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1. Campi X e γ
Volendo fare una misura di dose assorbita in un punto di un mezzo materiale M
uniforme immerso in un campo di radiazioni ionizzanti, dovremmo praticare una cavità nel
punto considerato e introdurvi un materiale G sensibile alla dose, ovvero un dosimetro
(oggetto in cui la dose assorbita modifica una grandezza fisica misurabile).
Tuttavia la cavità perturba il campo esistente; vediamo come si può risalire dalla dose
così misurata a quella nel mezzo imperturbato. Consideriamo un campo γ oppure X con
energia sufficientemente bassa da non dar luogo a reazioni nucleari. Nelle interazioni
l'energia viene trasferita ai secondari carichi (elettroni e positroni) che la depositano nel
mezzo tramite collisioni.
In condizioni EPC (per cui si ha che D K ) l'energia depositata in un punto del mezzo
equivale all'energia trasferita ai secondari in quel punto.
Se non esiste EPC si può comunque risalire alla dose assorbita sotto due condizioni:
1) è nota la fluenza di elettroni secondari e ;
2) vale il modello di rallentamento continuo dei secondari: l'energia perduta da un
elettrone secondario è assorbita nello stesso punto (cioè i raggi δ hanno poca
energia e quindi un range breve).
Se valgono le ipotesi 1) e 2), la dose assorbita può essere espressa come l'energia ceduta
dai secondari per collisione:
dE dE
Ne dx
d dx coll N dx coll S
D e e
dm
A
dx A coll
dm .dv
S
DG E dE
col , G
Dividendo membro a membro
S
DM
E
col , M
dE
DG S
E
col , G
dE
S
E
col , M
dE
DM
E dE
DG S
E
col , G
dE
E dE
Il numeratore e il denominatore ora rappresentano i poteri frenanti massici nei due mezzi
mediati sullo spettro di rallentamento dei secondari carichi. Si può quindi scrivere:
S
DM coll , M
(Relazione di Bragg – Gray)
DG S
coll , G
S
coll , M
Indicando con S il rapporto tra i valori medi dei poteri frenanti massici,
S
coll , G
2. Neutroni
Anche in tal caso vale la relazione di Bragg, con la differenza che i secondari carichi
sono protoni anziché elettroni. Poiché i protoni hanno un percorso nella materia molto
breve, bisogna ricorrere a cavità omogenee per evitare il problema della realizzazione di
cavità eccessivamente piccole (difficili da realizzare).
3. Particelle cariche
Si possono fare considerazioni analoghe a quelle già viste. Per particelle cariche
pesanti, che hanno percorsi brevissimi nella materia, la camera dovrebbe avere pareti
estremamente sottili. Nella pratica, non si fanno misure di dose con campi di radiazione di
questo tipo.
Andamento degli impulsi rilevati da una camera a ionizzazione in funzione della tensione di polarizzazione
applicata. Sul grafico sono riportate le curve di due radiazioni con energia E1 ed E2 pari a due volte E1. La CI
propriamente detta lavora nella regione indicata come “Ion chamber” sul grafico, in cui la risposta è
proporzionale all’energia della radiazione ed è indipendente dal voltaggio.
Le condizioni necessarie per l'applicazione della relazione di Bragg sono di fatto
soddisfatte solo per cavità gassose circondate da materiali solidi o liquidi, essendo i gas
circa 1000 volte meno densi dei materiali condensati. Infatti le interazioni delle radiazioni
primarie con il mezzo G sono trascurabili e i secondari perdono una modesta frazione di
energia nel gas. La CI è un esempio di dosimetro a cavità gassosa.
Se la cavità fosse solida, per applicare la relazione di Bragg dovrebbe avere dimensioni
molto inferiori a 1 mm. Pertanto nella pratica le dimensioni dei dosimetri solidi devono essere
sempre considerate grandi: si misurerà la dose nel materiale del dosimetro e solo se questo è
equivalente al mezzo circostante si potranno ricavare informazioni dirette sulla dose che
sarebbe stata assorbita in quel punto in assenza del dosimetro.
Misure di esposizione
L’esposizione è definita come
Q Q somma delle cariche elettriche di tutti gli ioni di un segno
X
m prodotti a seguito dell'assorbimento completo di tutti gli elettroni
liberati da un fascio di X o γ in un volume di aria di massa m .
Per misurare X è quindi necessario raccogliere e misurare la ionizzazione totale prodotta
da tutti gli elettroni originati in m . Dal punto di vista operativo ciò è difficile.
Si utilizzano perciò camere aria-equivalenti, cioè pareti e gas equivalenti all'aria
( Z 7,64) purché ci si trovi in condizioni EPC.
Camere ad aria libera (Per fotoni con E 400 keV )
Camere a cavità (Principalmente per E 400 keV , utilizzabili anche per E 400 keV )
Con le camere a cavità, come si è visto, è possibile misurare la dose assorbita in un
punto; da questa si può poi risalire all’esposizione nel punto stesso.
Vale infatti la relazione:
en
m
Dm Da
en
a
Si ricorda che, in condizioni di equilibrio elettronico (nel seguito, supporremo sempre di
essere in condizioni EPC) si ha
Wa
Da X
e
Da cui
en
m Wa
Dm X
en e
a
Si è visto che
Wa 33,7 eV , ma 1 eV 1.6 10 19 J
Pertanto
Wa 33,7 eV 1.6 10 19 J / eV J
19
33,7
e 1.6 10 C C
C
Inoltre 1R 2,58 10 4 , pertanto, volendo esprimere Dm in Gray, avremo
kg
en
4
m
Dm (Gy ) 33
,7 2 ,58 10 X ( R)
en
8 , 6910 3
a
Struttura di un contatore GM
In genere i calorimetri vengono utilizzati per misurare dosi elevate o l'attività di sorgenti
di radionuclidi noti.
La risposta in funzione
dell'energia non è uniforme
a causa del picco
fotoelettrico alle basse
energie. Nei vetri ad alto Z
la sensibilità a 70 keV può
essere 30 volte maggiore di
quella ai gamma del Co-60.
Nei vetri a basso Z il
rapporto scende a 10.
Questi ultimi vengono
utilizzati in dosimetria
accoppiandoli a filtri per
appiattire la risposta.
Gli attivatori con cui sono stati drogati i cristalli introducono nuovi livelli energetici tra le
bande di valenza e di conduzione che costituiscono trappole per gli elettroni che tornano
verso la banda di valenza. Gli attivatori sono impurità chimiche e difetti del reticolo.
Il fading è sensibile per le trappole meno "profonde"; può essere ridotto usando droganti
che creano altre trappole più profonde. Nel LiF , in cui il picco principale della glow curve
è a circa 200°C, a temperatura ambiente il fading è di fatto trascurabile anche per tempi
dell'ordine dell'anno.
Lettura dei TLD
Durante la lettura, i TLD vengono riscaldati in atmosfera inerte di azoto (flusso continuo)
per due motivi:
1) La presenza di ossigeno può portare alla combustione di impurità superficiali in
tracce, con emissione di luce;
2) Sperimentalmente si è constatato che l'assenza di O2 durante il riscaldamento
annulla la triboluminescenza (fenomeno dovuto agli sforzi di attrito tra i cristalli
soggetti alla dilatazione termica durante il riscaldamento).
L'intensità di luce emessa viene letta da un tubo fotomoltiplicatore e registrata.
Lettore CeSNEF vecchio: q 14 C , riscalda a 300°C, mantiene la temperatura per qualche
s
secondo (la lettura dura in totale 24 s); l’emissione luminosa viene integrata da 110° a 240°C.
Lettore CeSNEF nuovo: riscaldamento a gas (isotropo); il ciclo è più breve.
T q (t t1 ) T A rampa di temperatura
Pertanto, risolvendo l'equazione differenziale relativa alla concentrazione di elettroni
nelle trappole, si ottiene la soluzione (in funzione di t )
1 T
n(t ) n(t 0 ) exp (T )dT
q A
T
L'intensità di luce sarà proporzionale al numero di elettroni che abbandonano le
trappole nell'unità di tempo:
dn
c dove c è una costante di proporzionalità.
dt
Utilizzando la relazione tra tempo e temperatura è possibile esprimere in funzione
della temperatura: