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Conclusioni

Alla fine di maggio il TG11 è sbarcato online con un nuovo


sito internet, innovato e ricco di contenuti diversificati che non
sono limitati alla semplice riproduzione delle edizioni del
telegiornale che va in onda sul supporto analogico. Il nuovo sito
ospita, oltre alle edizioni dei telegiornali, anche degli spazi dedicati
ai contenuti generati dagli utenti che di volta in volta verranno
chiamati ad esprimersi su argomenti proposti dalla redazione. Si
possono trovare anche diversi strumenti per interagire con la
redazione, tramite i blog (sono quattro al momento in cui scrivo,
tra cui uno tenuto dal direttore della testata) attivati o tramite gli
indirizzi e-mail dei singoli giornalisti. Il Tg1 è il telegiornale di
punta delle reti televisive pubbliche ed è senza dubbio
un’istituzione nell’ambito dell’informazione italiana. Il fatto che
sia sbarcato, finalmente, con decisione sul web è un evento storico.
Se anche il Tg più istituzionalizzato della televisione ha
deciso di entrare con forza nel web è davvero segno che i tempi per
l’informazione stanno definitivamente cambiando. E’ troppo presto
per dire che i media tradizionali scompariranno. Quello che è certo
è che il loro lavoro si sta spostando su piattaforme nuove, digitali,
anche se, ovviamente, ci vorrà molto tempo ancora per
abbandonare le vecchie piattaforme mediali. In realtà, non è detto
che questo accada, ma la strada intrapresa va nella direzione di una
loro netta riduzione. Per adesso stiamo assistendo ad un processo
di convergenza tecnologica verso il digitale con tutte le
implicazioni pratiche che questo comporta, prima tra tutte la

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http://www.tg1.rai.it/dl/tg1/

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complementarietà tra nuovi media e vecchi media nel campo
dell’informazione. Questo processo non cancella per ora i
contenuti in analogico o gli altri old media, più che altro li integra,
fornendo al pubblico ulteriori strumenti di informazione.
Le redazioni giornalistiche si stanno tutte adattando alle
nuove condizioni tecnologiche che impongono una presenza
importante e strutturata all’interno del web. Rimanerne fuori
potrebbe essere un rischio troppo grande dal punto di vista sia
commerciale sia di prestigio.
I consumatori di informazioni, a loro volta, non stanno più
con le mani in mano, passivi di fronte ai messaggi mediali. Grazie
alla diffusione delle tecnologie digitali e alla convergenza dei
media tradizionali verso le nuove piattaforme tecnologiche, il
pubblico ha la possibilità, che non ha precedenti nella storia, di
poter partecipare attivamente alla produzione di contenuti e di
informazioni. Il pubblico ha preso possesso dei media, dei nuovi
media, per poter esprimersi e comunicare se non alla pari con i
mass media, almeno quasi.
Le modalità con le quali il pubblico partecipa attivamente
alla produzione dei contenuti informativi sono svariate. Dai
commenti agli articoli delle testate tradizionali sui loro siti, ai
forum, ai sondaggi e così via.
I cittadini connessi al web possono anche collaborare
attivamente alla produzione delle informazioni e delle notizie
collaborando sia con l’attività dei giornalisti che con gli editori. Le
forme in cui questa collaborazione può svilupparsi sono delle più
varie, ma ciò che è importante è che il numero di queste
collaborazioni attive è in crescente aumento in ogni parte del
mondo.

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Di fronte alla partecipazione sempre più massiccia e di
qualità del proprio pubblico, anche i professionisti
dell’informazione non possono stare fermi ed arroccarsi sulle
posizioni tradizionaliste che portano qualcuno a ritenere che la
categoria dei giornalisti sia l’unica deputata a fare informazione.
Non è così e ciò è sempre più evidente anche agli scettici e ai
tradizionalisti.
I giornalisti svolgono un ruolo cruciale nel mantenimento
degli standard democratici di ogni paese libero e democratico ma,
per assolvere al meglio il proprio compito, occorre che il mondo
del giornalismo si adegui ai cambiamenti tecnologici e sociali che
le società occidentali stanno vivendo. Molti giornalisti lo stanno
facendo consultando i blog, accettando confronti schietti e diretti
con i propri lettori e, sempre più spesso, aprendo un proprio blog
per esercitare liberamente il proprio mestiere e condividere la
propria conoscenza, le proprie scoperte e le proprie opinioni, che
spesso sono nascoste sotto la coperta dell’obiettività con cui le
testate tradizionali amano coprirsi.
Il giornalista, come il cittadino, ha a disposizione degli
strumenti che gli consentono di interagire con un pubblico senza
dover subire un controllo redazionale riguardo la compatibilità di
quanto scrive con le linee editoriali disegnate dalla proprietà della
testata per cui lavora. Cittadini e giornalisti si trovano così a fare
informazione sullo stesso campo, trovandosi molto spesso a
collaborare per perseguire l’obiettivo di offrire un’informazione
più completa e plurale, che consenta davvero di aumentare gli
standard della conoscenza comune. Un giornalista può scoprire
delle storie osservando e leggendo dei blog di non professionisti,
trattarle sul suo spazio, approfondirle e, grazie alle sue abilità

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professionali, rendere completa e contestualizzata un’istanza, una
denuncia o una buona notizia riportata da un blogger. Questi, allo
stesso modo, può riconoscere il buon lavoro fatto da un giornalista
– blogger, riportandolo e linkandolo al proprio blog, aumentandone
così la visibilità e la reputazione presso il proprio pubblico. Si
viene a creare così una effettiva collaborazione nella creazione e
nella promozione di contenuti e informazioni che spesso non
trovano spazio sui giornali di carta, nel tubo catodico o tra le
frequenze radio. Un mondo che fino a pochi anni fa non aveva
voce sta venendo alla ribalta e sta guadagnando spazi importanti
nel tempo che i cittadini dedicano ad informarsi. I professionisti
dei grandi media devono tenere conto di questa possibilità che è
nelle mani del pubblico e devono imparare ad ascoltarlo sempre di
più ed imparare ad usare il buon senso collettivo dei pubblici
dell’informazione per migliorare le notizie.
Anche nel mondo degli editori c’è chi è ancora scettico nei
confronti dell’informazione prodotta dagli utenti, in quanto non
riesce a vedervi una fonte di profitto. C’è anche, però, chi è più
audace e, intravedendo delle possibilità di sviluppo, si sta
lanciando in un’avventura editoriale senza precedenti, ovvero
quella di non chiedere più esclusivamente ai giornalisti di fare
informazione per la propria testata, ma di aprirla al contributo di
tutti, siano essi giornalisti o meno. Ancora non vi sono certezze sul
successo e sulla riuscita di questi progetti, ma non vi è dubbio che
se non si inizia a sperimentare non si riusciranno mai a
comprendere quali sono le giuste modalità per far sì che progetti di
questo tipo abbiano successo. Queste sperimentazioni si
diffonderanno sempre di più conquistando certezze passo dopo
passo, soprattutto alla luce del fatto che i media tradizionali sono in

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crisi. Perdono utenti e, di conseguenza, inserzionisti pubblicitari
che si stanno spostando, se pur lentamente, ma inesorabilmente,
verso il web e le sue forme innovative di advertising commerciale.
Il settimo rapporto del Censis sulla comunicazione
(“L’evoluzione delle diete mediatiche giovanili in Italia e in
Europa”2), pubblicato il 7 giugno 2008 fotografa il movimento dei
consumi mediali dei giovani italiani ed europei, in una fascia d’età
che va dai 14 ai 29 anni. Dai dati emersi risulta evidente come
negli ultimi 4 anni il consumo mediale delle giovani generazioni si
sia spostato massicciamente verso gli strumenti digitali, anche se il
consumo è in generale aumentato per tutti gli strumenti mediali
(new e old) con la sola eccezione della televisione generalista che
ha registrato una significativa diminuzione del suo utilizzo. L’uso
di internet da parte dei giovani è aumentato dal 2003 al 2007 del
22%, passando dal 61% all’83%. Mentre anche gli altri media,
compresi quelli cartacei come quotidiani, libri e periodici,
registrano un aumento di consumo da parte dei giovani, il medium
televisivo è passato, invece, da una percentuale del 94,9% di utenti
giovani del 2003 all’87,9% del 2007. Negli ultimi 4 anni la Tv ha
perso il 7% di utenti in un contesto in cui il consumo mediale
totale sta aumentando. La televisione sembra stia pagando la
disaffezione del pubblico giovanile non solo nel campo
dell’informazione ma anche nel campo dell’intrattenimento in
quanto, sempre in base ai dati Censis, l’utenza televisiva nel tempo
libero dei giovani è diminuita del 5% circa, mentre l’utilizzo di
internet è aumentato del 30,7% (dal 20,0% del 2003 al 50,7% del
2007). In realtà, il medium che in questo campo sembra pagare di
più l’avanzata di internet è la radio, che perde circa il 14% di
2
http://www.censis.it/

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utenti. La causa di questo è che i giovani preferiscono sempre più
ascoltare, musica essenzialmente, sempre più in base alle proprie
esigenze, tramite podcast e file mp3, grazie anche alla diffusione di
maneggevoli strumenti che consentono l’ascolto di questi file
ovunque. La lettura di un quotidiano nel tempo libero è diminuita
leggermente, però sono aumentati il consumo delle riviste e,
soprattutto, dei libri, con una crescita del 12,6% negli ultimi 4
anni.
Provando a commentare brevemente questi dati, si potrebbe
dire che i giovani italiani si stanno disaffezionando soprattutto a
quei contenuti informativi e di intrattenimento che negli ultimi
anni si sono spostati sempre più verso un certo tipo di
sensazionalismo ed esagerazione, causando un allontanamento dei
loro messaggi dalla realtà e dalla vita vissuta. Incrementando l’uso
di internet, dei libri e delle riviste, i giovani dimostrano di preferire
sempre più contenuti approfonditi e strutturati in maniera da
favorire la conoscenza. Questo vale anche nel campo
dell’informazione, come nell’intrattenimento, in cui i cittadini, e i
giovani in prima fila, preferiscono crearsi in maniera autonoma le
proprie diete mediali in base alla fiducia e alla reputazione che essi
stessi danno ai medium dai quali attingono le loro conoscenze e le
loro fonti di intrattenimento. Abbiamo visto quanto il fenomeno del
blogging incida nella costruzione di un’informazione
personalizzata da parte dei singoli individui.
Infatti, Adam Curry, imprenditore nel campo delle
tecnologie, nonché blogger3, intervistato da D. Burstein, sostiene
che il blogging “ha completamente liberato le notizie e le
informazioni che leggiamo, guardiamo e ascoltiamo dalle
3
http://live.curry.com

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costrizioni del controllo dei Grandi media […] Stiamo prendendo
il controllo delle nostre televisioni. Non sarà più importante come
la televisione verrà trasmessa, se in modo tradizionale, via cavo o
via internet. La televisione sta diventando monocanale, il nostro
canale personale che trasmette la nostra programmazione libera da
inserti pubblicitari […] Poi c’è la radio, quella passata totalmente
su tecnologie wireless che arriva ovunque […] ha iniziato ad essere
personalizzata attraverso il satellite e i blog […] Infine, grazie alla
potenza dei computer e di internet, e in particolare dei blog, stiamo
guadagnando il controllo anche dei nostri media cartacei. Ora si
possono trovare centinaia di differenti fonti d’informazione e si
possono anche creare proprie notizie. Ciò offre la possibilità di
‘triangolare’ l’informazione: mentre si legge la versione del New
York Times sui bombardamenti di Bagdad, per esempio, si possono
contemporaneamente consultare i resoconti dei blogger che hanno
assistito di persona alle esplosioni”4.
La lettura dei dati del Censis può contribuire ad avvalorare
l’opinione di Adam Curry soprattutto per quel che riguarda il
rapporto tra internet, blog e media cartacei. Se è vero che questi
due mondi si stanno muovendo verso una collaborazione sempre
più stretta – sotto la spinta del pubblico che è diventato un vero
protagonista del mondo dell’informazione – è possibile
comprendere perché nella dieta mediale dei giovani italiani (ma
questo vale anche per i giovani di tutta Europa) non stia
aumentando solo il consumo di internet, ma anche quello dei
media cartacei a discapito delle “vecchie” radio e Tv. Se il mondo
dell’informazione e della cultura riesce ad ascoltare di più le voci e
le esigenze del proprio pubblico, questi tende a riavvicinarsi a
4
D. Kline, D. Burstein, Blog!, Sperling & Kupfer, Milano, 2005, pp. 226 - 227

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questi media di cui non ha mai negato l’importanza, ma di cui non
sempre ha apprezzato i contenuti e lo ha dimostrato creandone di
propri. I grandi media non possono più far finta che questo non stia
succedendo.
Tornando all’esempio di Curry sui bombardamenti sulla
capitale irachena, è possibile consultare i blog dei cronisti delle
testate e dei numerosi free lance che si trovano o si trovavano da
quelle parti, ma è anche possibile leggere alcuni blog tenuti dagli
iracheni e allo stesso tempo consultare i blog dei soldati americani,
ma non solo americani, di stanza nel paese mediorientale. Il tutto
confrontando i resoconti dei media mainstream che sempre più
spesso sono il megafono dei comunicati e delle conferenze stampa
tenute dai comandi militari di stanza nel paese. Non c’è dubbio che
avere tutti questi punti di vista a disposizione di fronte ad un
evento così tragico e difficile da raccontare dia all’informazione un
senso di completezza che è impossibile raggiungere quando a
raccontare gli eventi è una voce sola.
La diffusione così estesa della pratica di raccontare fatti,
eventi ed opinioni dai più svariati punti di vista, individuali o
collettivi, consente di poter seriamente parlare di una pratica
sociale che si sta consolidando e che nel futuro probabilmente sarà
sempre più al servizio del pubblico: il giornalismo. Fare
informazione ha sempre avuto un risvolto sociale e di interesse
pubblico, in quanto consente alla popolazione di seguire i fatti del
mondo e di comportarsi di conseguenza ed è per questo che
l’accezione più nobile del mestiere del giornalista è quella del cane
da guardia del potere, del “mastino” che in nome del pubblico
interesse controlla e visiona da vicino coloro i quali decidono le
sorti dei cittadini. Ultimamente in Italia, ma non solo, questo

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compito sembra essere venuto sempre meno, o, per meglio dire,
l’informazione mainstream viene percepita dai cittadini sempre più
al servizio dei grandi potentati economici e politici 5 e le poche voci
realmente critiche vengono costantemente attaccate da questi
potentati. Per continuare ad essere visibile, l’informazione
mainstream è costretta a sbarcare in rete e a fare tesoro di tutti quei
nuovi strumenti messi a disposizione dei cittadini, che non si fanno
pregare per utilizzarli e che, anzi, volontariamente decidono di fare
la propria parte esprimendo le proprie idee e condividendo le
proprie conoscenze.
In questo mondo in cui le informazioni viaggiano da uno
spazio personale ad un altro e di passo in passo vengono
completate, migliorate e, se è il caso, criticate e corrette, le voci
libere del giornalismo si incontrano concretamente con il pubblico,
che è stufo dell’informazione mainstream, contribuendo alla
nascita di nuove, autorevoli e credibili, voci nel mondo
dell’informazione. Questo meccanismo è tanto più utile e
necessario nei paesi in cui le voci dell’informazione libera sono
effettivamente minacciate da chi detiene il potere. Secondo Pino
Scaccia6, giornalista e blogger, nel mondo ci sono 211 tra
giornalisti e blogger in prigione. Questo vuol dire che raccontare i
fatti sul web crea preoccupazione in chi ha interesse a mantenere
regimi limitati di libertà di stampa, di cronaca e di critica.
Raccontare fatti, descrivere la realtà e dare spazio ad opinioni
diverse, nel rispetto reciproco, è una pratica di libertà, che è al

5
In base ai dati forniti dal Censis nel rapporto sulla comunicazione del 2008 l’82% dei
cittadini ritiene che i telegiornali siano troppo influenzati dal potere politico:
http://www.asca.it/moddettnews.php?idnews=761374&canale=ORA&articolo=TV:%2
0CENSIS,%20TG%20TROPPO%20LEGATI%20AL%20POTERE%20POLITICO%2
0PER%2082%25%20ITALIANI
6
http://reporterscaccia.splinder.com/

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servizio dell’interesse pubblico in ogni campo della vita sociale.
Quando questa attività viene svolta di concerto tra professionisti e
cittadini assume una forza che non ha precedenti nella storia
dell’informazione, in quanto si svincola da direttive verticistiche e
risponde all’esclusivo interesse del pubblico e dei cittadini.

Tuttavia, non è possibile ignorare il fatto che queste pratiche


sociali di liberazione dell’informazione possono essere esercitate
da, e sono dirette a, una sezione molto limitata della popolazione
mondiale. Il divario tecnologico e digitale (digital divide) tra paesi
tecnologicamente avanzati e paesi del terzo mondo è sempre più
profondo e, nonostante gli sforzi per ridurlo, non sembra accennare
a diminuire. I paesi ricchi continuano la loro corsa verso nuovi lidi
di libertà di informazione basati sulla disponibilità di tecnologie
diffuse, mentre i poveri rimangono nella stessa posizione di
indigenza e di impossibilità di accesso alle informazioni che è un
fondamento imprescindibile per la libertà di ogni popolo.
Il digital divide, comunque, non si evidenzia solo nel
confronto tra paesi dall’economia opulenta e paesi poveri. Lo si
può trovare anche all’interno dei paesi più sviluppati, laddove
molte tecnologie non sono diffuse tra ampie porzioni di
popolazione. L’Italia è un esempio calzante in quanto registra una
forte arretratezza soprattutto nella diffusione della tecnologia delle
reti a banda larga che, a causa del velocissimo sviluppo
tecnologico digitale, risulta sempre più necessaria per accedere ai
servizi in rete delle pubbliche amministrazioni e del mondo
dell’informazione e di moltissimi operatori privati e del terzo
settore.

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Oltre al divario strettamente tecnologico, occorre anche
evidenziare un forte divario culturale esistente tra diverse aree
della popolazione del pianeta, ma anche all’interno di ogni singolo
paese. Questo divario non riguarda solo la classe politica, come ho
avuto modo di accennare in un capitolo precedente, ma anche
quelle ampie parti di popolazioni che sono legate ai tradizionali
metodi di informazione e di relazioni con gli enti che erogano
servizi pubblici.
Se è vero - come sostengono molti osservatori dei nuovi
processi sociali legati alla diffusione delle tecnologie digitali - che
la comunicazione in rete favorisce la libertà di stampa, di opinione
e di critica e, di conseguenza, una maggiore partecipazione
politica, grazie ad un maggiore livello di consapevolezza delle
vicende sociali, è purtroppo altrettanto vero che ampie parti della
popolazione globale ne rimangono fuori. Se non vengono diffuse
in maniera capillare, le nuove tecnologie rischiano di soddisfare i
bisogni di pochi e di portare alla ribalta le esigenze di un’elite
tecnologicamente e culturalmente avanzata, lasciando sempre più
indietro coloro i quali non riescono a stare al passo con questi
processi di sviluppo. L’accesso negato alle nuove forme di
informazione si tramuta concretamente in un distacco ancora più
acuto della popolazione dai poteri degli stati e dai nascenti
potentati globali. Non vi è quindi dubbio che per diffondere gli
aspetti positivi della comunicazione e dell’informazione in rete, sul
piano sociale, occorre che questa sia accessibile a tutti. Solo in
questo modo i miglioramenti sulla base della partecipazione
sociale alla formazione dell’opinione pubblica, e dei suoi bisogni,
saranno effettivi e realmente democratici.

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Purtroppo, se questo è un bisogno avvertito da tutti, è anche
vero che la realizzazione di questa “eguaglianza tecnologica e
informativa” è nelle mani di pochi soggetti economici e politici che
contano nel campo dello sviluppo economico e tecnologico
globale.
La questione del digital divide è una questione cruciale per
lo sviluppo dell’umanità nell’ottica della formazione di una società
globale dell’informazione, in cui la conoscenza individuale e
sociale diventa uno strumento essenziale per vivere meglio nel
mondo. Chi resterà tagliato fuori dalla diffusione di queste
conoscenze rischia concretamente di essere tagliato fuori da ogni
movimento di sviluppo sociale e civile. Il digital divide dovrebbe
quindi essere una priorità tra i problemi da risolvere che affliggono
il mondo, di importanza inferiore solo alla necessità
dell’autodeterminazione alimentare e dell’autosufficienza medica e
farmaceutica dei popoli che ancora non l’hanno raggiunta.

Tornando ora all’argomento principale di questo lavoro: alla


luce di quanto scritto fino ad ora, la convivenza tra vecchie
redazioni giornalistiche e weblog è, dunque, possibile?
Granieri sostiene che “weblog e giornalismo tradizionale
sono complementari, sono due aree diverse dell’ecosistema dei
media, fortemente interconnesse ma con regole ed equilibri
differenti”7. Sono d’accordo con questa visione per cui la risposta
alla domanda, che mi pongo nel titolo di questa tesi, è che questa
convivenza non solo è possibile, ma anche auspicabile, quasi
necessaria, e lo è sotto molteplici aspetti.

7
G. Granieri, Blog generation, Laterza, Roma – Bari, 2007, p 116

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Prima di tutto perché contribuisce ad arricchire il mondo
dell’informazione in termini quantitativi ma anche qualitativi. Il
pluralismo dell’informazione contribuisce, inoltre, ad aumentare la
democraticità di ogni sistema, in quanto sappiamo bene che la
libera informazione è un cardine di tutte le società che vogliono
essere libere. Il fatto che i lettori, finalmente, possano partecipare
al processo di produzione delle notizie è una forte spinta nella
direzione di garantire maggiori diritti democratici alle popolazioni
che possono usufruire di questi strumenti..
La maggiore completezza e pluralità delle informazioni,
inoltre, può avere effetti benefici in termini di conoscenza
collettiva. La conoscenza della gran parte del pubblico dei mass
media difficilmente va oltre i contenuti proposti da questi. La
possibilità di sviluppare a livello di massa una collaborazione che
porti a moltiplicare i contenuti interessanti e credibili non può che
arricchire tutto il sistema dell’informazione, della cultura e la
conoscenza.
In termini economici questa convivenza è alla portata sia
delle grandi organizzazioni editoriali sia dei singoli blogger. La
convenienza per le prime consiste nella possibilità di raggiungere
un pubblico sempre più vasto che legge sempre meno i giornali e
riduce sempre di più il tempo passato a consumare gli altri media
di massa. Questo pubblico si informa su internet dai siti di
informazione mainstream ma, spesso e volentieri, anche dai blog,
sia da quelli più autorevoli e riconosciuti, sia da quelli tenuti da
amici e conoscenti che ne hanno aperto uno. Data questa situazione
la possibilità per un editore di poter raggiungere un pubblico nuovo
consente di aprire ampi spazi per l’attrazione di inserzionisti che
sempre più stanno spostando le loro attività sul web inventandosi

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numerose forme di marketing e advertising più mirate e
personalizzate. Dal punto di vista economico dei blogger, questa
sorta di “convivenza” può portare, a chi lo ritiene utile e positivo
(non bisogna dimenticare la natura volontaristica ed
economicamente disinteressata di chi fa blogging) delle fonti
alternative di guadagno rispetto a quelle tradizionali o addirittura
di appropriarsi del controllo sulla propria vita professionale,
inventandosi (o reinventandosi) nuove professionalità e nuove
carriere che si prospettano all’orizzonte e che, negli Usa, si stanno
già diffondendo, come quella del blogger per aziende o di
consulente freelance sui temi delle nuove tecnologie, della
comunicazione interpersonale e nel passaparola del web 2.0. Un
esempio concreto italiano è Luca Conti, blogger trentaduenne che
parla proprio di questa sua esperienza nel suo blog
www.pandemia.info che è, peraltro, uno dei più seguiti nel nostro
paese. Certo è un caso ancora raro in Italia, ma negli Stati Uniti
sono sempre di più i giovani intraprendenti che decidono di
avviarsi in carriere individuali e autonome nel campo dei nuovi
media8.
Con ogni probabilità quello è il futuro che ci aspetta e che
vedrà sempre più protagoniste le nuove generazioni che saranno
immerse nelle informazioni a rete e nei network sociali. Chi,
darwinianamente parlando, non vuol rimanere indietro, e non
vuole essere escluso da una gran quantità di nuove possibilità di
sviluppo delle conoscenze e delle responsabilità individuali e
collettive, farsi trovare pronto al cambiamento, in maniera tale da

8
Ne parla un articolo del Wall Street Journal online, citato dallo stesso Conti nel suo
blog, che si trova al link:
http://online.wsj.com/article/SB121115437321202233.html?mod=opinion_main_com
mentaries

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poterlo gestire in maniera consapevole e conveniente. Questa
necessità vale sia per i cittadini che non vogliono farsi sommergere
dal mare magnum delle informazioni, ma che desiderano
governarle, sia per i professionisti dell’informazione, che possono
concretamente adoperarsi per rendere il mondo più trasparente e
aperto alle necessità e alle istanze dei cittadini, tornando a svolgere
concretamente quell’attività di servizio pubblico (al servizio del
pubblico) che troppo spesso nei media di massa è stata trascurata
per accaparrarsi le simpatie dei potentati politici e finanziari di
turno.

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