Sei sulla pagina 1di 11

Alessandro Manzoni

I Promessi Sposi
L’introduzione
Nell’Introduzione l’autore riporta la trascrizione di un presunto manoscritto del Seicento che racconta la storia
di Renzo e Lucia.
Poiché però si tratta di un testo scritto in uno stile barocco, ampolloso e spagnolesco, in un primo momento
egli pare orientato ad abbandonare l’impresa e a rinunciare a rendere nota la vicenda che vi è raccontata. Poi
invece – dato che la storia gli sembra bella e meritevole di essere ricordata – decide di trasporla nella lingua e
nello stile moderni.
Espediente del manoscritto ritrovato → già usato nella tradizione letteraria da Cervantes nel suo
Don Chisciotte. Anche il fondatore del romanzo storico, l’inglese Walter Scott lo utilizza in Ivanhoe
(1819), opera che Manzoni aveva letto in traduzione. Manzoni fa dell’anonimo autore secentesco il
primo narratore della vicenda, e presenta se stesso, in quanto autore, come secondo narratore. Ne
deriva un gioco complesso: ora l’autore-narratore si distanzia dal primo narratore e lo critica, ora vi si
avvicina e quasi vi si identifica. Ne risulta comunque accresciuta l’autorità di Manzoni autore-narratore
che ha una visione più larga e completa rispetto al primo narratore: può controllarne il racconto su
altre fonti e su altri documenti.
Manzoni immerge subito il lettore nel clima culturale, nel gusto e nello stile del Seicento. La Storia
non è semplice cornice, ma protagonista sin dall’Introduzione. Essa caratterizza in profondità il modo
di vivere e di pensare, la mentalità, il costume di vita e lo stile degli uomini: è questa una acquisizione
decisiva del romanzo storico del primo Ottocento promosso da Scott e Manzoni.
Capitolo I
Il capitolo I appare equamente suddiviso fra descrizione e azione. La descrizione occupa la prima
parte, l’azione la seconda. Il momento descrittivo risponde all’esigenza dell’ambientazione
geografica e storica della vicenda.
Sono dedicate all’ambientazione geografica le pagine iniziali, rivolte a rappresentare il paesaggio
del lago di Como.
La sera del 7 novembre 1628, il curato di uno dei villaggi costieri si accorge di essere atteso
lungo la strada da due bravi. Questa circostanza dà l’avvio all’ambientazione storica e alla critica
delle autorità spagnole che governano il ducato di Milano.
Il narratore infatti riporta una serie di gride – o bandi – con cui esse inutilmente avevano cercato
di eliminare il fenomeno dei bravi, malfattori che, al servizio di potenti signori, commettevano ogni
sorta di soprusi.
Successivamente l’azione narrativa procede speditamente: i bravi, al servizio di un signorotto
locale, don Rodrigo, intimano al curato, don Abbondio, di non celebrare il matrimonio tra Renzo e
Lucia.
Il pavido don Abbondio resta terrorizzato e si dirige, affranto, a casa, dove finisce per raccontare
tutto alla propria serva, Perpetua.
Capitolo I
Il capitolo I presenta quattro aspetti significativi: 1) la descrizione iniziale del paesaggio; 2) l’excursus storico sulle
gride e sui bravi; 3) la figura di don Abbondio; 4) il personaggio di Perpetua.
1) L’ambientazione geografica rivela subito un narratore onnisciente che vede dall’alto la scena. Il narratore mostra un
sereno distacco classico: l’articolazione minuta della disposizione geografica e della sintassi che la descrive è sempre
controllata e sottoposta a un elevato equilibrio rappresentativo. I primi luoghi del romanzo presentati sono il lago di Como
e in particolare la zona vicino Lecco. Ad un certo punto il narratore abbassa progressivamente la prospettiva, come uno
zoom dall’alto verso il basso, fino ad inquadrare le stradette che corrono vicino al lago e il personaggio di don Abbondio.
2) All’ambientazione geografica segue quella storica, affidata alla trascrizione delle gride e alla presentazione dei bravi.
Il preciso colore storico va individuato:
- nel linguaggio delle gride, che ostenta la stessa vacua ampollosità di quello dell’Anonimo nell’Introduzione. Il termine
«grida» indica il foglio in cui erano esposti i casi che le leggi vietavano e le pene. Un banditore incaricato dall’autorità
si fermava per le strade a proclamare i divieti che vi erano scritti, così che tutti erano a conoscenza della legge
(usanza tanto più necessaria quanto meno la gente sapeva leggere).
- Nella rappresentazione dei rapporti di forza in una società come quella secentesca, dominata dal sopruso e dalla
ingiustizia. Infatti il comportamento dei personaggi non è spiegato solo alla luce del loro carattere, ma rapportato alla
situazione storica, ai rapporti di forza tra le classi.
- Nei bravi rappresentati secondo la moda del tempo: portavano una reticella verde dalla quale usciva un enorme ciuffo
(segno di ribalderia), due lunghi baffi arricciati in punta (segno di equivoca eleganza), un piccolo corno ripieno di
polvere, due pistole in una cintura lucida di cuoio, ampi e gonfi calzoni, uno spadone e un coltellaccio.
Capitolo I
3) Il personaggio di don Abbondio → Manzoni coglie in lui uno dei lati della natura umana, la tendenza
all’opportunismo e all’egoismo. Don Abbondio è una figura remissiva e vittima del tempo in cui vive: è costretto a
sottostare alle prepotenze dei signorotti locali. Il narratore ci informa che era di condizione non nobile e totalmente
mancante di coraggio («non era nato con un cuor di leone»).
Esemplare è anche la prima famosa similitudine dei Promessi sposi: l'immagine del vaso di terracotta costretto a
viaggiare tra vasi di ferro (→ i potenti e gli oppressori, l’iniquità dei tempi storici inducono don Abbondio, visto come il
vaso di terracotta, alla viltà, debole e indifeso a causa della sua posizione sociale non elevata). Infatti non si ritrova in lui
una reale vocazione, ma fu spinto dai propri genitori alla scelta sacerdotale per appartenere ad una classe sociale
rispettabile e protetta, in grado di offrire anche una parziale sicurezza economica.
La concezione della natura umana in Manzoni è pessimistica e serpeggia all’interno del romanzo soprattutto in situazioni
in cui descrive il comportamento di chi avrebbe dovuto tutelare la giustizia in un’epoca in cui dominava invece la tendenza
al sopruso (Don Abbondio avrebbe dovuto difendere e tutelare il matrimonio tra Renzo e Lucia). Quindi sia gli aspetti del
carattere sia la situazione storica cooperano nell’indurre don Abbondio al compromesso e di fatto alla complicità del più
forte. Il narratore osserva questo personaggio con una ironia che rivela la propria condanna morale ma che talora
nasconde una punta di comprensione e pietà.

4) Il personaggio di Perpetua → è rappresentata con vivacità realistica e popolaresca. Il suo linguaggio è sempre
immediato, diretto, ingenuamente ma icasticamente espressivo, e dunque diverso da quello più mediato di don Abbondio.
È colei che cura la casa e le faccende del parroco. Dimostra nel primo capitolo di essere furba e di avere l’intuizione
intelligente di capire che don Abbondio non vede l’ora di raccontare quello che gli è capitato.
Capitolo II
Nel capitolo II vengono presentati i due protagonisti del romanzo, Renzo Tramaglino e Lucia
Mondella, solo evocati nel precedente.
Dopo una nottata insonne (→ paragonata con ironia a quella del principe di Condè prima
dell’assedio di Rocroi durante la guerra dei Trent’anni), don Abbondio riceve la visita di Renzo,
venuto a concordare l’ora del matrimonio, previsto appunto per quella giornata. Avendo già
deciso di non celebrarlo e di prendere tempo, dopo varie scuse il curato dichiara che non sono
stati eseguiti tutti gli accertamenti previsti dal rito canonico e che il matrimonio va perciò
rimandato.
Renzo intuisce però che don Abbondio non dice la verità e, interrogata Perpetua, vede confermati
i propri sospetti. Riesce così, minacciandolo, a sapere la vera causa del mancato matrimonio.
A questo punto la scena si sposta dalla casa del curato a quella di Lucia. Renzo percorre il
tragitto fuori di sé, pensando alla vendetta contro don Rodrigo. Lucia, circondata dalle amiche, è
già vestita da sposa. I due fidanzati fanno sapere che il matrimonio è rinviato a causa della
malattia del curato, che in effetti, nel frattempo, si è messo a letto con la febbre.
La vicenda del capitolo si svolge nella mattinata dell’8 novembre 1628, giorno successivo a
quello dell’incontro di don Abbondio con i bravi raccontato nel capitolo I.
Capitolo II
Il capitolo II descrive i due protagonisti: Renzo e Lucia.
1) Renzo Tramaglino → il cognome di Renzo ne indica già la professione e quindi l’estrazione sociale. «Tramaglino»
infatti allude al mestiere di filatore («tramaglio» = rete). Renzo è personaggio d’azione. Per quanto buono e generoso, è
istintivo, impetuoso, deciso. Inoltre non è privo di abilità e infatti appare capace di destreggiarsi con astuzia sia con don
Abbondio, sia con Perpetua, alternando una diplomazia alle minacce e così riuscendo alla fine ad appurare la verità. Il
suo temperamento di potenziale ribelle si rivela tanto nell’episodio in cui sequestra don Abbondio per estorcergli la
confessione, quanto nelle fantasie di vendetta contro don Rodrigo. Il fatto che venga presentato per strada, mentre
cammina lungo il tragitto che lo porta dalla casa di don Abbondio a quella di Lucia, anticipa un tratto costante del
personaggio: il suo essere sempre per via per raggiungere l’oggetto del proprio amore e desiderio (Lucia). A qualificarlo è
anche l’ambiente della strada, in cui Renzo si trova bene, è un personaggio pubblico, che si muove tra poli contrapposti
(dall’uso delle minacce contro don Abbondio per sapere la verità all’essere il giovanotto buono e innamorato che depone
ogni sorta di pensiero di vendetta quando si avvicina a Lucia).
2) Lucia Mondella → «Mondella», che somiglia al termine latino «mundus», allude alla purezza di Lucia. Ella è il
personaggio domestico, che si ritrova a suo agio nella dimensione del privato. Infatti se Renzo viene presentato spesso in
viaggio, lo spazio di Lucia è quello della casa e dell’interiorità. Appare poi sempre protetta da una figura femminile più
matura (solitamente dalla madre). Ciò non significa che sia un personaggio debole o fragile: in realtà ha una forte tempra
morale e una solida formazione religiosa che la preservano dalle insidie del male. La sua «modestia» religiosa si
accompagna sempre a una nota «guerriera». Lucia si ripara sempre non solo dalle minacce esterne che la perseguitano,
ma dall’insidia interna delle passioni. È il personaggio a cui Manzoni affida una chiara funzione ideologica ed educativa.
Che sia una contadina e un’operaia in una filanda, dunque una esponente delle classi più umili, ad assolvere tale
funzione, è poi tratto di grande novità. Nella tradizione letteraria infatti gli umili potevano essere saltuariamente
protagonisti, potevano avere brevi apparizioni. Manzoni invece affida il suo messaggio proprio ad essi, perché dice che la
verità si diffonde direttamente dal popolo.
Capitolo III
La vicenda si svolge nel pomeriggio e nella prima serata del giorno 8 novembre 1628.
Il capitolo III inizia e finisce nella casa di Lucia e di Agnese, sua madre. La loro abitazione
costituisce il luogo in cui si sviluppano e da cui dipartono le varie vicende che vi sono
rappresentate. Il capitolo si può dividere in quattro nuclei narrativi:
1. all’inizio, Lucia narra a Renzo e alla madre l’incontro con don Rodrigo e spiega le ragioni
dell’averlo confessato solo a Fra Cristoforo.
2. Su parere di Agnese, Renzo si allontana dalla casa di Lucia e si reca a Lecco dal dottor
Azzecca-garbugli, sperando di avere d lui un buon consiglio, ma l’avvocato, udito di che si
tratta dopo un iniziale fraintendimento, lo caccia in malo modo.
3. Contemporaneamente, a casa di Lucia arriva un frate cercatore, fra Galdino, che, dopo aver
raccontato il miracolo delle noci accaduto nei pressi di un convento in Romagna, riceve dalla
ragazza l’incarico di avvisare fra Cristoforo, perché questi venga subito a trovarla.
4. Renzo ritorna sconsolato dalle due donne: tutti e tre insieme decidono di aspettare
l’intervento di frate Cristoforo, ma il giovane, prima di ritornare a casa propria per la notte,
minaccia di farsi giustizia da solo.
Capitolo III
- L’episodio di Azzecca-garbugli → L’equivoco per cui il dottor Azzecca-garbugli scambia per un bravo il povero
Renzo ha un valore densamente metaforico e emblematico. Il Seicento si presenta come un mondo capovolto, dove le
gride possono essere usate contro la legge, i prepotenti sono protetti, le vittime appaiono colpevoli e i fautori
dell’ingiustizia «galantuomini», mentre la verità diventa «fandonia». In esso Renzo, proprio perché è innocente, appare
per Azzecca-garbugli dalla parte del torto. Alla fine egli stesso scambia la vendetta per giustizia. Coloro che detengono
tutto il potere hanno anche quello sul linguaggio, e infatti lo usano alterandone la relazione con la realtà. Per questo
per Manzoni la cultura non è di per sé un valore; essa infatti può essere usata – come fanno Don Abbondio (con il suo
latinorum) e Azzecca-garbugli – a fini di menzogna e d’ingiustizia. Attraverso l’Azzecca-garbugli Manzoni fa un
discorso molto serio, e fondamentale, sul capovolgimento dei rapporti fra parole e cose nel Seicento, e forse non solo
in questo secolo.
- Lucia e Renzo → Renzo è presentato di nuovo per strada quando si reca da Azzecca-garbugli, mentre Lucia incontra,
proprio per strada, don Rodrigo. Il diverso destino dei due personaggi si collega ai loro due diversi luoghi-simbolo:
quello della strada (che implica movimento, apertura all’esperienza e agli incontri) per Renzo e quello della casa per
Lucia. Fuori della protezione domestica, Lucia si sente sempre insicura e indifesa. Quanto al fidanzato, questi
conferma qui il proprio carattere impulsivo e disponibile alle esperienze; ma, di fronte ad Azzecca-garbugli, egli si
rivela meno pronto che dinanzi a don Abbondio (cap. II): l’orizzonte della città lo rende infatti timoroso e impacciato,
mentre quello del paese gli dà sicurezza. Se cominciano quindi a profilarsi i limiti di Renzo, Lucia appare invece – se
resta nell’ambito della casa che le è proprio – decisa, sicura, dotata di una personalità adulta e matura.
- Pluristilismo → usato da Manzoni per rendere ancora di più il realismo del romanzo. Ogni personaggio ha infatti il
proprio registro stilistico che ne tratteggia la figura, le caratteristiche e l’estrazione sociale. Si pensi soprattutto a
Perpetua, Agnese, fra Galdino che riflettono un linguaggio del popolo, modalità semplici, una saggezza che deriva
dall’esperienza di vita e non dalla cultura, modi di dire e proverbi. Non da escludere però don Abbondio, e nemmeno
Azzecca-garbugli, a cui Manzoni associa un diverso stile.
Capitolo IV
Il capitolo IV si apre all’alba del 9 novembre, quando padre Cristoforo lascia il convento dei
cappuccini di Pescarenico per recarsi a casa di Lucia.
Dopo la descrizione del paesaggio autunnale, in cui già incombono i segni della carestia e della
miseria (evidenti nei numerosi mendicanti, nella svogliatezza rassegnata dei contadini e
nell’immagine di una fanciulla magra che contende alla vaccherella le erbe di cui cibarsi), prende
avvio il racconto della conversione del frate. Egli era figlio di un ricco mercante, ma aveva avuto
l’educazione di un nobile e con i nobili voleva competere e rivaleggiare, non senza contrasti
interiori, preoccupazioni, desiderio di cambiare vita, che lo inducevano talora a immaginarsi di
farsi frate. Un duello con un nobile arrogante per un futile motivo (il diritto di precedenza sulla
strada), la morte di un caro servo venuto in suo soccorso, l’uccisione, di cui egli è diretto
responsabile, del rivale che gli sbarrava la strada, la fuga in un convento di cappuccini spingono
Lodovico a farsi frate con il nome di Cristoforo (quello del suo dipendente ucciso). Il giorno
successivo alla cerimoni della vestitura, padre Cristoforo va a chiedere perdono al fratello
dell’ucciso provocando la commozione di tutti i nobili presenti, che pure erano lì convenuti per
umiliarlo pubblicamente. Da questo momento padre Cristoforo dedica la propria vita ad
appianare contrasti e a difendere i deboli.
Finita la storia del personaggio, il capitolo si chiude con l’arrivo del frate a casa di Lucia.
Capitolo IV
- Il narratore onnisciente → Quando entrano in scena i personaggi principali, il narratore racconta la loro storia
passata. Era accaduto così anche con don Abbondio (cap. I). Questa presentazione a tutto tondo dei personaggi è un
procedimento tipico del narratore onnisciente, che sa tutto di loro, ne conosce il passato e il futuro, nonché i pensieri
più nascosti. Si tratta di una tecnica rappresentativa molto diffusa nel romanzo della prima metà dell’Ottocento, che
entra invece in crisi nella seconda metà del secolo con Giovanni Verga.
- La presenza della storia → In questo capitolo IV, il Seicento è presente in alcuni suoi tratti specifici: il senso del
puntiglio, il gusto della teatralità, il vuoto formalismo. La ragione del duello fra Lodovico e il nobile arrogante sta nel
puntiglio che anima entrambi i contendenti; e poi è il puntiglio che induce il fratello dell’ucciso a pretendere una
pubblica riparazione. L’episodio ha inoltre una sua rilevanza emblematica che lo accosta a quello di Azzecca-garbugli
e di Renzo nel precedente capitolo. Di nuovo i gesti, le parole, i riti appaiono separati dalle loro ragioni più profonde.
La trasparenza fra parole e cose è oscurata; i rapporti reali e le questioni di sostanza sono rovesciati. In questa
situazione il comportamento di padre Cristoforo ha una funzione dirompente. Infatti egli mira a far coincidere parole e
fatti, parlando il linguaggio schietto e autentico della verità e tornando a dare ai gesti e ai riti della religione il loro
significato profondo, ormai ignorato o rovesciato dalle convenzioni dominanti.
- Il carattere di padre Cristoforo → Nel carattere del frate restano «l’impeto antico» e «l’indole focosa» di Lodovico,
ma tenuti a freno da una nuova forza di volontà, che consiglia la rassegnazione e la prudenza. L’impeto di padre
Cristoforo è anche una tendenza spontanea a esigere la giustizia su questa terra, e a ribellarsi ai prepotenti, mentre la
volontà che lo frena è invece abbandono alla volontà di Dio, prudenza, rassegnazione. Nella sua indole focosa resta
un elemento romantico di opposizione alla società, di esigenza di lotta e giustizia che riflette una atteggiamento
giovanile dell’autore e che è possibile riscontrare anche nel personaggio di Renzo. Da questo punto di vista padre
Cristoforo è anche il «doppio» di Renzo, perché ne condivide l’impetuosa generosità. Nello stesso tempo però fra
Cristoforo è anche il padre di Renzo, quello che lo induce alla pazienza, all’abbandono alla volontà di Dio; e riflette una
fase più matura e non più giovanile del carattere.

Potrebbero piacerti anche