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MISURE DI DOSE ASSORBITA

1. Campi X e γ
Volendo fare una misura di dose assorbita in un punto di un mezzo materiale M
uniforme immerso in un campo di radiazioni ionizzanti, dovremmo praticare una cavità nel
punto considerato e introdurvi un materiale G sensibile alla dose, ovvero un dosimetro
(oggetto in cui la dose assorbita modifica una grandezza fisica misurabile).
Tuttavia la cavità perturba il campo esistente; vediamo come si può risalire dalla dose
così misurata a quella nel mezzo imperturbato. Consideriamo un campo γ oppure X con
energia sufficientemente bassa da non dar luogo a reazioni nucleari. Nelle interazioni
l'energia viene trasferita ai secondari carichi (elettroni e positroni) che la depositano nel
mezzo tramite collisioni.
In condizioni EPC (per cui si ha che D  K ) l'energia depositata in un punto del mezzo
equivale all'energia trasferita ai secondari in quel punto.
Se non esiste EPC si può comunque risalire alla dose assorbita sotto due condizioni:
1) è nota la fluenza di elettroni secondari  e ;
2) vale il modello di rallentamento continuo dei secondari: l'energia perduta da un
elettrone secondario è assorbita nello stesso punto (cioè i raggi δ hanno poca
energia e quindi un range breve).
Se valgono le ipotesi 1) e 2), la dose assorbita può essere espressa come l'energia ceduta
dai secondari per collisione:
 dE   dE 
Ne     dx  
d  dx  coll N  dx  coll S
D   e    e   
dm 
 
A 
dx A     coll
dm   .dv

Dove N e  numero secondari che attraversano l'elemento di volume dV  A  dx di massa


dm, densità ρ, sezione A, spessore dx; dE  energia ceduta per collisione.
 dE è funzione dell'energia, pertanto nell'espressione di D si è assunto che i secondari siano
dx
monoenergetici. Nella realtà si avrà una distribuzione energetica (dovuta al rallentamento),
pertanto:
S
D    E   dE
   coll
In questo caso Φe non è più la fluenza totale di secondari, ma è la fluenza di secondari con
energia compresa tra E e E + dE.
Vediamo ora come mettere in relazione la dose misurata del dosimetro posto nella
cavità DG con la dose DM che avrei nello stesso punto del mezzo M non perturbato. Per
cavità di dimensione arbitraria non esiste una relazione semplice; si formulano quindi
ipotesi restrittive.

Cap. 3 misure e strumenti 1


Cavità piccola
Per “cavità piccola” si intende una cavità dotata delle due caratteristiche seguenti:
1) Le dimensioni della cavità sono così piccole rispetto al percorso dei secondari messi
in moto nel mezzo che questi perdono in essa solo una modesta frazione di energia;
2) Possono essere trascurate le interazioni dei primari nella cavità.
Sotto queste ipotesi, la dose assorbita dal mezzo che riempie la cavità dipende
praticamente soltanto dall'energia depositatavi dai secondari carichi; allora esiste una
relazione semplice tra DG e DM .
Per le ipotesi viste,  E è lo stesso nel mezzo e nelle cavità; in condizioni di
rallentamento continuo si può scrivere:
S
D M    E   dE
   col , M

S
DG    E   dE
   col , G
Dividendo membro a membro
S
DM
 E  
   col , M
dE

DG S
 E  
   col , G
dE

Dividiamo numeratore e denominatore per   E dE

S
 E  
   col , M
dE

DM

 E dE
DG S
 E  
   col , G
dE

 E dE

Il numeratore e il denominatore ora rappresentano i poteri frenanti massici nei due mezzi
mediati sullo spettro di rallentamento dei secondari carichi. Si può quindi scrivere:
S
 
 
DM    coll , M
 (Relazione di Bragg – Gray)
DG S
 

  coll , G

S
 

  coll , M
Indicando con S  il rapporto tra i valori medi dei poteri frenanti massici,
S
 

  coll , G

Cap. 3 misure e strumenti 2


si ha che DM  S DG .
Dal punto di vista pratico, le ipotesi sulla piccola cavità (perdita di una modesta frazione
di energia, bassa interazione primari nel mezzo) possono essere rispettate solo facendo
uso di materiali di bassissima densità, cioè gas. Questo permette anche di sfruttare il
fenomeno della ionizzazione.
Cavità grande
Per “cavità grande” si intende una cavità di dimensioni molto maggiori del percorso dei
secondari carichi messi in moto dalla radiazione incidente.
In questo caso la ionizzazione nella cavità sarà dovuta quasi esclusivamente ai
secondari messi in moto direttamente nel materiale che occupa la cavità stessa.
Allora, come è già stato visto, si ha:
 
D M   en     fluenza di energia radiazione primaria (x, γ)
  M
   en
DG   en  
  G   coefficiente di assorbimento di energia massico
 Come già detto, il coefficiente di assorbimento di energia massico è definito come
 en 1 d
 
 EN   dl
Quindi d  EN
 en
dl è la quantità di energia assorbita nel tratto dl .


EN en dl
Allora la dose assorbita è data da D  d   EN  en 
    en .
dm  dA dl dA  

Dividendo membro a membro e risolvendo rispetto a DM si ha che


  en 
 
  M
DM  DG
  en 
 
  G
 Per semplicità si è supposto che la radiazione primaria sia monoenergetica.
Cavità omogenea
Tornando alla legge di Bragg, abbiamo incontrato due problemi:
1) le dimensioni della cavità;
2) il calcolo di S (potere frenante massico medio) che dipende dall’energia della
radiazione incidente.
Questi problemi possono essere superati se la composizione chimica del materiale G
(di solito un gas) che riempie la cavità è uguale a quella del mezzo; in questo caso infatti
S
 

 M
S 1 e quindi DM  D G (nell’ipotesi di cavità piccola)
S
 

 G
Ma, sotto l’ipotesi di uguale composizione chimica, si ha anche

Cap. 3 misure e strumenti 3


  en   
    en  pertanto DM  DG anche se la cavità è grande
   M   G
In definitiva, si ha che se le composizioni chimiche di M e di G sono uguali, allora
 S  S
    
   M    G
  DM  DG indipendentemente dalle dimensioni della cavità.
  en     en 

   M   G
In realtà, l'ipotesi di stessa composizione chimica è eccessiva, basta che siano uguali i
poteri frenanti massici e i coefficienti di assorbimento dell'energia massici. Quando questo
è verificato i due mezzi si dicono equivalenti e la cavità omogenea.
 La relazione DM  DG può essere desunta anche dal Teorema di Fano che afferma che in
un mezzo di data composizione chimica esposto a un flusso uniforme di radiazione primaria, il
flusso della radiazione corpuscolare associata è anche esso uniforme, ed è indipendente sia
dalla densità del materiale, sia dalle eventuali variazioni di densità da punto a punto.
Applicando il teorema alla cavità omogenea, si ha che  E è lo stesso che nel mezzo, e
quindi DM  DG indipendentemente dalle dimensioni della cavità, essendo uguali i poteri
frenanti, in virtù della stessa composizione chimica.

2. Neutroni
Anche in tal caso vale la relazione di Bragg, con la differenza che i secondari carichi
sono protoni anziché elettroni. Poiché i protoni hanno un percorso nella materia molto
breve, bisogna ricorrere a cavità omogenee per evitare il problema della realizzazione di
cavità eccessivamente piccole (difficili da realizzare).

3. Particelle cariche
Si possono fare considerazioni analoghe a quelle già viste. Per particelle cariche
pesanti, che hanno percorsi brevissimi nella materia, la camera dovrebbe avere pareti
estremamente sottili. Nella pratica, non si fanno misure di dose con campi di radiazione di
questo tipo.

Cap. 3 misure e strumenti 4


CAMERE A IONIZZAZIONE
Misure di dose
Una camera a ionizzazione (CI) è un dispositivo che permette di raccogliere gli ioni
prodotti in un gas dai secondari carichi generati dalla radiazione primaria. Per ciascun gas
esiste un valore medio di energia, W , necessario a creare una coppia di ioni. Una
particella carica, o un secondario, di energia E, completamente assorbita nel gas, genera
E
un numero N I  di coppie di ioni.
W
In condizioni normali tali coppie si ricombinerebbero, rilasciando la stessa energia E in
altre forme non radiative. Tuttavia in presenza di un campo elettrico fisso di opportuno
valore, i portatori di carica creati migrano verso poli opposti e vengono così separati e
raccolti agli elettrodi senza perdite (regione di saturazione). In conseguenza circolerà una
corrente nel circuito che collega tali elettrodi e questa corrente sarà proporzionale al
numero di coppie di ioni generate nell'unità di tempo:
I  e N e  carica dell'elettrone
dN
N   numero di coppie di ioni generate nell'unità di tempo
dt

Andamento degli impulsi rilevati da una camera a ionizzazione in funzione della tensione di polarizzazione
applicata. Sul grafico sono riportate le curve di due radiazioni con energia E1 ed E2 pari a due volte E1. La CI
propriamente detta lavora nella regione indicata come “Ion chamber” sul grafico, in cui la risposta è
proporzionale all’energia della radiazione ed è indipendente dal voltaggio.
Le condizioni necessarie per l'applicazione della relazione di Bragg sono di fatto
soddisfatte solo per cavità gassose circondate da materiali solidi o liquidi, essendo i gas
circa 1000 volte meno densi dei materiali condensati. Infatti le interazioni delle radiazioni
primarie con il mezzo G sono trascurabili e i secondari perdono una modesta frazione di
energia nel gas. La CI è un esempio di dosimetro a cavità gassosa.
 Se la cavità fosse solida, per applicare la relazione di Bragg dovrebbe avere dimensioni
molto inferiori a 1 mm. Pertanto nella pratica le dimensioni dei dosimetri solidi devono essere
sempre considerate grandi: si misurerà la dose nel materiale del dosimetro e solo se questo è
equivalente al mezzo circostante si potranno ricavare informazioni dirette sulla dose che
sarebbe stata assorbita in quel punto in assenza del dosimetro.

Cap. 3 misure e strumenti 5


Ritornando alla cavità gassosa per cui valga la relazione di Bragg, per valutare la dose
assorbita si misura la ionizzazione.
Indichiamo con N il numero di coppie di ioni create nella massa m di gas caratterizzato
da WG  energia media per creare una coppia di ioni nel gas.
Partendo dalla relazione di Bragg:
 E  W N
DM  S DG  S   S G
 m G m
N
posto  J G (ionizzazione specifica), si ha
m
DM  S WG J G

Noti S e WG , dalla ionizzazione specifica si risale alla dose nel mezzo M.


S è noto se sono noti i poteri frenanti massici del mezzo M e del gas G, tenendo conto
della distribuzione energetica degli elettroni. Nella tabella alla pagina seguente sono
riportati i valori di S per alcuni materiali rispetto all'aria per diverse energie degli elettroni
E0 .

E 0 ( MeV ) S (carbonio/aria) S (alluminio/aria) S (piombo/aria)


0,1 1,014 0,859 0,468
0,2 1,013 0,870 0,507
0,5 1,007 0,881 0,548
1,0 0,998 0,885 0,572
1,2 0,995 0,885 0,578
Si noti che S dipende poco dall'energia e diminuisce rispetto all'unità all'aumentare del
numero atomico Z.
Se si considera che gli elettroni secondari sono generati con un certo spettro di energia,
si dovrebbe mediare S su tale spettro; in pratica ci si limita al calcolo di S evitando la
seconda operazione di media.
S si può ottenere anche per intercalibrazione: con un'altra camera tarata si calcola DM ,
DM
si misura J G , si conosce WG , allora si ricava S 
WG J G
Se gas e pareti hanno la stessa composizione chimica o semplicemente lo stesso potere
frenante massico, allora S  1 e quindi DM  WG  J G .
La camera a ionizzazione viene impiegata in dosimetria in due configurazioni:
1) CI a pareti sottili: lo spessore delle pareti è piccolo rispetto al range dei secondari. In
tal caso la carica raccolta deriva dalla ionizzazione prodotta nel gas dai secondari
prodotti nel materiale che circonda le pareti della camera. Ma il percorso dei
secondari nella materia è piccolo alle basse energie, quindi la camera a pareti sottili
è usata soltanto nel caso di radiazione di alta energia.
2) CI a pareti spesse: La carica raccolta deriva dalla ionizzazione prodotta nel gas dai
secondari prodotti nel materiale costituente le pareti stesse. Quindi, le pareti devono
essere equivalenti al materiale nel quale si desidera misurare la dose.
Camere tessuto equivalenti
Hanno le pareti in materiale plastico la cui composizione è equivalente a quella del
tessuto vivente. Anche il gas di riempimento è costituito da una miscela di gas con
composizione equivalente a quella del tessuto.

Cap. 3 misure e strumenti 6


Possono avere dimensioni ridottissime (volumi sensibili di 0,1 cm3), così da poter
essere usate per misure di dose assorbita in vari punti di un fantoccio esposto a un fascio
di radiazione X.

Misure di esposizione
L’esposizione è definita come
Q Q  somma delle cariche elettriche di tutti gli ioni di un segno
X
m prodotti a seguito dell'assorbimento completo di tutti gli elettroni
liberati da un fascio di X o γ in un volume di aria di massa m .
Per misurare X è quindi necessario raccogliere e misurare la ionizzazione totale prodotta
da tutti gli elettroni originati in m . Dal punto di vista operativo ciò è difficile.
Si utilizzano perciò camere aria-equivalenti, cioè pareti e gas equivalenti all'aria
( Z  7,64) purché ci si trovi in condizioni EPC.
Camere ad aria libera (Per fotoni con E  400 keV )

Schema di camera a ionizzazione ad aria libera.


In figura è riportata una classica CI ad aria libera con elettrodi piani affacciati, dotata di
elettrodi di guardia (anello di guardia) che definiscono il volume di raccolta rendendo
uniforme il campo elettrico tra gli elettrodi principali.
Se sussistono le condizioni di equilibrio elettronico, allora la carica raccolta divisa per la
massa d'aria nel volume di misura ( Vm ) coincide con il valore dell'esposizione.
Le condizioni EPC garantiscono che la ionizzazione prodotta nel volume di raccolta da
elettroni generati fuori da esso è compensata da altri elettroni che, generati in Vm ,
producono ionizzazione fuori dal volume di raccolta.
Tali condizioni possono essere realizzate soltanto per E  400 keV ; al di sopra di tali
energie è necessario ricorrere ad altre tecniche per la misura dell’esposizione.
N.B.: Per la camera a ionizzazione ad aria libera la risposta è funzione della pressione e della
temperatura ambientali. Infatti la lettura L è proporzionale alle interazioni avvenute nel gas,
ovvero al numero di moli:
L0  K n0
L1  K n1

Cap. 3 misure e strumenti 7


pertanto la lettura corretta L0 , riportata alle condizioni standard (STP) sarà
L0 n0 n
  L0  0 L1
L1 n1 n1
 P V  n0 RT0
Per il gas valgono le leggi dei gas perfetti:  0
 P1V  n1 RT1
Dividendo membro a membro:
P0 n0 T0 
n0 P0 T1
 
P1 n1 T1 n1 P1 T0
Da cui
PT
L0  0 1 L1
P1T0

Camere a cavità (Principalmente per E  400 keV , utilizzabili anche per E  400 keV )
Con le camere a cavità, come si è visto, è possibile misurare la dose assorbita in un
punto; da questa si può poi risalire all’esposizione nel punto stesso.
Vale infatti la relazione:
  en 
 
  m
Dm  Da
  en 
 
  a
Si ricorda che, in condizioni di equilibrio elettronico (nel seguito, supporremo sempre di
essere in condizioni EPC) si ha
Wa
Da  X
e
Da cui
  en 
 
   m Wa
Dm   X
  en  e
 
  a
Si è visto che
Wa  33,7 eV , ma 1 eV  1.6  10 19 J
Pertanto
Wa 33,7 eV  1.6  10 19 J / eV J
 19
 33,7
e 1.6  10 C C
C
Inoltre 1R  2,58  10 4 , pertanto, volendo esprimere Dm in Gray, avremo
kg

  en 
 
4 
  m
Dm (Gy )  33
,7 2 ,58 10  X ( R)
  en 
8 , 6910 3
 
  a

Cap. 3 misure e strumenti 8


  en 
 
   m a
Se la camera è riempita d'aria e con pareti aria equivalenti, si ha che  1,
  en 
 
  a
D( RAD)
pertanto  0,869 e quindi Da (Gy )  8,69  10 3 X ( R)
X ( R)
cioè una esposizione di 1R corrisponde ad una dose assorbita in aria di 8,69 mGy.
Lo spessore delle pareti deve essere tale da soddisfare le condizioni EPC e da
assicurare che tutta la ionizzazione prodotta nell'aria contenuta nella camera sia originata
da secondari messi in moto nelle pareti stesse; ciò è possibile per energie de fotoni fino a
3 MeV. Infatti, lo spessore delle pareti deve essere tale da soddisfare le condizioni EPC,
ma per energia dei primari prossima a 3 MeV i secondari messi in moto hanno percorsi
dell'ordine del cm in materia con densità 1. Quindi per rispettare EPC le pareti
diventeranno spesse e ciò comporterebbe un assorbimento non trascurabile del fascio
primario. Pertanto l'esposizione è definita fino a E  3 MeV . E' un limite operativo.
 É possibile anche effettuare l’operazione inversa – cioè stimare la dose nel tessuto biologico
a partire da misure di esposizione nel punto.
Come si vede dal grafico, la
dipendenza del rapporto D/X al
variare dell’energia dei fotoni
incidenti (per il tessuto molle) è
molto modesta, e pertanto il valore
del rapporto può essere considerato
costante e circa uguale a quello
caratteristico dell’aria (cioè a 8,69
mGy/R).
Da
K
X
con K  8 .69  10  3 Gy costante al
R
variare di Eγ
Nel caso si usi la vecchia unità di
dose assorbita (RAD):
RAD
 0,87
R

Andamento del rapporto tra dose


assorbita ed esposizione, in funzione
dell’energia dei fotoni, nella materia
organica.

Cap. 3 misure e strumenti 9


Andamento di JG in funzione dello spessore delle pareti
N
L'andamento della ionizzazione specifica J G  è funzione dello spessore delle pareti
m
della camera esposta al fascio di fotoni.
Per pareti sottili lo spessore è più piccolo dello spessore di equilibrio elettronico,
pertanto, rispetto alle condizioni EPC, giungono meno secondari carichi nel volume della
camera; quindi la ionizzazione specifica sarà bassa. All'aumentare dello spessore,
aumenta anche JG, fino ad arrivare al valore massimo. Questo accade in corrispondenza
dello spessore di equilibrio elettronico. Continuando ad aumentare lo spessore delle
pareti, il valore di JG diminuisce, per effetto dell'attenuazione della radiazione primaria
nello spessore delle pareti stesse della camera. E' possibile così ottenere una curva di
attenuazione di JG in funzione dello spessore. Estrapolando a spessore nullo il valore di JG
trovato in corrispondenza del massimo, si ottiene la ionizzazione specifica in condizioni
d'equilibrio elettronico corretta per l'assorbimento della radiazione primaria.

Ionizzazione specifica in funzione dello spessore delle pareti.


Nella tabella seguente sono riportati i valori degli spessori di equilibrio elettronico e delle
attenuazioni per diversi fasci X.
Tensione tubo (MV) Spessore di eq. (g/cm2) Attenuazione %
0,2 <0,05 <0,2
1,0 0,2 0,6
2,0 0,4 1
5,0 1 3
10 2 7
20 4 10
50 7 20
100 11 30
γ da Co-60 0,4 1
Lo spessore di equilibrio delle pareti della camera è funzione, come visto, dell'energia
dei fotoni. Se la camera viene utilizzata con diversa energia, per garantire sempre lo
spessore di equilibrio possono essere utilizzati cappucci di materiale aria equivalente con
diversi spessori. E' chiaro che basta un cappuccio con spessore pari allo spessore di
equilibrio per l'energia più elevata per garantire lo spessore di equilibrio anche per energie
minori, ma in tal caso, per queste ultime, peserebbe troppo l'alterazione del fascio
primario.

Cap. 3 misure e strumenti 10


Gli strumenti prodotti hanno un intervallo di misura che copre dal decimo di mR/h a
migliaia di R/h ( 10 4  10 3 R ). Questa sensibilità non è sufficiente a rilevare per esempio il
h
fondo γ ambientale (che a Milano è pari a circa 10 μR/h).
Sensibilità delle CI – esempio
Considerando un volume della camera di 1cm3, la massa corrispondente di aria è 1,297 mg.
La corrente in uscita è data dal prodotto della massa dell'aria per l'intensità di ionizzazione
I  X  m
Pertanto
2,58  10 4 A kg 2,58  1,297 A A
I  1,297  10 6 3
  10 13 3
 10 13
3600 kg cm 3 ,6 cm cm 3
Pertanto, generalizzando, un'intensità di esposizione X genera in una camera di volume V
una corrente I che vale
I  10 13 V  X dove V è in cm3, X in R e I in Ampere
h
Quindi per esempio un rateo di esposizione di 1 mR (che non è trascurabile, è  10 Sv cioè
h h
100 volte il fondo naturale γ!) su una camera da 1 litro (1000 cm3) genera una corrente pari a
10-13A.
Come si vede, le correnti da misurare sono molto piccole: Ecco perché con le camere a
ionizzazione è difficile "vedere" campi γ/x deboli. La sensibilità può essere aumentata
aumentando volume e pressione.
La sensibilità può essere aumentata usando camere con pareti metalliche e con gas di
riempimento diverso dall'aria (si può usare un gas con un valore WG più basso, ad per
l'Argon W  26.4 eV , ed eventualmente aumentare la pressione (il che comporta
comunque le pareti metalliche). Le pareti metalliche comportano il vantaggio di un maggior
ΦE di secondari che ionizzano il gas, però la risposta all'energia peggiora perché la
camera non può più essere aria – equivalente.

Camera a ionizzazione portatile

Cap. 3 misure e strumenti 11


Vista laterale

Camera senza cappuccio (spessore di equilibrio elettronico)

Camera a ionizzazione a pressione


Contatore Geiger
É in sostanza una camera a ionizzazione che viene fatta lavorare nella zona Geiger –
Muller della curva di risposta (vedi pag. 5). L’elevato voltaggio applicato fa sì che gli
elettroni liberati dalla radiazione ionizzante, nel corso del loro spostamento verso l’anodo,
Cap. 3 misure e strumenti 12
siano accelerati a sufficienza da diventare essi stessi sorgenti di ulteriore ionizzazione, e
così via (effetto valanga). Lo sfruttamento dell’effetto valanga permette di ottenere
elevatissime amplificazioni del segnale, ma ha lo svantaggio che porta alla perdita di ogni
informazione sull’energia della radiazione primaria (vedi ancora la curva di pag. 5).

Struttura di un contatore GM

In uno strumento a simmetria cilindrica come è un normale Geiger, il campo elettrico in


funzione del raggio è dato da
V V = ddp applicata
E (r ) 
b b = raggio catodo
r  ln 
a a = raggio filo (anodo)
E
Per innescare la valanga, il rapporto deve essere superiore ad un certo valore
P
critico. Perciò spesso la pressione P del gas è minore della pressione atmosferica.
Il gas di riempimento è solitamente elio o argon; viene aggiunto un gas quenchante (5-
10%) per evitare la scarica multipla/continua.
Il gas quenchante può essere:
non rinnovabile  alcool (fino a 109 conteggi)
rinnovabile  cloro, bromo

Cap. 3 misure e strumenti 13


Penne dosimetriche
Sono piccole camere a ionizzazione per dosimetria individuale. Non misurano la
corrente, ma la carica integrata nel tempo; pertanto non possono dare un'indicazione
diretta dell'intensità di esposizione, ma forniscono solo un valore di esposizione integrato
da inizio a fine esposizione. Hanno le dimensioni di una penna e il volume sensibile è di
qualche cm cubico. Possono essere a lettura diretta o indiretta. Il principio di
funzionamento è quello del condensatore: la penna viene caricata collegando i due
elettrodi (centrale e struttura esterna) ad una ddp. La ionizzazione dell'aria contenuta,
provocata dai secondari liberati nell'interazione dei fotoni con la struttura, provoca la
scarica del condensatore. Misurando la ddp residua si risale all'esposizione alla quale è
stata sottoposta la penna dosimetrica.
La penna ha una sua capacità
Q
C
V
L'esposizione è
Q
X
m
Dividendo membro a membro
X V

C m
E poiché
m    v   densità aria
v  volume camera
Si ha
C
X  V relazione valida per penne dosimetriche.
 v

Cap. 3 misure e strumenti 14


Cap. 3 misure e strumenti 15
MISURE DI DOSE CON METODI CALORIMETRICI
Sono gli unici metodi in cui si misura direttamente la dose assorbita. L'energia ceduta
dalla radiazione, dopo una serie di processi, viene finalmente degradata in calore, con il
risultato che la temperatura del mezzo irradiato si innalza.
Il problema principale di queste misure è la dispersione dell'energia: è indispensabile
isolare termicamente il volume sensibile. Inoltre l'energia dissipata della radiazione deve
effettivamente trasformarsi in calore, quindi è necessario minimizzare altri processi
competitivi (reazioni chimiche, radiolisi, ecc.).
 I T da misurare sono comunque molto modesti per dosi non elevate. Infatti una dose
assorbita in acqua di 10mGy corrisponde a 0,01 J , ovvero
Kg
0,01 1 J cal
 2,4  10 6
g J Kg g
1000 4,18
Kg cal
Poiché il calore specifico dell'acqua è 1, la variazione della temperatura sarà proprio
T  2,4  10 6 C .

In genere i calorimetri vengono utilizzati per misurare dosi elevate o l'attività di sorgenti
di radionuclidi noti.

MISURE DI DOSE CON METODI CHIMICI


Si basano sul fatto che l'interazione della radiazione ionizzante con la materia può
provocare reazioni chimiche, che possono essere utilizzate per misurare la dose assorbita.
I dosimetri chimici vengono impiegati per dosi elevate (da 0,1 a 108 Gy) e non sono
pertanto adatti agli impieghi radioprotezionistici. Hanno inoltre lo svantaggio di avere una
risposta non indipendente dall'energia delle particelle incidenti, poiché è funzione del LET
delle radiazioni.
Per caratterizzare la risposta dei dosimetri chimici si introduce il parametro G ( X ) ,
definito come il numero di molecole o di ioni di tipo X prodotti a seguito dell'assorbimento
di 100 eV di energia:
n n  numero di molecole/ioni formati per unità di volume
G( X )   100eV
E E  energia assorbita (misurata in eV) nella stessa unità
di volume.
n è misurato tramite analisi chimiche e E con metodi calorimetrici.

1. Dosimetri chimici acquosi


Il più noto è il dosimetro di Fricke (fortemente dipendente dal LET delle particelle
incidenti).
m mol
E' costituito da una soluzione (aerata) di 1 di solfato ammonio ferroso più
l
m mol mol
1 di cloruro di sodio in acido solforico 0,4 .
l l
La reazione che si sfrutta è l'ossidazione degli ioni ferrosi e ioni ferrici, il cui numero è
proporzionale alla dose assorbita. Tale numero viene determinato con un’analisi
spettrofotometrica tramite assorbimento di luce con lunghezza d’onda di 3040 Å.
L'intervallo di misura di questo tipo di dosimetro è tra i 40 e i 400 Gy. Aggiungendo alla
soluzione ioni Cu2+ si arriva a misurare dosi fino a 106 Gy.
Esiste anche un dosimetro Fricke in gel, che permette di misurare dosi fino a 10 Gy e si
usa in radioterapia.

Cap. 3 misure e strumenti 16


 Solfato ammonio ferroso:
( NH 4 ) 2 SO4  Fe SO4  n H 2 O
La radiazione incidente interagisce con H2O per dare specie ossidanti (che chiamiamo
genericamente O x ):
 H 2 O2 
radiazione ionizzante  H O  O   O
2 2  x
 
 HO2 
Queste specie vanno ad ossidare gli ioni ferrosi:
O x  Fe 2   Fe 3
L’ossigeno reagisce cambiando lo stato di ossidazione degli ioni Ferro. Perché il fenomeno sia
costante la soluzione viene aerata (cioè si raggiunge la massima solubilità di O2 nella
soluzione); questo aumenta la sensibilità del dosimetro.
Definiamo densità ottica o estinzione della soluzione alla lunghezza d’onda  la quantità
0
E   ln

La dose assorbita nella soluzione DS è in relazione con la densità ottica (o estinzione)
della soluzione prima ( E ,0 ) e dopo ( E  ) l'irradiazione, tramite la relazione:

N A E  E ,0  N A  numero di Avogadro
DS 
 Gl     densità della soluzione
l  percorso della luce nella cella fotometrica
G  numero di ioni ferrici prodotti per unità di energia
assorbita (espressa in unità di 100 eV)
   coefficiente molare di estinzione per gli ioni ferrici, alla
lunghezza d'onda λ.
E   estinzione alla lunghezza d'onda λ
Infatti, se il numero di ioni convertiti è N C nel volume V , la concentrazione molare sarà:
N C mol
C  concentrazioni in
N A V l
Applichiamo ora la legge di Lambert – Beer, che mette in relazione estinzione e
concentrazione:
E     C  l    coefficiente di estinzione alla lunghezza d'onda λ
l  spessore del campione
    flusso luminoso non alternato
E   ln 0  con:  o
     flusso luminoso alternato
Pertanto possiamo calcolare la variazione di concentrazione dovuta all'irradiazione come
 E con: E  E ,0  E ,0
C 
 l dove E , 0  estinzione del campione non irradiato.

Cap. 3 misure e strumenti 17


Ora combiniamo le equazioni
 N N
G   E  (1)
 E (in centinaia di eV ) G
 N C
C   N C  C  N A  V (2)
 N A V
  E
C  (3)
  l
E E
La dose assorbita è per definizione DS   ; allora
m  V
N C  N A  V
C  N A Sostituendo la (1) e la (2)
DS  G  G 
  V   V G
 E
 NA
 l N   E Sostituendo la (3)
DS   A
G  G   l
Tuttavia la risposta di tale dosimetro dipende dal LET delle particelle incidenti. Nel
grafico si riporta la variazione di G al variare dell'energia della radiazione x incidente:

Andamento di G in funzione dell’energia dei fotoni incidenti per un dosimetro di Fricke.


Esistono altri tipi di dosimetri acquosi (solfato cerico in acido solforico 0,8n; si misura la
riduzione dello ione cerico a ceroso) che permettono di arrivare a dosi più elevate (106
Gy). Anche la radiolisi di H 2 O può essere utilizzata come misura di dose (per dosi molto
elevate,  10 4 Gy ) .

2. Dosimetri non acquosi


(i più usati: pellicole che cambiano colore)
Sono basati su reazioni chimiche prodotte in gas ( N 2 O ) o in solidi: cambiamento di
colore, cambiamento di viscosità (soluzioni di polimeri in idrocarburi), etc.

Cap. 3 misure e strumenti 18


DOSIMETRI A STATO SOLIDO
Ne esistono due categorie:
1) Dosimetri a integrazione
2) Dosimetri basati sulle variazioni di conducibilità elettrica.

Dosimetri a radiofotoluminescenza (RPLD)


Questi dosimetri sono costituiti da vetri (al fosfato, attivati con Ag ) che, dopo essere
stati irradiati, emettono luce arancione se illuminati con luce UV. Sono noti anche con il
nome di RPLD (Radio Photo Luminescent Dosimeter).
L'intensità della luce emessa è proporzionale alla dose assorbita. La lettura non
distrugge l'informazione e può pertanto essere ripetuta più volte. L'intervallo di dose
misurabile è tra 10 3 e 10 3 Gy .
Fenomenologia RPLD
La radiazione cede energia
agli elettroni nella banda di
valenza che così riescono a
passare (a) nella banda di
conduzione. Da qui, tornando
nella banda di valenza (b),
rimangono intrappolati nei
centri stabili di RPL.
Irraggiando il dosimetro con
raggi UV, gli elettroni
intrappolati passano ad uno
stato eccitato, dal quale
ritornano nel centro RPL
emettendo luce arancione (c). Il numero di elettroni intrappolati nei centri RPL è
proporzionale alla dose assorbita. Esiste un’emissione luminosa da RPLD non irraggiati a
cui corrisponde una predose.

La risposta in funzione
dell'energia non è uniforme
a causa del picco
fotoelettrico alle basse
energie. Nei vetri ad alto Z
la sensibilità a 70 keV può
essere 30 volte maggiore di
quella ai gamma del Co-60.
Nei vetri a basso Z il
rapporto scende a 10.
Questi ultimi vengono
utilizzati in dosimetria
accoppiandoli a filtri per
appiattire la risposta.

Cap. 3 misure e strumenti 19


Il fading di un RPLD è modesto (se viene conservato al buio); la sensibilità ai neutroni
veloci è trascurabile, mentre è elevata per i neutroni termici grazie alle reazioni nucleari n-
γ e n-α che avvengono all’interno del vetro:
109
Ag (n,  )110 Ag
6
Li (n,  ) 3H
10
B (n,  ) 7 Li
Quindi, utilizzando RPLD con diversa composizione isotopica si riesce a valutare e
discriminare la dose da γ e quella da neutroni.
Gli RPLD possono essere realizzati in piccole dimensioni e quindi si possono usare
nella dosimetria personale.

Dosimetri a termoluminescenza (TLD)


Questi dosimetri, di piccole dimensioni (quadratini 2x2x0.8 mm), sono realizzati con
sostanze cristalline opportunamente drogate. Tra i più noti ci sono i sali CaF2 e LiF .
Queste sostanze, se riscaldate dopo essere state irradiate, emettono luce, la cui intensità
(integrata nel tempo) è proporzionale alla dose assorbita. Durante la lettura, effettuata
riscaldando il dosimetro, l'informazione contenuta viene distrutta.
Fenomenologia TLD

Gli attivatori con cui sono stati drogati i cristalli introducono nuovi livelli energetici tra le
bande di valenza e di conduzione che costituiscono trappole per gli elettroni che tornano
verso la banda di valenza. Gli attivatori sono impurità chimiche e difetti del reticolo.

Cap. 3 misure e strumenti 20


La radiazione conferisce energia agli elettroni in banda di valenza, provocandone il
passaggio in banda di conduzione. Alcuni elettroni si ricombinano subito con le lacune
lasciate in banda di valenza, mentre una frazione rimane intrappolata negli stati metastabili
(trappole), ove può rimanere a lungo.
Il riscaldamento del TLD fornisce a questi elettroni energia (sotto forma di agitazione
termica) sufficiente per liberarsi dalle trappole e tornare nella banda di valenza. L'eccesso
di energia viene liberato come luce. La probabilità di ricombinazione dipende dalla
temperatura, quindi l'emissione di luce, per una data dose assorbita, è funzione sia della
temperatura, sia del tempo. Durante la lettura si registra l'emissione della luce in funzione
del tempo, applicando una rampa di riscaldamento del dosimetro. Il grafico che si ottiene
si chiama curva di luminescenza (glow curve).
Spesso nei diversi TLD esistono trappole
corrispondenti a diversi livelli energetici.
Pertanto gli elettroni vengono liberati a
temperature diverse. Questo fenomeno si
palesa come picchi multipli nella glow
curve. L'area sottesa a ciascun picco
rappresenta l'integrale di luce (ovvero
l'intensità luminosa integrata nel tempo),
che è proporzionale alla dose assorbita.
Anche l'altezza dei picchi è proporzionale
alla dose, ma dipende anche dalla rampa di
riscaldamento, pertanto è preferibile
misurare l'integrale, che è indipendente da
questa.
Glow curve del fluoruro di litio.

La risposta è lineare da 10 5 a 10 Gy. Nel caso del LiF si presenta un effetto di


sopralinearità che è comunque tollerabile fino a 10 3 Gy . La causa dei fenomeni di
superlinearità e saturazione consiste nel danno da radiazione prodotto nelle trappole
piene, che provoca cambiamenti nella struttura dei livelli energetici.
Si ha anche un'emissione Φ0 non indotta dalle radiazioni, ma dovuta al riscaldamento,
all'eccitazione indotta dalla luce del sole, a reazioni chimiche, etc. La fluttuazione  0
(non indotta da radiazioni) determina il limite inferiore nella determinazione della dose.

Curva di risposta tipica di un


TLD in funzione della dose
assorbita.

Cap. 3 misure e strumenti 21


La sensibilità per neutroni veloci è trascurabile; la dipendenza della risposta dall'energia
(vedi grafico) dei fotoni incidenti è modesta per LiF e pronunciata per CaF2 (in
quest’ultimo caso, viene ridotta usando filtri).

Il fading è sensibile per le trappole meno "profonde"; può essere ridotto usando droganti
che creano altre trappole più profonde. Nel LiF , in cui il picco principale della glow curve
è a circa 200°C, a temperatura ambiente il fading è di fatto trascurabile anche per tempi
dell'ordine dell'anno.
Lettura dei TLD
Durante la lettura, i TLD vengono riscaldati in atmosfera inerte di azoto (flusso continuo)
per due motivi:
1) La presenza di ossigeno può portare alla combustione di impurità superficiali in
tracce, con emissione di luce;
2) Sperimentalmente si è constatato che l'assenza di O2 durante il riscaldamento
annulla la triboluminescenza (fenomeno dovuto agli sforzi di attrito tra i cristalli
soggetti alla dilatazione termica durante il riscaldamento).
L'intensità di luce emessa viene letta da un tubo fotomoltiplicatore e registrata.
 Lettore CeSNEF vecchio: q  14 C , riscalda a 300°C, mantiene la temperatura per qualche
s
secondo (la lettura dura in totale 24 s); l’emissione luminosa viene integrata da 110° a 240°C.
 Lettore CeSNEF nuovo: riscaldamento a gas (isotropo); il ciclo è più breve.

Cap. 3 misure e strumenti 22


La glow curve di un TLD può essere calcolata in casi semplici. Supponiamo che n sia
la concentrazione di elettroni nelle trappole. Tutti gli elettroni vengono rilasciati scaldando
nell'intervallo di tempo da t1 a t2 (n(t 2 )  0) (facciamo l’ipotesi di probabilità di transizione
dalla banda di conduzione alla trappola pari a zero, cioè gli elettroni liberati non vengono
di nuovo intrappolati). Vale allora l'equazione di bilancio:
dn 
  (T )n  (T )   e

KT
dt 0

dove  0 è il fattore di frequenza, E è la differenza di energia tra la banda di


conduzione e le trappole, K è la costante di Boltzmann.
Se il riscaldamento è costante a partire dalla temperatura TA (T ambiente), con rateo q
 C 
 s  , la temperatura sarà funzione lineare del tempo:

T  q (t  t1 )  T A  rampa di temperatura
Pertanto, risolvendo l'equazione differenziale relativa alla concentrazione di elettroni
nelle trappole, si ottiene la soluzione (in funzione di t )
 1 T 
n(t )  n(t 0 ) exp    (T )dT 
 q A
T

L'intensità di luce  sarà proporzionale al numero di elettroni che abbandonano le
trappole nell'unità di tempo:
dn
c dove c è una costante di proporzionalità.
dt
Utilizzando la relazione tra tempo e temperatura è possibile esprimere  in funzione
della temperatura:

 1 T  Intensità di luce in funzione di T


 (T )  c n(t1 )  (T ) exp    (T )dT  nell'ipotesi di rampa di riscaldamento
 q TA  lineare di q gradi per unità di tempo
I parametri  0 e E si determinano confrontando glow-curve calcolate e sperimentali.
Principali tipi di TLD
T picco Max dipend. Intervallo di Super Fading (%
TLD Saturaz.
princ. (°C) dall'energia misura linearità al mese)
LiF:Mg,Ti 210 1.35 10μGy-10Gy >10Gy >103Gy 3
LiF:Mg,Cu,P 230 1.1 1 μGy-10Gy - >10Gy 2
CaF2:Mn 240 14.5 5 μGy - 100Gy - >100Gy 10
CaSO4:Dy 220 12 3 μGy-30Gy >30Gy >100Gy 5
Li2B4O7:Mn 230 0.8 1mGy-1Gy >1Gy >100Gy 10
I TLD sono usati principalmente nella dosimetria γ e X, meno per i β. Usando LiF o
Li 2 B4 O7 (litio tetraborato) è possibile anche effettuare misure su neutroni termici. La
termoluminescenza è stimolata dalle particelle α prodotte nelle reazioni nucleari
6
Li (n,  ) 3H oppure 10 B (n,  ) 7Li
Si possono fare TLD a LiF usando sia Li-6 che Li-7: il primo misurerà la dose totale da
γ più neutroni termici (grazie alla reazione n-α di cui sopra), il secondo solo quella da γ.
Per i neutroni veloci, è necessario accoppiare al TLD un radiatore contenente idrogeno,
in modo da ottenere protoni di rinculo che possano essere rilevati.
Cap. 3 misure e strumenti 23
Cap. 3 misure e strumenti 24
Rivelatori a bolle

Cap. 3 misure e strumenti 25


Dosimetro elettronico personale (EPD)

Cap. 3 misure e strumenti 26

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