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Pubblicato il 

16 maggio 2014 da Giovanni_Maimone
Dare una definizione ad una cultura così complessa come quella dell’hip hop non è semplice. Black20,
un tag di un writer, sostiene che: “l’hip hop nasce come spinta positiva per chi è destinato, per vari
motivi etno-sociali, alla malavita, per chi non ha nient’altro che il proprio quartiere, la propria città;
musica, ballo e pittura diventano i mezzi di aggregazione di persone con idee e intenti simili, per
intrattenimento ed educazione”. L’Hip hop è un vero è proprio stile di vita dei giovani delle società
multietniche, una controcultura giovanile.
La Zulu Nation, organizzazione fondata nel 1973 dal rapper statunitense Afrika Bambaataa con lo
scopo di fornire indicazioni etiche ai giovani che si avvicinavano all’hip hop, riferisce una simbolica
datazione da cui tutto sarebbe partito: l’11 novembre 1973. Il dj Kool Herc, per competere con i suoi
rivali, sperimenta nuove tecniche di mixaggio e fa scatenare in pista gli appassionati del ballo. Questi
ingredienti ritmici, dati da dischi reggae, funk, rock, disco, forniscono la base per una nuova frenesia
musicale collettiva che si manifesta soprattutto nelle feste. Ma quali sono le principali caratteristiche
dell’hip hop? Per gli esperti del settore, il rap, l’arte dei graffiti, il dj, la beat box, la danza, sono elementi
indiscutibili di questo fenomeno globale. Una miriadi di varianti, dunque, in cui ogni persona ha la
possibilità di esistere, di uscire da sé per incontrare l’altro, di manifestare, mediante la propria creatività,
i suoi momenti esistenziali. Nel corso dei decenni si osserva, tra l’altro, ad una presa di conoscenza, ad
una spinta emozionale, più intima, non legata all’hip hop violento dei ghetti. Ne scaturisce un nuovo
universo fatto di canti, balli e disegni. Per quanto attiene ai ballerini, il proprio stile parte
dall’improvvisazione. E, a differenza di molte altre danze, ciò si compie in una moltitudine di movimenti
spettacolari che esaltano le caratteristiche personali di ogni danzatore. Una tendenza espressiva che
favorisce il potenziale creativo a vantaggio del corpo. Recentemente l’hip hop viene considerato come
danza sportiva dalla IDSF (International Dance Sport Federation). Una mortificazione se si considerano
che le sue origini affondano nella danza delle tribù africane, nelle arti marziali, nella Capoeira.
Dall’America all’Italia, il riflesso di questa cultura urbana ha generato un imponente fenomeno
commerciale e sociale, rivoluzionando il mondo della musica, della danza, dell’abbigliamento e del
design. Più di qualsiasi altro genere musicale dai tempi del blues, l’hip hop si diffonde anche in Italia a
partire dai primi anni novanta. Nel nostro Paese mantiene una connotazione tipicamente underground,
producendo dischi e improvvisando freestyle. In Italia si è diversificato in base alle aree geografiche
della penisola creando correnti e differenziandosi per contenuti, stili, slang. In un’intervista del 2006 a
La Stampa, il cantante Piotta affermò che a metà del 2000 l’hip hop italiano si può considerare non più
un fenomeno ma una cultura, grazie anche ad artisti entrati in classifica, nonostante questi ultimi
spesso ricalchino ancora modelli americani. Come ogni danza d’importazione, anche l’hip hop cerca di
far comprendere la sua componente culturale, la sua vocazione coreutica, le sue radici storiche.
Nonostante sia una disciplina di ballo non italiana, i passi dell’hip hop ti entrano nel cuore. Serve
soltanto chiudere gli occhi e la musica ti entra dentro.
MASSIMILIANO RASO
Pubblicato in Musica | Etichettato HIP HOP, UNA CULTURA DELL'ARTE DEL VIVERE

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