebbe di ridurre il rischio complessivo.
Fortunatamente non è così. Per valutare un progetto bisogna tenere conto solo del suo
rischio sistematico. Sappiamo che, se è valido il CAPM, il rischio sistematico è
perfettamente misurato dal beta. Il beta dell’impresa nel suo complesso è usato dagli
investitori per valutare l’impresa. Esiste un’importante proprietà statistica, per cui il
beta è additivo; cioè, il beta dell’impresa è pari alla media ponderata dei beta delle
parti (siano esse le sue divisioni o i singoli progetti d’investimento in cui possiamo
scomporla). Quest’ultima proprietà è quella che ci rende certi dell’appropriatezza
dell’analizzare uno per volta i progetti di ìnvestimento.
L’additività del valore vuol dire che, ad esempio, se il valore di un’impresa è riferibile
a tre grandi aree di investimento (business units o divisioni) A, B e C; il valore di A è
il 25% del valore complessivo, quello di B è il 35%, quello di C è il 40%; il beta
dell’impresa è pari a:
i
= 0,25 A
+ 0,35 B
+ 0,40 C

e gli investitori possono indifferentemente valutare l’impresa scontando i flussi di


cassa attesi dell’intera impresa al tasso definito da i, o scontando per ciascun
investimento i flussi di cassa attesi dei singoli progetti ai tassi definiti dai di ciascun
progetto, e poi sommando i tre valori che così si ottengono.
Ma questo vuol dire anche che, se l’impresa sta considerando un quarto progetto di
investimento D, e vuole accettarlo o respingerlo sulla base del suo impatto sul valore
dell’impresa, ottiene lo stesso risultato:
– considerando i flussi di cassa attesi del progetto d e scontandoli al tasso definito da
D
, e controllando se il valore così ottenuto è superiore al costo dell’investimento
(criterio del VAN), oppure;
– sommando i flussi di cassa del progetto D a quelli degli investimenti già in essere,
scontando tali flussi al nuovo i, che avremmo in ipotesi di accettazione del
progetto, e sottraendo il costo dell’investimento; se il valore dell’impresa dopo
l’accettazione del progetto risultasse superiore a quello senza il progetto, il
progetto dovrebbe essere accettato.
Dato che si ottiene lo stesso risultato con entrambi i procedimenti, nella pratica si usa
il primo, che ha il non piccolo pregio di essere più rapido e maneggevole. Il punto che
abbiamo visto viene definito “principio dell’additività del valore degli investimenti”.
Se vale il CAPM, quindi, il valore di un progetto, data la serie dei flussi di cassa futuri
che produce, è, in un certo senso, “oggettivo”, non dipende cioè dall’impresa in cui è
realizzato; nel senso che il motivo per cui un progetto può essere più valido in
un’impresa piuttosto che in un’altra potrebbe essere solo che una è più efficiente
dell’altra nel realizzarlo, e quindi può ricavare dall’idea maggiori flussi di cassa
operativi netti in futuro; se però due imprese possono ricavare dal progetto i medesimi
flussi di cassa, esso avrà lo stesso valore, indipendentemente dalle caratteristiche delle
restanti attività delle due imprese.
Lettura n. 4
LE SCELTE DI STRUTTURA FINANZIARIA;
GLI EFFETTI DEI COSTI
DI TRANSAZIONE E DELLA PREFERENZA
PER L’ORDINE GERARCHICO
DI ATTIVAZIONE DELLE FONTI DI
FINANZIAMENTO

Nei capitoli15e 16 del R-H sono introdotti alcuni argomenti di grande importanza. Le
presenti note vogliono aggiungere al contenuto del testo alcune considerazioni, volte
soprattutto a far riflettere su come i concetti presentati nel testo vengono applicati
nella realtà aziendale.

Il modello di scelta di struttura finanziaria di MM e la realtà dell’impresa


L’analisi di Modigliani-Miller applica un approccio “ingegneristico” al problema
della scelta di struttura finanziaria, in cui si indaga la relazione quantitativa tra il
rapporto debito/mezzi propri e il valore di mercato delle azioni. È inoltre un modello
statico. Nell’analisi MM ci si pone in un punto indefinito nel tempo e ci si domanda:
“in questo momento l’impresa varrebbe di più o di meno se modificasse il rapporto di
indebitamento?”
L’analisi è strutturata in modo tale che da essa ci si attende una risposta precisa, un
numero che ci dica qual è il rapporto di indebitamento ottimale (ad esempio: “il
rapporto ottimale è pari a 0,75:  perché, se si diminuisce il rapporto di indebitamento
si rinuncia inutilmente a parte dello scudo fiscale del debito; se lo si fa crescere
ulteriormente, i potenziali costi del fallimento diventano maggiori dei benefici fiscali
aggiuntivi”).
Questo approccio è utile e tutt’altro che puramente teorico. Ad esempio, permette di
fare emergere in tutta la sua evidenza il valore dei risparmi fiscali del debito, che
costituisce una delle determinanti più incontrovertibili del comportamento finanziario
delle imprese nel mondo reale. Tuttavia, esso si focalizza su alcuni aspetti della
problematica delle scelte di finanziamento al prezzo di ignorarne altri.

La staticità del modello MM e la dinamica finanziaria dell’impresa


È innanzitutto evidente che, se anche si riesce in una determinata situazione aziendale
e in un certo momento ad applicare il modello MM (incluse imposte e costi del
fallimento), esso fornisce l’indicazione di un valore del rapporto debito/mezzi propri
che non è per sua natura destinato a durare in eterno. Se oggi questo rapporto è pari
per una certa impresa a 0,75, può darsi che tra diciotto mesi sarà pari a 0,90, perché
ad esempio l’impresa  ha realizzato nuovi investimenti ad alto contenuto immobiliare,
che perdono poco valore in caso di fallimento, e quindi rendono più conveniente un
maggior ricorso al debito.
Mettiamo però da parte questo punto, e consideriamo un’impresa che abbia per un
lungo tempo sempre lo stesso rapporto debito/mezzi propri ottimale. Supponiamo che
l’impresa, al momento iniziale di questo periodo, si trovi a struttura finanziaria
ottimale. Come farà a mantenerla? Evidentemente, la dinamica finanziaria
dell’impresa dipenderà dalle decisioni di investimento, produzione e vendita della
gestione operativa che non possono essere subordinate all’esigenza di preservare
continuamente la struttura finanziaria ottimale.
Può darsi che la gestione operativa produca per qualche tempo un autofinanziamento
decisamente maggiore delle esigenze di investimento in CCN commerciale e
immobilizzazioni – e quindi che l’impresa si trovi per dinamica spontanea a ridurre
l’indebitamento finanziario o addirittura ad accumulare liquidità – per mettersi, dopo
poco, a generare ampi fabbisogni finanziari, ad esempio perché vengono realizzati
nuovi investimenti in immobilizzazioni tecniche.
È evidente che un’impresa non può intraprendere con elevata frequenza (ad esempio,
ogni settimana o ogni mese) azioni di ribilanciamento della struttura finanziaria,
ricomprando azioni proprie (o pagando un dividendo straordinario) se diventa meno
indebitata rispetto alla struttura finanziaria ottimale, o realizzando un aumento di
capitale per rimborsare debito quando diventa troppo indebitata. Operazioni di questo
tipo hanno costifissi di allestimento non trascurabili (costi amministrativi, legali,
commissioni a banche che si incaricano di collocare i titoli e gestire i rapporti con i
molti azionisti nel caso di una società quotata), e non possono essere intraprese con
elevata frequenza. Si può dire che l’esistenza di costi di transazione di ciascuna
singola operazione finanziaria è ragione sufficiente per spiegare scostamenti
temporanei dalla struttura finanziaria ottimale.
In ogni tipo di impresa, pertanto, è inevitabile che la struttura finanziaria vari nel
tempo, e le conseguenze dell’aumento e della diminuzione di liquidità si riflettano in
primo luogo sull’entità delle disponibilità liquide immediate all’attivo, e del debito
finanziario a breve verso banche al passivo, il quale ultimo ha forme tecniche
(regolamento in C/C) pensate proprio per permettere al livello dell’indebitamento di
variare a poco costo nel tempo. Ogni impresa cercherà di avere margini di fido
disponibili sufficientemente ampi; non li utilizzerà se la gestione produce liquidità, li
“tirerà” più ampiamente se si formano fabbisogni finanziari.
In pratica, quindi, l’analisi MM porta ad individuare la, struttura finanziaria “di
riferimento” a cui l’impresa  tende; ma è da attendersi che un’impresa si trovi ad
essere la maggior parte del tempo più o meno discosta dalla sua struttura finanziaria
ottimale. In concreto le scelte di struttura finanziaria di maggiore rilevanza
manageriale non sono solo quelle riguardanti la struttura finanziaria di riferimento,
ma anche quelle riguardanti il come tendere ad essa, cioè il come gestire gli
scostamenti dalla struttura ottimale gestendo giorno per giorno liquidità e fonti di
finanziamento.
Si noti comunque un primo punto fermo importante. Sarebbe sbagliato contrapporre
una visione delle scelte di finanziamento basata sull’approccio statico (analisi di
struttura finanziaria di MM) a un approccio dinamico (analisi di come, nel corso del
tempo, possono essere colmati i fabbisogni o le eccedenze finanziarie). Nella realtà,
nessuno dei due approcci può realizzarsi senza tenere conto dell’altro.
Un secondo punto è che nel breve periodo, per ragioni connesse ai costi di
transazione, le fluttuazioni della dinamica finanziaria vengono inevitabilmente gestite
tramite la flessibilità degli investimenti di liquidità e del debito finanziario a breve
verso banche.

Le possibilità di ribilanciamento verso la struttura finanziaria ottimale


Altri aspetti di imperfezione dei mercati finanziari, oltre ai costi di transazione intesi
in senso stretto (cioè come costi fissi delle singole operazioni di finanziamento)
contribuiscono a spiegare perché si possono osservare comportamenti delle imprese
che sembrano “tollerare” scostamenti significativi dalla struttura finanziaria ottimale.
Tali aspetti di imperfezione possono espletare i propri effetti con particolare forza nel
caso delle imprese di non grandi dimensioni.
Un’impresa operante in un mercato finanziario perfetto avrebbe sempre la possibilità
di attuare operazioni di ribilanciamento verso la struttura finanziaria ottimale. In un
mercato perfetto le imprese richiederebbero finanziamenti solo in relazione a
decisioni di investimento che rendono più del costo del capitale; i finanziatori non
avrebbero difficoltà a riconoscere queste decisioni, e perciò non avrebbero nessun
problema nel far pervenire alle imprese i mezzi finanziari; la dimensione dei mercati
finanziari sarebbe illimitata, e perciò non vi sarebbero limiti quantitativi ai
finanziamenti reperibili.
I mercati finanziari reali sono per molti versi più simili a quelli perfetti di quanto si
possa a prima vista pensare. Ad esempio la quantità di finanziamenti reperibili per
progetti imprenditorialmente validi può essere considerata praticamente illimitata, se
si pensa alla facilità con cui si possono ottenere in pochi giorni migliaia di milioni (di
euro o dollari) per finanziare fusioni e acquisizioni, o per realizzare privatizzazioni. Il
problema è che non tutte le imprese hanno accesso ai mercati finanziari in senso
pieno, ad esempio sono quotate in borsa e/o hanno una dimensione sufficiente per
potersi presentare sul mercato obbligazionario.
Si può quindi assumere che una società quotata possa sempre realizzare operazioni di
ribilanciamento della struttura finanziaria. L’aspetto che è chiaramente diverso dal
mercato perfetto è semplicemente che – come si è visto – queste operazioni sono
costose, e quindi non vengono realizzate in continuazione, ma su intervalli che si
misurano in mesi e non in giorni. Inoltre, vi sono alcune ulteriori complicazioni che
fanno prendere strade più tortuose di quelle che sembrerebbero migliori; ad esempio,
sembrerebbe naturale usare i dividendi come valvola di sfogo per ribilanciare la
struttura finanziaria, distribuendone di più o di meno a seconda che si sia più o meno
indebitati rispetto alla struttura ottimale. Invece non è esattamente così, e le
operazioni di ribilanciamento si attuano per vie sostanzialmente diverse dalle scelte di
distribuzione dei dividendi ordinari.
La questione è però ancora più complessa per una società non quotata. Una società
con pochi soci, in genere legati da vincoli personali, che si trovi ad essere troppo
indebitata, può realizzare un aumento di capitale solo se i soci vogliono sostenerlo.
Però i soci possono semplicemente non avere le risorse personali per sostenerlo; o
possono volere evitare di concentrare eccessivamente i propri investimenti personali
in una singola impresa, trovandosi così personalmente troppo poco diversificati. In
una società non quotata, però, è più difficile reperire nuovi azionisti solo per esigenze
finanziarie, in quanto agisce come deterrente – per soggetti che agiscono nell’ottica di
puri investitori – la difficoltà prospettica nell’uscire dall’investimento. In pratica,
l’unica soluzione diventa accostarsi alla quotazione in borsa, passo che ha un costo
elevato e che molte imprese, soprattutto di minori dimensioni, non ritengono
conveniente intraprendere
Una società di non grandi dimensioni, e non quotata, può incontrare problemi non
solo a ricapitalizzarsi se è troppo indebitata, ma anche a indebitarsi oltre certi livelli
quando questo sarebbe per molti versi (ad esempio per godere di maggiori scudi
fiscali) conveniente.
L’analisi MM assume infatti che il mercato finanziario sia perfettamente flessibile
anche nel fare pervenire alle imprese mezzi finanziari a titolo di debito. Al crescere
del leverage cresce il rischio, e i creditori rispondono facendo aumentare il tasso
nominale richiesto, per avere il rendimento atteso desiderato. In concreto, ancora una
volta, questo può essere vero per una società quotata, che può scegliere il mix di
strumenti di indebitamento desiderato, da prestiti bancari a normali obbligazioni a
junk-bonds (obbligazioni ad alto rischio e ad alto tasso di rendimento nominale). Una
piccola impresa riesce a indebitarsi quasi solo sotto forma di prestiti bancari. Ora, la
banca, per sua natura, di norma non effettua prestiti di tipo junk; a differenza di un
fondo obbligazionario, ha dei limiti assoluti nel rischio in cui può incorrere, perché è
soggetta a limiti regolamentari di adeguatezza del capitale (per garantire i depositanti
e la stabilità del sistema). Quindi, una piccola impresa può presto trovarsi a non
riuscire a reperire debito addizionale nemmeno essendo disposta a pagare un maggior
tasso d’interesse, a meno che i proprietari non forniscano idonee garanzie personali
(garanzie fideiussorie su un patrimonio che magari è gestito dalla banca stessa,
ipoteche su immobili ecc.).
Questo non vuol dire che l’analisi MM non abbia nessun insegnamento utile per le
imprese di minori dimensioni; tuttavia, la sua applicazione deve fare conto con
vincoli molto maggiori. Si noti che ragionando sull’applicabilità della teoriaMM nel
mondo reale abbiamo individuato alcuni motivi a favore della scelta di quotarsi in
borsa (che andrebbe però compiutamente analizzata esaminandone i costi, non
indifferenti).
Tuttavia l’osservazione del mondo reale porta a constatare numerose situazioni
d’impresa in cui le scelte finanziarie appaiono non ottimali; anche in situazioni, come
quelle di grandi imprese quotate, in cui le possibilità di ribilanciamento della struttura
finanziaria non mancherebbero. Ad alcuni osservatori appare quasi che non vi sia
interesse da parte delle imprese a perseguire la struttura finanziaria ottimale. In effetti
vi sono ulteriori ragioni che contribuiscono a spiegare perché la tensione delle
imprese verso la struttura finanziaria ottimale sia meno intensa di quanto ci si
potrebbe aspettare. Alcune di queste sono riconducibili ai cosiddetti “costi di agenzia”
riguardanti i rapporti tra azionisti, manager e creditori, e costituiscono tematiche che
per ragioni di spazio non sono affrontate in questo corso. Altre sono, secondo
un’importante corrente di pensiero, legate a fenomeni di asimmetria informativa che
produrrebbero una preferenza assoluta verso un modello di ordine gerarchico di
attivazione delle fonti di finanziamento. Si tratta di un’ipotesi cui il testo fa un
riferimento nel corso del settimo paragrafo del capitolo 16; data la rilevanza del
problema merita spendere alcune parole in più sul punto.

La teoria dell’ordine gerarchico di attivazione delle fonti di finanziamento


Per teoria dell’ordine gerarchico di attivazione delle fonti di finanziamento (per la
quale si usa anche il termine di ordine di preferenza per le fonti di finanziamento;
l’originale è il termine inglese di peckingordertheory, lett. “teoria dell’ordine di
beccata”) si intende una preferenza assoluta per l’effettuazione delle scelte finanziarie
sulla base della dinamica finanziaria, anziché proponendosi obiettivi in termini di
struttura (cioè di rapporto di indebitamento).
In parti precedenti di questa nota si è rilevato come un certo grado di tolleranza nel
sopportare deviazioni dal grado d’indebitamento ottimale, in seguito alle fluttuazioni
della dinamica finanziaria d’impresa, sia assolutamente normale, se non altro per
ragioni di costi di transazione. Quando si parla di teoria dell’ordine gerarchico di
attivazione delle fonti di finanziamento si va però oltre, e si intende far riferimento ad
un modello di effettuazione delle scelte finanziarie che diventa alternativo a quello,
basato sulla ricerca di una struttura finanziaria ottimale, proprio dell’analisi MM. In
questo secondo modello si ipotizza che le imprese non abbiano obiettivi di struttura
finanziaria ottimale, ma che condizionino le loro scelte finanziarie – e anche in buona
parte, contemporaneamente, le loro scelte di investimento –  alla dimensione
dell’autofinanziamento prodotto dalla gestione, mostrando riluttanza nell’attivare
operazioni rilevanti di finanziamento esterno, sia a titolo di debito che di mezzi
propri; e soprattutto, mostrando marcata riluttanza nei confronti di richieste di nuovi
mezzi propri agli azionisti sotto forma di aumenti di capitale.
Questa teoria nasce soprattutto dall’osservazione del comportamento di molte grandi
imprese americane, e in particolar modo del loro comportamento negli anni ’60 e ’70.
In un paese come l’Italia è molto più difficile accettare che questa teoria descriva il
comportamento delle imprese; soprattutto, non sembra manifestarsi una così stretta
preferenza per l’autofinanziamento e una così marcata riluttanza ad attivare
operazioni di finanziamento esterno, nemmeno a titolo di mezzi propri (le società
quotate italiane, in proporzione, hanno posto in essere negli ultimi decenni molti più
aumenti di capitale che le società americane). Data però l’importanza che questa
teoria ha nella letteratura finanziaria, e dato anche che in vari paesi – e non solo gli
Stati Uniti – le maggiori imprese sembrano basarsi soprattutto sull’autofinanziamento,
è opportuno comunque soffermarsi sul suo contenuto.
Il testo fa osservare innanzitutto come un motivo per un ordine di preferenza delle
fonti di finanziamento possa essere rinvenuto nei costi di transazione. Di ciò si è già
detto, e si è anche osservato come i costi di transazione possano essere un motivo per
deviazioni dalla struttura finanziaria ottimale indicata dalla teoria, ma non certo per
un’irrilevanza di quest’ultima.  Quindi i costi di transazione non possono spiegare un
comportamento basato in senso stretto sull’ordine di preferenza anziché sulla
tendenza a una struttura finanziaria ottimale.
Una spiegazione dell’ordine di preferenza coerente con il principio di
massimizzazione del valore azionario è stata cercata nei fenomeni di asimmetria
informativa. Il punto fondamentale del tema dell’asimmetria informativa è che
normalmente gli investitori, e di conseguenza il mercato, non dispongono di tutta
l’informazione necessaria a valutare perfettamente i titoli. Ad esempio, se i mercati
non sono informativamente efficienti in forma forte, i prezzi non rispecchieranno
l’informazione non pubblica. Tra questa informazione non pubblica vi è quella che
resta esclusivamente a disposizione del management, vuoi perché la sua
pubblicizzazione avvantaggerebbe i concorrenti, vuoi perché essa non è stata ancora
comunicata al mercato o per sua natura è difficile da comunicare credibilmente al
mercato. Possiamo insomma pensare che il management sia in una situazione in cui
può valutare meglio l’impresa rispetto al mercato. Il prezzo di mercato, rispetto a
quello che è in grado di valutare il management, può essere poco o tanto
sopravvalutato o sottovalutato.
Quando il prezzo delle azioni è sottovalutato, quindi, i manager sono riluttanti,
nell’interesse degli azionisti, a emettere nuove azioni, mentre saranno favorevoli nel
caso il prezzo sia sopravvalutato. Il motivo è che l’aumento di capitale comporta
l’entrata di nuovi soggetti nel capitale sociale. Ora, se tali nuovi soggetti entrano nella
società quanto il titolo azionario è sottovalutato sul mercato, acquistano una quota del
capitale sociale pagando meno di quello che dovrebbero se il prezzo fosse corretto, il
che danneggia i vecchi azionisti. Viceversa, se i nuovi soci pagano un prezzo
sopravvalutato, si avvantaggiano i vecchi azionisti. Se è così, la decisione di attuare
un aumento di capitale può addirittura essere interpretata dagli operatori come un
“segnale” che il prezzo è sopravvalutato (in quanto, ragionano gli operatori, se non
fosse così i manager non varerebbero un aumento di capitale). Ciò provocherebbe un
calo del prezzo delle azioni in seguito all’annuncio dell’aumento di capitale; che è
quanto in effetti si osserva molto spesso. È comprensibile come a questo punto tutte le
imprese diventino riluttanti a effettuare aumenti di capitale; quelle il cui prezzo è
sottovalutato, perché l’interesse dei suoi attuali azionisti è che non si effettui un
aumento di capitale; quelle il cui prezzo è sopravvalutato, perché il solo annuncio
dell’aumento di capitale tende a far scendere il prezzo dell’azione. In ultima analisi,
gli aumenti di capitale verrebbero attuati solo dalle imprese che non possono farne a
meno, in quanto eccessivamente indebitate e quindi disposte a pagare i costi, ora visti,
connessi all’aumento di capitale.
Fenomeni di questo tipo possono verificarsi, sia pur in misura minore, per l’emissione
di obbligazioni; insomma, la difficoltà da parte degli investitori a valutare
perfettamente i titoli può portarli a penalizzare proprio le imprese migliori; le quali, a
questo punto, sarebbero le più propense a manifestare una stretta preferenza per
l’autofinanziamento.
È difficile comunque giungere a una conclusione di carattere definitivo sul perché
molte grandi imprese sembrino adottare strutture finanziarie caratterizzate da troppo
scarso indebitamento rispetto a quanto suggerito dall’analisi di MM, e da ricorso
pressoché  nullo ad aumenti di capitale. Si tratta di un problema che ha occupato
molto gli studiosi di finanza americani negli anni ’80, e anche in parte negli anni ’90,
benché in questo periodo le strutture finanziare medie delle imprese siano diventate
più indebitate. Molti sono i fattori che possono avere rilievo nel caso concreto, e non
tutti possono essere considerati in questa sede. Come ultimo esempio di questi
ulteriori fattori, si consideri come, negli ultimi decenni, si assista a una grande
intensità dei fenomeni di fusioni e acquisizioni tra imprese di maggiori dimensioni
operanti nello stesso settore o in settori affini, spesso cross-border (cioè tra imprese di
diversa nazionalità). Un’impresa che abbia in programma rilevanti acquisizioni avrà
convenienza a trovarsi al momento iniziale poco indebitata; con ampia possibilità di
aumentare l’indebitamento e addirittura con ampie disponibilità liquide all’attivo.
Così potrà rapidamente mobilitare risorse finanziarie per realizzare grandi progetti di
acquisizione pagando per cassa le imprese che intende acquisire.
PRESENTAZIONI
Presentazione 1
INTRODUZIONE ALLA FINANZA
AZIENDALE

Nel sistema economico coesistono, generalmente,


OPERATORI IN SURPLUS
(mezzi di pagamento > necessità di consumo)
(tipicamente, famiglie: risparmiatori o investitori)

e
OPERATORI IN DEFICIT
(mezzi di pagamento < necessità di consumo)
(tipicamente, imprese e Enti pubblici)
IL MERCATO FINANZIARIO
permette di allineare necessità di consumo e disponibilità di risorse

Gli operatori in deficit raccolgono risorse (si finanziano) emettendo PASSIVITÀ


FINANZIARIE,
promesse di pagamento in date future, eventualmente condizionate al verificarsi di
determinati eventi

Le PASSIVITÀ FINANZIARIE di un operatore sono detenute da altri operatori,


per cui rappresentano ATTIVITÀ FINANZIARIE, suscettibili di generare
entrate di cassa in periodi futuri.

La differenza tra ciò che riceve l’operatore in deficit e ciò che promette di pagare
misura il:
– costo del FINANZIAMENTO per gli operatori in deficit
– rendimento dell’INVESTIMENTO per gli operatori in surplus

La stipula di RELAZIONI DI FINANZIAMENTO può avere luogo in vari modi:

– in via DIRETTA sui mercati finanziari (emissione di titoli che incorporano la


promessa di pagamento)
– in via INDIRETTA, attraverso il ricorso a INTERMEDIARI finanziari, con o senza
l’emissione di titoli

– in realtà anche nel finanziamento diretto è frequente il ricorso ad intermediari


(es. merchant banks, venture capitalists, consorzi di collocamento)
Classi di decisioni finanziarie

A) di INVESTIMENTO
Rinuncia al consumo immediato di risorse, che
sono impiegate per acquistare

* attività finanziarie (azioni, obbligazioni, contratti di


finanziamento)

* attività reali (progetti d’investimento)

che offrono attese di ritorni futuri


B) di FINANZIAMENTO
Ottenimento di risorse da terzi, dietro promessa di
pagamenti futuri

Un’impresa, prima di investire in un’attività o in un progetto, occorre che abbia


reperito il capitale
necessario per l’investimento.

L’impresa può ottenere finanziamenti a titolo di debito, di capitale azionario


o attraverso strumenti finanziari ibridi.
  DEBITO (finanziario)
– prestiti, dunque contratti
sono erogati da banche e altri intermediari finanziari
possono assumere varie forme tecniche (mutui,
aperture di credito in c/c, anticipi sbf, ecc.)
– obbligazioni, ossia titoli rappresentativi di un rapporto di debito

l’impresa debitrice si impegna:


a corrispondere periodicamente gli interessi
a restituire, normalmente a scadenza, il capitale preso a prestito
  CAPITALE AZIONARIO O EQUITY
– azioni, ossia titoli rappresentativi del capitale sociale
varie tipologie (ordinarie, privilegiate, di risparmio)

l’impresa può corrispondere dividendi


le azioni sono titoli a scadenza indefinita
  TITOLI IBRIDI
– obbligazioni convertibili
– obbligazioni con warrant

La composizione delle fonti di finanziamento, che compaiono nel passivo di stato


patrimoniale,
determina la struttura finanziaria dell’impresa.
Nel prosieguo, si farà riferimento al debito (indistintamente) e al capitale azionario
(o patrimonio netto o equity).

Le attività finanziarie e reali sono caratterizzate da una


logica di base COMUNE, basata sulla considerazione di:
  (1) RENDIMENTO (COSTO)

  (2) RISCHIO

RENDIMENTO DELLE ATTIVITÀ FINANZIARIE


Le attività finanziarie possono generare due tipi di FLUSSI (o RITORNI):
  (1) FLUSSI PERIODICI
pagamenti corrisposti dal soggetto che si finanzia
secondo un definito SCHEMA CONTRATTUALE
  (2) DIFFERENZA DI PREZZO
tra il momento dell’acquisto (o dell’emissione)
e il momento della vendita (o del rimborso)
(CAPITAL GAIN / LOSS)

RENDIMENTO di un’attività finanziaria in una unità di tempo


dove: P = E(P1) – P0 = P1 – P0
E(P1) = prezzo atteso al periodo 1

RENDIMENTO DEGLI STRUMENTI DI DEBITO


– flussi periodici: interessi
– capital gains (losses)

a) titoli CEDOLARI (tasso d’interesse)


– a tasso fisso
– a tasso variabile
b) titoli DI PURO SCONTO (zero-coupon)
RENDIMENTO DELLE AZIONI
– flussi periodici: dividendi
– capital gains (losses)
TIPI DI RENDIMENTO
È necessario distinguere:
A) RENDIMENTO STORICO (ex post) = R
Performance effettivamente conseguita in passato

Esempio
Un investitore ha acquistato lo scorso anno un’obbligazione al prezzo di 100.
Oggi l’obbligazione paga una cedola pari a 5 e l’investitore rivende
l’obbligazione a 102.
Il rendimento ex post è pari a:

B) RENDIMENTO ATTESO (ex ante) = E(R)


Entra direttamente nei calcoli di convenienza. Perché?
Perché gli investitori sono interessati ai flussi FUTURI.
HP : F=0

Ipotizziamo un’attività finanziaria (AF) che non effettua pagamenti intermedi


(F=0).
Al tempo 1, tra un anno, il prezzo non è noto con certezza, ma possiamo pensare
che dipenda dal verificarsi di un certo stato del mondo. Per semplicità, ci sono 2
stati
del mondo possibili, uno buono ed uno cattivo, egualmente probabili.
Il prezzo dell’AF nello stato buono sarà pari a 8; il prezzo nello stato cattivo sarà
6.
Quale rendimento un investitore può attendersi di conseguire dall’acquisto
dell’AF che oggi
ha un prezzo pari a 5?

rendimento nello stato buono(8 – 5)/5 = 60% probabilità di manifestazione 50%


rendimento nello stato cattivo(6 – 5)/5 = 20% probabilità di manifestazione 50%

Il rendimento atteso è la media dei rendimenti possibili in ciascuno “stato del mondo”
(ponderata per le rispettive probabilità di manifestazione)

E (R) = 60% * 50% + 20 % * 50% = 40%

In generale, possiamo scrivere:

dove: pj = probabilità che si verifichi lo stato j


Rj = rendimento nello stato j

Determinazione del rendimento atteso per via diretta

(1) Identificazione di tutti i possibili scenari


(2) Stima della probabilità di manifestazione di ogni scenario
(3) Determinazione del rendimento atteso in ogni scenario
Esempio di calcolo
       
 Stati del mondo  Prob.  Rend.  Prob. x Rend.
       
 Crescita del PIL  pj  Rj  pj x Rj
       
 inferiore allo 0,5%  5%  – 3%  – 0,15%
       
 tra 0,5 e 1%  10%  0%  0,00%
       
 tra 1 e 1,5%  20%  2%  0,40%
       
 tra 1,5 e 2%  30%  4%  1,20%
       
 tra 2 e 2,5%  20%  6%  1,20%
       
 tra 2,5 e 3%  10%  9%  0,90%
       
 oltre il 3%  5%  12%  0,60%
       
           
       
 Totale  100%  E(R)  4,15%

Ogni soggetto sa di avere di fronte un ventaglio di

OPPORTUNITÀ DI INVESTIMENTO

ciascuna delle quali ha un proprio:

* RENDIMENTO ATTESO
* rischio (che vedremo dopo)

L’investimento in un’attività comporta la RINUNCIA ad investire le risorse nelle


altre, comporta cioè un

COSTO-OPPORTUNITÀ DEL CAPITALE


(o più semplicemente, COSTO DEL CAPITALE)
misurabile tramite il rendimento atteso sul miglior investimento alternativo
disponibile
(a parità di condizioni). Esso è interpretabile anche come il

RENDIMENTO RICHIESTO DALL’INVESTITORE

Ad esempio, se considero un possibile investimento che dura un anno


so che potrei impiegare in modo diverso gli stessi soldi acquistando titoli di Stato
che offrono con certezza un rendimento R.

Se consideriamo il capitale azionario, il rendimento richiesto dagli azionisti è


contestualmente il costo
del capitale azionario per l’impresa.
Analogamente, il rendimento richiesto dai creditori o obbligazionisti è il costo del
debito per l’impresa.

Dalla def. di RENDIMENTO ATTESO di un’attività finanziaria che non offre


pagamenti intermedi (F = 0)

possiamo ricavare:

Il valore oggi o prezzo (P0) rappresenta il valore attuale di P1


(in generale: qualsiasi flusso F) al tasso R: con che cifra sono disposto
a scambiare il diritto di avere P1 tra 1 anno se so di poter investire i miei soldi al tasso
R?
Ovvero: Quanto vale in Euro OGGI il diritto di avere P1 Euro domani?

In generale, un euro oggi vale più di un euro tra un anno. Se disponiamo di un euro
oggi, possiamo
investirlo. Per esempio, se lo depositiamo su un c/c bancario che paga interessi al 3%,
dopo un anno
avremo a disposizione 1,03 euro.

Tali formule possono essere facilmente estese a somme disponibili dopo


un numero qualsiasi (t) di periodi. Se investiamo per 2 periodi:
P2 = P1 x (1 + R) = P0 x (1 + R)2

   

IN GENERALE:

   
 è la formula che si usa per stabilire il VALORE ATTUALE
di un titolo che paga una somma F dopo t anni
 

Assumeremo solitamente che i periodi siano anni. Quindi t=1 significa che
la somma viene pagata tra un anno, t=3 significa che la
somma viene pagata tra tre anni, eccetera. Anche il
rendimento è allora un rendimento annuale.

Esempi:

Il valore oggi di una somma di 500 pagata con certezza


tra un anno, se R è pari all’8%, è:

Il valore oggi di una somma di 1400 pagata con certezza


tra quattro anni, se R è pari al 12%, è:

L’attualizzazione riduce il valore delle somme pagate in futuro


in una misura che dipende dal rendimento (costo-opportunità) e dal tempo
tra cui le somme saranno disponibili.
VALORE DI 100 EURO PAGATI TRA N ANNI
RENDIMENTI ANNI
  1 2 3 5 1030 100
               
5,00% 95,24 90,70 86,38 78,35 61,39 23,14 0,76
8,00% 92,59 85,73 79,38 68,06 46,32 9,94 0,05
10,00% 90,91 82,64 75,13 62,09 38,55 5,73 0,01
12,00% 89,29 79,72 71,18 56,74 32,20 3,34 0,00
15,00% 86,96 75,61 65,75 49,72 24,72 1,51 0,00
20,00% 83,33 69,44 57,87 40,19 16,15 0,42 0,00
               

 è il fattore di attualizzazione o fattore di sconto

Quanto vale un’opportunità di investimento complessa, che paghi flussi in più


periodi?
Consideriamo un esempio elementare: un titolo che paghi (con certezza)
300 tra un anno e 700 tra due anni.
Il valore attuale di questo titolo sarà pari alla somma dei valori attuali
di un titolo che paghi 300 euro tra un anno e
di un altro titolo che paghi 700 euro tra due anni:

con R = 8%

In termini generali, per un investimento che paghi flussi per n periodi (anni):

È la formula che si usa per stabilire il VALORE ATTUALE


di un’attività finanziaria

È la formula-base per le decisioni finanziarie

Il tasso di attualizzazione (rendimento atteso) R consente di rapportare ad un


medesimo
periodo di tempo somme di denaro altrimenti non confrontabili.
Il tasso di attualizzazione R rappresenta dunque il costo opportunità
del capitale o, equivalentemente, il rendimento richiesto dall’investitore.

Se ipotizziamo di operare in condizioni di certezza (e dunque in assenza di rischio)


R è il tasso di interesse prevalente sul mercato,
che definiamo tasso di interesse privo di rischio (risk free) e indicheremo Rf
Se il tasso di interesse prevalente sul mercato è il 3%, investendo o prendendo a
prestito
denaro a questo tasso, è possibile scambiare con certezza 1,03 euro disponibili tra un
anno
con 1 euro disponibile oggi.

Il valore attuale rappresenta dunque il valore teorico o valore intrinseco o fair


value
di un’attività finanziaria.

Il valore attuale o fair value corrisponde al prezzo delle attività finanziarie


Se assumiamo che i mercati (finanziari) siano perfettamente concorrenziali ed
efficienti (come
vedremo più avanti), allora il valore attuale di un’attività finanziaria, ossia il suo
valore teorico, viene
a coincidere con il prezzo al quale gli investitori sono disposti a scambiarla.
In altri termini, in mercati efficienti, i prezzi delle attività finanziarie riflettono il
valore intrinseco
delle medesime.

Normalmente un investimento (reale o finanziario) comporta il sostenimento di un


costo per
l’effettuazione dell’investimento stesso (e dunque un’uscita di cassa), mentre i ritorni
dell’investimento
(e dunque i flussi di cassa in entrata) si avranno in futuro.
La convenienza di un investimento dipende dalla sua capacità di generare ritorni per
l’investitore superiori
al costo sostenuto per l’investimento.

Risulta dunque utile valutare la convenienza di un investimento al momento 0 in cui


si deve
prendere la decisione.
Ciò comporta il calcolo del VALORE ATTUALE NETTO o VAN

Chiamiamo VAN (valore attuale netto) di un progetto d’investimento


la differenza tra il valore attuale dei flussi di cassa che l’investimento genera
per il suo detentore e il costo che quest’ultimo sostiene per disporre
dell’investimento.

Possiamo quindi scrivere:


IN INGLESE NPV (NET PRESENT VALUE)

Problemi di individuazione delle grandezze incluse nella formula:

* I0 Il costo dell’attuazione dell’investimento


* Ft I flussi (entrate, eventuali altre uscite) derivanti dall’investimento
* R tasso di attualizzazione (costo-opportunità del capitale; in condizioni di
incertezza, include un premio coerente con il rischio dell’investimento)
* n durata dell’investimento

Il VAN rappresenta il valore dell’investimento in termini di denaro oggi.


Il criterio decisionale dice:

– ACCETTARE TUTTI I PROGETTI A VAN POSITIVO

Esempi: Investimento in att.finanziarie (es. acquisto di un’obbligazione)


Investimento in att.reali (es. acquisto di un impianto per avvio linea nuovo
prodotto)
Investimento in attività finanziarie
Supponiamo di voler acquistare il titolo che paga con certezza 300 euro tra un anno e
700 tra due
anni. Se il tasso di interesse di mercato è pari all’8%, il valore attuale e dunque il
prezzo del titolo
(ipotizzando di operare in mercati efficienti) sarà pari a 877,915 (come mostrato
sopra)
Qual è il VAN dell’investimento?
Applicando la definizione di VAN, abbiamo:

In un mercato efficiente, come chiariremo più avanti, l’investimento in AF ha sempre


VAN nullo.
Investimento in attività reali
Esempio
La Pinguino Spa sta valutando se rivedere o meno l’edizione di un suo libro di testo
molto diffuso
Financial Psychoanalysis Made Simple. Il direttore della Pinguino ha stimato che la
revisione costerebbe
40.000 euro (da pagarsi immediatamente). Il flussi di cassa generati dalle maggiori
vendite
sarebbero pari a 12.000 euro per i prossimi 5 anni. Alla fine del quinto anno il libro
uscirà di produzione.
Il tasso di attualizzazione (ossia il costo del capitale della Pinguino o rendimento
richiesto dagli
investitori) è il 7%. Conviene alla società procedere con la revisione del libro?

Bisogna pertanto allineare i flussi secondo il tempo

t 0 1 2 3  ... n
Flusso I0 F1 F2 F3  ... Fn

individuare per ciascuno il fattore di attualizzazione appropriato

 1
 ...

e infine sommare i flussi scontati

  0 1 2 3 4 5
Investimento iniziale – 40000          
Flussi di cassa   12000 12000 12000 12000 12000
Fattore di attualizzazione   0,935 0,873 0,816 0,763 0,713
             
Flussi attualizzati – 40000 11215 10481 9796 9155 8556
             
VAN (€) 9202          

Il progetto deve essere accettato. Il valore dell’equity aumenta di 9202 euro.


Se il management dell’impresa seleziona progetti a VAN positivo, gli azionisti
vedono incrementata la loro
ricchezza, ossia cresce il valore delle azioni.
La presenza di condizioni di incertezza sui mercati non invalida il principio del valore
attuale
per la determinazione del prezzo delle attività finanziarie.
Il rischio fa sì che gli investitori richiedano una remunerazione maggiore per il
proprio
investimento.

Nella determinazione del valore di un’attività rischiosa, il tasso di attualizzazione


applicato
ai flussi di cassa (attesi) che essa genera sarà maggiore del rendimento richiesto per
l’investimento in attività prive di rischio
Dunque si tratterà di determinare:
rendimento richiesto dagli investitori in attività rischiose =
1 – tasso di interesse privo di rischio (tasso risk free): Rf
+
2 – premio per il rischio

Perché un premio per il rischio?

Possibile atteggiamento verso il rischio degli investitori

– avversi al rischio
– indifferenti al rischio
– propensi al rischio

Qual è il rischio “rilevante” per gli investitori? Come misurarlo? Come determinare il
premio richiesto?
IL RISCHIO DELLE ATTIVITÀ FINANZIARIE
Possibilità che il rendimento ex post diverga da quello atteso
Un investimento è PRIVO DI RISCHIO (RISK FREE) se non sussiste incertezza
sulla misura dei flussi di pagamento che corrisponderà in futuro

Il RISCHIO è misurabile – in prima approssimazione – tramite la DISPERSIONE


ATTESA
dei rendimenti (scarto quadratico medio SQM o )
Varianza ( 2)

Misurazione del rischio


(1) Identificazione di tutti i possibili scenari
(2) Stima della probabilità di manifestazione di ogni scenario
(3) Determinazione del rendimento atteso in ogni scenario
(4) Determinazione dello scarto (quadratico) dalla media in ogni scenario
(5) Calcolo di SQM
Esempio di calcolo
Stati del mondo Prob. Rend. Scarto da E(R) Scarto quadratico Scarto x prob.
Crescita del PIL pj Rj Rj-E(R) (Rj-E(R))2 pj (Rj-E(R))2
inferiore a 0,5% 5% –3%,00 –7,15% 0,51% 0,03%
tra 0,5 e 1% 10% 0%,00 –4,15% 0,17% 0,02%
tra 1 e 1,5% 20% 2%,00 –2,15% 0,05% 0,01%
tra 1,5 e 2% 30% 4%,00 –0,15% 0,00% 0,00%
tra 2 e 2,5% 20% 6%,00 1,85% 0,03% 0,01%
tra 2,5 e 3% 10% 9%,00 4,85% 0,24% 0,02%
oltre il 3% 5% 12%,00 7,85% 0,62% 0,03%
           
  100%     Varianza 0,11%
          
  E(R) 4,15%   SQM 3,37%

Lo SQM è detto anche volatilità


Le principali FONTI DI RISCHIO delle attività finanziarie
* tutte le variabili atte a determinare una modificazione
del valore dell’attività (e dunque un rendimento diverso
da quello atteso)

– sugli strumenti di DEBITO:


– rischio di INTERESSE
* di tasso
* di prezzo
– rischio di INFLAZIONE
– rischio di CAMBIO
– rischio di INSOLVENZA
– sulle AZIONI:
– rischio di IMPRESA

Chiaramente il rischio di detenere un’azione è che i suoi dividendi più il valore finale
siano
maggiori o minori rispetto a quelli attesi.
Che cosa provoca la fluttuazione dei prezzi e dei dividendi delle azioni?
Solitamente prezzi e dividendi variano con riferimento a:
1. notizie specifiche sull’impresa (per esempio l’impresa ha ideato un nuovo
prodotto)
2. notizie riguardanti il mercato, che si riferiscono cioè all’economia nel suo
complesso (per
esempio, la Banca Centrale modifica il livello dei tassi di interesse, il Fisco modifica
la tassazione)

Nel primo caso, le variazioni nel rendimento rappresentano un rischio specifico della
singola impresa.
Nel secondo caso, le informazioni sull’intera economia influenzano, sebbene in
misura diversa, tutte
le azioni delle varie imprese.
Presentazione 2
IL VALORE DI UN’OBBLIGAZIONE

Il tipo più semplice di obbligazione è quella senza cedola o zero-coupon bond


(ZCB), che non effettua
pagamenti di cedole. L’unico pagamento che l’investitore riceverà è il valore
nominale alla scadenza.

Dato che il valore attuale di un flusso di cassa futuro è sempre inferiore al valore del
flusso di cassa,
prima della scadenza, il prezzo di un’obbligazione zero-coupon sarà sempre inferiore
al
valore nominale.
Per esempio, consideriamo un’obbligazione zero-coupon con scadenza tra un anno e
valore nominale
pari a 100. Se il tasso di interesse di mercato è il 3%, qual è il valore attuale
dell’obbligazione?

Per il principio del valore attuale visto in precedenza:

L’obbligazione zero-coupon è negoziata sotto la pari.

Consideriamo ora un’obbligazione a cedola fissa (fixed-rate bond).


Si tratta di un titolo emesso da un’impresa o dallo Stato che rimborsa il capitale alla
scadenza
e prevede il pagamento di interessi periodici.

In un’obbligazione a cedola fissa l’entità degli interessi corrisposti è predeterminata.


Il tasso di interesse cedolare (o contrattuale o nominale) è definito all’atto
dell’emissione ed è
invariato per tutta la durata dell’obbligazione.

Per quanto mostrato in precedenza, il valore di un’obbligazione è il valore attuale dei


flussi di cassa
che il titolo genera in futuro.
Continuiamo a riferirci a titoli privi di rischio.
Il tasso di attualizzazione è dunque il tasso di interesse privo di rischio prevalente sul
mercato.

Consideriamo l’impresa Alfa che emette oggi un’obbligazione che paga un tasso
d’interesse cedolare
del 5% annuo e rimborsa un capitale di 100 alla scadenza del quinto anno.
Al momento dell’emissione è ragionevole assumere che l’impresa fissi un tasso
cedolare in linea
con il tasso di interesse di mercato
Qual è il valore attuale ossia il prezzo dell’obbligazione?
Il rendimento di mercato a t0 è       5,00%    
             

Valore nominale 100          


periodi (vita residua)   1 2 3 4 5
flussi attesi   5 5 5 5 105
calcolo fattore di sconto   1/1,05 1/(1,05)2 1/(1,05)3 1/(1,05)4 1/(1,05)5
fattore di sconto   0,952 0,907 0,864 0,823 00,784
flussi scontati   4,762 4,535 4,319 4,114 82,270
        VA = P0 = 100,00

Il titolo obbligazionario è quotato alla pari.

Il prezzo di un’obbligazione coincide con il valore nominale se e solo se il tasso di


interesse di mercato
coincide con il tasso cedolare.

Consideriamo il precedente titolo, e pensiamo che sia trascorso un anno


dall’emissione (t1)
Dato che è trascorso un anno dall’emissione, la durata residua del titolo è ora di 4
anni.
Ipotizziamo che non sia intervenuta nessuna variazione del tasso di interesse di
mercato.

Il rendimento di mercato a t1 è dunque ancora     5,00%  


Quanto varrà ora l’obbligazione?        
periodi (vita residua) 1 2 3 4
flussi di cassa attesi 5 5 5 105
fattore di sconto 0,952 0,907 0,864 0,823
flussi scontati 4,762 4,535 4,319 86,384
    VA = P0 = 100,00

Se il tasso di mercato non è variato, il titolo continuerà a quotare alla pari.


Se un investitore ha acquistato il titolo lo scorso anno, ossia all’emissione,
e oggi, trascorso un anno, decide di venderlo, quale rendimento consegue?
Si tratta ovviamente di determinare un rendimento ex post.
Il flusso periodico è rappresentato dalla cedola di 5 incassata oggi (il pagamento delle
cedole è infatti
sempre posticipato). A ciò va aggiunta la variazione di prezzo (in tal caso nulla).
Il rendimento ex post che avrà ottenuto l’investitore è:

È immediato notare che se il tasso di mercato non varia, il rendimento ex post che
consegue l’investitore
è pari al tasso cedolare.
Cosa succede se dopo l’emissione, varia il tasso di mercato?

Ipotizziamo che la banca centrale annunci una riduzione del tasso di interesse di
mercato.

Il rendimento di mercato a t1 è     3,00%  


         
periodi (vita residua) 1 2 3 4
flussi di cassa attesi 5 5 5 105
fattore di sconto 0,971 0,943 0,915 00,888
flussi scontati 4,850 4,710 4,580 093,29
    VA = P0 = 107,43

Il titolo ora quota sopra la pari. Una riduzione del tasso di mercato ha generato un
aumento del prezzo
dell’obbligazione. Un tasso di mercato meno elevato implica infatti un minor tasso di
attualizzazione dei
flussi di cassa residui dell’obbligazione, aumentandone il valore attuale e di
conseguenza anche il prezzo

Se un investitore ha acquistato il titolo lo scorso anno, ossia all’emissione, e oggi,


trascorso un anno,
decide di venderlo, quale rendimento consegue?
Il rendimento ex post che avrà ottenuto l’investitore è:
Ipotizziamo che la banca centrale annunci un aumento del tasso di interesse di
mercato.

Il rendimento di mercato a t1 è     7,00%  


         
periodi (vita residua) 1 2 3 4
flussi di cassa attesi 5 5 5 105
fattore di sconto 0,935 0,873 0,816 0,763
flussi scontati 4,670 4,370 4,080 80,10
    VA = P0 = 93,23

Il titolo ora quota sotto la pari. Un aumento del tasso di mercato ha generato una
riduzione del prezzo
dell’obbligazione. Un tasso di mercato più elevato implica infatti un maggior tasso di
attualizzazione
dei flussi di cassa residui dell’obbligazione, diminuendone il valore attuale e di
conseguenza anche il prezzo

Se un investitore ha acquistato il titolo lo scorso anno, ossia all’emissione,


e oggi, trascorso un anno, decide di venderlo, quale rendimento consegue?
Il rendimento ex post che avrà ottenuto l’investitore è:

Comprendiamo ora perché le obbligazioni a cedola fissa sono soggette ad un rischio


di prezzo.
La variazione del rendimento di mercato comporta una variazione del prezzo
dell’obbligazione.
La relazione prezzo-rendimento è di tipo inverso: un aumento (diminuzione) del tasso
di mercato genera
una riduzione (aumento) del prezzo dell’obbligazione.
La variazione del costo del denaro, ossia del costo opportunità del capitale, è sempre
associata
a cambiamenti nei prezzi delle attività finanziarie.
Del resto, l’investitore che dispone oggi di 100 euro e che sperimenta per esempio un
aumento
del tasso di mercato dal 5% al 7% sa che ora può investire il denaro a tale tasso e
dunque è ora disposto
a scambiare 100 euro oggi con 107 euro fra un anno.
Variazioni di prezzo e vita residua dell’obbligazione
La variazione di prezzo tende ad essere tanto più intensa quanto più lontana è la
scadenza del titolo

Ipotizziamo che siano in circolazione titoli che offrono un tasso cedolare del 5%
emessi alla pari
(quindi al momento dell’emissione t0 il rendimento di mercato era pari al 5%)
I titoli hanno un valore nominale pari a 100.
Assumiamo che sia trascorso un anno dall’emissione.
L’investitore ha dunque acquistato l’obbligazione lo scorso anno a 100 e oggi ha
incassato la cedola di 5

Consideriamo 5 obbligazioni (A-B-C-D-E) che si differenziano unicamente per la vita


residua
Come varia il prezzo del titolo se cambia il rendimento di mercato?

Ipotizziamo che la banca centrale annunci una riduzione del tasso di interesse di
mercato.

Il rendimento di mercato a t1 è     3,00%      


             
Distribuzione dei flussi di cassa attesi            
obbligazione A B C D E  
Periodi (vita residua) 2 3 4 5 8 anni
flussi di cassa attesi 5 5 5 5 5 1
  105 5 5 5 5 2
    105 5 5 5 3
      105 5 5 4
        105 5 5
          5 6
          5 7
          105 8

Valore attuale dei flussi di cassa attesi            


Periodi (vita residua) 2 3 4 5 8 anni
flussi scontati 4,850 4,850 4,850 4,850 4,850 1
  98,970 4,710 4,710 4,710 4,710 2
    96,090 4,580 4,580 4,580 3
      93,290 4,440 4,440 4
        90,570 4,310 5
          4,190 6
          4,070 7
          82,890 8
            
VA = P0 103,827 105,657 107,434 109,159 114,039  
rend. ex post su un anno 8,83% 10,66% 12,43% 14,16% 19,04%  
   

Ipotizziamo che la banca centrale annunci un aumento del tasso di interesse di


mercato.

Il rendimento di mercato a t1 è     7,00%      


             
obbligazione A B C D E  
Periodi (vita residua) 2 3 4 5 8 anni
flussi scontati 4,67 4,67 4,67 4,67 4,67 1
  91,71 4,37 4,37 4,37 4,37 2
    85,71 4,08 4,08 4,08 3
      80,10 3,81 3,81 4
        74,86 3,56 5
          3,33 6
          3,11 7
          61,11 8
             
VA = P0 96,38 94,75 93,23 91,80 88,06  
rend. ex post su un anno 1,38% –0,25% –1,77% –3,20% –6,94%  
Il discorso cambia per i titoli a tasso variabile (floating-rate notes – FRN)
L’obbligazione a tasso variabile corrisponde interessi periodici ad un tasso di
interesse che è indicizzato
ad un determinato tasso di riferimento, normalmente un tasso di mercato.
Conseguentemente,
se cambia il rendimento di mercato cambia anche la cedola di interessi.
Pertanto il prezzo tende a non variare e i titoli a tasso variabile sono sempre quotati
alla pari.

Ipotizziamo che siano in circolazione 5 diverse obbligazioni a cedola variabile.


I titoli sono stati emessi alla pari lo scorso anno (t0) quando il tasso di mercato era il
5%.
I titoli hanno un valore nominale pari a 100.
Poiché il tasso di mercato a t0 era pari al 5%, sappiamo fin dal principio che la cedola
che verrà pagata a
fine anno (t1) sarà pari a 5.
Assumiamo che sia trascorso un anno dall’emissione (t1).
L’investitore ha dunque acquistato l’obbligazione lo scorso anno a 100 e oggi ha
incassato la cedola di 5

Ipotizziamo che a t1 (oggi) il tasso di mercato non sia variato.


Il rendimento di mercato a t1 è     5,00%      
             
Distribuzione dei flussi di cassa attesi            
obbligazione A B C D E  
Periodi (vita residua) 2 3 4 5 8 anni
flussi di cassa attesi 5 5 5 5 5 1
  105 5 5 5 5 2
    105 5 5 5 3
      105 5 5 4
        105 5 5
          5 6
          5 7
          105 8

Valore attuale dei flussi di cassa attesi            


Il rendimento di mercato a t1 è     5,00%      
Periodi (vita residua) 2 3 4 5 8 anni
flussi di cassa attesi 4,76 4,76 4,76 4,76 4,76 1
  95,24 4,54 4,54 4,54 4,54 2
    90,70 4,32 4,32 4,32 3
      86,38 4,11 4,11 4
        82,27 3,92 5
          3,73 6
          3,55 7
          71,07 8
             
VA = P0 100 100 100 100 100  
rend. ex post su un anno 5,00% 5,00% 5,00% 5,00% 5,00%  
         

Ipotizziamo che la banca centrale annunci una riduzione del tasso di interesse di
mercato.

Il rendimento di mercato a t1 è     3,00%      


             
Distribuzione dei flussi di cassa attesi            
obbligazione A B C D E  
Periodi (vita residua) 2 3 4 5 8 anni
flussi di cassa attesi 3 3 3 3 3 1
  103 3 3 3 3 2
    103 3 3 3 3
      103 3 3 4
        103 3 5
          3 6
          3 7
          103 8

Valore attuale dei flussi di cassa attesi            


Il rendimento di mercato a t1 è     3,00%      
             
Periodi (vita residua) 2 3 4 5 8 anni
flussi di cassa attesi 2,91 2,91 2,91 2,91 2,91 1
  97,09 2,83 2,83 2,83 2,83 2
    94,26 2,75 2,75 2,75 3
      91,51 2,67 2,67 4
        88,85 2,59 5
          2,51 6
          2,44 7
          81,31 8
             
VA = P0 100 100 100 100 100  
rend. ex post su un anno 5,00% 5,00% 5,00% 5,00% 5,00%  
         

Analogamente, se la banca centrale annuncia un aumento del tasso di mercato, ciò


comporta
un riallineamento delle cedole future al nuovo tasso di mercato e ciò lascia inviariato
il prezzo.
LA NOZIONE DI “RENDIMENTO ALLA SCADENZA” (YIELD TO
MATURITY – YTM)
DI UN’OBBLIGAZIONE

Normalmente un investitore conosce il prezzo corrente di un’obbligazione poiché è


osservabile sul mercato
L’investitore è dunque interessato a misurarne il rendimento, che non è
immediatamente osservabile
Sinora si è ipotizzato che il rendimento di un titolo comparabile con l’obbligazione da
valutare fosse noto.
Inoltre ciò che rileva per l’investitore è una misura di rendimento che può attendersi
di conseguire
dall’investimento nel titolo, e dunque una stima del rendimento atteso.

Consideriamo l’obbligazione zero-coupon vista in precedenza.


Un investitore che acquistasse oggi l’obbligazione a 97,09 e la mantenesse in
portafoglio fino alla
scadenza (ossia un anno dopo), riceverebbe 100 come valore di rimborso. Anche se lo
ZCB non
paga un interesse “diretto”, l’investitore avrà remunerato il proprio investimento
iniziale al 3%
Il tasso del 3% è il rendimento alla scadenza dell’obbligazione

Il rendimento alla scadenza di un’obbligazione è il tasso di attualizzazione che


eguaglia
il valore attuale dei flussi di cassa attesi al prezzo corrente

Il rendimento alla scadenza di un’obbligazione zero-coupon è il rendimento che


l’investitore ottiene
se mantiene l’obbligazione in portafoglio sino alla scadenza e riceve il pagamento del
valore nominale
Formalmente:

Il rendimento alla scadenza coincide con il tasso di interesse di mercato, poiché tutti
gli investimenti (privi di
rischio) con scadenza ad un anno devono rendere il 3%.

Qual è il rendimento alla scadenza di un’obbligazione a cedola fissa?

Consideriamo un’obbligazione con valore nominale 100 che corrisponde un tasso


cedolare del 5% ed
ha una vita di residua di 3 anni.

Ipotizziamo che l’obbligazione sia quotata alla pari.


Per definizione, il rendimento alla scadenza coincide con il tasso cedolare.

Ipotizziamo ora che l’obbligazione sia quotata, per esempio, a 105,66.

Per determinare lo YTM, occorre risolvere la seguente equazione:

I fogli di lavoro hanno una funzione pre-impostata (tir.cost), altrimenti si procede con
il
metodo dell’interpolazione lineare, da cui si ricava:
YTM = 3%

Chiaramente l’investitore che acquistasse la suddetta obbligazione e la mantenesse in


portafoglio
sino alla scadenza, riceverà un rendimento:
– dalla riscossione delle cedole al tasso fisso del 5%
– il rendimento è però ridotto dal fatto che acquista un titolo ad un prezzo superiore al
valore nominale
Di conseguenza, il rendimento alla scadenza è inferiore al tasso cedolare.

Viceversa, se l’obbligazione fosse quotata sotto la pari, l’investitore riceverebbe un


rendimento dalla
riscossione delle cedole e un rendimento dall’acquisto del titolo ad un prezzo
inferiore al valore nominale
Il rendimento alla scadenza sarà pertanto maggiore del tasso cedolare.

Da quanto detto è implicito che il rendimento alla scadenza esprime una misura di
rendimento che
l’investitore può attendersi di ottenere dall’acquisto dell’obbligazione se e solo se
valgono le seguenti
ipotesi:
a.  l’investitore acquista oggi l’obbligazione e la mantiene in portafoglio sino alla
scadenza;
b.  il tasso di mercato non cambia sino alla scadenza (e dunque le cedole sono
reinvestite al tasso di mercato)
c. l’emittente effettua regolarmente i pagamenti delle cedole e il rimborso del valore
nominale (non esiste quindi rischio di insolvenza).
Presentazione 3
IL VALORE DI UN’AZIONE

Torniamo alla formula generale del valore attuale

nel caso delle azioni, identifichiamo i flussi con i dividendi, e possiamo scrivere
DIVt al posto di Ft

Per un’impresa di cui sapessimo già che verrà posta in liquidazione dopo n anni,
denotando con Ln il valore di liquidazione all’n-esimo anno, potremmo scrivere:

purtroppo, in linea di principio, il numero di periodi in cui un’impresa


paga dividendi è potenzialmente illimitato, cioè n tende ad infinito
(non si può dire con certezza che l’impresa sarà liquidata in una certa data)
La formula allora diventa:

Questo modello per la determinazione del prezzo delle azioni è noto come
Dividend Discount Model (DDM)

Questa formula genera notevoli interrogativi circa la sua applicabilità concreta:


– come calcolare una somma di infiniti numeri?
– come stimare i numeri in questione (cioè i valori attesi dei dividendi nei vari anni)?

A livello logico, inoltre, la stessa idea di valutare un investimento che paga flussi
per infiniti anni può apparire sbagliata, perchè nessun individuo vive all’infinito.
Fortunatamente, si può dimostrare che non c’è incompatibilità tra il fatto che
un investitore detenga il titolo azionario per un certo numero di anni e poi
lo rivenda, e il dire che il valore dipende dal valore attuale dei flussi
in un orizzonte potenzialmente infinito.

Si consideri lo schema che segue:

sostituiamo la seconda espressione nella prima

Data una serie infinita di investitori che comprano il titolo e lo tengono per tre anni,
il PREZZO OGGI del titolo è rappresentabile come il valore attuale di una
successione infinita di dividendi.
Valore dell’azione e valore dell’equity
Il modello del DDM, a seconda di come è impiegato, consente di determinare
il valore della singola azione o il valore del capitale azionario (o valore dell’equity –
E).
Se disponiamo del dividendo per azione, la formula ci consente di trovare il
valore della singola azione. Il valore del capitale azionario sarà pari al valore della
singola azione moltiplicato il numero di azioni in circolazione.
Se attualizziamo il monte dividendi corrisposto dall’impresa, allora determineremo
il valore dell’equity. Il valore della singola azione sarà quindi determinato dividendo
il valore dell’equity per il numero di azioni in circolazione.
Valore dell’equity e valore dell’impresa
Dato che, sinora, stiamo assumendo che l’impresa sia finanziata esclusivamente con
capitale azionario, allora
il valore dell’equity stimato attraverso il DDM fornisce immediatamente una stima
del valore dell’attivo
dell’impresa (o enterprise value – EV).
Possiamo pensare ad un bilancio semplificato (a valori di mercato) dell’impresa:

   
     
   
 Attivo  Equity
   
     

Dunque possiamo scrivere: Vatt = E


Se l’impresa non è indebitata, l’Enterprise Value coincide con l’Equity Value.

Se invece l’impresa è finanziata sia con debito che con equity (come peraltro
normalmente accade, ma sul
punto si tornerà più avanti), allora il bilancio (a valori di mercato) si presenterà come
segue:

   
     
   
 Attivo  Debito
   
    Equity

Il valore dell’attivo sarà pari al valore totale del passivo, quindi: Vatt = D + E
Se l’impresa è indebitata, l’Enterprise Value non coincide con l’Equity Value.
L’Enterprise Value sarà pari alla somma dell’Equity Value e del valore del Debito.

Per ora continueremo a fare riferimento ad un’impresa priva di debito e dunque


useremo i termini
valore dell’attivo, valore dell’impresa, valore del capitale azionario, valore dell’equity
come sinonimi.

Torniamo ora al problema di come in pratica possiamo sommare infiniti elementi.


Fortunatamente esistono casi in cui questo è possibile; ciò porta al calcolo di
formule semplificate assai utili nei problemi finanziari.
Dividendo costante
Supponiamo che un’impresa distribuisca un dividendo costante all’infinito.
La formula della rendita perpertua a rate costanti ci dice quanto vale,
dato un tasso di rendimento R, una somma costante che viene pagata all’’infinito

Per esempio, dato DIV = 10 e R = 20%:


VA = 10/ 0,20 = 50
Dunque un investitore che acquistasse oggi l’azione, pagherebbe un prezzo di 50 per
aver diritto a ricevere
10 a partire dall’anno prossimo e per un orizzonte temporale illimitato
Dividendo con crescita costante
Ipotizziamo che un’impresa decida di distribuire un dividendo che cresce ad
un tasso g costante all’infinito
Ipotizziamo che il dividendo atteso all’anno 1 sia noto e pari a DIV
Il dividendo atteso all’anno 2 sarà pari a:
DIV2 = DIV1 (1+g) = DIV (1+g)
Il dividendo atteso all’anno 3 sarà pari a:
DIV3 = DIV2 (1+g) = DIV (1+g)2
e così di seguito.

Il valore dell’azione è allora pari a:

se e solo se g < R

Per esempio, dati


     
 R  g  DIV
     
 20%  10%  10

Esistono altre formule di matematica finanziaria che possono tornare utili nel
calcolo di valori attuali di rendite
Rendita limitata a rate costanti
Una somma F costante è pagata per un numero n di anni

Il valore attuale è pari a quello della rendita perpetua che inizia oggi
meno il valore attuale di una rendita perpetua che inizia tra n anni

la rendita perpetua tra n anni oggi vale 


la rendita che inizia oggi e dura n anni vale quindi:

ossia:

Rendita limitata a rate crescenti


In modo analogo si potrebbe definire una rendita limitata a rate crescenti
(si veda in proposito il manuale)

La rendita limitata che inizia oggi e dura n anni vale

   
 F = valore iniziale dei pagamenti  g = tasso di crescita del pagamento

LA STIMA DEI PARAMETRI NELLA FORMULA DI VALUTAZIONE


DELLE AZIONI
Si pone il problema di come stimare i parametri che entrano nella
formula che dà il valore di un’azione in funzione dei dividendi attesi. In particolare,
se si intende utilizzare una delle formule semplificate viste in precedenza, si pone
il problema di stimare i parametri R e g.
Da che dipende R?
Per il momento consideriamo i titoli azionari come privi di rischio, oppure – il che è
lo stesso –
ipotizziamo che gli investitori siano indifferenti al rischio e che, pertanto, sia possibile
calcolare
il valore attuale dei dividendi utilizzando il tasso risk free.

In realtà, sarà necessario approfondire il punto in seguito (individuando il rischio


d’impresa
rilevante per gli investitori-azionisti nonché il “premio per il rischio” da essi
richiesto)
Da che dipende g?
Consideriamo un semplice esempio:
l’impresa Beta ha oggi un utile pari a 100;
la sua politica è distribuire ogni anno il 60% dell’utile
il restante 40% è reinvestito in investimenti di espansione che portano a un
incremento dell’utile
degli anni successivi. Per stimare il saggio di crescita dell’utile (e quindi anche dei
dividendi) è
necessario stimare quale sarà il rendimento dei NUOVI investimenti, ossia il
contributo che
essi daranno al reddito dell’impresa nei prossimi anni.
Nell’esempio, ipotizziamo che il rendimento degli utili reinvestiti sia pari al 5%
(il reinvestimento di 100 euro genera maggiori utili negli anni successivi pari a 5).
Poste queste condizioni, possiamo osservare sotto come cresceranno utili e dividendi
di Beta

Impresa Beta          
             
Anno Utile payout Dividendo nuovi nuovi  
        invest. flussi rendimento dei nuovi investimenti
1 100,000 60% 60,00 40,00 2,00 5%
2 102,000 60% 61,20 40,80 2,04  
3 104,040 60% 62,42 41,62 2,08  
4 106,121 60% 63,67 42,45 2,12  
5 108,243 60% 64,95 43,30 2,16  
6 110,408 60% 66,24 44,16 2,21  
7 112,616 60% 67,57 45,05 2,25  
8 114,869 60% 68,92 45,95 2,30  
ecc.            

il tasso annuo di crescita dei dividendi g è pari al 2%


Ciò è immediatamente verificabile. Per esempio, dall’anno 3 all’anno 4, il tasso di
crescita
dei dividendi è stato pari a (63,67-62,42)/62,42 = 2%
Il tasso annuo di crescita g non è altro che il prodotto
di 0,4 (la quota dell’utile reinvestito) e 0,05 (il rendimento degli utili reinvestiti)

Analiticamente:
Utili (t2) = Utili (t1) + Utili accantonati x Rendimento utili acc.

1 + g = 1 + %utili trattenuti x Rendimento utili acc.


La formula ora vista viene solitamente utilizzata impiegando la seguente simbologia.

Per indicare la “%utili trattenuti” si impiega il simbolo (1 – p), dove “p” indica il
“payout ratio”
cioè la quota di utili distribuiti.

Per formulare ipotesi sul rendimento degli utili reinvestiti, gli analisti prendono in
considerazione
il ROE corrente della società (ROE = Return on Equity= utile netto/patrimonio netto
(queste ultime due grandezze, prese dal bilancio))
Si ipotizza generalmente che, se la società attualmente ottiene una redditività dei
mezzi propri
(ROE) pari al 5%, essa sia in grado di ottenere risultati analoghi (ROE = 5%) anche
sugli incrementi
di mezzi propri che avvengono in seguito al reinvestimento degli utili.

Ciò posto, possiamo scrivere la formula da cui otteniamo g come:


g = (1 – p) x ROE
Quindi il tasso g cresce al diminuire di p e al crescere del ROE.
Quella ora vista è una modalità semplice ma molto utilizzata per una prima stima di g,
che deve però
essere impiegata con senso critico, in quanto non è detto che un’impresa possa
mantenere in eterno
il ROE che consegue oggi, come pure non è detto che mantenga sempre costante il
valore di (1 – p).
IL VALORE DELLE OPPORTUNITÀ DI CRESCITA
Torniamo all’impresa Beta precedentemente esemplificata, e supponiamo ora che non
effettui
nuovi investimenti di espansione ma si limiti a mantenere immutata la sua capacità
produttiva;
pertanto essa non ha nessun motivo per reinvestire parte degli utili.
Il valore del suo attivo rimarrà costante nel tempo, così come il valore dei suoi utili,
che è pari a quello dei dividendi.

Impresa Beta    
       
Anno Utile payout Dividendo
1 100 100% 100,00
2 100 100% 100,00
3 100 100% 100,00
4 100 100% 100,00
5 100 100% 100,00
6 100 100% 100,00
7 100 100% 100,00
8 100 100% 100,00
ecc.      

se il tasso R impiegato nella valutazione è pari al 5%, l’applicazione della formula


della rendita perpetua costante permette di calcolare rapidamente che il valore del suo
capitale azionario o equity (E) è pari a:

Supponiamo ora che l’impresa si accorga che potrà effettuare tra un anno un
investimento di espansione della sua dimensione (opportunità di crescita) per 40, che
porterà a un aumento degli utili distribuiti negli anni successivi di 6, in eterno.
L’impresa decide di cogliere questa opportunità.
Quanto varrà dopo avere preso questa decisione?

Il suo valore sarà calcolabile come somma di quanto valeva prima di prendere la
decisione,
quando distribuiva tutto l’utile come dividendo (si usa dire, quando agiva come una
“cash cow”)
più il Valore Attuale Netto (VAN) del nuovo investimento.

Il calcolo di quest’ultimo, nel caso in questione, è immediato. Applicando la formula


del VAN
e ipotizzando di continuare a impiegare il tasso R del 5% che viene utilizzato per
valutare la società:
Van investimento (al tempo 1) = –40 + 6/0,05 = 80
Ciò significa che, dopo l’effettuazione dell’investimento (anzi, ancora prima, e cioè
dal momento in cui l’impresa accetta il progetto, e quindi le conseguenze
dell’effettuazione del progetto devono essere tenute in conto quando si considerano le
prospettive della società), il valore dell’equity sarà:
E = valore da “cash cow” + VAN (al tempo 0) dell’opportunità di crescita
E = 2000 + 80/1,05 = 2076,19
(occorre dividere 80 per 1,05, in quanto il VAN maturerà tra un anno quando si
effettuerà l’investimento).
Il VAN rappresenta la variazione del valore dell’impresa
in seguito all’“aggiunta” all’impresa del progetto d’investimento.
Consideriamo infatti quali saranno i dividendi distribuiti dall’impresa, ipotizzando
che essa distribuisca
sempre tutti gli utili come dividendi, fatta eccezione per il prossimo anno
quando reinvestirà una quota dell’utile, nella misura necessaria per effettuare
l’investimento.

Impresa Beta    
       
Anno Utile payout Dividendo
1 100 60% 60,00
2 106 100% 106,00
3 106 100% 106,00
4 106 100% 106,00
5 106 100% 106,00
6 106 100% 106,00
7 106 100% 106,00
8 106 100% 106,00
ecc.      

se attualizziamo i dividendi, otteniamo il valore di:


Quanto detto vale anche nel caso di una pluralità di opportunità di crescita.
Si supponga che l’impresa effettui tra 4 anni un ulteriore investimento espansivo,
che comporterà un esborso di 80, finanziato con utili reinvestiti, cui corrisponderanno
negli anni successivi maggiori utili distribuibili pari a 7 annui.
VAN del progetto tra 4 anni: –80 + 7/0,05 = 0060
VAN del progetto oggi: 60/(1,05)4 = 0049,36
Valore del capitale azionario: 2000 (valore cash-cow) +
 76,19 (investim. anno 1) +
 49,36 (investim. anno 4) = 2125,55

Alla stessa valutazione si giunge attualizzando opportunamente i dividendi attesi:


Anno Utile payout Dividendo
1 100 60% 60,00
2 106 100% 106,00
3 106 100% 106,00
4 106 24,53% 26,00
5 113 100% 113,00
6 113 100% 113,00
7 113 100% 113,00
8 113 100% 113,00
ecc.      

da cui risulta:

In un’impresa priva di debito, le seguenti due affermazioni sono quindi


contemporaneamente vere:
1)  IL VALORE DELL’IMPRESA O VALORE DELL’EQUITY È PARI AL
VALORE ATTUALE DEI DIVIDENDI CHE DISTRIBUIRÀ IN UN
ORIZZONTE TEMPORALE ILLIMITATO
2)  IL VALORE DELL’IMPRESA O VALORE DELL’EQUITY È PARI AL
VALORE ATTUALE DELL’UTILE CORRENTE IN PERPETUO, PIÙ (O
MENO) IL VALORE DERIVANTE DAI NUOVI INVESTIMENTI

Quando otteniamo g come funzione di (1-p) e ROE


La contemporanea validità delle due affermazioni precedenti merita di essere
considerata attentamente
nel caso in cui otteniamo il tasso di crescita dei dividendi, g, in funzione di (1-p) e
ROE.

Il significato di questo modo di procedere può essere tradotto come segue nei termini
della formula
che si basa sull’utile corrente in perpetuo più il VANOC delle opportunità di crescita.

In questo caso stiamo semplicemente ipotizzando di effettuare ogni anno investimenti


di crescita
di entità pari agli utili reinvestiti, e stiamo ipotizzando di effettuarli a condizioni fisse
quanto ai fattori che ne determinano il VAN.

Se infatti reinvestiamo gli utili a un ROE pari al tasso R di attualizzazione, stiamo


ipotizzando VANOC = 0
Prova: prendete qualunque dimensione di un investimento, supponete che il denaro
che esso produce
ogni anno in eterno sia pari a un ROE qualsiasi, e calcolate il Valore Attuale del
denaro prodotto
a R pari al ROE. Il VAN dell’investimento è inevitabilmente pari a 0:
     
 I0 = 100  ROE = R = 5,00%  Ft = I0 x ROE = 5
     
 I0 = VAN = –I0 + Ft / R = 0      
Se invece reinvestiamo gli utili a un ROE maggiore del tasso R, stiamo ipotizzando
VANOC > 0.
I VANOC sono tanto maggiori quanto maggiore è la differenza tra ROE e R, e quanto
maggiore
è la quota di utile reinvestito.
Ciò dipende dal fatto che qualunque dimensione di investimento, se i suoi frutti
dipendono
da un ROE maggiore di R, produce un VAN positivo:

           
 I0 = 100  ROE  =  5,00%  R = 4,00%  Ft = I0 x ROE = 5
 
 I0 = VAN = –I0 + Ft /R = 25

Infine se reinvestiamo gli utili a un ROE inferiore a R, stiamo ipotizzando VANOC <
0, quindi il valore
dell’impresa diminuisce rispetto al caso in cui l’impresa si comportasse da “cash
cow”. È un caso
che non dovrebbe verificarsi in un’impresa gestita da un management efficiente che
ha l’obiettivo
di creare valore per gli azionisti.
(Per la verifica che un investimento a ROE < R distrugge valore, potete utilizzare la
precedente area di calcolo).

Quanto appena affermato è confermato dall’osservazione di cosa accade al valore


dell’impresa
stimato direttamente in termini di dividendi futuri, facendo variare
g (costante nel tempo in quanto dipendente da ROE e p costanti) in funzione di ROE
e p.
Consideriamo un semplice esempio: 2 imprese non indebitate, Alfa e Beta.
Alfa ha oggi un utile pari a 100, integralmente distribuito come dividendo agli
azionisti;
così facendo, Alfa mantiene invariata negli anni la propria capacità di reddito (e di
dividendo);
l’impresa Beta è identica ad Alfa, ma distribuisce solo una quota p dell’utile e
reinveste gli utili trattenuti che fruttano ogni anno il ROE.
Si inserisca infine un tasso di rendimento R impiegato per la valutazione di entrambe
le società.

Impresa Alfa       Impresa Beta    


                
Anno Utile payout Dividendo   Anno Utile payout Dividendo
1 100 100% 100   1 100,000 60% 60,00
2 100 100% 100   2 102,400 60% 61,44
3 100 100% 100   3 104,858 60% 62,91
4 100 100% 100   4 107,374 60% 64,42
5 100 100% 100   5 109,951 60% 65,97
6 100 100% 100   6 112,590 60% 67,55
7 100 100% 100   7 115,292 60% 69,18
8 100 100% 100   8 118,059 60% 70,84
ecc.         ecc.      
                 
R 5,00%       R 5,00% ROE 6,00%
             
g 0,00% VA = 2000   g 2,40% VA = 2307,69

L’impresa Alfa è un’impresa che si comporta da “cash-cow”; Beta non è altro che la
stessa impresa
Alfa quando smette di comportarsi in questo modo, ed effettua ogni anno investimenti
pari agli utili reinvestiti,
con l’aggiunta che vale una condizione molto particolare che ne determina il VAN:
ogni euro investito
ha ogni anno la stessa redditività. In questo particolare caso potremmo calcolare il
valore di Beta come
(valore di Alfa + somma dei VAN degli investimenti di ogni anno);
è però più rapido utilizzare la formula basata sui dividendi.

Le formule mostrano che la crescita di utili e dividendi non è di per sé sempre


positiva; si possono aumentare i
tassi di crescita degli utili anche effettuando investimenti a VAN negativo (Cap.5, par.
5.6.1 R-H).
A tal fine basti considerare nell’esempio precedente (impresa Beta), che succede al
saggio di crescita g
e al valore dell’impresa quando l’impresa reinveste utili a un ROE inferiore al costo-
opportunità del capitale.
Un’impresa può distruggere ricchezza anche quando i suoi utili sono in crescita.

Impresa Beta    
       
Anno Utile payout Dividendo
1 100,0000 60% 60,00
2 101,8000 60% 61,08
3 103,6324 60% 62,18
4 105,4978 60% 63,30
5 107,3967 60% 64,44
6 109,3299 60% 65,60
7 111,2978 60% 66,78
8 113,3012 60% 67,98
ecc.      
       
R 5,00% ROE 4,50%
       
g 1,80% VA = 1875

Note:
a) L’interpretazione in termini di VANOC del DDM con crescita in cui g dipende da
(1-p) e ROE
rende ancora più chiari i motivi della cautela da utilizzare nell’impiegare
quest’ultimo.
Maggiore è la differenza tra ROE e R, maggiore è l’“eccellenza competitiva”
dell’impresa, e pensare che essa duri in eterno è poco prudente, particolarmente
quando essa è molto elevata. Altro aspetto su cui riflettere è che difficilmente la
redditività delle opportunità di crescita si mantiene costante al crescere dell’entità dei
nuovi investimenti effettuati.
Più utili si reinvestono, meno redditizi saranno i progetti accettati al margine; quindi
sembra irreale supporre
che essi diano redditi sulla base di un ROE costante.

b) Il DDM con crescita può essere impiegato, se è già noto il prezzo dell’azione, per
stimare gli altri
componenti della formula, in particolare R e g, e ciò può essere particolarmente utile
per gli operatori del
mercato finanziario (Cap.5, par 5.5.2 R-H e vari esercizi).

c) ci sono imprese che non distribuiscono dividendi per molti anni, anche se sono
profittevoli. Il modello del
“discounted dividend-growth model” in questo caso appare difficilmente applicabile,
mentre possiamo
impiegare il modello del VANOC (Cap.5, par. 5.6.3 R-H).
Saranno necessari due approfondimenti:

1 – Tenere conto del rischio dei progetti


Il valore di un progetto (e dunque anche quello dell’impresa che lo attua)
dipende dal rischio che lo contraddistigue. Investitori avversi al rischio
richiedono un premio per il rischio. Ciò si traduce in un proporzionale
incremento del tasso di attualizzazione dei flussi.
2 – Tenere conto del fatto che un progetto di investimento può essere
finanziato in vari modi:
L’impresa può procurarsi le risorse necessarie all’attuazione del progetto
* per via di autofinanziamento (utili reinvestiti)
ma anche per altra via:
* disinvestimenti
* aumenti di capitale
* contrazione di nuovi debiti

Sarà necessario verificare gli effetti delle decisioni di finanziamento.


VALORE DELL’EQUITY E RAPPORTO PRICE/EARNINGS
A questo punto è possibile capire meglio il significato (e i limiti) di un indicatore tra i
più usati
dagli operatori sui mercati finanziari, ossia il rapporto Price/Earnings (prezzo/utili)
(P/E).
Analiticamente, il rapporto P/E è dato da:

dove:
P = Prezzo dell’azione al momento della valutazione
EPS = Earnings per Share (Utili per azione), a sua volta pari a:
EPS = Earnings / N
N = numero di azioni della società in circolazione

Gli utili possono essere: * storici o prospettici


 * se utili = 12 mesi precedenti, si parla di trailing P/E
 * se utili = stima dei prossimi 12 mesi, si parla di forward P/E

Il rapporto P/E può essere calcolato anche a livello di impresa nel suo complesso oltre
che di singola azione.
Alternativamente, il rapporto P/E è pari a:

dove:
P = Prezzo dell’azione al momento della valutazione
Mkt Cap = Capitalizzazione di mercato della società (valore di mercato complessivo
di tutte le azioni della società in circolazione) = P x N

Ad esempio, nel caso dell’impresa Gamma, che ha un utile corrente pari a 280, 100
azioni in circolazione,
ciascuna delle quali ha un prezzo corrente di mercato pari a 70, si vede facilmente
che:
EPS0 = 280/100 = 2,8

P/E = 70/2,8 = 25


ovvero:
Mkt Cap. = 70 x 100 = 7000
P/E = 7000/280 = 25

Il rapporto P/E è un multiplo.


Nell’esempio precedente si potrà quindi dire che l’Equity dell’impresa è valutato 25
volte i suoi utili.
Stima del valore del capitale azionario
Sinora abbiamo imparato che il valore del capitale azionario può essere stimato
attualizzando i dividendi o determinando il valore attuale delle opportunità di crescita.
Il rapporto P/E è interpretato come un indicatore sintetico di valutazione.
Consente di stimare il valore del capitale azionario di un’impresa basandosi sul valore
assunto dal P/E in imprese comparabili con quella oggetto di valutazione.
Si può infatti ritenere che imprese simili abbiano rapporti P/E simili.

Possiamo allora stimare il valore dell’equity di un’impresa moltiplicando i suoi utili


per il P/E medio di imprese comparabili.
Per esempio, ipotizziamo che il P/E di società comparabili con l’impresa oggetto di
valutazione sia 25 e gli utili per azione (EPS) realizzati dalla società Delta siano pari a
2
Il valore della singola azione è allora dato da:
P = P/E x EPS0 = 25 x 2 = 50
Naturalmente, lo stesso ragionamento può essere fatto a livello dell’intera società.
In tal caso si avrà che il valore del capitale azionario (Equity) è pari al prodotto
tra rapporto P/E e Utile (complessivo) della società.
Cosa determina il valore assunto dal P/E?
È utile capire meglio quali sono i parametri che possono spiegare il valore del
rapporto P/E.
Per fare questo è utile tornare alla formula generale di valutazione delle azioni.

Quest’ultima formula, nell’ipotesi che i dividendi DIVt crescano a un saggio costante


g, può essere scritta:

Se poi consideriamo che i dividendi dell’anno prossimo sono pari agli utili correnti
moltiplicati per p
dove p è il payout ratio (ossia la percentuale di utili distribuiti), allora si può scrivere:

Il rapporto P/E (e quindi anche il valore delle azioni) dipende in primo luogo dal
valore di g e
quindi dalle aspettative future di crescita degli utili e dei dividendi.
Si prendano in esame le società Alfa e Beta considerate in precedenza.
Qual è il P/E di ciascuna?

L’Equity dell’impresa Beta è valutato 23 volte i propri utili, contro 20 volte


dell’Equity dell’impresa Alfa.
Questo mostra che, a parità di costo del capitale, il rapporto P/E è positivamente
correlato alle opportunità di crescita.
Ciò implica altresì che l’impresa con elevate opportunità di crescita avrà un prezzo
maggiore poiché gli investitori acquistano il diritto a percepire sia l’utile corrente che
le opportunità di crescita future.

Il rapporto P/E è inoltre negativamente correlato al tasso di attualizzazione e


pertanto al rischio delle azioni.
Si consideri l’impresa Alfa e si ipotizzi che sul mercato esista un’impresa Omega
che si comporta da cash cow (con utile corrente = 100) ma la cui volatilità degli utili
è maggiore di Alfa e tale da richiedere un tasso di attualizzazione pari all’8%.
Si può agevolmente calcolare che il valore del capitale azionario di Omega è pari a
1250
e il suo P/E sarà:

dunque minore del P/E di Alfa.

Infine il valore del rapporto P/E dipende anche da aspetti strettamente contabili
riguardanti
le modalità di calcolo degli utili.
Due imprese molto simili possono adottare politiche di bilancio differenti che tendono
ad
evidenziare utili più elevati o più moderati.
Si considerino due imprese identiche, Alfa e Epsilon.
L’impresa Alfa  opta per criteri contabili "conservativi" e consegue un utile pari a
100.
L’impresa Epsilon adotta politiche di bilancio più aggressive e consegue un utile pari
a 110.
Il mercato risconosce che si tratta di due imprese identiche e quindi le valuterà allo
stesso modo.
Supponiamo che il valore del capitale azionario sia pari a 2000.
L’impresa Epsilon avrà un P/E pari a 18 minore di quello di Alfa (20).
Quindi imprese che adottano politiche di bilancio più conservative tendono ad avere
rapporti P/E
più alti.

Se si è disposti ad accettare che il mercato finanziario possa sbagliare le sue


valutazioni, il rapporto
P/E potrebbe allora evidenziare una sopravvalutazione o sottovalutazione delle
azioni.
Le società con P/E più alto di quello dei comparables potrebbero essere
“sopravvalutate”,
mentre quelle con P/E inferiore potrebbero essere sottovalutate.

Simili modalità di analisi sono dette di ANALISI FONDAMENTALE e mirano a


identificare
azioni sopra- o sottovalutate, nel tentativo di "battere il mercato", ossia di
conseguire un
rendimento superiore a quello normale, grazie a una superiore capacità di
lettura dei
dati economici.
Un investitore in grado di fare ciò conseguirebbe un VAN positivo sui propri
investimenti finanziari,
pari alla differenza tra il valore EFFETTIVO di ciò che acquista (il VA dei dividendi
attesi) e il prezzo
di mercato a cui le acquista.

Naturalmente, è da attendersi che il possesso effettivo di tali capacità sia piuttosto


raro.
Inoltre, è da sottolineare che se qualcuno ottiene un VAN positivo (ad esempio perché
compra titoli
sottovalutati) qualcun altro otterrà un VAN negativo (perché vende i titoli a un prezzo
che non riflette il
loro "vero" valore). Ciò rende necessario introdurre il concetto di efficienza del
mercato.
L’EFFICIENZA DEI MERCATI
Esistono molte definizioni alternative di efficienza dei mercati (e in particolare di
quelli finanziari).
A noi interessa soprattutto il concetto di efficienza INFORMATIVA dei
MERCATI FINANZIARI.

 
Efficienza informativa = i prezzi riflettono
tempestivamente
in modo corretto (non sistematicamente distorto)
le informazioni a disposizione degli operatori
  

La reazione del prezzo dell’azione alla nuova informazione


in mercati efficienti ed inefficienti
L’attenzione per l’efficienza informativa dei mercati finanziari deriva dal fatto
che un mercato efficiente ha alcune notevoli proprietà:

1. il prezzo dei titoli è sempre un prezzo d’equilibrio coerente con le aspettative


degli investitori; è sempre pari al VA dei flussi attesi dagli investitori in base alle
informazioni di cui dispongono in un determinato istante.

2. è un “fair game”: venditori e compratori scambiano i titoli a un prezzo


“mediamente equo”: nessuno è in grado di “battere il mercato”, ossia nessuno
è in grado di ottenere performance sistematicamente migliori; d’altro canto,
nessuno
ottiene performance sistematicamente peggiori.
Gli investitori “possono fidarsi” dei prezzi di mercato, che sono mediamente
corretti
e incorporano tempestivamente le nuove informazioni.
D’altronde, gli investitori possono attendersi un rendimento “normale”, date le
caratteristiche del loro investimento (in particolare, il rischio, come vedremo più
avanti).

Per meglio comprendere questo punto, consideriamo un’azione che paga un


dividendo
costante all’infinito pari a 2. Il rendimento richiesto dagli investitori-azionisti è il
10%.
Un investitore acquista oggi l’azione oggi e la tiene in portafoglio per un
periodo.

Applicando il DDM, il prezzo equo (fair value) dell’azione oggi deve essere pari
a:
P (equo) = 2/0,10 = 20
Tra un anno, ipotizzando che non siano mutate le condizioni di impresa e di
mercato,
il prezzo sarà sempre pari a 20.

Supponiamo che sul mercato oggi l’azione sia quotata al suo fair value
Qual è il rendimento che consegue l’investitore?
Per quanto visto in precedenza:

Dunque l’azione è quotata ad un prezzo mediamente equo e l’investitore


consegue un
rendimento “normale”

Supponiamo ora che sul mercato oggi l’azione sia quotata a 18


L’azione è dunque sottovalutata
Ipotizziamo che l’investitore si accorga di questa possibilità e come lui altri, di
conseguenza il prezzo, un istante dopo l’acquisto, si riporta al proprio livello di
equilibrio (ossia 20)
Qual è il rendimento che consegue l’investitore?
Dunque l’investitore che acquista l’azione sottovalutata riesce a “battere il
mercato”
e ad ottenere un extra-profitto.

3. anche i titoli collocati dalle imprese sul mercato (obbligazioni e azioni) sono
venduti a un prezzo equo. Le imprese non possono ingannare gli investitori,
che
sono in grado di valutare correttamente le informazioni loro fornite (in
particolare i bilanci) e
canalizzano con fiducia i loro risparmi verso il mercato. Inoltre, le imprese non
possono
“creare nuovo valore” attraverso le scelte di finanziamento.

Il manager può e deve concentrarsi sulle decisioni d’investimento in attività


reali.

Per comprendere meglio il punto, consideriamo un’impresa che intende


collocare sul mercato
obbligazioni a tasso fisso con valore nominale pari a 100, tasso cedolare del 5%
e scadenza tra due anni. Assumiamo che il tasso di mercato sia il 5%.
In un mercato efficiente l’impresa non può ingannare gli investitori e dunque
deve collocare le
obbligazioni ad un prezzo pari a 100, dato che:
P = 5/1,05 + 105/1,052 = 100
L’investitore che acquista oggi l’obbligazione e la tiene in portafoglio fino alla
scadenza consegue un
VAN nullo (e così anche l’impresa), infatti applicando la formula del VAN:

VAN = –100 + 5/1,05 + 105/1,052 = 0
L’investitore conseguirà un rendimento “normale”, ossia lo YTM
Se l’impresa fosse in grado di ingannare gli investitori e, per esempio, di
collocare le
obbligazioni a 102, l’investitore (l’impresa) otterrebbe un VAN negativo
(positivo), infatti:
VAN = –102 + 5/1,05 + 105/1,052 = –2
Il rendimento conseguito dall’investitore (YTM) sarà del 4%, quindi l’investitore
otterrà
una performance (sistematicamente) peggiore.

Il motore dell’efficienza informativa è generalmente ritenuto l’esistenza di numerosi


investitori
che ricercano informazioni per i loro investimenti. In questo modo, essi prendono
decisioni
“informate” e inviano ordini di acquisto o vendita di titoli. Anche gli altri investitori
(non informati)
sono in grado di osservare l’arrivo sul mercato degli ordini di acquisto e di vendita; in
presenza di
ordini “massicci” in un senso o nell’altro, si verifica una pressione sul prezzo, che si
adegua
rapidamente al nuovo livello giudicato corretto.
LE FORME DI EFFICIENZA INFORMATIVA
In realtà, non è detto che i mercati finanziari siano altrettanto efficienti o rapidi
nell’incorporare
nei prezzi ogni tipo di informazione. Si distinguono 3 diverse forme di efficienza
informativa
a seconda dell’insieme di informazioni incorporato:

     
 TIPO DI  INFO CONSIDERATE  CONSEGUENZE
EFFICIENZA
     
 DEBOLE  Quelle incorporate nella sequenza dei prezzi Prezzi = random walk
passati  Inutile l’analisi tecnica
     
Anche bilanci non
 SEMI-FORTE  Quelle pubbliche consentono
extra-profitti.
 Inutile l’analisi
fondamentale
     
 FORTE  Tutte (anche privilegiate)  Anche insiders non fanno
extra-profitti
Gli insiemi di informazioni considerate diventano progressivamente più ampi.
Un MKT efficiente in forma forte lo è anche in forma semi-forte e un MKT efficiente
in forma semi-forte lo è anche in forma debole, ma non viceversa.
Presentazione 4
CRITERI DI VALUTAZIONE DEGLI
INVESTIMENTI

Abbiamo mostrato che il criterio del VAN consente di valutare gli investimenti
Il criterio decisionale dice:

– ACCETTARE TUTTI I PROGETTI A VAN POSITIVO

Costo-opp.capitale 13,00%
Periodo Flussi VA flussi
0 –32000 –32000
1 08000 –07080
2 08000 –06265
3 08000 –05544
4 08000 –04907
5 08000 –04342
6 08000 –03843
7 08000 –03400
8 08000 –03009
     
  VAN –06390

CRITERI ALTERNATIVI PER LA SELEZIONE DEGLI INVESTIMENTI


Un indicatore analogo al VAN è il PROFITABILITY INDEX (PI),
che è una sorta di VAN percentualizzato sul costo dell’investimento

Nell’esempio: PI = 1 + 6390/32000 = 1,20

Il criterio decisionale si tramuta in:

– ACCETTARE TUTTI I PROGETTI A PI superiore a 1


PAYBACK PERIOD
È il numero di periodi necessari al rientro finanziario dell’investimento.

Periodo Flussi Flussi cumulati  


0 –32000 –32000  
1 –08000 –24000  
2 –08000 –16000  
3 –08000 0–8000  
4 –08000 000000 Payback 4
5 –08000 –08000  
6 –08000 16000  
7 –08000 24000  
8 –08000 32000  

Ne esiste una versione calcolata su flussi attualizzati

Saggio di attualizzazione   13,00%  


Periodo Flussi VA Flussi Flussi cumulati  
0 –32000 –32000 –32000  
1 –08000 –07080 –24920  
2 –08000 –06265 –18655  
3 –08000 –05544 –13111  
4 –08000 –04907 0–8204  
5 –08000 –04342 0–3862  
6 –08000 –03843 000–20 Payback attual. = 6 ca.
7 –08000 –03400 003381  
8 –08000 –03009 006390  

Il criterio decisionale dice:

– ACCETTARE TUTTI I PROGETTI A PAYBACK MINORE DELLA DURATA


DEL PROGETTO

TASSO INTERNO DI RENDIMENTO (TIR)


È il tasso che, usato per l’attualizzazione dei flussi, rende nullo il VAN
Si stima per interpolazione lineare. I fogli di lavoro hanno la funzione precalcolata
(TIR.COST)

Periodo Flussi Flussi attual. al TIR      


0 –32000 –32000 Costo del capitale   13,00%
1 –08000 –06744      
2 –08000 –05685 TIR = 18,62%
3 –08000 –04793      
4 –08000 –04040      
5 –08000 –03406      
6 –08000 –02871      
7 –08000 –02420      
8 –08000 –02040      
           
VAN –00000      

Il criterio decisionale dice:

– ACCETTARE TUTTI I PROGETTI A TIR SUPERIORE AL COSTO-


OPPORTUNITÀ DEL CAPITALE
INTERPRETAZIONE GRAFICA DI VAN E TIR
Curva del VAN al variare del costo-opportunità del capitale
SCELTA DEL CRITERIO DI SELEZIONE CORRETTO
Per quanto riguarda la decisione di accettare/rifiutare un progetto, tutti i criteri
(VAN, Payback attualizzato, TIR, PI) portano in genere a conclusioni uniformi.

Esistono una serie di casi particolari, in cui tale equivalenza NON è garantita,
e dunque alcuni criteri porterebbero a conclusioni inaccettabili.

1. TIR MULTIPLI
Si verificano se la serie dei flussi cumulati cambia segno più di una volta
Qual è il TIR corretto?

2. SCELTA TRA PROGETTI ALTERNATIVI


Il ranking dei progetti secondo i vari criteri può non essere lo stesso. Quale
usare?
 
2a. Progetti con diversa CADENZA TEMPORALE

Costo-opport. capitale 12,00% Ma se Costo-opport. capitale 15,74% ?


Flussi progetto   Flussi progetto  
Periodo A B   Periodo A B  
0 –30000 –30000   0 –30000 –30000  
1 –08000 –02500   1 –08000 –02500  
2 –08000 –04500   2 –08000 –04500  
3 –08000 –06500   3 –08000 –06500  
4 –08000 –08500   4 –08000 –08500  
5 –08000 –10500   5 –08000 –10500  
6 –08000 –12500   6 –08000 –12500  
7 –08000 –14500   7 –08000 –14500  
8 –08000 –16500   8 –08000 –16500  
               
VAN 9.741 11.362   VAN 5.048 5.048  
PI 1,32 1,38   PI 1,17 1,17  
TIR 20,78% 19,46%   TIR 20,78% 19,46%  

È meglio usare il VAN


Il confronto tra TIR di progetti non dà necessariamente indicazioni corrette.
NON è sempre opportuno scegliere il progetto a TIR maggiore.

2b. Progetti di diversa DIMENSIONE


 
Costo-opport. capitale 12,00%
Flussi progetto
Periodo A B
0 –10000 –100000
1 –05000 –035000
2 –05000 –035000
3 –05000 –035000
4 –05000 –035000
5 –05000 –035000
     
VAN 8.024 26.167
PI 1,80 1,26
TIR 41,04% 22,11%
 
Meglio usare VAN perché il TIR (e anche il PI) sono influenzati dalla scala del
progetto.
È meglio essere più ricchi o avere un rendimento % più alto?
Ammettiamo di avere 100.000 da investire: a che tasso potremo
investire ciò che risparmiamo (90.000) scegliendo A?
Presumibilmente al 12% (costo-opportunità del capitale).
Ma allora sulle 100.000, il rendimento medio ponderato è:
14,90% inferiore al TIR di B
 
2c. Progetti di diversa DURATA
 
Non replicabili si usa il VAN
Replicabili 2 metodi:
Orizzonte temporale comune
I progetti (eventualmente ripetuti) sono valutati su un orizzonte
temporale pari al minimo comune multiplo di quelli dei singoli progetti.
Flusso annuo equivalente (FAE)
L’idea di fondo è di sostituire al confronto tra progetti A e B di durata diversa quello
tra due rendite a rata costante C e D (equivalenti rispettivamente a A e B) che si sa
come confrontare.
Siccome i progetti (e quindi anche le rendite) sono replicabili, è preferibile la rendita
avente RATA più ALTA. Il progetto preferibile è quello equivalente a tale rendita.

Il primo passo è calcolare la rendita a rata costante equivalente a ciascun progetto.


Esempio:

   
 Progetto A  R = 9%
         
 Tempo  0  1  2  3
         
 Flussi  –100  50  50  50
         
 Flussi attual.  –100  45,872  42,084  38,609
         
              
         
 VAN  26,6         

Come trovare la rendita a rate costanti equivalente al progetto?

         
 Rendita            
         
 Tempo  0  1  2  3
         
              
         
 Rate     FAE  FAE  FAE

Deve essere verificata l’uguaglianza FAE *Fatt.rendita (con R =costo-opp e n =


durata progetto) = VAN
VAN = FAE * Fatt. rendita

La rata “FAE” è pari a


Nell’esempio:  10,49

Rendita        
Tempo 0 1 2 3
Rate   10,495 10,495 10,495
         
VA 26,6      

Si ripete il calcolo anche per il progetto B di diversa durata.

   
 Progetto B  R = 9%
             
 Tempo  0  1  2  3  4  5
             
 Flussi  –100  34  34  34  34  34
             
 Flussi attual.  –100  31,193  28,617  26,254  24,086  22,098
             
                    
             
 VAN  32,2               

8,29

             
 Rendita                  
             
 Tempo  0  1  2  3  4  5
             
 Rate     8,291  8,291  8,291  8,291  8,291
             
                    
             
 VA  32,2               
Presentazione 5
L’UTILIZZO DEI DATI CONTABILI
NELLA FINANZA AZIENDALE:
INTRODUZIONE

Le formule di valutazione che abbiamo visto nelle presentazioni precedenti


(DDM per la valutazione di impresa; VAN per quella dei progetti di
investimento)
richiedono come input stime di FLUSSI FINANZIARI ATTESI.

Nel primo caso si tratta di DIVIDENDI ATTESI dagli azionisti.


Nel secondo caso, di “FLUSSI FINANZIARI ATTESI” dall’investimento, sulla cui
natura
avremo modo di soffermarci ancora. Basti per ora osservare che si tratta di:
– FLUSSI DI CASSA (ENTRATE e USCITE DI CASSA
 (non quindi rilevazioni contabili di costi e ricavi)
– ATTESI, cioè futuri
– GENERATI dal progetto di investimento

Le grandezze che entrano nei processi di valutazione non sono facilmente reperibili.
Le valutazioni sono basate su flussi ATTESI, e quindi richiedono l’effettuazione di
STIME.
Il valutatore/analista effettuerà le proprie stime tenendo conto di tutte le informazioni
a sua disposizione.

Una tra le fonti di informazione principali è il SET di documenti contenuti


nell’informativa contabile periodica (fascicolo di bilancio); per le società quotate
sono disponibili anche fascicoli intermedi (relazione finanziaria semestrale; resoconto
intermedio sulla gestione con cadenza trimestrale)

Il fascicolo di bilancio contiene, sostanzialmente:


– STATO PATRIMONIALE
– CONTO ECONOMICO
– RENDICONTO FINANZIARIO
– NOTA INTEGRATIVA (spiegazioni di dettaglio singole voci)
– RELAZIONE SULLA GESTIONE
L’analista utilizza il bilancio come una miniera di informazioni, DA
RIELABORARE.
Il bilancio contiene infatti: INFORMAZIONI STORICHE,
 DETTAGLIATE
 PER COMPETENZA ECONOMICA (COSTI E RICAVI)

mentre l’analista desidera INFORMAZIONI PROSPETTICHE,


 SINTETICHE
 RELATIVE A FLUSSI FINANZIARI (ENTRATE E USCITE)
Riclassificazione di un bilancio-tipo
Il caso-base è quello in cui si ha a che fare con un bilancio redatto secondo lo schema
da CC.
Vediamo un semplice esempio.
STATO PATRIMONIALE ALFA SpA
       
 ATTIVO  20x1  PASSIVO  20x1
       
 A) Crediti v/soci per versamenti ancora dovuti  0  A) Patrimonio Netto  37700
       
 B) Immobilizzazioni  54700  I - Capitale  20000
       
 I - Imm.immateriali  8200  II - Riserve  9200
       
 II - Imm.materiali  43500  III - Risultato Netto dell’esercizio  8500
       
 III - Imm.finanziarie  3000  B) Fondi per rischi e oneri  100
       
 C) Attivo circolante  29750  C) TFR  12200
       
 I - Rimanenze  18500  D) Debiti  34800
       
 II - Crediti  10200  1 - Debiti finanziari a breve  9900
       
 III - Att.fin.che non costituiscono immobilizzi  0  2 - Debiti commerciali a breve  7800
       
 IV - Disponibilità liquide  1050  3 - Debiti finanziari a M/L termine  16000
       
 D) Ratei e risconti  350  4 - Debiti tributari  800
       
       5 - Altri debiti di funzionamento  300
       
       E) Ratei e risconti  0
       
 TOTALE ATTIVO  84800  TOTALE PASSIVO  84800

Lo Stato Patrimoniale presentato è, in realtà, lievemente diverso da quello "da Codice


Civile"; esso è quindi già stato oggetto di una prima riclassificazione, in particolare si
è operata una diversa (e più sintetica) classificazione delle poste del passivo, dove:
– le riserve patrimoniali sono state "compattate" in una voce unica
–  i debiti sono stati già riclassificati distinguendo, in particolare, tra debiti
finanziari e debiti di funzionamento (commerciali, tributari, altri) e tra poste a
breve e poste a m/l termine

Tale riclassificazione dei debiti è facilmente effettuabile sulla base delle informazioni
contenute nella Nota Integrativa.
Lo Stato Patrimoniale condensato
Nelle analisi finanziarie si fa uso, normalmente, di SP
 * RICLASSIFICATI
in ordine di * liquidità (per l’attivo)
 * esigibilità (per il passivo)
crescente o decrescente

La classificazione per scadenza da CC non risponde totalmente a tale esigenza.


NON È POSSIBILE, per quanto gli studenti lo desiderino, fornire un “numero
chiuso” di conti che “vanno a finire” in una o nell’altra classe di conti.
È comunque necessario analizzare le singole voci senza dare per scontato che le
classificazioni “da CC” siano già corrette ai fini dell’analisi
* CONDENSATI
ossia composti da POCHE voci sintetiche

         
    Disp.liquide         
         
    immediate         
         
          Passività a breve   
         
 Attivo Circolante            
         
    Disp.liquide         
           
    differite            
         
          Passività a M/L   
           
                 
         
    Rimanenze         
           
                 
           
                 
       
          Mezzi Propri (Equity)
         
 Immobilizzazioni            
           
                 
           
                 
       
 TOTALE ATTIVO     TOTALE PASSIVO   

Conviene mantenere la distinzione tra debiti FINANZIARI  e di FUNZIONAMENTO


Stato Patrimoniale 20x1   20x1  
DISP.LIQUIDE IMMEDIATE 1050 PASSIVITÀ A BREVE   18800  
IV - Disponibilità liquide 1050   1 - Debiti finanziari a breve 9900    
     
  2 - Debiti commerciali a breve 7800    
DISP.LIQUIDE DIFFERITE 10550 4 - Debiti tributari   800    
II - Crediti 10200   5 - Altri debiti di funzionamento 300    
III - Att.fin.che non costituiscono immobilizzi 0   E) Ratei e risconti   0   HP: NON finanziari
D) Ratei e risconti   350     HP: NON finanziari
  PASSIVITÀ A M/L     28300    
  3 - Debiti finanziari a M/L termine 16000      
       
RIMANENZE     18500 C) TFR     12200      
I - Rimanenze   18500   B) Fondi per rischi e oneri 100      
                     
        MEZZI PROPRI (EQUITY)   37700    
IMMOBILIZZAZIONI     54700 I - Capitale   20000      
I - Imm.immateriali   8200   II - Riserve   9200      
II - Imm.materiali   43500   III - Risultato Netto dell’esercizio 8500      
III - Imm.finanziarie   3000                
                     
TOTALE ATTIVO     84800 TOTALE PASSIVO     84800    

Ai nostri fini, è utile fare riferimento a uno SP ulteriormente riclassificato, in cui:


– attivo circolante e debiti (a breve e a M/L) sono “spacchettati”
– si distinguono chiaramente le voci aventi carattere finanziario
 (DLI nell’attivo e debiti finanziari nel passivo).
– i debiti di funzionamento sono trasferiti (con segno “meno”)
 nell’attivo avente scadenza corrispondente
Ne risulta uno schema di questo tipo (più simile ai bilanci della tradizione
anglosassone)

   
 Liquidità   
   
    Debiti finanziari a breve
   
     
   
     
   
 CCN (Operativo)  Debiti finanziari a M/L
   
     
   
     
   
     
   
     
   
    Mezzi Propri (Equity)
   
 Immobilizzazioni nette   
   
     
   
     
   
 Totale Attivo  Totale Passivo
Dal lato dell’Attivo: * impieghi di risorse finanziarie
 (fabbisogni finanziari da coprire mediante il ricorso
 ai mercati finanziari)

Dal lato del Passivo: * fonti di finanziamento (attivate sui mercati finanziari)

In quest’ottica i debiti di funzionamento (fornitori, fisco, TFR, ecc.)


NON sono considerati “VERE” fonti di finanziamento,
in quanto NON sono attivate tramite il ricorso ai mercati finanziari
(e inoltre, in quanto generalmente NON sono ONEROSE).
Sono, piuttosto, considerate un fenomeno che consente di ridurre il fabbisogno
(ecco perché vanno nell’attivo “con segno meno”) che sarà necessario coprire
con ricorso a fonti di mercato onerose.
 
       
 Liquidità  1050  Deb.FINANZIARI  a breve  9900
       
           
       
 CCN Operativo  20150      
       
       Deb.FINANZIARI  a M/L  16000
       
           
           
                 
           
                 
           
                 
           
                 
       
 IMMOBILIZZAZIONI NETTE  42400  MEZZI PROPRI (EQUITY)  37700
           
                 
           
                 
           
                 
       
 TOTALE ATTIVO  63600  TOTALE PASSIVO  63600
 
Da notare che i totali si sono modificati (sono più bassi).
 
Ciò è dovuto al fatto che l’attivo netto “da finanziare” sul mercato
è in realtà più basso di quello “apparente” dalle rilevazioni contabili.
Il Conto Economico condensato
In genere l’analista ragiona su un conto economico:  – in forma scalare, con
evidenziazione
 di risultati intermedi
 – condensato

Ai fini che qui interessano rileva una forma di conto economico molto semplice, che
evidenzi come margine intermedio il Reddito operativo. In sintesi, come già notato
nell’analisi dello SP, si fa normalmente uso di CE:
* riclassificati per area gestionale
(operativa, finanziaria, straordinaria, fiscale)

Vediamo, anche qui, un semplice esempio

         
 CONTO ECONOMICO           20x1
         
 A) Valore della produzione           79200
     
  1 - Ricavi delle vendite e delle prestazioni  65000   
     
  2 - Variazione delle rimanenze di prodotti  3200   
         
  3 - Altri ricavi e proventi        11000   
         
 B) Costi della produzione           -75500
       
  4 - Per acquisto materie prime     -43000   
         
  5 - per servizi        -11000   
         
  6 - per personale        -10000   
         
  7 - Ammortamenti        -8500   
     
  8 - Variazione delle rimanenze di materie  0   
         
  9 - Acc. Per rischi e TFR        -1500   
       
  10 - Altri costi di produzione     -1500   
         
 Risultato Operativo           3700
         
 C) Oneri finanziari Netti           -2000
     
 D) Rettifiche di valore di att.finanziarie     0
       
 E) Proventi e oneri straordinari        1000
         
 Risultato ante imposte           2700
         
 Imposte sul reddito           -950
         
 Risultato Netto           1750

Come già per lo Stato Patrimoniale, lo schema di Conto Economico proposto


differisce lievemente da quello “da Codice Civile”.
In particolare, oltre ad utilizzare una classificazione più sintetica, e ad includere
l’acc.TFR tra gli accantonamenti
esso evidenzia separatamente i "Proventi e Oneri straordinari" (alla voce E).
Essi ricomprendono tutte le voci di costo e ricavo che non fanno parte dell’attività
"tipica" di approvvigionamento, produzione e vendita.
In particolare, tale voce ricomprende le plusvalenze e le minusvalenze da cessione
che, a norma
del Codice Civile sarebbero ricomprese alle voci A.5 Altri ricavi e proventi e B.14:
Oneri diversi di gestione.
Tale riclassificazione è facilmente effettuabile sulla base delle informazioni contenute
nella Nota Integrativa.

La “differenza tra valore e costi della produzione”, dopo tale riclassificazione,


evidenzia il Risultato dell’Attività Operativa (o EBIT), (Earnings Before Interest
and Taxes), una grandezza di fondamentale importanza, che sarà oggetto di ulteriori
analisi in seguito
CE Condensato
                   
             20x1               
                   
 Ricavi           76000               
             
 Costi monetari operativi (-) e Var. Rimanenze (+ o -)  -62300               
             
 = EBITDA           13700  =Margine Operativo Lordo (MOL)   
                   
 Ammortamenti e acc.ti (-)           -10000               
                 
 = EBIT           3700   = Risultato Operativo         
                   
 Oneri finanziari (-)           -2000               
                   
 Proventi/oneri straordinari           1000               
           
 = EBT           2700  = Risultato ante Imposte (Earnings Before Tax)
                   
 Imposte (-)           -950               
                   
 R.Netto           1750               

Il Margine Operativo Lordo è chiamato anche EBITDA


(Earnings Before Interest, Taxes, Depreciation and Amortization)
Esso è calcolato ri-sommando all’EBIT gli ammortamenti (e gli altri accantonamenti),
espressivi di COSTI NON MONETARI (ossia di costi cui non corrispondono uscite
di risorse finanziarie).
EBITDA = 3700 + 10000 = 13700
Lo scopo del calcolo  di tale indicatore è duplice:
a) essendo calcolato al lordo dei costi non monetari, la misura dell’EBITDA non è
influenzata
da eventuali "politiche" di bilancio concernenti tali voci (è meno "manipolabile"
dell’EBIT).
b) è una prima misura, molto grezza, dell’autofinanziamento generato dalla gestione
operativa (EBITDA)
In realtà vedremo che per calcolare una misura precisa di autofinanziamento è
necessario
un prospetto apposito (detto, appunto, dei flussi finanziari, o rendiconto finanziario).
Presentazione 6
PROSPETTI DEI FLUSSI FINANZIARI

Ricordiamo che le formule di valutazione (DDM; VAN)


richiedono come input stime di FLUSSI FINANZIARI ATTESI.

Il passaggio dai dati di bilancio ai FLUSSI FINANZIARI ATTESI


richiede DUE passaggi logici SUCCESSIVI:
 1) capire come costruire un PROSPETTO
 DEI FLUSSI FINANZIARI su dati STORICI
 2) capire come ripetere la stessa operazione sui FLUSSI ATTESI
INIZIAMO DAI FLUSSI STORICI
Lo SP mostra, in un determinato istante, come l’impresa:
 
   
 Ha investito le risorse finanziarie che si è procurata sul mercato  Si è finanziata
   
     
   
 Liquidità  Debiti Finanziari
   
 CCN operativo  Equity
   
 Imm.Nette   
   
     
       
 IMPIEGHI     FONTI   
(o fabbisogni)

Costituisce cioè una rappresentazione utile ma statica.


Per rappresentare la dinamica finanziaria è possibile considerare più SP in sequenza
analizzando le variazioni (in aumento o in diminuzione) delle singole voci.
Ciò viene effettuato attraverso la costruzione di PROSPETTI DEI FLUSSI
FINANZIARI
LA STRUTTURA DI UN PROSPETTO DEI FLUSSI FINANZIARI
 
 PROSPETTO DEI FLUSSI FINANZIARI
   
 Come l’impresa ha investito  Come l’impresa si è procurata
le NUOVE risorse finanziarie le NUOVE risorse finanziarie
che si è procurata sul mercato 
   
     
       
 NUOVI IMPIEGHI     NUOVE FONTI   
(o INVESTIMENTI)

Nell’uso comune si parla, per brevità, di FONTI e IMPIEGHI.


Ma deve essere chiaro che si parla sempre di NUOVE fonti e NUOVI impieghi.

A tal fine le variazioni di SP sono classificate secondo un profilo finanziario, come


segue:

 
 PROSPETTO DEI FLUSSI FINANZIARI
   
 IMPIEGHI  FONTI
   
 incrementi di attività  incrementi di passività
   
     
   
 decrementi di passività  decrementi di attività

Esempi:
1) Acquisto un impianto (incremento di attività). Sto INVESTENDO risorse
finanziarie
per pagare il fornitore dell’impianto. Le risorse IMPIEGATE comportano un
FABBISOGNO,
da coprire tramite il ricorso a opportune fonti di finanziamento.

2) Vendo un impianto (decremento di attività). Sto DISINVESTENDO risorse


finanziarie.
Esse rappresentano una FONTE di finanziamento, che consentirà di coprire altri
fabbisogni.

3) Contraggo un debito (incremento di passività). Sto ottenendo una FONTE di


finanziamento.
che contribuirà a coprire i fabbisogni dell’impresa. Anche se in futuro il
finanziamento andrà restituito
oggi esso rappresenta, come detto, una FONTE.

4) Rimborso un debito (decremento di passività). A tal fine sto IMPIEGANDO risorse


finanziarie
che comportano un FABBISOGNO. Se la concessione del finanziamento era una
FONTE,
il suo rimborso oggi rappresenta, come detto, un IMPIEGO.
Vediamo un semplice esempio (CASO EPSILON)
        
 Bilancio società Epsilon           Delta
          
 ATTIVO  20x1  20x0     Impieghi  Fonti
          
 A) Crediti v/soci per versamenti               
          
 B) Immobilizzazioni               
          
 I. Imm.immateriali  0100  0120        20
          
 II. Imm.materiali  0900  0680     220   
          
 III. Imm.finanziarie  0300  0350        50
          
 C) Attivo circolante               
          
 I. Rimanenze  0700  0600     100   
          
 II. Crediti  0600  0500     100   
          
 III. Att.fin.che non costituiscono imm.               
          
 IV. Disponibilità liquide  0140  0100     40   
          
 D) Ratei e risconti  0060  0000     60   
          
 TOTALE  2800  2350         

          
 PASSIVO  20x1  20x0         
          
 A) Patrimonio Netto               
          
 I. Capitale  0300  0300         
          
 II. Riserve  0250  0200        050
          
 III. Risultato Netto 20x0     0075     075   
          
 III. Risultato Netto 20x1  0100           100
          
 B) Fondi per rischi e oneri               
          
 C) TFR  0120  0100        020
          
 D) Debiti               
          
 1. Debiti finanziari a breve  0700  0600        100
          
 2. Debiti commerciali a breve  0300  0250        050
          
 3. Debiti finanziari a M/L termine  0420  0400        020
          
 4. Debiti tributari  0075  0075         
          
 5. Altri debiti di funzionamento  0425  0300        125
          
 E) Ratei e risconti  0110  0050        060
          
 TOTALE  2800  2350     595  595

Il prospetto risultante è il seguente:

 
 PROSPETTO “GREZZO” DEI FLUSSI FINANZIARI
       
 Aumento Rimanenze  100  Aumento D.Comm. a breve  50
       
 Aumento Crediti  100  Aumento Altri D.funz.  125
       
 Aumento Ratei attivi  60  Aumento Ratei passivi  60
       
 Aumento Imm.materiali  220  Riduzione imm.immateriali  20
       
 Aumento Liquidità  40  Riduzione imm.finanziarie  50
       
       Aumento D.Fin. a breve  100
       
       Aumento D.Fin. a M/L  20
       
       Aumento TFR  20
       
       Aumento Riserve  50
       
 Destinazione Utile 20x0  75  Produzione utile 20x1  100
       
           
       
 Totale impieghi  595  Totale fonti  595

Osservazioni:
1) Ovviamente, fonti e impieghi devono “bilanciare”.
Ogni fonte trova un impiego; ogni impiego è possibile in quanto finanziato da una (o
più) fonte(i).

2)  La riga del Risultato d’esercizio è “sfalsata”, per distinguere più facilmente
due eventi:
a) la “destinazione” del risultato dell’anno passato
b) la “produzione” del risultato dell’anno in corso

3)  Alcune possono essere facilmente raggruppate, per maggiore sintesi e


comodità
(ad es. quelle relative alla dinamica del CCN operativo)
Calcolo della variazione del CCN operativo
      Alternativamente: Delta  
  20x1 20x0   Impieghi Fonti  
Attivo circolante operativo            
I. Rimanenze 700 600   100   
II. Crediti 600 500   100   
III. Att.fin.che non costituiscono imm. 0 0      
D) Ratei e risconti 60 0 HP: NON finanziari 60   HP: NON finanziari
Passivo circolante operativo          
2. Debiti commerciali a breve –300 –250     50  
4. Debiti tributari –75 –75       
5. Altri debiti di funzionamento –425 –300     125  
E) Ratei e risconti –110 –50 HP: NON finanziari   60 HP: NON finanziari
           
CCN Operativo 450 425   260 235  
           
La variazione di CCN è: 25 Impiego   25 Impiego  

Inoltre è di immediata evidenza che l’aumento delle riserve NON è indicativo di flussi
finanziari.
(non si verificano, contemporaneamente, aumenti di capitale a pagamento). È perciò
molto probabile
(e immediatamente verificabile dalla Nota Integrativa) che esso consegua alla
DESTINAZIONE DELL’UTILE.
Mentre la quota di utile NON DISTRIBUITO è un mero giroconto (che non genera
flussi),
la differenza tra utile 20x0 e utile a riserva: 25 Impiego
misura l’effettivo importo dei DIVIDENDI.

        
 Aumento CCN operativo  25     Riduzione imm.immateriali  20
        
 Aumento Imm.materiali  220     Riduzione imm.finanziarie  50
        
 Aumento Liquidità  40     Aumento D.Fin. a breve  100
        
          Aumento D.Fin. a M/L  20
        
          Aumento TFR  20
        
              
        
 Pagamenti di dividendi  25     Produzione utile 20x1  100
        
              
        
 Totale impieghi  310     Totale fonti  310

L’UTILIZZO DELLE INFORMAZIONI DI CONTO ECONOMICO


È utile sostituire il Risultato d’esercizio dell’anno in corso con i RICAVI e
COSTI
che lo hanno generato. Ciò è perfettamente equivalente in termini contabili
(Ricavi – Costi = Risultato Netto), ma permette analisi più approfondite
In prima approssimazione, le grandezze di conto economico sono interpretabili
come:
FONTI Ricavi e, in genere, componenti positivi di reddito
IMPIEGHI Costi e, in genere, componenti negativi di reddito
Naturalmente, a condizione che abbiano natura MONETARIA.

     
 CONTO ECONOMICO     20x1
     
 A) Valore della produzione     2700
     
 1. Fatturato  2550   
     
 2. Variazione delle rimanenze di prodotti  150   
     
 3. Altri ricavi  0   
     
 B) Costi della produzione     –2525
     
 4. Per acquisto materie prime  –1400   
     
 5. per servizi  –140   
     
 6. per personale  –600   
     
 7. Ammortamenti  –170   
     
 8. Variazione delle rimanenze di materie  –50   
     
 9. Acc. Per rischi e TFR  –25   
     
 10. Altri costi di produzione  –140   
     
 R. Operativo     175
     
 C) Oneri finanziari Netti     –80
     
 12. Oneri finanziari  –80   
     
 D) Rettifiche di valore di att.finanziarie     0
     
 E) Proventi e oneri straordinari     80
     
 Risultato ante imposte     175
     
 Imposte sul reddito     –75
     
 Risultato Netto     100

PERALTRO, sarà necessario tenere conto che non tutte le grandezze


DI CONTO ECONOMICO GENERANO FLUSSI FINANZIARI
(ESEMPI: Ammortamenti, accantonamenti, plus- e minusvalenze)

         
 Aumento CCN operativo  25  Riduzione imm.immateriali  20   
         
 Aumento Imm.materiali  220  Riduzione imm.finanziarie  50   
         
 Aumento Liquidità  40  Aumento D.Fin. a breve  100   
         
       Aumento D.Fin. a M/L  20   
         
       Aumento TFR  20   
         
 Pagamenti di dividendi  25         
         
 Oneri finanziari 20x1  80  EBIT 20x1  175   
         
 Imposte sul reddito 20x1  75  Proventi straordinari 20x1  80  La differenza è = 100 (Utile 20x1)
         
              

         
 Totale impieghi  465  Totale fonti  465   
COME RAFFINARE IL PROSPETTO
Un prospetto “grezzo” come quello sopra riportato è scomodo.
Gli analisti utilizzano prospetti RICLASSIFICATI e CONDENSATI.
In particolare, di solito si fa riferimento a uno schema che:
– distingue le variazioni per area gestionale di riferimento
 (operativa, finanziaria, degli investimenti)
– raggruppa le voci aventi significato simile
 (es. tutte le variazioni dei debiti finanziari a breve, o di quelli a M/L,
 o tutti gli investimenti/disinvestimenti in componenti del CCN)
– scompone alcune voci al fine di fornire una rappresentazione più analitica
 (es. distinguendo tra acquisto e vendita di imm.ni)
     
 IMPIEGHI  FONTI   
     
        
     
 1) Pagamenti di dividendi  13) Aumenti di capitale  AREA
     
 2) Decrementi di debiti fin. a m/l  14) Aumenti di debiti finanziari a m/L  FINANZIARIA
     
 3) Decrementi di debito fin. a breve  15) Aumenti di debiti finanziari a breve   
     
 4) Oneri finanziari      
     
        
     
 5) Flusso di gestione operativa (EBITDA)  16) Flusso di gestione operativa (EBITDA)  AREA
     
 6) Pagamenti di imposte     OPERATIVA
     
 7) TFR pagato      
     
        
     
 8) Investimenti in imm. materiali  17) Disinvestimenti di imm. materiali  AREA DEGLI
     
 9) “ immateriali  18) “  immateriali  INVESTIMENTI
     
 10) “ finanziarie  19) “  finanziarie   
     
 11) Investimenti in CCN operativo  20) Disinvestimenti di CCN operativo   
     
        
     
 12) Impieghi in liquidità  21) Disinvestimenti di liquidità  CHE SPIEGANO LA
     
       VARIAZIONE DELLA
     
 Totale impieghi  Totale fonti  LIQUIDITÀ

Appariranno in alternativa : la voce 2 o la voce 14; la voce 3 o la voce 15;


la voce  5 o la voce 16; la voce 11 o la voce 20; la voce 12 o la voce 21.

Alcune voci del prospetto sono ricavabili in modo immediato.


Nell’esempio, è questo il caso della dinamica dei debiti (sia a breve, sia a M/L
termine),
della liquidità, degli oneri finanziari e delle imposte.
 
Le altre voci richiedono rettifiche, generalmente operate sulla base delle
informazioni
di CONTO ECONOMICO. In generale è necessario tenere presente che:
Alcune variazioni di SP NON GENERANO alcun flusso finanziario
e vanno ELIMINATE
(es.: variazioni per calcolo ammortamenti e accantonamenti;
calcolo svalutazioni/rivalutazioni “contabili”)

Altre variazioni di SP nenerano flussi finanziari


di importo diverso da quello apparente (es. variazione TFR;
dismissione di cespiti con generazione di plus- o minusvalenze)
e vanno RETTIFICATE

Ciò è vero, in particolare, per la misura del flusso generato dalla gestione
operativa
ossia dell’autofinanziamento. Il flusso di gestione operativa è la misura del
risultato:
– della SOLA GESTIONE OPERATIVA
– IN TERMINI FINANZIARI
(ossia calcolato come differenza tra ENTRATE e USCITE,
NON semplicemente tra RICAVI e COSTI)
Poiché non a tutti i ricavi/costi, calcolati per competenza
corrispondono effettivi flussi finanziari.
COME CALCOLARE IL FLUSSO PRODOTTO DALLA GESTIONE
OPERATIVA
Il flusso di gestione operativa può essere calcolato in due modi alternativi.
METODO A
Si calcola la somma algebrica di:
ricavi da vendite e prestazioni (+)
costi operativi MONETARI (–)
Che corrisponde, in buona sostanza, all’EBITDA
Metodo A
      
 1. Fatturato  2550      
      
 2. Variazione delle rimanenze di prodotti  150      
      
 3. Altri ricavi  0      
      
 4. Per acquisto materie prime  –1400      
      
 5. per servizi  –140      
      
 6. per personale  –600      
      
 8. Variazione delle rimanenze di materie  –50      
      
 10. Altri costi di produzione  –140      
      
 = Flusso di gestione operativa (EBITDA)  370     Fonte

METODO B
Si risommano all’utile le seguenti componenti (con segno cambiato)
Imposte
Oneri finanziari
Plus- e minusvalenze
Costi operativi NON MONETARI (Amm.ti e Acc.ti)

Da osservare che si tratta proprio delle grandezze destinate a trovare altra


collocazione
nel prospetto dei flussi finanziari
– O come voce autonoma: imposte, oneri finanziari;
– O come posta di rettifica: plus- e minusvalenze; amm.ti e acc.ti
Metodo B
      
 Risultato Netto  100      
      
 Imposte sul reddito  75      
      
 12. Oneri finanziari  80      
      
 7. Ammortamenti  170      
      
 9. Acc. TFR  25      
      
 E) Proventi e oneri straordinari  –80      
      
 = Flusso di gestione operativa (EBITDA)  370     Fonte

Dinamica del TFR


Il TFR aumenta di 20 (fonte?); peraltro, ciò accade in presenza di un accantonamento
pari a 25.

           
 TFR  Acc.to  TFR tendenziale  MA in realtà  Perché Epsilon ha pagato   
iniziale TFR è
           
                 
           
 100  25  125  120  5  Impiego

Dinamica delle immobilizzazioni


È opportuno distinguere le 3 sottoclassi (materiali, immateriali, finanziarie)
È inoltre opportuno osservare che la Nota Integrativa può fornire molte informazioni
utili.

Esempio:
– non si riscontrano acquisti o cessioni di imm.immateriali.
– la variazione delle imm.finanziarie è integralmente dovuta a una cessione
– la variazione delle imm.materiali è dovuta sia a nuovi acquisti
 che a cessioni di attività esistenti (i dati precisi sono riportati più avanti)
Imm.immateriali
Si osserva una riduzione pari a 20 (fonte?); peraltro, la Nota Integrativa
mostra che la riduzione è dovuta al calcolo delle quote di ammortamento.
Pertanto la variazione NON corrisponde a flussi finanziari.
Imm.finanziarie
Si osserva una riduzione pari a 50 (fonte?); è necessario verificare nella Nota
Integrativa
che la riduzione sia effettivamente dovuta a un disinvestimento e non a una semplice
svalutazione
priva di significato finanziario. Avuta conferma che si tratta di un effettivo
disinvestimento 
si può ricavare che il flusso è: 50 Fonte
Imm.materiali
Dagli schemi di bilancio si osserva che

      
 Imm.mat.nette        Plusvalenze
        
 iniziali  finali     Amm.ti  (provento straordinario)
        
              
        
 680  900     170  80

Peraltro, gli amm.ti riferiti alle imm.materiali sono solo: 150


poiché 20 sono riferiti alle imm.immateriali.

Dalla presenza della plusvalenza si deduce che Epsilon ha effettuato dei


disinvestimenti.
Dalla Nota Integrativa si ricavano:
     
 – l’importo degli investimenti effettuati  400  Impiego
–  la scomposizione delle Imm.materiali nette nelle loro componenti (Imm.lorde e
F.Amm.to)

     
    iniziali  finali
     
 Imm.lorde  1380  1680
     
 F.Amm.to  0700  0780
     
 Imm.nette  0680  0900
Come già per il TFR, osservando la dinamica tendenziale in assenza di
disinvestimenti
e confrontando l’ipotetica situazione risultante a fine anno con quella effettiva,
si ricava la dinamica dei disinvestimenti

  Importo Delta Importo   MA in   Perché Epsilon ha disinvestito un


iniziale tendenziale realtà è cespite dal valore di
Imm.lorde 1380 400 1780   1680   100  
F.Amm.to 700 150 850   780   70  
Imm.nette 680 250 930   900 V.Netto 30  
NB: Delta Imm lorde = investimenti    Plusvalenza 80  
 Delta F.Amm.to = Amm.ti dell’anno    Prezzo di 110 Fonte
cessione

Ed ecco il prospetto risultante:

       
 IMPIEGHI     FONTI   
       
 1) Pagamenti di dividendi  25  13) Aumenti di capitale   
       
 2) Decrementi di debiti fin. a m/l     14) Aumenti di debiti finanziari a m/L  20
       
 3) Decrementi di debito fin. a breve     15) Aumenti di debiti finanziari a breve  100
       
 4) Oneri finanziari  80      
       
           
       
 5) Flusso di gestione operativa (EBITDA)     16) Flusso di gestione operativa (EBITDA)  370
       
 6) Pagamenti di imposte  75      
       
 7) TFR pagato  5      
       
           
       
 8) Investimenti in imm. materiali  400  17) Disinvestimenti di imm. materiali  110
       
 9) “ immateriali     18) “ immateriali   
       
 10) “ finanziarie     19) “ finanziarie  50
       
 11) Investimenti in CCN operativo  25  20) Disinvestimenti di CCN operativo   
       
           
       
 12) Impieghi in liquidità  40  21) Disinvestimenti di liquidità   
       
           
       
 Totale impieghi  650  Totale fonti  650
Presentazione 7
“ROSSI E GUARNERI SPA”

  20x3 20x4     20x3 20x4


ATTIVO       PASSIVO    
A) Crediti v/soci per versamenti 0 0   A) Patrimonio Netto 285 310
B) Immobilizzazioni 470 490   I. Capitale 200 200
I. Imm.immateriali 0 0   II. Riserve 50 70
II. Imm.materiali 120 110   III. Ris. Netto dell’esercizio 35 40
III. Imm.finanziarie 350 380   B) Fondi per rischi e oneri 0 0
C) Attivo circolante 260 280   C) TFR 40 50
I. Rimanenze 90 85   D) Debiti 420 420
II. Crediti 160 180   1. Debiti finanziari a breve 145 180
III. Att.fin.che non costituiscono 0 0   2. Debiti commerciali a breve 80 70
IV. Disponibilità liquide 10 15   3. Debiti finanziari a M/L termine 170 140
D) Ratei e risconti 15 10   4. Debiti tributari 0 0
        5. Altri debiti di funzionamento 25 30
        E) Ratei e risconti 0 0
TOTALE 745 780   TOTALE 745 780

CONTO ECONOMICO   20x4


A) Valore della produzione   695
1. Ricavi delle vendite e delle prestazioni   700
2. Variazione delle rimanenze di prodotti   –5
3. Altri ricavi e proventi   0
B) Costi della produzione   –565
4. Per acquisto materie prime   –250
5. per servizi   –120
6. per personale   –150
7. Ammortamenti   –30
8. Variazione delle rimanenze di materie   0
9. Acc. Per rischi e TFR   –15
10. Altri costi di produzione   0
R.Operativo (EBIT)   130
C) Oneri finanziari Netti   –30
D) Rettifiche di valore di att.finanziarie   0
E) Proventi e oneri straordinari   –20
Risultato ante imposte   80
Imposte sul reddito   –40
Risultato Netto   40
Informazioni aggiuntive necessarie (reperibili nella Nota integrativa):
– Natura dei ratei e risconti: Risconti attivi aventi natura non finanziaria
–  Dettaglio Imm.finanziarie e loro spiegazione (aumento dovuto ad acquisto di
partecipazioni)
– Dettaglio Imm.materiali
 
     
    iniziali  finali
     
 Imm.lorde  –300  –310
     
 F.Amm.to  –180  –200
     
 Imm.nette  –120  –110

– Dettaglio Proventi e oneri straordinari: minusvalenza da alienazione pari a 20


– come si è formata la minusvalenza: nasce dalla cessione di un impianto (c.storico =
80)
“Lista di lavoro” per la costruzione del prospetto dei flussi finanziari
IMPIEGHI FONTI  
1) Pagamenti di dividendi 13) Aumenti di capitale AREA
2) Decrementi di debiti fin. a m/l 14) Aumenti di debiti finanziari a m/L FINANZIARIA
3) Decrementi di debito fin. a breve 15) Aumenti di debiti finanziari a breve  
4) Oneri finanziari    
     
5) Flusso di gestione operativa (EBITDA) 16) Flusso di gestione operativa (EBITDA) AREA
6) Pagamenti di imposte   OPERATIVA
7) TFR pagato    
     
8) Investimenti in imm.  materiali 17) Disinvestimenti di imm. materiali AREA DEGLI
9) “  immateriali 18) “  immateriali INVESTIMENTI
10) “  finanziarie 19) “  finanziarie  
11) Investimenti in CCN operativo 20) Disinvestimenti di CCN operativo  
     
12) Impieghi in liquidità 21) Disinvestimenti di liquidità CHE SPIEGANO
    LA VARIAZIONE
Totale impieghi Totale fonti DELLA LIQUIDITÀ

Appariranno in alternativa: la voce 2 o la voce 14; la voce 3 o la voce 15;


la voce 5 o la voce 16; la voce 11 o la voce 20; la voce 12 o la voce 21.
Il “numero chiuso” delle voci che devono apparire è quello sopra, quindi devo
costruire:

– Voci 1 e 13 “Aumento di Mezzi propri” e “Pagamento di dividendi”


L’invarianza del “Capitale sociale” suggerisce che non c’è stato
alcun aumento di capitale; di conseguenza l’aumento delle riserve
è dovuto alla destinazione dell’utile 20x3 (il punto è confermato
dalla lettura della Nota Integrativa). L’utile 20x3, pari a 35, è perciò
stato destinato a riserva per 20, e a dividendi per 15.
       
    Aumento mezzi propri  00   
       
    Pagamento di dividendi  15  Impiego

– Voce 2 (14) “Incremento (decremento) debiti finanziari a medio-lungo”


         
    20x3  20x4      
         
 3. Debiti finanziari a M/L termine  170  140      
         
              
       
    Rimborso Debiti fin. M/L  30  Impiego

– Voce 3 (15) “Incremento (decremento) debiti finanziari a breve”


         
    20x3  20x4      
         
 1. Debiti finanziari a breve  145  180      
         
              
       
    Aumento Debiti fin. Breve  35  Fonte

– Voce 4 “Oneri finanziari”


      
    Oneri finanziari  30  Impiego

– Voce 5 (16) “Flusso (di CCN commerciale) della gestione operativa”


Lo posso calcolare alternativamente come:
     
 1. Ricavi delle vendite e delle prestazioni  700   
     
 2. Variazione delle rimanenze di prodotti  –5   
     
 3. Altri ricavi e proventi  0   
     
 4. Per acquisto materie prime  –250   
     
 5. per servizi  –120   
     
 6. per personale  –150   
     
 8. Variazione delle rimanenze di materie  0   
     
 10. Altri costi di produzione  0   
     
 Flusso gestione operativa (EBITDA)  175  Fonte

o come:

     
 Utile d’esercizio  40   
     
 7. Ammortamenti  30   
     
 9. Acc. Per rischi e TFR  15   
     
 C) Oneri finanziari Netti  30   
     
 D) Rettifiche di valore di att.finanziarie  0   
     
 E) Proventi e oneri straordinari  20   
     
 Imposte sul reddito  40   
     
 Flusso gestione operativa (EBITDA)  175  Fonte

– Voce 6 “Pagamento di imposte”


      
    Imposte pagate  40  Impiego
– Voce 7 “Pagamento di TFR”
Se il TFR aumentasse in misura esattamente pari all’accantonamento
che appare in Conto Economico, le vicende relative al TFR non
lascerebbero alcuna traccia nel prospetto dei flussi, perchè vorrebbe dire
che non vi è stato alcun movimento di carattere finanziario. Il fatto che, in
questo caso, vi sia stato un incremento del fondo inferiore, denuncia che
vi è stato nel corso dell’esercizio un pagamento di TFR.

Il TFR aumenta di 10 (fonte?); peraltro, ciò accade in presenza di un accantonamento


pari a 15.

            
 TFR  Acc.to  TFR     MA in realtà  Perché R&G   
            
 iniziale  TFR  tendenziale     è  ha pagato   
            
                    
            
 40  15  55     50  5  Impiego

– Voce 12 (21) “Incremento (decremento) della liquidità”


         
    20x3  20x4  Variazione   
         
 IV. Disponibilità liquide  10  15  5  Impiego

– Voci 10 e 19 “Investimenti (Disinvestimenti) di immobilizzazioni finanziarie”


Notiamo un aumento della voce Imm.finanziarie, pari a 30.
Dalla Nota Integrativa risulta che l’aumento è dovuto a
un aumento delle partecipazioni. Dovrò pormi il
problema se esso deriva da un effettivo impiego di mezzi finanziari; ad
esempio, potrebbe essere frutto di una pura rivalutazione contabile, se
l’impresa seguisse il criterio contabile della valutazione al patrimonio netto.
Appurato (dalla Nota integrativa) che l’aumento della posta deriva dalla
sottoscrizione di un aumento di capitale nell’impresa partecipata per 30:

      
    Investimento in partecipazioni  30  Impiego

– Voci 8 e 17 “Investimenti (Disinvestimenti) di immobilizzazioni materiali”


Notiamo un aumento della voce “Immobilizzazioni lorde” pari a 10
Notiamo anche un aumento del “Fondo ammortamento”
(sicuramente non espressivo di flussi finanziari), pari a 20,
nonostante gli ammortamenti calcolati nell’esercizio siano pari a 30.
Infine notiamo in Conto Economico la voce “Minusvalenze”, pari a 20.

Deduciamo che:
– probabilmente c’è stata un’alienazione di cespiti riferiti alle Imm.
Materiali,
– il F.do ammortam. è aumentato meno degli ammortamenti perché
si sono scaricati ammortamenti dei cespiti ceduti
– quindi anche la voce Imm.lorde ha subito uno scarico del valore di
costo di quei cespiti; mi devo procurare l’informazione di quanto (consulto
l’allegato); nel caso di specie è data la notizia che lo scarico è di 80.

Dalla presenza della minusvalenza si deduce che R&G ha effettuato dei


disinvestimenti.
Dalla Nota Integrativa si ricava:
– il valore lordo del cespite ceduto      80

           
    iniziali  finali        Minusvalenza
           
 Imm.lorde  300  310     Amm.ti  (onere straordinario)
           
 F.Amm.to  –180  –200         
           
 Imm.nette  120  110     30  20

Anzitutto, conosco già il valore originario del cespite ceduto (80);


di qui, dalla dinamica del F.Amm.to si ricava il F.Amm.to ad esso relativo
e, infine, il valore netto del cespite e il prezzo di vendita.

                
 Importo  Delta Importo     MA in     Perché R&G ha disinvestito un   
iniziale tendenziale realtà è cespite dal valore di
                
                  –80   
F.Amm.to               
 –180  –30 –210     –200     –10   
                
                   V.Netto  –70   
                
                   Minusvalenza  –20   
                
                   Prezzo di –50 Fonte
cessione

Poi, dalla dinamica delle Imm.lorde si ricava l’importo degli investimenti

               
 Importo  Disinv. Importo     MA in     Perché R&G ha acquistato un cespite   
iniziale tendenziale realtà è dal valore di
Imm.lorde             Impiego
 300  –80 220     310    90

– Voce 11 (o 20) “Incremento (decremento) di CCN operativo”


Calcolo il CCN commerciale all’inizio e alla fine dell’esercizio:
     
    20x3  20x4
     
 I. Rimanenze  90  85
     
 II. Crediti  160  180
     
 III. Att.fin.che non costituiscono immobilizzi  0  0
     
 D) Ratei e risconti  15  10
     
 2. Debiti commerciali a breve  –80  –70
     
 4. Debiti tributari  0  0
     
 5. Altri debiti di funzionamento  –25  –30
     
 E) Ratei e risconti  0  0
     
 CCN operativo  160  175

       
    Variazione CCN operativo  15     Impiego

Il prospetto dei flussi finanziari di CCN commerciale apparirà perciò come segue.

       
 IMPIEGHI     FONTI   
       
           
       
 1) Pagamenti di dividendi  15  15) Aumenti debiti fin. breve  35
       
 2) Rimborsi debiti fin.m/l  30      
       
 4) Oneri finanziari  30      
       
           
       
 6) Pagamenti di imposte  40  16) Flusso gestione operativa  175
       
 7) Pagamenti di TFR  5      
       
           
       
 8) Investimenti imm. materiali  90  17) Disinvestimenti imm. Materiali  50
       
 10) Investimenti imm. Finanziarie  30      
       
 11) Invest. in CCN comm.  15      
       
           
       
 12) Impieghi in liquidità  5      
       
           
       
 Totale impieghi  260  Totale fonti  260
Presentazione 8
COME CALCOLARE UN PROSPETTO DEI
FLUSSI ATTESI?

Il passaggio dai dati di bilancio ai FLUSSI FINANZIARI ATTESI


richiede DUE passaggi logici SUCCESSIVI:
1) abbiamo capito come costruire un PROSPETTO
 DEI FLUSSI FINANZIARI su dati STORICI
2)  dobbiamo ora capire come ripetere la stessa operazione sui FLUSSI
ATTESI

Cambiano i dati a disposizione e pertanto anche l’ordine logico del processo.


FLUSSI STORICI
A) Situazione di partenza: Dispongo di:   due SP “affiancati”
    il CE dell’esercizio
B) Calcolo le variazioni tra le voci di SP
C)  Rettifico le variazioni prive di significato finanziario utilizzando anche le
informazioni di CE
D) Raggruppo le voci e ricavo il prospetto STORICO
FLUSSI ATTESI
A) Situazione di partenza: Dispongo di:   UN SOLO SP (INIZIALE)

Per costruire CE, SP e prospetto dei flussi attesi ho bisogno di una serie di
informazioni aggiuntive
concernenti le IPOTESI di GESTIONE futura. Tali ipotesi possono provenire,
alternativamente:
 * dal management, che le formalizza attraverso la redazione del BUDGET
 
 * da elaborazioni personali dell’analista, fondate su informazioni di varia fonte
 (es. previsioni diffuse dall’impresa, previsioni basate su report previsionali
 di varia fonte – ad es. sugli andamenti generali del mercato delle materie prime
e dei prodotti,
 sulla crescita dell’economia, sull’inflazione, sui tassi d’interesse, ecc.)

In un caso come nell’altro, è FONDAMENTALE verificare che le ipotesi adottate


siano tra loro COERENTI.
Ad esempio, se le previsioni generali di mercato evidenziano una stabilità (o una
contrazione)
del mercato di riferimento (es. del mercato automobilistico, se produco auto), e il
management
prevede un incremento sensibile delle vendite, bisogna domandarsi se la previsione è
CREDIBILE,
ossia fondata su elementi forti, che fanno ritenere probabile un aumento delle quote di
mercato
(ad esempio, lo sviluppo di nuovi modelli, o di un nuovo motore dai consumi più
bassi).
Ancora, se prevedo un aumento delle vendite del 10%, è molto probabile che questo
porti un parallelo
aumento dei costi di produzione (se l’aumento dipende da un maggior numero di auto
vendute);
se il management prevede che i costi siano stabili, o aumentino a un tasso inferiore
alle vendite,
devo chiedermi se tale previsione è credibile (e coerente con quella sulle vendite).
In genere una previsione è credibile solo se fondata su elementi specifici, la cui
solidità sia stata analizzata a fondo (ad esempio, una maggiore automazione che
comporti risparmi di costi o l’utilizzo di componentistica meno costosa).

OGNI IPOTESI DEVE ESSERE TESTATA.


E LA COERENZA TRA TUTTE LE IPOTESI DEVE ESSERE VERIFICATA.
Di conseguenza:
B) Considero il CE “da budget” o costruisco un CE prospettico
 in base alle migliori informazioni disponibili
C) Integro le previsioni con le informazioni sulle altre operazioni
 che generano flussi finanziari
D) Raggruppo le voci e ricavo il prospetto dei flussi ATTESO
E) Ricavo lo SP prospettico (finale) come “sottoprodotto” dell’analisi

Vediamo un semplice esempio (CASO EPSILON)


A) Situazione di partenza:   Dispongo di: UN SOLO SP (INIZIALE)

Bilancio società Epsilon


        
 ATTIVO  20x1     PASSIVO  20x1
        
 A) Crediti v/soci per versamenti        A) Patrimonio Netto   
        
 B) Immobilizzazioni        I. Capitale  300
        
 I. Imm.immateriali  100     II. Riserve  250
        
 II. Imm.materiali  900     III. Risultato Netto 20x2   
        
 III. Imm.finanziarie  300     III. Risultato Netto 20x1  100
        
 C) Attivo circolante        B) Fondi per rischi e oneri   
        
 I. Rimanenze  700     C) TFR  120
        
 II. Crediti  600     D) Debiti   
        
 III. Att.fin.che non costituiscono imm.        1. Debiti finanziari a breve  700
        
 IV. Disponibilità liquide  140     2. Debiti commerciali a breve  300
        
 D) Ratei e risconti  60     3. Debiti finanziari a M/L termine  420
        
          4. Debiti tributari  75
        
          5. Altri debiti di funzionamento  425
        
          E) Ratei e risconti  110
        
 TOTALE ATTIVO  2800     TOTALE PASSIVO  2800

B) Considero il CE “da budget” o costruisco un CE prospettico


in base alle migliori informazioni disponibili
IPOTIZZIAMO DI POTER OSSERVARE IL CONTO ECONOMICO DA BUDGET

Il budget è costruito sull’ipotesi di incrementare il fatturato grazie allo sviluppo di un


nuovo prodotto (20%), anche grazie a una serie di investimenti aggiuntivi in attività
materiali (430), parzialmente finanziati tramite il disinvestimento di attività
immateriali (brevetti non più interessanti) venduti a 80.
L’aumento del fatturato comporta un parallelo aumento (20%) dei costi di produzione
e delle principali componenti del CCN (ossia clienti, scorte e fornitori); le altre voci
del CCN sono ipotizzate immutate.
L’aumento delle scorte è dovuto, per un importo pari a 60, alle scorte di materie prime
e per la parte rimanente a quelle di prodotti finiti.
Tra i costi operativi, solo il costo del personale è previsto aumentare in misura minore
(10%), perché il nuovo processo produttivo comporta un minor impiego di
manodopera; in compenso gli ammortamenti aumentano del 36%.
Gli oneri finanziari sono – PER IL MOMENTO – ipotizzati stabili (D stabile e tasso
d’interesse pure stabile).
L’aliquota d’imposta (tassazione corporate = tc) è ipotizzata pari al 30%.
CONTO ECONOMICO 20x2 Dettaglio HP sottostanti (NB: cifre arrotondate)
A) Valore della produzione 3140  
1. Ricavi delle vendite e delle prestazioni 3060 HP: Aumento del 20%
2. Variazione delle rimanenze di prodotti 80 HP: Come da ipotesi precedente
3. Altri ricavi e proventi 0 
B) Costi della produzione –2874  
4. Per acquisto materie prime –1680 HP: Come fatturato
5. per servizi –168 HP: Come fatturato
6. per personale –660 HP: Aumento del 10%
7. Ammortamenti –231 HP: Aumento del 36% per forti investimenti
8. Variazione delle rimanenze di materie 60 HP: Come da ipotesi precedente
9. Acc. Per rischi e TFR –28 HP: Come C.personale
10. Altri costi di produzione –168 HP: Come fatturato
R.Operativo (EBIT) 266  
C) Oneri finanziari Netti –80  
12. Oneri finanziari –80 HP: Stabili
D) Rettifiche di valore di att.finanziarie 0 
E) Proventi e oneri straordinari –20 HP: da dismissione brevetto
Risultato ante imposte 166  
Imposte sul reddito –50 HP: 30% R.ante imposte
Risultato Netto 116  

C) Integro le previsioni con le informazioni sulle altre operazioni


che generano flussi finanziari

Ulteriori ipotesi:
     
 Investimenti in imm.materiali  430  Impiego
     
 Disinvestimento imm.immateriali: totale (di qui minusvalenza in CE)  80  Fonte
       
           
       
 Dividendi 20x2  HP: 50% utile 20x1  50  Impiego
       
 Liquidità a fine anno: immutata         
       
 Nessun licenziamento  TFR pagato = 0      
Calcolo il flusso di gestione operativa

Metodo A       
1. Ricavi delle vendite e delle prestazioni 3060      
2. Variazione delle rimanenze di prodotti 80   Metodo B  
3. Altri ricavi e proventi 0   Risultato Netto 116
4. Per acquisto materie prime –1680   Imposte sul reddito 50
5. per servizi –168   12. Oneri finanziari 80
6. per personale –660   7. Ammortamenti 231
8. Variazione delle rimanenze di materie 60   9. Acc. TFR 28
10. Altri costi di produzione –168   E) Proventi e oneri straordinari 20
= Flusso di gestione operativa (EBITDA) 524   = Flusso di gestione operativa (EBITDA) 524
        
  Fonte     Fonte

Calcolo la variazione del CCN operativo


      Delta da cui si ricavano i valori finali  
  20x1   Impieghi Fonti   20x2
Attivo circolante operativo          
I. Rimanenze 700   140   HP: Incremento 20% (come fatturato) 840
II. Crediti 600   120   HP: Incremento 20% (come fatturato) 720
III. Att.fin.che non costituiscono imm. 0      HP: Immutati 0
D) Ratei e risconti 60       HP: Immutati 60
Passivo circolante operativo          
2. Debiti commerciali a breve –300     –60 HP: Incremento 20% (come fatturato) –360
4. Debiti tributari –75       HP: Immutati –75
5. Altri debiti di funzionamento –425       HP: Immutati –425
E) Ratei e risconti –110       HP: Immutati –110
           
CCN Operativo 450   260 –60   650
            
La variazione di CCN è:     200 Impiego    

D) Raggruppo le voci e ricavo il prospetto ATTESO

 IMPIEGHI      
   FONTI  
 1) Pagamenti di dividendi      
50  13) Aumenti di capitale  
 2) Decrementi di debiti fin. a m/l      
   14) Aumenti di debiti finanziari a m/L  
 3) Decrementi di debito fin. a breve      
   15) Aumenti di debiti finanziari a breve  
 4) Oneri finanziari
     
80     
        
      
 5) Flusso di gestione operativa (EBITDA)      
   16) Flusso di gestione operativa (EBITDA) 524
 6) Pagamenti di imposte      
50     
 7) TFR pagato      
0     
        
      
 8) Investimenti in imm. materiali      
430  17) Disinvestimenti di imm. materiali  
 9) “ immateriali      
   18) “  immateriali 80
 10) “ finanziarie      
   19) “  finanziarie  
 11) Investimenti in CCN operativo      
200  20)  Disinvestimenti di CCN operativo  
        
      
 12) Impieghi in liquidità      
0  21) Disinvestimenti di liquidità  
        
      
 Totale 810   604
 Totale

Come si può facilmente osservare, la prima BOZZA DI PROSPETTO, ricavata in tal modo, NON BILANCIA.
  206
 Ciò è dovuto al fatto che le HP in base alle quali è stato costruito evidenziano un GAP FINANZIARIO
che DEVE essere colmato tramite il ricorso a fonti di mercato (se si vuole che il piano sia FATTIBILE).

Se il GAP viene coperto con mezzi propri, il prospetto andrà completato tenendo
conto
di un AUMENTO DI CAPITALE di pari importo.

Se il GAP viene coperto con ricorso al debito, è necessario tenere conto di due
ulteriori effetti:
– anzitutto l’aumento degli oneri finanziari indotto dal maggior debito
–  in secondo luogo, il risparmio di imposta generato da tali oneri finanziari
(costo deducibile)
L’effetto complessivo è calcolabile tenendo conto che, per ogni Euro di debito
contratto,
si pagano interessi pari a i e si risparmiano imposte pari a i x tc

Deve pertanto valere l’uguaglianza: GAP = D – i x D + i x D x tc = D – i x D x (1 – tc)

Da cui si ricava che, per coprire il gap finanziario, la società deve contrarre un debito
aggiuntivo pari a.

   
 221,3

Nell’ipotesi che i = 10% e tc = 30%


   
 Gli oneri finanziari aggiuntivi sono pari a:  22,1
   
 e le minori imposte sono pari a:  6,6

IMPIEGHI   FONTI  
1) Pagamenti di dividendi 50 13) Aumenti di capitale  
2) Decrementi di debiti fin. a m/l   14) Aumenti di debiti finanziari a m/L  
3) Decrementi di debito fin. a breve   15) Aumenti di debiti finanziari a breve 221,3
4) Oneri finanziari 102,1    
      
5) Flusso di gestione operativa (EBITDA)   16) Flusso di gestione operativa (EBITDA) 524
6) Pagamenti di imposte 43,2    
7) TFR pagato 0   
      
8) Investimenti in imm. materiali 430 17) Disinvestimenti di imm. materiali  
9) “  immateriali   18) “  immateriali 80
10) “  finanziarie 0 19) “  finanziarie  
11) Investimenti in CCN operativo 200 20) Disinvestimenti di CCN operativo  
      
12) Impieghi in liquidità 0 21) Disinvestimenti di liquidità  
      
Totale impieghi 825 Totale fonti 825

NB: le voci che variano sono evidenziate


Può darsi che l’esplicita considerazione di tutte le implicazioni del piano (sviluppo
nuovo prodotto, variazione di vendite e costi, investimenti necessari, copertura del
gap finanziario risultante) evidenzi incoerenze insanabili, tali da far ritenere NON
credibile il piano. In tal caso è necessario modificare le ipotesi per costruire un piano
alternativo CREDIBILE.
E) Ricavo lo SP prospettico (finale) come “sottoprodotto” dell’analisi
SP società Epsilon

ATTIVO 20x1 20x2   PASSIVO 20x1 20x2


A) Crediti v/soci per versamenti       A) Patrimonio Netto    
B) Immobilizzazioni      I. Capitale 300 300
I. Imm.immateriali 100 0  II. Riserve 250 300
II. Imm.materiali 900 1100   III. Risultato Netto 20x2   100,7
III. Imm.finanziarie 300 300   III. Risultato Netto 20x1 100  
C) Attivo circolante       B) Fondi per rischi e oneri    
I. Rimanenze 700 840   C) TFR 120 148
II. Crediti 600 720   D) Debiti    
III. Att.fin.che non costituiscono imm.      1. Debiti finanziari a breve 700 921,3
IV. Disponibilità liquide 140 140   2. Debiti commerciali a breve 300 360
D) Ratei e risconti 60 60   3. Debiti finanziari a M/L termine 420 420
       4. Debiti tributari 75 75
       5. Altri debiti di funzionamento 425 425
        E) Ratei e risconti 110 110
TOTALE 2800 3160   TOTALE 2800 3160

NB: Il Risultato Netto 20x2 tiene a sua volta conto della copertura del gap ipotizzata.
Esso è ottenuto come segue:

   
 Risultato Netto da CE Budget iniziale  116,0
   
 – Oneri finanziari aggiuntivi  –22,1
   
 + Risparmi di imposta aggiuntivi  6,6
   
 = Risultato Netto 20x2  100,7
Presentazione 9
INTERPRETAZIONE DEI PROSPETTI DEI
FLUSSI FINANZIARI

Un prospetto dei flussi finanziari (storico o prospettico) consente di ricavare


indicazioni utili
circa la dinamica finanziaria dell’impresa e la sua attitudine a:
– mantenersi in condizioni di EQUILIBRIO FINANZIARIO   
 ossia sopravvivere e riuscire a rimborsare i debiti
 (ciò che interessa ai CREDITORI)
 
– generare liquidità sufficiente per remunerare gli AZIONISTI
 (tramite la distribuzione di dividendi)
 
Il prospetto consente non solo di osservare la liquidità complessivamente generata
ma anche di individuare in QUALI AREE gestionali essa
– è stata PRODOTTA o ASSORBITA (prospetto con dati STORICI)
– sarà PRODOTTA o ASSORBITA (prospetto con dati ATTESI)
 
In tal senso esso offre informazioni sotto il profilo FINANZIARIO analoghe a quelle
ricavabili, sotto il profilo ECONOMICO (REDDITUALE),  dal CE in forma scalare.
 
Consideriamo un paio di esempi, ricavati, con qualche adattamento, da situazioni reali
 
Osservate attentamente i prospetti della Gamma e della Delta Spa: di quale
società preferireste essere azionisti?
GAMMA SPA
 
IMPIEGHI   FONTI  
    13) Aumenti di capitale 1850 AREA FINANZIARIA
2) Decrementi di debiti fin. a m/l 4600     
    15) Aumenti di debiti finanziari a 1150  
breve
4) Oneri finanziari 1000     
       
5) Flusso di gestione operativa 500     AREA OPERATIVA
(EBITDA)
6) Pagamenti di imposte 50     
7) TFR pagato 150     
       
8) Investimenti in imm. materiali 1600 17) Disinvestimenti di imm. materiali 3000 AREA DEGLI
9) “ immateriali 500 18) “ immateriali 200 INVESTIMENTI
    19) “ finanziarie 1500  
    20) Disinvestimenti di CCN operativo 500  
       
    21) Disinvestimenti di liquidità 200 CHE SPIEGANO LA VARIAZIONE
DELLA

       LIQUIDITÀ
Totale impieghi 8400 Totale fonti 8400  

DELTA SPA
 
IMPIEGHI   FONTI  
1) Pagamenti di dividendi 450     AREA
2) Decrementi di debiti fin. a m/l 2300     FINANZIARIA
3) Decrementi di debito fin. a breve 200     
4) Oneri finanziari 200     
       
    16) Flusso di gestione operativa (EBITDA) 6300 AREA OPERATIVA
6) Pagamenti di imposte 1000     
       
       
8) Investimenti in imm. materiali 1800 17) Disinvestimenti di imm. materiali 20 AREA DEGLI INVESTIMENTI
9) “ immateriali 200     
10) “ finanziarie 100 19) “ finanziarie 60  
    20) Disinvestimenti di CCN operativo 70  
       
12) Impieghi in liquidità 200     CHE SPIEGANO LA VARIAZIONE
       DELLA LIQUIDITÀ
Totale impieghi 6450 Totale fonti 6450  

Generazione complessiva di cassa e contributo offerto dalle varie aree gestionali

        
 GAMMA SPA        DELTA SPA   
        
              
        
 Area Operativa  –700     Area Operativa  5300
        
 Area Investimenti/disinvestimenti  3100     Area Investimenti/disinvestimenti  –1950
        
    2400        3350
        
              
        
 Area Finanziaria  –2600     Area Finanziaria  –3150
        
              
        
 Liquidità generata (+)  –200     Liquidità generata (+)  200
        
  o assorbita (–)         o assorbita (–)   
        
              
La “qualità” della generazione di cassa è completamente diversa.
 
 
La Gamma ha un autofinanziamento NEGATIVO. Supplisce ai fabbisogni effettuando forti disinvestimenti
Il flusso complessivo delle prime due aree è positivo, ma difficilmente ripetibile.
Nell’area finanziaria per far fronte ai debiti in scadenza è necessario, da un lato, contrarre nuovi debiti
dall’altro, chiedere soldi agli azionisti (oltreché non pagare alcun dividendo).
 
Il saldo totale di liquidità è negativo
 
  La Gamma è in una situazione difficile (non equilibrata), e sta cercando di ristrutturare profondamente
l’attività.

 
La Delta ha un autofinanziamento POSITIVO ed ELEVATO, che le consente di effettuare forti
investimenti.
Il flusso complessivo delle prime due aree è positivo, e di facile ripetibilità.
Ciò consente, nell’area finanziaria, di far fronte ai debiti in scadenza e distribuire soldi agli azionisti
 
Il saldo totale di liquidità è positivo
 
  La Delta è in una situazione di equilibrio e, anzi, va molto bene sotto il profilo sia economico che
finanziario.

LA NOZIONE DI FLUSSO DI CASSA OPERATIVO NETTO (FCN)


L’osservazione degli esempi precedenti rende evidente che un “prospetto dei flussi”
offre
informazioni aggiuntive rispetto a SP e CE.
Mostra anche che è utile disporre di una misura della liquidità prodotta/assorbita
dalle SOLE aree di gestione OPERATIVA e DEGLI INVESTIMENTI,
ossia prescindendo dai rapporti con i finanziatori.

Tale misura è chiamata FLUSSO DI CASSA OPERATIVO NETTO (FCN)


ovvero FREE CASH-FLOW (FCF)

Il FCN misura la capacità del’impresa di GENERARE CASSA nella propria


attività “industriale”
ossia area OPERATIVA + area INVESTIMENTI/DISINVESTIMENTI.
La cassa così generata è DISPONIBILE per essere DISTRIBUITA AI
FINANZIATORI, ossia:
– CREDITORI (FINANZIARI)
– AZIONISTI

L’impresa riceverà, infatti, finanziamenti (cioè gli investitori saranno disposti ad


investire in essa)
SE E SOLO SE LA CAPACITÀ DI GENERARE CASSA (nell’area operativa +
degli investimenti)
è POSITIVA.

Una situazione di generazione di cassa NEGATIVA (ossia di ASSORBIMENTO di


cassa) in tali aree
è possibile e può talvolta essere fisiologica (ad esempio, perché l’impresa sta
effettuando forti investimenti concentrati in un particolare periodo). In tali casi, gli
investitori troveranno conveniente sostenere l’impresa garantendo fondi aggiuntivi SE
gli investimenti produrranno FCN POSITIVI (e sufficienti a remunerarli) negli anni
successivi.

Una situazione di FCN NEGATIVI deve però intendersi come ECCEZIONALE,


poiché – se si ripetesse stabilmente – gli investitori non troverebbero conveniente
investire nell’impresa.
Se infatti l’attività INDUSTRIALE assorbisse stabilmente più cassa di quella che
genera (FCN NEGATIVO) agli AZIONISTI converrebbe liquidarla ed evitare di
sottoscrivere
gli aumenti di capitale necessari a garantirne la sopravvivenza.
D’altro canto, se l’assorbimento di cassa fosse MOLTO ALTO, sarebbero i
CREDITORI
a negare nuovi finanziamenti e, anzi, a chiedere il rimborso immediato dei debiti
pregressi;
questo causerebbe l’INSOLVENZA dell’impresa (e l’avvio di una procedura di
FALLIMENTO).

Negli esempi precedenti, si può osservare una misura CHE “ASSOMIGLIA” al


FCN.
Si tratta del SALDO di liquidità generata dalle aree OPERATIVA +
INVESTIMENTI.

In effetti la somiglianza è QUASI perfetta. C’è però un problema:


nell’area operativa figurano IMPOSTE che provengono – sostanzialmente – dal
Conto Economico.
Esse sono calcolate TENENDO CONTO DEGLI ONERI FINANZIARI PAGATI
(che sono un COSTO DEDUCIBILE).
Pertanto il SALDO delle due aree indicate non risponde PIENAMENTE allo
scopo.
Esso infatti NON PRESCINDE completamente dai rapporti con i finanziatori.
Due imprese identiche sotto il profilo dell’attività operativa e degli investimenti
produrrebbero infatti un SALDO di misura differente se finanziate in maniera diversa
(ad es. una SENZA e l’altra CON DEBITO),
perché pagherebbero oneri finanziari (e quindi imposte) differenti.

Consideriamo un semplice esempio:


Kappa e Lambda sono due imprese IDENTICHE sotto il profilo INDUSTRIALE, ma
FINANZIATE in modo DIVERSO.
Kappa è indebitata (D=400, su cui paga interessi al 10% annuo); Lambda no.
Kappa e Lambda DEVONO avere lo stesso FCN (che prescinde dai rapporti con i
finanziatori)
L’aliquota di imposta (tc) è il 40%.

I Conti economici sono identici fino all’EBIT; ma sono diversi sotto l’EBIT per
effetto della diversa struttura finanziaria.

     
    Kappa  Lambda
     
 Ricavi  1000  1000
     
 Costi monetari operativi (–)  –600  –600
     
 = EBITDA  400  400
     
 Ammortamenti e acc.ti (–)  –150  –150
     
 = EBIT  250  250
     
 Oneri finanziari (–)  –40  0
     
 Proventi/oneri straordinari  0  0
     
 = EBT  210  250
     
 Imposte (–)  –84  –100
     
 R.Netto  126  150
Guardiamo ora i prospetti dei flussi finanziari.

  Kappa Lambda   Kappa Lambda


IMPIEGHI     FONTI    
           
1) Pagamenti di dividendi 100 100      
4) Oneri finanziari 40 0     
          
6) Pagamenti di imposte 84 100 16) Flusso di gestione operativa (EBITDA) 400 400
          
11) Investimenti in CCN operativo 200 200 17) Disinvestimenti di imm. Materiali 28 28
          
12) Impieghi in liquidità 4 28      
          
Totale impieghi 428 428 Totale fonti 428 428

Qual è la misura del Flusso di Cassa Operativo Netto (FCN) nei due casi?

Posso guardare solo le aree gestionali? Kappa Lambda      


          
Area Operativa 316 300      
Area Investimenti/disinvestimenti –172 –172      
  144 128   NO! Il FCN di Kappa non è corretto.
         
Area Finanziaria –140 –100      
         
Liquidità generata/assorbita 4 28      

Il saldo “da prospetto” NON prescinde completamente dai rapporti con i finanziatori.
Esso incorpora gli effetti della deducibilità degli oneri finanziari (che portano Kappa a
pagare minori imposte).
Tale effetto è reale ed importante, MA è generato dall’AREA FINANZIARIA.
NON HA NULLA A CHE VEDERE CON L’ATTIVITÀ INDUSTRIALE.
Per calcolare il “vero” FCN di Kappa bisogna quindi RETTIFICARE tale
effetto,
ossia RI-CALCOLARE LE IMPOSTE “COME SE” l’impresa Kappa fosse
NON INDEBITATA.

In un’impresa non indebitata, il Risultato ante imposte (EBT) è uguale al’EBIT.


Pertanto il FCN può essere calcolato come segue:

EBIT   EBITDA
– Imposte “teoriche” = EBIT x tc   – Imposte “teoriche” = EBIT x tc
(“come se” non indebitata)   (“come se” non indebitata)
= EBIT (1 – tc)    
+ Amm.ti/Acc.ti risommati!!!  
– Investimenti (cap.fisso)   – Investimenti (cap.fisso)
+ Disinvestimenti (c.fisso)   + Disinvestimenti (c.fisso)
CCN (con segno)   ± CCN (con segno)
= FCN   = FCN

            
    Kappa  Lambda        Kappa  Lambda
            
 EBIT  250  250     EBITDA  400  400
            
 – Imposte “teoriche”  –100  –100     – Imposte “teoriche”  –100  –100
            
 (“come se” non indebitata)           (“come se” non indebitata)      
            
 = EBIT (1 – tc)  150  150            
            
 + Amm.ti/Acc.ti  150  150            
            
 – Investimenti (cap. fisso)           – Investimenti (cap.fisso)      
            
 + Disinvestimenti (c. fisso)  28  28     + Disinvestimenti (c.fisso)  28  28
            
  CCN (con segno)  –200  –200      CCN (con segno)  –200  –200
            
 = FCN  128  128     = FCN  128  128

Il flusso di cassa operativo netto (FCN) rappresenta l’insieme dei flussi finanziari
generati dalla gestione aziendale prescindendo dai rapporti con i finanziatori.
Il FCN rappresenta la fonte ultima della capacità dell’impresa di distribuire
ricchezza ai finanziatori. Come vedremo tra breve, esso ha un’importanza
fondamentale
nei processi di valutazione (delle azioni ma anche degli investimenti)
Presentazione 10
FLUSSI E PROCEDIMENTI DI VALUTAZIONE

È ORA POSSIBILE TIRARE UNA SERIE DI CONCLUSIONI SUI FLUSSI


CHE ENTRANO NELLE FORMULE DI VALUTAZIONE.

Distinguiamo tra: VALUTAZIONE D’IMPRESA


 VALUTAZIONE DI UN PROGETTO D’INVESTIMENTO

Abbiamo visto in precedenza che è possibile costruire uno SP “a valori di mercato”.


   
     
   
     
   
    Debiti finanziari (D)
   
 Val.Attività (Vatt)   
   
    Equity (E)
   
     
   
     

Il Valore dell’attivo (Vatt) viene chiamato anche Enterprise Value.


Per il momento, al fine di semplificare la trattazione, faremo riferimento a un’impresa
finanziata solo con equity (UNLEVERED). In tale situazione, il Valore dell’attivo
spetta interamente agli
azionisti, e quindi V = E (ossia Enterprise Value ed Equity Value coincidono). Lo SP
a valori di mercato diventa:
   
     
   
     
   
     
   
 Val.Attività (Vatt)  Equity (E)
   
     
   
     

È chiaro che una simile impresa avrà un prospetto dei flussi finanziari più semplice di
quelli visti in precedenza, poiché mancheranno – per definizione – tutti i flussi
dell’area finanziaria legati al debito.

Ipotizziamo poi, sempre per semplicità, che l’impresa non “tesaurizzi” liquidità e
distribuisca sempre
tutto l’utile prodotto sotto forma di dividendi. È chiaro che il saldo di liquidità tenderà
sempre a zero.
Infine ipotizziamo che non vi siano dimissioni o licenziamenti (TFR pagato =0).
Il prospetto dei flussi di tale impresa avrà una forma di questo genere:

   
 IMPIEGHI  FONTI
   
 Pagamenti di dividendi  Aumenti di capitale
   
     
   
 Pagamenti di imposte (= EBIT x tc)  Flusso di gestione operativa (= EBITDA)
   
     
   
 Investimenti  Disinvestimenti
   
  CCN   CCN
Se l’autofinanziamento è insufficiente a finanziare gli investimenti netti (per HP
prefissati), l’impresa può
trovare la copertura finanziaria dapprima riducendo i dividendi, e poi chiedendo le
risorse aggiuntive agli azionisti (tramite un aumento di capitale, che equivale – sotto
il profilo finanziario – a dividendi negativi)
FLUSSI E VALUTAZIONE D’IMPRESA
Abbiamo visto in precedenza la formula di valutazione di un’impresa basata sui
dividendi attesi.
Dove:
E = Equity (capitale azionario) dell’impresa
DIVt = Dividendo distribuito dall’impresa all’anno t
R = Costo-opportunità del capitale (rendimento sul migliore investimento alternativo)

Nell’impresa che abbiamo ipotizzato, i FLUSSI DI CASSA OPERATIVI NETTI


(FCN) DIVENTANO
AUTOMATICAMENTE DIVIDENDI (SE POSITIVI) O ESIGENZA DI NUOVI
MEZZI PROPRI (SE NEGATIVI)

FCNt = DIVt   PER OGNI t

La misura degli FCN è ricavabile facilmente dal prospetto dei flussi. Basta ricordare
che:

     
 EBITDA     EBITDA
     
 – Imposte “teoriche”  E siccome l’impresa  – Imposte
     
 (“come se” non indebitata)  NON è indebitata:   
     
        
     
        
     
 – Investimenti (cap.fisso)     – Investimenti (cap.fisso)
     
 + Disinvestimenti (c.fisso)      + Disinvestimenti (c.fisso)
     
   CCN (con segno)       CCN (con segno)
     
 = FCN     = FCN

Gli FCN sono quindi ricavabili dalla somma algebrica delle voci delle due aree
“operativa” e “degli investimenti”.
È allora possibile ricavare una seconda formula di valutazione, BASATA SUI
FLUSSI DI CASSA (FCN)
che tiene conto direttamente DELLA LIQUIDITÀ PRODOTTA DALL’IMPRESA E
MESSA A DISPOSIZIONE DEI SOCI

 Dividend Discount Model o DDM


così come

 Discounted Cash-Flow Model o DCF


DA UN PUNTO DI VISTA CONCETTUALE, LA FORMULA DCF È ANALOGA
A QUELLA BASATA SUI DIVIDENDI, MA CONSIDERA IL MOMENTO:

– DELLA PRODUZIONE DEI FCN


  ossia della cassa GENERATA dalla gestione e DISTRIBUIBILE
 
anziché quello
 
– DELLA LORO DISTRIBUZIONE AI SOCI (come dividendi)
 ossia della cassa effettivamente DISTRIBUITA ai soci

Se l’impresa è indebitata il discorso va rivisto poiché parte dei FCN


non va agli azionisti ma è destinata al servizio del debito
(ossia ai pagamenti per interessi e rimborsi)

In tale situazione, una valutazione basata sui Dividendi distribuiti agli azionisti porta
al Valore dell’Equity E

Ma NON è più vero che una valutazione basata sugli FCN porta direttamente a
calcolare E.
Piuttosto, essa porta a calcolare il valore complessivo dei flussi disponibili per TUTTI
I FINANZIATORI, ossia il VALORE complessivo del PASSIVO (D + E) che, per
definizione, è uguale al VALORE DELL’ATTIVO Vatt

Di qui è poi facile calcolare il valore del solo Equity (E), sottraendo il Valore del
Debito.

In linea generale, l’Equity Value è pari alla differenza tra Enterprise Value e valore
del Debito.

FLUSSI E VALUTAZIONE DEGLI INVESTIMENTI


ABBIAMO GIÀ INTRODOTTO I PRINCIPI DI VALUTAZIONE DEI PROGETTI
DI INVESTIMENTO.
IL PRINCIPALE TRA ESSI È IL METODO DEL VALORE ATTUALE NETTO O
VAN

ERA RIMASTA “IN SOSPESO” LA QUESTIONE DELL’INDIVIDUAZIONE


DEI FLUSSI CHE ENTRANO NELLA FORMULA DI ATTUALIZZAZIONE.

I FLUSSI Ft SONO:
* FLUSSI DI CASSA OPERATIVI NETTI (FCN)
* ATTESI
* GENERATI DALL’INVESTIMENTO (INCREMENTALI)

Sono anzitutto FLUSSI FINANZIARI, entrate e uscite di cassa, NON costi e


ricavi.
I costi e ricavi sono un’astrazione contabile, derivante dall’applicazione del principio
di “competenza”.
Le grandezze contabili non sono adatte all’effettuazione di calcoli di convenienza
economica;
servono però a fornire gli elementi di base per la stima dei flussi finanziari.
Solo i flussi finanziari individuano correttamente le risorse assorbite o generate da un
progetto
di investimento e, quindi, i fabbisogni che è necessario finanziare con l’apporto di
nuove risorse,
nonché i ritorni finanziari che il progetto è atto a generare per i finanziatori.

Si tratta, in particolare, di FLUSSI DI CASSA OPERATIVI NETTI (FCN)


Il FCN rappresenta la fonte ultima della capacità dell’impresa di distribuire ricchezza
ai finanziatori
(qualunque sia il modo in cui l’impresa si finanzia).

Solo i FLUSSI ATTESI sono rilevanti, non i flussi passati.


I progetti di investimento devono essere valutati in una logica ex ante. Eventuali flussi
passati sono stati
già generati (e percepiti); ciò che interessa sono i flussi ulteriori che il progetto è atto
a generare.
Per valutare un progetto è quindi necessario effettuare una stima di flussi attesi
(prospettici).
I flussi storici possono, al più, essere un input nel processo di stima dei flussi
prospettici.

Solo i FLUSSI DIFFERENZIALI generati dall’investimento sono rilevanti.


I flussi che l’impresa genera in ogni caso, cioè sia che il progetto sia attuato, sia che
esso sia respinto,
devono invece essere trascurati, in quanto irrilevanti ai fini della decisione.
I flussi finanziari devono quindi essere stimati su base strettamente incrementale.

Possiamo quindi scrivere:

DOVE: FCNt è LA VARIAZIONE DEI FCN DELL’IMPRESA


INDOTTA DAL PROGETTO NEL PERIODO t.

Tra la valutazione dell’impresa e la valutazione dei progetti c’è perfetta


coerenza.
Il VA dei FCN attesi corrisponde infatti alla variazione
del Valore dell’attivo aziendale ( Vatt) per effetto del nuovo progetto.
Sottraendo da tale importo il Valore dell’Investimento iniziale (il costo del progetto),
si ottiene una misura NETTA della variazione di valore dell’attivo per effetto del
progetto.
VAN =  Vatt – Io
Che relazione esiste tra variazione del valore dell’attivo e variazione del valore
dell’equity per effetto del progetto?
Continuiamo a riferirci a un’impresa non indebitata. Ipotizziamo che l’attivo sia
composto, oltre che dal valore dei progetti attuati (1800), anche da liquidità pari a
200. Ipotizziamo che a tale impresa si apra una nuova opportunità di investimento

 
 Valore dell’attivo = valore dell’equity (ANTE nuovo progetto)   2000
     
        
     
 Opportunità di investimento      
     
 Esborso al tempo iniziale  –50   
     
 Flussi annui  7  ora sappiamo che sono FCN
     
 (generati in perpetuo)      
     
 Tasso di attualizzazione  5%   
     
        
     
 VAN  90   pari a 7/0.05 –50

L’impresa ipotizzata DISPONE della liquidità (50) necessaria a sopportare l’esborso

La situazione iniziale è:
     
        
       
 Vatt (ante) =   1800  E = 2000  t0
     
        
       
 Cash =  200      
     
        

Se l’impresa ha in circolazione 1000 azioni, ciascuna di esse avrà un valore pari a 2.

L’impresa impiega ora 50 di liquidità per attuare il nuovo progetto.


Nell’attivo, oltre al calo della liquidità, compare il valore attuale dei flussi futuri
generati dal progetto.
     
        
       
 Vatt (ante) =   1800  E = 2090   
       
          t1
       
 Cash =   150      
     
        
       
 VA( FCN) =   140      

Ognuna delle 1000 azioni vale 2090/1000 = 2,09

NB: il VA del nuovo investimento deriva dal fatto che esso genera dividendi
aggiuntivi
annui pari a 7 in perpetuo. Siccome il tasso di attualizzazione R = 5% si ha che:

Il valore dell’attivo (e dell’equity) sale quindi di 140. Ma per ottenere tale risultato
è necessaria un’iniezione di liquidità pari a 50, che rappresenta un costo per gli
azionisti.
Essi sono interessati al Valore generato al netto dei costi, ossia al VAN.
VAN = 90
Si ha dunque una creazione di valore complessiva pari al VAN (90).
Essa si riflette pro-quota su tutte le azioni, che aumentano quindi di valore.
L’aumento di valore di ogni azione è pari a 90/1000 = 0,090

In prima approssimazione, valore dell’attivo e dell’equity salgono in parallelo.


Quindi valutare il progetto in base all’effetto netto sul valore dell’attivo è
corretto
VAN = Vatt = E
con l’avvertenza che le variazioni di valore sono calcolate al netto dei costi che è
necessario sostenere.

Ciò è sicuramente vero se il costo del progetto è finanziato solo con Equity.
Lo è a maggior ragione ancora se l’intera impresa è finanziata solo con Equity.
Se però il progetto (e magari anche l’impresa) è finanziato anche con Debito,
allora la questione andrà riconsiderata, e alcune ipotesi, fin qui implicite, andranno
rese esplicite.
COME INDIVIDUARE I FLUSSI RILEVANTI
PRINCIPIO DI BASE: Considerare tutte le variazioni dei FCN
dell’impresa causate dall’attuazione del progetto d’investimento.
Dalla definizione di FCN:

     
 EBIT  ovvero  EBITDA
     
 – Imposte “teoriche” (EBIT x tc)     – Imposte “teoriche”
     
 (“come se” non indebitata)     (“come se” non indebitata)
     
 = EBIT (1 – tc)      
     
 + Amm.ti/Acc.ti      
     
 – Investimenti (cap.fisso)     – Investimenti (cap.fisso)
     
 + Disinvestimenti (c.fisso)     + Disinvestimenti (c.fisso)
     
    CCN (con segno)        CCN (con segno)
     
 = FCN     = FCN

consegue l’identificazione dei FLUSSI RILEVANTI, da inserire nella formula del


VAN
– Flussi generati dalla Gestione Corrente operativa
  ossia variazioni di Ricavi e Costi monetari operativi (che generano variazioni
dell’EBITDA)
– Investimenti/disinvestimenti in capitale fisso e CCN operativo
– Effetti fiscali (es. amm.ti, plus/minusvalenze, indeducibilità, ecc.)
In definitiva, per calcolare il VAN di un progetto è necessario:
1) Considerare il progetto come se fosse una mini-impresa
 avente come unica attività l’attuazione del progetto.
 
2) Calcolare un “prospetto dei flussi attesi” della mini-impresa
 per ogni periodo di vita attesa del progetto
A tal fine si procede secondo i seguenti passi logici:
A) Calcolare la “parte alta” (fino all’EBIT) del Conto Economico atteso
 della mini-impresa, per ogni anno di vita utile del progetto
 
B) Calcolare la tassazione “teorica” sull’EBIT
 (come se il progetto fosse finanziato solo con Equity)
 
C) Ri-sommare all’EBIT al netto delle imposte “teoriche”
 i costi operativi NON MONETARI (ammortamenti e accantonamenti)

Si ottiene così il saldo dell’area OPERATIVA, già depurato degli effetti


dei rapporti con i finanziatori (le imposte sono quelle “teoriche”).

D) Identificare (per ogni anno) i flussi finanziari che il progetto comporta


 per investimenti e disinvestimenti (in attività fisse e in CCN operativo).

E) Anche per investimenti e disinvestimenti devono essere


 identificati eventuali effetti fiscali.

Si ottiene così il saldo dell’area INVESTIMENTI e DISINVESTIMENTI

Sommando i due saldi si ottiene la misura dei FCN generati dal progetto.
Attualizzando e sommando i FCN si ottiene il VAN.

Vediamo ora un esempio di calcolo del VAN

La PharmaTech Spa sta pianificando il lancio di un nuovo farmaco.


Essa prevede di investire, all’anno 0, 12.000 Euro in nuovi impianti, ammortizzabili a
quote costanti in 5 anni.
PharmaTech prevede di terminare la produzione alla fine del 6° anno e di vendere
l’impianto a 3.000 Euro.
PharmaTech si attende ricavi annui pari a 20.000 Euro per il primo anno;
per i 3 anni successivi stima una crescita del fatturato pari al 10% annuo.
A partire dal 5° anno, la società ritiene che il fatturato diminuirà a 12.000 Euro e poi
resterà costante.
I costi monetari operativi annui ammontano al 40% del fatturato.
Pharma Tech prevede inoltre di sostenere costi di pubblicità pari a 6.000 Euro annui
per i prossimi 2 anni.
L’aliquota di imposta (tc) è pari al 30%.
Il fabbisogno di capitale circolante netto è pari al 10% del fatturato.
PharmaTech è finanziata interamente con capitale azionario. Il rendimento richiesto
dagli azionisti è pari al 10%.
A) Calcolare la “parte alta” (fino all’EBIT) del Conto Economico atteso
della mini-impresa, per ogni anno di vita utile del progetto
Anno 0 1 2 3 4 5 6 Commenti
                 
Fatturato   20.000 22.000 24.200 26.620 12.000 12.000 (a)
C.Pubblicità   –6.000 –6.000         (b)
C.Monetari Oper.   –8.000 –8.800 –9.680 –10.648 –4.800 –4.800 (c)
Ammortamenti   –2.400 –2.400 –2.400 –2.400 –2.400   (d)
EBIT   3.600 4.800 12.120 13.572 4.800 7.200 (e) = (a) + (b) + (c) + (d)

B) Calcolare la tassazione “teorica” sugli EBIT


(come se il progetto fosse finanziato solo con Equity)
Anno 0 1 2 3 4 5 6 Commenti
                 
EBIT   3.600 4.800 12.120 13.572 4.800 7.200 (e)
Imposte   –1080 –1440 –3636 –4071,6 –1440 –2160 (f) = – (e) x tc
EBIT (1 – tc)   2.520 3.360 8.484 9.500 3.360 5.040 (g) = (e) + (f)

C) Ri-sommare all’EBIT al netto delle imposte “teoriche”


i costi operativi NON MONETARI (ammortamenti e accantonamenti)
Anno 0 1 2 3 4 5 6 Commenti
                 
EBIT (1-tc)   2.520 3.360 8.484 9.500 3.360 5.040 (g)
Ammortamenti   2400 2400 2400 2400 2400 0 (h) = – (d)
Fl.OPERATIVO   4.920 5.760 10.884 11.900 5.760 5.040 (i) = (g) + (h)
D) Identificare (per ogni anno) i flussi finanziari che il progetto comporta
per investimenti e disinvestimenti (in attività fisse e in CCN operativo).

                 
 Anno  0  1  2  3  4  5  6  Commenti
                 
                          
                 
 Invest. e disinvestimenti  –12.000                 3.000  (j)
                 
                          
                 
 CCN operativo     2.000  2.200  2.420  2.662  1.200  0  (k)
                 
  CCN     –2.000  –200  –220  –242  1.462  1.200  (l)

E) Anche per investimenti e disinvestimenti devono essere


identificati eventuali effetti fiscali.
                 
                         Commenti
                 
 Effetti fiscali su disinv.                    –900  (m) = – (j) x tc
                 
                          
                 
    0  1  2  3  4  5  6   
                 
                          
                 
 Inv./dis.  –12.000                 3.000  (j)
                 
 Eff.fiscali                    –900  (m)
                 
  CCN     –2.000  –200  –220  –242  1.462  1.200  (l)
                 
 Fl.INVEST.  –12.000  –2.000  –200  –220  –242  1.462  3.300  (n) = (j) + (m) + (l)
 
                 
 Anno  0  1  2  3  4  5  6  Commenti
                 
                          
                 
 FCN  –12.000  2.920  5.560  10.664  11.658  7.222  8.340  (o) = (i) + (n)
                 
                          
                 
 R  10%                     
                 
                          
                 
 VA(FCN)  –12.000  2.655  4.595  8.012  7.963  4.484  4.708   
                 
                          
                 
 VAN  20.416                     

NB: Ragionare su Flussi di Cassa Operativi Netti (FCN)


comporta alcune conseguenze interessanti:

a. Non tutte le voci di conto economico sono rilevanti:


* Costi e ricavi privi di significato finanziario non sono rilevanti (es. amm.ti)
* Anche gli ONERI FINANZIARI non sono rilevanti

b. I flussi dell’area finanziaria non sono rilevanti:


*  Perché il metodo di valutazione basato sugli FCN si basa sulla capacità
dell’impresa
 di generare cassa (FCN = autofinanziamento al netto degli investimenti),
 piuttosto che sull’effettiva distribuzione di tali risorse ai finanziatori.
Problemi particolari di stima dei flussi:
– Costi sommersi (“sunk” costs)
– Costi-opportunità (es. utilizzi alternativi dello stesso bene)
– Effetti collaterali su altri progetti

Il problema della coerenza tra flussi e tassi.


Le previsioni di flusso possono essere espresse:
– in Euro costanti (aventi potere d’acquisto di oggi)
 (FLUSSI REALI)
– in Euro aventi potere d’acquisto della data in cui saranno pagati/incassati
 (FLUSSI NOMINALI)
 che incorporano le attese di inflazione
Anche i tassi di attualizzazione possono essere espressi in termini di tassi
NOMINALI o REALI.
I tassi nominali incorporano le attese di inflazione; i tassi reali no.

Che tassi di attualizzazione utilizzare?

       
    NOMINALI     NOMINALI
       
 – SE flussi     allora tassi   
       
    REALI     REALI

Esempio:
Si supponga che i FCN attesi da un progetto per i prossimi anni siano costanti in
termini reali.
Ciò implica che i FCN nominali aumentano in linea con il tasso d’inflazione attesa.

               
 V.reali  0  1  2  3  4      
               
                       
               
 FCN  –10.000  4.500  4.500  4.500  4.500      
               
                       
   
 Si ipotizzi che il tasso di inflazione attesa sia costante e pari a:  3%

               
 V.nominali  0  1  2  3  4      
               
                       
               
 FCN  –10.000  4.635  4.774  4.917  5.065      
               
                       
   
 Il costo-opportunità del capitale, se ricavato dall’osservazione di investimenti   
   
 alternativi è normalmente espresso in termini nominali. Ipotizziamo che sia il  10%

   
 Se ne deriva che, in termini reali, esso è pari al  7%

Approssimativamente (per inflazione “bassa”) pari alla differenza tra tasso nominale e
inflazione attesa.

NB: La formula precisa è quella di Fisher, secondo cui:


   
 (1 + Rn) = (1 + Rr) (1+ )  Rr = (1 + Rn) / (1 +  ) – 1
dove:
Rn = tasso di rendimento nominale
Rr = tasso di rendimento reale
= tasso di inflazione attesa

Calcolando i VAN, in termini nominali o reali:

           
 V.nominali  0  1  2  3  4
           
                 
           
 FCN  –10.000  4.635  4.774  4.917  5.065
           
                 
           
 Rn  10%            
           
                 
           
 VA(FCN)  –10.000  4.214  3.945  3.694  3.459
           
                 
           
 VAN  5.313            

           
 V.reali  0  1  2  3  4
           
                 
           
 FCN  –10.000  4.500  4.500  4.500  4.500
           
                 
           
 Rr  7%            
           
                 
           
 VA(FCN)  –10.000  4.214  3.945  3.694  3.459
           
                 
           
 VAN  5.313            

In realtà, mentre usare dati nominali è sicuramente corretto, usare dati reali richiede
cautela
(problemi fiscali, legati ad es. alla deducibilità degli ammortamenti, da calcolarsi sui
valori storici)
Presentazione 11
INTRODUZIONE A RISCHIO E RENDIMENTO

Dobbiamo ora approfondire il discorso sui tassi di attualizzazione nelle valutazioni.


Si tratta di rendimenti, intesi come costi-opportunità, che finora abbiamo ipotizzato
costanti e uguali per tutti i tipi di investimento.
In realtà, l’osservazione dei mercati finanziari nel lungo periodo mostra che:

     
 titoli diversi  danno  rendimenti differenti
     
    hanno  rischio differente

Sembra esistere una relazione diretta tra rischio e rendimento. Gli investitori
sono avversi al rischio: per passare da titoli non rischiosi a titoli rischiosi richiedono
un congruo aumento del rendimento atteso (premio per il rischio).
La tabella mostra la media dei rendimenti di azioni, obbligazioni, buoni del Tesoro
e la media del tasso di inflazione negli Stati Uniti tra il 1926 e il 2005.

Fonte: Ross-Hillier

Conviene pertanto investire solo in azioni (che offrono il rendimento più alto)?

Non è detto, poiché le azioni sono caratterizzare da maggior scarto quadratico medio,
pertanto
la maggior dispersione comporta maggior rischio per gli investitori, i quali potrebbero
trovarsi
a comprare quando i prezzi sono “alti” e/o a vendere quando i prezzi sono “bassi”.

Se si dispone di un elevato numero di osservazioni, i rendimenti tendono a


assumere una distribuzione di tipo normale, come quella riportata nella figura.

Fonte: Ross-Hillier

La distribuzione normale ha alcune proprietà notevoli:


– è univocamente definita da 2 soli parametri: la media e la varianza
– è simmetrica rispetto alla media
– il 95,44% delle osservazioni (dei rendimenti nel nostro caso) è compreso tra ± 2
attorno alla media
 Pertanto se il rendimento medio delle azioni statunitensi è stato del 12,3%,
 circa il 95% dei rendimenti annui è compreso tra –28,1% e 52,7%.

Conseguentemente, se assumiamo che i rendimenti dei titoli si distribuiscano


normalmente,
allora gli investitori saranno interessati a due soli parametri:
– la media che ne misura il rendimento
– la varianza (o lo sqm) che ne misura il rischio
e si porranno l’obiettivo di massimizzare il rendimento per un dato livello di rischio
o, il che è lo stesso, di minimizzare il rischio per un dato livello di rendimento.

Problema: di solito, gli investitori NON detengono un solo titolo


ma un PORTAFOGLIO comprendente più titoli.
COME MISURARE RISCHIO E RENDIMENTO DI UN PORTAFOGLIO?
Consideriamo un semplice esempio con 2 soli titoli

          
 Stato del mondo  Rendimenti     Probabilità     Scarti da media
             
 Titoli  a  b           a  b
             
 Boom  20%  15%     0,20     13,20%  9,60%
             
 Crescita moderata  10%  11%     0,40     3,20%  5,60%
             
 Stagnazione  0%  –8%     0,25     –6,80%  –13,40%
             
 Recessione  –8%  0%     0,15     –14,80%  –5,40%
             
                       
             
 E(R)  6,80%  5,40%     1,00         
             
 SQM  9,13%  8,96%               

Coi titoli a e b posso costruire infiniti portafogli, che differiscono per il peso relativo
dei 2 titoli

Ipotizziamo che un investitore intenda investire il 40% della propria ricchezza nel
titolo a ed
il rimanente 60% del titolo b. L’investitore detiene dunque un portafoglio di titoli.
Quale rendimento può attendersi di conseguire dall’investimento?
Il rendimento del portafoglio in ciascuno stato del mondo sarà la media (ponderata)
dei rendimenti
dei titoli a e b
Ad esempio:
Xa 40%
Xb 60%

         
          RP =   
         
 Stato del mondo  Xa Ra  Xb Rb  Xa Ra + Xb Rb  Probabilità
         
              
         
 Boom  8,00%  9,00%  17,00%  0,20
         
 Crescita moderata  4,00%  6,60%  10,60%  0,40
         
 Stagnazione  0,00%  –4,80%  –4,80%  0,25
         
 Recessione  –3,20%  0,00%  –3,20%  0,15
         
              
         
       E(Rp)  5,96%  1,00

In tal caso il portafoglio può essere considerato alla stregua di un nuovo titolo.
Il rendimento atteso è calcolato quindi come media ponderata dei rendimenti del
portafoglio
in ciascuno stato del mondo.
È tuttavia più immediato calcolare il rendimento atteso
come media ponderata dei rendimenti attesi dei singoli titoli che lo compongono
E(Rp) = Xa E(Ra) + Xb E(Rb)
dove: Rp = rendimento medio del portafoglio
  Ra, Rb = rendimenti dei titoli a e b
  Xa, Xb = percentuale dell’investimento complessivo nei titoli a e b (la loro somma è
1)

Nel caso in esame:


E(Rp) = 40% * 6,80% + 60% * 5,40% = 5,96%
È possibile mostrare la piena coincidenza tra la definizione appena fornita e quanto
mostrato nell’esempio.
Supponiamo per semplicità che esistano due soli scenari: scenario 1 e scenario 2
con probabilità di verificazione rispettivamente p1 e p2
Formalmente, il rendimento atteso del portafoglio composto dal titolo a in percentuale
Xa e dal
titolo b in percentuale Xb, è dato dato da:
E(Rp) = p1 (Xa Ra1 + Xb Rb1) + p2 (Xa Ra2 + Xb Rb2)
riarrangiando i termini si può scrivere:
E(Rp) = Xa (p1 Ra1 + p2 Ra2) + Xb (p1 Rb1 + p2 Rb2)
ossia:
E(Rp) = Xa E(Ra) + Xb E(Rb)

È possibile comporre infiniti portafogli con i titoli a e b. Ad esempio:

         
    Pesi         
         
 Portafoglio  Xa  Xb  Rp   
         
 1  0%  100%  5,40%   
         
 2  5%  95%  5,47%   
         
 3  10%  90%  5,54%   
         
 4  15%  85%  5,61%   
         
 5  20%  80%  5,68%   
         
 6  25%  75%  5,75%   
         
 7  30%  70%  5,82%   
         
 8  35%  65%  5,89%   
         
 9  40%  60%  5,96%  40% *6,80%+60%*5,40%
         
 10  45%  55%  6,03%   
         
 11  50%  50%  6,10%   
         
 12  55%  45%  6,17%   
         
 13  60%  40%  6,24%   
         
 14  65%  35%  6,31%   
         
 15  70%  30%  6,38%   
         
 16  75%  25%  6,45%   
         
 17  80%  20%  6,52%   
         
 18  85%  15%  6,59%   
         
 19  90%  10%  6,66%   
         
 20  95%  5%  6,73%   
         
 21  100%  0%  6,80%   

Come calcolare il rischio del portafoglio?


Anzitutto NON è vero, in generale, che lo SQM di un portafoglio sia pari alla
media degli
SQM dei titoli che lo compongono. La relazione è più complessa.

Nell’esempio precedente, calcoliamo il rischio del portafoglio


applicando la definizione di SQM
Xa 40%
Xb 60%

       
 Stato del mondo  Rp  Probabilità  Scarti da media
       
           
       
 Boom  17,00%  0,20  11,04%
       
 Crescita moderata  10,60%  0,40  4,64%
       
 Stagnazione  –4,80%  0,25  –10,76%
       
 Recessione  –3,20%  0,15  –9,16%
       
           
         
    E(Rp)  5,96%  1,00   
         
    SQM  9,13%  8,96%   
         
              
         
    SQMp  8,63%      
Possiamo verificare che lo SQM, ossia il rischio del portafoglio, NON è la media
degli SQM
dei titoli che lo compongono, ma è più basso.
La media (ponderata) degli SQM dei titoli che compongono il portafoglio è pari a:

   
 40% * 9,13% + 60% * 8,96% =   9,03%

Perché detenendo un portafoglio si riesce a ridurre il rischio?


Occorre considerare non solo il rischio dei singoli titoli, ma anche come questi
tendono a
variare l’uno rispetto all’altro. In altri termini occorre considerare la COVARIANZA

Nell’esempio precedente si ha:

       
 Stato del mondo  Rendimenti  Probabilità  Scarti da media
           
    a  b     a  b
           
 Boom  20%  15%  0,20  13,20%  9,60%
           
 Crescita moderata  10%  11%  0,40  3,20%  5,60%
           
 Stagnazione  0%  –8%  0,25  –6,80%  –13,40%
           
 Recessione  –8%  0%  0,15  –14,80%  –5,40%
           
                 
           
 E(R)  6,80%  5,40%  1,00   a,b  0,67%

dove la covarianza è data da:

Per determinare il rischio di un portafoglio, conviene costruire la MATRICE


VARIANZE-COVARIANZE
Si tratta di una matrice (simmetrica) che contiene: sulla diagonale principale, le
varianze dei
singoli titoli (moltiplicate per i pesi al quadrato); gli altri elementi rappresentano le
covarianze tra coppie
di titoli (moltiplicate per il prodotto dei pesi)

       
    Titolo      
       
 Titolo  a  b   
       
           
       
2 2
 a  Xa a  Xa Xb ab  Varianze
       
           
       
 b  Xa Xb ab  Xb2 b
2
 Covarianze
       
           

La varianza del portafoglio è la somma dei termini contenuti in tutte le caselle.


Da qui si calcola facilmente lo SQM come radice quadrata di VAR

Nell’esempio precedente:

       
    Titolo      
       
 Titolo  a  b   
       
           
       
 a  0,133%  0,161%   
       
           
       
 b  0,161%  0,289%   
       
           

     
 VAR  0,75%  = 0,133% + 0,289% + 2 * 0,161%
     
        
     
 SQM  8,63%   

Formalmente, quando si considerano due soli titoli, conviene fare riferimento alle
seguenti formule:

Considerando i vari portafogli che si possono comporre:


  Pesi        
Portafoglio Xa Xb Rp SQMp  
           
1 0% 100% 5,40% 8,96% = SQMb
2 5% 95% 5,47% 8,89%  
3 10% 90% 5,54% 8,83%  
4 15% 85% 5,61% 8,78%  
5 20% 80% 5,68% 8,73%  
6 25% 75% 5,75% 8,69%  
7 30% 70% 5,82% 8,66%  
8 35% 65% 5,89% 8,64%  
9 40% 60% 5,96% 8,632% = (40%2*9,13%2+60%2*8,96%2+2*40%*60%* 0,67%)0,5
10 45% 55% 6,03% 8,63% Portafoglio a rischio minimo
11 50% 50% 6,10% 8,63%  
12 55% 45% 6,17% 8,65%  
13 60% 40% 6,24% 8,67%  
14 65% 35% 6,31% 8,70%  
15 70% 30% 6,38% 8,74%  
16 75% 25% 6,45% 8,78%  
17 80% 20% 6,52% 8,84%  
18 85% 15% 6,59% 8,90%  
19 90% 10% 6,66% 8,97%  
20 95% 5% 6,73% 9,05%  
21 100% 0% 6,80% 9,13% = SQMa
Se i titoli non sono perfettamente correlati in senso positivo, l’acquisto di un
portafoglio
permette di ottenere rendimenti attesi superiori a parità di rischio (o di incorrere in un
minore
rischio per ottenere pari rendimento atteso).
La DIVERSIFICAZIONE riduce il rischio
CALCOLO DI RENDIMENTO E RISCHIO DI UN PORTAFOGLIO CON N
TITOLI
Come estendere le conclusioni viste sopra a un portafoglio formato da n titoli?

Il rendimento del portafoglio Rp è pari alla media ponderata dei rendimenti


dei singoli titoli inseriti nel portafoglio.

Rp = dove: Rp = rendimento medio del portafoglio


  Rj = rendimento del titolo j (inserito nel portafoglio)
  n = numero di titoli nel portafoglio
  Xj = percentuale dell’investimento complessivo nel titolo j

Per calcolare la varianza del portafoglio, è necessario considerare una matrice


di varianze e covarianze con n righe e n colonne, e sommare tutte le caselle.

           
    Titolo            
           
 Titolo  a  b  c  ...  n
           
                 
           
 a  Xa2 a
2
 Xa Xb ab  Xa Xc ac  ...  Xa Xn an

           
                 
           
 b  Xa Xb ab  Xb2 b
2
 Xb Xc bc  ...  Xb Xn bn

           
                 
           
2 2
 c  Xa Xc ac  Xb Xc bc  X c c  ...  Xc Xn cn

           
                 
           
 ...  ...  ...  ...  ...  ...
           
                 
           
 n  Xa Xn an  Xb Xn bn  Xc Xn cn  ...  Xn2 n
2

   
     

La matrice è sempre simmetrica rispetto alla diagonale. Essa è formata da:

     
 n  Varianze  Al crescere della numerosità dei titoli il rischio del portafoglio dipende in
     
       misura sempre maggiore dalle covarianze, mentre
     
 n2 – n  Covarianze  si riduce il peso delle varianze (rischio complessivo dei singoli titoli)
     
        
     
      Se il portafoglio è molto diversificato l’investitore è interessato
principalmente NON al rischio complessivo di ciascun titolo
 ma a come varia il rendimento del titolo in rapporto a tutti gli altri.

Sinora abbiamo considerato la covarianza come misura della tendenza dei rendimenti
di due titoli a variare nello stesso senso o in senso inverso ( > o < 0)
La covarianza è una misura scomoda per vari versi (dipende da unità di misura,
non ha valori minimi o massimi). Si usa perciò fare riferimento al coefficiente
di correlazione , che invece ha un range di variazione definito.

da cui (nella matrice di varianze e covarianze):

           
    Titolo            
           
 Titolo  a  b  c  ...  n
           
                 
           
 a  Xa2 σa2  Xa Xb ab a b  Xa Xc ac a c  ...  Xa Xn an a n

           
                 
           
 b  Xa Xb ab σa σb  Xb2 σb2  Xb Xc bc b c  ...  Xb Xn bn b n

           
                 
           
 c  Xa Xc ac a c  Xb Xc bc b c  Xc2 σc2  ...  Xc Xn cn c n

           
                 
           
 ...  ...  ...  ...  ...  ...
           
                 
           
 n  Xa Xn an a n  Xb Xn bn b n  Xc Xn cn c n  ...  Xn2 σn2
   
     

 
   
 Valori di  Correlazione
   
     
   
 –1  Perfetta negativa
   
     
   
 –1 < < 0  negativa
   
     
   
 0  Assenza di correlazione
   
     
   
 0 < < 1  positiva
   
     
   
 1  Perfetta positiva

Cosa succede al rischio del portafoglio se, per esempio, = 1?


Ossia se i due titoli sono perfettamente positivamente correlati?
Consideriamo l’esempio numerico visto in precedenza

           
 Titoli  E (R)  SQM  VAR  COV  
           
                 

           
 a  6,80%  9,13%  0,83%  0,82%  1
           
                 

           
 b  5,40%  8,96%  0,80%      

           
    Pesi            
           
 Portafoglio  Xa  Xb  E (Rp)  SQMp   
           
                 
           
 1  0%  100%  5,40%  8,96%  = SQMb
           
 2  5%  95%  5,47%  8,97%   
           
 3  10%  90%  5,54%  8,97%   
           
 4  15%  85%  5,61%  8,98%   
           
 5  20%  80%  5,68%  8,99%   
           
 6  25%  75%  5,75%  9,00%   
           
 7  30%  70%  5,82%  9,01%   
           
 8  35%  65%  5,89%  9,02%   
           
 9  40%  60%  5,96%  9,03%   
           
 10  45%  55%  6,03%  9,04%   
           
 11  50%  50%  6,10%  9,04%   
           
 12  55%  45%  6,17%  9,05%   
           
 13  60%  40%  6,24%  9,06%   
           
 14  65%  35%  6,31%  9,07%   
           
 15  70%  30%  6,38%  9,08%   
           
 16  75%  25%  6,45%  9,09%   
           
 17  80%  20%  6,52%  9,10%   
           
 18  85%  15%  6,59%  9,10%   
           
 19  90%  10%  6,66%  9,11%   
           
 20  95%  5%  6,73%  9,12%   
           
 21  100%  0%  6,80%  9,13%  = SQMa

In tal caso il rischio del portafoglio è la media ponderata dei rischi dei singoli titoli
che lo compongono.
Ciò può essere verificato analiticamente nella formula del rischio del portafoglio.
Non vi è alcun effetto diversificazione.
Graficamente, l’insieme dei portafogli possibili può essere rappresentato nel piano
rischio-rendimento
Cosa succede al rischio del portafoglio se, per esempio, = –1?
Ossia se i due titoli sono perfettamente negativamente correlati?
Consideriamo l’esempio numerico visto in precedenza

           
 Titoli  R  SQM  VAR  COV  
           
                 
           
 a  6,80%  9,13%  0,83%  –0,82%  –1
           
                 
           
 b  5,40%  8,96%  0,80%      
           
                 

           
    Pesi            
           
 Portafoglio  Xa  Xb  E (Rp)  SQMp   
           
                 
           
 1  0%  100%  5,40%  8,96%   = SQMb
           
 2  5%  95%  5,47%  8,05%   
           
 3  10%  90%  5,54%  7,15%   
           
 4  15%  85%  5,61%  6,24%   
           
 5  20%  80%  5,68%  5,34%   
           
 6  25%  75%  5,75%  4,44%   
           
 7  30%  70%  5,82%  3,53%   
           
 8  35%  65%  5,89%  2,63%   
           
 9  40%  60%  5,96%  1,72%   
           
 10  45%  55%  6,03%  0,82%   
           
    49,52%  50,48%  6,09%  0,00%  Portafoglio a rischio minimo?
           
 11  50%  50%  6,10%  0,09%   
           
 12  55%  45%  6,17%  0,99%   
           
 13  60%  40%  6,24%  1,90%   
           
 14  65%  35%  6,31%  2,80%   
           
 15  70%  30%  6,38%  3,70%   
           
 16  75%  25%  6,45%  4,61%   
           
 17  80%  20%  6,52%  5,51%   
           
 18  85%  15%  6,59%  6,42%   
           
 19  90%  10%  6,66%  7,32%   
           
 20  95%  5%  6,73%  8,23%   
           
 21  100%  0%  6,80%  9,13%   = SQMa
           
                 

Quando il grado di correlazione scende, esistono portafogli “intermedi” caratterizzati


da rischio inferiore a quello dei titoli a e b. Se = –1, è addirittura possibile formare
(con titoli RISCHIOSI!!) un portafoglio PRIVO DI RISCHIO.

È molto difficile trovare titoli con correlazione negativa: generalmente, sono tutti
influenzati
nel medesimo senso dalle condizioni generali dell’economia.
La riduzione del rischio si ha già con correlazione positiva (purché < +1)

Consideriamo l’esempio precedente nell’ipotesi più realistica che <1

           
 Titoli  R  SQM  VAR  COV  
           
                 
           
 a  6,80%  9,13%  0,83%  0,67%  0,823
           
                 
           
 b  5,40%  8,96%  0,80%      
           
                 

           
    Pesi            
           
 Portafoglio  Xa  Xb  E (Rp)  SQMp   
           
                 
           
 1  0%  100%  5,40%  8,96%   = SQMb
           
 2  5%  95%  5,47%  8,89%   
           
 3  10%  90%  5,54%  8,83%   
           
 4  15%  85%  5,61%  8,78%   
           
 5  20%  80%  5,68%  8,73%   
           
 6  25%  75%  5,75%  8,69%   
           
 7  30%  70%  5,82%  8,66%   
           
 8  35%  65%  5,89%  8,64%   
           
 9  40%  60%  5,96%  8,63%   
           
 10  45%  55%  6,03%  8,63%   
           
 11  50%  50%  6,10%  8,63%   
           
 12  55%  45%  6,17%  8,65%   
           
 13  60%  40%  6,24%  8,67%   
           
 14  65%  35%  6,31%  8,70%   
           
 15  70%  30%  6,38%  8,74%   
           
 16  75%  25%  6,45%  8,78%   
           
 17  80%  20%  6,52%  8,84%   
           
 18  85%  15%  6,59%  8,90%   
           
 19  90%  10%  6,66%  8,97%   
           
 20  95%  5%  6,73%  9,05%   
           
 21  100%  0%  6,80%  9,13%   = SQMa

 
 
LA FRONTIERA EFFICIENTE (per 2 titoli) 
L’insieme dei portafogli visto in precedenza costituisce l’insieme delle
OPPORTUNITÀ DISPONIBILI. Ma alcune di esse sono poco attraenti.

Consideriamo l’esempio precedente nell’ipotesi più realistica che <1

           
 Titoli  R  SQM  VAR  COV  
           
                 
           
 a  6,80%  9,13%  0,83%  0,67%  0,823
           
                 
           
 b  5,40%  8,96%  0,80%      
           
                 

  Pesi        
Portafoglio Xa Xb E (Rp) SQMp  
1 0% 100% 5,40% 8,96% = SQMb
2 5% 95% 5,47% 8,89%  
3 10% 90% 5,54% 8,83% L’area grigia individua le
4 15% 85% 5,61% 8,78% combinazioni non efficienti:
5 20% 80% 5,68% 8,73% esistono portafogli che danno
6 25% 75% 5,75% 8,69% rendimenti più alti a pari rischio
7 30% 70% 5,82% 8,66%  
8 35% 65% 5,89% 8,64%  
9 40% 60% 5,96% 8,63%  
10 45% 55% 6,03% 8,63%  
11 50% 50% 6,10% 8,63%  
12 55% 45% 6,17% 8,65%  
13 60% 40% 6,24% 8,67%  
14 65% 35% 6,31% 8,70% L’area gialla individua le
15 70% 30% 6,38% 8,74% combinazioni sulla
16 75% 25% 6,45% 8,78% FRONTIERA EFFICIENTE
17 80% 20% 6,52% 8,84%  
18 85% 15% 6,59% 8,90%  
19 90% 10% 6,66% 8,97%  
20 95% 5% 6,73% 9,05%  
21 100% 0% 6,80% 9,13% = SQMa

I portafogli possono essere rappresentati graficamente sul piano rischio-rendimento:

Solo il ramo "ascendente" (verso destra) della curva rappresenta la frontiera efficiente
(per portafogli composti da due titoli)
Le altre combinazioni sono inefficienti e saranno ignorate da investitori razionali.    
LA FRONTIERA EFFICIENTE (per N titoli)
Il procedimento di diversificazione può proseguire, aumentando il numero di titoli in
portafoglio
Se essi sono meno che perfettamente correlati tra loro, questo porta un’ulteriore
potenziale riduzione del rischio
Quando si detengono molte azioni in un portafoglio, il rischio specifico della singola
impresa viene diversificato.

Esiste però un limite al di sotto del quale è impossibile scendere, per quanto si cerchi
di diversificare: esiste cioè una parte di rischio NON DIVERSIFICABILE, ossia un
rischio
ineliminabile con la diversificazione, ossia un rischio SISTEMATICO o DI
MERCATO
Le oscillazioni del rendimento di un’azione dovute a notizie riguardanti il mercato,
ossia l’intera
economia, rappresentano un rischio comune a tutte le azioni.

Ovviamente, anche la frontiera efficiente si modifica, al variare dei titoli in


portafoglio
Ad ogni coppia di titoli corrisponde una distinta frontiera (per 2 titoli).
Lo stesso accade per portafogli composti da 3, 4, … N titoli.

Ripetendo il procedimento con tutti i possibili portafogli (formati da 2, 3 …. N titoli)


si giunge a una frontiera efficiente che racchiude al suo interno tutte quelle ottenibili
con portafogli più "ridotti"
Tecnicamente la frontiera efficiente per N titoli è l’"inviluppo" di quelle ottenibili con
portafogli più limitati
È da osservare che sono le caratteristiche dell’investimento (in termini di
rischio/rendimento)
oltre a quelle degli altri investimenti "accessibili" all’investitore a determinare se
esso  
si trova sulla frontiera efficiente o al di sotto di essa. Vale a dire che l’essere o meno
sulla  
frontiera efficiente NON DIPENDE dall’atteggiamento verso il rischio
dell’investitore.  

Che cosa possiamo dire dei punti sulla frontiera efficiente?


Ne esiste uno "ottimo", cioè preferibile a tutti gli altri, oppure "uno vale
l’altro"?
 
In linea generale, l’investitore sceglierà il portafoglio più confacente alle proprie
preferenze:
qui è importante l’atteggiamento verso il rischio.

In generale possiamo attenderci che individui molto avversi al rischio   


preferiranno combinazioni efficienti ma poco rischiose e poco redditizie;   
al contrario, individui molto tolleranti nei confronti del rischio preferiranno   
combinazioni efficienti aventi rischio e rendimento atteso più alti.    
Sinora si sono considerate le possibili combinazioni di rischio-rendimento che  
risultano dalla costruzione di portafogli rischiosi. Includendo tutti gli investimenti
rischiosi 
nella costruzione della frontiera efficiente, si raggiunge la diversificazione massima.  

Tuttavia, l’investitore che volesse ulteriormente ridurre il rischio potrebbe investire


parte 
del suo denaro in titoli sicuri e privi di rischio. Certamente questo ridurrà anche il
rendimento 
atteso.
D’altro canto un investitore che cercasse rendimenti attesi più alti potrebbe decidere
di prendere 
a prestito denaro da investire nel mercato dei capitali.     

Come si modificano le decisioni di investimento dell’investitore?    


PRINCIPIO DI SEPARAZIONE DI TOBIN
Ipotizziamo che sia possibile dare e prendere a prestito fondi al tasso risk free.
L’introduzione nel modello di titoli privi di rischio porta a conclusioni assai diverse
da quelle
viste in precedenza (e più in linea con l’osservazione delle imprese e dei mercati
finanziari).
La presenza di un titolo risk free modifica la frontiera efficiente.
Infatti, diventano fattibili anche tutti i portafogli ottenibili combinando il titolo risk-
free
con i “vecchi” portafogli rischiosi. Siccome il titolo risk-free, per definizione, è
INCORRELATO con i portafogli rischiosi, le combinazioni fattibili giacciono (sul
piano
rischio-rendimento) sulla retta congiungente i punti corrispondenti:
– al titolo risk free
– al portafoglio rischioso considerato

Perché?

Rp è la media ponderata dei rendimenti sul titolo risk free e sul portafoglio
rischioso Lambda
Rp = Xf · Rf + XLambda (RLambda)
tenuto conto che Xf + XLambda = 1
 
SQMp è calcolabile in base alla matrice varianze-covarianze. Con due titoli:
     
    Titolo  port.rischioso
     
    risk-free  Lambda
     
        
     
 Titolo risk-free  0  0
     
        
     
 port.rischioso Lambda  0  
     
        

È immediato vedere che:

– la varianza del titolo risk free è = 0


– la covarianza di due titoli tra loro incorrelati è = 0

Pertanto lo SQM del portafoglio è pari alla media ponderata degli SQM
dei titoli rischiosi che lo compongono:

La relazione tra rischio e rendimento è lineare e dunque tutte le


possibili combinazioni giacciono su una RETTA.

Consideriamo come portafoglio Lambda, il portafoglio composto


al 60% dal titolo A e al 40% dal titolo B
Assumiamo che il tasso risk free sia pari al 2%.
Costruiamo i portafogli combinando il titolo risk free con il portafoglio Lambda:

               
    Pesi                  
               
 Portafoglio  Xf  XLambda  E (Rp)  SQMp     rf   =  2%
               
                       
               
 1  100%  0%  2,00%  0,00%         
               
 2  95%  5%  2,21%  0,43%         
               
 3  90%  10%  2,42%  0,87%         
               
 4  85%  15%  2,64%  1,30%         
               
 5  80%  20%  2,85%  1,73%         
               
 6  75%  25%  3,06%  2,17%         
               
 7  70%  30%  3,27%  2,60%         
               
 8  65%  35%  3,48%  3,03%         
               
 9  60%  40%  3,70%  3,47%         
               
 10  55%  45%  3,91%  3,90%         
               
 11  50%  50%  4,12%  4,33%         
               
 12  45%  55%  4,33%  4,77%         
             
 13  40%  60%  4,54%  5,20%      
               
 14  35%  65%  4,76%  5,63%         
               
 15  30%  70%  4,97%  6,07%         
               
 16  25%  75%  5,18%  6,50%         
               
 17  20%  80%  5,39%  6,93%         
               
 18  15%  85%  5,60%  7,37%         
               
 19  10%  90%  5,82%  7,80%         
               
 20  5%  95%  6,03%  8,24%         
               
 21  0%  100%  6,24%  8,67%  Lambda      
               
 22  -5%  105%  6,45%  9,10%         
               
 23  -10%  110%  6,66%  9,54%         
               
 24  -15%  115%  6,88%  9,97%         
               
 25  -20%  120%  7,09%  10,40%         
               
 26  -25%  125%  7,30%  10,84%         
               
 27  -30%  130%  7,51%  11,27%         
               
 28  -35%  135%  7,72%  11,70%         
               
 29  -40%  140%  7,94%  12,14%         
               
 30  -45%  145%  8,15%  12,57%         
               
 31  -50%  150%  8,36%  13,00%         
               
 32  -55%  155%  8,57%  13,44%         
               
 33  -60%  160%  8,78%  13,87%         
               
 34  -65%  165%  9,00%  14,30%         
               
 35  -70%  170%  9,21%  14,74%         
 
Non è finita qui!
Esiste una retta diversa per ciascun portafoglio rischioso sulla frontiera efficiente.
Ma tra tutti i portafogli rischiosi, ne esiste uno OTTIMO (portafoglio O), ossia
preferibile a
tutti gli altri perché, combinato col titolo risk free, genera la retta più “alta” possibile.
che diventa la NUOVA FRONTIERA EFFICIENTE per il singolo investitore.
Il principio di separazione afferma che CIASCUN INVESTITORE, nelle proprie
scelte
d’investimento, deve prendere due decisioni INDIPENDENTI tra loro:

a. QUALE portafoglio di attività rischiose acquistare (portafoglio “ottimo”)


 dati l’insieme delle opportunità e la propria frontiera efficiente
 ossia occorre cercare tra tutti i possibili portafogli Z, il portafoglio O

b. quanta parte dei propri risparmi investire nell’attività rischiosa


 “ottima” e quanta nel titolo privo di rischio. Questo principio è,
 appunto, detto di Two-Fund Separation
 Ciò significa individuare i pesi Xf e XO, adatti al singolo investitore
Presentazione 12
DALLA FRONTIERA EFFICIENTE
ALL’EQUILIBRIO DI MERCATO

Se il mercato finanziario è ben funzionante, e tutti gli investitori hanno


ASPETTATIVE OMOGENEE (ad esempio perché hanno accesso alle medesime
informazioni), allora l’insieme delle opportunità e la frontiera efficiente sono le stesse
per tutti gli investitori.

Quindi gli investitori concorderanno su qual è il portafoglio OTTIMO (fase a)


e ignoreranno ogni altra possibile combinazione.

Per questa ragione, i titoli rischiosi trattati sul mercato saranno solo quelli
contenuti nel portafoglio OTTIMO. Esso è quindi formato da tutti i titoli presenti sul
mercato, ciascuno con un peso proporzionale al suo valore ed è detto
PORTAFOGLIO DI MERCATO
Dunque non esistono tanti portafogli O diversi per ciascun investitore,
ma un unico portafoglio ottimo M uguale per tutti.
Per avere un’idea di che cosa può essere il portafoglio di mercato, possiamo
approssimativamente
immaginarlo come un portafoglio che replichi perfettamente l’indice azionario.
Tutti gli investitori deterranno perciò portafogli costituiti solo da due attività:
1 – IL TITOLO RISK FREE
2 – IL PORTAFOGLIO DI MERCATO

in proporzioni variabili secondo il loro grado di avversione al rischio


(più sono avversi al rischio, più alta sarà la % di 1 in portafoglio)
La fase b (scelta dei pesi) è dunque diversa per ciascun investitore

L’insieme delle possibili combinazioni di tali due attività individua la


CAPITAL MARKET LINE
o LINEA DEL MERCATO DEI CAPITALI (sul piano rischio totale/rendimento),
che può essere interpretata come la frontiera efficiente “del mercato”
(solo i portafogli efficienti giacciono su di essa; anzi, solo le combinazioni tra attività
risk-free e portafoglio di mercato)
L’equazione della CML è data dalla seguente retta:

Si comprende inoltre che:


In Rf l’intero portafoglio è investito nel titolo risk-free.
I punti compresi tra Rf e M sono portafogli in cui una certa somma è investita nel
titolo privo di  
rischio e il residuo nel portafolio di mercato.
In M l’intero portafoglio è investito nel portafoglio di mercato.
I punti che si trovano oltre M possono essere raggiunti prendendo a prestito al tasso
privo di
rischio e investendo tale somma unitamente ai fondi originari nel portafoglio di
mercato.  

Il fatto che gli investitori detengano, in proporzioni variabili, combinazioni del titolo
privo di
rischio e del portafoglio di mercato quali implicazioni ha per la valutazione di titoli e 
investimenti?
Una cosa molto importante: siccome tutti sono interessati al medesimo portafoglio
di attività rischiose, tutti concordano sulla misura del rischio rilevante per la
valutazione.

Agli investitori NON importa il RISCHIO COMPLESSIVO del singolo titolo


ma il contributo che esso dà al rischio del portafoglio in cui è inserito, ossia il
RISCHIO SISTEMATICO, ineliminabile attraverso la diversificazione.
LA MISURAZIONE DEL RISCHIO SISTEMATICO
Dato che il rischio specifico della singola azione può essere eliminato mediante la
diversificazione,
mentre il rischio sistematico può essere eliminato soltanto rinunciando a rendimenti
attesi, è il rischio
sistematico di un titolo che determina il premio che gli investitori richiedono per
detenere un titolo rischioso.

In equilibrio tutti gli investitori detengono (con proporzioni diverse) portafogli


formati da 2 sole attività
finanziarie: il titolo risk free e il portafoglio di mercato M
Se un investitore decidesse, in modo subottimale, di investire l’intera sua ricchezza in
un singolo titolo Z
potrebbe chiedere un premio per il rischio complessivo ( Z) che si troverebbe a
sopportare?
La risposta è no, perché in equilibrio i prezzi dei titoli riflettono le richieste di
investitori razionali
che chiedono un premio connesso ad una composizione ottimale del portafoglio
(dunque con il titolo risk free e il portafoglio M di mercato)
Pertanto l’investitore che attuasse una tale decisione di investimento subottimale
sopporterebbe
una parte di rischio non remunerata poiché eliminabile tramite la diversificazione.

Questo comporta che la volatilità di un’azione (SQM), che è una misura del
rischio totale
non è molto utile per determinare il premio per il rischio.

Come detto, ciò che importa per l’investitore è il solo rischio sistematico del
titolo,
ossia il contributo che il singolo titolo dà al portafoglio di mercato (ottimamente
diversificato)
Serve quindi una misura di rischio che rifletta il grado di correlazione tra
il rendimento del titolo e quello del portafoglio di mercato.

Tale misura è il COEFFICIENTE BETA, dato da:

Il beta di un titolo è la sensibilità del rendimento del titolo al rendimento del


mercato.

Il beta è la variazione percentuale attesa nel rendimento di un titolo per una


variazione dell’1% del rendimento del portafoglio di mercato.

Supponiamo che il rendimento del portafoglio di mercato e dell’azione Alfa


siano i seguenti (definiti in funzione dello stato del mondo che può verificarsi):

   
    Rendimenti
     
 Stato del mondo  Rm  RAlfa
     
 Espansione  45%  35%
     
 Recessione  –20%  –20%

Qual è il beta dell'azione Alfa?


Quando si passa da un'economia in recessione a una in espansione
il rendimento del mercato aumenta di 65 punti percentuali (45%- (-20%))
mentre il rendimento atteso dell'azione Alfa aumenta di 55% punti percentuali (35%-
(-20%))
Quindi l'azione Alfa ha una reattività del rendimento rispetto al mercato pari a
55%/65% = 0,846

Il beta delle azioni dell'impresa Alfa è dunque pari a: β =  0,846


Una variazione dell' 1% nel rendimento del portafoglio di mercato porta in media ad
una variazione
dello 0,846% del rendimento delle azioni dell'impresa Alfa

Naturalmente applicando la definizione "statistica" di beta, si arriverebbe allo stesso


risultato.
Se infatti si volesse procedere al calcolo del beta come rapporto tra cov del titolo con
il portafoglio
di mercato e var del portafoglio di mercato, si avrebbe:

      titolo Alfa Port. di mercato M


E(R)     7,5%   12,5%  
    27,5%   32,5%  

      Scarti dalla media  


Stato del mondo   scarti Alfa scarti M  
Espansione 27,5%   32,500%  
Recessione   –27,5%   –32,500%  

beta = 0,846 = 0,0894/(0,325)2
La relazione tra rendimenti dell’azione e rendimenti del (portafoglio di) mercato è
rappresentata
graficamente dalla LINEA CARATTERISTICA
La pendenza di questa retta rappresenta il beta dell’azione
Qual è il significato di particolari valori del beta?
i
 = 0 titolo non correlato col portafoglio di mercato (dunque risk free)

1 è come detenere il portafoglio di mercato

0< < il rendimento atteso sul titolo è soggetto in media a minori variazioni
i

1 rispetto a Rm

i
> 1 il rendimento atteso sul titolo è soggetto in media a maggiori variazioni
rispetto a Rm

DETERMINANTI DEL BETA DELLE AZIONI


In generale, il rischio sistematico delle azioni, misurato dal Beta,
dipende dai seguenti fattori:

* CICLICITÀ DEI RICAVI


 
* LEVA OPERATIVA (elasticità dell’EBIT rispetto ai ricavi,
che dipende dal rapporto tra costi fissi e costi variabili)
 
* LEVA FINANZIARIA

I primi due fattori impattano sul rischio sistematico dei progetti


d’investimento (e quindi sul Beta dell’impresa non indebitata).
Il terzo impatta, invece, ovviamente solo sul Beta delle azioni
di imprese indebitate.
LA STIMA DEL RENDIMENTO ATTESO
L’investitore quando valuta il rischio di un investimento tiene quindi conto del solo
rischio sistematico.
A fronte del rischio sistematico, gli investitori richiedono una remunerazione
aggiuntiva rispetto al tasso privo di rischio.

Per determinare il rendimento atteso, occorre quindi:


1 – misurare il rischio sistematico dell’investimento, ossia il BETA;
2 – determinare il premio per il rischio di mercato

Il premio per il rischio che gli investitori possono ottenere detenendo il


portafoglio di mercato è pari alla differenza tra il rendimento atteso del
portafoglio di mercato e il tasso risk free.
premio per il rischio di mercato = E(Rm) – Rf
Dato che il rischio sistematico per ogni singolo titolo è proporzionale al suo beta,
il relativo premio per il rischio sarà proporzionale al beta.

La misura corretta del rischio sistematico di un titolo (l’unico rilevante per gli
investitori)
e la relazione con essa dei rendimenti richiesti sono individuate dal
CAPITAL ASSET PRICING MODEL (CAPM).

Il CAPITAL ASSET PRICING MODEL (CAPM) afferma che il rendimento


richiesto dagli investitori è proporzionale al beta dell’investimento

E(Ri) = Rf +  i x [E(Rm) – Rf ]
dove: E(Ri) = Rendimento richiesto sull’attività i
 Rf = Rendimento richiesto sull’attività risk-free
 E(Rm) = Rendimento richiesto sul portafoglio di mercato
  i = coefficiente beta del titolo i

 E(Rm) – Rf = premio per il rischio di mercato

  i x [E(Rm) – Rf ] = premio per il rischio del titolo i

L’equazione del CAPM individua la:


SECURITY MARKET LINE
o LINEA DI MERCATO DEGLI INVESTIMENTI (sul piano rendimento/rischio
sistematico)
La relazione è lineare in beta, dunque è rappresentabile come una retta.
Tutti i titoli (e i portafogli) giacciono sulla SML, in un punto individuato dal loro
beta.
Che succede se un titolo si colloca al di fuori della SML?

– se è sopra la SML: rende più di quanto richiesto, dato il beta


 (titolo SOTTOVALUTATO! Tutti cercano di comprarlo,
 il prezzo sale e il Rendimento torna sulla SML)
 
– se è sotto la SML: rende meno di quanto richiesto, dato il beta
 (titolo SOPRAVALUTATO! Chi ce l’ha cerca di venderlo,
 il prezzo scende e il Rendimento torna sulla SML)

Supponiamo che sul mercato un titolo paghi un dividendo di 10 euro costante in


perpetuo.
Il beta del titolo è pari a 0,85. Il tasso risk free è pari al 2% e il premio per il
rischio di mercato è pari al 5%.
Il rendimento atteso sul titolo (da CAPM) è quindi pari al 6,25%.
Se il titolo è valutato correttamente dal mercato, il suo prezzo sarà pari a 160
(10/0,0625)
Se, per esempio, il titolo quota a 200, ciò significa che il rendimento implicito è pari
al 5%.
Il titolo, che dovrebbe rendere il 6,25%, rende il 5%: si colloca sotto la SML ed è
sopravalutato.
Se, invece, il titolo sul mercato quota a 110, ciò significa che il rendimento implicito è
pari al 9%.
Il titolo, che dovrebbe rendere il 6,25%, rende il 9%: si colloca sopra la SML ed è
sottovalutato.
APPLICAZIONI ED ESTENSIONI

BETA DI UN PORTAFOGLIO
La linearità della relazione individuata dal CAPM permette di calcolare il
beta di un portafoglio composto da più titoli come la MEDIA PONDERATA
DEI BETA DEI TITOLI CHE LO COMPONGONO.
dove:
j
= beta del singolo titolo
Xj = peso del singolo titolo (a valori di mercato) in portafoglio

Pertanto anche il rendimento atteso di un portafoglio è pari alla media ponderata


dei rendimenti dei singoli titoli che lo compongono.

Esempio:

     
        
     
 Titolo    E(R)
     
        
     
 a  0,7  8,20%
     
        
     
 b  1,2  11,20%
     
        
     
 E(Rm)  10%   
     
        
     
 Rf  4%   
     
        
Consideriamo, per esempio, un portafoglio composto da a e b come segue:
Xa = 60%
Xb = 40%

Calcoliamo il rendimento atteso del portafoglio come media ponderata dei rendimenti
dei titoli:
E(Rp) = 60% x 8,20% + 40% x 11,20% = 9,40%

Possiamo, alternativamente, calcolare il rendimento del portafoglio applicando la


formula del CAPM
Occorre preventivamente calcolare il beta del portafoglio
Per le proprietà del beta, il beta del portafoglio è la media ponderata dei beta dei titoli:
p
 = 60% x 0,7 + 40% x 1,2 =  0,90

Applicando il CAPM si ottiene:


   
 E(Rp) = Rf +  p [E(Rm)–Rf] = 4% + 0,90 * (10%–4%) =   9,40%

Formalmente si può scrivere:


 
 E(Rp) = XaE(Ra) + XbE(Rb)
sapendo che:
 
 E(Ra) = Rf +  a(E(RM) – Rf)
 
 E(Rb) = Rf +  b(E(RM) – Rf)
sostituendo nella precedente equazione si ottiene:

 
 E(Rp) = Xa(Rf +  a(E(RM) – Rf)) + Xb(Rf +  b(E(RM) – Rf))
 
  
 
 E(Rp) = XaRf + Xa a(E(RM) – Rf)) + XbRf + Xb b(E(RM) – Rf))
 
 
                   
                                
Rf
 
  
 
 E(Rp) = Rf + (Xa a + Xb b)(E(RM) – Rf)
 
 
                          
 
 
  
 
 E(Rp) = Rf +  p(E(RM) – Rf)

DIVERSIFICAZIONE E ADDITIVITÀ DEL VALORE


È importante che l’impresa diversifichi il rischio dei flussi di cassa tramite le scelte
d’investimento?

Se gli investitori già possono diversificare in modo efficiente, no!


Essi possono già sfruttare DA SOLI i benefici della diversificazione sul mercato
finanziario.
L’impresa avrà generalmente meno possibilità di diversificazione dell’investitore.
All’investitore non interessa il rischio complessivo dell’impresa singolarmente presa,
interessa solo il suo rischio sistematico, ma questo non può essere ridotto
(ma solo mediato) grazie alla diversificazione.

Quindi è vero che esiste un effetto di diversificazione degli investimenti dell’impresa,


ma di per sé non crea valore. Caso mai ricordiamoci che c’è, e può essere rilevante
per il rischio di fallimento dell’impresa, di cui parleremo poi.

Siccome la diversificazione NON CREA E NON DISTRUGGE VALORE


a livello D’IMPRESA, si può dire che il VALORE DELL’ATTIVO
(ovvero delle azioni dell’impresa, se non indebitata),
è pari alla somma dei VALORI attribuibili ai SINGOLI ASSETS.
(PRINCIPIO DI ADDITIVITÀ DEL VALORE)

   
     
   
 FCNA  100
   
 FCNB  150
   
     

Sappiamo inoltre che:

   
     
   
 Rf  3%
   
 E(Rm)  7%
   
  A  1,25
   
  B  0,88
   
     

Possiamo calcolare il valore dell’attivo di Lambda come somma dei valori delle
singole divisioni
ricordando che:
Vatt = FCN/R
Naturalmente i FCN andranno scontati ad un tasso che riflette il loro rischio
sistematico
DIVISIONE A
E(RA) = Rf +  A x [E(Rm) – Rf]
 = 3% + 1,25 * (7%–3%)
 = 8,0%
Vatt (A) = 100/0,08 = 1250

DIVISIONE B
E(RB) = Rf +  B x [E(Rm) – Rf]
 = 3% + 0,88 * (7%–3%)
 = 6,5%
Vatt(B) = 150/0,065 = 2300

IMPRESA LAMBDA
   
 Vatt (Lambda) =  3550

Alternativamente è possibile determinare il valore di Lambda attualizzando,


al tasso di attualizzazione opportuno, i FCN attesi che Lambda è in grado di generare

FCN (totali) = FCNA + FCNB
FCN (Lambda) = 250

Qual è il tasso di attualizzazione opportuno?


Il tasso deve riflettere la rischiosità sistematica (combinata) dei FCN di Lambda
Il rischio sistematico dei FCN di Lambda, ossia il Beta di Lambda sarà la media
ponderata
dei beta delle singole divisioni che la compongono
Per le proprietà del beta di un portafoglio possiano scrivere:

 = 1,25* 1250/3550 + 0,88* 2300/3550 = 1,01
Lambda

Questo è il beta dell’attivo di Lambda. Dato che stiamo considerando imprese non
indebitate
questo è anche il beta delle azioni di Lambda. Il punto andrà rivisto quando si
considereranno
imprese indebitate.
E(RLambda) = Rf +   x [E(Rm) – Rf]
Lambda

  = 3% + 1,01 * (7%–3%)
  = 7,0%
   
 Vatt (Lambda) = 250/0,07 =  3550
In definitiva, si può pensare all’attivo dell’impresa come ad un portafoglio di attività
REALI.

Formalmente, per imprese stazionarie, possiamo scrivere:


     
        
     
 

   

     
 Valore dell’attivo     Somma dei valori dei singoli assets

Si osservi che:
Ra = Rf +   x [Rm – Rf]
attivo

Rj = Rf +  j x [Rm – Rf]

dove:
 =  delle azioni dell’impresa se non indebitata
attivo

 =  della singola divisione


j

 =  delle azioni di un’impresa non indebitata che ha solo j


Presentazione 13
DECISIONI DI FINANZIAMENTO
(STRUTTURA FINANZIARIA)

Dobbiamo considerare ora ESPLICITAMENTE l’ipotesi che l’impresa sia


finanziata con un mix di strumenti (DEBITO ED EQUITY).

Noi considereremo solo le categorie generali di


* MEZZI PROPRI (capitale azionario o equity: E)
* DEBITI FINANZIARI: D (sostanzialmente debito bancario e
obbligazioni)

Ignoriamo le altre categorie di debito (debiti di funzionamento, ad es. v/fornitori)


che sono considerate non una FONTE aggiuntiva di finanziamento,
ma qualcosa che RIDUCE i fabbisogni da finanziare sul mercato
Ignoriamo altresì la possibilità di emettere strumenti finanziari “intermedi” (es.
obbligazioni convertibili).
Peraltro, le conclusioni saranno facilmente estensibili anche a tali strumenti.

La possibilità che l’impresa si finanzi anche con debito comporta varie conseguenze:

* a livello METODOLOGICO è necessario chiedersi se i principi e le formule


di valutazione fin qui utilizzati necessitino di adeguamenti.
La domanda da porsi è SE l’indebitamento possa influenzare:

a) i FLUSSI generati dagli investimenti (e dall’impresa)


b) il TASSO di attualizzazione (ossia il costo-opportunità del capitale
investito)
e quindi il risultato delle formule di valutazione

   Dividend Discount Model o DDM

   Discounted Cash-Flow Model o DCF


 Discounted Cash-Flow Model o DCF

dove: Ft = FCNt

* a livello GESTIONALE è necessario chiedersi se l’indebitamento possa


influire sul valore.
Già la semplice osservazione dei comportamenti delle imprese fornisce una
prima risposta:
il management dedica grande attenzione (tempo e risorse) alla gestione dei
rapporti con i finanziatori e in generale considera la scelta del MIX di fonti
finanziarie come un problema importante.
Questo problema è sovente visto come la ricerca di un certo rapporto-obiettivo
tra D ed E
nel finanziamento dell’impresa. Le decisioni circa tale rapporto sono dette
DECISIONI DI STRUTTURA FINANZIARIA.
Parlare di struttura finanziaria implica considerare le scelte di composizione del
passivo
come qualcosa di “strutturale”, destinato a restare stabile per periodi di tempo
anche lunghi.
COME MISURARE IL RICORSO ALLE DIVERSE FONTI
Prima di considerare come le decisioni di struttura finanziaria sono affrontate
dalle imprese è necessario capire come MISURARE il ricorso dell’impresa alle varie
fonti.
Due sono le metodologie fondamentali di MISURAZIONE:

a) A VALORI CONTABILI

b) A VALORI DI MERCATO
LA MISURAZIONE A VALORI CONTABILI
La misurazione a valori contabili fa uso di INDICI calcolati sullo Stato Patrimoniale
riclassificato e condensato.

   
 Liquidità   
   
    Debiti finanziari a breve
   
     
   
     
   
 CCN (Operativo)  Debiti finanziari a M/L
   
     
   
     
   
     
   
     
   
    Mezzi Propri (Equity)
   
 Immobilizzazioni nette   
   
     
   
     
   
 Totale Attivo  Totale Passivo

La misura del ricorso alle varie fonti di finanziamento è calcolabile in base ai seguenti
indici:

Debito/Capitale Investito (%) = 

Equity/Capitale Investito (%) = 


NB: Capitale Investito significa risorse (provenienti dal mercato) complessivamente
investite nell’impresa a una certa data. Pertanto Cap.investito = V.Passivo = V.attivo
(per definizione).

Un indicatore alternativo è il grado di indebitamento o di leva finanziaria (o,


brevemente, di leverage)
Grado di leverage (N.volte) = 
Esempio:
SP di bilancio della società Lambda
       
 Liquidità  0050  Debiti fin. a breve  0650
       
 CCN Operativo  1100  Debiti fin. a M/L  0500
       
 Immobilizzazioni  2000  Mezzi propri  2000
       
 Totale Attivo  3150  Totale Passivo  3150

Il valore degli indicatori è il seguente:

Chiaramente, dal valore di uno degli indici si ricavano facilmente quelli degli altri:
Ad esempio, sapendo che un’impresa ha un grado di leverage (D/E) pari a 3, è facile
osservare che:
LA MISURAZIONE A VALORI DI MERCATO
Gli indicatori sono i medesimi visti in precedenza.
Ma le grandezze sono RIESPRESSE A VALORI DI MERCATO.
Di conseguenza, cambiano drasticamente significato e prospettiva.
   
     
   
 Attivo  Debiti finanziari
   
    Equity
   
     
sono definiti tutti a valori di mercato.
Che cosa si intende per valore di mercato del capitale azionario?
Se il capitale è rappresentato da azioni quotate, si tratta del loro valore di mercato.
In caso contrario, si tratta di un valore “teorico” stimato in base alle formule viste in
precedenza.
Che cosa si intende per valore di mercato dei debiti finanziari?
Se i debiti sono rappresentati da obbligazioni quotate, si tratta del loro valore di
mercato.
In caso contrario, si tratta di un valore stimato secondo le regole viste in precedenza
(V.teorico Debito = VA dei flussi attesi – da interessi e rimborsi – attualizzati al costo-
opportunità del capitale, ossia al tasso corrente di mercato per titoli obbligazionari
aventi caratteristiche “simili”)
Ipotizzando che il debito oggi esistente sia rappresentato da obbligazioni cedolari a
tasso fisso:

dove:
FDt = Flussi finanziari (Cedole o Rimborsi) spettanti all’obbligazionista all’anno t
CEDt = Cedola sull’obbligazione
VN = Valore Nominale dell’obbligazione (da rimborsare a t=n)
R = Costo-opportunità del capitale (Rendimento sul migliore investimento
alternativo, a parità di rischio)
Che cosa si intende per valore di mercato dell’Attivo?
Sostanzialmente, è il valore che un investitore razionale sarebbe disposto a pagare:

* per acquistare tutte le passività emesse dall’impresa (D + E)


Infatti il valore delle passività è per definizione pari a quello dell’attivo.

Se ipotizziamo (temporaneamente) che l’impresa non sia soggetta a imposte


(che – come vedremo in seguito – potrebbero influire sui valori in oggetto)
si potrebbe dire altresì che il valore dell’attivo è pari al valore che un investitore
pagherebbe:

* per acquistare tutte le azioni di un’impresa identica, in termini di flussi attesi e


di rischio degli investimenti effettuati, ma finanziata solo con mezzi propri

Come visto in precedenza:

Il valore di mercato dell’attivo (Vatt) deriva dal valore dei progetti d’investimento
effettuati.
L’attivo è costituito da un PORTAFOGLIO DI PROGETTI, ciascuno dei quali ha un
suo valore.
Per l’additività del valore, Vatt è pari alla somma del valore dei singoli progetti attuati,
ciascuno a sua volta pari al VA dei flussi di cassa operativi netti (FCN) attesi.

Esiste una relazione precisa tra valore di mercato dell’attivo, da un lato,


e valore di mercato del debito e del capitale azionario, dall’altro.
Vatt = D + E
Il valore di mercato dell’attivo DEVE essere pari al valore di mercato
delle passività emesse dall’impresa (divisione della “torta”).
Se l’impresa è finanziata solo con Equity, il valore delle azioni è pari al valore
dell’attivo.
Vatt = E
Se l’impresa è finanziata con Debito ed Equity, la somma dei valori
attribuibili al Debito e alle azioni è pari al valore dell’attivo.
Vatt = D + E
IL TOTALE DEI FLUSSI CHE POTRANNO ESSERE PAGATI IN FUTURO AI
FINANZIATORI
(CREDITORI E AZIONISTI) È PARI AL TOTALE DEI FLUSSI DI CASSA
OPERATIVI
NETTI (FCN) CHE L’IMPRESA PRODURRÀ IN FUTURO

COME FLUSSI PAGATI AI FINANZIATORI INTENDIAMO:


   
     
   
 PER GLI AZIONISTI:  – PAGAMENTI DI DIVIDENDI
   
    – RIACQUISTI DI AZIONI PROPRIE
(AL NETTO DEGLI AUMENTI DI CAPITALE)

   
     In sostanza, gli aumenti di capitale possono essere considerati come dividendi negativi.
   
     
   
 PER I CREDITORI:  – PAGAMENTI DI ONERI FINANZIARI (CEDOLE)
   
    – RIMBORSI DI FINANZIAMENTI
(AL NETTO DELL’ACCENSIONE DI NUOVI FINANZIAMENTI)

   
    In sostanza, il rimborso a t = n dei debiti oggi esistenti (al Valore nominale VN)
non esaurisce la dinamica del Debito. Bisogna considerare anche la possibilità
che nuovi debiti sostituiscano i vecchi.
   
     
Da osservare che i flussi destinati ai creditori (FDt) sono espressi qui (al contrario che
in precedenza)
come sommatoria di infiniti termini. Non si intende ipotizzare che il debito abbia
durata infinita
(ossia non sia mai rimborsato). Semplicemente, si intende sottolineare che al
momento del rimborso
dei debiti oggi esistenti, è del tutto possibile che essi vengano sostituiti da nuovi
debiti.

Il Valore dell’attivo, pari al VA dei FCN attesi in futuro, misura la capacità di


distribuire cassa ai finanziatori.
 
* Il valore delle passività dell’impresa è un “valore derivato”:
dipende dalla capacità distributiva (che, a sua volta, dipende dai FCN)
 
* La ricchezza prodotta (il valore dell’attivo) troverà comunque una
destinazione:
detratta la quota “promessa” ai creditori, ciò che resta spetta agli azionisti
(residual claimants).

È inoltre da osservare che i tre tipi di flussi (FCN, FD, DIV) devono essere
attualizzati non a un generico R ma CIASCUNO AL PROPRIO COSTO-
OPPORTUNITÀ. Siccome non è detto che il rischio che circonda tali flussi sia
identico, è perfettamente possibile (e, anzi, come vedremo, normale) che i tre
tassi-opportunità siano diversi tra loro, e coerenti con il CAPM.
In sostanza, ciascun R discende da una formula del CAPM, in cui il Beta può
essere differente.
Possiamo quindi scrivere:

dove:
RA =  Rendimento richiesto dagli investitori sull’attivo (coerente con il rischio degli
investimenti);
RD = Rendimento richiesto dai creditori (obbligazionisti); se il debito è risk-free, sarà
uguale a Rf
RE =  Rendimento richiesto dagli azionisti (tenendo conto sia degli investimenti
effettuati, sia, come vedremo meglio in seguito, della struttura finanziaria
dell’impresa)

Tornando alla società Lambda, ipotizziamo che il valore “di mercato” dell’Attivo sia
4000
(stimato come Valore attuale dei FCN attesi in futuro)
e che il valore di mercato del debito sia pari al suo valore contabile
(NB: i debiti sono normalmente contabilizzati al valore nominale del capitale
prestato;
se il valore di mercato del debito è pari al valore nominale, ciò significa
che l’impresa paga un tasso d’interesse in linea con le attese del mercato ovvero,
se il debito è costituito da obbligazioni, che queste sono quotate alla pari).
La situazione a valori di mercato risultante è la seguente:

       
           
       
 V.Attivo  4000  Debiti finanziari  1150
       
       Cap.Azionario (Equity)  ???
       
 Totale Attivo  4000  Totale passivo  4000
       
           
Il valore di mercato dell’Equity è ricavabile come differenza tra valore di mercato
dell’Attivo e del debito
E = 4000 – 1150 = 2850
       
 V.Attivo  4000  Debiti finanziari  1150
       
       Cap.Azionario (Equity)  2850
       
 Totale Attivo  4000  Totale passivo  4000
       
           

Il valore di mercato dell’equity può differire in misura sostanziale da quello


contabile.

Il rapporto price to book value (P/BV) (o market value to book value – MV/BV)

Nella pratica si fa spesso uso di un indicatore, il rapporto Price/Book Value o Market


Value/Book Value, che misura la relazione tra il valore di mercato dell’azione e il suo
valore contabile (misurato dal patrimonio netto).
Come già il rapporto P/E, il rapporto suddetto può essere calcolato a livello di singola
azione od a livello di impresa. Nel primo caso si rapporta il valore di mercato di
un’azione (Price) al valore contabile per azione (BV per azione), ossia al patrimonio
netto per azione. Nel secondo caso al numeratore figura il valore di mercato
dell’Equity (Mkt Cap.) e al denominatore il valore del Patrimonio netto (BV
dell’equity). Nel caso della società Lambda esso è:

Il prezzo dell’azione risente dei flussi di cassa futuri attesi, mentre il book value
dell’azione è una misura contabile che si basa essenzialmente sul principio del costo
storico.
Tale rapporto mette quindi a confronto il valore di mercato che si ottiene dalla
gestione dell’insieme di
investimenti fatti dall’impresa con il costo sostenuto per effettuarli (approssimato dal
valore contabile).
Pertanto se in un dato momento P/BV è superiore a 1 (quindi il valore attuale dei
flussi di cassa attesi è maggiore del costo che si sosterrebbe oggi per rifare
l’investimento nell’impresa), si può ritenere che il mercato assegni  un premio
all’investimento nell’impresa.
Mentre se P/BV è inferiore a 1, si può ritenere che il mercato quoti a sconto il costo
necessario a rifare l’investimento nell’impresa.

Analogamente al P/E, il rapporto P/BV è interpretato come un indicatore sintetico di


valutazione.
Consente di stimare il valore di mercato del capitale azionario di un’impresa
basandosi sul valore assunto dal P/BV in imprese comparabili con quella oggetto di
valutazione.
Per esempio, ipotizziamo che il P/BV di società comparabili con l’impresa oggetto di
valutazione sia 4 e il valore contabile del patrimonio netto della società Delta sia pari
a 2000
Il valore di mercato del capitale azionario (Equity) è allora dato da:
Equity = P/BV x BV = 4 x 2000 = 8000

VALORI CONTABILI O VALORI DI MERCATO?


Dalla discussione sin qui condotta risulta chiaramente che la misura corretta da
considerare
a fini decisionali è quella espressa a VALORI DI MERCATO; in tal modo si
misura la ricchezza
(la cassa) effettivamente prodotta dall’impresa e distribuibile ai finanziatori.

Peraltro, nella prassi è frequente l’utilizzo di misurazioni a valori contabili,


soprattuto da parte dei CREDITORI.
La ragione di tale modo di procedere è duplice:

* da un lato, le grandezze contabili sono facili da osservare.


Pertanto, è diffuso il ricorso a indici di matrice CONTABILE
soprattutto quando è necessario disporre di indici di rapido utilizzo
(ad es. per monitorare nel tempo l’andamento di un’impresa già finanziata,
o quando si tratti di erogare finanziamenti di piccola dimensione)

* dall’altro, il debito può non essere incorporato in obbligazioni (rivendibili sul


mercato e dotate di prezzo)
Pertanto, le banche non sono interessate a monitorare nel continuo l’andamento
del Valore di Mercato del Debito (ciò sarebbe comunque problematico per
carenza di dati)
Ma sono sicuramente interessate a monitorare la probabilità di insolvenza.
Le banche si accontentano, quindi, di misurare l’indebitamento in modo
approssimato (a valori contabili),
ma comunque sufficiente a giudicare del rischio di insolvenza.
RISCHIO DI INSOLVENZA E RATING
La stima del rischio di insolvenza influenza le decisioni dei finanziatori riguardo a:
* SE erogare credito all’impresa (o continuare ad erogarlo)
* quale tasso d’interesse richiedere (in generale, il tasso sale al crescere del
rischio)

Una modalità importante di stima del rischio di insolvenza nel caso di debito
obbligazionario
è il ricorso a SOCIETÀ DI RATING, che formulano un giudizio
sulla solidità dell’impresa basato su misurazioni A VALORI CONTABILI

Anche gli intermediari (banche) ragionano spesso in modo analogo alle società di
rating.

I rating sono “voti” su una scala predeterminata, generalmente


espressa in termini di lettere e/o altri simboli. Ad esempio, la scala per i
Long-Term Credit Ratings definite da Moody’s e da Standard & Poor’s seguono
scale simili a quelle qui riportate (in ordine decrescente di merito):
   
 Classi di Rating  Capacità di far fronte alle obbligazioni
     
 Moody’s  S&P’s   
     
        
     
 Aaa  AAA  Estremamente solida
     
 Aa  AA  Molto solida
     
 A  A  Solida (ma esposta a cambiamenti)
     
 Baa  BBB  Parametri di protezione adeguati
     
        
     
 Ba  BB  Esposizione a fattori di rischio che potrebbero portare inadempimento
     
 B  B  Inadempimento probabile in caso di condizioni di business avverse
     
 Caa  CCC  Rischio attuale di inadempimento
     
 Ca  CC  Forte rischio attuale di inadempimento
     
 C  C  Istanza di fallimento pendente e casi simili
     
        
     
 D  D  In default

ciascuno dei quali può essere modificato attraverso l’aggiunta di un segno + o –


per fornire l’idea del collocamento relativo all’interno di ciascuna categoria.

Il primo blocco corrisponde alle obbligazioni c.d. investment grade;


Il secondo blocco alle obbligazioni “speculative” (alto rischio-alto rendimento) o
junk bonds;
il terzo blocco a obbligazioni in stato di default attuale.

La relazione tra rating S&P’s e probabilità di insolvenza per le obbligazioni societarie


USA
Cumulative Default Rates 1981-2016 (%)
                     
 Year  AAA  AA  A  BBB  BB  B  CCC/C  Investment  Speculative  All
grade grade rated
                     
 1  0.00  0.02  0.06  0.18  0.72  3.76  26.78  0.10  3.83  1.52
                     
 2  0.03  0.06  0.15  0.51  2.24  8.56  35.88  0.27  7.48  2.99
                     
 3  0.13  0.13  0.25  0.88  4.02  12.66  40.96  0.46  10.63  4.27
                     
 4  0.24  0.23  0.38  1.33  5.80  15.87  44.06  0.71  13.20  5.35
                     
 5  0.35  0.33  0.53  1.78  7.45  18.32  46.42  0.96  15.29  6.25
                     
 6  0.46  0.44  0.69  2.24  8.97  20.32  47.38  1.21  17.01  7.02
                     
 7  0.52  0.54  0.88  2.63  10.26  21.96  48.56  1.45  18.45  7.67
                     
 8  0.60  0.62  1.05  3.01  11.41  23.23  49.52  1.67  19.65  8.22
                     
 9  0.66  0.69  1.23  3.39  12.42  24.37  50.38  1.89  20.71  8.72
                     
 10  0.72  0.77  1.41  3.76  13.33  25.43  51.03  2.11  21.67  9.18
                     
 11  0.75  0.85  1.57  4.16  14.06  26.34  51.55  2.33  22.47  9.58
                     
 12  0.78  0.91  1.73  4.48  14.71  27.03  52.10  2.51  23.13  9.91
                     
 13  0.81  0.98  1.89  4.79  15.29  27.64  52.81  2.69  23.73  10.22
                     
 14  0.88  1.05  2.03  5.10  15.80  28.21  53.37  2.86  24.27  10.50
                     
 15  0.94  1.11  2.20  5.43  16.34  28.80  53.37  3.05  24.80  10.78
Fonte: S&P Annual 2016 Global Corporate Default Study and Rating Transitions

Il processo di attribuzione del rating tiene in considerazione una serie di variabili,


sia di business (settore, posizionamento competitivo, qualità del management), sia
finanziarie.
Il giudizio sulle grandezze finanziarie è basato su indici di origine CONTABILE.

Standard & Poor’s utilizza un set di indicatori-chiave (key ratios), che variano nel
tempo.
Tra essi vale la pena di ricordare:
A) INDICI DI STRUTTURA FINANZIARIA

1) Debiti finanziari totali / Capitale investito =  D / (D + E)


* Da osservare che il Capitale investito è calcolato su uno SP “riclassificato”

   
 Liquidità   
   
    Debiti finanziari a breve
   
     
   
     
   
 CCN (Operativo)  Debiti finanziari a M/L
   
     
   
     
   
     
   
     
   
    Mezzi Propri (Equity)
   
 Immobilizzazioni nette   
   
     
   
     

* Da osservare anche che da tale indice è ricavabile con facilità


il tradizionale grado di leverage (D/E)
B) INDICI DI SOSTENIBILITÀ DEL DEBITO
(calcolati considerando anche – talvolta solo – grandezze di CE)
2) EBIT/Oneri finanziari (EBIT interest coverage)
* Capacità di pagare gli ONERI FINANZIARI correnti tramite l’EBIT
NB: l’EBIT approssima i FCN al lordo delle imposte
se l’impresa effettua investimenti pari agli ammortamenti
* È utile richiamare la struttura del CE “riclassificato”

   
 Ricavi   
   
 Costi monetari operativi (–)   
   
 = EBITDA   
   
 Ammortamenti e acc.ti (–)   
   
 = EBIT   
   
 Oneri finanziari (–)   
   
 Proventi/oneri straordinari   
   
 = EBT   
   
 Imposte (–)   
   
 R.Netto   

3) EBITDA/Oneri finanziari (EBITDA interest coverage)


* Idem ma calcolato su EBITDA (stima del flusso di gestione operativa)
Misura la capacità di pagare gli ONERI FINANZIARI correnti tramite
l’EBITDA
(autofinanziamento al lordo delle imposte), e ignorando gli investimenti
4) Debiti finanziari totali/EBITDA
* Indice complementare ai precedenti (di utilizzo molto diffuso).
Misura il rapporto tra Debiti finanziari totali ed EBITDA (ossia flusso di
gestione operativa)

NB: gli indici 2) e 3) misurano la capacità di pagare le quote interessi;


l’indice 4) misura la capacità di rimborsare le quote capitale.
La differenza tra l’indice 2 e 3 è data dalla misura dei flussi
utilizzata come proxy dell’autofinanziamento

Il rating è una misura del rischio di insolvenza dell’impresa.


Il tasso di interesse che l’impresa dovrà pagare sul debito (il costo del debito)
sarà inversamente proporzionale alla qualità del rating ottenuto.
Presentazione 14
DECISIONI DI FINANZIAMENTO
(STRUTTURA FINANZIARIA)

Consideriamo le decisioni di finanziamento dal punto di vista degli azionisti

Adottiamo il punto di vista di un’impresa che abbia già effettuato le proprie decisioni
di INVESTIMENTO e che si stia chiedendo in quale modo finanziare la propria
attività. In particolare, essa può domandarsi se esista un modo OTTIMALE di
finanziare il proprio portafoglio di progetti di investimento, ossia se esista una
STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE, definita in termini di rapporto tra
DEBITO (finanziario) ed EQUITY (mezzi propri).

Dal punto di vista degli azionisti, la struttura finanziaria ottimale (ammesso che
esista) è quella che le consente di MASSIMIZZARE IL VALORE DEL CAPITALE
AZIONARIO (OSSIA DELL’EQUITY)

È utile assumere come punto di partenza dell’analisi lo stesso set di ipotesi


semplificatrici adottato in un celebre lavoro da MODIGLIANI e MILLER”
(MM). Essi analizzano la relazione tra indebitamento e valore dell’impresa in
MERCATI DEI CAPITALI PERFETTI e PRIVI DI IMPOSTE

a – COSTI DI TRANSAZIONE NULLI


b – INFORMAZIONE DISPONIBILE PER TUTTI SENZA COSTI NELLO
STESSO ISTANTE
c – ASSENZA DI ASIMMETRIE INFORMATIVE E CONFLITTI
D’INTERESSE
 
d – ASSENZA DI IMPOSTE (inizialmente)

Ovviamente, le conclusioni di MM necessitano di essere profondamente riviste


per tener conto di possibili imperfezioni dei mercati concreti.

MM DIMOSTRANO CHE – in tali condizioni –


 
GLI AZIONISTI SONO INDIFFERENTI ALLA STRUTTURA FINANZIARIA
DELL’IMPRESA              (MM1)
 
L’INDEBITAMENTO FA CRESCERE IL RENDIMENTO RICHIESTO
DAGLI AZIONISTI (MM2)
SULL’INVESTIMENTO IN EQUITY
 
MODIGLIANI-MILLER conducono un ragionamento in termini di VALORI DI
MERCATO
DI ATTIVO, DEBITO ED EQUITY di un’impresa:
 
–  i cui titoli (OBBLIGAZIONI E AZIONI) sono diffusi tra il pubblico degli
investitori e quotati in borsa (sicché i valori di mercato sono OSSERVABILI)

– che opera in condizioni STAZIONARIE: ossia produce FCN STABILI E PARI


ALL’UTILE, DISTRIBUITO OGNI ANNO PER INTERO A TITOLO DI
DIVIDENDO.
 Ciò consente – tra l’altro – di semplificare i calcoli facendo ricorso a formule di
valutazione basate sulle RENDITE PERPETUE.
 Tale condizione è facilmente verificabile facendo il caso di un’impresa priva di
debito (unlevered).

Ricavi 6000      
Costi monetari operativi (-) –4800      
= EBITDA 1200      
Ammortamenti e acc.ti (-) –200      
= EBIT 1000   EBIT 1000
      Imposte “teoriche” (EBIT x tc) 0
Oneri finanziari (-) 0   (“come se” non indebitata)  
Proventi/oneri straordinari (+/-) 0   EBIT (1 – tc) 1000
= EBT 1000   Amm.ti/Acc.ti 200
Imposte (–) 0   Investimenti (cap.fisso) –200
R.Netto 1000   FCN 1000

Il mantenimento di una capacità di generare EBITDA =1200 e EBIT = 1000


comporta investimenti di mantenimento della capacità produttiva pari a 200 ogni
anno
Questa impresa stazionaria genera ogni anno
EBIT = EBT = Utile = DIVIDENDI = 1000 = FCN

Il valore dell’attivo (e dell’Equity) è stimabile come una rendita perpetua:


Vatt = E = Utile / R = DIV / R

Se l’impresa decide di indebitarsi,


il debito ha un costo pari al 10% annuo (pari al rendimento richiesto dagli
obbligazionisti RD)
Le obbligazioni sono quindi emesse e quotate alla pari.

Ipotizziamo inoltre che l’impresa non corra rischi di INSOLVENZA


Il debito è quindi RISK-FREE e il RENDIMENTO RICHIESTO RD è pari a
Rf.
NB: in presenza di debito “rischioso” alcune conclusioni dovranno essere
modificate

N.AZIONI in circolazione: 150 (quando l’impresa non ha debiti)

Definiamo:
RA = Rendimento richiesto dagli investitori sull’Attivo
R0 = RE,U = Rendimento richiesto dagli azionisti dell’impresa Unlevered
(NON indebitata)
RE = RE,L = Rendimento richiesto dagli azionisti dell’impresa Levered
(indebitata)

RA è un dato esogeno, che include un premio per il rischio sistematico


dell’attività svolta
Ipotizziamo che Rm = 15% e che le azioni dell’impresa non indebitata abbiano un
beta pari a 0,666
In tale situazione, per il CAPM, deve valere:
RA = 0.10 + 0.666 (0.15 – 0.10) = 13.33%

R0 (Rendimento richiesto dagli azionisti dell’impresa Unlevered) è pari a RA (per


definizione)
RE (Rendimento richiesto dagli azionisti dell’impresa Levered) è invece
un’incognita (da ricavare)

D/E = Rapporto tra valore di mercato del DEBITO e dell’EQUITY


NB: il valore di mercato del DEBITO è stato ipotizzato pari al Valore Nominale

Quando l’impresa È PRIVA DI DEBITO (UNLEVERED),


siccome è stazionaria, IL CONTO ECONOMICO OGNI ANNO APPARE COSÌ:

 
 CONTO ECON
   
 EBIT  1000
   
 ON.FIN.  –
   
 R.NETTO  1000

IL VALORE DELL’EQUITY (E0) È NECESSARIAMENTE PARI AL VALORE


DELL’ATTIVO (VU)
Utilizzando la rendita perpetua (grazie all’ipotesi di stazionarietà) e il tasso di
attualizzazione R0:
VU = E0

LA SITUAZIONE PATRIMONIALE (A VALORI DI MERCATO) SARÀ:

        
 UNLEVERED        LEVERED   
        
 ATTIVO  PASSIVO     ATTIVO  PASSIVO
        
             D
        
 VU  E0     VL   

        
             EL

   
 UNLEVERED   
   
 ATTIVO  PASSIVO
   
    D = 0
   
 VU = 7500   
   
    E = 7500

Ognuna delle 150 azioni avrà quindi un valore di mercato pari a 50 (7500/150).
Ipotizziamo ora che l’impresa muti la propria STRUTTURA FINANZIARIA
SENZA MODIFICARE L’ATTIVO. Ciò significa che l’impresa prosegue
nell’attuazione degli investimenti programmati
(pertanto NON CAMBIANO NÉ I FCN ATTESI, NÉ IL RISCHIO,
QUINDI IL TASSO DI ATTUALIZZAZIONE RA resta COSTANTE e pari a R0)

IPOTESI N. 1
L’impresa emette 50 obbligazioni da 50 cadauna.
Col ricavato ricompra e annulla 50 azioni.
Il debito post-operazione sarà 2500.

IPOTESI N. 2
L’impresa emette 100 obbligazioni da 50 cadauna.
Col ricavato ricompra e annulla 100 azioni.
Il debito post-operazione sarà 5000.

Il conto economico nei tre casi appare come segue:

       
 UNLEVERED     IPOTESI N. 1     IPOTESI N. 2
       
 CONTO ECON     CONTO ECON     CONTO ECON
             
                       
             
 EBIT  1000     EBIT  1000     EBIT  1000
             
 ON.FIN.  0     ON.FIN.  250     ON.FIN.  500
             
 R.NETTO  1000     R.NETTO  750     R.NETTO  500
             
                       
             
 DIV TOT  1000     DIV TOT  750     DIV TOT  500
             
 FCN  1000     FCN  1000     FCN  1000
             
                       
             
 n.AZIONI  150     n.AZIONI  100     n.AZIONI  50
             
 DIV/AZ  6,67     DIV/AZ  7,5     DIV/AZ  10
             
 n.OBBL.  0     n.OBBL.  50     n.OBBL.  100

NB: il FCN resta invariato e pari all’EBIT (1.000) nei tre casi; lo stesso vale per il
rischio e per il tasso di attualizzazione RA (13.33%) poiché l’attività industriale svolta
dall’impresa non è cambiata. Ne consegue che il valore dell’attivo resta invariato e
pari a 7500.

In altre parole, al variare della struttura finanziaria IL VALORE DELLA


TORTA NON CAMBIA.
Cambia però il modo di tagliare le fette tra i finanziatori.

Infatti il FCN non cambia, ma cambia la sua ripartizione tra flussi destinati ai creditori
(oneri finanziari) e agli azionisti (R.Netto = DIV)
Secondo MM il valore delle fette (nel passivo di SP) è il seguente:

       
 UNLEVERED     IPOTESI N. 1     IPOTESI N. 2
             
 ATT  PASS     ATT  PASS     ATT  PASS
             
                       
             
    D = 0        D = 2500        D = 5000
             
 VU=7500        VL=7500        VL=7500   
             
    E = 7500        E = 5000        E = 2500
             
                       
             
                       
             
 D/E =  0     D/E =  0,5     D/E =  2

NB: Ma gli azionisti sono davvero indifferenti alla modifica della struttura
finanziaria?
All’aumentare del Debito il valore complessivo dell’equity E si riduce!
MA l’emissione di obbligazioni NON va a finanziare nuovi investimenti bensì il
riacquisto di azioni.
Gli azionisti cedono “fette di torta” al prezzo corretto (se il Mkt è efficiente) e
dunque incamerano anche una somma pari al valore delle obbligazioni emesse.
Bisogna ragionare sul Valore dell’attivo, non su quello dell’Equity che è
“inquinato”
dalla modifica del numero delle azioni in circolazione.

L’idea di fondo è che l’impresa collochi le nuove obbligazioni a un prezzo “equo”


(ossia pari al valore teorico)
Ogni obbligazione ha un valore nominale di 50 e paga interessi “di mercato” pari al
10%.
Pertanto, il valore teorico di un’obbligazione è:

Il valore del Debito (D) è pari al valore nominale (2500 nell’ipotesi 1 e 5000
nell’ipotesi 2)
Il valore di mercato dell’Equity può poi essere ricavato per differenza (VU – D).
Sarà 5000 (= 7500 – 2500) nell’ipotesi 1 e 2500 (=7500-5000) nell’ipotesi 2.
PROPOSIZIONE 1 DI MM
   
 VU = VL  MM1
VU = V. Attivo impresa Unlevered = V. azioni impr. Unlevered (E0)
VL = V. Attivo impresa Levered
V. Attivo impresa Levered = V. Debito impr. Levered + V. Equity impr. Levered
VL = D + E

LEVERAGE, RISCHIO E VALORE DELLE AZIONI


Resta un apparente paradosso, relativo al valore di mercato della singola azione (pari
a DIV / RE)
Ricordiamo che il valore di mercato di un’azione (cioè il suo Prezzo P) è:

P = EL / N.azioni ovvero P = DIV (per azione) / RE

       
 UNLEVERED     IPOTESI N. 1     IPOTESI N. 2
             
                       
             
 DIV TOT.  1000     DIV TOT.  750     DIV TOT.  500
             
                       
             
 n. AZIONI  150     n. AZIONI  100     n. AZIONI  50
             
 DIV  6,67     DIV  7,5     DIV  10
             
                       
             
 EQUITY  7500     EQUITY  5000     EQUITY  2500
             
                       
             
 P  50     P  50     P  50
             
                       

Il Prezzo delle azioni nei 3 casi è ricavato dividendo il valore totale dell’equity per il
numero delle azioni in circolazione.

Si osserva che, al crescere dell’indebitamento, il dividendo spettante a ciascuna


azione AUMENTA.
Peraltro, il Prezzo di ciascuna azione resta COSTANTE. Come è possibile?

LA RISPOSTA STA NELLA RILEVANZA DEL RISCHIO.


AL CRESCERE DELL’INDEBITAMENTO CRESCE IL VALORE ATTESO
DEL DIVIDENDO
MA CRESCE ANCHE LA SUA RISCHIOSITÀ

I dividendi non sono – infatti – risk-free ma rischiosi, già quando l’impresa non è
indebitata.
Man mano che l’impresa si indebita, essa prenota – di fatto – una quota crescente
degli FCN attesi a favore dei creditori.
Ciò genera un aumento del rischio per gli azionisti, che possono “servirsi” solo dopo
che i creditori
siano integralmente soddisfatti. In altre parole, la suddivisione della torta genera due
fette profondamente diverse quanto a rischio. Il rischio resta concentrato sulla fetta
spettante agli azionisti. Man mano che essa si riduce, il rischio per euro di capitale
impiegato dagli azionisti aumenta (si concentra su una fetta sempre più piccola).

Il punto può essere compreso con un semplice esempio:


Ipotizziamo che il valore ATTESO dell’EBIT = FCN sia pari a 1000 (come in
precedenza).
Possono, però, verificarsi tre diversi stati del mondo (con uguale probabilità =
33,33%)
NB: In tutti e tre i casi il Valore Atteso dell’EBIT = FCN è:
E(EBIT) = 1000 x 0,33 + 500 x 0,33 + 1500 x 0,33 = 1000
Che succede ai flussi destinati ai finanziatori (e ai valori dei loro claims)?

UNLEVERED      
             
EBIT 1000 EBIT 500 EBIT 1500  
ON. FIN.   ON. FIN.   ON. FIN. – 
R. NETTO 1000 R. NETTO 500 R. NETTO 1500  
          
n. AZIONI 150 n. AZIONI 150 n. AZIONI 150  
DIV 6,67 DIV 3,33 DIV 10,00  
RE 13,3% RE 6,7% RE 20,0% 5,44% SQM dei rendimenti

IPOTESI N. 1          
             
EBIT 1000 EBIT 500 EBIT 1500  
ON.FIN. 250 ON.FIN. 250 ON.FIN. 250  
R.NETTO 750 R.NETTO 250 R.NETTO 1250  
          
n.AZIONI 100 n.AZIONI 100 n.AZIONI 100  
DIV 7,50 DIV 2,50 DIV 12,50  
RE 15,0% RE 5,0% RE 25,0% 8,16% SQM dei rendimenti

IPOTESI N. 2          
             
EBIT 1000 EBIT 500 EBIT 1500  
ON.FIN. 500 ON.FIN. 500 ON.FIN. 500  
R.NETTO 500 R.NETTO 0 R.NETTO 1000  
          
n.AZIONI 50 n.AZIONI 50 n.AZIONI 50  
DIV 10 DIV 0 DIV 20  
RE 20,0% RE 0,0% RE 40,0% 16,33% SQM dei rendimenti

IL LEVERAGE AUMENTA LA RISCHIOSITÀ DEI RENDIMENTI


Gli azionisti dell’impresa indebitata domanderannno un rendimento RE più
elevato (come compenso per il rischio)
RE cresce, quindi, in proporzione al grado di leverage.

In una prima fase, MM ipotizzano che il DEBITO sia privo di rischio di insolvenza.
Esaminiamo prima questo caso, più semplice anche se poco realistico.
Quando l’impresa (stazionaria) non è indebitata (Caso-base)

Consideriamo ora un’impresa identica a quella di partenza ma indebitata (come


nell’Ipotesi alternativa 1 o 2)
L’identità delle due imprese sotto il profilo degli investimenti fa sì che esse generino
un FCN identico.
L’impresa indebitata è finanziata con un MIX di DEBITO ed EQUITY.
Pertanto il suo COSTO-OPPORTUNITÀ del capitale (RA) è dato, in realtà, dal
COSTO MEDIO PONDERATO DEL CAPITALE
(WACC: WEIGHTED AVERAGE COST OF CAPITAL)

Quindi il Rendimento richiesto dagli investitori sull’attivo è RA = WACC

Pertanto:

Siccome FCN = EBIT è costante (impresa stazionaria) e per la MM1 deve valere:
VU = VL
allora deve valere anche la seguente uguaglianza:

Perché ciò sia possibile, il WACC deve essere costante e pari a R0

RD è noto (nelle ipotesi poste è Rf). Si può quindi ricavare RE


RE = R0 + (D/E) (R0 – RD) MM2

In sintesi:
Al crescere dell’indebitamento il WACC resta costante e pari a R0.
Perché ciò accada, RE deve salire linearmente in proporzione all’indebitamento
(D/E)
RE inoltre sale tanto più rapidamente, al crescere di D/E,
quanto più è rischiosa l’attività industriale di base (R0)

NELL’ESEMPIO:

   
 R0 = 13,33%  RD = 10%

 
 UNLEVERED

WACC = 13,33% = R0
 
 CON LEVERAGE 0,5

RE = 13,33% + 0,5 (13,33% – 10%) = 15%
WACC = (1/3) 10% + (2/3) 15% = 13,33% = R0
 
 CON LEVERAGE 2

RE = 13,33% + 2 (13,33% – 10%) = 20%
WACC = (2/3) 10% + (1/3) 20% = 13,33% = R0

L’effetto netto in termini di valore delle azioni è nullo (come ricavabile dalla
MM1)

COMPATIBILITÀ DI MM E CAPM
La MM2 afferma che il rendimento richiesto dagli azionisti (RE) parte da un certo
livello di base R0
quando l’impresa non ha debito (è unlevered) e poi cresce linearmente con
l’indebitamento.
RE = R0 + (D/E) (R0 – RD)
Il CAPM afferma che il rendimento richiesto dagli investitori su qualunque titolo i
(Ri) cresce con il Beta del titolo.
Ri = Rf +  i (Rm – Rf)
Il CAPM vale, ovviamente, anche per le azioni di un’impresa indebitata. Quindi RE
cresce con il Beta delle azioni.
RE = Rf +  E (Rm – Rf)
dove E è il coefficiente Beta delle azioni dell’impresa indebitata.
Naturalmente, il coefficiente Beta delle azioni di un’impresa unlevered è 0
.

LA COMPATIBILITÀ TRA MM2 E CAPM È ASSOLUTA:


AL CRESCERE DEL LEVERAGE CRESCE IL BETA DELLE AZIONI.
L’esistenza del debito (la “prenotazione” di parte del FCN a favore dei creditori)
rende più aleatori
i flussi che residuano per gli azionisti (i dividendi).

Per analizzare la relazione tra Beta e indebitamento è utile fare riferimento alla
TEORIA DEL PORTAFOGLIO.
Ricordiamo che il Beta di un portafoglio è pari alla media ponderata dei Beta dei titoli
che lo compongono.
Inoltre il Beta dell’attivo (ossia il Beta delle azioni di un’impresa non indebitata ( 0))
è pari alla media ponderata dei Beta attribuibili ai singoli progetti d’investimento (è
come un portafoglio di azioni di imprese mono-progetto, ciascuna delle quali ha cioè
come scopo esclusivo lo svolgimento di un progetto).
Vediamo un semplice esempio.

L’impresa Alfa (non indebitata) è una holding che detiene partecipazioni in tre società
(Sigma, Tau e Ypsilon).
I valori di mercato e i beta delle tre società sono i seguenti:

       
    Valore  Pesi  Beta
       
 Sigma  100  50%  1,2
       
 Tau  40  20%  1,5
       
 Ypsilon  60  30%  0,6
       
 Totale  200  100%  1,08

I valori nella prima colonna sono, semplicemente i valori che si ritrovano nell’attivo
di Alfa (VU = 200).
Il Beta del portafoglio detenuto da Alfa è la media ponderata dei Beta delle singole
società partecipate
Esso corrisponde al Beta del suo attivo ( 0). Siccome Alfa non è indebitata, esso
corrisponde anche al
Beta delle sue azioni. Infatti gli azionisti di Alfa detengono – indirettamente – il
portafoglio di partecipazioni e non devono dividerne i frutti (i dividendi generati dalle
singole azioni) con nessun altro finanziatore.

Ipotizziamo ora che Alfa sia indebitata (e che il debito contratto, come fin qui
ipotizzato, sia risk-free).
Il debito D sia pari a 80. Che impatto avrà tale fatto sui valori e sui Beta?
Anzitutto, il valore dell’attivo non cambia (per la MM1). Se l’impresa ha D pari a 80,
E varrà 120.
VU = VL
E = VL – D = 200 – 80 = 120
Quanto ai Beta, vale nel passivo ciò che valeva nell’attivo.
Infatti, il rischio sistematico generato dai progetti di investimento (il Beta dell’attivo)
si scaricherà – pro-quota – sul complesso dei finanziatori. Pertanto, il complesso dei
titoli emessi dall’impresa avrà un Beta (che chiameremo Beta del passivo) pari al
Beta dell’attivo.
Il Beta del passivo, per la teoria del portafoglio, sarà a sua volta pari alla media
ponderata
dei Beta dei titoli che lo compongono. Di conseguenza:

Ipotizzando che IL DEBITO sia PRIVO DI RISCHIO


(ossia che il rischio di fallimento sia trascurabile):
D
 = 0

E
 = (1 + D/E)  0

Il Beta delle azioni cresce, cioè, linearmente col grado di indebitamento.

E
 = (1 + D/E)  0 = (1 + 80 / 120) x 1.08 = 1,80

Sono, quindi, contemporaneamente verificate le seguenti espressioni (con Debito


risk-free)
     
 RE = Rf +  E (Rm – Rf )  1  CAPM
     
        
     
  E = (1 + D/E) 0  2  da T. PORTAFOGLIO
     
        
     
 RE = R0 + (D/E) (R0 – RD)  3  MM2

Sostituendo nella 1 il contenuto della 2 si ottiene:

RE = Rf + (1 + D/E)  0 (Rm – Rf)
da cui si vede che il premio per il rischio dipende:
– dal tipo di attività industriale svolta (che si riflette in 0)
– dal grado di indebitamento (D/E) che genera un rischio finanziario aggiuntivo per
gli azionisti
LA PRESENZA DI DEBITO RISCHIOSO
L’ipotesi di debito risk-free è poco realistica.
Peraltro, si può dimostrare che i risultati di MM continuano a valere anche
in presenza di DEBITO RISCHIOSO (ossia se l’impresa può fallire)

QUANDO IL VALORE DELL’ATTIVO < VALORE DEL DEBITO


inteso come valore di tutti i claims dei creditori (per capitale e interessi)
l’impresa FALLISCE
e i creditori vendono l’attivo dell’impresa e si soddisfano sul ricavato
In realtà la vendita (e l’accertamento di chi siano i creditori e quali siano i loro
claims)
è svolta da un curatore nominato – e vigilato – dal tribunale

L’importante – ai fini della teoria di MM – è che il fallimento sia un processo


NON COSTOSO (in ciò si traduce l’assenza di costi di transazione implicita
nell’ipotesi di mercati finanziari perfetti). In sostanza è come se, quando l’impresa
fallisce
gli azionisti fossero estromessi e i creditori diventassero i NUOVI AZIONISTI,
liberi di liquidare l’attivo, senza che tale processo comporti costi.
Presentazione 15
DECISIONI DI FINANZIAMENTO
(STRUTTURA FINANZIARIA)
MM E LE IMPOSTE SUI REDDITI SOCIETARI

In assenza di imposte l’indebitamento non crea valore perché si limita a suddividere il


valore dell’attivo in due parti (debito ed equity) che si differenziano tra loro per il
grado di rischio che assumono i finanziatori. Secondo la teoria MM “originaria”.
“IL VALORE DELLA TORTA NON CAMBIA A SECONDA DELLE PARTI
IN CUI LA DIVIDO”: IL VALORE DELLA TORTA È DATO DAI FCN
CHE L’IMPRESA PUÒ PAGARE AI SUOI FINANZIATORI (CREDITORI E
AZIONISTI).

LA CONCLUSIONE ERA CHE GLI AZIONISTI SONO INDIFFERENTI


AL VALORE DEL RAPPORTO D’INDEBITAMENTO.
QUESTA CONCLUSIONE VIENE ROVESCIATA SE SI CONSIDERA
L’EFFETTO DELLE IMPOSTE SUI REDDITI SOCIETARI.

Il punto fondamentale (ipotizziamo l’assenza di risultati straordinari) è che


GLI INTERESSI PASSIVI SONO CONSIDERATI UN COSTO DEDUCIBILE
mentre i DIVIDENDI NON lo sono (sono piuttosto considerati una modalità di
distribuzione
di un reddito che ha già scontato le imposte).
In queste condizioni, ogni Euro di interessi passivi pagato ai creditori genera un
ammontare addizionale di flussi disponibili per i finanziatori pari a tc (l’aliquota di
imposta sui redditi societari).
Vediamo un ESEMPIO
Si consideri un’impresa stazionaria analoga a quella considerata nel caso MM
originario.
Ipotizziamo però che l’aliquota tc sia pari al 30%. Se l’impresa non è indebitata si
avrà:

        
 Ricavi  6000         
        
 Costi monetari operativi (–)  –4800         
        
 = EBITDA  1200         
        
 Ammortamenti e acc.ti (–)  –200     EBIT  1000
        
 = EBIT  1000     Imposte “teoriche” (EBIT x tc)  –300
        
 Oneri finanziari (–)  0     (“come se” non indebitata)   
        
 Proventi/oneri straordinari (+/-)  0     EBIT (1 – tc)  700
        
 = EBT  1000     Amm.ti/Acc.ti  200
        
 Imposte (–)  –300     Investimenti (cap.fisso)  –200
        
 R. Netto  700     FCN  700
        
              
        
 tc  30%         
Come varia il conto economico al variare del grado di indebitamento?
NB: Ipotizziamo anche che i rendimenti richiesti dai finanziatori siano identici al caso
precedente.
R0 13,33%
RD 10%

UNLEVERED     IPOTESI N. 1     IPOTESI N. 2  


DEBITO = 0   DEBITO = 1750   DEBITO = 3500
CONTO ECON     CONTO ECON     CONTO ECON  
           
EBIT 1000   EBIT 1000   EBIT 1000
ON.FIN. 0   ON.FIN. 175   ON.FIN. 350
EBT 1000   EBT 825   EBT 650
IMPOSTE –300   IMPOSTE –247,5   IMPOSTE –195
R.NETTO 700   R.NETTO 577,5   R.NETTO 455
           
DIV TOT 700   DIV TOT 577,5   DIV TOT 455
FCN 700   FCN 700   FCN 700
SOMMA ON. FIN.     SOMMA ON. FIN.     SOMMA ON. FIN.  
+ DIV 700   + DIV 752,5   + DIV 805

Si osserva ora che, a parità di FCN (gli investimenti effettuati dall’impresa non
cambiano)
si modifica il totale dei flussi disponibili per i finanziatori al netto delle imposte. In
particolare,
AL CRESCERE DELL’INDEBITAMENTO I FLUSSI DISPONIBILI
AUMENTANO.
Tale effetto non è connesso all’area operativa (gli FCN restano stabili) ma a quella
FINANZIARIA.

La presenza di imposte societarie, di per sé, RIDUCE la dimensione della torta


(i flussi disponibili non sono più pari a 1000, come nel caso senza imposte).
Peraltro, il diverso trattamento fiscale – a livello dell’impresa – della remunerazione
dei creditori
(oneri finanziari) e di quella degli azionisti (dividendi) offre un’opportunità di ridurre
il carico fiscale complessivo attraverso la scelta di un’opportuna struttura finanziaria.
L’INDEBITAMENTO “ACCRESCE LE DIMENSIONI DELLA TORTA”;
IN ALTRE PAROLE, IL SISTEMA FISCALE SOVVENZIONA LE IMPRESE
INDEBITATE.
Se l’aliquota tc = 30%, 100 Euro di interessi passivi consentono di risparmiare
30 Euro di imposte.

Come si ripercuote l’aumento dei flussi disponibili (rispetto al FCN) sul valore
dell’impresa?
Un’impresa priva di debito (unlevered) avrà un valore dell’attivo = valore dell’equity
pari a:
VU = E0

       che è = R0

Un’impresa indebitata (levered) avrà un valore dell’attivo = D + E pari a:


VL = D + E
Il valore dell’attivo VL è, in tal caso, idealmente scomponibile in due parti:
   
 VL = VU + SF  MM1 con imposte societarie
dove: SF rappresenta il valore del c.d. “scudo fiscale”.
Lo scudo fiscale è il maggior valore dell’impresa generato dal ricorso
all’indebitamento.
Esso è pari al Valore attuale di tutte le imposte risparmiate grazie al ricorso al
debito.

Pertanto, due imprese identiche sotto il profilo degli investimenti


produrranno uguali FCN e avranno uguale rischio legato all’attività industriale.
Ciononostante, l’impresa INDEBITATA avrà VALORE MAGGIORE
grazie ai risparmi di imposta generati dall’area FINANZIARIA
che aumentano i flussi complessivamente disponibili per i finanziatori.

La torta è divisa in 3 fette (azionisti, creditori e fisco).


L’impresa – finanziandosi opportunamente (indebitandosi) – può ridurre la fetta del
fisco.
Così facendo, incrementa la somma delle fette spettanti ai finanziatori (VL).

NB: La MM1 sopra definita è calcolata su valori dell’attivo (VU e VL) al netto
d’imposta.
Cioè sulla somma delle fette dei soli azionisti e creditori.

Nell’esempio, trattandosi di un’impresa stazionaria, il cui conto economico si ripete


sempre uguale,
ogni anno si genera un maggior flusso complessivamente disponibile per i finanziatori
pari ai risparmi annui di imposta, ossia a: tc RD D

Nell’esempio:
     
 52,5  se D =  1750
     
 105  se D =  3500

Qual è il Valore attuale di tali risparmi di imposta?


Siccome il loro “rischio” è pari a quello che circonda gli interessi passivi (sono gli
interessi a generare i risparmi fiscali) pare logico attualizzare i risparmi di imposta al
tasso-opportunità RD (uguale al costo del debito).

 se D = 1750

 se D = 3500
In generale, nel caso di un’impresa stazionaria:
Interessi passivi = RD x D con tasso RD e ammontare del debito D costanti
Risparmi annui di imposta = tc RD D

 E QUINDI:
SF = tc D
Nel caso generale di un’impresa non “stazionaria”, vengono meno le condizioni di
stabilità
dei parametri che consentono di utilizzare la formula della rendita perpetua. Lo Scudo
Fiscale
sarà pari, semplicemente, alla somma dei risparmi fiscali connessi al debito anno per
anno.

N.B.: IL MAGGIOR VALORE DELL’ATTIVO VA TUTTO


A BENEFICIO DEGLI AZIONISTI, PERCHÉ GLI OBBLIGAZIONISTI
CONTINUANO A PERCEPIRE LA MEDESIMA REMUNERAZIONE (DI
MERCATO), MENTRE AUMENTANO L’UTILE E IL DIVIDENDO DEGLI
AZIONISTI.

Gli Stati Patrimoniali dell’impresa a valori di mercato saranno i seguenti:

             
 DEBITO =  0     DEBITO =  1750     DEBITO =  3500
             
                       
             
 ATT  PASS     ATT  PASS     ATT  PASS
             
                       
             
 VU = 5250  D = 0000     VU = 5250  D = 1750     VU = 5250  D = 3500
             
                       
             
 SF = 0000  E = 5250     SF = 0525  E = 4025     SF = 1050  E = 2800
             
                       
             
 SF = 5250  E = 5250     SF = 5775  E = 5775     SF = 6300  E = 6300
             
                       

VU = E0 =  5250
       
 Quando l’impresa si indebita:  tc  D  SF
       
 D è un dato  30%  1750  525
       
 SF è ottenuto come tc x D  30%  3500  1050

VL è ricavabile dalla MM1 come somma del valore dei singoli assets (VU + SF)
         
    VU  D  SF  VL
         
 VL = VU + SF = VU + tc D  5250  1750  0525  5775
         
    5250  3500  1050  6300

A questo punto, E è ricavabile dalla formula DCF: E = VL – D


      
    VL  D  E
      
    5775  1750  4025
      
    6300  3500  2800

NB: E sarebbe ricavabile anche dalla formula DDM.


A tal fine è necessario attualizzare i dividendi DIV al tasso RE.
Peraltro, non sappiamo ancora calcolare il tasso RE. È necessario prima sviluppare la
MM2 “con imposte”.

A questo punto dell’analisi, appare conveniente MASSIMIZZARE il grado di


indebitamento
NB: Perché? All’aumentare del Debito il valore complessivo dell’equity E si riduce!

MA l’emissione di obbligazioni NON va a finanziare nuovi investimenti bensì il


riacquisto di azioni.
Gli azionisti cedono “fette di torta” al prezzo corretto (se il Mkt è efficiente) e
dunque incamerano anche una somma pari al valore delle obbligazioni emesse.
Bisogna ragionare sul Valore dell’attivo, non su quello dell’Equity che è
“inquinato”
dalla modifica del numero delle azioni in circolazione.

Consideriamo ora gli effetti sul prezzo delle azioni.


L’impresa unlevered ha in circolazione:  150  azioni il cui prezzo è:  35

Ipotizziamo, per semplicità, che l’impresa – contestualmente all’emissione delle


obbligazioni –
riacquisti le azioni al prezzo corrente (quello che hanno prima della modifica della
struttura finanziaria).

   
    N. azioni
     
 D emesso  riacquistate  rimanenti
     
 1750  050  100
     
 3500  100  050

       
 UNLEVERED     IPOTESI N. 1     IPOTESI N. 2
             
                       
             
 DIV TOT.  700     DIV TOT.  577,5     DIV TOT.  455
             
                       
             
 n. AZIONI  150     n. AZIONI  100     n. AZIONI  50
             
 DIV/AZ  4,67     DIV/AZ  5,8     DIV/AZ  9
             
                       
             
 EQUITY  5250     EQUITY  4025     EQUITY  2800
             
                       
             
 P  35     P  40,25     P  56

Lo scudo fiscale non si limita a generare un maggior valore dell’attivo ma


arricchisce gli azionisti.
Ciascuna azione da essi detenuta vale di più (proprio grazie al valore degli scudi
fiscali).
Si può quindi anche ragionare sul valore delle singole azioni (P), ma non su
quello complessivo dell’Equity, che, come detto, è “inquinato” dalla modifica del
numero delle azioni.
COME SI MODIFICA LA MM2 IN PRESENZA DI IMPOSTE?
Punto di base è che il costo effettivo del debito si riduce di un fattore pari a (1 – tc).
Ipotizzando per semplicità che il debito sia privo di rischio:

 
NB: dalla MM1 segue che, in generale, RA = WACC non è più costante è pari a R0
Per la precisione, siccome VL > VU,  WACC < R0
 
   
 RE = R0 + (D/E) (1 – tc) (R0 – RD)  MM2 con imposte societarie
 
Il rendimento richiesto dagli azionisti incorpora ancora un premio per il rischio
finanziario.
Esso è inferiore rispetto al caso senza imposte (fattore 1 – tc),
poiché parte del valore è connessa a risparmi fiscali che, nelle ipotesi poste,
sono risk-free (e comunque sono caratterizzati da rischio inferiore agli altri
flussi).
Si era detto che nell’esempio, E è ricavabile anche dalla formula DDM, attualizzando
DIV al tasso RE dato dalla MM2

           
 D  D/E  DIV  RE  E   
           
 0  0  700  13,33%  5250  = DIV/RE, con RE “da MM2”
           
 1750  0,4348  577,5  14,35%  4025  ossia
           
 3500  1,25  455  16,25%  2800  RE = R0 + (D/E) (1 – tc) (R0 – RD)

NB: nei calcoli svolti secondo il DDM c’è un aspetto che può sembrare “strano”.
I dividendi sono infatti attualizzati a un tasso RE (pari al 14.35% o al 16.25%)
calcolato in base a una formula MM2 che – implicitamente – utilizza già, nel calcolo
del grado di indebitamento D/E, il “risultato” ricercato (E = 4025 o 2800).

In effetti, data l’intercambiabilità delle formule DCF e DDM, abbiamo utilizzato il


risultato (E)
ottenuto dalla valutazione DCF (E  =  VL  –  D) nella determinazione del rapporto di
indebitamento D/E
da usare nella MM2 (che genera il tasso RE da usare per attualizzare i dividendi nel
DDM).
In realtà è possibile determinare congiuntamente il tasso RE e il valore dell’equity.
Occorre porre a sistema le seguenti equazioni:

Con riferimento al caso in cui D = 1750, si ha:

da cui si ricava RE = 14,35% e E = 4025

NB: siccome RE cambia, cambia anche il beta delle azioni.


Ipotizzando, per semplicità, debito privo di rischio, la misura corretta
del beta delle azioni è sempre ricavabile a partire dalla formula che uguaglia
il beta dell’attivo alla media ponderata del beta delle azioni e del beta del debito
e tenendo presente che il peso del debito va “corretto” per un fattore (1 – tc)

Il bilancio a valori di mercato dell’impresa levered è il seguente:

   
 Vu  D
   
 SF = tc x D  E

Deve quindi valere l’uguaglianza:


Vu + tc x D = D + E
ovvero
Vu = (1 – tc ) x D + E
Ricordando che l’uguaglianza tra valori di attivo e passivo implica uguaglianza
anche tra i Beta ponderati di attivo e passivo, si ha:
nell’ipotesi che il debito sia privo di rischio (βD = 0) e gli scudi fiscali
abbiano la stessa rischiosità del debito,
si ricava che il beta delle azioni del’impresa levered è pari a:
   
  E = (1 + (1 – tc) D/E) 0
 (R-H, par. 17.7)

CHE COSA CAMBIA CON IMPOSTE PERSONALI?


I finanziatori (obbligazionisti e azionisti) subiranno una tassazione sui propri redditi.
L’impresa, modificando la propria struttura finanziaria, suddivide i flussi
complessivamente
disponibili per i finanziatori in due parti, caratterizzate da TASSAZIONE
DIFFERENTE.
La struttura finanziaria ottimale, in tal caso, sarà quella che consente
di ottenere la tassazione complessiva più bassa.

Il punto può essere facilmente compreso grazie a un ESEMPIO.

L’impresa Omicron è in grado di generare stabilmente un EBIT pari a 100.


Ipotizziamo che il sistema economico sia caratterizzato da imposte personali

     
 25%  (tD)  SUL DEBITO (sugli interessi)
     
 10%  (tE)  SUL REDDITO AZIONARIO (sui dividendi)

oltre a quelle societarie, già presenti:

     
 30%  (tc)  SUL REDDITO SOCIETARIO

         
    D = 0     D = 400; RD = 10%      
         
 EBIT  100     100      
         
 On.fin.  0     –40      
         
 EBT  100     60      
         
 Imposte  –30     –18     tc = 30%
         
 R.NETTO  70     42      
         
                 
         
 DIV  70     42      
         
 Imposte  –7     –4,2     tE = 10%
         
 DIV NETTO  63     37,8      
         
                 
         
 Interessi att.  0     40      
         
 Imposte  0     –10     tD = 25%
         
 Interessi netti  0     30      
         
                 
         
                 
         
 Flussi netti complessivi  63     67,8     Vantaggio fiscale del debito

L’impresa indebitata genera flussi complessivi più elevati di 4,8.

Ogni Euro distribuito agli azionisti sconta una doppia tassazione,


prima all’aliquota tc, poi (su ciò che resta) all’aliquota tE. Ciò che resta alla fine è
(1 – tc) x (1 – tE)
Ogni Euro distribuito agli obbligazionisti sconta una singola tassazione,
a livello personale, all’aliquota tD. Ciò che resta alla fine è
(1 – tD)
La presenza di scudi fiscali, in pratica, dipende dal rapporto tra tali due fattori.
È dimostrabile che, in presenza di tassazione societaria e personale, la MM1
diventa:
La MM2 con imposte societarie e personali ha una forma complessa e non è qui
riportata

Per HP. realistiche di tc, tE e tD, il vantaggio fiscale del debito permane, ma meno
forte.
Solitamente la tassazione “ulteriore” sui redditi azionari tE
è inferiore alla tassazione sui redditi obbligazionari tD.

NB: dalla formula MM1 con imposte societarie e personali si ricavano, come casi
particolari,
tutte le versioni viste in precedenza. Ad esempio, se tE = tD = 0:
VL = VU + tc D
Si nota, anzi, che tale formula vale ogniqualvolta tE = tD (quindi non solo se non si
ha
tassazione personale, ma anche se la tassazione personale è “neutrale”).
Inoltre, se tutte le aliquote sono pari a 0 (assenza di tassazione), la formula
diventa:
VL = VU
Si nota, anzi, che tale formula vale ogniqualvolta (1 – tc) (1 – tE) = (1 – tD) (quindi
non solo
in assenza di tassazione, ma anche se la tassazione COMPLESSIVA è
“neutrale”).
I LIMITI DELLA TEORIA DI MM
La teoria “originaria” di MM afferma che le decisioni di struttura finanziaria sono
IRRILEVANTI
ossia che non creano né distruggono valore.
Di conseguenza, le imprese potrebbero assumere qualsiasi struttura finanziaria
e non dovrebbero annettere particolare significato al valore del grado di leverage.
QUESTO NON PARE COERENTE CON L’OSSERVAZIONE DELLE IMPRESE

La teoria di MM modificata per tenere conto delle imposte giunge alla conclusione
che le imprese dovrebbero indebitarsi quanto più possibile per sfruttare i benefici
connessi alla deducibilità fiscale degli interessi passivi. In realtà, anche questa
teoria giunge a conclusioni troppo “estremiste”. Spesso le imprese (in particolare
quelle più redditizie, che avrebbero più da guadagnare dalla riduzione delle imposte)
adottano strutture finanziarie caratterizzate da BASSO INDEBITAMENTO.

Pare dunque necessario integrare la teoria di MM con ulteriori considerazioni.


I COSTI DEL DISSESTO
Un primo importante fattore è la possibile presenza di COSTI DEL DISSESTO.
Si era detto che una condizione essenziale della validità della teoria di MM
era l’inesistenza di costi del dissesto. In queste condizioni si verificava quanto segue:

QUANDO IL VALORE DELL’ATTIVO < VALORE DEL DEBITO


inteso come valore di tutti i claims dei creditori (per capitale e interessi)
l’impresa FALLISCE
e i creditori vendono l’attivo dell’impresa e si soddisfano sul ricavato

L’importante – ai fini della teoria di MM – è che il fallimento sia un processo


NON COSTOSO (in ciò si traduce l’assenza di costi di transazione implicita
nell’ipotesi di mercati finanziari perfetti).

Se queste condizioni valgono, in sostanza, i creditori domanderanno ex ante


un rendimento che sia remunerativo, tenuto conto del rischio di dissesto (e dunque di
insolvenza).
Peraltro, anche in questo caso, continua a valere l’argomentazione di fondo:
il valore dell’attivo dell’impresa (la dimensione della torta) dipende
da flussi attesi e rischio degli investimenti reali effettuati dall’impresa (dal lato
dell’attivo).
Le decisioni di struttura finanziaria si limitano a effettuare un re-packaging dei flussi
generati dagli investimenti (e del rischio ad esso connesso), ma
NON MODIFICANO LA DIMENSIONE DELLA TORTA.

Se però quest’ipotesi non è più valida, perché il dissesto comporta costi,


allora le decisioni di finanziamento possono modificare il valore dell’attivo.
In sostanza, se il dissesto è un evento costoso (in caso di dissesto il valore
dell’attivo si riduce e dunque le fette destinate ai finanziatori diventano più piccole)
allora esiste un incentivo ad adottare strutture finanziarie che rendano
MENO PROBABILE L’EVENTO “DISSESTO”.
Tale obiettivo può essere raggiunto evitando di spingere troppo in alto
l’indebitamento.
COSTI DEL DISSESTO FINANZIARIO
LA GESTIONE DELLE CRISI COMPORTA COSTI

* COSTI DIRETTI
 * “prenotazione” di parte del valore da parte di soggetti diversi dai finanziatori
 (es. spese legali e di procedura)
* COSTI INDIRETTI
 * riduzione del valore degli investimenti (per adozione di decisioni
 subottimali, che distruggono valore)
 * costi di coordinamento (di transazione)
Implicazioni per le decisioni di struttura finanziaria

Limite all’uso del Debito, in proporzione a:


 * intensità dei cicli del settore
 * intensità dei conflitti d’interesse
 * funzionalità sistema concorsuale
LA TRADE-OFF THEORY
Viene sovente formulata una teoria “di sintesi” delle decisioni di struttura finanziaria
in termini di TRADE-OFF TRA BENEFICI FISCALI DEL DEBITO E COSTI DEL
DISSESTO.
VL = VU + SF – E (C. Dissesto)
Tale teoria porta ad indentificare, in pratica una struttura finanziaria ottimale.
La struttura ottimale è quella in corrispondenza della quale i benefici fiscali aggiuntivi
comportati dall’aumento del debito risultano compensati dall’incremento dei costi
attesi
del dissesto (= Costi in caso di dissesto X Probabilità di dissesto).

Naturalmente, identificare una struttura ottimale non significa che le imprese


manterranno nel tempo costantemente un rapporto D/E fisso e pari al valore
“ottimo”. Tale valore, se esiste, è da intendersi piuttosto come un OBIETTIVO
tendenziale, un valore intorno a cui la struttura finanziaria effettiva oscillerà
in funzione delle condizioni di mercato e dell’autofinanziamento aziendale.
Presentazione 16
MM E FORMULE DI VALUTAZIONE

Resta da affrontare un ultimo, importante argomento.


Che influenza hanno le conclusioni di MM per le formule di valutazione
(di impresa e di progetto) sviluppate nel resto del corso.
 
Abbiamo introdotto tre formule di valutazione, due per l’impresa (DDM e DCF)
e una per i progetti (VAN).
Vediamo ora le implicazioni della teoria di MM per tali formule.
 
 
 VALUTAZIONE D’IMPRESA

Dobbiamo analizzare due tipi di implicazioni:


 
A) Implicazioni relative al rapporto tra i tassi di attualizzazione
B) Implicazioni relative agli effetti fiscali
Iniziamo dalle implicazioni relative al rapporto tra i tassi.
Si era visto che la valutazione d’impresa è attuabile, alternativamente, ricorrendo
a due formule (rispettivamente calcolate su flussi UNLEVERED/LEVERED):

     Dividend Discount Model o DDM


così come

   Discounted Cash-Flow Model o DCF


La prima implicazione di MM è che i tassi di attualizzazione (coerenti con il rischio
dei flussi) sono diversi nelle due formule.
I dividendi sono flussi DIRETTI AGLI AZIONISTI e vanno attualizzati al costo-
opportunità del capitale azionario (RE).
I FCN sono invece flussi DIRETTI SIA AI CREDITORI CHE AGLI AZIONISTI e
vanno attualizzati al
costo-opportunità dell’intero capitale cui fa ricorso l’impresa (WACC).
Le formule diventano quindi:

     Dividend Discount Model o DDM


così come

   Discounted Cash-Flow Model o DCF


In assenza di imposte (o meglio, se la tassazione complessiva è neutrale), WACC è
costante e pari a R0.

RE sarà invece dato dalla MM2: RE = R0 + (D/E) (R0 – RD)

Vediamo ora le IMPLICAZIONI FISCALI.


Consideriamo la situazione con sole imposte SOCIETARIE
(ovvero una situazione di neutralità della tassazione personale: tD = tE).
Se ci sono imposte, è necessario introdurre nelle formule un termine che rifletta
il vantaggio fiscale del debito.
Tre sono le soluzioni possibili:
 
 
 Soluzione (A): Discounted Cash-Flow Model o DCF

Utilizzo la formula DCF e “scarico” l’aggiustamento (che riflette il vantaggio


fiscale) sul WACC.
In altre parole, continuo a valutare l’attivo in base ai FCN, ma li attualizzo al
WACC calcolato
in modo da incorporare il vantaggio fiscale (il costo del debito è calcolato al netto
dei risparmi di imposta generati).
   Discounted Cash-Flow Model o DCF

Merita sottolineare un aspetto di questa formula. Si continuano ad attualizzare FCN


che sono diversi (inferiori) dai flussi complessivamente disponibili per i finanziatori.
Gli FCN sono infatti i flussi complessivamente generati dall’area operativa e NON
CAMBIANO a seconda di come l’impresa si finanzia. In particolare, gli FCN sono
calcolati al netto delle imposte “teoriche” che graverebbero sull’impresa se NON
fosse INDEBITATA.

 
 EBIT
 
 – Imposte “teoriche”
 
 (“come se” non indebitata)
 
 = EBIT (1 – tc)
 
 – Amm.ti/Acc.ti
 
 – Investimenti (cap.fisso e CCN)
 
 = FCN

Attualizzare gli FCN (invariati) a un WACC che incorpora il vantaggio fiscale è


corretto, perché il vantaggio fiscale va considerato UNA VOLTA SOLA: dunque,
idealmente, o lo si considera nei flussi o lo si considera nel tasso.
Considerarlo due volte sarebbe errato (o guardo ai maggiori flussi disponibili perché
le imposte sono minori oppure guardo al minor costo-opportunità del capitale, grazie
alla deducibilità degli interessi).

 
 Soluzione (B): DCF con valutazione separata degli effetti fiscali
Utilizzo la formula DCF e NON “scarico” l’aggiustamento sul WACC ma valuto
gli effetti fiscali a parte.
In altre parole, continuo a valutare l’attivo in base ai FCN attualizzati a R0
In altre parole, prima calcolo VU e poi aggiungo il valore degli SF.
In tal modo ottengo VL, da cui – sottraendo il debito D – ottengo E.

  Discounted Cash-Flow Model o


DCF
Si tratta, in sostanza, dell’applicazione piena della formula MM1 con imposte
societarie.
In pratica, si calcola il valore dell’attivo senza alcun aggiustamento (si tratta di VU).
Il valore dei vantaggi fiscali del debito è calcolato a parte, per ottenere VL.
Da osservare che, se l’impresa è stazionaria e valgono condizioni di stabilità
della struttura finanziaria, dei tassi di interesse e dell’aliquota di imposta, SF = tc D

 
 Soluzione (C): Dividend Discount Model o DDM

     Dividend Discount Model o DDM


L’aggiustamento che riflette i vantaggi fiscali si scarica su RE, che incorporerà un
fattore (1 – tc) come da MM2.
RE = R0 + (D/E) x (1 – tc) x [R0 – RD]
oppure da CAPM
RE = Rf +  E x [RM – Rf]

sapendo che:
 = (1 + (1 – tc) D/E)
E 0

NB: Le tre formule (se applicate con riferimento a ipotesi coerenti) danno lo
stesso risultato.

Riprendiamo l’esempio fatto in presentazione 15, ipotesi 1.


Consideriamo un’impresa stazionaria, indebitata, il cui conto economico si presenta
come segue:
IPOTESI N.1    
DEBITO   =   1750
CONTO  ECON    
Ricavi   6000
Costi monetari operativi (-) -4800
= EBITDA   1200
Ammortamenti e acc.ti (-) -200
= EBIT   1000
Oneri finanziari (-)   -175
= EBT   825
Imposte (-)   -247,5
R.Netto   577,5
Ricordiamo che:
0
  0,667
Rf 10%
Rm-Rf 5%
R0 13,33%
RD = Rf 10%
tc 30%
D/E 0,43

Determiniamo il valore dell’equity.


 
 Soluzione (A): Discounted Cash-Flow Model o DCF

Calcolo FCN
EBIT 1000
– Imposte “teoriche” -300
(“come se” non indebitata)
= EBIT  (1 – tc) 700
+ Amm.ti/Acc.ti 200
– Investimenti -200
= FCN 700

Calcolo WACC
Occorre preventivamente calcolare RE
Da MM 2
RE = R0 + (D/E) x (1-tc) x [R0 – RD] =  14,35%

Oppure da CAPM
E
= (1 + (1-tc) D/E) 0
=  0,870
RE = Rf + E
x [Rm – Rf] = 14,35%

Calcolo dei pesi


D/D+E   30%

   
 E = VL – D = 5775 – 1750 =  4025

 
 Soluzione (B): DCF con valutazione separata degli effetti fiscali

SF = tc x D = 525
   
 E = VU + SF – D = 5250+525-1750 =  4025
 
 
 Soluzione (C): Dividend Discount Model o DDM

   
 4025

La scelta tra le 3 formule è fondata su ragioni pratiche.


Da osservare anche che la soluzione con calcolo “a parte” degli effetti fiscali è più
flessibile perché
consente con più facilità di tenere conto di eventuali dinamiche future (del
debito, dei tassi, delle aliquote).
VALUTAZIONE DI PROGETTI
Dobbiamo analizzare due tipi di implicazioni:
 
A) Implicazioni relative al rapporto tra i tassi di attualizzazione
B) Implicazioni relative agli effetti fiscali
Iniziamo dalle implicazioni relative al rapporto tra i tassi.
I progetti di investimento sono generalmente valutati in base alla formula del VAN,
che è fondata sull’attualizzazione dei FCN INCREMENTALI generati dal progetto.
In altre parole, il progetto viene valutato a DCF come se fosse una mini-impresa.
Si calcola il Valore dell’attivo in base ai FCN attualizzati e si sottrae da tale valore il
costo dell’investimento.

DOVE: FCNt È LA VARIAZIONE DEI FCN DELL’IMPRESA


INDOTTA DAL PROGETTO NEL PERIODO t.
Gli FCN sono attualizzati al WACC del progetto.

Se l’impresa mantiene – per il nuovo progetto – la stessa struttura finanziaria


che ha oggi,
e se inoltre il progetto ha lo stesso rischio delle attività fin qui attuate
dall’impresa,
allora il WACC può essere stimato a partire dal WACC storico dell’impresa.

Se però una o più di tali condizioni non è verificata, il WACC va stimato su base
incrementale, ossia a partire da:
– un’ipotesi di struttura finanziaria (D/E)
–  il costo-opportunità dei finanziamenti attivati sul progetto (RD e RE) tenuto
conto del rischio ad essi connesso
Esiste in realtà una seconda modalità di valutazione dei progetti: il c.d. metodo
FLOW TO EQUITY (FTE).
(presentato sul manuale R-H, cap.17).
Secondo tale metodologia, il progetto viene valutato a DDM come se fosse una mini-
impresa.
Ciò comporta la necessità di individuare i flussi aggiuntivi per gli azionisti comportati
dal progetto.
Essi saranno, tipicamente, aumenti di capitale necessari per sostenere pro-quota il
costo degli investimenti
e dividendi incrementali a valere sui flussi aggiuntivi generati dal progetto.

SE valgono alcune condizioni piuttosto stringenti, FTE = VAN


In realtà, l’utilizzo pratico del metodo FTE è assai limitato, soprattutto per la
maggiore semplicità del VAN.
Vediamo ora le IMPLICAZIONI FISCALI
Se ci sono imposte, è necessario introdurre nelle formule un termine che rifletta
il vantaggio fiscale del debito.
Anche qui tre sono le soluzioni possibili. Esse sono il perfetto equivalente di quanto
visto per la valutazione d’impresa.
(DCF, DCF con valutazione separata degli effetti fiscali e DDM).
Noi però ignoreremo la terza, che è basata sull’utilizzo del metodo FTE (=DDM "di
progetto").
Vediamo invece le altre due.

Soluzione (A): VAN


Il Manuale chiama questa soluzione "metodo del costo medio ponderato del capitale"
(del WACC).
Il VAN del progetto è calcolato in base ai FCN incrementali, che vengono attualizzati
al WACC,
calcolato in modo da riflettere i vantaggi fiscali del debito.

dove:

L’aggiustamento fiscale si scarica sul WACC. Il VAN aumenta di un importo pari al


VA dei risparmi di imposta.
Soluzione (B): valore attuale modificato o VAM
Si calcola un VANU "di progetto" (ossia il valore che il progetto avrebbe se fosse
finanziato solo con equity) e si calcolano a parte il valore degli SF.
Il VANU del progetto è calcolato in base ai FCN incrementali, che vengono attualizzati
a R0
Si tratta di un’applicazione della MM1 al valore del progetto calcolato come se fosse
una mini-impresa.
VAM = VANU + SF

Da osservare che gli SF, in generale, NON sono pari a tc D perché la durata del
progetto
NON è infinita (tc D è il valore di una rendita perpetua).

NB: Le due formule (se applicate con riferimento a ipotesi coerenti)


danno lo stesso risultato. Di fatto la scelta è fondata su ragioni pratiche.
* il “metodo WACC” si usa quando è ragionevole ritenere che il
rischio
“operativo di base” (che determina R0) e il RAPPORTO
di indebitamento (D/E) restino STABILI nel tempo
 
* il “metodo VAM” si usa quando R0 e/o il grado di indebitamento
cambiano nel tempo (soprattutto quando si possono fare previsioni
precise
circa il LIVELLO di debito in ogni anno a venire: es. LBO)
 
* Invece, il FTE è utilizzato molto raramente
(il DDM si usa per valutazioni d’azienda, non per capital
budgeting)
Vediamo un semplice esempio.
Ipotizziamo di avere già calcolato i FCN generati da un progetto di investimento

               
 Anno  0  1  2  3  4  5  6
               
                       
               
 FCN  –12000  1000  1000  3000  4000  5000  6000

Ipotizziamo di finanziare il progetto con un mix di Debito ed Equity stabile nel tempo
e pari a:
D/(D+E) 30%
E/(D+E) 70%
che il tasso di rendimento richiesto su tale investimento, se finanziato solo con equity
sia:
R0 13,33%
che l’ipotizzato ricorso al debito (risk-free) costerebbe:
RD = Rf 10%
che l’aliquota di imposta sia:
tc 30%

CALCOLO DEL VAN SECONDO LA SOLUZIONE (A) (“METODO WACC”)


Si ricava antitutto RE dalla MM2 (con imposte)
RE = R0 + (D/E) x (1 – tc) x (R0 – RD)  = 14,35%
oppure dal CAPM (come sopra)
  =  (1 + (1 – tc) D/E)
E 0
  = 0,870

RE  =  Rf + E
x [Rm – Rf] = 14,35%

Il VAN del progetto (inclusivo dei vantaggi fiscali connessi al debito) è pari al VA dei
FCN attualizzati al WACC.
               
 Anno  0  1  2  3  4  5  6
               
                       
               
 FCN  –12000  1000  1000  3000  4000  5000  6000
               
 Fattore attual.  1,00  0,89  0,80  0,71  0,63  0,56  0,50
               
 VA FCN  –12000  892  795  2128  2531  2822  3020
               
                       
               
 VAN  189                  
CALCOLO DEL VAM SECONDO LA SOLUZIONE (B)
Ipotizziamo ora che il progetto sia finanziato con un ricorso all’indebitamento
variabile nel tempo.
In particolare, sappiamo che l’impresa finanzierà il progetto – in parte – contraendo
un debito pari a 10000, e che il debito sarà rimborsato a quote costanti (2000 ogni
anno) dopo un periodo di preammortamento di un anno (quindi la prima rata di
rimborso si pagherà all’anno 2).

Si calcola anzitutto il VANU del progetto attualizzando i FCN al tasso R0 = 13,33%

               
 Anno  0  1  2  3  4  5  6
               
                       
               
 FCN  –12000  1000  1000  3000  4000  5000  6000
               
 Fattore attual.  1,00  0,88  0,78  0,69  0,61  0,53  0,47
               
 VA FCN  –12000  882  779  2061  2425  2674  2831
               
                       
     
 VU  –348  è il valore che il progetto avrebbe se fosse finanziato solo con equity
(NON include i vantaggi fiscali legati al Debito)

Si calcolano poi i risparmi di imposta connessi al Debito, anno per anno, e li si


attualizza al tasso RD.

               
 Anno  0  1  2  3  4  5  6
               
                       
               
 D  10000  10000  8000  6000  4000  2000  0
               
 RD D     1000  1000  800  600  400  200
               
 tc RD D     300  300  240  180  120  60
               
 Fattore attual.  1,00  0,91  0,83  0,75  0,68  0,62  0,56
               
 VA risparmi     273  248  180  123  75  34
               
                       
               
 SF  932                  
               
 VAM =VANU + SF  584                  
Table of Contents
INDICE
IL PROGRAMMA DEL CORSO
***
Premessa
0. Introduzione alla Finanza Aziendale
1. Le determinanti dei prezzi delle attività finanziarie. Il principio del
valore attuale. La valutazione delle obbligazioni e delle azioni.
2. L’impiego del VAN per l’analisi delle decisioni aziendali.
Definizione del concetto di VAN. Come individuare i flussi rilevanti.
3. Struttura e dinamica finanziaria d’impresa. Lo stato patrimoniale
condensato. I flussi finanziari come elementi causanti la variazione
della struttura finanziaria dell’impresa. La nozione di CCN operativo; i
flussi di CCN operativo.
4. Le determinanti del valore dell’impresa. La valutazione dell’impresa
non indebitata. Rischio, rendimento richiesto e valutazione del capitale
d’impresa. Il concetto di efficienza informativa dei mercati finanziari.
5. La relazione rischio-rendimento nei mercati finanziari e le
implicazioni per la gestione finanziaria aziendale. Gli effetti della
diversificazione sul rischio. Il modello Capital Asset Pricing Model
(CAPM). Ripresa e approfondimento del concetto di efficienza
informativa dei mercati finanziari.
6. Gli effetti della scelta debito/mezzi propri per l’economia
dell’impresa e per la sua valutazione. I teoremi Modigliani-Miller e le
loro implicazioni per la valutazione dell’impresa.
7. La coerenza tra flussi e tassi nei processi di valutazione. Il tasso di
rendimento impiegato nel calcolo del VAN (la nozione di WACC).
Interdipendenza tra decisioni di finanziamento e valore delle decisioni
di investimento (metodologie del VAM, WACC e FTE).
DUE INDICATORI DI VALUTAZIONE: IL RAPPORTO PREZZO/UTILI E IL
RAPPORTO VALORE DI MERCATO/VALORE DI LIBRO DEL PATRIMONIO
NETTO
***
Il rapporto prezzo/utili
Il rapporto valore di mercato/valore di libro del patrimonio netto
L’UTILIZZO DEI DATI CONTABILI IN FINANZA AZIENDALE; I PROSPETTI
DEI FLUSSI FINANZIARI
***
1. L’utilizzo dello stato patrimoniale per l’analisi della struttura
finanziaria dell’impresa
2. Lo stato patrimoniale condensato
3. Il Capitale Circolante Netto
4. I prospetti dei flussi finanziari
5. L’importanza dei flussi finanziari in finanza aziendale
6. Come si rappresentano i flussi finanziari
7. Una metodologia semplificata per il calcolo del prospetto dei flussi
di CCN operativo
LE IMPLICAZIONI DELLA TEORIA DELLA DIVERSIFICAZIONE E DEL
CAPM PER LA GESTIONE D’IMPRESA
LE SCELTE DI STRUTTURA FINANZIARIA; GLI EFFETTI DEI COSTI DI
TRANSAZIONE E DELLA PREFERENZA PER L’ORDINE GERARCHICO DI
ATTIVAZIONE DELLE FONTI DI FINANZIAMENTO
***
Il modello di scelta di struttura finanziaria di MM e la realtà
dell’impresa
La staticità del modello MM e la dinamica finanziaria dell’impresa
Le possibilità di ribilanciamento verso la struttura finanziaria ottimale
La teoria dell’ordine gerarchico di attivazione delle fonti di
finanziamento
INTRODUZIONE ALLA FINANZA AZIENDALE
IL VALORE DI UN’OBBLIGAZIONE
IL VALORE DI UN’AZIONE
CRITERI DI VALUTAZIONE DEGLI INVESTIMENTI
L’UTILIZZO DEI DATI CONTABILI NELLA FINANZA AZIENDALE:
INTRODUZIONE
PROSPETTI DEI FLUSSI FINANZIARI
“ROSSI E GUARNERI SPA”
COME CALCOLARE UN PROSPETTO DEI FLUSSI ATTESI?
INTERPRETAZIONE DEI PROSPETTI DEI FLUSSI FINANZIARI
FLUSSI E PROCEDIMENTI DI VALUTAZIONE
INTRODUZIONE A RISCHIO E RENDIMENTO
DALLA FRONTIERA EFFICIENTE ALL’EQUILIBRIO DI MERCATO
DECISIONI DI FINANZIAMENTO (STRUTTURA FINANZIARIA)
DECISIONI DI FINANZIAMENTO (STRUTTURA FINANZIARIA)
DECISIONI DI FINANZIAMENTO (STRUTTURA FINANZIARIA) MM E LE
IMPOSTE SUI REDDITI SOCIETARI
MM E FORMULE DI VALUTAZIONE

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