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QdR / Didattica e letteratura

Collana diretta da Natascia Tonelli e Simone Giusti


La collana
La didattica della letteratura è una disciplina ancora giovane, che dagli anni Sessanta
del secolo scorso ha accompagnato con rilessioni teoriche e proposte pratiche il
cambiamento della società contemporanea. Oggi, di fronte agli sconvolgimenti legati
alla rivoluzione digitale e alle profonde mutazioni del contesto socio-culturale, si
rende necessario stipulare un nuovo patto tra scuola e università, tra insegnamento
e ricerca, al ine di individuare metodi e strumenti idonei a valorizzare il ruolo degli
studi letterari, della scrittura, della lettura, e dell’interpretazione delle opere letterarie.
In un momento in cui si discute la necessità di formare i docenti in servizio e,
soprattutto, si sta per avviare una nuova fase nella formazione iniziale dei docenti, la
collana intende colmare un vuoto e divenire un punto di riferimento per coloro che,
nel mondo della scuola e dell’università, sono interessati ad approfondire i problemi
dell’insegnamento letterario e degli apprendimenti correlati alla fruizione della
letteratura.

Comitato scientifico
Paolo Giovannetti (IULM)
Pasquale Guaragnella (Università degli Studi di Bari)
Marielle Macé (CRAL Parigi)
Francisco Rico (Universitat Autònoma Barcelona)
Francesco Stella (Università degli Studi di Siena)
I volumi della collana sono sottoposti a un processo di peer rewiew.
Volumi pubblicati
- Jean-Marie Schaefer, Piccola ecologia degli studi letterari. Come e perché studiare la
letteratura?
- Cinzia Ruozzi, Raccontare la scuola. Testi, autori e forme del secondo Novecento
- Pasquale Guaragnella, Barocco e «nuova scienza». Proposte di ricerca didattica per il docente
di italiano
- Marielle Macé, La lettura nella vita. Modi di leggere, modi di essere
- Le competenze dell’italiano, a cura di Natascia Tonelli
QdR 6
Didattica e letteratura

Per leggere i classici del Novecento


a cura di
Francesca Latini e Simone Giusti
© Loescher Editore - Torino 2017
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ISBN 9788820138295

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INDICE

Indice

Premessa dei curatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

Introduzione. I generi della lettura (Francesca Latini) . . . . . . . . . . 13

Letture e commenti

Nicoletta Fabio
Lettura di Invernale di Guido Gozzano . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33

Marzia Minutelli
«una bestia di meno»: riflessioni sul Maiale di Umberto Saba. . . . . . . . . . . 45

Paolo Giovannetti
Per una lettura di Genova. Su metrica e sintassi di Dino Campana . . . . . . . . . 79

Matteo Giancotti
Lettura di due prose liriche reboriane: Stralcio e Perdóno? . . . . . . . . . . . 109

Simone Giusti
La vite e A Carlo Tomba (Sbarbaro, Trucioli 1920) . . . . . . . . . . . . . . 129

Tiziano Zanato
Montale all’infrarosso. Lettura di Meriggiare pallido e assorto . . . . . . . . 147

Francesca Latini
Dove la luce di Giuseppe Ungaretti. Il ritorno all’oasi d’amore . . . . . . . . . . 177

Georgia Fioroni
Gli immediati dintorni della città nella poesia di Antonia Pozzi: Periferia e Treni . . . 193

Francesca Latini
L’Appennino di Pier Paolo Pasolini (da Le ceneri di Gramsci) . . . . . . . . . 209

Marco Gaetani
Un altro muro di Beppe Fenoglio. Destino, libertà, senso . . . . . . . . . . . . 253
7
IMPARARE
PER LEGGERE
PERI COMPETENZE
CLASSICI DEL NOVECENTO

Fabio Magro
Pensieri di casa di Attilio Bertolucci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 305

Giovanni Bardazzi
La morale del racconto. L’avventura di uno sciatore di Italo Calvino . . . . . . . 321

Davide Colussi
Falso sonetto di Franco Fortini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 367

Anna Baldini
Commento ad un racconto di Primo Levi: Ferro . . . . . . . . . . . . . . . 379

Rodolfo Zucco
Le ceneri di Vittorio Sereni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 399

Marco Villa
L’ordine di Milo De Angelis (Somiglianze). Una lettura . . . . . . . . . . . . 417

Paolo Squillacioti
Amerigo di Francesco Guccini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 437

Marco Manotta
Diidare gola, corpo, movimenti, teatro di Andrea Zanzotto . . . . . . . . . . 457

Marilena Rea
Laggiù dove morivano i dannati di Alda Merini . . . . . . . . . . . . . . 483

Sabrina Stroppa
‘Ciò che resta’. Commento a Le parentesi di Fabio Pusterla
(da Concessione all’inverno) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 495

Fabio Magro
Ombra ferita, anima che vieni di Giovanni Raboni . . . . . . . . . . . . . 515

Claudia Bonsi
Amputarsi, Mutilarsi, Abdicare… Una lettura di Children’s corner di Valerio Magrelli 531

Postfazione. L’artigianato della lettura e la formazione degli insegnanti


(Simone Giusti) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 539

8
Commento ad un racconto
di Primo Levi: Ferro
di Anna Baldini

Storia del testo: La carne dell’orso

Il racconto di Primo Levi che qui presentiamo, Ferro, costituisce il quarto


capitolo di Il sistema periodico, e come tutti i racconti del libro può essere letto
autonomamente senza particolari diicoltà di comprensione1.
Ferro era nato come racconto a sé, ed aveva avuto una prima pubblicazione
con il titolo La carne dell’orso2 il 29 agosto 1961 sul periodico «Il Mondo»,
dove Levi aveva iniziato a pubblicare dall’anno precedente alcuni dei pezzi
fantabiologici poi confluiti in Storie naturali; secondo la ricostruzione del
biografo Ian Thomson3 il racconto poteva già essere abbozzato nell’agosto
1960. Il testo del 1961 presenta una struttura abbandonata nella versione
successiva: all’interno di una cornice, due narratori raccontano le loro
avventure di iniziazione alla montagna. Solo la seconda avventura viene
ripresa nel inale di Ferro, dopo un raccordo con il ilo autobiograico del libro
nel quale si raccontano le esperienze del narratore nel laboratorio di Analisi
Qualitativa e l’inizio dell’amicizia con Sandro.
La carne dell’orso è un racconto rigidamente strutturato: si apre con
un’introduzione che presenta il luogo del racconto (un rifugio), i personaggi
presenti ed il primo narratore interno; seguono la narrazione della prima
avventura ed un ritorno alla cornice, la presentazione del secondo narratore e

1. Ferro ha conosciuto efettivamente una fortuna autonoma: come mi ha testimoniato un amico


appassionato di alpinismo, molti amanti della montagna hanno letto e ricordano il racconto
ignorandone la collocazione originaria, e a volte persino il nome dell’autore.
2. Il racconto si può ora leggere in Pagine sparse 1946-80, pp. 1125-35, sezione conclusiva di P. Levi,
Opere, a cura di M. Belpoliti, vol. I, Torino, Einaudi, 1997.
379
3. I. Thomson, Primo Levi, London, Hutchinson, 2002, p. 292.
PICCOLA
ANNA BALDINI
ECOLOGIA DEGLI STUDI LETTERARI

la sua storia. Questa seconda avventura presenta dei caratteri più sviluppati
che non la prima: i protagonisti sono tre giovani, le caratteristiche di due dei
quali verranno rifuse in Sandro; la presentazione del narratore è più elaborata
e lo rende un personaggio più complesso e misterioso4; la storia è incorniciata
da due citazioni conradiane facilmente riconoscibili, le medesime che Levi
nel 1981 riporterà in La ricerca delle radici; lo stesso espediente del racconto
interno è ispirato a Conrad5.
Questa prima versione mette in evidenza i propri temi e snodi con
maggiore esplicitezza che non la successiva (per esempio, il carattere di
iniziazione delle storie narrate viene dichiarato nella cornice ed il tema
della scelta viene enunciato altrettanto esplicitamente); Calvino, chiamato
ad esprimere un giudizio, trovava che «il tentativo di un’epica conradiana
dell’alpinismo» che pure «incontra tutte le mie simpatie […] per ora resta
un’intenzione»6. Le diferenze strutturali tra le due versioni accompagnano
un mutamento tematico: l’iniziazione alla montagna di La carne dell’orso
diviene in Ferro parte di una più generale iniziazione alla vita, all’assunzione
in proprio di responsabilità, scelte ed errori. In questo contesto Ferro introduce
il tema della maturazione politica: con lo splendido ed appassionato ritratto
di Sandro il racconto di formazione si trasforma nel inale, inaspettatamente,
in un racconto di Resistenza.
L’elaborazione della seconda versione comporta anche il passaggio ad
una diversa modalità di uso dei passati narrativi. A diferenza di quanto
avviene in La carne dell’orso, racconto di due singole avventure signiicative,
in Ferro sul passato remoto prevale l’imperfetto, tempo iterativo del ritratto,
ma anche tempo della permanenza nella memoria di ciò che è andato
irrimediabilmente perduto.

Storia del testo: Letture per la scuola media

Nel 1979 Levi appronta un’edizione scolastica di Il sistema periodico per le


«Letture per la scuola media» di Einaudi. I caratteri di questo autocommento

4. Nella descrizione del secondo narratore interno è possibile scorgere un autoritratto: «Chi parlava,
alla luce del lumino appariva un ometto mingherlino e stempiato, dal viso aguzzo solcato di
rughe mobili» (Pagine sparse cit., p. 1130).
5. Cfr. il cappello introduttivo al brano di Conrad in La ricerca delle radici: «Compare qui, per la prima
volta, Marlow, il suo alter ego, e la narrazione è attribuita a lui. Le ragioni di questo sdoppiamento
sono profonde; credo che la principale sia il pudore di Conrad: Marlow, pure così simile a lui, lo
esonera dall’angoscia di dire ‘io’» (Levi, Opere cit., vol. II, p. 1414).
380 6. I. Calvino, lettera a Primo Levi del 22 novembre 1961, in Id. Lettere 1945-85, Milano, Mondadori,
2000, p. 696.
COMMENTO AD UN RACCONTO DI PRIMO LEVI: FERRO

sono determinati dal destinatario, e le annotazioni sono mirate a consentire


una piena comprensione contenutistica del testo ai lettori adolescenti.
In vista di un’illustrazione dell’enciclopedia dell’autore, vengono chiariti
i riferimenti letterari esplicitamente citati nel testo, spiegate le nozioni di
carattere storico, tradotti i termini di lingue diverse dall’italiano (francese,
inglese, tedesco, piemontese ed ebraico-piemontese), fornite spiegazioni dei
principali fenomeni scientiici (chimici ma non solo) descritti. Frequente è
la parafrasi che scioglie proposizioni o espressioni caratterizzate da un alto
tasso di iguralità; rare sono invece le annotazioni di stampo propriamente
letterario, che si limitano alla spiegazione di alcune igure retoriche, e ad
alcuni interessanti spunti di analisi del proprio bagaglio aggettivale.

Ferro in Il sistema periodico

«È indubbiamente una provocazione il titolo e l’aver dato a ogni capitolo,


come titolo, il nome di un elemento. Ma mi sembrava opportuno sfruttare
il rapporto del chimico con la materia, con gli elementi, come i romantici
dell’800 hanno sfruttato il ‘paesaggio’: elemento chimico-stato d’animo, come
paesaggio-stato d’animo»7. Per quanto riguarda Ferro, il legame tra l’elemento
del titolo ed il testo è di tipo metaforico: di ‘ferro’ è la natura del personaggio
principale, Sandro.
La struttura di Il sistema periodico è tipica dello scrittore della forma
breve che fu Levi: una «collana di novelle a protagonista-narratore isso, o
quasi»8. Mengaldo fornisce questa deinizione per La chiave a stella, ma essa
ben si applica anche a Il sistema periodico; i due libri, d’altra parte, pubblicati a
pochi anni di distanza (1975 l’autobiograia del chimico, 1978 la biograia del
montatore Faussone) costituiscono nella produzione di Levi una coppia9 per
contiguità di concepimento, intento del libro (raccontare storie di mestiere),
tema principale (il lavoro inteso come contesa con la materia).
Ferro appartiene alla prima parte di Il sistema periodico, caratterizzata da
una struttura compatta ed unitaria poiché aggregata intorno ad un tema
principale, il romanzo di formazione dell’io narrato: formazione di mestiere,
politica e sentimentale, che giunge ino al debutto dello scrittore (Cromo).
In questi racconti di formazione il narratore fa ricorso ad un espediente

7. P. Levi, Lo scrittore non scrittore, in Id. Opere cit., vol, I, p. 1205.


8. P.V. Mengaldo, Lingua e scrittura in Levi, in Primo Levi. Un’antologia della critica, a cura di E. Ferrero,
Torino, Einaudi, 1997, p. 215.
9. «A me i libri vengono gemellati», da un’intervista in «Tuttolibri-La Stampa», 6 dicembre 1976, ora
381
in G. Poli – G. Calcagno, Echi di una voce perduta, Milano, Mursia, 1992, p. 124.
PICCOLA
ANNA BALDINI
ECOLOGIA DEGLI STUDI LETTERARI

sistematico, quello di aiancare al suo io giovane un compagno, o una


compagna, dalle caratteristiche opposte e complementari alle proprie, in
maniera da disseminare il testo di una serie di autoritratti in negativo,
che marcano le tappe diferenziali del proprio Bildungsroman. I ritratti
complementari sono poi inseriti in un ambito più vasto, quello di un ‘noi’
generazionale che fa della prima parte di Il sistema periodico anche la storia di
quella generazione, maturata negli anni del fascismo.
Sandro, il protagonista di Ferro, è uno dei personaggi più afascinanti del
libro, ma anche quello la cui ombra si proietta più inquietante. L’opposizione
bipolare con il narratore va a toccare un nodo cruciale, quello che unisce la
scrittura alla morte. A diferenza dell’io, giovane retore che diventerà scrittore,
Sandro «non amava le parole» e diffida di ogni «ibrido» di carta e realtà;
irriducibile alla parola, è impossibile «far rivivere» la sua unica, irripetibile
essenza, il suo straordinario valore umano, una volta scomparso. La letteratura,
cioè la memoria ed il suo racconto, unico «resto» dopo la morte, nel suo tentativo
di «rivestire» Sandro di parole si scontra con la propria impotenza a sanare quel
vuoto, ed incontra l’angosciante limite del proprio potere compensatorio.

FERRO1

[1] Fuori dalle mura dell’Istituto Chimico era notte, la notte dell’Europa2: Chamberlain
era ritornato giocato da Monaco, Hitler era entrato a Praga senza sparare un colpo, Franco
aveva piegato Barcellona e sedeva a Madrid3. L’Italia fascista, pirata minore, aveva occupato
l’Albania, e la premonizione della catastrofe imminente4 si condensava come una rugiada
viscida per le case e nelle strade, nei discorsi cauti e nelle coscienze assopite5.

1. Il testo del racconto è tratto da Opere cit., vol. I, pp. 771-81. La paragrafazione è mia. Ho trascritto
in corsivo tra parentesi quadre le note apposte da Levi all’edizione «Letture per la scuola media»
(Torino, Einaudi, 1979).
2. la notte dell’Europa: la metafora riprende, in un legame di anadiplosi frequentemente usato da Levi
come connessione di paragrai o capitoli, la frase di chiusura del racconto precedente, Zinco 770:
«Mi pareva di aver vinto una battaglia, piccola ma decisiva, contro il buio, il vuoto, e gli anni
nemici che sopravvenivano» (mio il corsivo).
3. era ritornato giocato... era entrato... aveva piegato e sedeva: i quattro verbi, che esprimono in variatio
il facile trionfo dei regimi fascisti, si dispongono in climax ascendente, a signiicare l’incalzare
della tragedia storica. Sedere: ‘avere la propria sede come signore’ (GDLI).
4. [Nel settembre 1938 Chamberlain, primo ministro britannico, aveva accettato a Monaco le richieste di Hitler
di annettere alla Germania le zone della Cecoslovacchia abitate da tedeschi (i Sudeti); a dispetto di questi
accordi, nel marzo 1939 le truppe naziste erano entrate di sorpresa in Cecoslovacchia dichiarandone decaduto
il governo ed instaurandovi un «protettorato». Quasi simultaneamente, occupando Barcellona, Franco aveva
concluso la guerra civile spagnola, e l’Italia fascista aveva invaso l’Albania annettendola. Nel settembre 1939,
invano preannunciata da questi segni, doveva scatenarsi, con l’aggressione alla Polonia, la seconda guerra
mondiale]. L’autocommento assolve sia ad una funzione informativa che esplicativa del testo. Levi
fornisce al pubblico dei giovani lettori i dati storici cui il testo fa riferimento e scioglie con la
382 parafrasi la densità formale del paragrafo iniziale.
5. per le case e nelle strade, nei discorsi cauti e nelle coscienze assopite: si noti la corrispondenza degli stichi:
COMMENTO AD UN RACCONTO DI PRIMO LEVI: FERRO
[2] Ma dentro quelle spesse mura la notte non penetrava; la stessa censura fascista,
capolavoro del regime, ci teneva separati dal mondo, in un bianco limbo di anestesia6. Una
trentina di noi avevano superato il severo sbarramento dei primi esami, ed erano stati
ammessi al laboratorio di Analisi Qualitativa7 del II anno. Eravamo entrati nella vasta sala
afumicata e buia come chi, entrando nella Casa di Dio, rilette ai suoi passi8. Il laboratorio
precedente, quello dello zinco, ci sembrava adesso un esercizio infantile, come quando, da
bambini, si gioca a fare la cucina9: qualcosa, per diritto o per traverso, veniva pure sempre
fuori, magari scarso di resa, magari poco puro: bisognava proprio essere degli schiappini10,
o dei bastiancontrari, per non riuscire a cavare il solfato di magnesio dalla magnesite, o il
bromuro di potassio dal bromo11.
[3] Qui no: qui la faccenda si faceva seria, il confronto con la Materia-Mater, con la madre
nemica12, era più duro e più prossimo. Alle due del pomeriggio, il Professor D., dall’aria

i discorsi cauti si presumono aver luogo nelle case, mentre nelle strade, luogo del pubblico, e dunque
dell’agire civile in opposizione al privato, non si aggirano che coscienze assopite. Il parallelismo
disegna un panorama sociale degradato, dominato da timori e viltà. La densità retorica dell’incipit
si conferma nella pregnante similitudine che precede (come una rugiada viscida).
6. La metafora storico-politica della «notte dell’Europa» viene ulteriormente sviluppata: la
censura fascista, impedendo l’esatta cognizione della realtà storica, garantisce una parvenza di
separazione da quella minaccia. ~ bianco: in opposizione cromatica alla notte; limbo di anestesia:
originale fusione di un vocabolo della tradizione colta e umanista (limbo, luogo della sospensione
e dell’attesa) con uno tecnico-scientiico contemporaneo. dentro quelle spesse mura: la semantica
spaziale che oppone un fuori assediante ad un dentro protetto ma minacciato descrive la
condizione di un’intera generazione intellettuale, ed è frequente nelle opere letterarie del periodo
narrato (si pensi a Nuove Stanze di Montale); ritratti dietro gli steccati dei singoli domini culturali
gli intellettuali badavano a preservare il valore autonomo della cultura (che qui, originalmente,
comprende anche la scienza) dalla contaminazione con il fascismo.
7. [L’analisi qualitativa insegna a riconoscere quali elementi sono presenti in un determinato campione. La
frase che segue riproduce quasi esattamente l’iscrizione che si legge sulla facciata della Sinagoga di Torino
(«Entrando nella Casa di Dio, rifletti ai tuoi passi»): al suo ingresso in quel laboratorio, l’autore ha la
sensazione di penetrare in un luogo sacro].
8. come chi...: la similitudine riprende un tema presente nei capitoli precedenti, dove le aspettative
del narratore rispetto alla chimica erano state messe in rapporto con immagini sacre: Idrogeno
758: «per me la chimica rappresentava una nuvola indeinita di potenze future, che avvolgeva il
mio avvenire in nere volute lacerate da bagliori di fuoco, simile a quella che occultava il monte
Sinai. Come Mosè, da quella nube attendevo la mia legge, l’ordine in me, attorno a me e nel
mondo»; Zinco 767, al primo ingresso in un laboratorio chimico: «mi sentivo curioso, “genato” e
vagamente scocciato, come quando hai tredici anni e devi andare al tempio a recitare in ebraico
la preghiera del Bar-Mitzvà davanti al rabbino»; la matrice ebraica delle immagini apporta una
discreta notazione di identità. La sacralità dei luoghi della chimica dipende dall’attribuzione
soggettiva di valore che il narratore opera nei confronti di tale disciplina («chiave del Vero» per
l’adolescente, Zinco 764), una visione entusiasta che verrà meno con l’avanzare dell’esperienza. Ma
il ‘luogo sacro’ è anche un luogo separato (il sacro è sempre deinito dalla separazione rispetto al
profano), che impedisce alla notte di penetrare.
9. fare la cucina: cucinare (piemontesismo).
10. schiappini: incapaci, imbranati (voce dialettale).
11. non riuscire a cavare: calco dell’espressione di uso comune ‘non riuscire a cavare un ragno dal buco’,
debanalizzata grazie all’attribuzione di un oggetto nuovo ed originale, gli elementi e i composti
chimici. ~ solfato di magnesio dalla magnesite, bromuro di potassio dal bromo: il processo di formazione
dei due sali è in efetti molto semplice: il solfato di magnesio è già contenuto nel minerale
magnesite, da cui si ricava per estrazione; il bromuro di potassio si ottiene facendo reagire
potassio e bromo.
12. [Le due parole hanno la stessa origine, ad indicare che dalla materia siamo nati, ma la materia non è sempre 383
una madre amorosa: spesso è ostile, perché si oppone all’uomo (ed in specie al chimico) che si sforza di
PICCOLA
ANNA BALDINI
ECOLOGIA DEGLI STUDI LETTERARI
ascetica e distratta, consegnava ad ognuno di noi un grammo esatto di una certa polverina:
entro il giorno successivo bisognava completare l’analisi qualitativa, e cioè riferire quali
metalli e non-metalli c’erano contenuti. Riferire per iscritto, sotto forma di verbale, di sì
e di no, perché non erano ammessi i dubbi né le esitazioni: era ogni volta una scelta, un
deliberare; un’impresa matura e responsabile, a cui il fascismo non ci aveva preparati, e che
emanava un buon odore asciutto e pulito13.
[4] C’erano elementi facili e franchi, incapaci di nascondersi, come il ferro ed il rame; altri
insidiosi e fuggitivi, come il bismuto e il cadmio14. C’era un metodo, uno schema ponderoso
ed avito di ricerca sistematica, una specie di pettine e di rullo compressore a cui nulla (in
teoria) poteva sfuggire, ma io preferivo inventare volta per volta la mia strada, con rapide
puntate estemporanee da guerra di corsa invece dell’estenuante routine della guerra di
posizione: sublimare15 il mercurio in goccioline, trasformare il sodio in cloruro16 e ravvisarlo
in tavolette a tramoggia17 sotto il microscopio. In un modo o nell’altro, qui il rapporto con la
Materia cambiava, diventava dialettico: era una scherma, una partita a due. Due avversari
disuguali: da una parte, ad interrogare, il chimico implume, inerme, con a ianco il testo
dell’Autenrieth come solo alleato (poiché D., spesso chiamato a soccorso nei casi diicili,
manteneva una scrupolosa neutralità, e cioè riiutava di pronunciarsi: savio atteggiamento,

comprenderla e dominarla. Questo tema, della Materia intesa volta a volta come alleata, come maestra o come
nemica, ricorre in molti punti del libro]. ~ Madre nemica: la concezione della Materia di Levi ha molto in
comune con quella della Natura di Leopardi: «La materia è madre etimologicamente, ma insieme
è nemica. Lo stesso si può dire della natura» (La ragione non può andare in vacanza, intervista di G.
De Rienzo ed E. Gagliano, in «Stampa Sera», 13 maggio 1975, ora in P. Levi, Conversazioni e interviste
1963-87, a cura di M. Belpoliti, Torino, Einaudi, 1997, pp. 115-16).
13. un’impresa matura e responsabile: viene qui introdotto il tema centrale del racconto, quello della
scelta come momento necessario della maturazione dell’individuo. Politica, e antifascista, è in
sé già l’esperienza dell’operare delle scelte, che oppone il verbale di laboratorio all’educazione
asservita di un’intera generazione. L’apparizione del tema centrale viene marcata dalla sintassi
nominale e seccamente asindetica, e dalla metaforica attribuzione di una qualità sensibile (l’odore)
al concetto astratto di impresa.
14. [Alcuni elementi, quali appunto il ferro ed il rame, si possono identiicare facilmente perché dànno luogo
a colorazioni caratteristiche e vistose; altri, invece, richiedono accorgimenti più delicati: possono venire
confusi tra loro dal chimico principiante, passare inosservati, o addirittura essere «trovati» quando non ci
sono]. ~ facili e franchi... insidiosi e fuggitivi: il signiicante conferma il signiicato attraverso una
serie di igure foniche. I sintagmi facili e franchi, ferro e rame, oltre alle allitterazioni in f e r, sono
caratterizzati da assonanze delle vocali chiare a ed e; insidiosi e fuggitivi, bismuto e cadmio, oltre
a presentare degli incontri consonantici diicili (sm, dm), hanno assonanze nelle vocali scure i
ed u. L’attribuzione agli elementi chimici di qualità antropomoriche (si veda soprattutto franco,
cioè ‘onesto, schietto’) rientra in un fenomeno generale del libro e dell’opera di Levi, battezzato da
Cesare Cases «ilozoismo» (C. Cases, L’ordine delle cose e l’ordine delle parole, in Primo Levi. Un’antologia
cit., p. 12).
15. [La sublimazione è l’operazione in cui un solido volatile (ad esempio la naftalina, il iodio, la canfora) viene fatto
evaporare raccogliendo i vapori in un punto più freddo, in cui essi si ricondensano in forma solida; essa viene
spesso praticata allo scopo di puriicare la sostanza di partenza. Poiché il mercurio è liquido a temperatura
ordinaria, qui si dovrebbe parlare piuttosto di distillazione: ma le goccioline di mercurio che si formano, specie
se molto piccole, sono poco deformabili, e dànno l’impressione di essere solide].
16. trasformare il sodio in cloruro: il cloruro di sodio si ottiene facendo passare una corrente di cloro
(cioè il cloro in forma gassosa) sulla supericie del sodio, e raccogliendo i cristalli di cloruro così
formatisi.
17. tavolette a tramoggia: termine tecnico della cristallograia. Un cristallo tramoggiato «per squilibrio
384 di accrescimento presenta facce incavate a forma di piramide, con scalettature digradanti verso
l’interno» [Devoto–Oli].
COMMENTO AD UN RACCONTO DI PRIMO LEVI: FERRO
poiché chi si pronuncia può sbagliare, e un professore non deve sbagliare)18; dall’altra, a
rispondere per enigmi, la Materia con la sua passività sorniona, vecchia come il Tutto e
portentosamente ricca d’inganni, solenne e sottile come la Singe19. Incominciavo allora a
compitare il tedesco, e mi incantava il termine Urstof (che vale Elemento: letteralmente,
Sostanza primigenia) ed il preisso Ur che vi compariva, e che esprime appunto origine
antica, lontananza remota nello spazio e nel tempo.
[5] Neppure qui20, nessuno aveva speso molte parole per insegnarci a difenderci dagli
acidi, dai caustici21, dagli incendi e dalle esplosioni: sembrava che, secondo la rude morale
dell’Istituto, si contasse sull’opera della selezione naturale per eleggere fra noi i più adatti alla
sopravvivenza isica e professionale. Le cappe d’aspirazione erano poche; ognuno, secondo
le prescrizioni del testo, nel corso dell’analisi sistematica22 evaporava coscienziosamente
all’aria libera una buona dose d’acido cloridrico e d’ammoniaca, per cui nel laboratorio
ristagnava in permanenza una itta nebbia canuta di cloruro d’ammonio, che si depositava
sui vetri delle inestre in minuti cristalli scintillanti23. Nella camera dell’acido solidrico24,
dall’atmosfera mortifera, si ritiravano coppie desiderose d’intimità, e qualche isolato25 a fare
merenda.
[6] Attraverso la foschia, e nel silenzio afaccendato, si udì una voce piemontese che
diceva: «Nuntio vobis gaudium magnum. Habemus ferrum»26. Era il marzo 1939, e da pochi

18. D. è la seconda igura docente dopo il professor P. di Zinco. Entrambi i personaggi, che ci vengono
presentati nelle loro relazioni con gli allievi in laboratorio, si astengono da avvertimenti
e suggerimenti: abdicano, cioè, dal ruolo di ‘maestri’ (cfr. Zinco 765-66: «Non una parola,
pronunciata o scritta, fu da lui [P.] spesa come viatico, per incoraggiarci sulla via che avevamo
scelta, per indicarcene i pericoli e le insidie, e per trasmetterci le malizie»). Quella dei coetanei
del narratore è una generazione senza maestri (cfr. Potassio 783: «Bisognava ricominciare dal
niente, “inventare” un nostro antifascismo, crearlo dal germe»; Oro 851: «Uscirono dall’ombra
uomini che il fascismo non aveva piegati [...] e riconoscemmo in loro i nostri maestri, quelli di
cui avevamo cercato inutilmente ino allora la dottrina»); i ‘padri’ della generazione precedente
hanno sospeso il giudizio, in un’epoché che potesse salvaguardarli dalla compromissione con il
fascismo, ma che non può più bastare. Chi si pronuncia può sbagliare, ma il racconto illustra invece
come la maturazione dell’individuo non possa andare esente dall’assunzione di responsabilità e
dalla capacità di prendere decisioni, anche a rischio di errore.
19. passività sorniona... solenne e sottile... singe: allitterazioni che impreziosiscono fonicamente
l’immagine mitologica della Materia.
20. Neppure qui: a diferenza dell’inizio del § 3 (Qui no), il deittico segnala una continuità nel percorso
di formazione dell’Istituto Chimico.
21. acidi... caustici: alcuni acidi possono essere corrosivi, così come alcune basi (caustico è aggettivo
speciico per le sostanze basiche).
22. analisi sistematica: metodo manuale di analisi di un minerale o di un composto chimico.
23. una itta nebbia canuta… in minuti cristalli scintillanti: il sale del cloruro d’ammonio è formato
dall’unione di due gas, acido cloridrico ed ammonio (che si forma nelle soluzioni acquose di
ammoniaca). Le microparticelle in sospensione dei due gas formano un fumo bianco (nebbia
canuta), e si depositano sui vetri delle inestre, addensandosi in cristalli visibili.
24. [L’acido solidrico, o più propriamente idrogeno solforato, veniva usato in analisi qualitativa per separare
sotto forma di solfuri determinati metalli. Essendo assai tossico, oggi si preferisce sostituirlo con reattivi più
complessi ma meno pericolosi].
25. isolato: annuncio della parola tematica dei paragrai successivi (cfr. l’inizio dei §§ 7 e 8).
26. si udì: è insolito quest’uso di un verbo al passato remoto dopo una narrazione all’imperfetto,
senza una determinazione temporale che indichi il passaggio ad un evento puntuale (che segue,
invece di precedere). L’inversione logica che spiazza il lettore è funzionale all’ingresso in scena del 385
personaggio principale del racconto.
PICCOLA
ANNA BALDINI
ECOLOGIA DEGLI STUDI LETTERARI
giorni, con quasi identico solenne annuncio («Habemus Papam») si era sciolto il conclave
che aveva innalzato al Soglio di Pietro il Cardinale Eugenio Pacelli, in cui molti speravano,
poiché in qualcosa o qualcuno bisogna pure sperare27. Chi aveva pronunciato il sacrilegio era
Sandro, il taciturno28.
[7] In mezzo a noi, Sandro era un isolato. Era un ragazzo di statura media, magro ma
muscoloso, che neanche nei giorni più freddi portava il cappello. Veniva a lezione con logori
calzoni di velluto alla zuava, calzettoni di lana greggia, e talvolta una mantellina nera che
mi faceva pensare a Renato Fucini29. Aveva grandi mani callose, un proilo ossuto e scabro, il
viso cotto dal sole, la fronte bassa sotto la linea dei capelli, che portava cortissimi e tagliati a
spazzola: camminava col passo lungo e lento del contadino30.
[8] Da pochi mesi erano state proclamate le leggi razziali, e stavo diventando un isolato
anch’io31. I compagni cristiani erano gente civile, nessuno fra loro né fra i professori mi

27. in qualcosa o in qualcuno: ironia del narratore: le speranze riposte in Pio XII (che scongiurasse
la guerra, o che potesse far sì che fosse risparmiata all’Italia, o ancora che, una volta la guerra
scatenata, proteggesse le vittime dello sterminio, tragedia nella tragedia) si rivelarono ben poco
fondate.
28. il taciturno: la frase ha una valenza ossimorica: il primo epiteto di Sandro, che identiica uno dei
dati fondamentali del suo carattere, contrasta con la modalità del suo ingresso in scena, come voce
anonima e sacrilega. La frase che pronuncia in questo paragrafo è una delle sue poche (tre in tutto)
riportate in discorso diretto, ed annuncia un altro dei caratteri del personaggio: la sua capacità di
esercitare attraverso il sarcasmo una critica nei confronti di ogni parola che si arroghi un’autorità
non veriicabile. Il contrasto tra latino ed accento marcatamente regionale («una voce piemontese»)
incrementa la presa di distanza ironica.
29. Renato Fucini: scrittore toscano (Monterotondo, Massa Marittima 1843 - Empoli 1921), autore di
sonetti in vernacolo pisano ma noto soprattutto per novelle e bozzetti campagnoli (Le veglie di Neri,
1884). Levi ha probabilmente in mente un ritratto in cui Fucini compare abbigliato in quel modo,
ma non ho trovato la fonte di una simile immagine. Nel volume I macchiaioli di Renato Fucini (a
cura di Elisabetta Matucci e Paola Barbadori Lande, Firenze, Pananti, 1985) sono comprese alcune
fotograie dello scrittore in tenuta da campagna: Fucini indossa, come Sandro, calzettoni in lana
e pantaloni alla zuava, ma della mantellina nessuna traccia.
30. La descrizione del personaggio di Sandro comincia dall’aspetto isico: abiti e corpo. L’abbigliamento
fornisce segnali dell’origine sociale povera e non cittadina di Sandro (dettagliata nel § 10):
calzoni logori, lana greggia; il corpo di Sandro è un corpo abituato alla vita all’aria aperta ed al
lavoro manuale: mani callose, viso cotto dal sole; il suo passo è quello del contadino. La diversità
dell’appartenenza sociale di Sandro è un dato della costruzione letteraria del personaggio, e non
della realtà biograica di Alessandro Delmastro, la cui famiglia faceva parte della Torino-bene (vedi
§ 26 e nota 103); cfr. Thomson, Primo Levi cit., p. 93; il biografo segnala che dopo la pubblicazione di
Il sistema periodico i parenti di Delmastro levarono rimostranze contro Levi, che aveva abbassato il
livello sociale della loro famiglia: cfr. p. 377. Lo scarto tra realtà e opera letteraria è inalizzato alla
costruzione di una speciica struttura di personaggi, che prevede l’attrazione dell’io narrante per
personaggi a lui socialmente lontani; era già successo nel racconto precedente con Rita, «iglia di
un negoziante povero e malato», che «aveva lavorato, in da bambina» (770).
31. un isolato anch’io: l’origine dell’attrazione del narratore per personaggi di ceto sociale inferiore
al suo è la ricerca di persone che condividano la sua condizione di isolamento, per l’uno dovuta
alle leggi di segregazione razziale, per gli altri all’estraneità sociale all’ambiente universitario,
privilegio della classe borghese, mezzo di promozione sociale di diicile accesso per le classi
popolari. Cfr. N. Ginzburg, Fra guerra e razzismo, «Corriere della Sera», 25 maggio 1975, ora in
Primo Levi. Un’antologia cit., p. 335: «gli emarginati, quando cercano i propri compagni, li cercano
simili a sé. Le cause dell’emarginazione possono essere molte: la povertà, la timidezza, le origini
contadine in un mondo di borghesi, una innata tendenza alla solitudine; perciò il ragazzo ebreo,
386 pur nella cecità e nel fuoco dell’adolescenza, opera le sue scelte con una strana discriminazione,
fatta di istinto e di calcolo».
COMMENTO AD UN RACCONTO DI PRIMO LEVI: FERRO
aveva indirizzato una parola o un gesto nemico, ma li sentivo allontanarsi, e, seguendo un
comportamento antico32, anch’io me ne allontanavo: ogni sguardo scambiato fra me e loro
era accompagnato da un lampo minuscolo, ma percettibile, di diidenza e di sospetto. Che
pensi tu di me? Che cosa sono io per te? Lo stesso di sei mesi addietro, un tuo pari che non va
a messa, o il giudeo che «di voi tra voi non rida»33?
[9] Avevo osservato, con stupore e gioia, che tra Sandro e me qualcosa stava nascendo.
Non era afatto l’amicizia tra due aini: al contrario, la diversità delle origini ci rendeva
ricchi di “merci” da scambiare, come due mercanti che si incontrino provenendo da
contrade remote e mutuamente34 sconosciute. Non era neppure la normale, portentosa35
conidenza dei vent’anni: a questa, con Sandro, non giunsi mai. Mi accorsi presto che era
generoso, sottile, tenace e coraggioso36, perino con una punta di spavalderia, ma possedeva
una qualità elusiva e selvatica per cui, benché fossimo nell’età in cui si ha il bisogno, l’istinto
e l’impudicizia di inliggersi a vicenda tutto quanto brulica nella testa e altrove (ed è un’età
che può durare a lungo, ma termina col primo compromesso37), niente era trapelato fuori dal
suo involucro di ritegno, niente del suo mondo interiore, che pure si sentiva folto e fertile,
se non qualche rara allusione drammaticamente tronca. Era fatto come i gatti38, con cui si
convive per decenni senza che mai vi consentano di penetrare nella loro sacra pelle.

32. [È il comportamento tipico di chi sa o sente di fare parte di una minoranza. Quasi costantemente, gli
appartenenti alle minoranze vengono deiniti e dichiarati inferiori, e quindi disprezzati ed evitati; altrettanto
costantemente, essi reagiscono evitando i contatti con chi appartiene alla maggioranza. È questo uno dei
motivi per cui, anche se la segregazione non viene imposta, le minoranze tendono a chiudersi spontaneamente
in “ghetti”, ed a sviluppare ostilità verso la cultura e i modi di vita della maggioranza]. Cfr. Argon 742-43 sui
propri antenati: «Non furono mai molto amati né molto odiati; non sono state tramandate notizie
di loro notevoli persecuzioni; tuttavia, una parete di sospetto, di indeinita ostilità, di irrisione,
deve averli tenuti sostanzialmente separati dal resto della popolazione ino a parecchi decenni
dopo l’emancipazione del 1848 [...] Come sempre avviene, il riiuto era reciproco: da parte della
minoranza, una barriera simmetrica era stata eretta contro l’intera cristianità».
33. [È una citazione dal Paradiso di Dante (V, 81)]: «Uomini siate, e non pecore matte, / sì che ’l Giudeo di
voi tra voi non rida!»: «l’ebreo, che ha solo l’Antico Testamento, ma lo segue scrupolosamente alla
lettera, non debba farsi befe di voi, che così facilmente fate e disfate i vostri voti» (parafrasi di
A.M. Chiavacci Leonardi in Divina Commedia. Paradiso, Milano, Mondadori, 1997). L’allargamento
della citazione chiarisce che il riferimento non è casuale. Dante sta contrapponendo il rigore
morale del giudaismo al lassismo dei cristiani: la citazione è coerente con il tema della paradossale
convivenza, nel discriminato, di senso di inferiorità e di superiorità (viceversa nel discriminante:
la igura del Giudeo nelle parole di Dante assume quasi una funzione superegotica).
34. [A ciascuno sono sconosciute le contrade dell’altro].
35. normale, portentosa: ossimoro. Ciò che è normale a vent’anni, assume un aspetto portentoso in altre
età della vita.
36. generoso, sottile, tenace e coraggioso: catena aggettivale funzionalizzata ad una descrizione analitica
del carattere di Sandro, che l’omoteleuto -oso isola e risalta (le catene aggettivali di Levi sono
frequentemente accompagnate da igure di suono o di ritmo: cfr. Mengaldo, Lingua e scrittura in
Levi cit., p. 180).
37. [La conidenza, anzi l’«impudicizia» a cui si accenna qui, termina al primo compromesso che ognuno compie
con la propria coscienza, cioè con il primo atto di cui si deve vergognare].
38. È la prima delle similitudini che paragonano Sandro ad esseri ed elementi della natura (cfr. § 10
«imbestiarsi come uno stregone»; § 14 «sembrava fatto di ferro»; § 18 «itinerari che sembrava intuire
come un selvaggio»; § 19 «come le marmotte»). Anche l’aggettivazione che descrive il mondo interiore
di Sandro rimanda alla sfera naturale: qualità elusiva e selvatica, mondo interiore... folto e fertile, quasi
che Sandro fosse un essere più appartenente a quel mondo che a quello degli uomini. La pelle del
gatto è deinita sacra per il già segnalato carattere di separatezza del sacro rispetto al profano, ma 387
anche come memoria della natura divina dell’animale presso gli antichi Egizi.
PICCOLA
ANNA BALDINI
ECOLOGIA DEGLI STUDI LETTERARI
[10] Avevamo molto da cederci a vicenda. Gli dissi che eravamo come un catione e un
anione39, ma Sandro non mostrò di recepire la similitudine. Era nato sulla Serra d’Ivrea,
terra bella ed avara40: era iglio di un muratore, e passava le estati a fare il pastore. Non il
pastore d’anime: il pastore di pecore, e non per retorica arcadica né per stramberia, ma
con felicità, per amore della terra e dell’erba, e per abbondanza di cuore41. Aveva un curioso
talento mimico, e quando parlava di mucche, di galline, di pecore e di cani, si trasigurava,
ne imitava lo sguardo, le movenze e le voci, diventava allegro e sembrava imbestiarsi come
uno stregone. Mi insegnava di piante e di bestie, ma della sua famiglia parlava poco. Il padre
era morto quando lui era bambino, erano gente semplice e povera, e poiché il ragazzo era
sveglio, avevano deciso di farlo studiare perché portasse soldi a casa: lui aveva accettato con
serietà piemontese, ma senza entusiasmo. Aveva percorso il lungo itinerario del ginnasio-
liceo tirando al massimo risultato col minimo sforzo: non gli importava di Catullo e di
Cartesio, gli importava la promozione, e la domenica sugli sci o su roccia. Aveva scelto
chimica poiché gli era sembrata meglio che un altro studio: era un mestiere di cose che si
vedono e si toccano42, un guadagnapane meno faticoso che fare il falegname o il contadino43.
[11] Incominciammo a studiare isica insieme, e Sandro fu stupito quando cercai
di spiegargli alcune delle idee che a quel tempo confusamente coltivavo. Che la nobiltà
dell’Uomo, acquisita in cento secoli di prove e di errori, era consistita nel farsi signore della
materia, e che io mi ero iscritto a Chimica perché a questa nobiltà mi volevo mantenere
fedele. Che vincere la materia è comprenderla, e comprendere la materia è necessario per
comprendere l’universo e noi stessi44: e che quindi il Sistema Periodico di Mendeleev, che

39. [Molti sali, se disciolti in acqua, si scindono spontaneamente in frammenti elettricamente carichi, detti
ioni. Di questi, si chiamano cationi quelli con carica positiva, anioni quelli con carica negativa: cationi ed
anioni sono dunque tra loro complementari. Di qui la similitudine tentata dall’autore]. La similitudine
poco apprezzata da Sandro deinisce perfettamente il legame tipico che si instaura nel libro tra
il narratore e diversi personaggi con i quali viene a formare una coppia oppositiva, e dai quali
è attratto poiché possiedono le qualità di cui si dichiara sprovvisto. Prima di Sandro questa
relazione tipica si era presentata con Enrico, il compagno di scuola di Idrogeno, e Levi deinirà
«simbiosi» questo tipo di rapporto con il compagno di Lager Alberto (Cerio). L’ultimo «simbionte»
sarà Emilio, socio nell’avventura della libera impresa (Arsenico, Azoto, Stagno). L’opposizione con i
caratteri di questi personaggi disegna nel corso del libro una serie di autoritratti in negativo.
40. Serra... avara: l’incipit della storia di Sandro è marcato da una serie di igure foniche (allitterazioni
in r, assonanze in e/a, la rima Serra : terra).
41. [Ricchezza, esuberanza del sentimento di comunione con la natura].
42. cose che si vedono e si toccano: tatto e vista come segnali di matericità e concretezza sono gli attributi
della chimica in dalla sua comparsa nel libro: cfr. Idrogeno 761: «Il nostro scopo era quello di vedere
coi nostri occhi, di provocare con le nostre mani, almeno uno dei fenomeni che si trovavano descritti
con tanta disinvoltura sul nostro testo di chimica» (corsivo mio), e P. Levi, T. Regge, Dialogo, a cura
di E. Ferrero, Torino, Einaudi, 1987 [1984], p. 62: «l’analisi manuale, come tutti i lavori manuali, ha
valore formativo, è troppo simile alle nostre origini di mammiferi per essere trascurata. Dobbiamo
pur sapere usare le nostre mani, i nostri occhi, il nostro naso [...] In questo il mestiere di chimico ti
integra nella tua funzione di persona completa, che non trascura nessuna delle sue facoltà possibili».
43. Il padre era morto... contadino: la costruzione del racconto della storia di Sandro intreccia alla sintassi
sostenuta, propria della lingua del narratore, tracce di un registro diverso, orale e quotidiano, eco
dei discorsi dei familiari di Sandro e di Sandro stesso, quasi a mimare, con l’incastro di questi
frammenti in un discorso diverso, il carattere franto del racconto di sé del personaggio. Si vedano,
come marche di un registro più basso ed orale, le espressioni portar soldi a casa, meglio invece che
migliore, studio, guadagnapane.
44. Il materialismo di Primo Levi, qui espresso in forma epistemologica, nasce come opposizione
388 all’idealismo del liceo gentiliano e fascista: «Era snervante, nauseante, ascoltare discorsi sul
COMMENTO AD UN RACCONTO DI PRIMO LEVI: FERRO
proprio in quelle settimane imparavamo laboriosamente a dipanare, era una poesia, più alta
e solenne di tutte le poesie digerite in liceo: a pensarci bene, aveva perino le rime45! Che,
se cercava il ponte, l’anello mancante, fra il mondo delle carte e il mondo delle cose46, non
doveva cercare lontano: era lì, nell’Autenrieth, in quei nostri laboratori fumosi, e nel nostro
futuro mestiere.
[12] E inine, e fondamentalmente: lui, ragazzo onesto ed aperto, non sentiva il puzzo
delle verità fasciste che ammorbava il cielo, non percepiva come un’ignominia che ad un
uomo pensante venisse richiesto di credere47 senza pensare? Non provava ribrezzo per tutti
i dogmi, per tutte le afermazioni non dimostrate, per tutti gli imperativi? Lo provava: ed
allora, come poteva non sentire nel nostro studio una dignità e una maestà nuove, come
poteva ignorare che la chimica e la isica di cui ci nutrivamo, oltre che alimenti di per sé
vitali, erano l’antidoto al fascismo che lui ed io cercavamo, perché erano chiare e distinte e
ad ogni passo veriicabili, e non tessuti di menzogne e di vanità, come la radio e i giornali48?

problema dell’essere e del conoscere, quando tutto intorno a noi era mistero che premeva per
svelarsi: il legno vetusto dei bachi, la sfera del sole di là dai vetri e dai tetti, il volo vano dei
pappi nell’aria di giugno. Ecco: tutti i ilosoi e tutti gli esercizi del mondo sarebbero stati capaci
di costruire questo moscerino? No, e neppure di comprenderlo: questa era una vergogna e un
abominio, bisognava trovare un’altra strada» (Idrogeno 758-59). L’opposta Weltanschauung salda
l’opposizione ilosoica ai primi rudimenti di quella politica.
45. [La tabella del Sistema Periodico, quale viene normalmente rappresentata, contiene alla ine di ogni riga
elementi di comportamento aine, che quindi “rimano tra loro”. Naturalmente si tratta di un’immagine
sforzata, frutto dell’entusiasmo giovanile dell’autore]. Le parole del narratore a Sandro gettano luce
sul titolo e sull’intenzione profonda di Il sistema periodico: la letteratura (la «poesia») ha un ruolo
conoscitivo, serve a comprendere «l’universo e noi stessi» così come la tabella di Mendeleev; lo
Stof ordinato nelle caselle (cioè nei racconti) del libro è la propria vita, della quale viene ricercato
l’ordine (le rime) sotteso. Nella nota, Levi deinisce la metafora che unisce sistema periodico e
poesia un’«immagine sforzata, frutto dell’entusiasmo giovanile»: la forzatura è da riferire al
valore soggettivo attribuito alla chimica. Efettivamente, la dignità ed il prestigio del proprio
mestiere subiscono nel corso del libro una progressiva riduzione; le similitudini epiche ed
agonistiche (guerra, caccia, scherma) lasciano sempre più spazio all’irruzione di elementi
materici e stilisticamente bassi, che però, oltre al disincanto, consentono anche l’ingresso al
comico e all’ironia. Si vedano Potassio 791: «la mia chimica impastata di puzze, scoppi e piccoli
misteri futili» e Azoto 895-96: «l’idea di ricavare un cosmetico da un escremento, ossia aurum de
stercore, mi divertiva e mi riscaldava il cuore [...] Era un’avventura inedita e allegra, e inoltre
nobile, perché nobilitava, restaurava e ristabiliva».
46. il mondo delle carte e il mondo delle cose: Leitmotiv della prima parte di Il sistema periodico, la spaccatura
tra realtà e mondo delle idee esprime lo stato della cultura italiana sotto il fascismo, prima che
il «mondo delle cose» infranga quell’illusione di separatezza, irrompendo violentemente nella
vita collettiva con la guerra e la guerra civile. Nell’immediato dopoguerra, un processo uguale
e contrario porterà il neorealismo ad illudersi di poter giungere ad un’abolizione completa del
diaframma tra letteratura e realtà.
47. [Si allude ad uno degli slogan più difusi del fascismo: «Credere, obbedire, combattere»].
48. I §§ 11 e 12 contengono un lungo discorso riportato dell’erzählte Ich, una vera e propria arringa
politico-civile. Lo stile e la tipologia oratoria risultano alieni al linguaggio del narratore ma
coerenti con la caratterizzazione psicologica del personaggio, ingenuamente ed enfaticamente
retorico. Il discorso è caratterizzato da iperboli (cento secoli di prove e di errori, la frase fatta puzza
che ammorba l’aria iperbolicamente trasformata in puzza che ammorba il cielo) e maiuscole enfatiche
(l’Uomo); anafore in serie ternarie (non sentiva non percepiva non provava ribrezzo; per tutti per
tutte per tutti); domande retoriche legate in anadiplosi alle risposte (non provava? Lo provava). Le
chiuse di entrambi i paragrai sono accuratamente costruite: il § 11 si chiude con l’anafora di in
(nell’Autenrieth, in quei nostri..., e nel nostro...) in climax ascendente; il § 12 si chiude con il polisindeto 389
chiare e distinte e ad ogni passo veriicabili (memore del petrarchesco chiare e fresche et dolci acque?
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ANNA BALDINI
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[13] Sandro mi ascoltava, con attenzione ironica, sempre pronto a smontarmi con due
parole garbate e asciutte quando sconinavo nella retorica: ma qualcosa maturava49 in lui
(non certo solo per merito mio: erano mesi pieni di eventi fatali), qualcosa che lo turbava
perché era insieme nuovo ed antico50. Lui, che ino ad allora non aveva letto che Salgari,
London e Kipling51, divenne di colpo un lettore furioso: digeriva e ricordava tutto, e tutto in
lui si ordinava spontaneamente in un sistema di vita52; insieme, cominciò a studiare, e la
sua media balzò dal 21 al 29. Nello stesso tempo, per inconscia gratitudine, e forse anche per
desiderio di rivalsa, prese a sua volta ad occuparsi della mia educazione, e mi fece intendere
che era mancante. Potevo anche aver ragione: poteva essere la Materia la nostra maestra,
e magari anche, in mancanza di meglio, la nostra scuola politica; ma lui aveva un’altra
materia a cui condurmi, un’altra educatrice: non le polverine di Qualitativa, ma quella vera,
l’autentica Urstof senza tempo, la pietra e il ghiaccio delle montagne vicine. Mi dimostrò
senza fatica che non avevo le carte in regola per parlare di materia. Quale commercio53, quale
conidenza avevo io avuto, ino allora, coi quattro elementi di Empedocle54? Sapevo accendere
una stufa? Guadare un torrente? Conoscevo la tormenta in quota? Il germogliare dei semi?
No, e dunque anche lui aveva qualcosa di vitale da insegnarmi55.

Tali frammenti scolastici decontestualizzati non sono infrequenti in Levi), in variatio con la e
seguente, più oppositiva che congiuntiva.
49. maturava... educazione... maestra... scuola... educatrice: le parole chiave del paragrafo deiniscono il
fuoco del racconto: le Bildungen complementari, quella politica di Sandro e quella dell’io narrante
al ‘mondo delle cose’.
50. nuovo ed antico: ossimoro. Nuovo è per Sandro l’antifascismo, come per tutti i giovani della sua
generazione cresciuti sotto il fascismo, ed insieme antico, poiché a far di Sandro un oppositore
del fascismo sono valori come la concretezza o l’antiretorica, che già gli appartengono, sia per
carattere che per tradizione familiare e di ceto.
51. Salgari, London e Kipling: non sono solo autori di libri di avventura, ma narratori del rapporto
della civiltà con il selvaggio (soprattutto i due scrittori di lingua inglese). Molto amati anche da
Primo Levi, si addicono particolarmente ad un personaggio che si caratterizza per il suo rapporto
privilegiato con il mondo non umano.
52. tutto in lui si ordinava spontaneamente in un sistema di vita: anche in campo politico-intellettuale
Sandro si dimostra superiore all’io narrante, delle cui idee si dice che sono ancora confusamente
coltivate. La naturale eccellenza di Sandro in ogni campo ne fa un eroe di stampo epico.
53. commercio: rapporto, frequentazione. Il termine desueto è subito chiarito da un sinonimo di uso
corrente.
54. Sono il fuoco, l’aria, l’acqua e la terra, accettati anche da Aristotele come fondamenti della materia. Ad essi si
allude nelle quattro domande che seguono [Levi].
55. mi fece intendere ... insegnarmi: comparato al pezzo di bravura dei §§ 11 e 12, il discorso riportato di
Sandro si caratterizza per una notevole sempliicazione sintattica e retorica. La igura più frequente
è la reiterazione, inalizzata ad una maggior chiarezza, come nel inale ove all’espressione
igurata ed astratta i quattro elementi di Empedocle fa seguito una chiariicazione concretizzante.
Il medesimo passaggio dall’astratto al concreto viene proposto al narratore da Sandro come sida
a passare dalle polverine di Qualitativa alla pietra e al ghiaccio, cioè dalla fascinazione meramente
intellettuale per l’Ur alla sua conoscenza reale. Lo scarto tra i due personaggi, che fa sì che Sandro
abbia qualcosa di vitale da insegnare al narratore, deriva dalla naturale superiorità del non-borghese
rispetto al(l’intellettuale) borghese in ciò che concerne il mondo nella sua matericità, ma il dato
realistico si fa simbolo dell’inadeguatezza dell’approccio meramente intellettuale alla realtà. Cfr.
Idrogeno 759-60: «era invece un altro imbarazzo, più profondo ed essenziale: un imbarazzo legato
ad un’antica atroia, nostra, delle nostre famiglie, della nostra casta. Cosa sapevamo fare con le
nostre mani? Niente, o quasi. Le donne sì: le nostre madri e nonne avevano mani vive e agili,
sapevano cucire e cucinare, alcune anche suonare il piano, dipingere con gli acquarelli, ricamare,
390 intrecciarsi i capelli, ma noi, e i nostri padri? Le nostre mani erano rozze e deboli ad un tempo,
COMMENTO AD UN RACCONTO DI PRIMO LEVI: FERRO
[14] Nacque un sodalizio, ed incominciò per me una stagione frenetica. Sandro sembrava
fatto di ferro, ed era legato al ferro da una parentela antica: i padri dei suoi padri56, mi raccontò,
erano stati calderai (“magnìn”) e fabbri (“fré”) delle valli canavesane, fabbricavano chiodi
sulla sforgia57 a carbone, cerchiavano le ruote dei carri col cerchione rovente58, battevano la
lastra ino a che diventavano sordi59: e lui stesso, quando ravvisava nella roccia la vena rossa
del ferro, gli60 pareva di ritrovare un amico. D’inverno, quando gli attaccava secco61, legava
gli sci alla bicicletta rugginosa, partiva di buonora, e pedalava ino alla neve, senza soldi,
con un carciofo in tasca e l’altra piena d’insalata: tornava poi a sera, o anche il giorno dopo,
dormendo nei ienili, e più tormenta e fame aveva patito, più era contento e meglio stava di
salute.
[15] D’estate, quando partiva da solo, sovente si portava dietro il cane, che gli tenesse
compagnia62. Era un bastardetto giallo dall’aspetto umiliato: infatti, come Sandro mi aveva
raccontato, mimando alla sua maniera l’episodio animalesco, aveva avuto da cucciolo un
infortunio con una gatta. Si era avvicinato troppo alla igliata dei gattini appena nati, la
gatta si era impermalita, aveva cominciato a soiare e si era goniata tutta: ma il cucciolo
non aveva ancora imparato il signiicato di questi segnali, ed era rimasto lì come uno
sciocco. La gatta lo aveva aggredito, inseguito, raggiunto e graiato sul naso63: il cane ne
aveva riportato un trauma permanente. Si sentiva disonorato, e allora Sandro gli aveva
costruito una pallottola di pezza, gli aveva spiegato che era un gatto, ed ogni mattino glielo
presentava perché si vendicasse su di esso dell’afronto e restaurasse il suo onore canino. Per
lo stesso motivo terapeutico Sandro lo portava in montagna, perché si svagasse: lo legava
a un capo della corda, legava se stesso all’altro, metteva il cane bene accucciato su di un

regredite, insensibili: la parte meno educata dei nostri corpi. Compiute le prime fondamentali
esperienze del gioco, avevano imparato a scrivere e null’altro. [...] ignoravano il peso solenne e
bilanciato del martello, la forza concentrata delle lame, troppo prudentemente proibite, la tessitura
sapiente del legno, la cedevolezza simile e diversa del ferro, del piombo e del rame. Se l’uomo è
arteice, non eravamo uomini: lo sapevamo e ne sofrivamo» (corsivi miei). Si notino gli aggettivi
riferiti agli strumenti del lavoro manuale, indicativi del suo portato culturale e intellettuale.
56. padri dei suoi padri: in opposizione ai «nostri padri» dalle mani ineducate di Idrogeno.
57. [È un termine dialettale per «forgia»: un apparecchio in cui la combustione del carbone viene alimentata da
mantici. Sul carbone incandescente si pone il ferro da lavorare].
58. [Le ruote dei carri erano di legno. Per serrare i raggi contro il mozzo, intorno al cerchione di legno veniva
forzato un cerchione di ferro previamente arroventato, che si contraeva poi col rafreddamento].
59. fabbricavano... cerchiavano... battevano: struttura ternaria di andamento epico. ~ battevano la lastra:
di rame. Levi spiega in dettaglio il lavoro del magnino nel capitolo Batter la lastra di La chiave a
stella, quando il protagonista Faussone si soferma a raccontare il suo rapporto con il padre, che
tale era stato: «Al mio paese, perché anch’io sono nato lì in tempo di guerra, era tutto un gran
battere; più che tutto, facevano paioli da cucina, grossi e piccoli, stagnati dentro, perché appunto
magnino vuol dire stagnino, uno che fa le pentole e poi ci passa lo stagno [...] Lei sa che il rame
a batterlo si incrudisce [...] il lavoro del magnino consiste in un’alternanza di scaldare e battere,
battere e scaldare» (La chiave a stella in Opere cit., vol. I, pp. 1012-13). Questo bellissimo capitolo di
La chiave a stella condivide con Ferro un tema fondamentale: quello della possibile (o impossibile)
sopravvivenza nella memoria degli esseri amati scomparsi.
60. lui... gli: dislocazione tipica dell’italiano parlato, mantenuta in funzione di eco della parola di
Sandro.
61. Attaccare secco: prendere la voglia, il capriccio.
62. Nel racconto viene ora inserita una favola completa di morale, in coerenza con l’amore, l’attenzione
e la disponibilità di Sandro a parlare di animali.
63. aggredito, inseguito, raggiunto e graiato: l’enumerazione asindetica dei verbi rende il ritmo frenetico 391
della scena, mentre le diferenze semantiche la mettono a fuoco con precisione.
PICCOLA
ANNA BALDINI
ECOLOGIA DEGLI STUDI LETTERARI
terrazzino, e poi saliva; quando la corda era inita, lo tirava su gentilmente, e il cane aveva
imparato, e camminava a muso in su con le quattro zampe contro la parete quasi verticale,
uggiolando sottovoce come se sognasse64.
[16] Sandro andava su roccia più d’istinto che con tecnica, idando nella forza delle mani,
e salutando ironico, nell’appiglio a cui si aferrava, il silicio, il calcio e il magnesio che aveva
imparati65 a riconoscere al corso di mineralogia. Gli pareva di aver perso giornata se non
aveva dato fondo in qualche modo alle sue riserve di energia, ed allora era anche più vivace
il suo sguardo: e mi spiegò che, facendo vita sedentaria, si forma un deposito di grasso dietro
agli occhi, che non è sano; faticando, il grasso si consuma, gli occhi arretrano in fondo alle
occhiaie, e diventano più acuti66.
[17] Delle sue imprese parlava con estrema avarizia. Non era della razza di quelli che
fanno le cose per poterle raccontare (come me): non amava le parole grosse, anzi, le parole.
Sembrava che anche a parlare, come ad arrampicare, nessuno gli avesse insegnato67; parlava
come nessuno parla, diceva solo il nocciolo delle cose.
[18] Portava all’occorrenza trenta chili di sacco, ma di solito andava senza68: gli bastavano
le tasche, con dentro verdura, come ho detto, un pezzo di pane, un coltellino, qualche volta
la guida del Cai69, tutta sbertucciata70, e sempre una matassa di ilo di ferro per le riparazioni
di emergenza. La guida, poi, non la portava perché ci credesse: anzi, per la ragione opposta.
La riiutava perché la sentiva come un vincolo; non solo, ma come una creatura bastarda, un
ibrido detestabile di neve e roccia con carta. La portava in montagna per vilipenderla, felice
se poteva coglierla in difetto, magari a spese sue e dei compagni di salita71. Poteva camminare

64. L’avventura del cane di Sandro è un apologo di formazione parallelo alla vicenda del narratore.
Anche l’io narrante, ebreo umiliato dalle leggi razziali, viene invitato da Sandro a seguirlo in
montagna, ed in questa sida si può intravedere un motivo terapeutico: lì può infatti riacquistare
la misura della propria dignità attraverso la misura delle proprie forze. Ma l’apologo vale
più in generale per un’intera generazione intellettuale, nella quale comincia a germinare la
consapevolezza della propria dignità umiliata dal dogma fascista, negatore del pensiero critico.
Cfr. l’intervista di Alberto Papuzzi L’alpinismo? È la libertà di sbagliare, «Rivista della montagna», 61,
marzo 1984, ora in Primo Levi, Conversazioni e interviste cit., p. 28: «andare ad arrampicare [...] era
una forma assurda di ribellione. [...] Tu, fascista, mi discrimini, mi isoli, dici che sono uno che
vale di meno, inferiore, unterer: ebbene, io ti dimostro che non è così».
65. L’accordo in genere e numero del participio passato al sostantivo che lo precede è uno degli
elementi della «forte patinatura letteraria, se non aulica, della lingua di Levi» (Mengaldo, Lingua e
scrittura in Levi cit., p. 176); cfr. anche «Ci eravamo tolte le scarpe» (§ 24).
66. Il paragrafo si apre e si chiude con una focalizzazione sulle mani e sugli occhi di Sandro (cfr. la n.
45 su tatto e vista come attributi della chimica in quanto disciplina materica e concreta). La forza
delle mani è un ulteriore attributo contrastivo di Sandro, in opposizione alle mani deboli e ineducate
del narratore borghese.
67. nessuno gli avesse insegnato: ritorna il tema della generazione senza maestri, costretta a farsi
maestra di se stessa. La caratterizzazione tutta in negativo di Sandro (non era... non amava... nessuno)
sembra riecheggiare le parole di Montale: «Questo solo oggi possiamo dirvi / ciò che non siamo, ciò
che non vogliamo».
68. Inizia una descrizione delle ‘imprese’ di Sandro dai toni epici, volta a deinirne l’eccezionalità in
rapporto agli altri esseri umani grazie ad una serie di opposizioni (ma), che mettono a fuoco la sua
capacità di operare scelte autonome ed anticonformiste.
69. [«Cai» è la sigla del Club Alpino Italiano].
70. sbertucciata: malconcia, gualcita.
71. Come l’io narrante, che nel § 4 si descrive insoferente dello «schema [...] avito», tramandato dalla
392 tradizione, dell’analisi qualitativa, e preferisce inventare una strada propria, così per Sandro la
guida è detestabile non solo in quanto ibrido di carta e realtà, ma soprattutto perché è un vincolo
COMMENTO AD UN RACCONTO DI PRIMO LEVI: FERRO
due giorni senza mangiare, o mangiare insieme tre pasti e poi partire. Per lui, tutte le stagioni
erano buone. D’inverno a sciare, ma non nelle stazioni attrezzate e mondane, che lui fuggiva
con scherno laconico: troppo poveri per comperarci le pelli di foca per le salite72, mi aveva
mostrato come si cuciono i teli di canapa ruvida, strumenti spartani che assorbono l’acqua
e poi gelano come merluzzi, e in discesa bisogna legarseli intorno alla vita. Mi trascinava in
estenuanti cavalcate nella neve fresca, lontano da ogni traccia umana, seguendo itinerari
che sembrava intuire come un selvaggio. D’estate, di rifugio in rifugio, ad ubriacarci di sole,
di fatica e di vento, ed a limarci la pelle dei polpastrelli su roccia mai prima toccata da mano
d’uomo73: ma non sulle cime famose né alla ricerca dell’impresa memorabile; di questo non
gli importava proprio niente. Gli importava conoscere i suoi limiti, misurarsi e migliorarsi;
più oscuramente, sentiva il bisogno di prepararsi (e di prepararmi) per un avvenire di ferro,
di mese in mese più vicino.
[19] Vedere Sandro in montagna riconciliava col mondo, e faceva dimenticare l’incubo che
gravava sull’Europa74. Era il suo luogo, quello per cui era fatto, come le marmotte di cui imitava
il ischio e il grifo75: in montagna diventava felice, di una felicità silenziosa e contagiosa, come
una luce che si accende. Suscitava in me una comunione nuova con la terra e il cielo, in cui
conluivano il mio bisogno di libertà, la pienezza delle forze, e la fame di capire le cose che mi
avevano spinto alla chimica. Uscivamo all’aurora, stroinandoci gli occhi, dalla portina del
bivacco Martinotti76, ed ecco tutto intorno, appena toccate dal sole, le montagne candide e
brune, e insieme innumerabilmente antiche77. Erano un’isola, un altrove78.
[20] Del resto, non sempre occorreva andare alto e lontano79. Nelle mezze stagioni il

ed una verità precostituita simile a quelle del fascismo. La felicità di sbugiardare la guida è la gioia
di scoprire da soli la verità.
72. pelli di foca: «applicate alla suola degli sci mediante apposite cinghie, vengono usate dagli sciatori
per facilitare la salita» [GDLI].
73. lontano da ogni traccia umana... roccia mai prima toccata da mano d’uomo: l’esperienza in montagna,
come esplicita La carne dell’orso, è un ritorno alla «condizione umana più antica, soli davanti alla
pietra cieca e sorda, senza altri aiuti che le proprie mani e la propria testa» (Pagine sparse cit.,
p. 1130), in analogia con il parallelo confronto con la materia oferto dal laboratorio chimico.
L’accanimento della ‘stagione frenetica’ è evidenziato dalla sintassi nominale e dalla tecnica
dell’accumulo.
74. l’incubo che gravava sull’Europa: la scarsa originalità dell’immagine è riscattata dalla coerenza con il
tema notturno della metafora di apertura del racconto.
75. Grifo: «muso o testa di animale» [GDLI].
76. [I bivacchi sono minuscoli rifugi alpini, della capienza di quattro persone o poco più. Il bivacco Martinotti è in
Val di Cogne].
77. ed ecco... antiche: il sintagma biblico, la sintassi nominale ed asindetica, sapientemente ritmata,
il respiro conferito alla frase dal lungo avverbio innumerabilmente, veicolano il sentimento di
meraviglia e rapimento di fronte allo spettacolo naturale.
78. faceva dimenticare... un altrove: il paragrafo si apre e chiude circolarmente sul tema della montagna
come luogo di fuga e di isolamento da una realtà minacciosa. Il tema dell’isola e dell’altrove viene
ripreso in Nichel 803: «in altre di quelle lunghe sere nacquero due racconti di isole e di libertà»,
cioè Piombo e Mercurio, attribuiti al giovane io narrante e poi raccolti in Il sistema periodico. L’isola
e l’altrove, insieme spaziale e temporale (cfr. la fascinazione dell’io narrato per «il preisso Ur [...]
che esprime [...] lontananza remota nello spazio e nel tempo»), divengono scenario dei due racconti:
Piombo è la storia di un preistorico cacciatore di piombo, seguito nel suo viaggio dal nord Europa
alla Sardegna; Mercurio narra l’ottocentesca vicenda degli abitanti dell’isola di Tristan da Cunha.
79. alto e lontano: uso paravverbiale dell’aggettivo (in cui è «chiara l’implicazione o convergenza tra
scelta di tipo aulico e scelta per la soluzione economica», Mengaldo, Lingua e scrittura in Levi cit., 393
p. 175).
PICCOLA
ANNA BALDINI
ECOLOGIA DEGLI STUDI LETTERARI
regno di Sandro erano le palestre di roccia. Ce ne sono diverse, a due o tre ore di bicicletta
da Torino, e sarei curioso di sapere se sono tuttora frequentate80: i Picchi del Pagliaio con il
Torrione di Wolkmann, i Denti di Cumiana, Roca Patanüa (signiica Roccia Nuda), il Plô, lo
Sbarüa, ed altri, dai nomi casalinghi e modesti. Quest’ultimo, lo Sbarüa, mi pare fosse stato
scoperto da Sandro stesso, o da un suo mitico fratello, che Sandro non mi fece mai vedere,
ma che, dai suoi scarsi accenni, doveva stare a lui come lui stava alla generalità dei mortali81.
Sbarüa è deverbio da «sbarüé», che signiica «spaurare»: lo Sbarüa è un prisma di granito che
sporge di un centinaio di metri da una modesta collina irta di rovi e di bosco ceduo82: come
il Veglio di Creta83, è spaccato dalla base alla cima da una fenditura che si fa salendo via via
più stretta, sino a costringere lo scalatore ad uscire in parete, dove, appunto, si spaura, e dove
esisteva allora un singolo chiodo, lasciato caritatevolmente dal fratello di Sandro.
[21] Erano quelli curiosi luoghi, frequentati da poche decine di afezionati del nostro
stampo, che Sandro conosceva tutti di nome o di vista: si saliva, non senza problemi tecnici,
in mezzo ad un noioso ronzio di mosche bovine attirate dal nostro sudore, arrampicandosi
per pareti di buona pietra salda interrotte da ripiani erbosi dove crescevano felci e fragole,
o in autunno more; non di rado, si sfruttavano come appigli i tronchi di alberelli stenti,
radicati nelle fenditure: e si arrivava dopo qualche ora alla cima, che non era una cima
afatto ma per lo più un placido pascolo, dove le vacche ci guardavano con occhi indiferenti.
Si scendeva poi a rompicollo, in pochi minuti, per sentieri cosparsi di sterco vaccino antico
e recente, a recuperare le biciclette.
[22] Altre volte erano imprese più impegnative: mai tranquille evasioni, perché Sandro
diceva che, per vedere i panorami, avremmo avuto tempo a quarant’anni. «Dôma, neh?»84
mi disse un giorno, a febbraio: nel suo linguaggio, voleva dire che, essendo buono il tempo,
avremmo potuto partire alla sera per l’ascensione invernale al Dente di M., che da qualche
settimana era in programma. Dormimmo in una locanda e partimmo il giorno dopo, non
troppo presto, ad un’ora imprecisata (Sandro non amava gli orologi: ne sentiva il tacito
continuo ammonimento come un’intrusione arbitraria85); ci cacciammo baldanzosamente
nella nebbia, e ne uscimmo verso le una86, in uno splendido sole, e sul crestone87 di una cima
che non era quella buona.

80. [Dopo la pubblicazione di questo libro, è stato assicurato all’autore che queste palestre sono sempre più
frequentate: accanto allo Sbarüa, di cui si parla poco oltre, è stato costruito un moderno rifugio].
81. doveva stare… mortali: il rapporto di assoluta, epica preminenza di Sandro sugli altri esseri umani
(in specie nei confronti del narratore), nei racconti del personaggio è speculare a quello con
l’invisibile fratello, non casualmente deinito «mitico».
82. ceduo: costituito di alberi le cui foglie cadono in autunno, non perenne.
83. il Veglio di Creta: «In mezzo al mar siede un paese guasto, / – diss’elli allora, – che s’appella Creta, /
sotto ’l cui rege fu già ’l mondo casto. / Una montagna v’è che già fu lieta / d’acqua e di fronde, che
si chiamò Ida; / or è diserta come cosa vieta. / [...] / Dentro dal monte sta dritto un gran veglio / che
tien volte le spalle inver’ Dammiata / e Roma guarda come süo speglio. / [...] Ciascuna parte, fuor
che l’oro, è rotta / d’una fessura che lagrime goccia, / le quali, accolte, fóran quella roccia» (Inf. XIV
94-99; 103-105; 112-114).
84. [Signiica «Andiamo, vero?», in dialetto piemontese]. È la seconda parola diretta di Sandro. Dopo una
frase in latino, lingua dell’autorità usata in maniera sarcastica e straniata, la seconda frase di
Sandro è in dialetto, la lingua dell’oralità e della quotidianità.
85. Un personaggio come Sandro, deinito tanto dalla sua insoferenza ad ogni eteronomia quanto
dalla sua eccezionale comunione con la natura, non può che avvertire con fastidio il tempo
astratto e matematico, innaturale, degli orologi.
86. le una: forma toscaneggiante (sottinteso le ore una), più rara del consueto uso al singolare.
394 87. crestone: accrescitivo di cresta, ‘cima, sommità’ [GDLI].
COMMENTO AD UN RACCONTO DI PRIMO LEVI: FERRO
[23] Allora io dissi che avremmo potuto ridiscendere di un centinaio di metri, traversare
a mezza costa e risalire per il costone successivo: o meglio ancora, già che c’eravamo,
continuare a salire ed accontentarci della cima sbagliata, che tanto era solo quaranta metri
più bassa dell’altra; ma Sandro, con splendida malafede, disse in poche sillabe dense88 che
stava bene per la mia ultima proposta, ma che poi, «per la facile cresta nord-ovest» (era
questa una sarcastica citazione della già nominata guida del Cai) avremmo raggiunto
ugualmente, in mezz’ora, il Dente di M.; e che non valeva la pena di avere vent’anni se non
ci si permetteva il lusso di sbagliare strada.
[24] La facile cresta doveva bene essere facile, anzi elementare, d’estate, ma noi la
trovammo in condizioni scomode. La roccia era bagnata sul versante al sole, e coperta di
vetrato89 nero su quello in ombra; fra uno spuntone e l’altro c’erano sacche di neve fradicia
dove si afondava ino alla cintura. Arrivammo in cima alle cinque, io tirando l’ala90 da far
pena, Sandro in preda ad un’ilarità sinistra che io trovavo irritante.
– E per scendere?
– Per scendere vedremo, – rispose; ed aggiunse misteriosamente: – il peggio che ci possa
capitare è di assaggiare la carne dell’orso91 –. Bene, la gustammo, la carne dell’orso, nel corso
di quella notte, che trovammo lunga. Scendemmo in due ore, malamente aiutati dalla
corda, che era gelata: era diventata un maligno groviglio rigido che si agganciava a tutti gli
spuntoni, e suonava sulla roccia come un cavo da teleferica. Alle sette eravamo in riva a un
laghetto ghiacciato, ed era buio. Mangiammo il poco che ci avanzava, costruimmo un futile
muretto a secco dalla parte del vento e ci mettemmo a dormire per terra, serrati l’uno contro
l’altro. Era come se anche il tempo si fosse congelato; ci alzavamo ogni tanto in piedi per
riattivare la circolazione, ed era sempre la stessa ora: il vento soiava sempre, c’era sempre
uno spettro di luna, sempre allo stesso punto del cielo, e davanti alla luna una cavalcata
fantastica di nuvole stracciate, sempre uguale92. Ci eravamo tolte le scarpe, come descritto
nei libri di Lammer93 cari a Sandro, e tenevamo i piedi nei sacchi; alla prima luce funerea,

88. Variante di La carne dell’orso: «poche sillabe dense» < «poche sillabe aspre e chiocce» (Pagine sparse
cit., p. 1133). Il cambiamento è forse dovuto alla decisione di eliminare un dantismo troppo
scoperto e asemantico.
89. [Si chiama così lo strato di ghiaccio trasparente ed amorfo (cioè non cristallizzato) che si forma sulle rocce
bagnate quando la temperatura scende rapidamente molto al di sotto dello zero. È temuto dagli alpinisti
perché, essendo duro e liscio, non dà presa alle scarpe].
90. [«Tirar l’ala» è espressione tratta dal gergo dei cacciatori, e signiica «essere stanco, procedere con diicoltà»].
Piemontesismo.
91. È la terza ed ultima frase direttamente riportata di Sandro, l’unica in italiano e contenuta nell’unico
dialogo diretto del racconto. La dominante del discorso indiretto pone in particolare risalto le frasi
che non sono riportate in tale maniera: «Habemus ferrum», oltre a segnalare l’ingresso in scena del
personaggio, annunciava un dato del carattere di Sandro, e tema centrale nel racconto, la capacità
di rendersi autonomi dall’autorità; «Dôma, neh?» rimarca l’avvio della narrazione dell’evento
memorabile; l’ultima frase, «Per scendere… », oltre a rimarcare il caratteristico understatement
ironico di Sandro di fronte alle situazioni pericolose, annuncia il tema della carne dell’orso, cioè la
morale dell’episodio narrato, che condensa il nocciolo dell’insegnamento di Sandro. Il signiicato
della misteriosa espressione verrà spiegato solo in seguito, in coerenza con l’enigmaticità e la
laconicità caratteristiche di Sandro.
92. era come... sempre uguale: notturno spettrale, da romanticismo nordico. È possibile ritrovare nel
dettato della descrizione un inlusso pascoliano, da rintracciarsi tanto nel sintagma nuvole
stracciate (cfr. in Myricae Temporale v. 5: «stracci di nubi chiare»), che in spettro di luna (calco di
sintagmi impressionisti pascoliani, con inversione del rapporto tra sostanza ed epiteto).
93. [Guido Lammer, scrittore ed alpinista austriaco, scrisse numerosi libri in cui l’amore per la montagna assume 395
un carattere insieme mistico e temerario].
PICCOLA
ANNA BALDINI
ECOLOGIA DEGLI STUDI LETTERARI
che pareva venire dalla neve e non dal cielo, ci levammo con le membra intormentite e gli
occhi spiritati per la veglia, la fame e la durezza del giaciglio: e trovammo le scarpe talmente
gelate che suonavano come campane, e per inilarle dovemmo covarle come fanno le galline.
[25] Ma tornammo a valle coi nostri mezzi, e al locandiere, che ci chiedeva ridacchiando
come ce la eravamo passata, e intanto sogguardava i nostri visi stralunati, rispondemmo
sfrontatamente che avevamo fatto una ottima gita, pagammo il conto e ce ne andammo con
dignità94. Era questa, la carne dell’orso95: ed ora, che sono passati molti anni, rimpiango di
averne mangiata poca, poiché, di tutto quanto la vita mi ha dato di buono, nulla ha avuto,
neppure alla lontana, il sapore di quella carne, che è il sapore di essere forti e liberi, liberi
anche di sbagliare, e padroni del proprio destino96. Perciò sono grato a Sandro per avermi
messo consapevolmente nei guai, in quella ed in altre imprese insensate solo in apparenza,
e so con certezza che queste mi hanno servito più tardi97.
[26] Non hanno servito lui, o non a lungo. Sandro era Sandro Delmastro, il primo caduto
del Comando Militare Piemontese del Partito d’Azione98. Dopo pochi mesi di tensione
estrema, nell’aprile del 1944 fu catturato dai fascisti, non si arrese e tentò la fuga dalla Casa
littoria di Cuneo. Fu ucciso con una scarica di mitra alla nuca, da un mostruoso carneice-
bambino, uno di quegli sciagurati sgherri di quindici anni che la repubblica di Salò aveva
arruolato nei riformatori99. Il suo corpo rimase a lungo abbandonato in mezzo al viale,
perché i fascisti avevano vietato alla popolazione di dargli sepoltura100.

94. Variante in La carne dell’orso: «pagammo il conto e ce ne andammo con dignità» < «pagammo
il conto e ce ne andammo senza fare una piega» (Pagine sparse cit., p. 1134). La frase fatta (senza
fare una piega) viene abbandonata e sostituita con un termine consono con la sfera semantica del
racconto, «dignità».
95. «Era questa la carne dell’orso: il bivacco imprevisto, nella notte gelata» (intervista Papuzzi,
L’alpinismo?, cit., p. 32).
96. Cfr. Ex chimico (da L’altrui mestiere, in Id. Opere cit., vol. II, p. 642): «rimanere sconitti [...] è
un’esperienza dolorosa ma salutare, senza la quale non si diventa adulti e responsabili».
97. [L’allenamento al freddo e alla fatica isica riuscì prezioso all’autore durante la sua prigionia in Germania]. Da
notare l’uso transitivo desueto del verbo servire.
98. [Il Partito d’Azione, erede del movimento «Giustizia e Libertà» fondato nel 1930 dai fratelli Rosselli, nacque
clandestino nel 1942: propugnava una forma evoluta e moderna di democrazia socialista. Ebbe parte
fondamentale, militare e politica, nella Resistenza italiana; si sciolse nel 1946].
99. mostruoso... sciagurati: nel resoconto secco, lineare ed oggettivo della morte di Sandro, spiccano
come un urlo o uno sputo i due aggettivi.
100. In La carne dell’orso l’annuncio della morte di Sandro anticipava il racconto dell’avventura
memorabile: «Il terzo era Carlo, il nostro capo. È morto, è meglio dirlo subito, perché dei morti,
non si riesce ad evitarlo, si è portati a parlare diversamente che dei vivi. È morto in un modo che
gli somiglia, non in montagna, ma come si muore in montagna. Per fare quello che doveva: non
il dovere che ci impone qualcun altro, o lo Stato, ma il dovere che uno si sceglie» (Pagine sparse cit.,
p. 1131). La morte partigiana di Sandro non veniva esplicitata, ma era lasciata all’intuizione del
lettore. Il mutamento strutturale che sposta alla ine l’annuncio della morte di Sandro è indicativo
del profondo mutamento tematico tra le due versioni del racconto: La carne dell’orso è un racconto
di montagna, l’attenzione del testo è tutta concentrata sul racconto dell’impresa alpinistica; in
Ferro invece i temi della maturazione attraverso l’errore e della ricerca dell’identità individuale
attraverso la libertà di scelta fondono insieme chimica, montagna ed antifascismo. La morte di
Alessandro Delmastro è raccontata anche nel Diario partigiano di Ada Gobetti (Torino, Einaudi,
1956, pp. 120-21), in data 6 aprile 1944: «Sandro Delmastro è stato ucciso. [...] A un posto di blocco lo
fermano, non son convinti dei suoi documenti, lo fanno salire su un camion per portarlo a Cuneo.
All’ingresso della città il camion si ferma un momento e Sandro si butta giù sperando di fuggire.
396 Una scarica di mitraglia lo abbatte. [...] Una ine simile è assurda, senza senso, senza consolazione;
come se oltre alla vita gli fosse stato tolto anche il diritto a ben morire. Ma forse invece, a pensarci
COMMENTO AD UN RACCONTO DI PRIMO LEVI: FERRO
[27] Oggi so che è un’impresa senza speranza rivestire un uomo di parole, farlo rivivere
in una pagina scritta: un uomo come Sandro in specie. Non era uomo da raccontare né da
fargli monumenti, lui che dei monumenti rideva: stava tutto nelle azioni, e, inite quelle, di
lui non resta nulla; nulla se non parole, appunto101.

bene, questa morte priva d’ogni atteggiamento rettorico, d’ogni possibilità d’esaltazione, è proprio
quella che, potendo, avrebbe scelto per sé Sandro così semplice, così modesto, così schivo di
gesti d’ogni genere. Sandro non apparteneva alla mia generazione in cui si sognava – e ancora
spesso si sogna – di morire con una palla in fronte, avvolti in una bandiera. Apparteneva a quella
generazione di “volontari della morte” preconizzata da Piero [Gobetti], che afronta il destino qual
è nella sua aridità tragica, senza bisogno d’abbellirlo, di rivestirlo d’aure eroiche: tanto più eroi in
quanto non vogliono esserlo, non sanno nemmeno di esserlo».
101. Il paragrafo inale del racconto trae le tragiche conseguenze dell’estraneità di Sandro alle «parole»,
tema più volte ribadito nel corso del testo (cfr. soprattutto il § 17). Quella che poteva essere solo
una delle molte caratteristiche complementari di Sandro e dell’io narrante rivela tutta la sua
drammaticità. Con il suo esempio Sandro aveva insegnato a diidare degli ibridi detestabili di
carta e realtà: ma anche la letteratura è un simile ibrido. Con la sua morte, Sandro viene a segnare
un limite. «Un uomo come questo, quando è morto, è per sempre» (Pagine sparse cit., p. 1132),
diceva l’anonimo narratore di La carne dell’orso; nulla, neppure la letteratura con le sue virtù di
testimonianza può sanare quella morte, restituire una presenza, cancellare il dolore. Di fronte
a Sandro la testimonianza dell’amico rivela la sua inanità, così come quella del testimone di
Auschwitz si rivela problematica e parziale di fronte all’irriducibilità alla parola dell’esperienza
dei «sommersi»: «non siamo noi, i superstiti, i testimoni veri [...] sono loro, i “mussulmani”, i
sommersi, i testimoni integrali, coloro la cui deposizione avrebbe avuto signiicato generale. [...]
La demolizione condotta a termine, l’opera compiuta, non l’ha raccontata nessuno, come nessuno
è mai tornato a raccontare la sua morte» (da I sommersi e i salvati, in Id. Opere cit., vol. II, p. 1055-56).
All’origine della letteratura di Levi sta un impulso di testimonianza contro la morte, una volontà
della parola di porsi come argine contro il trauma dell’assenza, garantire dall’oblio e creare una
sopravvivenza nella memoria; ma la morte stessa è misura dell’inanità del tentativo. «Ogni volta
che tento di parlare di lui, provo una grande tristezza, e il senso del vuoto, come in parete» (La
carne dell’orso, in Id. Pagine sparse cit., p. 1132).
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