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FINANZA AZIENDALE
– Edizione 2019 –
a cura di
MASSIMO B eS R
ELCREDI ILVIA IGAMONTI
Milano 2019
EDUCatt - Ente per il Diritto allo Studio Universitario dell’Università Cattolica
© 2019
Largo Gemelli 1, 20123 Milano - tel. 02.7234.22.35 - fax 02.80.53.215
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web: www.educatt.it/libri
Edizione realizzata a scopo didattico. L’editore è disponibile ad assolvere agli obblighi di copyright per i materiali eventualmente utilizzati all’interno della pubblicazione per i quali non sia
stato possibile rintracciare i beneficiari.
INDICE
LETTURE
Lettura n. 1
Due indicatori di valutazione: il rapporto prezzo/utili e il rapporto valore di
mercato/valore di libro del patrimonio netto
Lettura n. 2
L’utilizzo dei dati contabili in finanza aziendale; i prospetti dei flussi finanziari
Lettura n. 3
Le implicazioni della teoria della diversificazione e del capm per la gestione
d’impresa
Lettura n. 4
Le scelte di struttura finanziaria; gli effetti dei costi di transazione e della
preferenza per l’ordine gerarchico di attivazione delle fonti di finanziamento
PRESENTAZIONI
Presentazione 1
Introduzione alla finanza aziendale
Presentazione 2
Il valore di un’obbligazione
Presentazione 3
Il valore di un’azione
Presentazione 4
Criteri di valutazione degli investimenti
Presentazione 5
L’utilizzo dei dati contabili nella finanza aziendale: introduzione
Presentazione 6
Prospetti dei flussi finanziari
Presentazione 7
“Rossi e Guarneri SpA”
Presentazione 8
Come calcolare un prospetto dei flussi attesi?
Presentazione 9
Interpretazione dei prospetti dei flussi finanziari
Presentazione 10
Flussi e procedimenti di valutazione
Presentazione 11
Introduzione a rischio e rendimento
Presentazione 12
Dalla frontiera efficiente all’equilibrio di mercato
Presentazione 13
Decisioni di finanziamento (struttura finanziaria)
Presentazione 14
Decisioni di finanziamento (struttura finanziaria)
Presentazione 15
Decisioni di finanziamento (struttura finanziaria) mm e le imposte sui redditi
societari
Presentazione 16
MM e formule di valutazione
IL PROGRAMMA DEL CORSO
Premessa
Questa presentazione del programma illustra in dettaglio i vari argomenti svolti
durante il corso. Per ciascun punto del programma vengono indicati i capitoli di
riferimento del Manuale (“Corporate Finance” di Ross-Hillier-Westerfield-Jaffe
(R-H)), alcune letture aggiuntive e le Presentazioni usate a lezione (sia le letture che
le presentazioni sono riportate nella presente dispensa).
Lo studio ottimale della materia comporta – oltre che la frequenza assidua alle lezioni
– la lettura tempestiva (ossia graduale, in contemporanea alle lezioni) e combinata di
tutti i supporti didattici utilizzati (Manuale, Letture, Presentazioni), che sono –
ovviamente – tra loro complementari e non sostitutivi l’uno dell’altro. È assai utile
accompagnare frequenza e studio dei singoli punti del programma con lo svolgimento
– sempre graduale – degli esercizi a fondo capitolo del Manuale (per i capitoli indicati
relativamente a ciascun punto del programma) e dei temi d’esame di anni passati –
disponibili su Blackboard con le relative soluzioni – che saranno di volta in volta
indicati dal docente.
1. Le determinanti dei prezzi delle attività finanziarie. Il principio del valore
attuale. La valutazione delle obbligazioni e delle azioni.
Obiettivo di questa parte del programma: introdurre la regola del valore attuale, che
costituisce uno strumento di valutazione utilizzato in tutto il corso. Si analizza
l’applicazione del concetto di valore attuale alla valutazione di azioni e obbligazioni.
Viene inoltre introdotta la nozione di efficienza informativa dei mercati finanziari, che
riguarda la capacità dei mercati finanziari di esprimere con efficienza i prezzi delle
attività finanziarie secondo il principio del valore attuale. Vengono ripresi in questa
parte argomenti di matematica finanziaria, di cui viene illustrata l’utilità per la
Finanza Aziendale.
Testi di riferimento per lo studio: il cap. 4 del R-H contiene la parte più strettamente
matematico-finanziaria di definizione e applicazione della nozione di valore attuale. Il
cap. 4 è composto di quattro paragrafi. L’unico paragrafo superfluo per le applicazioni
utilizzate nel corso è il terzo, sui periodi di capitalizzazione, in quanto per semplicità
si utilizzeranno sempre – nel corso e negli esercizi d’esame – periodi annuali con tassi
di capitalizzazione composta. Tutti gli altri paragrafi trattano materiale utilizzato nel
corso, utile per svolgere gli esercizi d’esame (con l’avvertenza che sono solitamente
richiesti esercizi in cui il problema è l’attualizzazione piuttosto che il calcolo di un
montante).
Il cap. 5 del R-H affronta l’applicazione del principio del valore attuale alla
valutazione di obbligazioni e azioni, e il suo contenuto è coperto integralmente.
Il cap. 13 del R-H riguarda l’efficienza informativa dei mercati dei capitali. Si ritiene
utile anticipare parzialmente la trattazione di questo punto in questo segmento di
lezioni. La piena trattazione del contenuto del cap. 13 sarà svolta solo con il punto 5
del programma del corso. In pratica, in questo stadio, vengono solo fornite definizioni
corrispondenti ai paragrafi 13.2 e 13.3. Si veda inoltre la Lettura n. 1. Si allega il
testo delle Presentazioni 1, 2 e 3 utilizzate a lezione.
2. L’impiego del VAN per l’analisi delle decisioni aziendali. Definizione del
concetto di VAN. Come individuare i flussi rilevanti.
Obiettivo di questa parte del programma: chiarire le motivazioni della superiorità del
criterio del VAN come criterio di selezione dei progetti di investimento, mettendolo a
confronto con alcuni criteri alternativi. Vengono inoltre approfondite alcune
problematiche che riguardano particolari tipologie di progetti d’investimento, che
vengono risolte con specifiche procedure di calcolo.
Testi di riferimento per lo studio: cap. 6 del R-H. Si allega il testo della
Presentazione 4 utilizzata a lezione.
6. Gli effetti della scelta debito/mezzi propri per l’economia dell’impresa e per la
sua valutazione. I teoremi Modigliani-Miller e le loro implicazioni per la
valutazione dell’impresa.
Obiettivo di questa parte del programma: analizzare gli effetti della scelta di struttura
finanziaria sul valore dell’impresa. In un primo momento si completa l’analisi
dell’utilizzo dei dati contabili nelle decisioni finanziarie aziendali. Si tratteranno gli
indicatori di struttura finanziaria ricavabili dal bilancio d’esercizio, discutendo il loro
ruolo nell’attribuzione del processo di rating al debito aziendale e le conseguenze in
termini di tasso di interesse richiesto. Si sposterà poi l’attenzione sul punto di vista
degli azionisti, interessati ad esaminare gli effetti della struttura finanziaria sul valore
delle azioni. Si procede quindi all’analisi dei teoremi Modigliani-Miller, introducendo
lo studente alla comprensione di alcuni dei principali aspetti rilevanti della struttura
finanziaria per il valore delle azioni, in particolare imposte (dirette e indirette) e costi
del dissesto.
Testi di riferimento per lo studio: cap. 15 del R-H. Il cap. 16 è ad utilizzo parziale:
sono da studiare i paragrafi 16.1, 16.2.1, 16.2.2, 16.4 e 16.10. Si vedano inoltre la
Lettura 4, nonché le presentazioni 13, 14 e 15.
7. La coerenza tra flussi e tassi nei processi di valutazione. Il tasso di rendimento
impiegato nel calcolo del VAN (la nozione di WACC). Interdipendenza tra
decisioni di finanziamento e valore delle decisioni di investimento (metodologie
del VAM, WACC e FTE).
Obiettivo di questa parte del programma: rivisitare gli argomenti trattati in
precedenza al fine di esaminare quali siano gli aspetti specifici di cui è necessario
tenere conto quando si valutano aziende o progetti di investimento realizzati da
imprese che (come normalmente accade) siano indebitate. Vengono quindi analizzate
nei loro risvolti applicativi le tre metodologie del VAM (Valore Attuale Modificato),
WACC (Weighted-Average-Cost-of-Capital, cioè Costo medio ponderato del capitale)
e FTE (Flow-To-Equity).
Testi di riferimento per lo studio: cap. 17 del R-H. Si veda anche la presentazione 16,
utilizzata a lezione.
LETTURE
Lettura n. 1
DUE INDICATORI DI VALUTAZIONE:
IL RAPPORTO PREZZO/UTILI E IL RAPPORTO
VALORE
DI MERCATO/VALORE DI LIBRO DEL
PATRIMONIO NETTO
Si tratta di due indicatori molto utilizzati nella pratica per sintetizzare la valutazione
che il mercato attribuisce o può attribuire a una determinata impresa. Il loro utilizzo è
in realtà suscettibile di diverse sfumature, su cui vale la pena soffermarsi. Mentre il
primo (il rapporto prezzo/utili) è abbondantemente trattato dal R-H (par. 5.8), sul
secondo ci sono nel testo solo pochi accenni (par. 14.1).
Il rapporto prezzo/utili
Il testo fornisce molte informazioni su questo indicatore, che sono riprese e in parte
sviluppate durante il corso, e che in questa sede possono essere riassunte come segue.
1. Si può dire che se un’impresa non ha opportunità di crescita con VAN positivo, la
misura del rapporto Prezzo/Utili (P/U) dovrebbe essere pari all’inverso del tasso di
rendimento richiesto dagli investitori (il costo-opportunità R, pari al rendimento
offerto dal miglior investimento alternativo, a parità di condizioni). Per imprese
con opportunità di crescita, si somma a ciò il rapporto tra VAN delle opportunità di
crescita (VANOC) e utili.
2. In generale: P = U / R + VANOC, dove U = Utile per azione e P = Prezzo di
un’azione. Alternativamente: MV = U x N / R + VANOC, dove MV è il valore di
mercato di tutte le azioni (la capitalizzazione di mercato) e N è il numero totale di
azioni emesse dall’impresa.Se VANOC = 0, allora la formula si riduce a: P = U / R.
Di qui, dividendo ambo i membri per U, si ottiene: P / U = 1 / R.
3. Il valore del rapporto prezzo/utili dipende però anche da aspetti strettamente
contabili riguardanti il denominatore del rapporto. Due imprese molto simili
possono adottare politiche di bilancio differenti, che tendono in un caso a
evidenziare utili elevati, nell’altro utili moderati. Nella misura in cui il mercato
finanziario è in grado di valutare criticamente le politiche di bilancio, attribuirà un
valore del rapporto più elevato alla seconda impresa, che ha utili “di migliore
qualità” dal punto di vista della politica di bilancio che li ha prodotti.
4. Se siamo disposti ad accettare che il mercato finanziario possa sbagliare le sue
valutazioni – e quindi in ultima analisi che sia violata l’ipotesi di efficienza
informativa in forma semi-forte – un elevato rapporto prezzo/utili potrebbe
denunciare una erronea sopravvalutazione delle azioni, e un rapporto basso una
loro sottovalutazione. L’implicazione sarebbe: compra azioni con bassi rapporti
P/U e vendi azioni con elevati rapporti P/U.
5. La misura del rapporto P/U dipende anche dalla rischiosità di una certa impresa, in
quanto a maggiore rischiosità corrisponde un maggior tasso di attualizzazione (R)
impiegato per valutare l’impresa. Ora, al punto 1) si è richiamato che la misura del
rapporto P/U dovrebbe essere pari all’inverso del tasso di rendimento atteso dagli
investitori. Quindi imprese con maggior rischio avranno, a parità di utile e di
VANOC, un più basso rapporto prezzo/utili. Dopo aver svolto la parte sul CAPM,
si disporrà di tutti gli elementi per comprendere che il rendimento richiesto sui
titoli azionari, il quale coincide con il tasso di attualizzazione impiegato nelle
formule di valutazione, varia in funzione del rischio dell’impresa, e si disporrà
anche di una definizione precisa di “rischio” delle azioni dell’impresa.
7. Una metodologia semplificata per il calcolo del prospetto dei flussi di CCN
operativo
La Presentazione 6 espone, tramite un esempio, un metodo semplificato di calcolo del
prospetto dei flussi di CCN operativo. Il metodo generale completo presuppone
l’acquisizione della tecnica dei “fogli di lavoro” con i quali si passa dai dati di
bilancio ai prospetti dei flussi; con tale metodo è possibile rielaborare le varie
situazioni contabili, complesse a piacere, che si presentano in pratica. La metodologia
semplificata che si presenta qui è invece sufficiente solo a passare ai prospetti dei
flussi partendo dai bilanci “stilizzati” che si utilizzano nel corso e nei temi d’esame. A
fini didattici, tuttavia, questa metodologia è soddisfacente, in quanto permette di
comprendere in modo esauriente gli elementi essenziali del problema.
Il metodo in questione, per il quale si rinvia alla Presentazione 6, si impernia sulla
memorizzazione della necessità di compiere un numero fisso di passi, che sono:
1. Calcolo dei flussi relativi all’area di gestione finanziaria:
1a. Calcolo dell’incremento (decremento) dei debiti finanziari a breve
1b. Calcolo dell’incremento (decremento) dei debiti finanziari a medio-lungo
termine
1c. Calcolo dei mezzi provenienti dagli azionisti e dei pagamenti di dividendi
2. Calcolo dei flussi relativi all’area di gestione operativa:
2a. Calcolo del flusso di gestione operativa
2b. Calcolo del pagamento di imposte
2c. Calcolo dei pagamenti di TFR
3. Calcolo dei flussi relativi all’area di gestione degli investimenti:
3a. Calcolo degli investimenti e disinvestimenti di immobilizzazioni
3b. Calcolo dell’incremento (decremento) di CCN operativo
4. Calcolo dell’incremento (decremento) della liquidità.
La variazione della liquidità deve pareggiare il saldo dei flussi delle altre tre aree.
Lettura n. 3
LE IMPLICAZIONI DELLA TEORIA DELLA
DIVERSIFICAZIONE E DEL CAPM PER LA
GESTIONE D’IMPRESA
Su questo tema sono opportune alcune note d’integrazione al contenuto del cap.12 del
R-H. Nel corso di questo capitolo è ben chiarito come il CAPM fornisca gli
ingredienti per la determinazione della grandezza del costo del capitale, fondamentale
nei processi di valutazione del capitale d’impresa e di singoli progetti di investimento.
La teoria del prezzo del rischio sui mercati dei capitali (il CAPM non è altro che
questo) ha però vari ulteriori risvolti per la “filosofia” stessa con la quale l’azienda
deve approcciare il rapporto con gli investitori.
Un aspetto che merita assolutamente sottolineare è quello che possiamo etichettare
come additività del valore.
Il punto riguarda la convenienza a perseguire strategie di diversificazione aziendale.
Prima che il contenuto delle teorie della diversificazione finanziaria e del CAPM
uscisse dall’ambito accademico e divenisse largamente noto in ambito manageriale
(soprattutto a partire dagli anni ’80) era comunemente ritenuto che la diversificazione
fosse un bene in sé per le imprese di maggiore dimensione. Gli anni ’60 e ’70 erano
state per le grandi imprese – in primo luogo americane ma anche di altri paesi, come
il nostro – gli anni d’oro della creazioni di grandi “conglomerate”, cioè imprese in cui
si teorizzava l’opportunità di essere presenti in diversi settori industriali, con varie
divisioni della stessa impresa, o con schemi di gruppi di imprese strettamente
coordinati da una holding e quindi operanti unitariamente. Un’impresa conglomerata
può essere un’impresa presente contemporaneamente in settori disparati come i beni
di consumo e i servizi alberghieri.
La giustificazione teorica di questo assetto strategico era fornita dal modello del
Boston Consulting Group (BCG), che curiosamente forniva una motivazione che può
essere definita di tipo finanziario. Tale modello argomentava l’opportunità della
presenza in vari settori, asserendo che una grande impresa doveva essere presente in
un portafoglio di industrie e prodotti in modo tale da bilanciare i fabbisogni finanziari
e continuare ad avere opportunità di crescita. Nel portafoglio ideale ci sarebbero
dovute essere combinazioni di industrie/prodotti a diversi livelli di crescita, in modo
tale che i settori ad elevato sviluppo – e quindi normalmente con ampi fabbisogni
finanziari – fossero finanziati da industrie/ prodotti maturi, che sperimentando tassi di
crescita bassi o nulli – se profittevoli – generano flussi di cassa reimpiegabili
all’interno della conglomerata.
Si tratta, con tutta evidenza, di una visione che ipotizza la necessità che l’impresa sia
in grado nel complesso di autofinanziarsi, e quindi di essere indipendente dal sistema
finanziario. È un primo punto abbastanza criticabile di questa filosofia. Non è infatti
chiaro perché per finanziarie una combinazione industria/prodotto in crescita sia
necessario utilizzare all’interno della stessa impresa l’eccedenza di liquidità di altri
settori (creando cioè quello che spesso viene definito “mercato interno dei capitali)
anziché semplicemente ottenere finanziamenti dal mercato dei capitali vero e proprio;
se questo è efficiente, dovrebbe essere bene in grado di fare pervenire mezzi a
business profittevoli, ma che hanno fabbisogni finanziari perché sono in crescita (un
esempio più recente della capacità del mercato di mobilitare ingenti capitali per
finanziare imprese in crescita – in questo caso, prima ancora che diventassero
profittevoli – è stato quello dei cosiddetti “titoli internet”).
Strettamente collegata a questa motivazione di favore per le conglomerate era quella
secondo cui nelle conglomerate la presenza di varie combinazioni prodotto/settore
permette di “stabilizzare gli utili”. È un argomento che ha a che fare con gli effetti
della diversificazione per un portafoglio di titoli; come la diversificazione tra vari
titoli permette di ridurre il rischio complessivo di un portafoglio, e quindi stabilizza i
risultati attorno al rendimento atteso, così la diversificazione nelle conglomerate
permette di ridurre il rischio non sistematico legato agli andamenti negativi dei vari
settori di attività. Quando l’impresa è presente in vari settori, se in un esercizio un
singolo settore ottiene per fattori esogeni risultati inferiori alle aspettative, il suo
risultato sarà probabilmente compensato da quello di qualche altro settore in cui
l’impresa è presente.
A prima vista – soprattutto se non si è ancora studiato l’effetto della diversificazione
per l’investimento in titoli – potrebbe quindi sembrare che la diversificazione
conglomerale crei valore. Si prenda infatti un’impresa conglomerata e un’altra non
conglomerata con lo stesso livello di utili attesi futuri. L’impresa conglomerata offrirà
una minore variabilità degli utili attorno al valore atteso e quindi, si potrebbe
argomentare, investitori avversi al rischio dovrebbero essere disposti a pagare di più
per le sue azioni.
L’argomento però non è valido per la semplice ragione che la conglomerata non fa
altro che ciò che è in grado di fare da solo, e a minor prezzo (in termini di costi di
transazione), il singolo investitore. Tramite il processo di diversificazione sul mercato
azionario, questi può eliminare fino al massimo possibile il rischio specifico, fino a
rimanere esposto, quando detiene il portafoglio di mercato, al solo rischio sistematico.
Se l’investitore ha già “stabilizzato” al massimo il rendimento della sua ricchezza,
non ha per lui nessun pregio che anche l’impresa intraprenda un processo simile. Nei
termini del CAPM, non è interessato alla varianza complessiva del rendimento del
titolo azionario dell’impresa conglomerata, ma solo al suo coefficiente beta. Se due
imprese hanno lo stesso livello di utili e dividendi attesi, e lo stesso coefficiente beta,
esse hanno anche lo stesso valore, anche se una è conglomerata – e quindi ha bassa
varianza complessiva del rendimento – e l’altra non lo è, e quindi è maggiormente
esposta al rischio specifico del suo singolo campo di attività.
Dovrebbe essere intuitivo che creare grandi imprese conglomerate solo per
stabilizzare gli utili è assurdamente costoso. Mentre un investitore deve
semplicemente pagare commissioni d’acquisto per diversificare, un’impresa
conglomerata deve sopportare i costi dell’accresciuta complessità manageriale
(istituire sistemi più pesanti di controllo di gestione e sopportare i costi di uno staff
dirigenziale di gruppo; integrare culture manageriali profondamente diverse nei vari
settori; se prende alla lettera le prescrizione del modello BCG, sopportare i costi di
monitoraggio informativo di settori industriali disparati, per curare possibili
opportunità d’investimento) che sono infinitamente più elevati.
Ecco perché negli anni ’80 e ’90 all’idea strategica della “crescita conglomerale” si è
contrapposta quella della “focalizzazione”. Alla base della sottolineatura dei benefici
della focalizzazione c’è l’idea che la diversificazione settoriale di per sé non porti
benefici, ma costi; e che, comunque, il modo migliore in cui un’impresa può garantire
la propria sopravvivenza in mercati concorrenziali sia quello di essere eccellente; ora,
è molto difficile per un’impresa essere in grado di eccellere nel fare più di un piccolo
numero di cose – se non una sola – che sono quelle su cui dovrebbe appunto
focalizzarsi.
Ciò non va preso come un’affermazione categorica, posta dalla moderna teoria
finanziaria, dell’impossibilità di sopravvivenza di un’impresa conglomerale.
Certamente, però, la teoria finanziaria dà una forte indicazione secondo cui
l’autosufficienza finanziaria e la riduzione del rischio non sono motivazioni sufficienti
per una strategia conglomerale; un’impresa che voglia perseguirla ne deve trovare
altre. Esistono e prosperano tutt’oggi imprese ampiamente diversificate, e addirittura
imprese conglomerali nello stile degli anni ’70. Spesso, però, hanno motivazioni
specifiche di esistenza. Per esempio, una delle principali imprese francesi è la LVMH
(Louis Vuitton-Moet-Hennessy) che vende prodotti disparati come l’abbigliamento di
alta moda, i cosmetici di gamma elevata e lo champagne. Cosa accomuna questi
prodotti? Il fatto di essere prodotti considerati “di lusso”. LVMH ha infatti perseguito
una strategia – al momento in cui vengono scritte queste note, sembra con molto
successo – di eccellere nel marketing, pubblicità, distribuzione e vendita di prodotti di
lusso, sviluppando in tal modo sinergie tra prodotti che sembrano merceologicamente
non correlati. A suo modo è quindi nel contempo diversificata e focalizzata.
Vi è poi un risvolto più applicativo della possibilità che ha l’investitore di
diversificarsi a minor costo dell’impresa. Il fatto che la gestione d’impresa non debba
preoccuparsi più di tanto dell’effetto delle decisioni sul rischio complessivo, perché
comunque il valore dipende solo dal rischio sistematico (nel CAPM, il coefficiente
beta) facilita enormemente l’effettuazione di una serie di scelte di convenienza. Se
l’impresa dovesse tenere conto del rischio complessivo, non potrebbe analizzare i
progetti d’investimento uno per uno; ogni progetto potrebbe essere giudicato
diversamente a seconda dei progetti – già in essere o da intraprendere – con i quali si
combinerebbe. Bisognerebbe cioè tenere conto della correlazione dei risultati di un
progetto con quelli degli altri. Per un’impresa varrebbe molto un progetto poco
correlato con gli altri, perché permetterebbe di ridurre il rischio complessivo.
Fortunatamente non è così. Per valutare un progetto bisogna tenere conto solo del suo
rischio sistematico. Sappiamo che, se è valido il CAPM, il rischio sistematico è
perfettamente misurato dal beta. Il beta dell’impresa nel suo complesso è usato dagli
investitori per valutare l’impresa. Esiste un’importante proprietà statistica, per cui il
beta è additivo; cioè, il beta dell’impresa è pari alla media ponderata dei beta delle
parti (siano esse le sue divisioni o i singoli progetti d’investimento in cui possiamo
scomporla). Quest’ultima proprietà è quella che ci rende certi dell’appropriatezza
dell’analizzare uno per volta i progetti di ìnvestimento.
L’additività del valore vuol dire che, ad esempio, se il valore di un’impresa è riferibile
a tre grandi aree di investimento (business units o divisioni) A, B e C; il valore di A è
il 25% del valore complessivo, quello di B è il 35%, quello di C è il 40%; il beta
dell’impresa è pari a:
i
= 0,25 A
+ 0,35 B
+ 0,40 C
Nei capitoli15e 16 del R-H sono introdotti alcuni argomenti di grande importanza. Le
presenti note vogliono aggiungere al contenuto del testo alcune considerazioni, volte
soprattutto a far riflettere su come i concetti presentati nel testo vengono applicati
nella realtà aziendale.
e
OPERATORI IN DEFICIT
(mezzi di pagamento < necessità di consumo)
(tipicamente, imprese e Enti pubblici)
IL MERCATO FINANZIARIO
permette di allineare necessità di consumo e disponibilità di risorse
La differenza tra ciò che riceve l’operatore in deficit e ciò che promette di pagare
misura il:
– costo del FINANZIAMENTO per gli operatori in deficit
– rendimento dell’INVESTIMENTO per gli operatori in surplus
A) di INVESTIMENTO
Rinuncia al consumo immediato di risorse, che
sono impiegate per acquistare
(2) RISCHIO
Esempio
Un investitore ha acquistato lo scorso anno un’obbligazione al prezzo di 100.
Oggi l’obbligazione paga una cedola pari a 5 e l’investitore rivende
l’obbligazione a 102.
Il rendimento ex post è pari a:
Il rendimento atteso è la media dei rendimenti possibili in ciascuno “stato del mondo”
(ponderata per le rispettive probabilità di manifestazione)
OPPORTUNITÀ DI INVESTIMENTO
* RENDIMENTO ATTESO
* rischio (che vedremo dopo)
possiamo ricavare:
In generale, un euro oggi vale più di un euro tra un anno. Se disponiamo di un euro
oggi, possiamo
investirlo. Per esempio, se lo depositiamo su un c/c bancario che paga interessi al 3%,
dopo un anno
avremo a disposizione 1,03 euro.
IN GENERALE:
è la formula che si usa per stabilire il VALORE ATTUALE
di un titolo che paga una somma F dopo t anni
Assumeremo solitamente che i periodi siano anni. Quindi t=1 significa che
la somma viene pagata tra un anno, t=3 significa che la
somma viene pagata tra tre anni, eccetera. Anche il
rendimento è allora un rendimento annuale.
Esempi:
con R = 8%
In termini generali, per un investimento che paghi flussi per n periodi (anni):
t 0 1 2 3 ... n
Flusso I0 F1 F2 F3 ... Fn
1
...
0 1 2 3 4 5
Investimento iniziale – 40000
Flussi di cassa 12000 12000 12000 12000 12000
Fattore di attualizzazione 0,935 0,873 0,816 0,763 0,713
Flussi attualizzati – 40000 11215 10481 9796 9155 8556
VAN (€) 9202
– avversi al rischio
– indifferenti al rischio
– propensi al rischio
Qual è il rischio “rilevante” per gli investitori? Come misurarlo? Come determinare il
premio richiesto?
IL RISCHIO DELLE ATTIVITÀ FINANZIARIE
Possibilità che il rendimento ex post diverga da quello atteso
Un investimento è PRIVO DI RISCHIO (RISK FREE) se non sussiste incertezza
sulla misura dei flussi di pagamento che corrisponderà in futuro
Chiaramente il rischio di detenere un’azione è che i suoi dividendi più il valore finale
siano
maggiori o minori rispetto a quelli attesi.
Che cosa provoca la fluttuazione dei prezzi e dei dividendi delle azioni?
Solitamente prezzi e dividendi variano con riferimento a:
1. notizie specifiche sull’impresa (per esempio l’impresa ha ideato un nuovo
prodotto)
2. notizie riguardanti il mercato, che si riferiscono cioè all’economia nel suo
complesso (per
esempio, la Banca Centrale modifica il livello dei tassi di interesse, il Fisco modifica
la tassazione)
Nel primo caso, le variazioni nel rendimento rappresentano un rischio specifico della
singola impresa.
Nel secondo caso, le informazioni sull’intera economia influenzano, sebbene in
misura diversa, tutte
le azioni delle varie imprese.
Presentazione 2
IL VALORE DI UN’OBBLIGAZIONE
Dato che il valore attuale di un flusso di cassa futuro è sempre inferiore al valore del
flusso di cassa,
prima della scadenza, il prezzo di un’obbligazione zero-coupon sarà sempre inferiore
al
valore nominale.
Per esempio, consideriamo un’obbligazione zero-coupon con scadenza tra un anno e
valore nominale
pari a 100. Se il tasso di interesse di mercato è il 3%, qual è il valore attuale
dell’obbligazione?
Consideriamo l’impresa Alfa che emette oggi un’obbligazione che paga un tasso
d’interesse cedolare
del 5% annuo e rimborsa un capitale di 100 alla scadenza del quinto anno.
Al momento dell’emissione è ragionevole assumere che l’impresa fissi un tasso
cedolare in linea
con il tasso di interesse di mercato
Qual è il valore attuale ossia il prezzo dell’obbligazione?
Il rendimento di mercato a t0 è 5,00%
È immediato notare che se il tasso di mercato non varia, il rendimento ex post che
consegue l’investitore
è pari al tasso cedolare.
Cosa succede se dopo l’emissione, varia il tasso di mercato?
Ipotizziamo che la banca centrale annunci una riduzione del tasso di interesse di
mercato.
Il titolo ora quota sopra la pari. Una riduzione del tasso di mercato ha generato un
aumento del prezzo
dell’obbligazione. Un tasso di mercato meno elevato implica infatti un minor tasso di
attualizzazione dei
flussi di cassa residui dell’obbligazione, aumentandone il valore attuale e di
conseguenza anche il prezzo
Il titolo ora quota sotto la pari. Un aumento del tasso di mercato ha generato una
riduzione del prezzo
dell’obbligazione. Un tasso di mercato più elevato implica infatti un maggior tasso di
attualizzazione
dei flussi di cassa residui dell’obbligazione, diminuendone il valore attuale e di
conseguenza anche il prezzo
Ipotizziamo che siano in circolazione titoli che offrono un tasso cedolare del 5%
emessi alla pari
(quindi al momento dell’emissione t0 il rendimento di mercato era pari al 5%)
I titoli hanno un valore nominale pari a 100.
Assumiamo che sia trascorso un anno dall’emissione.
L’investitore ha dunque acquistato l’obbligazione lo scorso anno a 100 e oggi ha
incassato la cedola di 5
Ipotizziamo che la banca centrale annunci una riduzione del tasso di interesse di
mercato.
Ipotizziamo che la banca centrale annunci una riduzione del tasso di interesse di
mercato.
Il rendimento alla scadenza coincide con il tasso di interesse di mercato, poiché tutti
gli investimenti (privi di
rischio) con scadenza ad un anno devono rendere il 3%.
I fogli di lavoro hanno una funzione pre-impostata (tir.cost), altrimenti si procede con
il
metodo dell’interpolazione lineare, da cui si ricava:
YTM = 3%
Da quanto detto è implicito che il rendimento alla scadenza esprime una misura di
rendimento che
l’investitore può attendersi di ottenere dall’acquisto dell’obbligazione se e solo se
valgono le seguenti
ipotesi:
a. l’investitore acquista oggi l’obbligazione e la mantiene in portafoglio sino alla
scadenza;
b. il tasso di mercato non cambia sino alla scadenza (e dunque le cedole sono
reinvestite al tasso di mercato)
c. l’emittente effettua regolarmente i pagamenti delle cedole e il rimborso del valore
nominale (non esiste quindi rischio di insolvenza).
Presentazione 3
IL VALORE DI UN’AZIONE
nel caso delle azioni, identifichiamo i flussi con i dividendi, e possiamo scrivere
DIVt al posto di Ft
Per un’impresa di cui sapessimo già che verrà posta in liquidazione dopo n anni,
denotando con Ln il valore di liquidazione all’n-esimo anno, potremmo scrivere:
Questo modello per la determinazione del prezzo delle azioni è noto come
Dividend Discount Model (DDM)
A livello logico, inoltre, la stessa idea di valutare un investimento che paga flussi
per infiniti anni può apparire sbagliata, perchè nessun individuo vive all’infinito.
Fortunatamente, si può dimostrare che non c’è incompatibilità tra il fatto che
un investitore detenga il titolo azionario per un certo numero di anni e poi
lo rivenda, e il dire che il valore dipende dal valore attuale dei flussi
in un orizzonte potenzialmente infinito.
Data una serie infinita di investitori che comprano il titolo e lo tengono per tre anni,
il PREZZO OGGI del titolo è rappresentabile come il valore attuale di una
successione infinita di dividendi.
Valore dell’azione e valore dell’equity
Il modello del DDM, a seconda di come è impiegato, consente di determinare
il valore della singola azione o il valore del capitale azionario (o valore dell’equity –
E).
Se disponiamo del dividendo per azione, la formula ci consente di trovare il
valore della singola azione. Il valore del capitale azionario sarà pari al valore della
singola azione moltiplicato il numero di azioni in circolazione.
Se attualizziamo il monte dividendi corrisposto dall’impresa, allora determineremo
il valore dell’equity. Il valore della singola azione sarà quindi determinato dividendo
il valore dell’equity per il numero di azioni in circolazione.
Valore dell’equity e valore dell’impresa
Dato che, sinora, stiamo assumendo che l’impresa sia finanziata esclusivamente con
capitale azionario, allora
il valore dell’equity stimato attraverso il DDM fornisce immediatamente una stima
del valore dell’attivo
dell’impresa (o enterprise value – EV).
Possiamo pensare ad un bilancio semplificato (a valori di mercato) dell’impresa:
Attivo Equity
Se invece l’impresa è finanziata sia con debito che con equity (come peraltro
normalmente accade, ma sul
punto si tornerà più avanti), allora il bilancio (a valori di mercato) si presenterà come
segue:
Attivo Debito
Equity
Il valore dell’attivo sarà pari al valore totale del passivo, quindi: Vatt = D + E
Se l’impresa è indebitata, l’Enterprise Value non coincide con l’Equity Value.
L’Enterprise Value sarà pari alla somma dell’Equity Value e del valore del Debito.
se e solo se g < R
Esistono altre formule di matematica finanziaria che possono tornare utili nel
calcolo di valori attuali di rendite
Rendita limitata a rate costanti
Una somma F costante è pagata per un numero n di anni
Il valore attuale è pari a quello della rendita perpetua che inizia oggi
meno il valore attuale di una rendita perpetua che inizia tra n anni
ossia:
F = valore iniziale dei pagamenti g = tasso di crescita del pagamento
Impresa Beta
Anno Utile payout Dividendo nuovi nuovi
invest. flussi rendimento dei nuovi investimenti
1 100,000 60% 60,00 40,00 2,00 5%
2 102,000 60% 61,20 40,80 2,04
3 104,040 60% 62,42 41,62 2,08
4 106,121 60% 63,67 42,45 2,12
5 108,243 60% 64,95 43,30 2,16
6 110,408 60% 66,24 44,16 2,21
7 112,616 60% 67,57 45,05 2,25
8 114,869 60% 68,92 45,95 2,30
ecc.
Analiticamente:
Utili (t2) = Utili (t1) + Utili accantonati x Rendimento utili acc.
Per indicare la “%utili trattenuti” si impiega il simbolo (1 – p), dove “p” indica il
“payout ratio”
cioè la quota di utili distribuiti.
Per formulare ipotesi sul rendimento degli utili reinvestiti, gli analisti prendono in
considerazione
il ROE corrente della società (ROE = Return on Equity= utile netto/patrimonio netto
(queste ultime due grandezze, prese dal bilancio))
Si ipotizza generalmente che, se la società attualmente ottiene una redditività dei
mezzi propri
(ROE) pari al 5%, essa sia in grado di ottenere risultati analoghi (ROE = 5%) anche
sugli incrementi
di mezzi propri che avvengono in seguito al reinvestimento degli utili.
Impresa Beta
Anno Utile payout Dividendo
1 100 100% 100,00
2 100 100% 100,00
3 100 100% 100,00
4 100 100% 100,00
5 100 100% 100,00
6 100 100% 100,00
7 100 100% 100,00
8 100 100% 100,00
ecc.
Supponiamo ora che l’impresa si accorga che potrà effettuare tra un anno un
investimento di espansione della sua dimensione (opportunità di crescita) per 40, che
porterà a un aumento degli utili distribuiti negli anni successivi di 6, in eterno.
L’impresa decide di cogliere questa opportunità.
Quanto varrà dopo avere preso questa decisione?
Il suo valore sarà calcolabile come somma di quanto valeva prima di prendere la
decisione,
quando distribuiva tutto l’utile come dividendo (si usa dire, quando agiva come una
“cash cow”)
più il Valore Attuale Netto (VAN) del nuovo investimento.
Impresa Beta
Anno Utile payout Dividendo
1 100 60% 60,00
2 106 100% 106,00
3 106 100% 106,00
4 106 100% 106,00
5 106 100% 106,00
6 106 100% 106,00
7 106 100% 106,00
8 106 100% 106,00
ecc.
da cui risulta:
Il significato di questo modo di procedere può essere tradotto come segue nei termini
della formula
che si basa sull’utile corrente in perpetuo più il VANOC delle opportunità di crescita.
I0 = 100 ROE = 5,00% R = 4,00% Ft = I0 x ROE = 5
I0 = VAN = –I0 + Ft /R = 25
Infine se reinvestiamo gli utili a un ROE inferiore a R, stiamo ipotizzando VANOC <
0, quindi il valore
dell’impresa diminuisce rispetto al caso in cui l’impresa si comportasse da “cash
cow”. È un caso
che non dovrebbe verificarsi in un’impresa gestita da un management efficiente che
ha l’obiettivo
di creare valore per gli azionisti.
(Per la verifica che un investimento a ROE < R distrugge valore, potete utilizzare la
precedente area di calcolo).
L’impresa Alfa è un’impresa che si comporta da “cash-cow”; Beta non è altro che la
stessa impresa
Alfa quando smette di comportarsi in questo modo, ed effettua ogni anno investimenti
pari agli utili reinvestiti,
con l’aggiunta che vale una condizione molto particolare che ne determina il VAN:
ogni euro investito
ha ogni anno la stessa redditività. In questo particolare caso potremmo calcolare il
valore di Beta come
(valore di Alfa + somma dei VAN degli investimenti di ogni anno);
è però più rapido utilizzare la formula basata sui dividendi.
Impresa Beta
Anno Utile payout Dividendo
1 100,0000 60% 60,00
2 101,8000 60% 61,08
3 103,6324 60% 62,18
4 105,4978 60% 63,30
5 107,3967 60% 64,44
6 109,3299 60% 65,60
7 111,2978 60% 66,78
8 113,3012 60% 67,98
ecc.
R 5,00% ROE 4,50%
g 1,80% VA = 1875
Note:
a) L’interpretazione in termini di VANOC del DDM con crescita in cui g dipende da
(1-p) e ROE
rende ancora più chiari i motivi della cautela da utilizzare nell’impiegare
quest’ultimo.
Maggiore è la differenza tra ROE e R, maggiore è l’“eccellenza competitiva”
dell’impresa, e pensare che essa duri in eterno è poco prudente, particolarmente
quando essa è molto elevata. Altro aspetto su cui riflettere è che difficilmente la
redditività delle opportunità di crescita si mantiene costante al crescere dell’entità dei
nuovi investimenti effettuati.
Più utili si reinvestono, meno redditizi saranno i progetti accettati al margine; quindi
sembra irreale supporre
che essi diano redditi sulla base di un ROE costante.
b) Il DDM con crescita può essere impiegato, se è già noto il prezzo dell’azione, per
stimare gli altri
componenti della formula, in particolare R e g, e ciò può essere particolarmente utile
per gli operatori del
mercato finanziario (Cap.5, par 5.5.2 R-H e vari esercizi).
c) ci sono imprese che non distribuiscono dividendi per molti anni, anche se sono
profittevoli. Il modello del
“discounted dividend-growth model” in questo caso appare difficilmente applicabile,
mentre possiamo
impiegare il modello del VANOC (Cap.5, par. 5.6.3 R-H).
Saranno necessari due approfondimenti:
dove:
P = Prezzo dell’azione al momento della valutazione
EPS = Earnings per Share (Utili per azione), a sua volta pari a:
EPS = Earnings / N
N = numero di azioni della società in circolazione
Il rapporto P/E può essere calcolato anche a livello di impresa nel suo complesso oltre
che di singola azione.
Alternativamente, il rapporto P/E è pari a:
dove:
P = Prezzo dell’azione al momento della valutazione
Mkt Cap = Capitalizzazione di mercato della società (valore di mercato complessivo
di tutte le azioni della società in circolazione) = P x N
Ad esempio, nel caso dell’impresa Gamma, che ha un utile corrente pari a 280, 100
azioni in circolazione,
ciascuna delle quali ha un prezzo corrente di mercato pari a 70, si vede facilmente
che:
EPS0 = 280/100 = 2,8
Se poi consideriamo che i dividendi dell’anno prossimo sono pari agli utili correnti
moltiplicati per p
dove p è il payout ratio (ossia la percentuale di utili distribuiti), allora si può scrivere:
Il rapporto P/E (e quindi anche il valore delle azioni) dipende in primo luogo dal
valore di g e
quindi dalle aspettative future di crescita degli utili e dei dividendi.
Si prendano in esame le società Alfa e Beta considerate in precedenza.
Qual è il P/E di ciascuna?
Infine il valore del rapporto P/E dipende anche da aspetti strettamente contabili
riguardanti
le modalità di calcolo degli utili.
Due imprese molto simili possono adottare politiche di bilancio differenti che tendono
ad
evidenziare utili più elevati o più moderati.
Si considerino due imprese identiche, Alfa e Epsilon.
L’impresa Alfa opta per criteri contabili "conservativi" e consegue un utile pari a
100.
L’impresa Epsilon adotta politiche di bilancio più aggressive e consegue un utile pari
a 110.
Il mercato risconosce che si tratta di due imprese identiche e quindi le valuterà allo
stesso modo.
Supponiamo che il valore del capitale azionario sia pari a 2000.
L’impresa Epsilon avrà un P/E pari a 18 minore di quello di Alfa (20).
Quindi imprese che adottano politiche di bilancio più conservative tendono ad avere
rapporti P/E
più alti.
Efficienza informativa = i prezzi riflettono
tempestivamente
in modo corretto (non sistematicamente distorto)
le informazioni a disposizione degli operatori
Applicando il DDM, il prezzo equo (fair value) dell’azione oggi deve essere pari
a:
P (equo) = 2/0,10 = 20
Tra un anno, ipotizzando che non siano mutate le condizioni di impresa e di
mercato,
il prezzo sarà sempre pari a 20.
Supponiamo che sul mercato oggi l’azione sia quotata al suo fair value
Qual è il rendimento che consegue l’investitore?
Per quanto visto in precedenza:
3. anche i titoli collocati dalle imprese sul mercato (obbligazioni e azioni) sono
venduti a un prezzo equo. Le imprese non possono ingannare gli investitori,
che
sono in grado di valutare correttamente le informazioni loro fornite (in
particolare i bilanci) e
canalizzano con fiducia i loro risparmi verso il mercato. Inoltre, le imprese non
possono
“creare nuovo valore” attraverso le scelte di finanziamento.
VAN = –100 + 5/1,05 + 105/1,052 = 0
L’investitore conseguirà un rendimento “normale”, ossia lo YTM
Se l’impresa fosse in grado di ingannare gli investitori e, per esempio, di
collocare le
obbligazioni a 102, l’investitore (l’impresa) otterrebbe un VAN negativo
(positivo), infatti:
VAN = –102 + 5/1,05 + 105/1,052 = –2
Il rendimento conseguito dall’investitore (YTM) sarà del 4%, quindi l’investitore
otterrà
una performance (sistematicamente) peggiore.
TIPO DI INFO CONSIDERATE CONSEGUENZE
EFFICIENZA
DEBOLE Quelle incorporate nella sequenza dei prezzi Prezzi = random walk
passati Inutile l’analisi tecnica
Anche bilanci non
SEMI-FORTE Quelle pubbliche consentono
extra-profitti.
Inutile l’analisi
fondamentale
FORTE Tutte (anche privilegiate) Anche insiders non fanno
extra-profitti
Gli insiemi di informazioni considerate diventano progressivamente più ampi.
Un MKT efficiente in forma forte lo è anche in forma semi-forte e un MKT efficiente
in forma semi-forte lo è anche in forma debole, ma non viceversa.
Presentazione 4
CRITERI DI VALUTAZIONE DEGLI
INVESTIMENTI
Abbiamo mostrato che il criterio del VAN consente di valutare gli investimenti
Il criterio decisionale dice:
Costo-opp.capitale 13,00%
Periodo Flussi VA flussi
0 –32000 –32000
1 08000 –07080
2 08000 –06265
3 08000 –05544
4 08000 –04907
5 08000 –04342
6 08000 –03843
7 08000 –03400
8 08000 –03009
VAN –06390
Nell’esempio: PI = 1 + 6390/32000 = 1,20
Esistono una serie di casi particolari, in cui tale equivalenza NON è garantita,
e dunque alcuni criteri porterebbero a conclusioni inaccettabili.
1. TIR MULTIPLI
Si verificano se la serie dei flussi cumulati cambia segno più di una volta
Qual è il TIR corretto?
Progetto A R = 9%
Tempo 0 1 2 3
Flussi –100 50 50 50
Flussi attual. –100 45,872 42,084 38,609
VAN 26,6
Rendita
Tempo 0 1 2 3
Rate FAE FAE FAE
Rendita
Tempo 0 1 2 3
Rate 10,495 10,495 10,495
VA 26,6
Progetto B R = 9%
Tempo 0 1 2 3 4 5
Flussi –100 34 34 34 34 34
Flussi attual. –100 31,193 28,617 26,254 24,086 22,098
VAN 32,2
8,29
Rendita
Tempo 0 1 2 3 4 5
Rate 8,291 8,291 8,291 8,291 8,291
VA 32,2
Presentazione 5
L’UTILIZZO DEI DATI CONTABILI
NELLA FINANZA AZIENDALE:
INTRODUZIONE
Le grandezze che entrano nei processi di valutazione non sono facilmente reperibili.
Le valutazioni sono basate su flussi ATTESI, e quindi richiedono l’effettuazione di
STIME.
Il valutatore/analista effettuerà le proprie stime tenendo conto di tutte le informazioni
a sua disposizione.
Tale riclassificazione dei debiti è facilmente effettuabile sulla base delle informazioni
contenute nella Nota Integrativa.
Lo Stato Patrimoniale condensato
Nelle analisi finanziarie si fa uso, normalmente, di SP
* RICLASSIFICATI
in ordine di * liquidità (per l’attivo)
* esigibilità (per il passivo)
crescente o decrescente
Disp.liquide
immediate
Passività a breve
Attivo Circolante
Disp.liquide
differite
Passività a M/L
Rimanenze
Mezzi Propri (Equity)
Immobilizzazioni
TOTALE ATTIVO TOTALE PASSIVO
Liquidità
Debiti finanziari a breve
CCN (Operativo) Debiti finanziari a M/L
Mezzi Propri (Equity)
Immobilizzazioni nette
Totale Attivo Totale Passivo
Dal lato dell’Attivo: * impieghi di risorse finanziarie
(fabbisogni finanziari da coprire mediante il ricorso
ai mercati finanziari)
Dal lato del Passivo: * fonti di finanziamento (attivate sui mercati finanziari)
Ai fini che qui interessano rileva una forma di conto economico molto semplice, che
evidenzi come margine intermedio il Reddito operativo. In sintesi, come già notato
nell’analisi dello SP, si fa normalmente uso di CE:
* riclassificati per area gestionale
(operativa, finanziaria, straordinaria, fiscale)
CONTO ECONOMICO 20x1
A) Valore della produzione 79200
1 - Ricavi delle vendite e delle prestazioni 65000
2 - Variazione delle rimanenze di prodotti 3200
3 - Altri ricavi e proventi 11000
B) Costi della produzione -75500
4 - Per acquisto materie prime -43000
5 - per servizi -11000
6 - per personale -10000
7 - Ammortamenti -8500
8 - Variazione delle rimanenze di materie 0
9 - Acc. Per rischi e TFR -1500
10 - Altri costi di produzione -1500
Risultato Operativo 3700
C) Oneri finanziari Netti -2000
D) Rettifiche di valore di att.finanziarie 0
E) Proventi e oneri straordinari 1000
Risultato ante imposte 2700
Imposte sul reddito -950
Risultato Netto 1750
PROSPETTO DEI FLUSSI FINANZIARI
IMPIEGHI FONTI
incrementi di attività incrementi di passività
decrementi di passività decrementi di attività
Esempi:
1) Acquisto un impianto (incremento di attività). Sto INVESTENDO risorse
finanziarie
per pagare il fornitore dell’impianto. Le risorse IMPIEGATE comportano un
FABBISOGNO,
da coprire tramite il ricorso a opportune fonti di finanziamento.
PASSIVO 20x1 20x0
A) Patrimonio Netto
I. Capitale 0300 0300
II. Riserve 0250 0200 050
III. Risultato Netto 20x0 0075 075
III. Risultato Netto 20x1 0100 100
B) Fondi per rischi e oneri
C) TFR 0120 0100 020
D) Debiti
1. Debiti finanziari a breve 0700 0600 100
2. Debiti commerciali a breve 0300 0250 050
3. Debiti finanziari a M/L termine 0420 0400 020
4. Debiti tributari 0075 0075
5. Altri debiti di funzionamento 0425 0300 125
E) Ratei e risconti 0110 0050 060
TOTALE 2800 2350 595 595
PROSPETTO “GREZZO” DEI FLUSSI FINANZIARI
Aumento Rimanenze 100 Aumento D.Comm. a breve 50
Aumento Crediti 100 Aumento Altri D.funz. 125
Aumento Ratei attivi 60 Aumento Ratei passivi 60
Aumento Imm.materiali 220 Riduzione imm.immateriali 20
Aumento Liquidità 40 Riduzione imm.finanziarie 50
Aumento D.Fin. a breve 100
Aumento D.Fin. a M/L 20
Aumento TFR 20
Aumento Riserve 50
Destinazione Utile 20x0 75 Produzione utile 20x1 100
Totale impieghi 595 Totale fonti 595
Osservazioni:
1) Ovviamente, fonti e impieghi devono “bilanciare”.
Ogni fonte trova un impiego; ogni impiego è possibile in quanto finanziato da una (o
più) fonte(i).
2) La riga del Risultato d’esercizio è “sfalsata”, per distinguere più facilmente
due eventi:
a) la “destinazione” del risultato dell’anno passato
b) la “produzione” del risultato dell’anno in corso
Inoltre è di immediata evidenza che l’aumento delle riserve NON è indicativo di flussi
finanziari.
(non si verificano, contemporaneamente, aumenti di capitale a pagamento). È perciò
molto probabile
(e immediatamente verificabile dalla Nota Integrativa) che esso consegua alla
DESTINAZIONE DELL’UTILE.
Mentre la quota di utile NON DISTRIBUITO è un mero giroconto (che non genera
flussi),
la differenza tra utile 20x0 e utile a riserva: 25 Impiego
misura l’effettivo importo dei DIVIDENDI.
Aumento CCN operativo 25 Riduzione imm.immateriali 20
Aumento Imm.materiali 220 Riduzione imm.finanziarie 50
Aumento Liquidità 40 Aumento D.Fin. a breve 100
Aumento D.Fin. a M/L 20
Aumento TFR 20
Pagamenti di dividendi 25 Produzione utile 20x1 100
Totale impieghi 310 Totale fonti 310
CONTO ECONOMICO 20x1
A) Valore della produzione 2700
1. Fatturato 2550
2. Variazione delle rimanenze di prodotti 150
3. Altri ricavi 0
B) Costi della produzione –2525
4. Per acquisto materie prime –1400
5. per servizi –140
6. per personale –600
7. Ammortamenti –170
8. Variazione delle rimanenze di materie –50
9. Acc. Per rischi e TFR –25
10. Altri costi di produzione –140
R. Operativo 175
C) Oneri finanziari Netti –80
12. Oneri finanziari –80
D) Rettifiche di valore di att.finanziarie 0
E) Proventi e oneri straordinari 80
Risultato ante imposte 175
Imposte sul reddito –75
Risultato Netto 100
Aumento CCN operativo 25 Riduzione imm.immateriali 20
Aumento Imm.materiali 220 Riduzione imm.finanziarie 50
Aumento Liquidità 40 Aumento D.Fin. a breve 100
Aumento D.Fin. a M/L 20
Aumento TFR 20
Pagamenti di dividendi 25
Oneri finanziari 20x1 80 EBIT 20x1 175
Imposte sul reddito 20x1 75 Proventi straordinari 20x1 80 La differenza è = 100 (Utile 20x1)
Totale impieghi 465 Totale fonti 465
COME RAFFINARE IL PROSPETTO
Un prospetto “grezzo” come quello sopra riportato è scomodo.
Gli analisti utilizzano prospetti RICLASSIFICATI e CONDENSATI.
In particolare, di solito si fa riferimento a uno schema che:
– distingue le variazioni per area gestionale di riferimento
(operativa, finanziaria, degli investimenti)
– raggruppa le voci aventi significato simile
(es. tutte le variazioni dei debiti finanziari a breve, o di quelli a M/L,
o tutti gli investimenti/disinvestimenti in componenti del CCN)
– scompone alcune voci al fine di fornire una rappresentazione più analitica
(es. distinguendo tra acquisto e vendita di imm.ni)
IMPIEGHI FONTI
1) Pagamenti di dividendi 13) Aumenti di capitale AREA
2) Decrementi di debiti fin. a m/l 14) Aumenti di debiti finanziari a m/L FINANZIARIA
3) Decrementi di debito fin. a breve 15) Aumenti di debiti finanziari a breve
4) Oneri finanziari
5) Flusso di gestione operativa (EBITDA) 16) Flusso di gestione operativa (EBITDA) AREA
6) Pagamenti di imposte OPERATIVA
7) TFR pagato
8) Investimenti in imm. materiali 17) Disinvestimenti di imm. materiali AREA DEGLI
9) “ immateriali 18) “ immateriali INVESTIMENTI
10) “ finanziarie 19) “ finanziarie
11) Investimenti in CCN operativo 20) Disinvestimenti di CCN operativo
12) Impieghi in liquidità 21) Disinvestimenti di liquidità CHE SPIEGANO LA
VARIAZIONE DELLA
Totale impieghi Totale fonti LIQUIDITÀ
Ciò è vero, in particolare, per la misura del flusso generato dalla gestione
operativa
ossia dell’autofinanziamento. Il flusso di gestione operativa è la misura del
risultato:
– della SOLA GESTIONE OPERATIVA
– IN TERMINI FINANZIARI
(ossia calcolato come differenza tra ENTRATE e USCITE,
NON semplicemente tra RICAVI e COSTI)
Poiché non a tutti i ricavi/costi, calcolati per competenza
corrispondono effettivi flussi finanziari.
COME CALCOLARE IL FLUSSO PRODOTTO DALLA GESTIONE
OPERATIVA
Il flusso di gestione operativa può essere calcolato in due modi alternativi.
METODO A
Si calcola la somma algebrica di:
ricavi da vendite e prestazioni (+)
costi operativi MONETARI (–)
Che corrisponde, in buona sostanza, all’EBITDA
Metodo A
1. Fatturato 2550
2. Variazione delle rimanenze di prodotti 150
3. Altri ricavi 0
4. Per acquisto materie prime –1400
5. per servizi –140
6. per personale –600
8. Variazione delle rimanenze di materie –50
10. Altri costi di produzione –140
= Flusso di gestione operativa (EBITDA) 370 Fonte
METODO B
Si risommano all’utile le seguenti componenti (con segno cambiato)
Imposte
Oneri finanziari
Plus- e minusvalenze
Costi operativi NON MONETARI (Amm.ti e Acc.ti)
TFR Acc.to TFR tendenziale MA in realtà Perché Epsilon ha pagato
iniziale TFR è
100 25 125 120 5 Impiego
Esempio:
– non si riscontrano acquisti o cessioni di imm.immateriali.
– la variazione delle imm.finanziarie è integralmente dovuta a una cessione
– la variazione delle imm.materiali è dovuta sia a nuovi acquisti
che a cessioni di attività esistenti (i dati precisi sono riportati più avanti)
Imm.immateriali
Si osserva una riduzione pari a 20 (fonte?); peraltro, la Nota Integrativa
mostra che la riduzione è dovuta al calcolo delle quote di ammortamento.
Pertanto la variazione NON corrisponde a flussi finanziari.
Imm.finanziarie
Si osserva una riduzione pari a 50 (fonte?); è necessario verificare nella Nota
Integrativa
che la riduzione sia effettivamente dovuta a un disinvestimento e non a una semplice
svalutazione
priva di significato finanziario. Avuta conferma che si tratta di un effettivo
disinvestimento
si può ricavare che il flusso è: 50 Fonte
Imm.materiali
Dagli schemi di bilancio si osserva che
Imm.mat.nette Plusvalenze
iniziali finali Amm.ti (provento straordinario)
680 900 170 80
iniziali finali
Imm.lorde 1380 1680
F.Amm.to 0700 0780
Imm.nette 0680 0900
Come già per il TFR, osservando la dinamica tendenziale in assenza di
disinvestimenti
e confrontando l’ipotetica situazione risultante a fine anno con quella effettiva,
si ricava la dinamica dei disinvestimenti
IMPIEGHI FONTI
1) Pagamenti di dividendi 25 13) Aumenti di capitale
2) Decrementi di debiti fin. a m/l 14) Aumenti di debiti finanziari a m/L 20
3) Decrementi di debito fin. a breve 15) Aumenti di debiti finanziari a breve 100
4) Oneri finanziari 80
5) Flusso di gestione operativa (EBITDA) 16) Flusso di gestione operativa (EBITDA) 370
6) Pagamenti di imposte 75
7) TFR pagato 5
8) Investimenti in imm. materiali 400 17) Disinvestimenti di imm. materiali 110
9) “ immateriali 18) “ immateriali
10) “ finanziarie 19) “ finanziarie 50
11) Investimenti in CCN operativo 25 20) Disinvestimenti di CCN operativo
12) Impieghi in liquidità 40 21) Disinvestimenti di liquidità
Totale impieghi 650 Totale fonti 650
Presentazione 7
“ROSSI E GUARNERI SPA”
o come:
Utile d’esercizio 40
7. Ammortamenti 30
9. Acc. Per rischi e TFR 15
C) Oneri finanziari Netti 30
D) Rettifiche di valore di att.finanziarie 0
E) Proventi e oneri straordinari 20
Imposte sul reddito 40
Flusso gestione operativa (EBITDA) 175 Fonte
TFR Acc.to TFR MA in realtà Perché R&G
iniziale TFR tendenziale è ha pagato
40 15 55 50 5 Impiego
Investimento in partecipazioni 30 Impiego
Deduciamo che:
– probabilmente c’è stata un’alienazione di cespiti riferiti alle Imm.
Materiali,
– il F.do ammortam. è aumentato meno degli ammortamenti perché
si sono scaricati ammortamenti dei cespiti ceduti
– quindi anche la voce Imm.lorde ha subito uno scarico del valore di
costo di quei cespiti; mi devo procurare l’informazione di quanto (consulto
l’allegato); nel caso di specie è data la notizia che lo scarico è di 80.
iniziali finali Minusvalenza
Imm.lorde 300 310 Amm.ti (onere straordinario)
F.Amm.to –180 –200
Imm.nette 120 110 30 20
Importo Delta Importo MA in Perché R&G ha disinvestito un
iniziale tendenziale realtà è cespite dal valore di
–80
F.Amm.to
–180 –30 –210 –200 –10
V.Netto –70
Minusvalenza –20
Prezzo di –50 Fonte
cessione
Importo Disinv. Importo MA in Perché R&G ha acquistato un cespite
iniziale tendenziale realtà è dal valore di
Imm.lorde Impiego
300 –80 220 310 90
Variazione CCN operativo 15 Impiego
Il prospetto dei flussi finanziari di CCN commerciale apparirà perciò come segue.
IMPIEGHI FONTI
1) Pagamenti di dividendi 15 15) Aumenti debiti fin. breve 35
2) Rimborsi debiti fin.m/l 30
4) Oneri finanziari 30
6) Pagamenti di imposte 40 16) Flusso gestione operativa 175
7) Pagamenti di TFR 5
8) Investimenti imm. materiali 90 17) Disinvestimenti imm. Materiali 50
10) Investimenti imm. Finanziarie 30
11) Invest. in CCN comm. 15
12) Impieghi in liquidità 5
Totale impieghi 260 Totale fonti 260
Presentazione 8
COME CALCOLARE UN PROSPETTO DEI
FLUSSI ATTESI?
Per costruire CE, SP e prospetto dei flussi attesi ho bisogno di una serie di
informazioni aggiuntive
concernenti le IPOTESI di GESTIONE futura. Tali ipotesi possono provenire,
alternativamente:
* dal management, che le formalizza attraverso la redazione del BUDGET
* da elaborazioni personali dell’analista, fondate su informazioni di varia fonte
(es. previsioni diffuse dall’impresa, previsioni basate su report previsionali
di varia fonte – ad es. sugli andamenti generali del mercato delle materie prime
e dei prodotti,
sulla crescita dell’economia, sull’inflazione, sui tassi d’interesse, ecc.)
Ulteriori ipotesi:
Investimenti in imm.materiali 430 Impiego
Disinvestimento imm.immateriali: totale (di qui minusvalenza in CE) 80 Fonte
Dividendi 20x2 HP: 50% utile 20x1 50 Impiego
Liquidità a fine anno: immutata
Nessun licenziamento TFR pagato = 0
Calcolo il flusso di gestione operativa
Metodo A
1. Ricavi delle vendite e delle prestazioni 3060
2. Variazione delle rimanenze di prodotti 80 Metodo B
3. Altri ricavi e proventi 0 Risultato Netto 116
4. Per acquisto materie prime –1680 Imposte sul reddito 50
5. per servizi –168 12. Oneri finanziari 80
6. per personale –660 7. Ammortamenti 231
8. Variazione delle rimanenze di materie 60 9. Acc. TFR 28
10. Altri costi di produzione –168 E) Proventi e oneri straordinari 20
= Flusso di gestione operativa (EBITDA) 524 = Flusso di gestione operativa (EBITDA) 524
Fonte Fonte
IMPIEGHI
FONTI
1) Pagamenti di dividendi
50 13) Aumenti di capitale
2) Decrementi di debiti fin. a m/l
14) Aumenti di debiti finanziari a m/L
3) Decrementi di debito fin. a breve
15) Aumenti di debiti finanziari a breve
4) Oneri finanziari
80
5) Flusso di gestione operativa (EBITDA)
16) Flusso di gestione operativa (EBITDA) 524
6) Pagamenti di imposte
50
7) TFR pagato
0
8) Investimenti in imm. materiali
430 17) Disinvestimenti di imm. materiali
9) “ immateriali
18) “ immateriali 80
10) “ finanziarie
19) “ finanziarie
11) Investimenti in CCN operativo
200 20) Disinvestimenti di CCN operativo
12) Impieghi in liquidità
0 21) Disinvestimenti di liquidità
Totale 810 604
Totale
Come si può facilmente osservare, la prima BOZZA DI PROSPETTO, ricavata in tal modo, NON BILANCIA.
206
Ciò è dovuto al fatto che le HP in base alle quali è stato costruito evidenziano un GAP FINANZIARIO
che DEVE essere colmato tramite il ricorso a fonti di mercato (se si vuole che il piano sia FATTIBILE).
Se il GAP viene coperto con mezzi propri, il prospetto andrà completato tenendo
conto
di un AUMENTO DI CAPITALE di pari importo.
Se il GAP viene coperto con ricorso al debito, è necessario tenere conto di due
ulteriori effetti:
– anzitutto l’aumento degli oneri finanziari indotto dal maggior debito
– in secondo luogo, il risparmio di imposta generato da tali oneri finanziari
(costo deducibile)
L’effetto complessivo è calcolabile tenendo conto che, per ogni Euro di debito
contratto,
si pagano interessi pari a i e si risparmiano imposte pari a i x tc
Da cui si ricava che, per coprire il gap finanziario, la società deve contrarre un debito
aggiuntivo pari a.
221,3
IMPIEGHI FONTI
1) Pagamenti di dividendi 50 13) Aumenti di capitale
2) Decrementi di debiti fin. a m/l 14) Aumenti di debiti finanziari a m/L
3) Decrementi di debito fin. a breve 15) Aumenti di debiti finanziari a breve 221,3
4) Oneri finanziari 102,1
5) Flusso di gestione operativa (EBITDA) 16) Flusso di gestione operativa (EBITDA) 524
6) Pagamenti di imposte 43,2
7) TFR pagato 0
8) Investimenti in imm. materiali 430 17) Disinvestimenti di imm. materiali
9) “ immateriali 18) “ immateriali 80
10) “ finanziarie 0 19) “ finanziarie
11) Investimenti in CCN operativo 200 20) Disinvestimenti di CCN operativo
12) Impieghi in liquidità 0 21) Disinvestimenti di liquidità
Totale impieghi 825 Totale fonti 825
NB: Il Risultato Netto 20x2 tiene a sua volta conto della copertura del gap ipotizzata.
Esso è ottenuto come segue:
Risultato Netto da CE Budget iniziale 116,0
– Oneri finanziari aggiuntivi –22,1
+ Risparmi di imposta aggiuntivi 6,6
= Risultato Netto 20x2 100,7
Presentazione 9
INTERPRETAZIONE DEI PROSPETTI DEI
FLUSSI FINANZIARI
LIQUIDITÀ
Totale impieghi 8400 Totale fonti 8400
DELTA SPA
IMPIEGHI FONTI
1) Pagamenti di dividendi 450 AREA
2) Decrementi di debiti fin. a m/l 2300 FINANZIARIA
3) Decrementi di debito fin. a breve 200
4) Oneri finanziari 200
16) Flusso di gestione operativa (EBITDA) 6300 AREA OPERATIVA
6) Pagamenti di imposte 1000
8) Investimenti in imm. materiali 1800 17) Disinvestimenti di imm. materiali 20 AREA DEGLI INVESTIMENTI
9) “ immateriali 200
10) “ finanziarie 100 19) “ finanziarie 60
20) Disinvestimenti di CCN operativo 70
12) Impieghi in liquidità 200 CHE SPIEGANO LA VARIAZIONE
DELLA LIQUIDITÀ
Totale impieghi 6450 Totale fonti 6450
GAMMA SPA DELTA SPA
Area Operativa –700 Area Operativa 5300
Area Investimenti/disinvestimenti 3100 Area Investimenti/disinvestimenti –1950
2400 3350
Area Finanziaria –2600 Area Finanziaria –3150
Liquidità generata (+) –200 Liquidità generata (+) 200
o assorbita (–) o assorbita (–)
La “qualità” della generazione di cassa è completamente diversa.
La Gamma ha un autofinanziamento NEGATIVO. Supplisce ai fabbisogni effettuando forti disinvestimenti
Il flusso complessivo delle prime due aree è positivo, ma difficilmente ripetibile.
Nell’area finanziaria per far fronte ai debiti in scadenza è necessario, da un lato, contrarre nuovi debiti
dall’altro, chiedere soldi agli azionisti (oltreché non pagare alcun dividendo).
Il saldo totale di liquidità è negativo
La Gamma è in una situazione difficile (non equilibrata), e sta cercando di ristrutturare profondamente
l’attività.
La Delta ha un autofinanziamento POSITIVO ed ELEVATO, che le consente di effettuare forti
investimenti.
Il flusso complessivo delle prime due aree è positivo, e di facile ripetibilità.
Ciò consente, nell’area finanziaria, di far fronte ai debiti in scadenza e distribuire soldi agli azionisti
Il saldo totale di liquidità è positivo
La Delta è in una situazione di equilibrio e, anzi, va molto bene sotto il profilo sia economico che
finanziario.
I Conti economici sono identici fino all’EBIT; ma sono diversi sotto l’EBIT per
effetto della diversa struttura finanziaria.
Kappa Lambda
Ricavi 1000 1000
Costi monetari operativi (–) –600 –600
= EBITDA 400 400
Ammortamenti e acc.ti (–) –150 –150
= EBIT 250 250
Oneri finanziari (–) –40 0
Proventi/oneri straordinari 0 0
= EBT 210 250
Imposte (–) –84 –100
R.Netto 126 150
Guardiamo ora i prospetti dei flussi finanziari.
Qual è la misura del Flusso di Cassa Operativo Netto (FCN) nei due casi?
Il saldo “da prospetto” NON prescinde completamente dai rapporti con i finanziatori.
Esso incorpora gli effetti della deducibilità degli oneri finanziari (che portano Kappa a
pagare minori imposte).
Tale effetto è reale ed importante, MA è generato dall’AREA FINANZIARIA.
NON HA NULLA A CHE VEDERE CON L’ATTIVITÀ INDUSTRIALE.
Per calcolare il “vero” FCN di Kappa bisogna quindi RETTIFICARE tale
effetto,
ossia RI-CALCOLARE LE IMPOSTE “COME SE” l’impresa Kappa fosse
NON INDEBITATA.
EBIT EBITDA
– Imposte “teoriche” = EBIT x tc – Imposte “teoriche” = EBIT x tc
(“come se” non indebitata) (“come se” non indebitata)
= EBIT (1 – tc)
+ Amm.ti/Acc.ti risommati!!!
– Investimenti (cap.fisso) – Investimenti (cap.fisso)
+ Disinvestimenti (c.fisso) + Disinvestimenti (c.fisso)
CCN (con segno) ± CCN (con segno)
= FCN = FCN
Kappa Lambda Kappa Lambda
EBIT 250 250 EBITDA 400 400
– Imposte “teoriche” –100 –100 – Imposte “teoriche” –100 –100
(“come se” non indebitata) (“come se” non indebitata)
= EBIT (1 – tc) 150 150
+ Amm.ti/Acc.ti 150 150
– Investimenti (cap. fisso) – Investimenti (cap.fisso)
+ Disinvestimenti (c. fisso) 28 28 + Disinvestimenti (c.fisso) 28 28
CCN (con segno) –200 –200 CCN (con segno) –200 –200
= FCN 128 128 = FCN 128 128
Il flusso di cassa operativo netto (FCN) rappresenta l’insieme dei flussi finanziari
generati dalla gestione aziendale prescindendo dai rapporti con i finanziatori.
Il FCN rappresenta la fonte ultima della capacità dell’impresa di distribuire
ricchezza ai finanziatori. Come vedremo tra breve, esso ha un’importanza
fondamentale
nei processi di valutazione (delle azioni ma anche degli investimenti)
Presentazione 10
FLUSSI E PROCEDIMENTI DI VALUTAZIONE
È chiaro che una simile impresa avrà un prospetto dei flussi finanziari più semplice di
quelli visti in precedenza, poiché mancheranno – per definizione – tutti i flussi
dell’area finanziaria legati al debito.
Ipotizziamo poi, sempre per semplicità, che l’impresa non “tesaurizzi” liquidità e
distribuisca sempre
tutto l’utile prodotto sotto forma di dividendi. È chiaro che il saldo di liquidità tenderà
sempre a zero.
Infine ipotizziamo che non vi siano dimissioni o licenziamenti (TFR pagato =0).
Il prospetto dei flussi di tale impresa avrà una forma di questo genere:
IMPIEGHI FONTI
Pagamenti di dividendi Aumenti di capitale
Pagamenti di imposte (= EBIT x tc) Flusso di gestione operativa (= EBITDA)
Investimenti Disinvestimenti
CCN CCN
Se l’autofinanziamento è insufficiente a finanziare gli investimenti netti (per HP
prefissati), l’impresa può
trovare la copertura finanziaria dapprima riducendo i dividendi, e poi chiedendo le
risorse aggiuntive agli azionisti (tramite un aumento di capitale, che equivale – sotto
il profilo finanziario – a dividendi negativi)
FLUSSI E VALUTAZIONE D’IMPRESA
Abbiamo visto in precedenza la formula di valutazione di un’impresa basata sui
dividendi attesi.
Dove:
E = Equity (capitale azionario) dell’impresa
DIVt = Dividendo distribuito dall’impresa all’anno t
R = Costo-opportunità del capitale (rendimento sul migliore investimento alternativo)
La misura degli FCN è ricavabile facilmente dal prospetto dei flussi. Basta ricordare
che:
EBITDA EBITDA
– Imposte “teoriche” E siccome l’impresa – Imposte
(“come se” non indebitata) NON è indebitata:
– Investimenti (cap.fisso) – Investimenti (cap.fisso)
+ Disinvestimenti (c.fisso) + Disinvestimenti (c.fisso)
CCN (con segno) CCN (con segno)
= FCN = FCN
Gli FCN sono quindi ricavabili dalla somma algebrica delle voci delle due aree
“operativa” e “degli investimenti”.
È allora possibile ricavare una seconda formula di valutazione, BASATA SUI
FLUSSI DI CASSA (FCN)
che tiene conto direttamente DELLA LIQUIDITÀ PRODOTTA DALL’IMPRESA E
MESSA A DISPOSIZIONE DEI SOCI
In tale situazione, una valutazione basata sui Dividendi distribuiti agli azionisti porta
al Valore dell’Equity E
Ma NON è più vero che una valutazione basata sugli FCN porta direttamente a
calcolare E.
Piuttosto, essa porta a calcolare il valore complessivo dei flussi disponibili per TUTTI
I FINANZIATORI, ossia il VALORE complessivo del PASSIVO (D + E) che, per
definizione, è uguale al VALORE DELL’ATTIVO Vatt
Di qui è poi facile calcolare il valore del solo Equity (E), sottraendo il Valore del
Debito.
In linea generale, l’Equity Value è pari alla differenza tra Enterprise Value e valore
del Debito.
I FLUSSI Ft SONO:
* FLUSSI DI CASSA OPERATIVI NETTI (FCN)
* ATTESI
* GENERATI DALL’INVESTIMENTO (INCREMENTALI)
Valore dell’attivo = valore dell’equity (ANTE nuovo progetto) 2000
Opportunità di investimento
Esborso al tempo iniziale –50
Flussi annui 7 ora sappiamo che sono FCN
(generati in perpetuo)
Tasso di attualizzazione 5%
VAN 90 pari a 7/0.05 –50
La situazione iniziale è:
Vatt (ante) = 1800 E = 2000 t0
Cash = 200
NB: il VA del nuovo investimento deriva dal fatto che esso genera dividendi
aggiuntivi
annui pari a 7 in perpetuo. Siccome il tasso di attualizzazione R = 5% si ha che:
Il valore dell’attivo (e dell’equity) sale quindi di 140. Ma per ottenere tale risultato
è necessaria un’iniezione di liquidità pari a 50, che rappresenta un costo per gli
azionisti.
Essi sono interessati al Valore generato al netto dei costi, ossia al VAN.
VAN = 90
Si ha dunque una creazione di valore complessiva pari al VAN (90).
Essa si riflette pro-quota su tutte le azioni, che aumentano quindi di valore.
L’aumento di valore di ogni azione è pari a 90/1000 = 0,090
Ciò è sicuramente vero se il costo del progetto è finanziato solo con Equity.
Lo è a maggior ragione ancora se l’intera impresa è finanziata solo con Equity.
Se però il progetto (e magari anche l’impresa) è finanziato anche con Debito,
allora la questione andrà riconsiderata, e alcune ipotesi, fin qui implicite, andranno
rese esplicite.
COME INDIVIDUARE I FLUSSI RILEVANTI
PRINCIPIO DI BASE: Considerare tutte le variazioni dei FCN
dell’impresa causate dall’attuazione del progetto d’investimento.
Dalla definizione di FCN:
EBIT ovvero EBITDA
– Imposte “teoriche” (EBIT x tc) – Imposte “teoriche”
(“come se” non indebitata) (“come se” non indebitata)
= EBIT (1 – tc)
+ Amm.ti/Acc.ti
– Investimenti (cap.fisso) – Investimenti (cap.fisso)
+ Disinvestimenti (c.fisso) + Disinvestimenti (c.fisso)
CCN (con segno) CCN (con segno)
= FCN = FCN
Sommando i due saldi si ottiene la misura dei FCN generati dal progetto.
Attualizzando e sommando i FCN si ottiene il VAN.
Anno 0 1 2 3 4 5 6 Commenti
Invest. e disinvestimenti –12.000 3.000 (j)
CCN operativo 2.000 2.200 2.420 2.662 1.200 0 (k)
CCN –2.000 –200 –220 –242 1.462 1.200 (l)
NOMINALI NOMINALI
– SE flussi allora tassi
REALI REALI
Esempio:
Si supponga che i FCN attesi da un progetto per i prossimi anni siano costanti in
termini reali.
Ciò implica che i FCN nominali aumentano in linea con il tasso d’inflazione attesa.
V.reali 0 1 2 3 4
FCN –10.000 4.500 4.500 4.500 4.500
Si ipotizzi che il tasso di inflazione attesa sia costante e pari a: 3%
V.nominali 0 1 2 3 4
FCN –10.000 4.635 4.774 4.917 5.065
Il costo-opportunità del capitale, se ricavato dall’osservazione di investimenti
alternativi è normalmente espresso in termini nominali. Ipotizziamo che sia il 10%
Se ne deriva che, in termini reali, esso è pari al 7%
Approssimativamente (per inflazione “bassa”) pari alla differenza tra tasso nominale e
inflazione attesa.
V.nominali 0 1 2 3 4
FCN –10.000 4.635 4.774 4.917 5.065
Rn 10%
VA(FCN) –10.000 4.214 3.945 3.694 3.459
VAN 5.313
V.reali 0 1 2 3 4
FCN –10.000 4.500 4.500 4.500 4.500
Rr 7%
VA(FCN) –10.000 4.214 3.945 3.694 3.459
VAN 5.313
In realtà, mentre usare dati nominali è sicuramente corretto, usare dati reali richiede
cautela
(problemi fiscali, legati ad es. alla deducibilità degli ammortamenti, da calcolarsi sui
valori storici)
Presentazione 11
INTRODUZIONE A RISCHIO E RENDIMENTO
titoli diversi danno rendimenti differenti
hanno rischio differente
Sembra esistere una relazione diretta tra rischio e rendimento. Gli investitori
sono avversi al rischio: per passare da titoli non rischiosi a titoli rischiosi richiedono
un congruo aumento del rendimento atteso (premio per il rischio).
La tabella mostra la media dei rendimenti di azioni, obbligazioni, buoni del Tesoro
e la media del tasso di inflazione negli Stati Uniti tra il 1926 e il 2005.
Fonte: Ross-Hillier
Conviene pertanto investire solo in azioni (che offrono il rendimento più alto)?
Non è detto, poiché le azioni sono caratterizzare da maggior scarto quadratico medio,
pertanto
la maggior dispersione comporta maggior rischio per gli investitori, i quali potrebbero
trovarsi
a comprare quando i prezzi sono “alti” e/o a vendere quando i prezzi sono “bassi”.
Fonte: Ross-Hillier
Stato del mondo Rendimenti Probabilità Scarti da media
Titoli a b a b
Boom 20% 15% 0,20 13,20% 9,60%
Crescita moderata 10% 11% 0,40 3,20% 5,60%
Stagnazione 0% –8% 0,25 –6,80% –13,40%
Recessione –8% 0% 0,15 –14,80% –5,40%
E(R) 6,80% 5,40% 1,00
SQM 9,13% 8,96%
Coi titoli a e b posso costruire infiniti portafogli, che differiscono per il peso relativo
dei 2 titoli
Ipotizziamo che un investitore intenda investire il 40% della propria ricchezza nel
titolo a ed
il rimanente 60% del titolo b. L’investitore detiene dunque un portafoglio di titoli.
Quale rendimento può attendersi di conseguire dall’investimento?
Il rendimento del portafoglio in ciascuno stato del mondo sarà la media (ponderata)
dei rendimenti
dei titoli a e b
Ad esempio:
Xa 40%
Xb 60%
RP =
Stato del mondo Xa Ra Xb Rb Xa Ra + Xb Rb Probabilità
Boom 8,00% 9,00% 17,00% 0,20
Crescita moderata 4,00% 6,60% 10,60% 0,40
Stagnazione 0,00% –4,80% –4,80% 0,25
Recessione –3,20% 0,00% –3,20% 0,15
E(Rp) 5,96% 1,00
In tal caso il portafoglio può essere considerato alla stregua di un nuovo titolo.
Il rendimento atteso è calcolato quindi come media ponderata dei rendimenti del
portafoglio
in ciascuno stato del mondo.
È tuttavia più immediato calcolare il rendimento atteso
come media ponderata dei rendimenti attesi dei singoli titoli che lo compongono
E(Rp) = Xa E(Ra) + Xb E(Rb)
dove: Rp = rendimento medio del portafoglio
Ra, Rb = rendimenti dei titoli a e b
Xa, Xb = percentuale dell’investimento complessivo nei titoli a e b (la loro somma è
1)
Pesi
Portafoglio Xa Xb Rp
1 0% 100% 5,40%
2 5% 95% 5,47%
3 10% 90% 5,54%
4 15% 85% 5,61%
5 20% 80% 5,68%
6 25% 75% 5,75%
7 30% 70% 5,82%
8 35% 65% 5,89%
9 40% 60% 5,96% 40% *6,80%+60%*5,40%
10 45% 55% 6,03%
11 50% 50% 6,10%
12 55% 45% 6,17%
13 60% 40% 6,24%
14 65% 35% 6,31%
15 70% 30% 6,38%
16 75% 25% 6,45%
17 80% 20% 6,52%
18 85% 15% 6,59%
19 90% 10% 6,66%
20 95% 5% 6,73%
21 100% 0% 6,80%
Stato del mondo Rp Probabilità Scarti da media
Boom 17,00% 0,20 11,04%
Crescita moderata 10,60% 0,40 4,64%
Stagnazione –4,80% 0,25 –10,76%
Recessione –3,20% 0,15 –9,16%
E(Rp) 5,96% 1,00
SQM 9,13% 8,96%
SQMp 8,63%
Possiamo verificare che lo SQM, ossia il rischio del portafoglio, NON è la media
degli SQM
dei titoli che lo compongono, ma è più basso.
La media (ponderata) degli SQM dei titoli che compongono il portafoglio è pari a:
40% * 9,13% + 60% * 8,96% = 9,03%
Stato del mondo Rendimenti Probabilità Scarti da media
a b a b
Boom 20% 15% 0,20 13,20% 9,60%
Crescita moderata 10% 11% 0,40 3,20% 5,60%
Stagnazione 0% –8% 0,25 –6,80% –13,40%
Recessione –8% 0% 0,15 –14,80% –5,40%
E(R) 6,80% 5,40% 1,00 a,b 0,67%
Titolo
Titolo a b
2 2
a Xa a Xa Xb ab Varianze
b Xa Xb ab Xb2 b
2
Covarianze
Nell’esempio precedente:
Titolo
Titolo a b
a 0,133% 0,161%
b 0,161% 0,289%
VAR 0,75% = 0,133% + 0,289% + 2 * 0,161%
SQM 8,63%
Formalmente, quando si considerano due soli titoli, conviene fare riferimento alle
seguenti formule:
Titolo
Titolo a b c ... n
a Xa2 a
2
Xa Xb ab Xa Xc ac ... Xa Xn an
b Xa Xb ab Xb2 b
2
Xb Xc bc ... Xb Xn bn
2 2
c Xa Xc ac Xb Xc bc X c c ... Xc Xn cn
... ... ... ... ... ...
n Xa Xn an Xb Xn bn Xc Xn cn ... Xn2 n
2
n Varianze Al crescere della numerosità dei titoli il rischio del portafoglio dipende in
misura sempre maggiore dalle covarianze, mentre
n2 – n Covarianze si riduce il peso delle varianze (rischio complessivo dei singoli titoli)
Se il portafoglio è molto diversificato l’investitore è interessato
principalmente NON al rischio complessivo di ciascun titolo
ma a come varia il rendimento del titolo in rapporto a tutti gli altri.
Sinora abbiamo considerato la covarianza come misura della tendenza dei rendimenti
di due titoli a variare nello stesso senso o in senso inverso ( > o < 0)
La covarianza è una misura scomoda per vari versi (dipende da unità di misura,
non ha valori minimi o massimi). Si usa perciò fare riferimento al coefficiente
di correlazione , che invece ha un range di variazione definito.
Titolo
Titolo a b c ... n
a Xa2 σa2 Xa Xb ab a b Xa Xc ac a c ... Xa Xn an a n
b Xa Xb ab σa σb Xb2 σb2 Xb Xc bc b c ... Xb Xn bn b n
c Xa Xc ac a c Xb Xc bc b c Xc2 σc2 ... Xc Xn cn c n
... ... ... ... ... ...
n Xa Xn an a n Xb Xn bn b n Xc Xn cn c n ... Xn2 σn2
Valori di Correlazione
–1 Perfetta negativa
–1 < < 0 negativa
0 Assenza di correlazione
0 < < 1 positiva
1 Perfetta positiva
Titoli E (R) SQM VAR COV
a 6,80% 9,13% 0,83% 0,82% 1
b 5,40% 8,96% 0,80%
Pesi
Portafoglio Xa Xb E (Rp) SQMp
1 0% 100% 5,40% 8,96% = SQMb
2 5% 95% 5,47% 8,97%
3 10% 90% 5,54% 8,97%
4 15% 85% 5,61% 8,98%
5 20% 80% 5,68% 8,99%
6 25% 75% 5,75% 9,00%
7 30% 70% 5,82% 9,01%
8 35% 65% 5,89% 9,02%
9 40% 60% 5,96% 9,03%
10 45% 55% 6,03% 9,04%
11 50% 50% 6,10% 9,04%
12 55% 45% 6,17% 9,05%
13 60% 40% 6,24% 9,06%
14 65% 35% 6,31% 9,07%
15 70% 30% 6,38% 9,08%
16 75% 25% 6,45% 9,09%
17 80% 20% 6,52% 9,10%
18 85% 15% 6,59% 9,10%
19 90% 10% 6,66% 9,11%
20 95% 5% 6,73% 9,12%
21 100% 0% 6,80% 9,13% = SQMa
In tal caso il rischio del portafoglio è la media ponderata dei rischi dei singoli titoli
che lo compongono.
Ciò può essere verificato analiticamente nella formula del rischio del portafoglio.
Non vi è alcun effetto diversificazione.
Graficamente, l’insieme dei portafogli possibili può essere rappresentato nel piano
rischio-rendimento
Cosa succede al rischio del portafoglio se, per esempio, = –1?
Ossia se i due titoli sono perfettamente negativamente correlati?
Consideriamo l’esempio numerico visto in precedenza
Titoli R SQM VAR COV
a 6,80% 9,13% 0,83% –0,82% –1
b 5,40% 8,96% 0,80%
Pesi
Portafoglio Xa Xb E (Rp) SQMp
1 0% 100% 5,40% 8,96% = SQMb
2 5% 95% 5,47% 8,05%
3 10% 90% 5,54% 7,15%
4 15% 85% 5,61% 6,24%
5 20% 80% 5,68% 5,34%
6 25% 75% 5,75% 4,44%
7 30% 70% 5,82% 3,53%
8 35% 65% 5,89% 2,63%
9 40% 60% 5,96% 1,72%
10 45% 55% 6,03% 0,82%
49,52% 50,48% 6,09% 0,00% Portafoglio a rischio minimo?
11 50% 50% 6,10% 0,09%
12 55% 45% 6,17% 0,99%
13 60% 40% 6,24% 1,90%
14 65% 35% 6,31% 2,80%
15 70% 30% 6,38% 3,70%
16 75% 25% 6,45% 4,61%
17 80% 20% 6,52% 5,51%
18 85% 15% 6,59% 6,42%
19 90% 10% 6,66% 7,32%
20 95% 5% 6,73% 8,23%
21 100% 0% 6,80% 9,13% = SQMa
È molto difficile trovare titoli con correlazione negativa: generalmente, sono tutti
influenzati
nel medesimo senso dalle condizioni generali dell’economia.
La riduzione del rischio si ha già con correlazione positiva (purché < +1)
Titoli R SQM VAR COV
a 6,80% 9,13% 0,83% 0,67% 0,823
b 5,40% 8,96% 0,80%
Pesi
Portafoglio Xa Xb E (Rp) SQMp
1 0% 100% 5,40% 8,96% = SQMb
2 5% 95% 5,47% 8,89%
3 10% 90% 5,54% 8,83%
4 15% 85% 5,61% 8,78%
5 20% 80% 5,68% 8,73%
6 25% 75% 5,75% 8,69%
7 30% 70% 5,82% 8,66%
8 35% 65% 5,89% 8,64%
9 40% 60% 5,96% 8,63%
10 45% 55% 6,03% 8,63%
11 50% 50% 6,10% 8,63%
12 55% 45% 6,17% 8,65%
13 60% 40% 6,24% 8,67%
14 65% 35% 6,31% 8,70%
15 70% 30% 6,38% 8,74%
16 75% 25% 6,45% 8,78%
17 80% 20% 6,52% 8,84%
18 85% 15% 6,59% 8,90%
19 90% 10% 6,66% 8,97%
20 95% 5% 6,73% 9,05%
21 100% 0% 6,80% 9,13% = SQMa
LA FRONTIERA EFFICIENTE (per 2 titoli)
L’insieme dei portafogli visto in precedenza costituisce l’insieme delle
OPPORTUNITÀ DISPONIBILI. Ma alcune di esse sono poco attraenti.
Titoli R SQM VAR COV
a 6,80% 9,13% 0,83% 0,67% 0,823
b 5,40% 8,96% 0,80%
Pesi
Portafoglio Xa Xb E (Rp) SQMp
1 0% 100% 5,40% 8,96% = SQMb
2 5% 95% 5,47% 8,89%
3 10% 90% 5,54% 8,83% L’area grigia individua le
4 15% 85% 5,61% 8,78% combinazioni non efficienti:
5 20% 80% 5,68% 8,73% esistono portafogli che danno
6 25% 75% 5,75% 8,69% rendimenti più alti a pari rischio
7 30% 70% 5,82% 8,66%
8 35% 65% 5,89% 8,64%
9 40% 60% 5,96% 8,63%
10 45% 55% 6,03% 8,63%
11 50% 50% 6,10% 8,63%
12 55% 45% 6,17% 8,65%
13 60% 40% 6,24% 8,67%
14 65% 35% 6,31% 8,70% L’area gialla individua le
15 70% 30% 6,38% 8,74% combinazioni sulla
16 75% 25% 6,45% 8,78% FRONTIERA EFFICIENTE
17 80% 20% 6,52% 8,84%
18 85% 15% 6,59% 8,90%
19 90% 10% 6,66% 8,97%
20 95% 5% 6,73% 9,05%
21 100% 0% 6,80% 9,13% = SQMa
Solo il ramo "ascendente" (verso destra) della curva rappresenta la frontiera efficiente
(per portafogli composti da due titoli)
Le altre combinazioni sono inefficienti e saranno ignorate da investitori razionali.
LA FRONTIERA EFFICIENTE (per N titoli)
Il procedimento di diversificazione può proseguire, aumentando il numero di titoli in
portafoglio
Se essi sono meno che perfettamente correlati tra loro, questo porta un’ulteriore
potenziale riduzione del rischio
Quando si detengono molte azioni in un portafoglio, il rischio specifico della singola
impresa viene diversificato.
Esiste però un limite al di sotto del quale è impossibile scendere, per quanto si cerchi
di diversificare: esiste cioè una parte di rischio NON DIVERSIFICABILE, ossia un
rischio
ineliminabile con la diversificazione, ossia un rischio SISTEMATICO o DI
MERCATO
Le oscillazioni del rendimento di un’azione dovute a notizie riguardanti il mercato,
ossia l’intera
economia, rappresentano un rischio comune a tutte le azioni.
Perché?
Rp è la media ponderata dei rendimenti sul titolo risk free e sul portafoglio
rischioso Lambda
Rp = Xf · Rf + XLambda (RLambda)
tenuto conto che Xf + XLambda = 1
SQMp è calcolabile in base alla matrice varianze-covarianze. Con due titoli:
Titolo port.rischioso
risk-free Lambda
Titolo risk-free 0 0
port.rischioso Lambda 0
Pertanto lo SQM del portafoglio è pari alla media ponderata degli SQM
dei titoli rischiosi che lo compongono:
Pesi
Portafoglio Xf XLambda E (Rp) SQMp rf = 2%
1 100% 0% 2,00% 0,00%
2 95% 5% 2,21% 0,43%
3 90% 10% 2,42% 0,87%
4 85% 15% 2,64% 1,30%
5 80% 20% 2,85% 1,73%
6 75% 25% 3,06% 2,17%
7 70% 30% 3,27% 2,60%
8 65% 35% 3,48% 3,03%
9 60% 40% 3,70% 3,47%
10 55% 45% 3,91% 3,90%
11 50% 50% 4,12% 4,33%
12 45% 55% 4,33% 4,77%
13 40% 60% 4,54% 5,20%
14 35% 65% 4,76% 5,63%
15 30% 70% 4,97% 6,07%
16 25% 75% 5,18% 6,50%
17 20% 80% 5,39% 6,93%
18 15% 85% 5,60% 7,37%
19 10% 90% 5,82% 7,80%
20 5% 95% 6,03% 8,24%
21 0% 100% 6,24% 8,67% Lambda
22 -5% 105% 6,45% 9,10%
23 -10% 110% 6,66% 9,54%
24 -15% 115% 6,88% 9,97%
25 -20% 120% 7,09% 10,40%
26 -25% 125% 7,30% 10,84%
27 -30% 130% 7,51% 11,27%
28 -35% 135% 7,72% 11,70%
29 -40% 140% 7,94% 12,14%
30 -45% 145% 8,15% 12,57%
31 -50% 150% 8,36% 13,00%
32 -55% 155% 8,57% 13,44%
33 -60% 160% 8,78% 13,87%
34 -65% 165% 9,00% 14,30%
35 -70% 170% 9,21% 14,74%
Non è finita qui!
Esiste una retta diversa per ciascun portafoglio rischioso sulla frontiera efficiente.
Ma tra tutti i portafogli rischiosi, ne esiste uno OTTIMO (portafoglio O), ossia
preferibile a
tutti gli altri perché, combinato col titolo risk free, genera la retta più “alta” possibile.
che diventa la NUOVA FRONTIERA EFFICIENTE per il singolo investitore.
Il principio di separazione afferma che CIASCUN INVESTITORE, nelle proprie
scelte
d’investimento, deve prendere due decisioni INDIPENDENTI tra loro:
Per questa ragione, i titoli rischiosi trattati sul mercato saranno solo quelli
contenuti nel portafoglio OTTIMO. Esso è quindi formato da tutti i titoli presenti sul
mercato, ciascuno con un peso proporzionale al suo valore ed è detto
PORTAFOGLIO DI MERCATO
Dunque non esistono tanti portafogli O diversi per ciascun investitore,
ma un unico portafoglio ottimo M uguale per tutti.
Per avere un’idea di che cosa può essere il portafoglio di mercato, possiamo
approssimativamente
immaginarlo come un portafoglio che replichi perfettamente l’indice azionario.
Tutti gli investitori deterranno perciò portafogli costituiti solo da due attività:
1 – IL TITOLO RISK FREE
2 – IL PORTAFOGLIO DI MERCATO
Il fatto che gli investitori detengano, in proporzioni variabili, combinazioni del titolo
privo di
rischio e del portafoglio di mercato quali implicazioni ha per la valutazione di titoli e
investimenti?
Una cosa molto importante: siccome tutti sono interessati al medesimo portafoglio
di attività rischiose, tutti concordano sulla misura del rischio rilevante per la
valutazione.
Questo comporta che la volatilità di un’azione (SQM), che è una misura del
rischio totale
non è molto utile per determinare il premio per il rischio.
Come detto, ciò che importa per l’investitore è il solo rischio sistematico del
titolo,
ossia il contributo che il singolo titolo dà al portafoglio di mercato (ottimamente
diversificato)
Serve quindi una misura di rischio che rifletta il grado di correlazione tra
il rendimento del titolo e quello del portafoglio di mercato.
Rendimenti
Stato del mondo Rm RAlfa
Espansione 45% 35%
Recessione –20% –20%
beta = 0,846 = 0,0894/(0,325)2
La relazione tra rendimenti dell’azione e rendimenti del (portafoglio di) mercato è
rappresentata
graficamente dalla LINEA CARATTERISTICA
La pendenza di questa retta rappresenta il beta dell’azione
Qual è il significato di particolari valori del beta?
i
= 0 titolo non correlato col portafoglio di mercato (dunque risk free)
0< < il rendimento atteso sul titolo è soggetto in media a minori variazioni
i
1 rispetto a Rm
i
> 1 il rendimento atteso sul titolo è soggetto in media a maggiori variazioni
rispetto a Rm
La misura corretta del rischio sistematico di un titolo (l’unico rilevante per gli
investitori)
e la relazione con essa dei rendimenti richiesti sono individuate dal
CAPITAL ASSET PRICING MODEL (CAPM).
E(Ri) = Rf + i x [E(Rm) – Rf ]
dove: E(Ri) = Rendimento richiesto sull’attività i
Rf = Rendimento richiesto sull’attività risk-free
E(Rm) = Rendimento richiesto sul portafoglio di mercato
i = coefficiente beta del titolo i
BETA DI UN PORTAFOGLIO
La linearità della relazione individuata dal CAPM permette di calcolare il
beta di un portafoglio composto da più titoli come la MEDIA PONDERATA
DEI BETA DEI TITOLI CHE LO COMPONGONO.
dove:
j
= beta del singolo titolo
Xj = peso del singolo titolo (a valori di mercato) in portafoglio
Esempio:
Titolo E(R)
a 0,7 8,20%
b 1,2 11,20%
E(Rm) 10%
Rf 4%
Consideriamo, per esempio, un portafoglio composto da a e b come segue:
Xa = 60%
Xb = 40%
Calcoliamo il rendimento atteso del portafoglio come media ponderata dei rendimenti
dei titoli:
E(Rp) = 60% x 8,20% + 40% x 11,20% = 9,40%
E(Rp) = Xa(Rf + a(E(RM) – Rf)) + Xb(Rf + b(E(RM) – Rf))
E(Rp) = XaRf + Xa a(E(RM) – Rf)) + XbRf + Xb b(E(RM) – Rf))
Rf
E(Rp) = Rf + (Xa a + Xb b)(E(RM) – Rf)
E(Rp) = Rf + p(E(RM) – Rf)
FCNA 100
FCNB 150
Rf 3%
E(Rm) 7%
A 1,25
B 0,88
Possiamo calcolare il valore dell’attivo di Lambda come somma dei valori delle
singole divisioni
ricordando che:
Vatt = FCN/R
Naturalmente i FCN andranno scontati ad un tasso che riflette il loro rischio
sistematico
DIVISIONE A
E(RA) = Rf + A x [E(Rm) – Rf]
= 3% + 1,25 * (7%–3%)
= 8,0%
Vatt (A) = 100/0,08 = 1250
DIVISIONE B
E(RB) = Rf + B x [E(Rm) – Rf]
= 3% + 0,88 * (7%–3%)
= 6,5%
Vatt(B) = 150/0,065 = 2300
IMPRESA LAMBDA
Vatt (Lambda) = 3550
FCN (totali) = FCNA + FCNB
FCN (Lambda) = 250
= 1,25* 1250/3550 + 0,88* 2300/3550 = 1,01
Lambda
Questo è il beta dell’attivo di Lambda. Dato che stiamo considerando imprese non
indebitate
questo è anche il beta delle azioni di Lambda. Il punto andrà rivisto quando si
considereranno
imprese indebitate.
E(RLambda) = Rf + x [E(Rm) – Rf]
Lambda
= 3% + 1,01 * (7%–3%)
= 7,0%
Vatt (Lambda) = 250/0,07 = 3550
In definitiva, si può pensare all’attivo dell’impresa come ad un portafoglio di attività
REALI.
Valore dell’attivo Somma dei valori dei singoli assets
Si osservi che:
Ra = Rf + x [Rm – Rf]
attivo
Rj = Rf + j x [Rm – Rf]
dove:
= delle azioni dell’impresa se non indebitata
attivo
La possibilità che l’impresa si finanzi anche con debito comporta varie conseguenze:
dove: Ft = FCNt
a) A VALORI CONTABILI
b) A VALORI DI MERCATO
LA MISURAZIONE A VALORI CONTABILI
La misurazione a valori contabili fa uso di INDICI calcolati sullo Stato Patrimoniale
riclassificato e condensato.
Liquidità
Debiti finanziari a breve
CCN (Operativo) Debiti finanziari a M/L
Mezzi Propri (Equity)
Immobilizzazioni nette
Totale Attivo Totale Passivo
La misura del ricorso alle varie fonti di finanziamento è calcolabile in base ai seguenti
indici:
Chiaramente, dal valore di uno degli indici si ricavano facilmente quelli degli altri:
Ad esempio, sapendo che un’impresa ha un grado di leverage (D/E) pari a 3, è facile
osservare che:
LA MISURAZIONE A VALORI DI MERCATO
Gli indicatori sono i medesimi visti in precedenza.
Ma le grandezze sono RIESPRESSE A VALORI DI MERCATO.
Di conseguenza, cambiano drasticamente significato e prospettiva.
Attivo Debiti finanziari
Equity
sono definiti tutti a valori di mercato.
Che cosa si intende per valore di mercato del capitale azionario?
Se il capitale è rappresentato da azioni quotate, si tratta del loro valore di mercato.
In caso contrario, si tratta di un valore “teorico” stimato in base alle formule viste in
precedenza.
Che cosa si intende per valore di mercato dei debiti finanziari?
Se i debiti sono rappresentati da obbligazioni quotate, si tratta del loro valore di
mercato.
In caso contrario, si tratta di un valore stimato secondo le regole viste in precedenza
(V.teorico Debito = VA dei flussi attesi – da interessi e rimborsi – attualizzati al costo-
opportunità del capitale, ossia al tasso corrente di mercato per titoli obbligazionari
aventi caratteristiche “simili”)
Ipotizzando che il debito oggi esistente sia rappresentato da obbligazioni cedolari a
tasso fisso:
dove:
FDt = Flussi finanziari (Cedole o Rimborsi) spettanti all’obbligazionista all’anno t
CEDt = Cedola sull’obbligazione
VN = Valore Nominale dell’obbligazione (da rimborsare a t=n)
R = Costo-opportunità del capitale (Rendimento sul migliore investimento
alternativo, a parità di rischio)
Che cosa si intende per valore di mercato dell’Attivo?
Sostanzialmente, è il valore che un investitore razionale sarebbe disposto a pagare:
Il valore di mercato dell’attivo (Vatt) deriva dal valore dei progetti d’investimento
effettuati.
L’attivo è costituito da un PORTAFOGLIO DI PROGETTI, ciascuno dei quali ha un
suo valore.
Per l’additività del valore, Vatt è pari alla somma del valore dei singoli progetti attuati,
ciascuno a sua volta pari al VA dei flussi di cassa operativi netti (FCN) attesi.
In sostanza, gli aumenti di capitale possono essere considerati come dividendi negativi.
PER I CREDITORI: – PAGAMENTI DI ONERI FINANZIARI (CEDOLE)
– RIMBORSI DI FINANZIAMENTI
(AL NETTO DELL’ACCENSIONE DI NUOVI FINANZIAMENTI)
In sostanza, il rimborso a t = n dei debiti oggi esistenti (al Valore nominale VN)
non esaurisce la dinamica del Debito. Bisogna considerare anche la possibilità
che nuovi debiti sostituiscano i vecchi.
Da osservare che i flussi destinati ai creditori (FDt) sono espressi qui (al contrario che
in precedenza)
come sommatoria di infiniti termini. Non si intende ipotizzare che il debito abbia
durata infinita
(ossia non sia mai rimborsato). Semplicemente, si intende sottolineare che al
momento del rimborso
dei debiti oggi esistenti, è del tutto possibile che essi vengano sostituiti da nuovi
debiti.
È inoltre da osservare che i tre tipi di flussi (FCN, FD, DIV) devono essere
attualizzati non a un generico R ma CIASCUNO AL PROPRIO COSTO-
OPPORTUNITÀ. Siccome non è detto che il rischio che circonda tali flussi sia
identico, è perfettamente possibile (e, anzi, come vedremo, normale) che i tre
tassi-opportunità siano diversi tra loro, e coerenti con il CAPM.
In sostanza, ciascun R discende da una formula del CAPM, in cui il Beta può
essere differente.
Possiamo quindi scrivere:
dove:
RA = Rendimento richiesto dagli investitori sull’attivo (coerente con il rischio degli
investimenti);
RD = Rendimento richiesto dai creditori (obbligazionisti); se il debito è risk-free, sarà
uguale a Rf
RE = Rendimento richiesto dagli azionisti (tenendo conto sia degli investimenti
effettuati, sia, come vedremo meglio in seguito, della struttura finanziaria
dell’impresa)
Tornando alla società Lambda, ipotizziamo che il valore “di mercato” dell’Attivo sia
4000
(stimato come Valore attuale dei FCN attesi in futuro)
e che il valore di mercato del debito sia pari al suo valore contabile
(NB: i debiti sono normalmente contabilizzati al valore nominale del capitale
prestato;
se il valore di mercato del debito è pari al valore nominale, ciò significa
che l’impresa paga un tasso d’interesse in linea con le attese del mercato ovvero,
se il debito è costituito da obbligazioni, che queste sono quotate alla pari).
La situazione a valori di mercato risultante è la seguente:
V.Attivo 4000 Debiti finanziari 1150
Cap.Azionario (Equity) ???
Totale Attivo 4000 Totale passivo 4000
Il valore di mercato dell’Equity è ricavabile come differenza tra valore di mercato
dell’Attivo e del debito
E = 4000 – 1150 = 2850
V.Attivo 4000 Debiti finanziari 1150
Cap.Azionario (Equity) 2850
Totale Attivo 4000 Totale passivo 4000
Il rapporto price to book value (P/BV) (o market value to book value – MV/BV)
Il prezzo dell’azione risente dei flussi di cassa futuri attesi, mentre il book value
dell’azione è una misura contabile che si basa essenzialmente sul principio del costo
storico.
Tale rapporto mette quindi a confronto il valore di mercato che si ottiene dalla
gestione dell’insieme di
investimenti fatti dall’impresa con il costo sostenuto per effettuarli (approssimato dal
valore contabile).
Pertanto se in un dato momento P/BV è superiore a 1 (quindi il valore attuale dei
flussi di cassa attesi è maggiore del costo che si sosterrebbe oggi per rifare
l’investimento nell’impresa), si può ritenere che il mercato assegni un premio
all’investimento nell’impresa.
Mentre se P/BV è inferiore a 1, si può ritenere che il mercato quoti a sconto il costo
necessario a rifare l’investimento nell’impresa.
Una modalità importante di stima del rischio di insolvenza nel caso di debito
obbligazionario
è il ricorso a SOCIETÀ DI RATING, che formulano un giudizio
sulla solidità dell’impresa basato su misurazioni A VALORI CONTABILI
Anche gli intermediari (banche) ragionano spesso in modo analogo alle società di
rating.
Standard & Poor’s utilizza un set di indicatori-chiave (key ratios), che variano nel
tempo.
Tra essi vale la pena di ricordare:
A) INDICI DI STRUTTURA FINANZIARIA
Liquidità
Debiti finanziari a breve
CCN (Operativo) Debiti finanziari a M/L
Mezzi Propri (Equity)
Immobilizzazioni nette
Ricavi
Costi monetari operativi (–)
= EBITDA
Ammortamenti e acc.ti (–)
= EBIT
Oneri finanziari (–)
Proventi/oneri straordinari
= EBT
Imposte (–)
R.Netto
Adottiamo il punto di vista di un’impresa che abbia già effettuato le proprie decisioni
di INVESTIMENTO e che si stia chiedendo in quale modo finanziare la propria
attività. In particolare, essa può domandarsi se esista un modo OTTIMALE di
finanziare il proprio portafoglio di progetti di investimento, ossia se esista una
STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMALE, definita in termini di rapporto tra
DEBITO (finanziario) ed EQUITY (mezzi propri).
Dal punto di vista degli azionisti, la struttura finanziaria ottimale (ammesso che
esista) è quella che le consente di MASSIMIZZARE IL VALORE DEL CAPITALE
AZIONARIO (OSSIA DELL’EQUITY)
Ricavi 6000
Costi monetari operativi (-) –4800
= EBITDA 1200
Ammortamenti e acc.ti (-) –200
= EBIT 1000 EBIT 1000
Imposte “teoriche” (EBIT x tc) 0
Oneri finanziari (-) 0 (“come se” non indebitata)
Proventi/oneri straordinari (+/-) 0 EBIT (1 – tc) 1000
= EBT 1000 Amm.ti/Acc.ti 200
Imposte (–) 0 Investimenti (cap.fisso) –200
R.Netto 1000 FCN 1000
Definiamo:
RA = Rendimento richiesto dagli investitori sull’Attivo
R0 = RE,U = Rendimento richiesto dagli azionisti dell’impresa Unlevered
(NON indebitata)
RE = RE,L = Rendimento richiesto dagli azionisti dell’impresa Levered
(indebitata)
CONTO ECON
EBIT 1000
ON.FIN. –
R.NETTO 1000
UNLEVERED LEVERED
ATTIVO PASSIVO ATTIVO PASSIVO
D
VU E0 VL
EL
UNLEVERED
ATTIVO PASSIVO
D = 0
VU = 7500
E = 7500
Ognuna delle 150 azioni avrà quindi un valore di mercato pari a 50 (7500/150).
Ipotizziamo ora che l’impresa muti la propria STRUTTURA FINANZIARIA
SENZA MODIFICARE L’ATTIVO. Ciò significa che l’impresa prosegue
nell’attuazione degli investimenti programmati
(pertanto NON CAMBIANO NÉ I FCN ATTESI, NÉ IL RISCHIO,
QUINDI IL TASSO DI ATTUALIZZAZIONE RA resta COSTANTE e pari a R0)
IPOTESI N. 1
L’impresa emette 50 obbligazioni da 50 cadauna.
Col ricavato ricompra e annulla 50 azioni.
Il debito post-operazione sarà 2500.
IPOTESI N. 2
L’impresa emette 100 obbligazioni da 50 cadauna.
Col ricavato ricompra e annulla 100 azioni.
Il debito post-operazione sarà 5000.
UNLEVERED IPOTESI N. 1 IPOTESI N. 2
CONTO ECON CONTO ECON CONTO ECON
EBIT 1000 EBIT 1000 EBIT 1000
ON.FIN. 0 ON.FIN. 250 ON.FIN. 500
R.NETTO 1000 R.NETTO 750 R.NETTO 500
DIV TOT 1000 DIV TOT 750 DIV TOT 500
FCN 1000 FCN 1000 FCN 1000
n.AZIONI 150 n.AZIONI 100 n.AZIONI 50
DIV/AZ 6,67 DIV/AZ 7,5 DIV/AZ 10
n.OBBL. 0 n.OBBL. 50 n.OBBL. 100
NB: il FCN resta invariato e pari all’EBIT (1.000) nei tre casi; lo stesso vale per il
rischio e per il tasso di attualizzazione RA (13.33%) poiché l’attività industriale svolta
dall’impresa non è cambiata. Ne consegue che il valore dell’attivo resta invariato e
pari a 7500.
Infatti il FCN non cambia, ma cambia la sua ripartizione tra flussi destinati ai creditori
(oneri finanziari) e agli azionisti (R.Netto = DIV)
Secondo MM il valore delle fette (nel passivo di SP) è il seguente:
UNLEVERED IPOTESI N. 1 IPOTESI N. 2
ATT PASS ATT PASS ATT PASS
D = 0 D = 2500 D = 5000
VU=7500 VL=7500 VL=7500
E = 7500 E = 5000 E = 2500
D/E = 0 D/E = 0,5 D/E = 2
NB: Ma gli azionisti sono davvero indifferenti alla modifica della struttura
finanziaria?
All’aumentare del Debito il valore complessivo dell’equity E si riduce!
MA l’emissione di obbligazioni NON va a finanziare nuovi investimenti bensì il
riacquisto di azioni.
Gli azionisti cedono “fette di torta” al prezzo corretto (se il Mkt è efficiente) e
dunque incamerano anche una somma pari al valore delle obbligazioni emesse.
Bisogna ragionare sul Valore dell’attivo, non su quello dell’Equity che è
“inquinato”
dalla modifica del numero delle azioni in circolazione.
Il valore del Debito (D) è pari al valore nominale (2500 nell’ipotesi 1 e 5000
nell’ipotesi 2)
Il valore di mercato dell’Equity può poi essere ricavato per differenza (VU – D).
Sarà 5000 (= 7500 – 2500) nell’ipotesi 1 e 2500 (=7500-5000) nell’ipotesi 2.
PROPOSIZIONE 1 DI MM
VU = VL MM1
VU = V. Attivo impresa Unlevered = V. azioni impr. Unlevered (E0)
VL = V. Attivo impresa Levered
V. Attivo impresa Levered = V. Debito impr. Levered + V. Equity impr. Levered
VL = D + E
UNLEVERED IPOTESI N. 1 IPOTESI N. 2
DIV TOT. 1000 DIV TOT. 750 DIV TOT. 500
n. AZIONI 150 n. AZIONI 100 n. AZIONI 50
DIV 6,67 DIV 7,5 DIV 10
EQUITY 7500 EQUITY 5000 EQUITY 2500
P 50 P 50 P 50
Il Prezzo delle azioni nei 3 casi è ricavato dividendo il valore totale dell’equity per il
numero delle azioni in circolazione.
I dividendi non sono – infatti – risk-free ma rischiosi, già quando l’impresa non è
indebitata.
Man mano che l’impresa si indebita, essa prenota – di fatto – una quota crescente
degli FCN attesi a favore dei creditori.
Ciò genera un aumento del rischio per gli azionisti, che possono “servirsi” solo dopo
che i creditori
siano integralmente soddisfatti. In altre parole, la suddivisione della torta genera due
fette profondamente diverse quanto a rischio. Il rischio resta concentrato sulla fetta
spettante agli azionisti. Man mano che essa si riduce, il rischio per euro di capitale
impiegato dagli azionisti aumenta (si concentra su una fetta sempre più piccola).
UNLEVERED
EBIT 1000 EBIT 500 EBIT 1500
ON. FIN. ON. FIN. ON. FIN. –
R. NETTO 1000 R. NETTO 500 R. NETTO 1500
n. AZIONI 150 n. AZIONI 150 n. AZIONI 150
DIV 6,67 DIV 3,33 DIV 10,00
RE 13,3% RE 6,7% RE 20,0% 5,44% SQM dei rendimenti
IPOTESI N. 1
EBIT 1000 EBIT 500 EBIT 1500
ON.FIN. 250 ON.FIN. 250 ON.FIN. 250
R.NETTO 750 R.NETTO 250 R.NETTO 1250
n.AZIONI 100 n.AZIONI 100 n.AZIONI 100
DIV 7,50 DIV 2,50 DIV 12,50
RE 15,0% RE 5,0% RE 25,0% 8,16% SQM dei rendimenti
IPOTESI N. 2
EBIT 1000 EBIT 500 EBIT 1500
ON.FIN. 500 ON.FIN. 500 ON.FIN. 500
R.NETTO 500 R.NETTO 0 R.NETTO 1000
n.AZIONI 50 n.AZIONI 50 n.AZIONI 50
DIV 10 DIV 0 DIV 20
RE 20,0% RE 0,0% RE 40,0% 16,33% SQM dei rendimenti
In una prima fase, MM ipotizzano che il DEBITO sia privo di rischio di insolvenza.
Esaminiamo prima questo caso, più semplice anche se poco realistico.
Quando l’impresa (stazionaria) non è indebitata (Caso-base)
Pertanto:
Siccome FCN = EBIT è costante (impresa stazionaria) e per la MM1 deve valere:
VU = VL
allora deve valere anche la seguente uguaglianza:
In sintesi:
Al crescere dell’indebitamento il WACC resta costante e pari a R0.
Perché ciò accada, RE deve salire linearmente in proporzione all’indebitamento
(D/E)
RE inoltre sale tanto più rapidamente, al crescere di D/E,
quanto più è rischiosa l’attività industriale di base (R0)
NELL’ESEMPIO:
R0 = 13,33% RD = 10%
UNLEVERED
WACC = 13,33% = R0
CON LEVERAGE 0,5
RE = 13,33% + 0,5 (13,33% – 10%) = 15%
WACC = (1/3) 10% + (2/3) 15% = 13,33% = R0
CON LEVERAGE 2
RE = 13,33% + 2 (13,33% – 10%) = 20%
WACC = (2/3) 10% + (1/3) 20% = 13,33% = R0
L’effetto netto in termini di valore delle azioni è nullo (come ricavabile dalla
MM1)
COMPATIBILITÀ DI MM E CAPM
La MM2 afferma che il rendimento richiesto dagli azionisti (RE) parte da un certo
livello di base R0
quando l’impresa non ha debito (è unlevered) e poi cresce linearmente con
l’indebitamento.
RE = R0 + (D/E) (R0 – RD)
Il CAPM afferma che il rendimento richiesto dagli investitori su qualunque titolo i
(Ri) cresce con il Beta del titolo.
Ri = Rf + i (Rm – Rf)
Il CAPM vale, ovviamente, anche per le azioni di un’impresa indebitata. Quindi RE
cresce con il Beta delle azioni.
RE = Rf + E (Rm – Rf)
dove E è il coefficiente Beta delle azioni dell’impresa indebitata.
Naturalmente, il coefficiente Beta delle azioni di un’impresa unlevered è 0
.
Per analizzare la relazione tra Beta e indebitamento è utile fare riferimento alla
TEORIA DEL PORTAFOGLIO.
Ricordiamo che il Beta di un portafoglio è pari alla media ponderata dei Beta dei titoli
che lo compongono.
Inoltre il Beta dell’attivo (ossia il Beta delle azioni di un’impresa non indebitata ( 0))
è pari alla media ponderata dei Beta attribuibili ai singoli progetti d’investimento (è
come un portafoglio di azioni di imprese mono-progetto, ciascuna delle quali ha cioè
come scopo esclusivo lo svolgimento di un progetto).
Vediamo un semplice esempio.
L’impresa Alfa (non indebitata) è una holding che detiene partecipazioni in tre società
(Sigma, Tau e Ypsilon).
I valori di mercato e i beta delle tre società sono i seguenti:
Valore Pesi Beta
Sigma 100 50% 1,2
Tau 40 20% 1,5
Ypsilon 60 30% 0,6
Totale 200 100% 1,08
I valori nella prima colonna sono, semplicemente i valori che si ritrovano nell’attivo
di Alfa (VU = 200).
Il Beta del portafoglio detenuto da Alfa è la media ponderata dei Beta delle singole
società partecipate
Esso corrisponde al Beta del suo attivo ( 0). Siccome Alfa non è indebitata, esso
corrisponde anche al
Beta delle sue azioni. Infatti gli azionisti di Alfa detengono – indirettamente – il
portafoglio di partecipazioni e non devono dividerne i frutti (i dividendi generati dalle
singole azioni) con nessun altro finanziatore.
Ipotizziamo ora che Alfa sia indebitata (e che il debito contratto, come fin qui
ipotizzato, sia risk-free).
Il debito D sia pari a 80. Che impatto avrà tale fatto sui valori e sui Beta?
Anzitutto, il valore dell’attivo non cambia (per la MM1). Se l’impresa ha D pari a 80,
E varrà 120.
VU = VL
E = VL – D = 200 – 80 = 120
Quanto ai Beta, vale nel passivo ciò che valeva nell’attivo.
Infatti, il rischio sistematico generato dai progetti di investimento (il Beta dell’attivo)
si scaricherà – pro-quota – sul complesso dei finanziatori. Pertanto, il complesso dei
titoli emessi dall’impresa avrà un Beta (che chiameremo Beta del passivo) pari al
Beta dell’attivo.
Il Beta del passivo, per la teoria del portafoglio, sarà a sua volta pari alla media
ponderata
dei Beta dei titoli che lo compongono. Di conseguenza:
E
= (1 + D/E) 0
E
= (1 + D/E) 0 = (1 + 80 / 120) x 1.08 = 1,80
RE = Rf + (1 + D/E) 0 (Rm – Rf)
da cui si vede che il premio per il rischio dipende:
– dal tipo di attività industriale svolta (che si riflette in 0)
– dal grado di indebitamento (D/E) che genera un rischio finanziario aggiuntivo per
gli azionisti
LA PRESENZA DI DEBITO RISCHIOSO
L’ipotesi di debito risk-free è poco realistica.
Peraltro, si può dimostrare che i risultati di MM continuano a valere anche
in presenza di DEBITO RISCHIOSO (ossia se l’impresa può fallire)
Ricavi 6000
Costi monetari operativi (–) –4800
= EBITDA 1200
Ammortamenti e acc.ti (–) –200 EBIT 1000
= EBIT 1000 Imposte “teoriche” (EBIT x tc) –300
Oneri finanziari (–) 0 (“come se” non indebitata)
Proventi/oneri straordinari (+/-) 0 EBIT (1 – tc) 700
= EBT 1000 Amm.ti/Acc.ti 200
Imposte (–) –300 Investimenti (cap.fisso) –200
R. Netto 700 FCN 700
tc 30%
Come varia il conto economico al variare del grado di indebitamento?
NB: Ipotizziamo anche che i rendimenti richiesti dai finanziatori siano identici al caso
precedente.
R0 13,33%
RD 10%
Si osserva ora che, a parità di FCN (gli investimenti effettuati dall’impresa non
cambiano)
si modifica il totale dei flussi disponibili per i finanziatori al netto delle imposte. In
particolare,
AL CRESCERE DELL’INDEBITAMENTO I FLUSSI DISPONIBILI
AUMENTANO.
Tale effetto non è connesso all’area operativa (gli FCN restano stabili) ma a quella
FINANZIARIA.
Come si ripercuote l’aumento dei flussi disponibili (rispetto al FCN) sul valore
dell’impresa?
Un’impresa priva di debito (unlevered) avrà un valore dell’attivo = valore dell’equity
pari a:
VU = E0
che è = R0
NB: La MM1 sopra definita è calcolata su valori dell’attivo (VU e VL) al netto
d’imposta.
Cioè sulla somma delle fette dei soli azionisti e creditori.
Nell’esempio:
52,5 se D = 1750
105 se D = 3500
se D = 1750
se D = 3500
In generale, nel caso di un’impresa stazionaria:
Interessi passivi = RD x D con tasso RD e ammontare del debito D costanti
Risparmi annui di imposta = tc RD D
E QUINDI:
SF = tc D
Nel caso generale di un’impresa non “stazionaria”, vengono meno le condizioni di
stabilità
dei parametri che consentono di utilizzare la formula della rendita perpetua. Lo Scudo
Fiscale
sarà pari, semplicemente, alla somma dei risparmi fiscali connessi al debito anno per
anno.
DEBITO = 0 DEBITO = 1750 DEBITO = 3500
ATT PASS ATT PASS ATT PASS
VU = 5250 D = 0000 VU = 5250 D = 1750 VU = 5250 D = 3500
SF = 0000 E = 5250 SF = 0525 E = 4025 SF = 1050 E = 2800
SF = 5250 E = 5250 SF = 5775 E = 5775 SF = 6300 E = 6300
VU = E0 = 5250
Quando l’impresa si indebita: tc D SF
D è un dato 30% 1750 525
SF è ottenuto come tc x D 30% 3500 1050
VL è ricavabile dalla MM1 come somma del valore dei singoli assets (VU + SF)
VU D SF VL
VL = VU + SF = VU + tc D 5250 1750 0525 5775
5250 3500 1050 6300
N. azioni
D emesso riacquistate rimanenti
1750 050 100
3500 100 050
UNLEVERED IPOTESI N. 1 IPOTESI N. 2
DIV TOT. 700 DIV TOT. 577,5 DIV TOT. 455
n. AZIONI 150 n. AZIONI 100 n. AZIONI 50
DIV/AZ 4,67 DIV/AZ 5,8 DIV/AZ 9
EQUITY 5250 EQUITY 4025 EQUITY 2800
P 35 P 40,25 P 56
NB: dalla MM1 segue che, in generale, RA = WACC non è più costante è pari a R0
Per la precisione, siccome VL > VU, WACC < R0
RE = R0 + (D/E) (1 – tc) (R0 – RD) MM2 con imposte societarie
Il rendimento richiesto dagli azionisti incorpora ancora un premio per il rischio
finanziario.
Esso è inferiore rispetto al caso senza imposte (fattore 1 – tc),
poiché parte del valore è connessa a risparmi fiscali che, nelle ipotesi poste,
sono risk-free (e comunque sono caratterizzati da rischio inferiore agli altri
flussi).
Si era detto che nell’esempio, E è ricavabile anche dalla formula DDM, attualizzando
DIV al tasso RE dato dalla MM2
D D/E DIV RE E
0 0 700 13,33% 5250 = DIV/RE, con RE “da MM2”
1750 0,4348 577,5 14,35% 4025 ossia
3500 1,25 455 16,25% 2800 RE = R0 + (D/E) (1 – tc) (R0 – RD)
NB: nei calcoli svolti secondo il DDM c’è un aspetto che può sembrare “strano”.
I dividendi sono infatti attualizzati a un tasso RE (pari al 14.35% o al 16.25%)
calcolato in base a una formula MM2 che – implicitamente – utilizza già, nel calcolo
del grado di indebitamento D/E, il “risultato” ricercato (E = 4025 o 2800).
Vu D
SF = tc x D E
25% (tD) SUL DEBITO (sugli interessi)
10% (tE) SUL REDDITO AZIONARIO (sui dividendi)
30% (tc) SUL REDDITO SOCIETARIO
D = 0 D = 400; RD = 10%
EBIT 100 100
On.fin. 0 –40
EBT 100 60
Imposte –30 –18 tc = 30%
R.NETTO 70 42
DIV 70 42
Imposte –7 –4,2 tE = 10%
DIV NETTO 63 37,8
Interessi att. 0 40
Imposte 0 –10 tD = 25%
Interessi netti 0 30
Flussi netti complessivi 63 67,8 Vantaggio fiscale del debito
Per HP. realistiche di tc, tE e tD, il vantaggio fiscale del debito permane, ma meno
forte.
Solitamente la tassazione “ulteriore” sui redditi azionari tE
è inferiore alla tassazione sui redditi obbligazionari tD.
NB: dalla formula MM1 con imposte societarie e personali si ricavano, come casi
particolari,
tutte le versioni viste in precedenza. Ad esempio, se tE = tD = 0:
VL = VU + tc D
Si nota, anzi, che tale formula vale ogniqualvolta tE = tD (quindi non solo se non si
ha
tassazione personale, ma anche se la tassazione personale è “neutrale”).
Inoltre, se tutte le aliquote sono pari a 0 (assenza di tassazione), la formula
diventa:
VL = VU
Si nota, anzi, che tale formula vale ogniqualvolta (1 – tc) (1 – tE) = (1 – tD) (quindi
non solo
in assenza di tassazione, ma anche se la tassazione COMPLESSIVA è
“neutrale”).
I LIMITI DELLA TEORIA DI MM
La teoria “originaria” di MM afferma che le decisioni di struttura finanziaria sono
IRRILEVANTI
ossia che non creano né distruggono valore.
Di conseguenza, le imprese potrebbero assumere qualsiasi struttura finanziaria
e non dovrebbero annettere particolare significato al valore del grado di leverage.
QUESTO NON PARE COERENTE CON L’OSSERVAZIONE DELLE IMPRESE
La teoria di MM modificata per tenere conto delle imposte giunge alla conclusione
che le imprese dovrebbero indebitarsi quanto più possibile per sfruttare i benefici
connessi alla deducibilità fiscale degli interessi passivi. In realtà, anche questa
teoria giunge a conclusioni troppo “estremiste”. Spesso le imprese (in particolare
quelle più redditizie, che avrebbero più da guadagnare dalla riduzione delle imposte)
adottano strutture finanziarie caratterizzate da BASSO INDEBITAMENTO.
* COSTI DIRETTI
* “prenotazione” di parte del valore da parte di soggetti diversi dai finanziatori
(es. spese legali e di procedura)
* COSTI INDIRETTI
* riduzione del valore degli investimenti (per adozione di decisioni
subottimali, che distruggono valore)
* costi di coordinamento (di transazione)
Implicazioni per le decisioni di struttura finanziaria
EBIT
– Imposte “teoriche”
(“come se” non indebitata)
= EBIT (1 – tc)
– Amm.ti/Acc.ti
– Investimenti (cap.fisso e CCN)
= FCN
Soluzione (B): DCF con valutazione separata degli effetti fiscali
Utilizzo la formula DCF e NON “scarico” l’aggiustamento sul WACC ma valuto
gli effetti fiscali a parte.
In altre parole, continuo a valutare l’attivo in base ai FCN attualizzati a R0
In altre parole, prima calcolo VU e poi aggiungo il valore degli SF.
In tal modo ottengo VL, da cui – sottraendo il debito D – ottengo E.
Soluzione (C): Dividend Discount Model o DDM
sapendo che:
= (1 + (1 – tc) D/E)
E 0
NB: Le tre formule (se applicate con riferimento a ipotesi coerenti) danno lo
stesso risultato.
Calcolo FCN
EBIT 1000
– Imposte “teoriche” -300
(“come se” non indebitata)
= EBIT (1 – tc) 700
+ Amm.ti/Acc.ti 200
– Investimenti -200
= FCN 700
Calcolo WACC
Occorre preventivamente calcolare RE
Da MM 2
RE = R0 + (D/E) x (1-tc) x [R0 – RD] = 14,35%
Oppure da CAPM
E
= (1 + (1-tc) D/E) 0
= 0,870
RE = Rf + E
x [Rm – Rf] = 14,35%
E = VL – D = 5775 – 1750 = 4025
Soluzione (B): DCF con valutazione separata degli effetti fiscali
SF = tc x D = 525
E = VU + SF – D = 5250+525-1750 = 4025
Soluzione (C): Dividend Discount Model o DDM
4025
Se però una o più di tali condizioni non è verificata, il WACC va stimato su base
incrementale, ossia a partire da:
– un’ipotesi di struttura finanziaria (D/E)
– il costo-opportunità dei finanziamenti attivati sul progetto (RD e RE) tenuto
conto del rischio ad essi connesso
Esiste in realtà una seconda modalità di valutazione dei progetti: il c.d. metodo
FLOW TO EQUITY (FTE).
(presentato sul manuale R-H, cap.17).
Secondo tale metodologia, il progetto viene valutato a DDM come se fosse una mini-
impresa.
Ciò comporta la necessità di individuare i flussi aggiuntivi per gli azionisti comportati
dal progetto.
Essi saranno, tipicamente, aumenti di capitale necessari per sostenere pro-quota il
costo degli investimenti
e dividendi incrementali a valere sui flussi aggiuntivi generati dal progetto.
dove:
Da osservare che gli SF, in generale, NON sono pari a tc D perché la durata del
progetto
NON è infinita (tc D è il valore di una rendita perpetua).
Anno 0 1 2 3 4 5 6
FCN –12000 1000 1000 3000 4000 5000 6000
Ipotizziamo di finanziare il progetto con un mix di Debito ed Equity stabile nel tempo
e pari a:
D/(D+E) 30%
E/(D+E) 70%
che il tasso di rendimento richiesto su tale investimento, se finanziato solo con equity
sia:
R0 13,33%
che l’ipotizzato ricorso al debito (risk-free) costerebbe:
RD = Rf 10%
che l’aliquota di imposta sia:
tc 30%
RE = Rf + E
x [Rm – Rf] = 14,35%
Il VAN del progetto (inclusivo dei vantaggi fiscali connessi al debito) è pari al VA dei
FCN attualizzati al WACC.
Anno 0 1 2 3 4 5 6
FCN –12000 1000 1000 3000 4000 5000 6000
Fattore attual. 1,00 0,89 0,80 0,71 0,63 0,56 0,50
VA FCN –12000 892 795 2128 2531 2822 3020
VAN 189
CALCOLO DEL VAM SECONDO LA SOLUZIONE (B)
Ipotizziamo ora che il progetto sia finanziato con un ricorso all’indebitamento
variabile nel tempo.
In particolare, sappiamo che l’impresa finanzierà il progetto – in parte – contraendo
un debito pari a 10000, e che il debito sarà rimborsato a quote costanti (2000 ogni
anno) dopo un periodo di preammortamento di un anno (quindi la prima rata di
rimborso si pagherà all’anno 2).
Anno 0 1 2 3 4 5 6
FCN –12000 1000 1000 3000 4000 5000 6000
Fattore attual. 1,00 0,88 0,78 0,69 0,61 0,53 0,47
VA FCN –12000 882 779 2061 2425 2674 2831
VU –348 è il valore che il progetto avrebbe se fosse finanziato solo con equity
(NON include i vantaggi fiscali legati al Debito)
Anno 0 1 2 3 4 5 6
D 10000 10000 8000 6000 4000 2000 0
RD D 1000 1000 800 600 400 200
tc RD D 300 300 240 180 120 60
Fattore attual. 1,00 0,91 0,83 0,75 0,68 0,62 0,56
VA risparmi 273 248 180 123 75 34
SF 932
VAM =VANU + SF 584
Table of Contents
INDICE
IL PROGRAMMA DEL CORSO
***
Premessa
0. Introduzione alla Finanza Aziendale
1. Le determinanti dei prezzi delle attività finanziarie. Il principio del
valore attuale. La valutazione delle obbligazioni e delle azioni.
2. L’impiego del VAN per l’analisi delle decisioni aziendali.
Definizione del concetto di VAN. Come individuare i flussi rilevanti.
3. Struttura e dinamica finanziaria d’impresa. Lo stato patrimoniale
condensato. I flussi finanziari come elementi causanti la variazione
della struttura finanziaria dell’impresa. La nozione di CCN operativo; i
flussi di CCN operativo.
4. Le determinanti del valore dell’impresa. La valutazione dell’impresa
non indebitata. Rischio, rendimento richiesto e valutazione del capitale
d’impresa. Il concetto di efficienza informativa dei mercati finanziari.
5. La relazione rischio-rendimento nei mercati finanziari e le
implicazioni per la gestione finanziaria aziendale. Gli effetti della
diversificazione sul rischio. Il modello Capital Asset Pricing Model
(CAPM). Ripresa e approfondimento del concetto di efficienza
informativa dei mercati finanziari.
6. Gli effetti della scelta debito/mezzi propri per l’economia
dell’impresa e per la sua valutazione. I teoremi Modigliani-Miller e le
loro implicazioni per la valutazione dell’impresa.
7. La coerenza tra flussi e tassi nei processi di valutazione. Il tasso di
rendimento impiegato nel calcolo del VAN (la nozione di WACC).
Interdipendenza tra decisioni di finanziamento e valore delle decisioni
di investimento (metodologie del VAM, WACC e FTE).
DUE INDICATORI DI VALUTAZIONE: IL RAPPORTO PREZZO/UTILI E IL
RAPPORTO VALORE DI MERCATO/VALORE DI LIBRO DEL PATRIMONIO
NETTO
***
Il rapporto prezzo/utili
Il rapporto valore di mercato/valore di libro del patrimonio netto
L’UTILIZZO DEI DATI CONTABILI IN FINANZA AZIENDALE; I PROSPETTI
DEI FLUSSI FINANZIARI
***
1. L’utilizzo dello stato patrimoniale per l’analisi della struttura
finanziaria dell’impresa
2. Lo stato patrimoniale condensato
3. Il Capitale Circolante Netto
4. I prospetti dei flussi finanziari
5. L’importanza dei flussi finanziari in finanza aziendale
6. Come si rappresentano i flussi finanziari
7. Una metodologia semplificata per il calcolo del prospetto dei flussi
di CCN operativo
LE IMPLICAZIONI DELLA TEORIA DELLA DIVERSIFICAZIONE E DEL
CAPM PER LA GESTIONE D’IMPRESA
LE SCELTE DI STRUTTURA FINANZIARIA; GLI EFFETTI DEI COSTI DI
TRANSAZIONE E DELLA PREFERENZA PER L’ORDINE GERARCHICO DI
ATTIVAZIONE DELLE FONTI DI FINANZIAMENTO
***
Il modello di scelta di struttura finanziaria di MM e la realtà
dell’impresa
La staticità del modello MM e la dinamica finanziaria dell’impresa
Le possibilità di ribilanciamento verso la struttura finanziaria ottimale
La teoria dell’ordine gerarchico di attivazione delle fonti di
finanziamento
INTRODUZIONE ALLA FINANZA AZIENDALE
IL VALORE DI UN’OBBLIGAZIONE
IL VALORE DI UN’AZIONE
CRITERI DI VALUTAZIONE DEGLI INVESTIMENTI
L’UTILIZZO DEI DATI CONTABILI NELLA FINANZA AZIENDALE:
INTRODUZIONE
PROSPETTI DEI FLUSSI FINANZIARI
“ROSSI E GUARNERI SPA”
COME CALCOLARE UN PROSPETTO DEI FLUSSI ATTESI?
INTERPRETAZIONE DEI PROSPETTI DEI FLUSSI FINANZIARI
FLUSSI E PROCEDIMENTI DI VALUTAZIONE
INTRODUZIONE A RISCHIO E RENDIMENTO
DALLA FRONTIERA EFFICIENTE ALL’EQUILIBRIO DI MERCATO
DECISIONI DI FINANZIAMENTO (STRUTTURA FINANZIARIA)
DECISIONI DI FINANZIAMENTO (STRUTTURA FINANZIARIA)
DECISIONI DI FINANZIAMENTO (STRUTTURA FINANZIARIA) MM E LE
IMPOSTE SUI REDDITI SOCIETARI
MM E FORMULE DI VALUTAZIONE