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Storia della pedagogia:

L’educazione è una funzione fondamentale dell’uomo e ne accompagna il cammino fin dalle origini più
remote. Essa può essere definita come un processo continuo di trasmissione alle giovani generazioni della
cultura delle generazioni adulte. La cultura è l’insieme degli usi e dei costumi, delle tradizioni, dei valori e
dei princìpi propri di un determinato gruppo sociale. In tempi più recenti si è scoperto che l’educazione
accompagna l’uomo per tutta la vita. L’educazione più antica è quella che viene data dalla famiglia. Il
compito educativo della famiglia è stato affiancato da altre figure: sacerdote, precettore, mastro artigiano e
una molteplicità d’insegnanti. L’educazione varia nello spazio e nel tempo, quindi significa contestualizzarla
in un determinato tessuto sociale.

La preistoria è la parte della storia che viene prima della storia. Della preistoria non abbiamo testimonianze
scritte perché l’uomo non scriveva. Esistono, però, diversi reperti dai quali possiamo trarre informazioni per
formulare fondate ipotesi su molti aspetti della vita preistorica. Ci sono fossili e manufatti, dalle prime selci
scheggiate agli oggetti in bronzo e ferro. In secondo luogo si possono studiare le società tradizionali che
protette nelle loro nicchie, hanno attraversato i tempi e sono giunte fino a noi; grazie ad esse possiamo trarre
informazioni sulle loro culture (usi, costumi, organizzazione economica e sociale ecc). i fossili e gli utensili
più antichi sembrano provenire da piccoli gruppi di cacciatori-raccoglitori.

Solo l’educazione assicura la continuità tra le generazioni e quindi, in quanto processo continuo di
trasmissione culturale tra le generazioni, va intesa come necessità della vita.

L’educazione naturale comprende quei principi e valori, comportamenti e abilità che venivano insegnati
nella vita quotidiana da coloro erano a contatto con il soggetto immaturo. L’educazione naturale: -È stata
conosciuta in età preistorica ed è sopravvissuta nelle epoche successive -Si basa sull’oralità e sull’imitazione
(mimesi) -Presenta un’ampia partecipazione del gruppo sociale.

L’educazione familiare è parte dell’educazione naturale, essa: -Accompagna sia la filogenesi (si dispiega
fin dall’origine della specie e ne segue l’evoluzione) sia l’ontogenesi (sviluppo del singolo fin dalla nascita) -
È legata all’allevamento dei figli -Cambia nel tempo e nello spazio, al variare delle diverse culture -Ha
svolto e svolge ancora un ruolo centrale.

Nella preistoria l’uomo viveva in gruppi di cacciatori-raccoglitori ed era nomade. La famiglia provvedeva ad
allevare i figli, insegnava loro le tecniche di sopravvivenza e li inseriva via via nella vita del gruppo. In
quanto erano gruppi nomadi, i bambini erano un impedimento, così la donna ricorreva a pratiche diverse per
limitarne il numero. Il bambino doveva essere rapidamente in grado di badare a se stesso e di contribuire alle
comuni necessità. Nelle società, l’educazione familiare si serviva di diverse modalità: -Molti insegnamenti
erano affidati alla trasmissione diretta attraverso il linguaggio -Quando il linguaggio era insufficiente per
trasmettere abilità specifiche, si ricorreva all’insegnamento per imitazione, mostrando “come si fa”

-Un’altra modalità educativa era costituita dall’approvazione o disapprovazione da parte del gruppo:
l’incoraggiamento o il rimprovero avevano una forte funzione educativa.

Fin dalle origini l’educazione familiare è attenta alle differenze di genere. Gli obiettivi educativi erano per i
maschi, la forza, il coraggio, la tenacia e l’ammirazione per chi disponesse tali doti anche se nemico. Gli
obiettivi educativi per le femmine era quello di preparare il cibo e questo comportava abilità e conoscenze
nella ricerca e nella raccolta dei frutti della terra.

Nelle popolazioni sedentarie si forma una nuova organizzazione sociale che tende a forme rigide di
stratificazione per ceti e classi: in alto ci sono gli aristocratici, i sacerdoti e i capi militari. Al centro si
collocano le figure sociali come per esempio l’artigiano e in basso c’è il popolo ovvero agricoltori, pescatori
allevatori e quelli che svolgono lavori manuali.
Con la stanzialità nasce anche la città. Nelle antiche civiltà mesopotamiche e del Vicino Oriente (Sumeri.
AssiroBabilonesi, Egizi, Ebrei), oltre alla nuova organizzazione sociale, nascono nuovi sistemi di saperi.
Ogni sistema di sapere comprende leggi, miti, divieti, favole, proverbi, osservazioni scientifiche ecc. Un
altro degli elementi che segna la distanza tra il nomadismo e la stanzialità è la fiducia nel futuro.
L’educazione si fonda sulla fiducia nel futuro che è per definizione un processo proiettato al divenire. Negli
strati sociali elevati, l’educazione era più articolata nei contenuti e nei metodi, invece, nei ceti più umili, la
famiglia era l’unico soggetto educativo dei propri figli, avviati agli stessi lavori manuali del padre.

I Sumeri hanno iniziato a utilizzare la scrittura dal IV millennio a.C. I primi sistemi di scrittura sono nati in
risposta alla necessità di quantificare e catalogare i prodotti dell’agricoltura e di annotare gli scambi. Alla
scrittura si affideranno le grandi religioni del Libro: ebraismo, cristianesimo e islamismo. Scrivere era un
compito difficile e quindi era affidato ad una nuova figura: lo scriba, ovvero un tecnico della scrittura e della
sua conservazione ed era un depositario della maggior parte del sapere.

La scrittura ha un’importanza fondamentale nella storia dell’educazione: essa ha introdotto per la prima volta
un luogo dedicato alla trasmissione dell’arte della scrittura. La scuola dei Sumeri aveva sede nel tempio ed
era affidata ai sacerdoti: ha un padre affiancato da un grande fratello. Potevano andare a scuola soltanto i
figli delle persone aristocratiche ed erano sottoposti ad esercizi di memoria, di copiatura e di ripetizione;
erano frequentissime le punizioni corporali: i giovani andavano educati alla subordinazione e all’obbedienza
alle autorità che governavano la loro vita. La scuola delle origini ha un’organizzazione che richiama quella
familiare, quella religiosa e quella artigiana.

I Fenici popolarono l’attuale Libano. Il loro modello politico-sociale era quello delle città-stato. Vivevano di
agricoltura ma soprattutto di commercio marittimo. L’educazione era affidata ai soggetti tradizionali: la
famiglia, la bottega artigiana, il tempio ed era orientata alla formazione pratica di quei mestieri.

Gli Ebrei erano una popolazione di pastori semi-nomadi e di agricoltori. La religione ebraica è monoteista e
la storia di quel popolo si fonda sul Patto dell’Alleanza stretto da Dio con Abramo. Gli Ebrei erano divisi in
dodici tribù, la cui origine veniva fatta risalire ai dodici figli di Giacobbe, nipote di Abramo. L’educazione
rivestiva un ruolo importante nella comunità ebraica, era un dovere. Essa era in sostanza spiegazione e
insegnamento della Torah. L’educazione veniva impartita dalla famiglia: i genitori erano responsabili
davanti alla comunità del comportamento dei figli e le punizioni corporali erano raccomandate.

La cultura greca ha influenzato l’intero Occidente. L’educazione acquisisce in Grecia un ruolo rilevante e
ci consegna per la prima volta una pedagogia, cioè una riflessione sull’educazione. Le civiltà egee
conoscevano la scrittura, avevano buone strutture amministrative, praticavano l’agricoltura e il commercio
marittimo e lavoravano i metalli. L’Iliade descrive la storia e la geografia della Grecia arcaica, la religione e
la morale. L’Odissea alla descrizione data dall’Iliade, vi aggiunge il preavviso di cambiamenti che
segneranno il passaggio dalla cultura arcaica a quella classica. Queste due opere venivano tramandate
oralmente.

Nella Grecia arcaica, l’educazione era riservata solo ai giovani delle famiglie benestanti e comprendeva
molte attività: esercizi fisici attraverso il combattimento, l’uso delle armi, la pratica del cavalcare, musica,
poesia, danza, canto, religione ecc. la formazione era affidata ai genitori e alle figure appartenenti allo stesso
ambiente aristocratico.

Dal periodo arcaico, la Grecia classica riprende la centralità dell’uomo: prima era un aristocratico eroe-
guerriero, ora è un cittadino, membro di una comunità che si autogoverna. L’educazione della Grecia
classica è affidata alla famiglia, alla bottega artigiana e alla scuola. Una funzione educativa è svolta anche
dalle occasioni della vita associata: rappresentazione delle tragedie, cerimonie religiose, feste civili,
competizioni sportive (gli agonali). L’educazione ateniese coinvolge anche le donne e diffonde l’uso della
scrittura anche negli strati sociali più popolari. Ad Atene si contrapponeva Sparta; quest’ultima aveva
un’organizzazione sociale di tipo militare, divisa in classi. L’educazione spartana era volta alla formazione
di un cittadino-guerriero e quindi si dedicava molto tempo agli esercizi fisici, all’uso delle armi ecc. la
robustezza del corpo era un valore sia per l’uomo che per la donna e si sopprimevano i bambini che
nascevano con qualche deformazione.

Socrate, Platone, Aristotele.

Socrate oltre ad essere filosofo è anche un educatore. Egli mediante domande rivolte al suo interlocutore e le
risposte di quest’ultimo, lo guida verso la ricerca di una verità la quale è dentro di noi anche se non ne siamo
consapevoli. La filosofia di Socrate è insieme educativa e morale e tende a migliorare l’uomo affinchè
sappia far prevalere il bene comune e il rispetto delle leggi. Socrate non è a favore della scrittura ma
preferisce il dialogo, infatti non risulta che abbia lasciato opere scritte.

Platone, allievo di Socrate. Nelle sue opere, Platone utilizza la forma dialogica sia per restare fedele ai
contenuti e all’insegnamento di Socrate, sia perché egli stesso è convinto che il dialogo abbia un grande
valore educativo. Nei dialoghi e nell’insegnamento, Platone si serve di miti ripresi dalla tradizione popolare
per spiegare in modo semplice concetti filosofici complessi. Platone immagina una città ideale divisa in tre
funzioni: - Il governo è affidato ai filosofi, gli unici in grado di definire il concetto di giustizia e di
preoccuparsi del benessere dei cittadini e della loro educazione (paidéia). - La funzione militare spetta ai
guerrieri, il cui coraggio difende lo Stato. - La sfera economica spetta ai lavoratori.

Secondo Aristotele, la prima educazione, fino ai sette anni, è assicurata dalla famiglia, seguono poi la
formazione artigiana verso il lavoro, o l’istruzione delle scuole. Aristotele aveva rapporti con Alessandro
Magno; dopo la scomparsa di Alessandro si aprirà la stagione dell’Ellenismo. L’educazione ellenistica
accentua il formalismo, la scrupolosità del grammatico ecc. Le scuole di filosofia si rattrappiscono sulla
figura del maestro, nel rispetto della tradizione di cui egli è depositario.

La storia di Roma vede il succedersi della Monarchia (753 a.C.- 509 a.C.), della Repubblica (539 a.C.-31
a.C.) e infine dell’Impero (31 a.C.-476d.C.). La cultura romana si è confrontata con una triplice influenza:
·Quella dei Sabini, popolazione di agricoltori, pastori e guerrieri
·Quella degli Etruschi, civiltà ricca e raffinata che conosceva la scrittura, la lavorazione dei metalli e il
commercio
·Quella dei Greci, le cui colonie della Magna Grecia erano caratterizzate da un dinamismo economico, da
una mobilità sociale e da fermenti culturali sconosciuti al primo mondo romano.

Il mondo romano: Durante il periodo monarchico la società romana presentava aspetti agricoli e pastorali.
Il pater familias era come un monarca della sua famiglia ed esercitava il diritto di vita e di morte sui figli.
L’educazione dei giovani aveva un ruolo centrale: per i primi anni di età era un compito riservato alla
famiglia e in particolare alla donna. Via via che i figli crescevano in età, la loro educazione si articolava per
genere: le bambine restavano affidate alle cure della madre e venivano indirizzate ai lavori domestici;
mentre, i bambini venivano indirizzati al lavoro dei propri padri: contadini, artigiani e mercanti.

La scuola iniziò a diffondersi nella Roma repubblicana. A partire dai sei\sette anni di età i bambini
venivano affidati a un maestro privato chiamato ludi magister. Il ludi magister era il maestro di scuola, il ludi
literator insegnava a leggere e il ludi grammatista insegnava la grammatica. Nella scuola era frequente il
ricorso alle punizioni corporali.

Gli imperatori prestavano molta attenzione allo sviluppo dell’educazione. Le scuole facevano propaganda
dei valori e degli ideali propri delle classi dirigenti romane. La scuola del ludi magister insegnava a leggere,
scrivere e far conti (simile alla nostra scuola elementare); il passo successivo era la scuola di grammatica che
si basava sullo studio dei classici greci e latini; infine vi era la scuola di retorica la quale curava la forma e la
capacità espositiva. Per i meno abbienti, esisteva la formazione ai mestieri e ai lavori artigianali. A Roma si
aggiunse la modalità del paedagogium il quale era un luogo dove liberti e uomini liberi venivano avviati ai
lavori manuali. Vi erano anche differenti collegia per la formazione di sacerdoti e soldati.

Medioevo: Il Medioevo possiamo dire che è diviso in due momenti: alto Medioevo e basso Medioevo.

L’alto Medioevo: dl 476 all’anno Mille fu contrassegnato dall’espansione del Cristianesimo. Il


Cristianesimo aveva mostrato una grande capacità di integrare i diversi popoli. L’altro fenomeno tipico
dell’alto Medioevo fu il feudalesimo, un’organizzazione sociale ed economica basata sul possesso della
terra. Dal feudalesimo ne scaturì una società gerarchizzata divisa in ordini: oratores erano gli uomini di
studio, ciè di chiesa; bellatores erano gli aristocratici dediti al mestiere delle armi; laboratores era il popolo
che svolgeva un lavoro manuale.

Basso Medioevo: dal XI al XV secolo. Dopo la decadenza e lo spopolamento, a partire dal XII secolo la
scena urbana si animò in una nuova vitalità: ne erano protagonisti artigiani, mercanti e una parte di
contadini. Nella città si svilupparono il commercio gli scambi, prime forme manifatturiere ecc; si affermò
l’economia pre capitalista: nacque la banca; si amministrava la cosa pubblica, si studiava il diritto; vide la
luce la borghesia.

A partire dal XI secolo si sviluppò la civiltà comunale. Gli statuti comunali variavano da territorio a
territorio ma condividevano alcuni caratteri: accompagnavano la rinascita urbana, prevedevano ordinamenti
più liberi e autonomi ecc.

Scuole monastiche: La decadenza dell’Impero romano aveva portato allo sviluppo del monastero, il quale
aveva alcuni compiti da svolgere: la sicurezza, la sopravvivenza economica, la tranquillità necessaria alla
preghiera e alla conservazione della cultura, l’educazione. Nel monastero convivevano funzioni diverse:
preghiera, liturgia, si coltivava la terra, si allevavano animali, si coltivavano piante per fare medicinali, si
commerciava, si amministrava il patrimonio monastico, si studiava e si insegnava. Si affermò la scuola del
monastero in cui era necessaria un’educazione cristiana per la formazione. Alcune scuole monastiche
escludevano discipline e testi profani, legati alla tradizione greca e romana; altre scuole, invece,
accoglievano anche i laici e impartivano un’educazione più aperta alla cultura classica. La scuola monastica
accoglieva i novizi che venivano affidati dalla famiglia al monastero e seguivano un percorso di formazione
culturale e spirituale che li conduceva fino ai voti. Il latino diventò la lingua ufficiale del mondo cristiano
nella liturgia, nello studio e nel commento dei testi sacri.

Scuole urbane: La rinascita carolingia tra l’VIII e il IX secolo, favorì la diffusione di alcune scuole: le
scuole monastiche, già esistenti, la scuola palatina e le scuole urbane. La scuola palatina provvedeva alla
formazione del personale necessario al funzionamento della corte imperiale: era frequentata prevalentemente
da figli delle famiglie benestanti e vi si impartiva un’educazione cristiana. Le scuole urbane erano situate
accanto o dentro alle chiese cittadine, accoglievano giovani che vivevano in famiglia o nella società e
desideravano una formazione per le professioni civili. Nelle scuole urbane i maestri discutevano con gli
studenti di teologia, filosofia e diritto; infine, le scuole urbane si ponevano in concorrenza con quelle
monastiche per i loro contenuti e metodi educativi.

L’età moderna ha inizio nel 1400 e la sua fine si fa coincidere con la Rivoluzione francese, nel 1798. Essa
portò rilevanti novità: l’apertura di nuovi mercati e vie di comunicazione favorì la crescita economica; si
affermò lo Stato moderno prima in Francia, poi Inghilterra e in Spagna, mentre in Italia prevarranno gli Stati
regionali; sorse una coscienza nazionale veicolata dalle lingue volgari e narrata dalle letterature nazionali; si
affermò la borghesia come elemento dinamico rinnovando l’economia.
In educazione ci fu la crescita dell’alfabetizzazione in particolare tra gli strati sociali più umili. Nel mondo
cattolico e in quello protestante erano presenti scuole religiose, spesso gratuite, istituite presso le chiese o per
iniziativa di ordini e confraternite; i ceti benestanti continuavano a ricorrere al precettore privato.

Vittorino Da Feltre (1378-1446) è stato un educatore tra i più importanti del Rinascimento italiano.
Secondo lui, l’educazione letteraria e quella cristiana concorrevano alla formazione completa dell’uomo, sia
sul piano culturale sia su quello etico-religioso, s

Erasmo Da Rotterdam (1467-1536) cattolico, attribuiva grande importanza educativa alla cultura classica,
greca e latina. Egli fu tra i primi a teorizzare l’educazione in una dimensione individuale e sociale: i poteri
pubblici dovevano affiancare la famiglia per un’educazione seria ed equilibrata dei giovani.

Nel corso del XVII secolo si inasprì lo scontro tra Riforma protestante e mondo cattolico, si rafforzò lo Stato
moderno, crebbe l’economia capitalista e si affermò una nuova concezione della scienza. La scienza gettava
le basi di una vera e propria rivoluzione: Galileo Galilei adottò il metodo scientifico sperimentale; la chiesa
cercò di combattere la scienza in tutti i modi possibili. Per quanto riguarda l’educazione, nacquero numerose
accademie e associazioni di studiosi che si impegnavano nello studio e nella diffusione delle scienze, delle
lettere, delle arti e della musica.

Comenio (1592-1670) è uno dei pedagogisti più importanti dell’età moderna. Per lui l’educazione deve
coinvolgere la dimensione individuale, sociale e religiosa dell’uomo, in un percorso che dai sensi raggiunga
la mente. L’istruzione scolastica procede per gradi: la prima è la scuola dell’infanzia; poi c’è la scuola
nazionale che insegna a leggere e a scrivere la lingua nazionale; successivamente c’è la scuola di latino per
rafforzare il metodo del ragionamento; infine c’era l’accademia che collega sapienza, virtù e fede. Tutto
l’insegnamento va impartito senza severità né costrizioni.

John Locke (1632-1704) è il filosofo dell’empirismo come metodo di conoscenza fondato sull’esperienza
guidata da un corretto uso della ragione. Egli tratta dell’educazione del gentiluomo in quanto espressione di
virtù, saggezza, buone maniere e istruzione. Per Locke è importante l’educazione morale: l’uomo deve avere
il controllo dei propri istinti, usare la ragione, avere il senso di responsabilità, avere rispetto e solidarietà
verso gli altri, osservare le leggi. Il precettore del gentiluomo eviterà insegnamenti di nozioni, terrà conto
degli interessi del bambino e si proporrà a lui con la forza dell’esempio.

Nel XVIII secolo ci furono cambiamenti che immettono nell’epoca contemporanea. I cambiamenti più
profondi si riconducono alla rivoluzione industriale, Rivoluzione francese e rivoluzione americana. Principio
del diritto all’istruzione è all’interno della rivoluzione francese, i ragazzi dalla borghesia ai ceti più alti,
avevano diritto all’istruzione, il popolo non poteva essere istruito e questo era ciò che pensava la destra. La
sinistra sosteneva che l’istruzione doveva essere per tutti.

Illuminismo: rappresentò la base filosofica e culturale delle trasformazioni intervenute nel XVIII secolo a
partire dall’esaltazione dei lumi della ragione. L’enciclopedia o dizionario ragionato delle Scienze, delle Arti
e dei Mestieri fu un potente strumento di diffusione delle idee illuministe: l’enciclopedia era sotto la
direzione di Diderot e d’Alembert; essa esaltava la ragione.

Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) fu un esponente tra i più importanti dell’Illuminismo. Il pensiero di


Rousseau esprime una forte critica della società colpevole, ai suoi occhi, di essersi allontanata dallo stato di
natura. L’uomo naturale viveva una condizione di libertà, di felicità e di virtù che è stata corrotta dallo
sviluppo delle arti e delle scienze. Nella sua opera “Contratto sociale”, Rousseau delinea un ordinamento
sociale nel quale la sovranità appartiene al popolo che esercita il potere legislativo: le leggi nascono dalla
comune volontà di cittadini liberi e uguali. L’Emilio è un romanzo pedagogico sulla formazione, possibile e
necessaria, dell’uomo e del cittadino. Il protagonista dovrebbe essere il piccolo Emilio, isolato in campagna
per proteggerlo dai guasti della società; in realtà al centro della scena vi è lo stesso Rousseau in veste sia di
precettore che di narratore. L’opera è divisa in cinque libri: il primo va dalla nascita di Emilio ai tre anni ed è
dedicato alle cure dell’allevamento e della nutrizione: l’autore insiste sulla necessità dell’allattamento
materno e critica l’uso di affidare i neonati alla nutrice. Il secondo libro, dai tre anni ai dodici anni, si occupa
dello sviluppo sensoriale e motorio di Emilio a contatto con la natura. Nel terzo libro Emilio è ormai un
ragazzo sano e robusto e tra i tredici e quindici anni può affrontare lo studio che acquisisce attraverso
l’esperienza. Nel quarto libro, dai sedici ai vent’anni Emilio viene avviato alla conoscenza religiosa. Il
quinto libro è fondato sull’incontro di Emilio e Sofia (in greco: sapienza, saggezza) che racchiude in sé le
virtù della sposa e della madre. Emilio vuole sposarla ma il precettore vuole che completi la sua educazione
viaggiando per il mondo e solo al suo ritorno i due si sposeranno.

Ci sono alcuni fondamenti della concezione educativa di Rousseau: ·La bontà dello stato di natura,
contrapposta alla corruzione della società.
·Il puerocentrismo: Rousseau colloca il bambino al centro del processo formativo
· L’educazione indiretta: egli sostiene che l’educazione deriva dalla natura, dagli uomini e dalle cose; la
prima sviluppa il fisico, la seconda insegna quale uso dobbiamo fare con lo sviluppo e la terza presiede
all’esperienza personale
·L’educazione negativa: il precettore deve lasciare libero l’educando e deve solo correggerlo con l’esempio o
con un intervento indiretto. In realtà in Rousseau quest’intervento non è sempre indiretto e anzi, Emilio deve
poter fare quello che vuole ma deve volere la stessa cosa che il precettore vuole per lui. Quando Rousseau
colloca il bambino al centro del processo formativo, si pone il problema del rapporto tra la libertà
dell’educando e l’autorità dell’educatore.

Heinrich Pestalozzi (1746-1827) fu un educatore e pedagogista svizzero. Egli istituì una sorta di casa
famiglia per ragazzi poveri, per nutrirli, curarli, formarli ecc. fa fu chiusa per problemi economici.
Successivamente istituì un collegio privato per ragazzi benestanti. Per lui, l’educazione familiare è molto
importante ma va affiancata dall’istruzione pubblica per la formazione di un buon cittadino. Nella famiglia,
la figura più importante è rappresentata dalla madre. Gertrude di Pestalozzi incarna un ideale di madre
capace di educare con amore e istruire, utilizzando il metodo intuitivo che collega l’insegnamento
all’esperienza in rapporto con l’ambiente. La famiglia e la scuola devono educare il bambino nelle
dimensioni del cuore (educazione morale), della mente (educazione intellettuale) e della mano (educazione
al lavoro).

Nel XIX secolo, l’istruzione diventa una funzione statale, pubblica e regolata da apposite leggi. Lo Stato
vede nella pubblica istruzione la possibilità di formare maestranze, professionisti ecc. La pedagogia ha preso
atto della presenza di molte dimensioni educative in cui quella scolastica stava assumendo un’importanza
sempre crescente.

In Germania sono nati i principali movimenti culturali del secolo: il Romanticismo che avrà in Goethe il suo
punto di riferimento; l’idealismo legato ai nomi di Fichte, Schelling e Hegel. Fichte sostenevano che gli
uomini dovevano essere educati sia su piano dei saperi che su quello morale; Schelling aveva proposto una
concezione secondo cui natura e spirito sono una realtà unica e solo l’arte consente all’uomo di conoscerli;
secondo Hegel la libertà e la moralità dell’individuo devono identificarsi con la volontà dello Stato, che
rappresenta la totalità etica e la realizzazione della libertà. Un posto importante lo occupò anche Wilhelm
von Humboldt che organizzò la scuola prussiana in un primo livello elementare, per avviare l’alunno alla
conoscenza della forma, del numero e della parola; al secondo livello c’era l’istruzione linguistica del latino
e del greco e al terzo e ultimo livello c’era l’università che aveva il compito di formare il cittadino.

Friedrich Froebel (1782-1852) sosteneva che il bambino è buono in quanto vicino alla natura, che è buona
a sua volta perché in essa Dio si manifesta. L’educazione del bambino sarà all’insegna del libero sviluppo e
della conoscenza della natura. Egli è a favore del gioco perché consente al bambino di stabilire un contatto
creativo con l’ambiente circostante. Froebel è stato il padre dei kindergarten, i giardini d’infanzia. In questo
luogo al bambino viene affidato un appezzamento di terreno da coltivare con fiori e piccole piante. Il
giardino d’infanzia fu soppresso dallo Stato prussiano. Per favorire l’attività ludico-creativa Froebel elabora
la teoria dei doni, solidi geometrici di materiali e dimensioni diverse che avviano il bambino all’intuizione di
significati più profondi.

Johann F.Herbart (1776-1841) è considerato tra i padri della pedagogia come scienza filosofica finalizzata
al governo dei fanciulli in collegamento con la psicologia e con l’etica. Le “masse appercettive”, ovvero le
stimolazioni sensoriali si depositano nella mente come rappresentazioni della realtà e costruiscono le
funzioni psichiche e le facoltà dello spirito. Il compito dell’educatore è quello di educare l’educando e di
controllare la correttezza del processo educativo, egli deve anche esercitare la propria autorità.

In Italia= La pedagogia italiana vede la distinzione tra laici e cattolici. Nella pedagogia laica troviamo
diverse personalità che sostengono l’idea di una scuola pubblica destinata a tutti, distinta in un’istruzione
elementare anche per gli strati poveri e una formazione media poi universitaria per i ceti sociali più elevati.
L’educazione scolastica deve essere laica, scientifica e rispettosa dello sviluppo psicologico dell’alunno;
deve formare l’uomo come cittadino. La pedagogia dei cattolici contiene alcuni elementi che resteranno a
lungo nella cultura italiana: c’è la critica a Rousseau e alla sua educazione lontana dalla società; l’autorità
dell’educatore deve guidare verso ciò che è giusto non verso ciò che piace al bambino; l’educazione deve
rivolgersi sia alla dimensione personale sia a quella sociale.

Don Giovanni Bosco (1815-1888). La sua esperienza educativa fu quella di istituire un oratorio divenuto
poi Società di san Francesco di Sales. Egli pensava di educare cristianamente i giovani con amore, con
attenzione alla persona e con atteggiamento amichevole. Negli oratori salesiani oltre allo svago c’era la
formazione al lavoro: fabbri, calzolai, tipografo ecc.

Nel periodo che stiamo considerando la scuola del leggere, scrivere e far conto veniva definita elementare,
bassa in quanto rivolta agli strati sociali più poveri, mentre i benestanti avevano un precettore privato.
L’istruzione era considerata un inganno a danno dei poveri. Nelle regioni del Nord la borghesia mostrava
maggiore sensibilità per l’istruzione popolare e ne favoriva lo sviluppo. In questo quadro si diffuse il metodo
del mutuo insegnamento: i ragazzi più grandi istruivano quelli più piccoli in base a ciò che avevano acquisito
dai propri maestri: i risultati erano incoraggianti.

Il Positivismo è un movimento filosofico che si è sviluppato dalla metà del XIX secolo in Francia, poi in
tutta Europa. Esso si fondava su alcune idee-forza: aveva fiducia nel metodo sperimentale. Il termine
“Positivismo” rinvia a un sapere certo, utile, produttivo e vuole estendere il metodo sperimentale alle scienze
umane come la sociologia, la psicologia, l’antropologia, l’economia ecc. La seconda idea è quella di
progresso e la certezza di accompagnare l’uomo verso il benessere, l’ordine, la felicità. Il Positivismo ha
assegnato alle conoscenze scientifiche il valore di verità assolute e definitive. Per il Positivismo anche la
pedagogia doveva farsi scienza, sempre più sperimentale, attenta ai processi evolutivi, psichici e fisici del
bambino e dell’uomo; nell’educazione scolastica andavano privilegiati i saperi scientifici.

Aristide Gabelli (1830-1891) fu l’esponente più importante del Positivismo pedagogico italiano. Egli
redasse i nuovi programmi per la scuola elementare nei quali venivano introdotti la ginnastica e il canto
corale e si raccomandava il metodo dell’osservazione.
900: Nella prima metà del 1900 si è affermato un nuovo modello sociale noto come società di massa: la
popolazione è aumentata e si è concentrata nelle aree urbane; la scolarizzazione si è via via estesa anche
negli strati sociali più umili; ci fu il suffragio universale. La società di massa ha definito una nuova
concezione dell’uomo esaltandone l’individualità e l’omologazione: fare ciò che si vuole e fare come gli
altri. Buona parte del Novecento è stata caratterizzata dallo scontro tra regimi totalitari o dittatoriali e sistemi
democratici; le dittature utilizzavano un sistema di propaganda pervasiva anche nelle scuole. Per i regimi
autoritari lo Stato era uno strumento dell’educazione vista come conformazione dell’uomo e del cittadino al
“nuovo ordine”. La democrazia poneva al centro del processo educativo l’educando.

Quando si parla di scuole nuove ci si riferisce a un insieme di esperienze educative nate nei primi decenni
del 900 in Europa e negli Stati Uniti. Le scuole nuove vengono anche definite scuole attive e praticavano
un’educazione nuova e progressiva. Vi era insoddisfazione per la scuola tradizionale; il bambino doveva
essere attivo, ovvero operare in libertà e l’educatore doveva solo correggere i suoi errori; il bambino aveva il
bisogno di toccare, manipolare e fare esperienze. Nasce il concetto dell’interesse del bambino. Il bambino
porta con sé alcune esperienze già fatte ed esse vengono utilizzate come esperienza didattica. Partendo dagli
oggetti quotidiani, la maestra sviluppa la lezione.

Maria Boschetti Alberti (1879/1884-1951) è stata una maestra attiva nella Svizzera italiana. Essa mise in
pratica una sua interpretazione delle teorie di Maria Montessori con bambini di 6-8 anni di condizione
disagiata. Il suo metodo dava ampio spazio alla libera espressione e alla spontaneità dei bambini. La sua
esperienza più nota fu quella di fondare la “scuola serena” di Agno in cui al centro si trovavano l’attività del
bambino e si trovava anche il maestro come sollecitatore dell’impegno del bambino e per creare condizioni
di lavoro tranquillo, intenso e gratificante.

Le sorelle Agazzi (Rosa e Carolina) fondarono a Brescia una scuola materna sul modello della scuola
serena. Il bambino non doveva avvertire la separazione tra il calore familiare a la scuola quindi la maestra
doveva avere anche una funzione materna. Il giardino nelle scuole era luogo di libere attività, di scoperte e di
educazione estetica; i bambini portavano degli oggetti come spunti per lezioni e attività didattiche. Le sorelle
Agazzi davano grande importanza all’educazione all’ordine: a loro avviso ordinare gli oggetti per colore,
forma, uso, stimolava la curiosità e l’osservazione; nominare gli oggetti favoriva l’apprendimento della
lingua e la costruzione della frase.

Attivismo: L’attivismo è una voce della pedagogia novecentesca; è stato un movimento internazionale
(europeo e nordamericano in primis), e ha avuto larghissimo influsso nelle pratiche quotidiane
dell’educazione ponendo la sua attenzione sui bisogni del bambino/ragazzo e sulle sue capacità, sul fare che
deve precedere il conoscere e sull’apprendimento che pone al centro l’ambiente e non il sapere codificato e
reso sistematico. Tra l’ultimo decennio dell’800 e il terzo decennio del nuovo secolo si affermano alcune
esperienze educative di avanguardia, ispirate a nuovi principi formativi che tengono conto della scoperta
della psicologia e dei movimenti di emancipazione di larghe masse popolari nelle società occidentali. Queste
nuove scuole ebbero diffusione specialmente in Europa occidentale e negli Stati Uniti e diedero
fondamentale importanza all’attività del fanciullo. L’infanzia, secondo questi educatori, va vista come un’età
pre-intellettuale e premorale, nella quale i processi cognitivi si intrecciano strettamente all’operare e al
dinamismo, anche motorio oltre che psichico, del fanciullo. Il fanciullo è spontaneamente attivo e necessita
quindi di esser liberato dai vincoli dell’educazione familiare e scolastica, permettendogli invece una libera
manifestazione delle sue inclinazioni primarie. In conseguenza, la vita della scuola deve subire profondi
cambiamenti: deve essere allontanata dall’ambiente artificiale e costrittivo della città; l’apprendimento deve
venire a contatto con l’ambiente esterno, alla cui scoperta il fanciullo è spontaneamente interessato, e
l’attività non deve essere solo intellettuale ma anche di manipolazione, rispettando in tal modo la natura
“globale” del fanciullo, che non tende mai a separare la conoscenza dall’azione, l’attività intellettuale
dall’attività pratica. Ecco che alla base della “scuola nuova” c’è un ideale di “educazione attiva”. Queste
“scuole nuove” coinvolgono cittadini attivi alla vita sociale e politica e l’esperimento delle “scuole nuove”
fu avviato in Inghilterra da CECIL REDDIE (1858-1932), che nel 1889 aprì ad Abbostholme una scuola per
ragazzi dagli 11 ai 18 anni che diresse fino al 1927. Secondo questi, l’insegnamento andava modificato per
renderlo più idoneo alle esigenze della società moderna, e contrapponendosi al vecchio sistema educativo
proponeva di conseguire uno svolgimento armonico di tutte le facoltà umane, perciò la scuola, deve a tal fine
collegare sistematicamente l’intelligenza all’energia, alla volontà, alla forza fisica, all’abilità manuale e
all’agilità. Il movimento delle “scuole nuove” formò il progetto di educazione attiva che ha avuto un ruolo
fondamentale nella pedagogia del ‘900 ed una diffusione mondiale. Il movimento attivistico collegava
strettamente la pedagogia alle scienze umane come la psicologia e la sociologia e i temi principali
dell’attivismo sono: 1. Puerocentrismo (ossia il riconoscimento del ruolo essenziale e attivo del fanciullo in
ogni processo educativo; 2. Valorizzazione del fare: attività manuali, gioco e lavoro; 3. Motivazione (cioè
ogni apprendimento deve essere collegato ad un interesse da parte del fanciullo e quindi mosso da una
sollecitazione dei suoi bisogni emotivi, pratici e cognitivi); 4. Studio di ambiente, dato che è proprio dalla
realtà che lo circonda che il fanciullo riceve stimoli all’apprendimento; 5. Socializzazione, vista come un
bisogno primario del fanciullo; 6. Antiautoritarismo (abolire la supremazia dell’adulto, dei suoi fini e della
sua volontà sul fanciullo) ; 7. Antintellettualismo che comporta la svalutazione dei programmi formativi
esclusivamente culturali e valuta una organizzazione più libera delle conoscenze da parte del discente.

OVIDE DECROLY (1871-1932), era un medico psicologo belga, che si occupò dei problemi educativi
della pedagogia differenziale (dei deficienti) ed estese poi i suoi metodi educativi anche ai ragazzi normali
riscuotendo grande successo. Egli avviò, con le ricerche di Piaget, lo studio scientifico del linguaggio
infantile e studiò a lungo la psiche infantile, proprio muovendo dagli anormali, che egli riteneva assai
interessanti per l’educazione, non solo perché credeva di poterli recuperare attraverso un insegnamento
accurato e prolungato, ma anche per conoscere meglio il fanciullo in generale. Conoscendo meglio il
fanciullo sarà infatti possibile avviare in educazione quel processo di individualizzazione capace di rispettare
sia i tempi di maturazione dei vari fanciulli, sia gli atteggiamenti affettivo-cognitivi tipici della mente
infantile. Il carattere dominante della psiche del fanciullo è quello della globalizzazione, cioè il fanciullo non
tende a differenziare le cose per poi associarle, ma si rivolge verso un tutto, verso un insieme di dati, ossia
ogni attività di apprendimento del fanciullo muove da un approccio globale rispetto all’ambiente. Per
Decroly, bisogna prestare attenzione al rapporto che il fanciullo ha con gli altri uomini (famiglia, città,
provincia), e con la natura (animali, piante, sole, ecc.), così il fanciullo non solo acquisterà la nozione sotto
la forma più concreta, ma la ricollegherà alle altre nozioni che già possiede. Per lo studioso belga ogni
apprendimento infantile non nasce da parte del piccolo da una partecipazione passiva, ma da una attiva;
l’apprendimento del fanciullo è stimolato dall’interesse e i processi di apprendimento si sviluppano in tre
momenti fondamentali: 1. L’osservazione (che è il punto di partenza di ogni conoscenza e va posto al centro
dell’attività scolastica; 2. L’associazione che organizza l’ambiente che il fanciullo osserva nella dimensione
di spazio e tempo e dà luogo alle conoscenze fondamentali della storia e della geografia; 3. l’espressione che
può essere concreta (tipo i lavori manuali, il disegno modellaggio, ecc.), o astratta (tipo il linguaggio, la
lettura e la scrittura). Decroly, si soffermò molto sull’insegnamento della lettura, nel qual è necessario
seguire due principi fondamentali: 1. associare le denominazioni scritte delle cose alle immagini delle cose;
2. Facilitare la decomposizione delle parole per aiutare il riconoscimento delle immagini del linguaggio
scritto. Secondo il metodo globale il fanciullo deve prima conoscere le cose, poi deve comprendere la frase,
poi le parole, per passare alle sillabe e alle singole lettere. L’insegnamento della lettura deve inoltre avvenire
attraverso giochi educativi (tombola di immagini e di parole, piccole scene, ecc.) che servono a rendere
attivo e gradevole lo sforzo per impossessarsi dell’alfabeto e del linguaggio scritto.

EDOUARD CLAPAREDE ( 1873-1940), è stato un medico e neurologo svizzero, il quale nel 1912 ha
fondato a Ginevra l’Istituto Jean-Jacques Rousseau, uno dei centri di ricerca più importanti in psicologia
dell’educazione. Claparède è stato un esponente del funzionalismo pedagogico il quale era un filone di
ricerca che studiava i fenomeni psichici come funzioni di adattamento dell’organismo all’ambiente. Ci sono
due punti importanti della pedagogia di Claparède: l’educazione funzionale, ovvero, l’attività psichica
risponde a bisogni di relazione con l’ambiente e di conseguenza, l’educazione deve fondarsi su quei bisogni;
la scuola su misura: si dovevano rinnovare contenuti, programmi e metodi della scuola tradizionale.

JOHN DEWEY: Influenzato dall’evoluzionismo e dall’hegelismo la sua filosofia si fonda sulla nozione di
esperienza in senso dinamica e aperta; la sua “teoria dell’esperienza” è vista come l’ambito dello scambio
attivo e aperto tra soggetto e natura. Tale scambio è caratterizzato da una crisi e da uno squilibrio sul quale
interviene il pensiero come mezzo di ricostruzione di un equilibrio. La natura è data dall’esperienza, la quale
introduce il principio della integrazione razionale, pertanto, all’uomo e alla sua intelligenza creativa è
affidato lo sviluppo e il controllo dell’esperienza, attraverso l’uso della logica, definita come “teoria
dell’indagine”, e caratterizzata dal metodo scientifico e dai suoi principi della sperimentazione, dell’ipotesi e
della verifica. Anche all’arte, all’immaginazione e alle sue procedure simboliche, viene assegnato un ruolo
fondamentale per la crescita della esperienza e per attuare uno sviluppo intelligente, organico e creativo di
essa. Inoltre Dewey assegna un ruolo centrale anche alla riflessione politica, che ruota intorno al principio
della democrazia, vista come la forma più avanzata nella società industriale di massa e che deve essere
costruita attraverso un’opera di educazione scolastica, formando ogni cittadino alla democrazia e nella
democrazia, nella scuola rinnovata organizzata come laboratorio e rivolta a stimolare l’attività individuale. Il
pensiero pedagogico di Dewey è intrecciato con la sua filosofia e dedica ampio spazio al problema
educativo, infatti la pedagogia deweyana si caratterizza: 1. Come ispirata al pragmatismo, cioè dal momento
teorico si passa al momento pratico; 2. Interfaccia con le ricerche delle scienze sperimentali tipo la
psicologia e la sociologia, alle quali l’educazione deve ricorrere per definire correttamente i propri problemi;
3. È impegnata a costruire una filosofia dell’educazione che assume un ruolo assai importante in campo
sociale e politico, in quanto ad essa viene delegato lo sviluppo democratico della società e la formazione di
un cittadino dotato di una mentalità moderna, scientifica e aperta alla collaborazione. La pedagogia
deweyana diviene poi un po’ il modello-guida all’interno del movimento della “scuola attiva”. La scuola
deve necessariamente per prima cosa, gravitare attorno al fanciullo; la scuola deve dare spazio a 4 interessi
fondamentali: 1. Conversazione e Comunicazione, 2. Indagine o scoperta delle cose; 3. Fabbricazione e
costruzione delle cose; 4. Espressione artistica. L’educazione, quindi, secondo Dewey deve avere un volto
progressivo, deve assumere i suoi legami con lo sviluppo sociale, con lo sviluppo naturale, e con quello
culturale. Deve perlopiù promuovere uno sviluppo democratico, ossia deve sviluppare la capacità di
partecipare da protagonisti alla vita sociale da parte degli individui e di inserirsi in essa con una mentalità
capace di dialogare con gli altri e di collaborare a fini comuni liberamente. Alla scuola viene affidato il ruolo
di trasformare anche politicamente il volto della società, di renderlo meno autoritario e di sviluppare i
momenti di partecipazione e di collaborazione. Al centro dell’attivismo pedagogico c’è l’attività di scuola-
laboratorio, l’idea che il fanciullo è un individuo sociale e per cui svolge interessi legati alla vita sociale,
all’ambiente umano e produttivo che lo circonda. La scuola deve aprirsi alla comunità, ai valori, alle attività,
e un ruolo fondamentale lo svolge il maestro, che non è più solo una figura autoritaria che dispensa il sapere
intellettuale, non è colui che deve imporre al fanciullo certe idee, ma è colui che controlla l’apprendimento
di specifiche tecniche culturali da parte degli alunni, che guida, regola e organizza i processi di ricerca della
classe. Il maestro deve far emergere le attitudini proprie di ogni alunno, e si deve dare importanza alle
materie di lingua, di educazione artistica, intesa come un processo di fruizione e produzione del bello, e di
scienze (fisiche e sociali), per l’educazione cognitiva e per la loro importanza sociale, per il loro metodo
scientifico basato sull’indagine, dato che la scienza allena il pensiero ad affrontare situazioni problematiche,
ad indagare secondo procedimenti verificabili e a progettare soluzioni operative.

Idealismo: In Italia agli inizi del ‘900 si viene ad affermare infatti l’ideologia di Gentile, egli critica il
positivismo, critica Herbart e ogni tipo di pedagogia scientifica, e sottolinea la sola importanza della filosofia
pedagogica, intesa come “scienza dello spirito”. Gentile dà vita a una pedagogia incentrata intorno
all’identità spirituale del soggetto umano, a una pedagogia di opposizione ai modelli dominanti e
restauratrice di un ordine educativo e scolastico che privilegia l’autorità e la tradizione. In Europa, invece, la
spinta innovativa pedagogica proviene dal marxismo, il quale orienta la pedagogia in senso politico-sociale,
un modello di pedagogia basata sul sapere storico-critico-dialettico e scientifico; propone un nuovo modello
di educazione emancipativa, egualitaria, fondata sul lavoro. In America prende corpo il modello pedagogico
di Dewey, legato a un rinnovamento della scuola, all’importanza del laboratorio, alla funzione civile,
politica, egualitaria ed emancipativa della pedagogia. Secondo Dewey la pedagogia deve indirizzare il
soggetto alla politica democratica, formare la mente democratica. Il pensiero di Dewey ebbe larga fortuna
per tutto il ‘900 e continuò a sopravvivere anche dopo il declino del pragmatismo e con l’avvento di filosofie
di tipo strutturalistico o dialettico. Egli resta sempre il punto chiave della pedagogia del secolo XX.

La filosofia elaborata da Giovanni Gentile (1875-1944), è l’attualismo, inteso come principio unico e
fondante di tutta la realtà. L’idealismo pedagogico gentiliano si basa su tre principi fondamentali: 1. Identità
esclusivamente filosofica della pedagogia; 2. Critica al positivismo; 3. Definizione del processo educativo
come atto di pensiero quale principio unico e fondante della realtà (derivazione fichtiana). Per Gentile la
pedagogia diviene veramente scienza solo se diviene filosofia, poiché il processo di svolgimento della vita
spirituale, che è l’oggetto specifico dell’educazione, è definibile e comprensibile solo fuori da ogni dualismo
e da ogni meccanicismo. L’attualismo pedagogico di Gentile, legato ad una visione spiritualistica e filosofica
dell’educazione, si oppone alle concezioni pedagogiche naturalistiche che non riconoscono la natura
spirituale propria dell’uomo e sostengono il dualismo all’interno del processo formativo. Le filosofie che
introducono il dualismo e le opposizioni separano la teoria dalla pratica, il conoscere dal fare. Le pedagogie
di carattere naturalistico non conoscono la spiritualità, la libertà, la spontaneità della vita psichica. Tale
psicologia elabora un modello di bambino mitico che non è poi precisamente nessun bambino vivo, ma è un
bambino d’infanzia obbligata, che deve giocare, imitare, interessarsi ai racconti meravigliosi, deve imparare
tutto, affaticarsi, è condannato prima a giocare sempre e poi a piegarsi alla tortura della fatica. Gentile
proporne una filosofia a base antropologico-spiritualistica, lo spirito svolge un’attività universale, la scuola
deve essere poi il luogo specifico dove si compiono processi di formazione spirituale. Gentile riduce la vita
della scuola al rapporto maestro e scolaro, l’obiettivo è di rimuovere ogni dualismo e sostenere l’unità della
vita spirituale: il maestro e scolaro si unificano, e tale unità si compie attraverso l’affermazione della
centralità dell’insegnante, della sua cultura e della sua autorità. La scuola teorizzata da Gentile è la scuola
del maestro e della cultura, non la scuola del fanciullo e dei suoi bisogni. . Gentile, oltre a dare importanza al
rapporto maestro-scolaro che si unificano nel processo educativo, oltre a sostenere la centralità del maestro
nel processo educativo, distingue tre diversi tipi di fanciullo: 1. Il fanciullo eterno, che si incontra in
qualunque età della vita e che si può ritrovare anche nel proprio animo; 2. Il fanciullo fantoccio, che è quello
costruito dalla psicologia dell’infanzia e che appare come un fanciullo mitico; 3. Il fanciullo reale, cioè
quello esistente in carne e ossa, creatura viva e bisognosa di cure e che deve essere il vero argomento di
studio di una filosofia dello spirito. Il fanciullo reale è artista e sognatore, è rivolto verso il gioco, è dotato di
morale, di volontà e di autonomia, di spontaneità e di sviluppo. La teoria gentiliana dell’educazione
scolastica oscilla così tra spontaneismo e disciplina, tra le ragioni del maestro e quelle del fanciullo. La
pedagogia dell’attualismo, elaborata da Gentile, fu vasta e duratura, esercitò molta influenza sui vari
pedagogisti ed educatori italiani, orientò la scuola in senso spiritualistico e provocò un netto rifiuto della
tradizione scientifica e laica. L’attualismo tra il 1910 e il 1930, combatté con vigore le altre correnti
pedagogiche del tardo positivismo, socialismo e spiritualismo cattolico. Ad ogni modo va precisato che
l’attualismo non creò una scuola di pensiero unitaria e compatta, anzi molti rappresentanti come
LOMBARDO RADICE, CODIGNOLA, CALOGERO, CAPITINI, si distaccarono dalle teorie gentiliane e
si aprirono a nuove esigenze. Calogero intende reintrodurre il dualismo tra maestro e scolaro, quali soggetti
morali che si vengono unificando mediante un dialogo che li conduce l’uno verso l’altro. Capitini, invece ha
rivendicato l’autonomia dell’esperienza religiosa e la sua superiorità rispetto alla stessa filosofia. Giuseppe
Lombardo Radice (1879-1938), fu dapprima un collaboratore di Gentile nella riforma del ’23, poi nel ’24
ruppe i suoi rapporti col fascismo, ritirandosi dalla vita pubblica e divenendo sempre più antifascista.

Marxismo: Gli aspetti specifici della pedagogia marxista possono essere indicati 1. in: un collegamento tra
educazione e società, secondo il quale ogni tipo di formazione e di pratica educativa risente di valori
ideologici connessi alla struttura economico-politica della società che li esprime e agli obiettivi pratici delle
classi che la governano; 2. un legame tra educazione e politica; 3. La centralità del lavoro nella formazione
dell’uomo; 4. Valore di una formazione umana di ogni uomo; 5. L’opposizione ad ogni forma di
spontaneismo, mettendo invece l’accento sulla disciplina e lo sforzo. Questi caratteri fondamentali del
marxismo si possono ritrovare anche nella lezione della II Internazionale, la quale si allontanò dalle
posizioni rivoluzionarie ed antiborghesi dei classici del marxismo e fu caratterizzata da un atteggiamento
prevalentemente riformista, che rivendicava una educazione laica e ci si opponeva all’obbligatorietà
dell’insegnamento religioso. Due figure assai rappresentative della cultura pedagogica della II Internazionale
furono MAX ADLER (1873-1937) in Austria, e RODOLFO MONDOLFO (1877-1976), in Italia. Il
massimo teorico dell’austromarxismo, Adler, collegava l’educazione alla politica, attraverso la lotta di
classe, e si opponeva ad ogni neutralità dell’educazione, dichiarandola falsa, e affermava che un educazione
socialista consiste nello staccare il fanciullo dal vecchio mondo del capitalismo, e tendeva a formare uomini
nuovi aperti al comunismo. Mondolfo, invece si rivela interessato più ad una riforma della scuola in senso
popolare e piccolo borghese, caratterizzata da laicismo, da provvidenze per gli alunni poveri, da corsi di
studio adatti alle esigenze del popolo, difendeva il classicismo e il latino, ma si schierava per la scuola media
unica e per il controllo della scuola privata da parte dello Stato, e manifestava una costante attenzione anche
alla scuola professionale.

L’esperienza pedagogica, forse più ricca e più alta del marxismo è stata quella teorizzata da ANTONIO
GRAMSCI (1891-1937), il quale si contrappone a ogni tipo di sapere positivistico ed empiristico, teso a
delineare una concezione scientifica del reale. Gramsci esalta la visione storico-critica della realtà,
sottolineando il dinamismo, il ruolo attivo dell’uomo, egli valorizza l’attività umana che interpreta e
trasforma il reale. Nell’odierna società la realtà viene trasformata non partendo dalla struttura (l’economia),
ma partendo dalla sovrastruttura (l’ideologia e la cultura). Per Gramsci l’egemonia culturale si costruisce
attraverso l’azione di molte istituzioni educative (dalla scuola unica senza latino fino ai 14 anni, che deve
indirizzare a una cultura storica e scientifica, fino alla stampa, all’editoria, al teatro, e alla stessa azione
svolta dal partito come educatore collettivo. La cultura ha un ruolo centrale, poiché libera il soggetto dal
folklore, integra le classi, e perciò la scuola stessa deve guidare a un apprendimento sistematico della
cultura, ci deve essere impegno nello studio e nella disciplina, bisogna andare contro ogni spontaneismo e
attivismo pedagogico. Il pensiero pedagogico di Gramsci influì profondamente sulla pedagogia italiana.
ANTONIO GRAMSCI. QUADERNI DEL CARCERE (1929-35): Sono gli appunti che Gramsci raccolse
nel carcere e che riguardano diversi fronti della cultura: la storia d’Italia, la filosofia, la politica, la
letteratura, la figura dell’intellettuale nuovo, la società socialista e democratica; si dà importanza alla cultura,
all’emancipazione, alla pedagogia e alla riforma della scuola, dell’uomo nuovo tipico dell’industrialismo
socialista. La cultura, viene a diffondersi nella società, in molti modi, attraverso la stampa, il teatro, eleva la
condizione del popolo alla scienza liberandolo dal folklore, e fa sì che ogni individuo sia attivo e
consapevole della vita sociale. La cultura ha bisogno anche della scuola che deve farsi unica e deve essere
obbligatoria fino ai 14 anni e, deve ispirarsi alla cultura moderna basata sulla lingua, sulla storia, sulla
scienza, sul principio educativo del lavoro e non più sul latino. L’uomo nuovo, poi, verrà formato attraverso
il lavoro industriale, che lo collettivizza e lo razionalizza, e lo rende partecipe di un sistema sociale attivo e
aperto.
La pedagogia cristiana e il personalismo: Nel corso del ‘900 si afferma un’educazione di matrice cristiana,
dato che il Cristianesimo e la stessa Chiesa cattolica hanno assunto una maggiore attenzione verso il mondo
moderno. Il magistero ufficiale della Chiesa rivolse una prima attenzione al problema educativo sotto il
pontificato di LEONE XIII. Questi mentre si occupava di una rinnovata cultura teologica e della questione
sociale, diede importanza alla materia educativa, sottolineando il ruolo primario della famiglia e il principio
della libertà di educazione per la Chiesa stessa. Con PIO XI, si ebbe l’enciclica DIVINI ILLIUS
MAGISTRI, la quale sosteneva l’importanza della CHIESA ROMANA in campo educativo, ritenendo che
solo la CHIESA ROMANA potesse garantire una formazione integrale dell’uomo in relazione al creato e
alla salvezza attraverso la fede. La Chiesa accanto alla famiglia ha il diritto di educare la prole sia in campo
morale, religioso che fisico e civile. Col VATICANO II, la pedagogia cattolica muta tanto che l’educazione
non è più vista come un diritto della Chiesa, ma come un dovere di apostolato; l’educazione si fa opera di
collaborazione e deve formare la persona per il bene della società, si avvia una prudente educazione sessuale,
e si decide che la Chiesa deve dirigere le scuole di qualsiasi ordine e grado. Nel corso del’900, ci fu Don
Bosco che si dedicò all’educazione cristiana, prendendosi cura dei fanciulli poveri, sbandati, vagabondi, ecc.

Nella pedagogia cristiana prende avvio un indirizzo detto personalismo, il quale intende sviluppare una
concezione totale dell’esperienza educativa, ponendo al centro i valori oggettivi e trascendenti, e vede
attuarsi l’unità concreta tra esperienza e valore nell’ambito della persona. La persona è considerata quindi
valore trascendente, per cui il compito del personalismo è quello di svolgere il valore della persona,
affermarlo, realizzarlo interamente in ogni aspetto della vita.

Jacques Maritain (1882-1973) è stato un filosofo francese e figura importante nel pensiero cattolico. Egli
rivaluta Aristotele e San Tommaso e critica il pensiero moderno. Il filosofo critica sia i totalitarismi del suo
tempo, che esaltavano il primato dello Stato e della razza, sia a quello che gli appare un nuovo totalitarismo,
fondato sul binomio individualismo-massificazione. L’educando è persona a tutti gli effetti e l’educazione
consiste nel suo risveglio umano verso la verità.

Emmanuel Mounier (1905-1950) è stato un filosofo francese, fondatore del personalismo comunitario. La
sua rivoluzione personalista ha carattere educativo per la formazione integrale della persona umana vista
nella sua dimensione comunitaria, nella relazione con l’altro e nel confronto con la storia

Tra i pedagogisti italiani che si sono ispirati al personalismo abbiamo LUIGI STEFANINI (1891-1956),
filosofo platonico, che dà spazio alla metafisica, al ruolo del maestro come guida intellettuale e morale del
fanciullo, e protagonista fondamentale di ogni sperimentazione didattica; MARIO CASOTTI (1896-1975),
un tomista che ha una concezione pessimistica dell’uomo e del fanciullo (visto, quest’ultimo, come il povero
assoluto che tutto attende dall’adulto), segnato dal peccato originale e bisognoso dell’intervento della grazia.
L’educazione dell’uomo come persona si compie attraverso una limitazione della libertà e un rigorismo
severo che conducono il fanciullo a trovare i valori superiori della vita, che coincidono con quelli religiosi.
GIUSEPPE CATALFAMO (1921-1990), si è richiamato ad un personalismo aperto, rifacendosi a Mounier;
critica l’attivismo, è per l’autoeducazione per la figura dominante del maestro.

Dopo il CONCILIO VATICANO II, nei tardi anni ’60, spiccò la figura di DON LORENZO MILANI
(1923-1967), il quale diete alle stampe la celeberrima LETTERA A UNA PROFESSORESSA, che voleva
essere un atto di accusa verso la scuola pubblica, classista e discriminatoria, e voleva pure essere un
manifesto di istruzione alternativa, comunitaria e di tutti. Don Milani e i suoi ragazzi di BARBIANA,
piccolo paese del Mugello, dove il sacerdote era parroco, propongono una scuola alternativa ove non si deve
bocciare, e il parroco esige l’impegno dello Stato, per la scuola del mattino, e quello dei sindacati per i
doposcuola. Propone una scuola fondata sulla giustizia, che abbia come fine l’interesse per il prossimo,
solidarietà, collaborazione tra i ragazzi. La scuola deve interessarsi del sociale, della politica, deve prendere
le distanze da una tradizione aulica e letteraria, ma deve dare spessore all’educazione linguistica per
conferire chiarezza al pensiero, alla logica, alla comunicazione e all’esposizione verbale e scritta.

DON LORENZO MILANI. LETTERA A UNA PROFESSORESSA, (1967). La LETTERA fu un


manifesto di opposizione alla scuola che respinge e rimanda i ragazzi delle classi sociali inferiori nei campi e
nelle fabbriche. Ragazzi di paese che provengono da famiglie povere prive di cultura, e vengono giudicati
attraverso l’esame, senza essere prima motivati allo studio e senza conoscere prima di acquisire la cultura
alta, la loro cultura di base. La cultura si struttura nell’esame ove tutto diventa voto e diploma; la scuola è
classista, è una scuola di bocciature, di programmi, che rinvia gli svogliati, i quali resteranno fuori
dell’università, dei partiti, della classe dirigente. Bisogna creare una scuola diversa, comunitaria, ove si
approfondisce la conoscenza della lingua, si studia il presente attraverso il giornale; si deve evitare una
scuola selettiva e antidemocratica, e dare spazio a una scuola emancipatrice che si colloca dalla parte degli
ultimi.

Totalitarismi: La pressione dell'ideologia sull'educazione ha raggiunto la massima espansione e incisività


negli stati totalitari, che sono stati una creazione tipica del secolo XX. Uno Stato totalitario è uno stato
autoritario, burocraticamente organizzato, diretto da un partito unico, capace di controllare e unificare in un
progetto d'azione comune tutta la società. E’ uno stato ideologicamente compatto, rigidamente strutturato,
impegnato a conformare le masse agli scopi dei Partiti-stato. Si oppone a qualsiasi forma di democrazia
attraverso una educazione che deve annullare i diritti e i bisogni dell’individuo. Un modello di STATO
TOTALITARIO si realizzò nel fascismo, nel nazismo e nel comunismo sovietico, a partire dall’epoca
staliniana. L’educazione totalitaria si venne organizzando nella scuola, nelle associazioni infantili e
giovanili, nella stampa, nel cinema, ecc., e se il fascismo italiano per primo abbozzò un sistema educativo
conservatore, fu poi il nazismo che realizzò un’educazione ideologica di massa, ispirata a principi razzistici e
militaristici, capace di coinvolgere di tutta la nazione, attraverso, la famiglia, la scuola, le agenzie educative,
ecc. Il Fascismo italiano, dal 1922 al 1943, venne elaborando una teoria sistematica della scuola, della
pedagogia, dell’educazione extrascolastica e della cultura, e inizialmente il suo programma scolastico-
educativo di stampo conservatore fu elaborato da Gentile che nel 1923 attuò la RIFORMA DELLA
SCUOLA. Con questa riforma rigida si ebbe un sistema differenziato, la quale separava le scuole secondarie
umanistiche per le classi dirigenti, da quelle tecniche per le classi subalterne, e indicava come cultura
formativa solo quella letterario-storico-filosofica, che permetteva accessi all’università solo dai licei;
introduceva l’insegnamento religioso nella scuola elementare e stabilì che alla conclusione di tutti i cicli
secondari bisognava sostenere l’esame di stato. Questa riforma gentiliana venne subito attaccata per la sua
selettività e per il blocco nell’ascesa sociale per le classi subalterne. Così dal '25 con l’avvio del
FASCISMO-REGIME, la scuola venne nuovamente rinnovata e ridimensionata nel rigore e nella chiusura
sociale. Nel 1939 ci fu poi una vera riforma della scuola fascista, la Riforma Bottai, pensata negli anni dell’
autarchia e quindi sensibile al ruolo da assegnare al lavoro già nelle scuole elementari. Come nuovo aspetto
si ebbe la scuola media unica, e il biennio di “scuola del lavoro” nelle elementari (4a e 5a classe). Il fascismo
formulò delle riforme anche sul piano Extrascolastico, creando associazioni per i ragazzi e per i giovani:
(OPERA NAZIONALE BALILLA, 1928); (GIOVENTU’ DEL LITTORIO, 1937); organizzò feste, gare,
riunioni di propaganda, parate militari, durante le quali esaltava i principi fascisti, la disciplina sociale e
cercava di conformare un’ideologia e un’educazione fascista di massa. Caratteri assai simili a quelli del
fascismo italiano, ma più marcatamente razzista, militarista, autoritaria fu la politica educativa del Nazismo
o NAZIONALSOCIALISMO in Germania. In URSS si ebbe solo con Stalin un sistema educativo totalitario.
Prima di lui, la pedagogia sovietica si era mostrata aperta alla sperimentazione delle “scuole nuove”,
nell'ottica di creare l'uomo nuovo.

Seconda metà del 900: La seconda metà del ‘900 è caratterizzata da: guerra fredda, ovvero la
contrapposizione tra Stati Uniti e Unione Sovietica; la formazione di nuovi Stati (Israele, India, Cina
comunista, Egitto, Libia, Tunisia, Marocco, Sudan); il Terzo mondo si organizzava nel movimento dei
“Paesi non allineati” impegnati contro la povertà e per la cooperazione internazionale; ci fu l'unificazione
della Germania e il crollo del blocco comunista, con l'ascesa economica di Paesi arretrati. Nella seconda
metà del secolo ci fu un periodo di stabilità e di pace. Ci fu un grande sviluppo scientifico e tecnologico in
tutti i campi del sapere. L'informatica e la telematica hanno cambiato il modo di lavorare, di fare economia e
finanza e di comunicare. Nel corso della seconda meta del Novecento c’è stata una radicale trasformazione
della pedagogia che ne ha ridefinita l'identità. Dalla pedagogia si è passati alle scienze dell'educazione; da un
sapere unitario e chiuso si è passati a un sapere aperto e plurale; dal primato della filosofia si è passati a
quello delle scienze. Si è trattato quindi di una rivoluzione nel sapere educativo, e tale rivoluzione non è
avvenuta solo per ragioni epistemologiche, connesse alle trasformazioni dei saperi, bensì anche e soprattutto
per ragioni storico-sociali, ove si è avuta una società più dinamica, più aperta che richiede uomini aperti
capaci di far fronte alle innovazioni tecnologiche, sociali e culturali. Per realizzare la formazione di questi
uomini occorre un nuovo sapere pedagogico, più sperimentale, più empirico, più problematico e aperto alla
propria evoluzione. Tale sapere è contrassegnato dal passaggio dalla pedagogia alle scienze dell’educazione
e il passaggio definisce il declino della pedagogia come sapere unitario dell’educazione; l’affermazione di
molte discipline costitutive del sapere pedagogico, tipo la psicologia, la sociologia, la docimologia, le
tecnologie educative, e il ruolo principale che la filosofia svolge fra queste discipline. La pedagogia è entrata
in crisi come sapere unitario e nel frattempo si sono formate tante scienze ausiliarie. Pertanto oggi la
pedagogia è sfociata in buona parte nelle scienze dell’educazione che affrontano la complessità dei fenomeni
educativi, si occupa di problemi specifici, tipo l’apprendimento di una lingua, la formazione della coscienza
civile in una società democratica, e le scienze dell’educazione tengono conto dell’aspetto piscologico,
metodologico, didattico, e dei contenuti.

Cognitivismo: Verso gli anni ’50 si venne a costituirsi la psicologia cognitivista, grazie alle opere
psicologiche di Bruner e alle ricerche linguistiche di Chomschy. La pedagogia degli anni ’50 dovette allora
prendere nuova forma, dare importanza ai problemi educativi dell’apprendimento, all'istruzione (soprattutto
scientifica) e allo sviluppo cognitivo, dando invece scarsa attenzione ai problemi sociali dell'educazione. I
grandi interpreti di questa svolta psicopedagogica sono stati Piaget, Vygotschij e Bruner.

Jean Piaget (1896-1980) è stato il teorico dell'epistemologia genetica (un settore della psicologia che studia
le strutture logiche della mente e i processi cognitivi attraverso cui esse maturano, intrecciando
epistemologia e psicologia evolutiva. Piaget è uno psicologo dell’età evolutiva, ha studiato le tappe
successive di evoluzione e le strutture che ad ognuna di esse corrispondono, come pure la maturazione
cognitiva in relazione a specifici concetti scientifici (da quelli di spazio, di tempo, di moto, di forza, a quelli
di numero, di casualità, ecc.). In pedagogia Piaget ha dato importanza all’orientamento psicologico-evolutivo
a base cognitivistica, formulando così una nuova pedagogia cognitiva. Secondo Piaget la mente infantile è
caratterizzata da un'intelligenza che muove da atteggiamenti animistici e soggettivistici, ma scopre e si
adegua gradatamente all'oggettività e ad un uso sempre più formale e astratto dei concetti logici regolando il
proprio percorso di sviluppo attraverso i principi biologici dell’“assimilazione” e dell’“accomodamento”,
che collegano strettamente la mente infantile all’ambiente. Tale evoluzione è evidente soprattutto nel
linguaggio, poiché da una concezione egocentrica nell’infanzia si passa in età adulta ad un tipo di linguaggio
logico-formale. Il pensiero infantile si scandisce in 4 fasi: 1. Fase senso motoria (da 0 a 3 anni),
contrassegnata dal pensiero egocentrico e dall’indistinzione tra il soggetto e le cose, dall’assenza della
casualità e dall’ignoranza del futuro, anche se in questa fase il bambino coglie i primi rapporti elementari
con le cose, smontando e rimontando gli oggetti, ad esempio. 2. Fase intuitiva(da 3 a 7 anni), in cui il
bambino distingue sé dal mondo e viceversa, pensa in modo egocentrico e non sa riconoscere gli altri; 3.
Fase operatorio-concreta (dai 7 agli 11 anni), in cui il pensiero interagisce con le cose, supera l’egocentrismo
e il linguaggio si dispone al riconoscimento di regole e di rapporti formali tra le cose; 4. Fase ipotetico-
deduttiva (dagli 11 anni ai 14 anni), in cui il pensiero si fa adulto, fissa il valore del simbolo e diviene
astratto; il soggetto sviluppa le categorie logiche, è capace di elaborare ipotesi e procede per via deduttiva.
La pedagogia di Piaget è nutrita di spirito sperimentale, si concretizza nella pratica di una scuola attiva,
contraria alla scuola tradizionale di tipo passivo. Piaget assegna grande importanza all'insegnamento
intellettuale poiché esso è capace di formare la mente che è la cosa più caratteristica dell'animale uomo.
Bisogna nutrire la mente e il sviluppo culturale di ogni soggetto. La scuola attiva di Piaget si distanzia però
da quella classica pragmatistica, antintellettualistica e puerocentrica, e si basa su un attivismo fondato
sull’insegnamento intellettuale, sull’insegnamento delle scienze fisiche, biologiche, sulla matematica, sulle
strutture logiche, sulle operazioni, sui concetti chiave di spazio, tempo; ma anche la storia e la lingua sono
indispensabili, poiché hanno le loro strutture logiche che vanno poste al centro dell’insegnamento,
invertendo le procedure della didattica tradizionale: andando dall’esperienza al concetto e non viceversa.

Lev Semenovic Vygotschij (1896- 1934), psicologo sovietico ha studiato sia i problemi degli handicappati e
sia quelli dell’apprendimento scolastico, sottolineando la centralità della creatività. Già il gioco non solo
allena al rispetto delle regole (come sosteneva Piaget), ma permette di stimolare quella zona di sviluppo
potenziale, stimola all’invenzione, all’immaginazione. Vygotschij riconosce più di Piaget un ruolo attivo
all'insegnamento e in generale all'ambiente nello sviluppo dell'individuo; la mente del bambino è sì logica
ma è prima di tutto inventiva e immaginativa. Reclama quindi un insegnamento più consapevole di questa
sua responsabilità. Bisogna dare spazio al gioco, all’immaginazione, all’educazione estetica, e non fermarsi
alle capacità attuali e effettive del bambino. Secondo Vygotschij il pensiero verbale non è innato, ma è
determinato da un processo storico-naturale e appartiene all’area della psicologia sociale. L’apprendimento e
la scuola svolgono in Vygotschij un ruolo centrale nello sviluppo cognitivo del bambino. Lo psicologo
sovietico nel suo pensiero dà importanza alle componenti sociali, storiche, culturali, al rapporto tra
linguaggio e pensiero, alle attività espressive, artistiche, ludiche.

Jerome Symour Bruner (1915), psicopedagogista statunitense, influenzato da Piaget ha elaborato una
pedagogia cognitiva di tipo strutturalistico. Per lo studioso lo sviluppo intellettuale infantile implica un
complesso apparato simbolico, una interazione tra educatore ed educando, un ruolo primario affidato al
linguaggio, alla rappresentazione che si compie attraverso l’azione, attraverso l’organizzazione visiva
(iconica), attraverso il linguaggio (simbolico). AZIONE-IMMAGINAZIONE- e LINGUAGGIO
SIMBOLICO, devono essere le tre traiettorie dell’insegnamento nei diversi stadi dello sviluppo infantile. LA
scuola deve strutturarsi in maniera tale da tener conto della progressività dell'apprendimento, dell'importanza
del rinforzo, dell'importanza della motivazione, della valorizzazione delle competenze, dello scambio
reciproco tra i membri della comunità d'apprendimento. Bruner aveva polemizzato contro l’attivismo
deweyano, accusato di aver posto l’accento sul fare e non sul conoscere, sulla socializzazione e non sul
nesso scuola-società. La scuola deve trasmettere cultura, formazione cognitiva, deve avere un curricolo
scientifico e una didattica di tipo strutturalistico. Bruner dà importanza anche allo studio della funzione
simbolica del linguaggio, come il mito, l’arte, nelle quali è centrale il simbolo; dà importanza al valore
sociale e politico dell’educazione, dato che l’educazione deve affrontare anche i problemi economici e
sociali. A Bruner interessava insegnare a pensare. Per lo psicologo esistono tre tipi di rappresentazione: ●
rappresentazione attiva: consiste nel conoscere attraverso l'esecuzione di un'azione; l'azione compiuta è
esterna ma la conoscenza che ne deriva è interna. La rappresentazione attiva è tipica dell'infanzia. ●
Rappresentazione iconica: si fonda sulla percezione visiva che si raffigura le azioni compiute, ne ricava
immagini, le organizza nella mente e le fissa nella memoria. Questo tipo di rappresentazione viene utilizzata
per tutta la vita. ● Rappresentazione simbolica: si realizza attraverso il linguaggio; esso rappresenta una
forma di conoscenza più ricca delle modalità attiva e iconica.za si struttura attraverso esperienza diretta o
mediata.
LA SCUOLA DAL SECONDO DOPO GUERRA AD OGGI. L’istituzione- scuola, nei paesi
industrializzati e socialmente più avanzati, si è caratterizzata per un ruolo sociale sempre più centrale e per
una organizzazione sempre più aperta. Difatti dal 1945 ad oggi la scuola, nei paesi industrializzati si è
contraddistinta per la sua crescita in senso sociale, per il suo ruolo nello sviluppo economico, per la funzione
svolta nell’assetto democratico, e per le sue riforme assai radicali, come quelle espresse nel ’68. La crescita
sociale della scuola si è manifestata attraverso l’Alfabetizzazione di massa, attraverso l’obbligo scolastico
fino ai 14 anni e l’assunzione di un ruolo di mobilità sociale. Con l’alfabetizzazione, il popolo, dopo la
seconda guerra mondiale, è diventato più partecipe alla vita socio-politica, più partecipe alla “cosa-
pubblica”, alla democrazia; ha partecipato alle discussioni, ai confronti, ai dialoghi collettivi, agli scontri, e
ha migliorato le sue qualità professionali, tanto è vero che la scuola ha contribuito allo sviluppo socio-
economico del Paese, visto che nelle società industrializzate anche la manodopera operaia deve essere
sufficientemente preparata, in modo da potersi applicare a macchine più sofisticate e da poter organizzare il
proprio lavoro. La scuola doveva professionalizzare, formare esperti per vari ambiti della produzione, oltre
che diffondere una cultura di base più solida e più ricca. La scuola venne sottoposta così a una doppia
istanza: 1) diffondere la cultura disinteressata per formare e nutrire l’intelligenza della persona; 2) creare
profili professionali. Queste due istanze conflittuali fra loro, hanno alimentato dibattiti e conflitti in tutti i
Paesi intorno all’identità della scuola secondaria. Secondo Louis Althusser (1970), la scuola agisce nel senso
della riproduzione sia della forza lavoro che della visione della classe sociale al potere. La scuola
contemporanea appare così scandita da 4 aspetti problematici: 1. Opposizione tra scuola di massa e scuola di
élite, 2. tra scuola di cultura e scuola professionalizzante, 3. tra scuola libera e scuola conformatrice; 4. Tra
scuola di tutti e scuola selettiva. La scuola contemporanea è tuttavia ancora in evoluzione cercando di dare
risposte a situazioni sociali, culturali e di mercato del lavoro profondamente nuove. In Italia, dopo il 1945, si
è venuta a delineare sempre più una scuola democratica. Già con la Carta costituzionale del 1948, viene
riconosciuto il diritto all’istruzione per tutti i cittadini, in scuole di Stato, capace di formarli culturalmente e
politicamente come soggetti autonomi e responsabili; nel 1962 ci fu la riforma della scuola media senza
latino e più aperta alle scienze. Dal 1945 è aumentato dunque il tasso di scolarizzazione del paese.

EPISTEMOLOGIA PEDAGOGICA ATTUALE. Dopo la crisi d'identità che ha coinvolto la pedagogia


negli anni '60, c'è stato il tentativo di investigare lo statuto logico della pedagogia individuando 4 modelli: 1.
Modello Analitico; 2. Modello strutturalistico-critico; 3. Modello dialettico; 4. Modello ermeneutico. Il
Modello Analitico ha interpretato il discorso della pedagogia come organizzato intorno al principio della
logica scientifica, al criterio della spiegazione che riconduce gli eventi a leggi e della verificazione. Nel
Modello strutturalistico-critico vanno ricordate le indagini di Wolfgang Brezinka che si ispirano al
razionalismo critico di Popper. Nel Modello dialettico vanno ricordati i principi di Marx, Lenin, Gramsci,
posizioni che riconducono la pedagogia al terreno della ideologia in quanto sapere operativo condizionato da
valori che sono visioni del mondo e di gruppi sociali. Pertanto la pedagogia va interpretata alla luce della
prassi politica, o c’è chi teorizza un sapere pedagogico a base scientifica, integrato con la coscienza politica
e con la filosofia epistemologica. Il Modello ermeneutico interpreta il sapere della pedagogia come radicato
nel tempo storico, nelle sue tradizioni, nelle sue abitudini pratiche e cognitive. Con questi 4 modelli, ai quali
va aggiunto anche il modello metafisico, che fissa strutture e valori della pedagogia in modo universale e
invariante, ricollegando la formazione umana a un modello unico di uomo, siamo davanti alle posizioni più
attive nella ricerca epistemologica intorno alla pedagogia, alla quale viene delegato il restauro dell’identità
del sapere pedagogico e il controllo sull’applicazione e sull’organizzazione. Attraverso queste ricerche si è
delineata una nuova immagine della pedagogia caratterizzata per il fatto di essere un sapere complesso che
deve essere interpretato sulla base di diversi paradigmi teorici.

A partire dagli anni ’80 fino ad oggi la pedagogia è stata attraversata da nuove esigenze, da nuove formule
educative, da nuovi orientamenti politico-culturali; ma in particolate ci sono stati tre movimenti che hanno
influito sulla nuova pedagogia: il fenomeno del Femminismo; il Problema Ecologico e il Problema
Multiculturale. Va aggiunto come problema sociale-pedagogico anche quello della Terza Età, il quale è
esploso in questi anni. Tutte queste emergenze hanno trasformato i connotati sociali della pedagogia. I
movimenti femminili, iniziati nel’800, tra positivismo e socialismo, tesi al riscatto sociale e all’affermazione
politica delle donne, reclamando il voto, l’istruzione, la tutela per il lavoro, per la maternità, ecc., hanno
posto al centro della coscienza educativa e della riflessione pedagogica il Problema del genere. Le donne si
sono opposte alla formazione sessista connessa al solo modello maschile, visto come superiore e universale,
ma in verità è solo una ideologia maschilista, per cui se al principio le donne hanno rivendicato solo la pari
opportunità e la loro emancipazione sociale, in seguito invece, a partire dagli anni '80, le donne hanno
rivendicato una cultura specifica al femminile e il carattere di differenza educativa del genere maschile e
femminile; nasce così una pedagogia della differenza, la quale ha avuto molto successo e si occupa dei
valori, principi, della prassi e degli ideali dell’universo femminile. La Multiculturalità è connessa alla
crescita di etnie presenti nei paesi sviluppati. Difatti continue sono le emigrazioni, le fusioni con altri popoli,
e ciò comporta nuovi problemi educativi, quali l’intercultura. Tali problemi richiedono soluzioni in tempi
brevi ed efficaci per evitare scontri tra etnie, tra religioni, tra culture. La pedagogia deve attrezzarsi a
comprendere le culture altre, deve elaborare vie di comunicazione e criteri di scambio tra queste culture,
deve allenare al dialogo e alla tolleranza. Si tratta quindi di porre in questione l'etnocentrismo della nostra
pedagogia e smascherarne i caratteri occultamente razzisti e di intolleranza, e favorire principi antirazzisti.
La pedagogia pertanto si occupa del Modello Multiculturale che si interessa della convivenza pacifica tra le
culture, garantendo a ciascuno la propria autonomia ed esigendo da tutti il rispetto di regole comuni, come
accade nel melting pot statunitense e si occupa anche del Modello Interculturale: che prospetta un incontro
attivo fra le culture con anche una loro ibridazione per dar luogo a una cultura nuova: metissage. Infine c’è il
problema della Terza Età, dovuto all’incremento demografico. La terza età è analizzata da un punto di vista
educativo e pedagogico. Si tratta di riqualificare la vecchiaia e di darle un senso assai diverso da quello che
aveva nelle società tradizionali e industriali (di marginalità, di riposo-dopo il lavoro, di collaborazione con le
generazioni più giovani nei problemi familiari). La pedagogia vuole affermare la terza età come età vitale,
attiva, e ricollocarla a pieno titolo nella vita sociale. Questo implica la predisposizione di percorsi educativi:
di apprendimento (tipo Università libere), di ricreazione (di gioco, di spettacolo, di viaggio), di scambio
sociale, ma implica anche uno studio sociologico, psicologico e pedagogico approfondito, in modo da
affrontare i problemi con un quadro di conoscenze specifiche.

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