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Dall'Educazione Socratica Alla Dialettica Platonica - Un Percorso Erotico
Dall'Educazione Socratica Alla Dialettica Platonica - Un Percorso Erotico
Introduzione 3
1. L'Alcibiade I 5
5. Eros e cura di sé 20
7. Eros e conoscenza di sé 26
DEL BELLO
2. Il Simposio 34
4. Il discorso di Socrate 45
7. L'intervento di Alcibiade 64
1. Il Fedro 71
1
4. La reminiscenza 87
5. Eros e cura di sé 93
1. La Repubblica 110
Conclusione 146
Bibliografia 148
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INTRODUZIONE
Con questo mio lavoro intendo identificare un percorso che vada dall'educazione
assorbito e rielaborato nel suo pensiero filosofico, questa indagine vuole seguire un'altra
strada, quella dell'eros. L'eros costituisce, infatti, un elemento centrale sia in Socrate, che è
solito instaurare relazioni di tipo erotico-educativo con i suoi allievi, sia in Platone, che si
dedica alla trattazione di questo tema in più dialoghi. Le fonti principali utilizzate saranno
A partire dall'Alcibiade I, che offre una rappresentazione del tipico dialogo socratico
in cui la vera posta in gioco non è ciò di cui si parla, ma colui che parla, intendo mostrare il
Socrate di condurre Alcibiade prima a mettere in discussione il suo modo di vivere, e poi a
eros nel favorire questa “conversione su di sé”, che ha come conseguenza la conquista
della virtù e che apre alla dimensione della “cura di sé” intesa come tentativo di migliorare
la propria anima. L'esame di questo dialogo sarà utile per seguire, passo per passo,
confutatoria socratica, e che possiamo pensare che Platone abbia assorbito mantenendone
Analizzando il modo in cui Platone rivisita e integra nella sua filosofia l'elemento
erotico, ovvero mostrando i punti di contatto e le differenze tra l'eros socratico e quello
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platonico, intendo indagare il modo in cui la concezione del legame tra amore, conoscenza
e cura di sé si trasforma via via che il pensiero platonico diviene più autonomo rispetto a
Cercherò di descrivere, perciò, la trasformazione sia del concetto di eros sia di quelli
si esaurisce l'attività filosofica socratica, a quello “verticale” della filosofia platonica, che
Fedro, in cui emerge l'articolata concezione dell'eros platonico in connessione con gli altri
elementi peculiari della sua filosofia, quali la teorizzazione del mondo delle Idee, la
Una volta chiarite la genesi e l'elaborazione platonica del concetto di eros, e il suo
legame con la conoscenza, sarà possibile verificare se esso possa costituire un efficace
capire, nello stesso tempo, se l'interesse platonico per eros e la sua funzione decisiva in
dell'educazione e della dialettica. Quest'ultima viene descritta già nel Fedro, ma è più
chiaramente riproposta nella Repubblica come disciplina culmine del curriculum educativo
del filosofo.
mettere in luce lo sviluppo del pensiero platonico riguardo all'effetto che eros e
4
1. EROS E CONOSCENZA DI SÉ NELL'ALCIBIADE I
1. L'Alcibiade I
Il primo dialogo platonico di cui ci serviremo per affrontare la questione del rapporto
del corpus platonico, è quello che indaga più direttamente il tema di “che cosa sia l'uomo”.
Intorno a questo interrogativo centrale ruotano concetti importanti della filosofia socratica
e platonica, come quello della conoscenza di sé, fondamentale per la nostra indagine.
Queste caratteristiche del dialogo hanno fatto sì che, nella tarda antichità, questo testo
fosse spesso utilizzato come lettura di avvio per chiunque volesse studiare il pensiero di
secondo l'idea presente anche all'interno del dialogo, per cui la conoscenza di sé va ritenuta
anche la sua datazione, sono oggetto di dibattito da parte degli studiosi. Il dialogo infatti
contiene, sia dal punto di vista stilistico che contenutistico, elementi che sono ritenuti
caratteristici dei dialoghi giovanili, quelli in cui si ritiene emerga un pensiero soprattutto
socratico, misti ad elementi che sono normalmente reperibili nei dialoghi più tardi, in cui il
sulla base della lezione del maestro. Gli aspetti presenti nell'Alcibiade I che si possono
riscontrare con ricorrenza all'interno dei dialoghi giovanili o “socratici” sono, ad esempio,
la tecnica della confutazione socratica che procede per brevi domande e risposte e il tema
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centrale della conoscenza di sé, mentre i discorsi lunghi e i riferimenti metafisici sono
dialogo, vissuto nel V secolo d.C., sottolinea tale carattere “misto” del dialogo, ma ne
etereogeneità.2 Egli propone una suddivisione del testo in tre parti distinte che ritiene
possano perfettamente integrarsi tra loro in un'ottica di continuità: una prima parte
confutatoria, una seconda protrettica e una terza maieutica. Le prime due parti vedono
Socrate impegnato nella confutazione del falso sapere di Alcibiade e nel tentativo di
riferimento al precetto delfico che invita a conoscere se stessi, fino a giungere alla
Per quanto riguarda l'aspetto drammatico del dialogo, abbiamo un unico interlocutore
di Socrate, Alcibiade, che non è, come accade in modo ricorrente in altri dialoghi giovanili,
un giovane che Socrate non conosce e avvicina per la prima volta, ma è un individuo verso
il quale il filosofo nutre da tempo un interesse particolare. Socrate stesso ammette di aver
figure più notevoli nella cerchia di Socrate. Qui è rappresentato come un giovane
politico, avere potere ed essere ricoperto di grandi onori. Dal punto di vista storico
Alcibiade era di fatto una figura di rilievo nel panorama politico ateniese del V secolo a.C.,
1 Cfr. Maria Michela Sassi, Indagine su Socrate: persona, filosofo, cittadino, Torino, Einaudi, 2015, p. 122.
2 Cfr. Francois Renaud, La conoscenza di sé nell'Alcibiade I e nel commento di Olimpiodoro, in Interiorità
e anima: la psychè in Platone, a cura di Maurizio Migliori, Linda M. Napolitano Valditara, Arianna
Fermani, Milano, V&P, 2007, p. 229.
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avendo ricoperto un ruolo tanto di spicco quanto controverso negli anni della guerra del
Peloponneso.
In questo dialogo lo incontriamo, appunto, agli esordi della sua carriera politica,
affiancato da Socrate, che, in nome dell'amore che prova per lui, cerca di convincerlo a
seguire i suoi consigli, dipingendosi come l'unico in grado di offrirgli l'educazione di cui
necessita per esordire degnamente nel panorama politico. Di fatto Socrate non si preoccupa
propriamente di dargli dei meri consigli politici, ma tenta di avviare il suo allievo al modo
di pensare e vivere proprio della filosofia, cioè condurlo verso quello che è, a suo avviso, il
insieme di tipo educativo. Questo non sorprende, dato che nella Grecia classica erano
funzione sociale ben precisa: avviavano all’inserimento sociale di un giovane nella società
aristocratica. Tali relazioni avevano infatti luogo tra un erastès, l'amante adulto, e un
eromenos, il giovane amato, con la precisa funzione di trasmissione del sapere e della virtù
dal primo al secondo. In questo senso si trattava di relazioni asimmetriche in cui il giovane
ricopriva un ruolo passivo, ruolo che avrebbe poi abbandonato una volta raggiunta la
maturità.
che viene per così dire trasfigurato in amore filosofico. Anche in altri dialoghi platonici
misurato, poco incline a lasciarsi sopraffare dal desiderio fisico. Questa caratteristica è
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quello pedagogico. É utile accostare a questa situazione quella rappresentata alla fine del
cui, deluso, si era dovuto arrendere al rifiuto del filosofo di fronte alla sua volontà di
Socrate come un interesse fisico. Socrate chiarisce di non voler scambiare “oro con
bronzo” (Symp. 218e), ovvero una bellezza dell'anima, la propria, con quella corporea di
Alcibiade, perché ciò avrebbe significato scambiare una bellezza autentica con una
apparente.
Nell'Alcibiade I Socrate sottolinea l'unicità e l'autenticità del suo amore, diverso dagli
che egli rivolge il suo amore. Il filosofo è convinto di poter educare Alcibiade in modo che
acquisisca la competenza necessaria per governare e spiccare tra gli uomini più potenti del
suo tempo, ma non è questo l'obiettivo principale dalla sua educazione: non intende
quella “conversione su di sé” che gli permetta di vivere una vita più autentica, in altre
parole, più degna di essere vissuta. Socrate è il primo pensatore nella storia della filosofia
che, attraverso un'indagine di tipo antropologico ed etico, solleva la questione di quale sia
la vita buona per l'uomo, di che cosa significhi “vivere bene” (eu zen). Famoso è il passo
del Critone in cui Socrate afferma che «l'importante non è vivere, ma vivere bene» (Crit.
48b). A suo avviso la vita buona e felice risiede nell'esercizio della virtù (aretè) specifica
dell'uomo, quella che risiede nella sua dimensione propriamente razionale, e segue
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quale sia la natura dell'uomo (Alc. I, 129e). La tesi che viene sostenuta è che solamente
conoscendo la nostra natura possiamo comprendere anche quali siano il bene e il male per
noi.
Socrate vorrebbe che Alcibiade si avvicinasse alla filosofia e convertisse il suo modo
di vivere sulla base di questa conoscenza del bene, che non è altro che la saggezza che
segue l'approfondita conoscenza di se stessi e della propria anima. Occorre, a questo scopo,
che il giovane volga la sua attenzione là dove risiedono principi spiritualmente più alti
rispetto ad onore, fama e ricchezza. Vi sono infatti quei valori dell'anima, in primis la
base anche del successo politico tanto desiderato da Alcibiade, offrendo le linee guida
Questa “conversione su se stesso” che Socrate cerca di favorire nel giovane può
essere agevolata dal particolare tipo di relazione erotica presente tra i due. Eros e
dell'anima ed implica che l'individuo sia coinvolto sia sul piano intellettuale che emotivo.
Recenti studi hanno sottolineato proprio l'importanza della “presa” emotiva che il dialogare
socratico è capace di sfruttare per favorire il raggiungimento dei suoi obiettivi filosofici.
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Non è facile cogliere le linee del pensiero socratico: le fonti più importanti che abbiamo
(Aristofane, Senofonte e Platone) ce ne offrono immagini tra loro diverse. Poiché quello
presentano Socrate nei panni del filosofo che, attraverso le sue domande, invita i propri
che essi propongono di volta in volta, li conduce alla consapevolezza della propria
Le opinioni che ciascuno ha a proposito dei principi morali o della natura degli
oggetti di cui si occupa, determinano quei comportamenti che rendono un individuo ciò
che è, e questo può avvenire molto spesso in modo automatico, senza che si sia mai
riflettuto abbastanza sulla validità delle proprie opinioni. Le domande che Socrate rivolge
ai suoi interlocutori hanno proprio lo scopo di favorire tale riflessione, e capita quasi
sempre che costoro, nel dialogare con il filosofo, incorrano nell'incapacità di rispondere
coerentemente ai suoi interrogativi. Questo ha ricadute sulla loro condotta di vita: essi non
riescono a dare ragione di quelle conoscenze o di quei principi che regolano le loro stesse
azioni, e si rendono così conto di non sapere per quale motivo agiscano.
Un passo del Lachete, dialogo platonico che indaga la natura del coraggio, vede uno
Credo che tu non sappia che chi si incontra con Socrate e inizia a dialogare con lui, qualunque
sia l’argomento da cui ha preso le mosse, senza rendersene conto, cade sotto la costrizione di non
riuscire a terminare il suo discorso prima di aver dato completa ragione di se stesso, del modo in
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cui vive e in cui ha vissuto. Quando ciò accade, Socrate infatti non lo lascia andare prima di averlo
esaminato ben bene (Lach. 187e-188a).
In questo passo vediamo che Nicia è ben consapevole di che cosa significhi intraprendere
un dialogo con Socrate: bisogna essere prima di tutto disposti a mettersi in discussione. Per
quanto chi si trova a dialogare con lui possa cercare di avere la meglio, non può aspirarvi
senza trovarsi a dover rendere conto delle sue convinzioni più profonde e del modo di vita
Un altro passo che vale la pena riportare è quello dell'Apologia, in cui Socrate
Ehi tu, eccellentissimo fra gli uomini e cittadino di Atene, che è la città più grande e gloriosa per
sapienza e potenza, non ti vergogni di rivolgere le tue cure alle ricchezze, per accumularne il più
possibile, e alla fama e al prestigio, anziché curarti e darti pensiero di saggezza e verità e della
perfezione dell'anima? E se qualcuno di voi ribatterà che invece se ne cura, non lo congederò subito
né me ne andrò io, ma lo interrogherò, lo esaminerò, lo metterò alla prova; e se lo troverò privo di
virtù, e se ne dichiarasse tuttavia dotato, lo biasimerò perché tiene in poco conto le cose di maggior
valore, privilegiando invece quelle vili (Apol. 29d-30a).
Questo passo illustra molto bene quello che doveva essere lo scopo dell'attività
socratica: portare gli individui ad occuparsi della propria anima prima che di qualsiasi altra
programma di “cura” della città presentato da Socrate: non era uso comune nell'Atene del
V secolo la condanna morale del desiderio di ricchezza, fama e onori. Tali desideri erano
diffusi e considerati del tutto legittimi, in quanto la maggioranza dei cittadini aspirava a
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Il carattere rivoluzionario delle parole socratiche, insieme ad altri aspetti scomodi
giovani insegnando dottrine che favorivano il disordine sociale e di non credere negli dei
della città, tentando di introdurne di nuovi. In effetti, i suoi concittadini non potevano
percepire il suo invito a rimettere in discussione i valori, i loro modi di agire, a prendersi
cura di se stessi, se non come un taglio con le abitudini e le convenzioni della vita di tutti i
giorni, con il mondo che era loro familiare 4. Nell’Apologia Socrate non fornisce alcuna
ragione teorica per spiegare perché egli costringa se stesso e gli altri ad esaminare la
propria vita, accontentandosi di dire che questa è la missione affidatagli dal dio e che «una
vita che non metta se stessa alla prova, non è degna di essere vissuta». (Apol. 38a)
Dal punto di vista del metodo utilizzato da Socrate abbiamo un procedimento di tipo
“dialettico”, che vede la messa in opera dell'elenchos, o confutazione, che procede per
domande e risposte, alla ricerca di definizioni il più possibile veritiere dei vari oggetti in
questione, spesso concetti e valori morali. Già a partire da Omero il sostantivo elenchos
indicava l'atto di “mettere alla prova un individuo” e verificare la correttezza della sua
condotta morale.5 Oltre a non fornire risposte esaurienti, il metodo confutatorio abbatte le
certezze e dimostra l'infondatezza di ciò che dava senso e struttura al modo di vivere che
4 Cfr. Pierre Hadot, Qu'est-ce que la philosophie antique?, trad. it. di Elena Giovannelli, Torino, Einaudi,
2010 (1995), p. 38.
5 Cfr. Sassi, Indagine su Socrate, cit. p. 69.
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contraddittoria in cui si trova colui che viene interrogato da Socrate, sia durante il dialogo
che alla fine, è la famosa condizione di “aporia” per cui non si riesce a trovare una
definizione esaustiva, una verità definitiva che possa risolvere efficacemente il problema
però considerato un punto di partenza, una condizione feconda da cui poter intraprendere
anima, là dove risiedono i valori più profondi su cui ha basato la sua vita. Ciò che interessa
a Socrate, infatti, è l'aderenza delle parole del suo interlocutore al proprio comportamento,
opinioni, utilizza un processo che sembra agire tanto sui ragionamenti quanto sulle
emozioni dell'individuo. A proposito dell'effetto che le parole socratiche hanno sullo stato
emotivo di chi le ascolta, è utile fare riferimento al Simposio, dove Alcibiade accosta
Socrate al satiro Marsia, proprio perché è capace, con i suoi discorsi, di ammaliare e
Io stesso, amici miei, se non rischiassi di passare per completamente ubriaco, vi racconterei
sotto giuramento le impressioni che ho ricevuto e ricevo tutt'ora dai suoi discorsi. Quando ascolto,
il cuore mi balza in petto più che ai coribanti e per le sue parole le lacrime mi colano giù, e vedo
che moltissimi altri subiscono i medesimi effetti. Udendo Pericle e altri valenti oratori, io credevo
che parlassero bene, ma non ricevevo nessuna impressione del genere, e l'anima non mi tumultuava
né soffriva di sentirsi in uno stato di schiavitù, ma più volte questo Marsia mi ha messo in una
condizione tale da credere che la vita non fosse degna per me di essere vissuta nello stato in cui mi
trovo ora (Symp. 215d-e).
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di un effetto “magico” delle parole socratiche, che sarebbero in grado di generare virtù
Socrate: «Anche ora, almeno questo mi pare, mi fai la magia, mi streghi – insomma
padronanza per poter consigliare gli Ateniesi quando si troverà in assemblea. Poiché il
giovane, in linea con il suo carattere orgoglioso, è convinto di possedere mirabili doti,
Socrate lo interroga per verificare la solidità delle sue competenze in proposito. Il primo
punto su cui i due concordano è questo: affinché Alcibiade possa dare i propri consigli
riguardo a qualche cosa, è necessario che egli ne possieda una competenza maggiore
essere più competente degli altri riguardo alle questioni di Stato, ma quando Socrate lo
interroga a proposito di che cosa sia “meglio” a proposito del fare o non fare la guerra,
Alcibiade non sa rispondere e Socrate gli fa notare quanto questo sia vergognoso:
Ma è vergognoso! Se uno, mentre stai parlando e dando consigli sostenendo che questo è meglio
di quello, in questo particolare momento e in una certa quantità, ti chiedesse: “Alcibiade, cosa
intendi per meglio?”, tu sapresti rispondere che meglio è ciò che è più salutare, anche se non hai
assolutamente la pretesa di essere un medico. Ma su quello che pretendi di conoscere in modo
sistematico e su cui ti alzerai a dare consigli da persona competente, se ti si interroga su questo e
non sai rispondere, non ti vergogni? O non ti sembra cosa su cui ci si debba vergognare? (Alc.I,
108e-109a)
Alcibiade non può non riconoscere di trovarsi in una situazione di ignoranza proprio
in quegli ambiti in cui aveva fermamente ritenuto di essere più competente della massa, ed
è così costretto ad ammettere che tale condizione è vergognosa. Socrate fa leva sulla
vergogna che Alcibiade proverebbe se, in ambito pubblico, si rivelasse incompetente sulle
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questioni decisive per il bene della polis.
Il risvolto morale della confutazione è presente anche là dove, come in questo caso,
«congruenza fra l'esibizione di virtù della persona interrogata e la sua virtù reale»6. La
cambiamento interiore, alla quale Socrate ricorre anche più avanti nel dialogo, portando
Alcibiade ad ammettere: «Per gli dèi, Socrate, quello che dico non lo so nemmeno io, e sto
questa situazione, allora sarebbe stato un problema per te metterti a pensare a te stesso.
Adesso invece sei nell'età giusta per rendertene conto» (Alc. I, 127d-e). Con queste parole
Socrate cerca di mostrare il positivo utilizzo della vergogna che il giovane sta provando:
egli ha la possibilità di porre rimedio alla sua ignoranza, creando così le condizioni tali per
Questi passi mostrano che la vergogna costituisce di fatto la molla emotiva che è in
grado di portare l'individuo ad una conversione del proprio modo di vivere. Affinché sia
efficace, deve riguardare i punti deboli dell'individuo, che nel caso di Alcibiade sono
legati alla sete di onori e alla sua ambizione di fare carriera politica. Questi sono i desideri
essi che è necessario far presa. Immaginando la propria vergogna nel caso in cui la sua
competenza venga smentita durante l'assemblea, situazione che Alcibiade si figura come
6 Cfr. Maria Michela Sassi, Con Alcibiade: l'emergere del tema socratico della coscienza nel Simposio e
nell'Alcibiade primo, in Società, Natura, Storia: studi in onore di Lorenzo Calabi, a cura di Andrea
Civello, Pisa, ETS, 2015, p. 20.
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sempre più plausibile via via che Socrate lo confuta, il giovane è spinto a guardare se
stesso in modo critico, avviando quel processo che potrà poi convertirsi nella “cura di sé”
volta a sviluppare la virtù. Siamo di fronte ad un tipo di vergogna legato tanto al “perdere
la faccia” di fronte ad una comunità quanto al non soddisfare le aspettative del proprio
amante. All'interno della relazione dialogica ma anche erotica tra Socrate e Alcibiade, eros
proprio mondo interiore. Paul Woodruff distingue tre tipi di vergogna all'interno dei
dialoghi platonici aggiungendo a questi due un terzo, che è quello solipsistico, dato dalla
consapevolezza del soggetto di aver tradito valori esclusivamente suoi. Quest'ultimo non è
della propria ignoranza. Per Socrate ci sono due tipi di ignoranza: quella che consiste nella
consapevolezza di non sapere e quella che invece è propria di chi crede di sapere ciò che in
realtà non sa. Di queste due la forma peggiore è la seconda, in quanto chi è consapevole di
non sapere è consapevole anche del fatto che è per lui conveniente affidarsi ad altri più
competenti di lui sulle questioni che non conosce. Socrate fa l'esempio del timoniere: «E se
ti trovassi a navigare su una nave, forse esprimeresti le tue opinioni su come va manovrato
7 Cfr. P. Woodruff, Socrates and the Irrational, in Reason and Religion in Socratic Philosophy, a cura di
N. Smith, P. Woodruff, University Press, Oxford, 2000, pp. 130-146.
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il timone, se in dentro o in fuori, e ti smarriresti perché non ne hai cognizioni, oppure
affiderebbe al timoniere, e Socrate lo rincuora dicendogli che chi si comporta così non
sbaglia, ovvero che qualcuno che si affida a chi è più sapiente di lui non cade in errore.
Così aggiunge che se a sbagliare non sono «quelli che sanno, né quelli che, tra gli
ignoranti, sanno di esserlo, non possono essere altri che quelli che non sanno ma pensano
almeno fino al momento in cui non ne diviene consapevole. Socrate si esprime in maniera
Ahi, povero Alcibiade, che dolore! Io stento a chiamarlo per nome, ma dato che ci troviamo qui
noi due soli, vale la pena di dirlo. Tu, amico carissimo, convivi con la più profonda ignoranza; è
un'accusa, questa, che le tue stesse parole, tu stesso ti lanci. Perciò ti butti nella vita politica prima
di esservi stato educato (Alc. I, 118b).
Questo passaggio segna il confine tra la cosiddetta pars destruens e quella che può essere
definita pars construens: una volta abbattute le certezze di Alcibiade, Socrate ha creato
terreno fertile per la fase paideutica, costruttiva, del dialogo. Il giovane è passato dalla
forma di ignoranza inconsapevole a quella consapevole, e può così evitare non solo di
percorso interiore che gli permetta di allontanarsi progressivamente sempre di più dalla sua
condizione di ignoranza.
quanto Socrate può dirgli a proposito del giusto e dell'utile, quegli argomenti su cui si era
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che sia possibile imparare tali questioni mediante il solo ascolto. Non è questo il metodo
che Socrate intende utilizzare, consapevole che, affinché l'anima di Alcibiade vada
incontro ad un cambiamento, è necessario che ogni verità, con le relative implicazioni sia
logiche che morali, siano opera di Alcibiade stesso. Questo è ciò che sta alla base del
modello socratico di educazione: essa non consiste nel riempire un recipiente vuoto, ma
nell'aiutare l'allievo a portare alla luce conoscenze che possiede già dentro di sé. È
Simposio, quando Agatone lo invita a stendersi di fianco a lui in modo da poter attingere
Sarebbe bello, Agatone, se la sapienza fosse qualcosa che può scorrere, al semplice contatto, dal
più pieno al più vuoto di noi, come attraverso un filo di lana l'acqua scorre dalla tazza più colma a
quella più vuota. Ma se anche la sapienza è cosiffatta, in tal caso è un vero onore per me stare
sdraiato accanto a te: così, credo, mi colmerai di copiosa e splendida sapienza (Symp. 175d-e).
La conoscenza non può essere trasferita come si trasferisce l'acqua dal recipiente più
pieno a quello più vuoto: ad opera dell'interrogare socratico, Alcibiade non è chiamato a
trasformare la sua ignoranza in un pieno sapere per un semplice travaso di nozioni, così da
fondamentale per il suo apprendimento, che deve provenire, appunto, dall'interno piuttosto
che dall'esterno.
non è il riempimento di questo vuoto, ma sapere e ignoranza sono due stati dell’anima, va
l'allenamento, come per un atleta (Alc.I, 119c): l'allenamento di un atleta non è volto
solamente a renderlo più veloce e più forte, ma, insieme alle tecniche che acquisisce, lo
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porta a far proprio un modo di comportarsi quotidiano ben preciso. Non basta, infatti, che
egli vinca una singola gara, poiché se vuole davvero essere il migliore deve adottare un
certo stile di vita, vale a dire cambiare radicalmente il suo modo di vivere.
stesso dire che il giusto e l’utile sono la stessa cosa, non credere a nessun altro» (Alc. I, 114
e). In questo modo, quando più avanti durante il loro dialogo Alcibiade lo accusa di tenere
tutto il discorso da solo, Socrate può fargli notare, senza il rischio di essere contraddetto,
che lui è semplicemente il domandante, e che di fatto è Alcibiade quello che dà le risposte.
Il giovane si rende così conto che le affermazioni a cui i due giungono di volta in volta
Ad un certo punto del dialogo Socrate compie una mossa cruciale, nel momento in
cui si pone sullo stesso piano di Alcibiade, sostenendo di essere anch'egli nelle condizioni
di dover ricevere un'educazione. Gli dice: «Dobbiamo consigliarci insieme sul modo che ci
atteggiamento che Socrate può assumere grazie al tipo di relazione erotica presente tra i
due. Benché il Socrate di Platone sia una figura umana e non divina, un filosofo che,
amante della saggezza quale è, la ricerca in quanto non ne è in pieno possesso, noi
sappiamo che Alcibiade e Socrate non si trovano esattamente sullo stesso piano, e che
miglioramento della sua anima, definendola “a doppio ruolo”8: in essa viene meno la
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classica asimmetria amante-amato e si instaura una certa “reciprocità erotica” in cui
entrambe le parti si comportano come se fossero sia gli amanti che gli amati.
condivisione in cui sono stimolati in direzione di un sempre più elevato modo di essere.
Questa interpretazione ci mostra il legame presente tra eros e la cura di sé: all'interno della
relazione amorosa è possibile favorire quelle condizioni tali che l'anima di chi è coinvolto
si dispone a un miglioramento.
5. Eros e cura di sé
Dopo che Socrate ha convinto Alcibiade della necessità per entrambi di migliorarsi,
occorre capire come sia possibile nei fatti prendersi cura di se stessi. Gli domanda:
Allora cosa vuol dire “prendersi cura di se stessi”? Perché c’è rischio che a volte, senza
accorgercene, non ci prendiamo cura di noi stessi, pur credendo di farlo. E quando è che un uomo
lo fa? Quando si preoccupa delle proprie cose? È allora che si prende cura di se stesso? (Alc. I
127e-128a)
dialogo, e parte dalla distinzione tra la cura di noi stessi e la cura di ciò che ci appartiene
attraverso un paragone tecnico: quando ci prendiamo cura delle calzature, per esempio, non
ci prendiamo cura dei piedi, ma di ciò che attiene ai piedi, mentre dei piedi ci prendiamo
cura esclusivamente con la ginnastica. Socrate afferma chiaramente che «l'arte con cui ci si
cura di noi stessi e quella con cui ci si cura delle proprie cose non coincidono» (Alc. I,
cui bisogna prenderci cura: Socrate sostiene che, così come senza conoscere le calzature
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non possiamo conoscere quale sia l'arte che le rende migliori, allo stesso modo senza
sapere chi siamo noi stessi non possiamo conoscere l'arte che ci rende migliori (Alc. I,
128e). Il paragone tecnico viene ripreso per argomentare che se calzolaio e citaredo sono
diversi dalle mani e dagli occhi di cui si servono per eseguire il loro lavoro, lo strumento è
sempre diverso da colui che lo usa, né il citaredo né il calzolaio possono essere identificati
con le parti del loro corpo. Ma se non possiamo identificare l'uomo con il suo corpo,
della differenza tra lo strumento e colui che se ne serve rende quasi obbligata la risposta:
«è colui che si serve del proprio corpo [...] Esiste qualcos'altro che si serve del corpo se
L'unica alternativa è che l'uomo sia l'insieme di corpo e anima, ma Socrate conclude
che non può essere neanche tale l'unione, perché se una delle due parti non partecipa al
governo del corpo, ed è evidente che il corpo non può comandare se stesso, l'insieme di tali
Ricollegando questa importante conquista con il punto da cui i due erano partiti,
Socrate conclude che colui che ci prescrive il “conosci te stesso” ci ordina di conoscere la
nostra anima (Alc. I, 130e). Socrate si riferisce qui all'iscrizione gnōthi sautón presente sul
tempio di Apollo a Delfi, di cui dice: «Sospetto cosa significhi e che cosa ci voglia
da nessuna parte un modello di ciò, tranne che, unicamente, nella vita» (Alc. I, 132d). Il
condizione umana di fronte al dio, viene rivisitato nell'Alcibiade I in chiave di invito alla
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conoscenza di sé.
La tesi che vede l'essenza dell'uomo nella sua anima ha come conseguenza che chi si
occupa del proprio corpo ha cura di cose che lo riguardano, ma non di se stesso. A maggior
ragione chi si cura dei soldi, ad esempio, si cura di qualcosa che è ancora più lontano da
ciò che lo riguarda. Lo stesso discorso vale per l'amore: chi ama il corpo di Alcibiade non
ama Alcibiade, ma qualcosa che gli appartiene: chi lo ama veramente è colui che è
innamorato della sua anima. Sulla base di questo, Socrate fa notare ad Alcibiade come il
proprio amore per lui sia l'unico vero e autentico amore che qualcuno abbia mai provato
nei suoi confronti (Alc. I, 131 c-d). Gli altri suoi corteggiatori, infatti, se ne sono andati non
innamorato di ciò che veramente lui è, cioè della sua anima. In questo senso spiega ad
Alcibiade che, se desidera continuare ad essere amato da lui, deve impegnarsi ad essere “il
più bello possibile” (Alc. I, 131d) nella propria anima, perché è essa che costituisce
l'oggetto del suo amore. È adesso, a suo avviso, che Alcibiade comincia a fiorire, proprio
perché egli non si identifica con il suo corpo, che sta sfiorendo, ma con la sua anima, di cui
sentimento erotico che per sua natura porta a compiacere la persona amata conduce, in una
relazione basata sull'amore filosofico, a volgere l'attenzione alla propria anima, mossi dal
essere “il più bello possibile” nella propria anima con la riflessione sulla vergogna che
abbiamo fatto precedentemente: esso fa pensare alla vergogna che l'individuo proverebbe
nel caso in cui deludesse le aspettative dell'amante. Una testimonianza più chiara di come
questo aspetto caratterizzi la relazione tra Socrate e Alcibiade emerge nelle battute finali
22
del Simposio. Queste sono le parole che Alcibiade pronuncia in riferimento a Socrate:
E sono tuttora consapevole che, se solo volessi porgere l'orecchio, non resisterei ma subirei i
medesimi effetti. In realtà mi costringe a riconoscere che, pur con tutte le manchevolezze che mi
affliggono, continuo a trascurare me stesso per occuparmi degli affari degli Ateniesi. Perciò io mi
costringo a turarmi le orecchie e fuggo via come dalle Sirene, per non restare seduto qui ed
invecchiare accanto a lui. Soltanto al cospetto di quest'uomo ho sperimentato una sensazione che
nessuno crederebbe che io possa provare: vergognarmi di fronte a qualcuno; e io provo vergogna
solo di fronte a lui, appunto. Sono consapevole di non poter contestare il dovere di fare ciò che lui
mi raccomanda, e d'altra parte di essere sopraffatto dagli onori che mi vengono dalle masse non
appena mi allontano da lui. Così lo sfuggo, lo scanso, e quando lo vedo mi vergogno per ciò su cui
ci eravamo accordati. E non di rado sarei contento di vederlo scomparire dalla terra; ma se così
accadesse, so che ne soffrirei ancora di più. Così non so proprio che fare di quest'uomo (Symp.
216a-c).
necessità di prendersi cura di se stesso soprattutto a causa dell'effetto che suscita in lui la
vicinanza di Socrate. Si tratta di un processo che avviene a partire dal livello dell'emotività,
svolta introspettiva. Nel caso di Alcibiade tale svolta non pare però aver aperto a quel
convertire il proprio modo di vita: il giovane si allontana da Socrate proprio per evitare di
avvertire questa esigenza interiore e continuare a godere degli onori delle masse. La
sfuggirle. Per riprendere la distinzione fatta da Woodruff a proposito dei tre tipi di
vergogna, questo passo sembra confermare la sua tesi che solamente una vergogna
interiorizzata, per così dire solipsistica, porta con sé un reale ed effettivo cambiamento a
23
livello morale. Sarebbe proprio questa la mossa cruciale che Alcibiade si rifiuta di fare:
su se stesso, non attuando quella cura di sé che dipende solamente da un suo atto di
volontà. L'insuccesso del tentativo socratico di convertire Alcibiade alla filosofia, che ci
viene rivelato nel Simposio, non è presente nell'Alcibiade I, in cui sembra che il giovane sia
invece intenzionato a compiere questo passo decisivo. Sono le parole che Socrate
pronuncia alla fine del dialogo che lasciano trasparire tutte le sue perplessità: «Il mio
desiderio sarebbe che tu arrivassi fino in fondo: ma ho paura. Non che non abbia fiducia
nella tua disposizione naturale; il fatto è che vedo la forza dello Stato, e temo che entrambi
quella della “natura filosofica” delineata da Platone nella Repubblica. Socrate teme che le
buone intenzioni di Alcibiade possano venire meno nel momento in cui entri in gioco la
forza dello Stato. Platone riprenderà il tema dell'influenza dello Stato sulle anime dei
cittadini all'interno della Repubblica, in cui cercherà di spiegare quale possa essere lo Stato
ideale retto da filosofi, gli unici saggi e capaci di garantire la giustizia. Nel suo tentativo di
teorizzare tale società ideale Platone spiega quali siano le caratteristiche psichiche degli
nel modo più opportuno. Gli individui che possiedono tale natura vivono alimentati dalla
9 Questo paragrafo prende spunto da riflessioni presenti in C. Pacini, Alcibiade tra letteratura e storia
(http://amsdottorato.unibo.it/2090/1/Pacini_Costanza_TESI.pdf, 10/02/2018), pp.146-147.
24
ricerca della verità, hanno un carattere equilibrato, sono dotati di coraggio, magnanimità,
“filosofiche” ricevano una buona educazione, possono facilmente conquistare la vera virtù.
Tuttavia, vi sono molte ragioni per cui una natura del genere può corrompersi e
natura sono mediocri. Socrate infatti spiega che «il male è opposto più al bene che a ciò
che non è bene» (Resp. VI, 491d), vale a dire che le anime più grandi sono capaci delle più
grandi virtù come dei più grandi vizi. Per esempio, a causa della loro temperanza e
magnanimità essi possono facilmente perdersi nel compiacere gli altri, oppure possono
essere distratti da fattori come bellezza, ricchezza, o parentele potenti nello Stato, e altri
simili.
Tutto questo può accadere se tali nature vengono educate in maniera errata, secondo i
valori e gli esempi sbagliati. Un'anima dotata in una società corrotta è come un buon seme
gettato in un suolo avverso, cresce storcendo la propria natura, perde le sue virtù e finisce
per risultare peggiore delle nature mediocri. Una natura mediocre, infatti, non farà mai
nulla di importante, mentre una natura rara come quella filosofica è capace di grandi beni
come di grandi mali. L'anima per Platone ha una grande capacità assimilativa ed è per
questo che egli attribuisce molta importanza alle circostanze e all'ambiente in cui essa si
trova a crescere. Tali nature filosofiche diventano, infatti, facilmente vittime di cattivi
educatori: può trattarsi di sofisti abituati a persuadere le folle con i loro discorsi, o di
profittatori che tentano di sfruttare le doti eccezionali di tali individui in vista di interessi
educazione, essi diventano arroganti e finiscono per credere di poter dominare i vari
25
coloro che causano i mali maggiori agli stati e ai privati, sia coloro che causano i maggiori
Platone pensa che nessun insegnamento privato possa resistere all'influenza negativa
della società, a meno che non si verifichi un intervento divino. Questa è la ragione per cui,
nella Repubblica, il filosofo propone una riforma radicale della società stessa. Tale
progetto è indubbiamente legato alla sfiducia nei confronti di quello stato che aveva
condannato a morte Socrate, colui che per Platone (e anche per l'oracolo di Delfi) era “il
nei confronti di Alcibiade interamente al giovane, al suo fuggire dalla “cura di se stesso” e
al suo lasciarsi influenzare, appunto, dalla brama degli onori politici. Alla fine del dialogo,
come emerge dal passo citato, Socrate sembra riconoscere la physis eccezionale di
Alcibiade una natura filosofica così come ci viene descritta nella Repubblica, cioè che
abbia riscontrato la presenza di quelle qualità che, se correttamente educate, gli avrebbero
7. Eros e conoscenza di sé
filosofico in cui si parla della conoscenza e cura di sé come essenza stessa dell'esistenza
umana. Ci troviamo per la prima volta nella storia della filosofia di fronte ad un testo che
26
affronta il tema dell'oggettivazione dell'individuo nei confronti di se stesso: egli si vede
Abbiamo visto che secondo Socrate prendersi cura di sé è un processo che richiede
prima di tutto la conoscenza di sé11. Per spiegare come questa conoscenza possa avvenire
Socrate introduce la celebre analogia dello specchio: se l'uomo fosse un occhio, per vedere
dovrebbe guardare in un altro occhio, in quanto potrebbe vedere un suo riflesso nella
pupilla, che ne è la parte migliore. Così come è possibile per un occhio rispecchiarsi in un
altro occhio, la nostra anima può trovare in un'altra anima uno specchio che le permetta di
vedere se stessa:
L’anima, se vuole arrivare a conoscere se stessa, deve guardare fisso in un’altra anima, e in
particolare a quella parte di essa nella quale dimora la virtù dell’anima, cioè la saggezza, oppure
deve guardare a qualcos'altro al quale questa parte dell'anima possa per caso rassomigliare [...]
Possiamo dire che c'è una parte dell'anima più divina di quella nella quale dimorano le funzioni
della conoscenza e del pensiero? […] questa parte dell’anima ha somiglianza col divino; chi fissa
lo sguardo su di essa ha piena conoscenza del divino, intelletto e pensiero, e così potrà avere anche
completa conoscenza di se stesso (Alc. I, 133b-c).
di virtù tra due anime, che avviene la conoscenza di sé. Questa, quindi, avviene per via
indiretta tramite un oggetto che svolge il ruolo dello specchio, che non è altro che un'anima
simile alla nostra, in particolare la parte migliore di quell'anima, che è quella in cui risiede
la virtù. La virtù, cioè la saggezza, risiede per Socrate in quella parte dell'anima in cui
27
dimorano le funzioni della conoscenza e del pensiero. Secondo queste parole il rapporto
interpersonale, che implica il dialogo tra due anime, è un passaggio fondamentale che
avvenga attraverso la presenza di un'altra persona, in questo caso l'amante, potrebbe farci
pensare che essa costituisca essenzialmente uno strumento funzionale all'avvio di tale
essa. In altre parole, l'occhio che guarda la pupilla di un altro occhio per vedere se stesso,
di fatto non vede l'occhio che sta guardando, e neanche la pupilla, ma se stesso. Allo stesso
modo, un'anima che guarda in un'altra anima non vede l'altro, ma il riflesso di sé. Wohl
insiste su questo aspetto narcisistico e conclude che l'altro diviene irrilevante, in quanto la
sua autonomia e alterità sono funzionali al suo essere specchio: è come se l'altro
Se, per quanto riguarda la conoscenza di sé, tale interpretazione ci offre una
prospettiva interessante, essa si concilia più difficilmente con le considerazioni svolte già
sopra13 a proposito della cura di sé: i complessi aspetti del rapporto tra la relazione erotica
presente all'interno della relazione “a doppio ruolo”), rende difficile pensare all'altro come a
12 Cfr. Victoria Wohl, The Eye of the Beloved: Opsis and Eros in Socratic Pedagogy, in Marguerite
Johnson, Harold Tarrant, Alcibiades and the Socratic Lover-Educator, London, Bristol Classical Press,
2012, p. 46.
13 Vedi supra, pp. 19-20.
28
contesto per un possibile rispecchiamento dell'anima dell'amante in quella dell'amato, eros
offra le condizioni per l'avvio di un comune percorso di crescita e di cura di sé, che
riguarda allo stesso modo entrambi gli individui coinvolti e che, per progredire, si nutre
della fecondità della relazione stessa. In questo senso, il processo di conoscenza e cura di
elemento essenziale per un progredire comune e per il mantenimento dello stato emotivo
quello del riferimento al divino presente nel passo citato: François Renaud, in un suo
articolo, riduce la maggioranza delle interpretazioni che ne sono state date a due di segno
direttamente legata a dio, fa leva sia sul passo appena citato che su un altro successivo in
cui Socrate dichiara che: «con lo sguardo fisso in dio, avremo in lui lo specchio più bello in
cui si riflettono le cose umane che mirano alla virtù dell'anima, e così nel modo migliore
potremo vedere e conoscere anche noi stessi» (Alc. I, 133c). Chi sostiene l'inautenticità
dell'Alcibiade I ne vede una prova in questo passo, poiché l'idea di un dio che illumina
l'anima sarebbe più neoplatonica che platonica, e in ogni caso non socratica14. Se il passo di
133c è in realtà ritenuto un'interpolazione anche da parte dei difensori dell'autenticità del
dialogo, in quanto non presente nei manoscritti platonici 15, nel contesto si ritrovano altri
sostenere che non solo la conoscenza dell'anima è legata a dio, ma coincide con quella di
29
dio. A questo proposito Renaud precisa però che l'anima è detta “simile” al dio, non
coincidente con esso: «Dio, o il dio, non è semplicemente il “divino in noi”, ma è altro e
riferimento al divino, sostiene invece la centralità della necessità del dialogo con gli altri
come ciò che permette l'introspezione diretta e la coscienza immediata di se stessi. Sassi fa
notare che:
Il richiamo al “divino” su cui fissare lo sguardo (anche in 134d) può fungere semplicemente da
caratterizzazione di quella componente più nobile dell’anima umana che è la facoltà di pensiero
[...] Quel che più conta è che nel complesso il discorso appare sostenuto da una concezione
“umanistica” o “dialettica”: l’accento cade sull’interazione tra individui le cui capacità cognitive si
rispecchiano reciprocamente, così da destare e alimentare pensieri creativi 17.
rapporto erotico che abbiamo visto emergere in questo dialogo, in cui l'eros socratico ha
analizzandone il rapporto con la conoscenza e la cura di sé, muovendosi sul piano umano
dell'emotività.
Nel prossimo capitolo cercheremo di capire come questo e gli altri aspetti dell'eros
30
socratico siano stati assorbiti e rielaborati da Platone, e lo faremo basandoci sui dialoghi
del Fedro e del Simposio, nei quali emerge quella che è ritenuta la dottrina platonica
dell'eros.
31
2. IL SIMPOSIO:
Analizzando l'Alcibiade I abbiamo mostrato che l'eros socratico può essere visto
come un mezzo che permette la conoscenza di se stessi, favorendo quel particolare tipo di
relazione che invita gli individui ad assumere uno sguardo introspettivo. Tale conoscenza
si lega naturalmente alla cura di sé, in quanto comporta la consapevolezza della necessità
di migliorare le condizioni della propria anima. Nel Simposio e nel Fedro viene mantenuto
il ruolo di eros, ma l'oggetto della conoscenza cambia, poiché questi due dialoghi
presentano al loro interno elementi propri della ricca filosofia platonica, che rispetto a
quella socratica è caratterizzata da riferimenti ontologici che gettano una luce diversa sia
stato detto come questa anima sia strutturata e come si possa nei fatti prendersene cura.
Tali aspetti vengono approfonditi in questi dialoghi, dove eros è fondato filosoficamente
come via che il filosofo ha da percorrere per conquistare la sapienza. Eros diviene
fondamentalmente “mediatore” tra due mondi, dotato della capacità di elevare l'anima dal
mondo sensibile, dell'apparenza, a quello vero e reale delle Idee, dove si possono cogliere
le verità che permettono al filosofo di vivere una vita basata sull'autenticità. Questa
attenzione per il “modo di vivere” è un elemento che Platone riprende dal maestro:
32
delle Idee è ciò che gli permette di vivere una vita degna di essere vissuta, di vivere
“bene”. La stessa forma della produzione letteraria di Platone, il dialogo, può essere vista
in continuità con il dialogare che caratterizzava l'attività socratica, forse un modo per
cercare di suscitare nel lettore l'effetto che Socrate aveva sui suoi interlocutori.
umano, in Platone diviene un percorso che porta l'individuo verso l'alto, verso una realtà
fondamentale per il filosofo. La funzione decisiva che l'eros socratico svolgeva dal punto
raggiungimento del mondo delle Idee favorisce la riscoperta della propria vera natura, e
percorsi filosofici hanno come scopo uno stato di comprensione che permette di vivere una
ruolo decisivo delle emozioni nel processo di confutazione 18. Abbiamo visto che il metodo
d'indagine socratico non giunge di fatto ad una definizione stabile dei concetti che si
nella sua realizzazione sul piano etico e pratico 19, nella cura di sé, nella purificazione
33
l'interlocutore a scoprire dentro di sé la saggezza. Tale saggezza (phronesis) socratica è
tanto una forma di conoscenza quanto una pratica, un esercizio che si concretizza nella
cura dell'anima. Questa svolta introspettiva favorita da eros e il suo legame con la cura
nous, la facoltà razionale capace di cogliere tale realtà intelligibile. Inoltre, si fa strada una
più complessa teoria dell'anima. Entrambe le filosofie prevedono una svolta conoscitiva:
prevedono una cura dell'anima: da un lato si prevede una svolta introspettiva volta a
riscoprire la saggezza interiore, dall'altro si chiama in causa una realtà trascendente, sede
della verità, che può essere colta elevando la propria anima verso l'alto.
L'eros socratico viene ripreso ed inserito da Platone nella propria filosofia con la
funzione di impulso emotivo che dispone l'anima nelle condizioni di poter contemplare le
Idee. Nell'individuo che compie l'ascesa, così come per l'individuo che scopre la propria
2. Il Simposio
Il Simposio è uno dei due dialoghi erotici che Platone scrive nel periodo della
maturità, intorno al 380 a.C., nel quale compaiono elementi peculiari della sua filosofia,
che ne mostrano il distacco rispetto a quella socratica. L'elemento più importante, come
34
abbiamo già accennato, è l'introduzione di un Bello ideale, più precisamente il riferimento
alle Idee. Platone rivisita il concetto di eros alla luce della peculiare dimensione ontologica
che caratterizza la sua filosofia: egli l'ha in mente quando presenta, nel Simposio, per la
prima volta, la sua dottrina erotica. Questo dialogo è l'unico che ruota intorno ad eros come
unico tema centrale, dato che il Fedro, l'altro principale dialogo erotico di Platone,
intreccia ad esso altri temi, come la retorica e l'immortalità dell'anima, che, anche se
banchetto a casa di uno dei protagonisti, il poeta Agatone, di cui viene così celebrata la
vittoria nell'agone tragico in occasione delle feste Lenee. In particolare, Platone mette in
scena la parte finale del banchetto, il “simposio” appunto, in cui i presenti erano soliti bere
eros.
della concezione platonica dell'eros, poiché presenta una prima parte in cui cinque
espongono in stile encomiastico le loro teorie su eros, e una parte successiva in cui Socrate
sull'amore. Non abbiamo, quindi, un dialogo strutturato con brevi domande e risposte in
tipico stile socratico, ma troviamo per lo più discorsi lunghi pronunciati dai diversi
protagonisti. Ognuno dei discorsi che precedono quello socratico abitua il lettore alla
riflessione sul tema dell'amore e anticipa spunti utili alla comprensione della teoria poi
esposta da Socrate, che si fa in questo caso portavoce della dottrina erotica di Platone.
Le parole che Socrate pronuncia, oltretutto, non sono presentate come il frutto di una
35
sua riflessione autonoma, ma, come la riproposizione di un insegnamento ricevuto da una
Socrate sulle questioni erotiche. Si tratta di una mossa che Platone compie probabilmente
per attribuire una maggiore credibilità alla dottrina presentata, dato che una sacerdotessa è
una figura la cui sapienza viene direttamente ricondotta a qualcosa di divino, più alto e
perfetto.
Come abbiamo detto, la teoria erotica di Platone si pone sulla scia del pensiero
socratico. Tuttavia, Platone vede l'eros presente nella relazione d'amore tra due individui
come un aspetto particolare di un più generale eros, che egli definisce come desiderio di
possedere il bene e possederlo per sempre (Symp. 206a). Come abbiamo anticipato, prima
di far esporre la sua visione erotica per bocca di Socrate, Platone fa presentare cinque
discorsi di elogio nei confronti di eros da esponenti dei vari campi del sapere
contemporaneo. Passiamo velocemente in rassegna gli aspetti di tali discorsi che sono in
qualche modo connessi con la nostra indagine sul collegamento tra eros e conoscenza.
Nel primo discorso, quello di Fedro (Symp. 178a-180b), che riporta la voce della
morale tradizionale, vediamo che prima di tutto amore è un dio, e ritroviamo quegli
elementi caratteristici delle relazioni pederastiche diffuse ad Atene a cui abbiamo fatto
riferimento nel primo capitolo20 per contestualizzare la figura di Socrate come amante-
filosofo:
20 Vedi supra, p. 7.
36
Ciò che deve servire da guida per tutta l'esistenza agli uomini che intendono vivere degnamente,
né la parentela è in grado di installarlo né gli onori né la ricchezza né altra cosa alcuna se non
l’amore. E cosa intendo con questo? Vergogna di fronte a ciò che è brutto, aspirazione alle cose
belle, senza le quali né città né individuo possono compiere imprese nobili e grandi. Affermo anzi
che un uomo innamorato, se fosse colto a commettere un’azione riprovevole oppure subirla senza
reagire per mancanza di coraggio, non si cruccerebbe di essere visto da suo padre o dai suoi amici o
da chiunque altro quanto dal suo amato. E possiamo notare che lo stesso vale per l’amato, che sente
vergogna soprattutto di fronte all’amante, se lo si scopre immischiato in qualcosa di brutto. Così se
si potesse fare in modo che una città o un esercito fossero esclusivamente composti di amanti e di
amati, si realizzerebbe il miglior governo possibile in quanto essi si asterrebbero da qualsiasi
azione riprovevole e gareggerebbero in reciproca emulazione; e combattendo gli uni accanto agli
altri, anche in pochi avrebbero la meglio, oserei dire, su tutta l'umanità (Symp. 178c-179a).
Nelle parole di Fedro viene sottolineata la capacità di eros di aiutare gli uomini a
instaura tra amante e amato. Il nucleo del suo discorso è costituito dalle conseguenze
etiche, ovvero dagli effetti buoni e utili che eros produce su coloro che sono coinvolti nella
lato ispira azioni coraggiose e onorevoli, dall'altro porta entrambi i membri del rapporto ad
astenersi dal compiere azioni che li potrebbero far vergognare. Nella società greca, ciò che
conta è la visibilità dell'azione, che viene ritenuta virtuosa in base a parametri di giudizio
vergogna ci riportano alle riflessioni che abbiamo fatto nel primo capitolo a proposito del
ruolo di tale emozione nella confutazione socratica, e mostrano che all'interno della
tradizione greca vi era una certa consapevolezza del forte legame presente tra eros e
37
vergogna21. Benché Socrate sfruttasse questo legame per ottenere maggiore effetto
sull'anima del suo interlocutore, abbiamo già precisato gli aspetti fondamentali che nella
relazione erotica che Socrate instaurava con i suoi giovani discepoli non aveva lo scopo di
intendeva porre le basi di una vita buona e autentica proprio mettendo in discussione tale
morale. La vergogna e il suo legame con eros erano sfruttati dal filosofo per favorire la
svolta verso l'interiorità, che abbiamo visto stare alla base della conoscenza e della cura di
sé.
Nel discorso di Fedro la vergogna non sembra avere tuttavia un ruolo positivo nei
confronti della cosiddetta “svolta verso l'interiorità”, non compare il legame con una virtù
interiore, con la saggezza filosofica, ma il parametro con cui è misurata tale emozione è il
punto di vista dell'altro, dell'amante, che non fa altro che rispecchiare i valori diffusi nella
cultura ateniese. Il vantaggio offerto dalla relazione amorosa agli innamorati sta in una
altre parole l'obiettivo finale dell'eros non è la “vita nobile” o virtuosa come per l'eros
socratico. Viene mantenuta la visione di eros come una potente forza motivazionale che è
persona innamorata, ma ciò a cui si cerca di adeguare la propria condotta non è un alto
ideale di saggezza filosofica, bensì solamente l'aspettativa di una società i cui valori
fondamentali sono onore e ricchezza. E questo a patto che l'amante sia veicolo di tali
valori: Fussi fa notare che quello che Fedro sta proponendo è di fatto un desiderio di
soddisfare le aspettative dell'amante, qualsiasi esse siano, solo per non provare vergogna
38
nei suoi confronti. Se si tratta di compiere azioni eclatanti ma per niente nobili e virtuose,
possiamo pensare che l'amato sarebbe disposto a compierle. Tuttavia, secondo Fussi, Fedro
non intende proporre una tale concezione relativistica dell'eros: la sua convinzione di
fondo è che eros possa portare l'amato a compiere azioni nobili anche se in contrasto con la
propria natura22.
corretti di fronte agli occhi dell'amante, è inserita in un contesto di asimmetria 23 tra amante
e amato, e trova conferma là dove si dice che gli dei mostrano maggiore ammirazione per
atti compiuti per amore da parte dell'amato nei confronti dell'amante, piuttosto che il
contrario, «essendo l'amante, in quanto è invasato dal dio, cosa più divina dell'amato»
(Symp. 180b). Fedro richiama l'esempio di due personaggi omerici, Achille e Patroclo, in
cui il sacrificio di Achille per il suo amante viene notevolmente onorato e ricompensato
dagli dei, proprio perché, inaspettatamente, proveniente da un amato nei confronti del suo
amante. Il punto principale di questa asimmetria è costituito dal fatto che l'amore
dell'amante proviene direttamente dal dio, mentre quello dell'amato sembra avere una
ragione diversa.
amato: il primo ama il secondo per la sua bellezza ed è in preda al sentimento amoroso,
mentre il secondo è mosso da vanità, vuole di fatto compiacere l'amante e ottenere il suo
apprezzamento24. Achille, in qualità di amato, ha sacrificato la sua vita non per salvare il
suo amante, o poter stare con lui, ma solamente per vendicare la sua morte, in nome
dell'onore.
22 Cfr. Fussi, The desire for recognition in Plato's Symposium, in Arethusa 41, 2008, p. 245.
23 Cfr. ivi, p. 243.
24 Cfr. ivi, p. 247.
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La condizione di asimmetria evocata nel discorso di Fedro assorbe inerzialmente una
visione tradizionale, ma ricorda quella che si pone a proposito del rapporto tra Socrate e
Alcibiade nell'Alcibiade I25. In questo caso, la simmetria sembra venir meno per volontà
del filosofo, che si preoccupa di porsi sullo stesso piano di Alcibiade dicendogli che
entrambi, allo stesso modo, necessitano di ricevere un'educazione (Alc. I, 124b-c). Ora, la
mitigazione di questa simmetria è peculiare dell'eros socratico e si spiega con l'idea che sia
relazione d'amore.
La valenza educativa dell'amore emerge anche dal discorso di Pausania (Symp. 180c-
185c), per il quale esistono specie migliori e specie peggiori d'amore. In questo discorso
emergono lati negativi di eros che non erano stati presi in considerazione da Fedro, per il
dell'eros paidikos, ovvero del rapporto insieme erotico e educativo istituzionalizzato nella
città greca Atene, e distingue un tipo di amore ispirato da Afrodite volgare e uno ispirato
da Afrodite celeste:
Ed è ignobile quell'amante volgare che si innamora piuttosto del corpo che dell'anima; e del
resto non può essere nemmeno costante, giacché è innamorato di qualcosa che costante non è. Non
appena appassisce il fiore del corpo, di cui era innamorato, s'invola lontano, smentendo tanti
discorsi e tante promesse; ma chi si innamora di un nobile carattere, ne resta amante per tutta la
vita, in quanto si fonde a cosa che resta. […] Tale è l'amore della dea celeste, e degno di sommo
onore così da parte della collettività come dei singoli, in quanto costringe sia l'amante che l'amato a
tendere alla virtù con tutte le loro energie, ognuno per la sua parte. Tutti gli altri generi d'amore
appartengono all'altra, alla dea volgare (Symp. 183d-185c).
40
Per Pausania i due tipi di amore diversi corrispondono a due tipi di amanti diversi.
Vi sono quelli ispirati da Afrodite volgare, che, amando sia uomini che donne, prediligono
l'appagamento fisico. Agli amanti ispirati da Afrodite celeste, invece, corrisponde un tipo
di amore che coinvolge solo gli uomini. Si tratta della relazione omoerotica in cui l'amante
prova amore per l'anima piuttosto che per il corpo, e che è finalizzata alla trasmissione
della sapienza. Mettendo in luce la superiorità delle relazioni omoerotiche rispetto a quelle
tra uomini e donne, Pausania riflette il pregiudizio della superiorità maschile che era
diffuso nella società ateniese. Tuttavia, sottolineando i benefici intellettuali che un giovane
può ricavare da questo tipo di rapporto, presenta spunti di riflessione comuni alla teoria
erotica che Platone espone nel Fedro26: la figura dell'amante virtuoso descritto da Pausania
è molto vicina a quella del filosofo educatore inteso come colui che può guidare il ragazzo
Nel passo citato, Pausania dice anche che il sentimento di chi ama l'anima è destinato
a rimanere costante in quanto ama ciò che non muta. Questa affermazione, insieme alla
distinzione tra un tipo di amore rivolto all'anima e uno rivolto al corpo, non possono non
farci pensare al passo dell'Alcibiade I in cui Socrate fa notare ad Alcibiade come lui sia
l'unico tra i suoi corteggiatori ad essere rimasto al suo fianco (Alc. I, 131c-d), mentre tutti
gli altri si sono allontanati una volta che la sua bellezza corporea ha cominciato a svanire 27.
è l'anima che costituisce quella che è l'essenza dell'uomo. Anche nella concezione erotica
41
di Platone, come vedremo più avanti, l'anima è posta su un piano più alto rispetto al corpo
corporea è una tappa necessaria del progresso del filosofo verso la virtù.
(Symp. 185c-188e), il cui intervento segna una rottura significativa rispetto a quelli dei due
oratori precedenti. Il medico amplia il raggio di azione di eros, spostandosi dal piano delle
azioni dell'uomo al piano cosmico. Egli descrive eros come una forza cosmica che genera
attrazione e desiderio in esseri dissimili, e genera accordo e armonia fra gli opposti. Questo
medica, piuttosto che eros. La medicina è definita la scienza delle «inclinazioni amorose a
riempirsi e a vuotarsi» (Symp. 186c) e il medico aggiunge che «colui che riesce a
distinguere, all'interno di queste inclinazioni, fra l'amore bello e l'amore brutto, questo è
Alla luce di questa definizione, eros sembra essere un flusso che attraversa l'anima
che riesce a rendere concordi gli elementi contrari del corpo. Il medico spiega che secondo
il medesimo principio agisce anche la musica, che crea armonia fra i suoni discordi,
l'astronomia da cui dipendono le stagioni, la ginnastica che conserva e produce ciò che nel
corpo permette di ottenere la salute, l'agricoltura, che consiste nell'infondere eros buono
nelle piante per farle crescere correttamente, e infine la mantica, che ha il compito di
custodire e curare eros per garantire il rapporto fra gli dei e gli uomini.
non è più considerato all'interno del rapporto fra due individui, ma è posto su uno piano
42
molto più generale, come una forza, un'energia che genera equilibrio e armonia. Benché la
dottrina platonica dell'eros che emergerà più avanti nel dialogo si distacchi nelle sue linee
percorso in cui eros è diretto verso oggetti via via sempre meno fisici e più generali.
flusso. Benché Platone nel Simposio non si esprima in questi termini, è da ricordare a
questo proposito l'interpretazione dell'eros platonico come flusso del desiderio, proposta da
ripresa da vari studiosi e di cui ci serviremo ampiamente più avanti per gettare luce sulla
connessione tra eros, educazione e dialettica in Platone, ma è il caso di notare già qui che
caratterizzazione di eros.
Erissimaco segue il poeta comico Aristofane (Symp. 189a-193e), nel cui discorso è
contenuto quello che è divenuto uno dei passi più celebri del Simposio, ovvero
racconto per spiegare la genesi di eros, narrando che l'umanità era originariamente divisa
in tre specie: uomo, donna e androgino. Ognuno di essi possedeva un corpo rotondo con
due braccia, due gambe e due volti rivolti in direzioni opposte. Ad un certo punto queste
43
creature, ambiziose e dotate di grande forza, iniziarono a cospirare contro gli dei per
prenderne il posto, così Zeus decise di tagliarle a metà al fine di renderle più vulnerabili.
Una volta separati, questi esseri cominciarono a cercare la propria metà perduta, senza
darsi pace fino a che non l'avessero trovata, e soffrendo terribilmente per l'impossibilità di
potervisi riunire. Così Zeus, impietosito, avrebbe spostato i genitali in modo tale che fosse
per loro possibile unirsi di nuovo, dando così vita alla natura umana attuale.
Secondo il mito, l'amore omossessuale deriva dalla riunificazione delle creature che in
origine erano costituite dall'insieme di due uomini o due donne, mentre l'amore
eterosessuale discende dall'androgino che, per metà donna e per metà uomo, ricerca il
proprio corrispondente in una metà di genere opposto. Sulla base di tale storia, Aristofane
offre l'importante tesi per cui eros è desiderio di interezza, bisogno di riappropriarsi di ciò
di cui si è privi.
seguito, definendo eros come amore di ciò di cui si è mancanti (Symp. 200e). Questa
riflessione emerge nel momento del dialogo in cui Socrate sta confutando la tesi sostenuta
dal poeta Agatone, l'ultimo dei partecipanti al simposio a pronunciare il suo elogio nei
banchetto, sostiene la necessità di definire eros prima di passare ad elogiarlo (Symp. 194d-
195a). Si tratta di un atteggiamento che, dal punto di vista metodologico, Socrate approva,
definizione di ciò di cui si va a parlare (Symp. 199c; Fedro 237c). Agatone definisce,
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dunque, eros il più beato, il più bello ed il più insigne fra gli dei (Symp. 195a),
giovani» (Symp. 195b) e tenero, poiché si muove tra le cose più tenere, ovvero tra le anime
degli uomini, e in particolare, ancora, tra di esse si insedia in quelle dal carattere più tenero
(Symp. 195e). Descrive poi le virtù di cui si costituisce la natura di eros, ossia la giustizia,
non violento con cui opera, la sua temperanza nella capacità di dominare desideri e piaceri,
mentre la sua sapienza consiste nella poesia e nella creatività. Agatone, da letterato quale è,
sottolinea proprio la capacità di eros di rendere poeti gli uomini e lo definisce «creatore
valente in ogni creazione che attiene alle Muse» (Symp. 196e): è sotto il suo influsso,
infatti, che sono state inventate le arti e la poesia. Su questa scia Agatone accenna al ruolo
decisivo dell'amore nella procreazione, nella nascita e nella crescita di tutti gli esseri
viventi, anticipando così una delle questioni che Socrate affronterà prendendo la parola
Infine, il poeta afferma che eros è quel dio che possiede la capacità di ristabilire la
pace e l'amicizia, ma soprattutto afferma che esso possiede una natura fluida che gli
permette di entrare e di uscire di nascosto dall'anima (Symp. 196a). Questo riferimento alla
sua fluidità è, insieme alla definizione di eros data da Erissimaco, un altro accenno
4. Il discorso di Socrate
Come abbiamo già accennato, nel confutare la tesi di Agatone Socrate riprende uno
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secondo luogo amore di ciò di cui si ha mancanza» (Symp. 200e). Quando proviamo un
essere desiderato, dev'essere un oggetto che ancora non possediamo. L'unico modo in cui
quel medesimo oggetto nel tempo, cioè possederlo per sempre, e vedremo tra poco che
Socrate rifletterà sulla questione per cui questo “per sempre” si sposa male con la natura
Con un breve “botta e risposta” Agatone e Socrate hanno quindi concordato che eros
è desiderio di qualcosa che non si possiede, e sulla base di questo Socrate può subito
dimostrare ad Agatone che eros non è né buono né bello (Symp. 201c), come invece lui
aveva sostenuto, perché non potrebbe altrimenti essere né desiderio di possedere il bene, né
desiderio nei confronti della bellezza. Agatone non riesce a controbattere a queste
affermazioni di Socrate, e, dopo essere stato così confutato lascia la parola a Socrate, che a
sua volta introduce la figura di Diotima, la sacerdotessa che lo avrebbe iniziato alle
questioni d'amore, ricordando che gli argomenti che ha utilizzato per confutare Agatone
sono gli stessi che la sacerdotessa ha utilizzato un tempo nei suoi confronti, dopo che
Socrate stesso aveva pronunciato a proposito di eros un discorso più o meno simile a
probabilmente fittizia, una figura nata dalla penna di Platone per rivestire il ruolo di
un'autorità superiore come portavoce della propria teoria. Essendo una profetessa, infatti, è
possibile attribuirle un tipo di saggezza divina. È dalla conversazione avuta con Diotima
bello. Tuttavia, la sacerdotessa corregge Socrate quando replica che eros sarebbe allora
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brutto e cattivo, rivelandogli che si tratta di una figura intermedia. Egli non è un dio, come
il filosofo pensava, ma un demone, un essere dotato di una natura sia umana che divina
(Symp. 202e). Questa natura demonica gli permette di situarsi in una posizione intermedia
di interprete e di messaggero degli uomini agli dei e dagli dei agli uomini: trasmette le preghiere
e i sacrifici degli uni, e da parte degli altri i comandi e la restituzione di favori per i sacrifici
ricevuti; e poiché sta nel mezzo fra dei e uomini, colma lo spazio intermedio in modo che l'insieme
resti saldamente connesso in tutte le sue parti. Nella sfera del demonico si svolge tutta la pratica
divinatoria e l'arte dei sacerdoti in relazione ai sacrifici e alle iniziazioni e agli incantesimi e a ogni
genere di profezie e di magia. Gli dei non hanno contatti con gli uomini, ma attraverso il demonico
si realizza ogni rapporto e ogni colloquio degli dei con gli uomini, desti o addormentati. […] Di
questi dèmoni ce ne sono molti e svariati, e Amore è uno di essi (Symp. 202e-203a).
verranno delineate le tappe dell'ascesa che può condurre il filosofo dal mondo terreno a
quello ideale: eros è proprio ciò che favorisce via via il progredire dell'iniziato in questo
percorso. Inoltre, eros è metaforicamente accostato proprio alla figura del filosofo:
agli dei. In questo senso il filosofo si trova in una continua tensione verso il
raggiungimento di una condizione sempre più perfetta, che, tuttavia, non può raggiungere.
Per spiegare ancora meglio la natura di eros, Platone ricorre ad una narrazione mitica
della sua discendenza: egli venne concepito durante il banchetto organizzato per
festeggiare la nascita di Afrodite grazie all'unione tra Por o, il cui nome sta per
“espediente” o “ingegno”, e Penia, che indica “povertà”. Tale unione è avvenuta per
volontà di Penia, che, vedendo Poro addormentato sul prato, ubriaco per aver bevuto
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troppo nettare, ne approfittò per distendersi accanto a lui e concepire eros. Il fatto che eros
sia stato concepito il giorno della nascita di Afrodite spiega perché sia ritenuto un suo
seguace, e la bellezza di Afrodite è considerata ciò che rende eros “amante del bello”.
Vediamo anche che eros eredita dai genitori delle precise caratteristiche:
Perciò, in quanto figlio di Poro e Penia, Amore si trova in questa condizione: in primo luogo è
sempre povero e tutt'altro che tenero e bello, come invece ritengono i più, anzi è aspro, incolto,
sempre scalzo e senza casa, e si sdraia sulla terra nuda, dormendo all'aperto davanti alle porte e per
le strade secondo la natura di sua madre, e sempre accompagnato dall'indigenza, invece per parte di
padre insidia i belli e i virtuosi, in quanto è coraggioso e ardito e veemente, e cacciatore astuto,
sempre pronto a tessere intrighi, avido di sapienza, ricco di risorse, e per tutta la vita innamorato
del sapere, mago ingegnoso e incantatore e sofista; e non è nato né immortale né mortale […] non è
mai né povero né ricco, e d'altra parte sta in mezzo fra la sapienza e l'ignoranza (Symp. 203c-e).
Vediamo così che da Poro eros ottiene l'intelligenza e da Penia uno stato
connaturato di mancanza: una mancanza che abbiamo visto essere all'origine del desiderio
E c'è chi dice che coloro che amano vanno in cerca della metà di se stessi; ma io dico che
l'amore non è amore né della parte né dell'intero, nel caso che, amico mio, non sia effettivamente
un bene, dato che gli uomini si lasciano tagliare volentieri e piedi e mani, se si avvedono che le loro
membra sono mal ridotte. Non ciò che gli è proprio, credo, ognuno ama, a meno che uno non
definisca il bene come “proprio” e “personale”, e il male come “estraneo”. In realtà gli uomini non
amano che il bene (Symp. 205d-206a).
Identificare eros come desiderio di completezza non esaurisce il modo in cui gli
individui amano, non è qualcosa di universale: capita che si decida di rinunciare a parti del
proprio corpo perché malate e dannose per noi, andando contro il desiderio di interezza, di
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completezza. In un'acuta analisi di questo passo Fussi sottolinea che queste considerazioni
rimandano alla distinzione tra il desiderare qualcosa sulla base del piacere che si pensa di
trarne o del dolore da cui ci si crede di poter liberare, e il volere qualcosa perché lo
dell'anima che peraltro nel Simposio non viene ancora teorizzata in maniera chiara e
completa. Piuttosto va fatto riferimento ad un passo del Gorgia in cui si sostiene che la
maggior parte della gente, di fronte alla scelta tra un medico che propone cure dolorose ma
benefiche e un cuoco che propone cibi appetitosi ma dannosi, non sarebbe pronta a
scegliere la prima alternativa (Gorg. 465b-d). Questo mostra un conflitto tra una parte
dell'anima, l'epithymia (che ci occuperemo più avanti di descrivere nel dettaglio), che
razionale, che invece è in grado di discernere che cosa sia realmente bene e perseguirlo.
Riguardo alla maggior parte degli uomini Aristofane probabilmente non aveva del tutto
Per Platone, il ricongiungimento con ciò che ci manca avviene con la conquista della
verità, con la contemplazione delle Idee, che, una volta raggiunta, consente di agire
possiamo vedere “ciò di cui si è carenti” come la nostra vera natura, il nostro vero sé. Dalla
riflessione dello studioso emerge che la spinta erotica che caratterizza gli esseri umani non
è altro che il desiderio che ogni cosa diventi ciò che è: “il mio sé è quel che sono, ma che
allo stesso tempo non sono, è ciò che aspiro a diventare”31. Kosman fa notare che il nostro
29 Cfr. A. Fussi, Tempo, desiderio, generazione. Diotima e Aristofane nel Simposio di Platone, in Rivista di
storia della Filosofia, 2008, p. 14.
30 Cfr. ivi, p. 15.
31 Cfr. L. A. Kosman, Platonic Love, in W. H. Werkmeister (ed.) Facets of Plato's philosophy, Van
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non essere il nostro vero sé è causato dalla caduta nel mondo, dalla separazione tra realtà e
apparenza, tra mondo delle Idee e mondo delle manifestazioni sensibili. Seguendo questo
ragionamento siamo invitati a riconoscere eros come quella spinta divina che ci volge in
direzione della nostra vera natura che, a causa della nostra costituzione umana, ci è in
qualche modo lontana, non ci appartiene più pienamente. Inoltre, noi cerchiamo di ottenere
ciò di cui siamo carenti, tanto quanto invitiamo l'altro a fare lo stesso: eros è ciò con cui
vediamo l'altro non solo per come è, ma per ciò che può essere, e lo invitiamo a prendersi
cura di sé.
spiega ad Alcibiade che, se desidera che egli lo ami e resti al suo fianco, occorre che si
occupi di sé e che sia il più bello possibile nella sua anima 32. Abbiamo visto l'importanza, a
Alcibiade. Possiamo vedere l'esortazione a “prendersi cura della propria anima” come un
invito a recuperare la dimensione più autentica della propria anima. Molto probabilmente
Platone ha accolto nella sua filosofia questo aspetto di collegamento dell'eros con la verità,
identificando la funzione più propria dell'amore proprio nella mediazione tra mondo
sensibile e mondo ideale, in cui la contemplazione di quest'ultimo non sarebbe altro che il
conoscere o, come potremmo dire alla luce della teoria della anamnesi presente nel Fedro
corrispondente alla vera natura della nostra anima e di ciò che siamo.
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Questa conquista della verità da parte dell'anima, che si ottiene grazie ad eros, viene
accostata nel Simposio alla generazione: un aspetto di eros che già Agatone aveva
accennato33. Socrate sostiene che, desiderando di possedere il bene “per sempre” gli
uomini di fatto desiderano l'immortalità (Symp. 207a) ed è evidente che per gli esseri
umani, data la loro condizione mortale, raggiungere l'immortalità non è possibile, se non
lasciando tracce di sé, attraverso una qualche forma di generazione (Symp. 207d).
Si può vedere qui anche una ripresa del discorso di Fedro, poiché un modo in cui gli
modo che di tale onore resti memoria il più a lungo possibile: questo è quello che ha mosso
all'azione Achille quando ha deciso di sacrificare la sua vita per Patroclo. Diotima
interpreta gli esempi di sacrificio per amore presentati da Fedro come tentativi di ottenere
come gli uomini ambiziosi «sono investiti dalla veemente passione di diventare celebri e di
lasciare gloria immortale per l'infinito avvenire, e per questo sono pronti ad affrontare
qualsiasi pericolo ancor più che per i figli, e a dilapidare i propri beni e a sopportare
qualunque fatica e a morire a questo fine» (Symp. 208c-d). Fussi34 fa notare, richiamando la
trattazione dell'Etica Nicomachea (E.N. I, 1095b 22-30), di Aristotele, che l'onore, la fama,
il riconoscimento sociale che qui si ricercano sono cose che dipendono da qualcun altro a
cui viene delegato il potere di stabilire se siamo o meno in possesso di certe qualità. È
qualcosa che poggia sull'opinione, sull'apparenza, e questa è la ragione per cui Platone non
parlerà di questo tipo di amore quando fa esporre a Diotima la sua dottrina erotica, che,
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come vedremo più avanti, è caratterizzata da un progressivo distacco dall'apparenza
Per tornare al discorso di Socrate, dopo aver ripreso le parole di Fedro vengono
distinti due tipi di generazione: una che si ottiene tramite i figli e l'altra conquistabile con la
virtù. La prima è legata alla dimensione corporea, mentre la seconda è legata alla sfera
dell'anima:
Dal momento che l'amore consiste sempre in questo […] questa attività consiste nel partorire in
bellezza sia nel corpo sia nell'anima. […] Tutti gli uomini, o Socrate, concepiscono e nel corpo e
nell'anima, e una volta che siano giunti a una determinata età, la nostra natura desidera partorire
(Symp. 206b-c).
Questa riflessione non può non riportare alla mente la “maieutica” socratica, che era
la tecnica che Socrate nel Teeteto dice di utilizzare per portare alla luce la verità che ritiene
già presente nell'anima dell'interlocutore: ne abbiamo visto un esempio pratico nel primo
il quale Socrate conduce il suo interlocutore alla consapevolezza della propria ignoranza o
della falsità delle sue opinioni, l'arte maieutica è quella che permette al filosofo di far
scoprire ai suoi interlocutori verità preziose che essi non erano consapevoli di possedere
già.
proibito di generare» (Theaet. 150 c), e poco prima aveva detto in riferimento ai suoi
allievi: «da me non hanno imparato mai nulla, ma da loro stessi scoprono e generano molte
52
cose belle» (Theaet. 149a). Ricordando come sua madre Fenarete fosse un'abile e stimata
un dio: lei per le donne, io per i giovani nobili e per quanti sono virtuosi» (Theaet. 210 c-
d). Ritroviamo nel Simposio questa distinzione tra la generazione che avviene attraverso i
corpi e quella riguardante le anime. Anche in questa riflessione, possiamo pensare che
Platone sia debitore al pensiero e alla pratica filosofica del maestro, e possiamo leggervi il
tentativo di integrare questo dato nel proprio quadro concettuale, in cui istituisce una
connessione decisiva tra generazione e contemplazione delle Idee: questa diviene ancor più
evidente nel Fedro, in cui si afferma che il raggiungimento del mondo delle Idee può
avvenire attraverso l'anamnesi, che consiste nel portare alla luce qualcosa che è già
Nel Simposio si afferma prima di tutto che c'è uno stretto legame tra la generazione e
la bellezza:
la nostra anima desidera partorire; però non può partorire nel brutto, ma solo nel bello. E
l'unione di un uomo e di una donna è il partorire. Questa è cosa divina, e negli esseri mortali è cosa
immortale il concepire e il generare, che d'altra parte non possono realizzarsi nella disarmonia. E il
brutto è in disarmonia, il bello in armonia con tutto ciò che è divino. Dunque per la generazione
Bellezza è Moira e Ilitia. Di conseguenza quando ciò che è pregno si accosta al bello, diventa lieto
e per la gioia va in deliquio e partorisce e genera; quando invece si accosta al brutto, si fa torvo e
per il dolore si contrae e ne è respinto e torna indietro e non genera, ma soffre di dover trattenere il
feto. Pertanto l'essere pregno e ormai turgido è colto da grande eccitazione alla vista del bello,
poiché il bello libera chi lo possiede da una doglia immensa (Symp. 206c-d).
Il ruolo decisivo della bellezza è uno dei punti centrali della teoria erotica di Platone:
poiché la bellezza è in armonia con tutto ciò che è divino, permette che avvenga la
53
generazione, come desiderio di immortalità, che è per l'appunto, qualcosa di
esclusivamente divino. Vedremo tra poco che la scala amoris, ovvero il percorso d'amore
che il filosofo può compiere per raggiungere il mondo delle Idee, vedrà in ogni sua tappa
“amore del bello”, come credeva Socrate, bensì amore “della generazione e del partorire
nel bello” (Symp. 206e). Non resta che specificare che cosa accada di preciso quando ha
qualora incontri un'anima e bella e nobile e bennata, agogna intensamente e l'anima e il corpo e
subito con questo individuo si profonde in discorsi sulla virtù e su come debba essere un uomo
virtuoso e quali attività debba praticare, e si sforza di educarlo. Infatti, credo, venendo a contatto
con chi è bello e frequentandolo, partorisce e genera ciò di cui era pregno da tempo, e che sia
presente o lontano, lo ha sempre in mente e alleva il generato insieme con lui, al punto che simili
persone hanno fra loro una comunanza molto maggiore che se fosse comunanza di figli, e un
affetto molto più saldo, dal momento che hanno avuto in comune figli più belli e più immortali
(Symp. 208e-209c).
In questo passo Socrate parla dell'amore tra due anime “simili”, che condividono lo
stesso desiderio di divenire virtuose, e che trovano nella relazione erotica la possibilità di
realizzare il loro desiderio. Platone presenta una relazione idealizzata fra amante e amato
simile a quello che Socrate instaura con i suoi allievi: si tratta di una relazione in cui
l'oggetto dell'amore è l'anima piuttosto che il corpo, e in cui entrambi gli individui
coinvolti condividono la ricerca della virtù. In Platone però, come abbiamo già accennato a
54
che lo distingue da quello socratico, per cui l'amore che caratterizza la relazione erotica tra
in generale ogni desiderio del bene e della felicità si identifica per chiunque nel sommo e astuto
amore; ma di coloro che lo cercano per molteplici sentieri, attraverso gli affari o la ginnastica o la
filosofia, non si dice né che amano né che sono amati; coloro invece che tendono e si appassionano
a una certa forma particolare prendono il nome dell'intero, amore e amati e amanti (Symp. 205d).
Eros non si realizza esclusivamente nel sentimento presente tra i due individui
coinvolti in una relazione d'amore, ma è una forza desiderativa che può indirizzare
l'individuo per molteplici e distinte vie. La questione erotica in Platone si fa così più
profonda e complessa rispetto alla dottrina socratica, che si muoveva interamente sul piano
umano. L'eros di cui Platone parla nella scala amoris mostra subito aspetti di distinzione
rispetto a quello socratico: è una forza propulsiva che spinge e poi accompagna
l'innamorato lungo un percorso che lo conduce alla sapienza, agendo come una corrente
desiderativa che può essere variamente canalizzata all'interno dell'anima e che possiede la
capacità di elevarla dal mondo sensibile a quello ideale, dove potrà attingere alla verità
(Symp. 212b), e raggiungere quella sfera di esistenza che è l'unica in cui «la vita è per
L'ascesa del filosofo proposta nel Simposio è costituita da passaggi, gradini, tappe in
cui l'individuo prova amore per la bellezza di oggetti sempre più astratti, sempre più
lontani dalla dimensione fisica, fino a giungere ad un'ultima tappa in cui, come vedremo, la
dimensione emotiva che caratterizza il sentimento amoroso non è più chiamata in causa e
55
cede del tutto alla ragione. A questo proposito potremmo parlare di una “purificazione
dell'impulso erotico”38 e, adottando il modello proposto da Cornford nel suo lavoro già
citato, possiamo dire che eros come flusso del desiderio finisce per essere canalizzato
Questa interpretazione, secondo la quale eros non è più visto solamente come
sentimento, ovvero come qualcosa che appartiene alla dimensione emotiva dell'individuo,
ma come una corrente di energia che può essere variamente direzionata fra emotività e
ragione, è effettivamente una chiave interpretativa utile per la comprensione della scala
amoris.
Socrate dice, per l'appunto, che per giungere alla meta ultima è necessario che il
filosofo sia abbastanza “irrobustito e cresciuto” (Symp. 210 d). In questa espressione
possiamo leggere la necessità che il flusso di eros sia canalizzato il più possibile verso
realtà ideali, rinforzando e apportando energia a quella facoltà dell'anima che possiede
appunto la capacità di scorgere il Bello ideale. Benché nel Simposio non si parli della
struttura interna dell'anima e della possibilità di individuare al suo interno parti o aspetti a
cui attribuire distinte funzioni, come avviene invece nel Fedro e nella Repubblica,
vedremo che durante l'ascesa al mondo ideale entrano in gioco diversi fattori che è
possibile distinguere.
epistemologico, fra chi lo percorre e chi non lo fa, osservando che possiamo distinguere
38 Sassi, Eros come energia psichica, in Interiorità e anima, a cura di Migliori, Napolitano Valditara,
Fermani, V&P, Milano, 2007, p. 291.
39 Cfr. W. Detel, Eros and knowledge in Plato's Symposium, in Franz Steiner Verlag Stuttgart (a cura di),
Ideal and Culture of Knowledge in Plato, 2003, pp. 90-93.
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due meta-stati erotici che caratterizzano le diverse tipologie di amanti: l'eros che
caratterizza chi non intraprende l'ascesa può essere descritto come quello di chi prova
dire, della bellezza dell'altro. Non si trovano in questo stato solo coloro che, di fronte ad un
individuo che suscita loro desiderio fisico, non sono interessati a niente di più che
soddisfare fisicamente tale desiderio, ma anche coloro che amano gli onori e la fama: tutti,
allo stesso modo, non sanno e non riescono a raggiungere la consapevolezza che ci sono
ulteriori possibili stadi erotici. Per intraprendere l'ascesa, infatti, occorre avere una qualche
trasformazione del desiderio erotico in contemplazione per la bellezza della persona amata,
fisica.
Ad ogni gradino vengono introdotti oggetti d'amore sempre più lontani dalla sfera
Il passaggio da una tappa all'altra è favorita dall'intervento di tre diversi fattori, come
“amore”, ma che abbiamo visto non esaurire il concetto di eros platonico, un'altro è la
ragione, grazie alla quale si ottengono di volta in volta importanti conquiste cognitive, e
l'ultimo è la creatività, che si esprime per lo più nella creazione di discorsi capaci di
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Diotima, dopo aver detto a Socrate che difficilmente da solo sarebbe in grado di
“percorrere i gradini della visione suprema”, lo invita a seguirlo nella sua descrizione della
chi si dirige per la retta via, deve amare un determinato corpo e in esso generare discorsi belli e
poi riconoscere che il bello di ciascun corpo è fratello al bello di un altro corpo, e quando si deve
andare a caccia di ciò che è bello in apparenza, sarebbe troppo sciocco non ritenere che unica e
indifferenziata è la bellezza che alberga in tutti i corpi (Symp. 210a-210b).
L'ascesa prende inizio con l'amore che un individuo dirige nei confronti di un altro,
dal cui corpo è attratto. Ci troviamo quindi, inizialmente, su di un piano fisico, ma, come
livello un atto creativo, che consiste nella generazione di discorsi belli. Non viene
specificato il carattere dei discorsi che vengono creati, ma si pensa, anche sulla base del
fatto che qualche riga prima sono stati nominati Omero ed Esiodo, che possa trattarsi di
un'anticipazione di questo aspetto nel discorso che era stato pronunciato dal poeta Agatone,
che aveva proprio sottolineato la capacità di eros di rendere poeti gli uomini 40. Tuttavia
Agatone non aveva fatto riferimento alla bellezza come fattore decisivo per la creazione,
mentre abbiamo visto che Socrate sottolinea abbondantemente, nella prima parte del suo
discorso, il legame tra la bellezza e ogni tipo di generazione. Senza dubbio, i discorsi che
percorso del filosofo, una conquista cognitiva che permetta all'anima di elevarsi. Già in
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questo passo possiamo vedere che viene raggiunta una nuova consapevolezza: si riconosce
che la bellezza di un singolo corpo “è sorella” di quella di ogni altro corpo bello. Questa
importante conquista, che avviene attraverso l'attività della ragione, fa sì che l'eros inteso
non altro nel proprio orizzonte di riferimento, in quanto viene sciolto dal legame con ciò
che è puramente corporeo, e con una prima forma di “sublimazione”, si dirige “verso
Con questo passaggio l'amante può ascendere al gradino successivo, tappa in cui
E quando uno se ne sia reso conto, bisogna far sì che si innamori di tutti i corpi belli, e che
allenti la veemente passione per uno solo, giungendo a disprezzarla e a considerarla meschina, e
poi prenda a stimare la bellezza che è nelle anime come più preziosa di quella che è nei corpi, di
modo che, se l'altro è eccellente nell'anima ma possiede un ben modesto fiore di bellezza, sia
contento di lui e lo ami e ne abbia cura ricercando e partorendo discorsi capaci di rendere migliori i
giovani, affinché in seguito egli sia costretto a contemplare il bello che è nelle istituzioni e nelle
leggi e ad avvedersi che la bellezza in ogni sua parte nata da un solo parto (Symp. 210b-210c).
L'amore che prima era diretto verso la bellezza di un solo corpo, adesso è rivolto alla
bellezza che accomuna tutti i corpi belli, ritenuta superiore alla precedente, tanto che quella
abbastanza allenato da essere capace di spostare la sua attenzione dalla bellezza dei corpi a
quella dell'anima, con un passaggio accompagnato ancora una volta dal riconoscimento
della superiorità di questo tipo di bellezza rispetto a quella che veniva apprezzata
precedentemente. I giudizi negativi che l'anima formula via via in riferimento alle tappe
qualcosa di più “basso” a qualcosa di più “alto” anche da un punto di vista del valore e
59
della nobiltà della modalità con cui eros si esprime.
viene specificato che sono discorsi capaci di rendere migliori i giovani: possiamo pensare
che si tratti di discorsi con enfasi morale, o semplicemente intellettuali e confutatori, volti a
migliorare l'anima. Alla luce dello stretto legame tra elenchos socratico, emozioni e
Alcibiade, viene spontaneo pensare che anche in questa formulazione teorica Platone sia
debitore nei confronti del maestro e della sua pratica filosofica. Qualcosa di simile a ciò
che accadeva con l'elenchos socratico, infatti, sembra accadere anche qui: i discorsi hanno
ancora nell'ascesa, dirigendo il proprio amore verso oggetti via via più staccati dal
sensibile. Una volta compiuto questo passo, emerge ancora una volta un tipo diverso di
consapevolezza, una conquista cognitiva che consiste nel cogliere l'unità della bellezza
Alla luce di queste prime tappe dell'ascesa vediamo che Platone ripropone due volte
lo stesso schema: l'individuo prova prima di tutto “amore”, inteso come attrazione verso un
qualche oggetto, che è di fatto una forza, un impulso che egli avverte a livello emotivo.
produzione di discorsi che apre ad una conquista cognitiva decisiva affinché l'individuo
progredisca nella scala erotica. Sono tali chiarimenti cognitivi a conferire una maggiore
conoscenza e consapevolezza riguardo agli oggetti per cui l'individuo provava attrazione.
Dopo aver notato che si potrebbe pensare, sulla base di questo, che eros non sia in
grado di valutare gli oggetti a cui si rivolge, come se fosse una qualche cieca passione,
Moravcsik avverte che, in realtà, l'amore non viene indirizzato di volta in volta verso nuovi
60
e diversi oggetti in modo casuale, ma tiene in qualche modo conto della loro natura, ovvero
intellettuale41. Questa riflessione si connette facilmente a quegli studi che si sono occupati
valutative, dei giudizi di valore, che le emozioni portano con sé 42. Ritorneremo su questo
Per tornare alla scala amoris, resta da considerare l'ultimo livello dell'ascesa, quello
c h e conduce l'individuo alla sua meta ultima e che, a differenza dei precedenti, non
oggetti sempre più astratti avviene ancora una volta grazie ad un atto creativo, ma questo
E dopo le istituzioni essa lo conduca alle scienze, perché ora veda la bellezza delle scienze, e
guardando a un bello ormai molteplice, non sia più un individuo gretto e meschino che servendo
presso un solo padrone, come uno schiavo, agogna la bellezza di un fanciulletto o comunque di un
solo individuo o di una sola istituzione, ma rivolto ormai al grande mare del bello, partorisca in
virtù della speculazione molti e belli e magnifici discorsi e pensieri in un illimitato desiderio di
conoscenza finché, irrobustito e cresciuto in questa sfera, penetri in un'unica scienza siffatta, la
quale è scienza di un siffatto bello (Symp. 210c-d).
Questo passo mostra la più alta “sublimazione” di eros, che, pur essendo partito dalla
dimensione corporea, approda ad un livello in cui di corporeo non compare più niente. ll
41 Cfr. J. M. Moravcsik, Reason and Eros in the “Ascent”-Passage of the Symposium, in J. P. Anton – G. L.
Kustas, Essays in Ancient Greek Philosophy, State Univ. of New York Press, Albany, 1971, p. 294.
42 Vedi infra, pp. 115-117.
61
passaggio dalla contemplazione delle istituzioni a quella della bellezza delle scienze,
infatti, non prevede l'emotività: la produzione di discorsi che accompagna, ancora una
volta, l'ascesa verso l'alto, è frutto di un atto esclusivo della ragione. Dalla contemplazione
della bellezza delle scienze scaturisce la conquista cognitiva per cui si comprende, a livello
razionale, l'unità della bellezza di tutte le scienze, e i discorsi che vengono generati hanno a
che fare con un “illimitato desiderio di conoscenza”. Siamo così portati a pensare che il
prodotto di tale atto creativo coincida con la filosofia, dato anche che Platone afferma
spesso che in essa consiste l'attività più propria ed esclusiva della ragione.
Siamo giunti così al culmine dell'ascesa, dove finalmente l'individuo raggiunge la sua
Colui che sia stato educato fino a questo punto nell'amore, contemplando le cose belle una dopo
l'altra secondo la retta via, scorgerà all'improvviso, una volta giunto al termine ultimo delle cose
d'amore, un bello per sua natura meraviglioso, quello appunto o Socrate, in vista del quale sono
state sopportate tutte le fatiche precedenti (Symp. 210 e).
La meta del percorso erotico è la visione del Bello in sé, una bellezza che è di natura
precedenti: essa è divina, lontana dalla bellezza corporea e sensibile. Si presenta come una
un'“intuizione” e non di una conquista cognitiva come quelle che abbiamo visto fino a
questo momento, apre ad una delle questioni più spinose che gli studiosi platonici si sono
contemplazione delle Idee. Non si tratta di qualcosa ad opera della ragione, ma è qualcosa
62
intellettuale.
esiste perennemente e non nasce e non muore mai, e non aumenta e non scema, e inoltre non è
in parte bello e in parte brutto, né ora sì e ora no, né bello per un verso e brutto per un altro, né qui
bello e là brutto, e come se fosse bello per alcuni e brutto per altri; né d'altra parte il bello gli
apparirà come un volto o una mano o qualcos'altro che fa parte del corpo, né come un discorso o
come una scienza, e neppure gli apparirà risiedere in qualcosa di diverso da sé, come a dire in un
animale o nella terra o nel cielo o in qualche altro luogo, ma come qualcosa che è sempre in sé e
per sé e ha un'unica forma, con tutte le altre parti facenti parte di quello in un certo modo siffatto
che, mentre le altre cose nascono e periscono, esso non diventa in nulla né maggiore né minore e
non è soggetto a nessun evento (Symp. 211 a-c).
L'oggetto finale di eros è dunque la bellezza ideale, qualcosa che sta al di là del
mondo del divenire: il risultato dell'esperienza erotica è costituito da una verità che non si
trova su questo piano di realtà, ma nel regno dell'immutabile. La bellezza che è possibile
riscontrare sul piano sensibile, infatti, è imperfetta: anche se “partecipa” del Bello ideale e
rimanda ad esso, è una realtà soggetta al mutamento, ben distinta da ciò che è veramente
7. L'intervento di Alcibiade
Una volta conclusa l'esposizione della scala amoris da parte di Socrate, l'assetto del
che è stato definito un “anticlimax”. Dopo l'esposizione di una dottrina sull'eros filosofico,
il lettore viene trascinato all'interno dei meccanismi propri di un eros, quello di Alcibiade
per Socrate, che con esso sembra non avere proprio niente in comune. Alcibiade si presenta
63
improvvisamente, ubriaco, a casa di Agatone, anch'egli con l'intento di festeggiare la sua
vittoria nell'agone tragico. Una volta arrivato, viene invitato ad accomodarsi insieme agli
altri. Non nota subito la presenza di Socrate, ma non appena lo vede reagisce
energicamente, rivolgendosi a lui con parole che lasciano trapelare il burrascoso trascorso
dei due, il cui rapporto è ancora evidentemente caratterizzato da una certa gelosia di
Alcibiade nei confronti del filosofo. Alcibiade lo accusa, infatti, di essersi seduto accanto
ad Agatone, “il più bello tra i presenti”, proprio per infastidirlo e Socrate si rivolge al poeta
Vedi tu, Agatone, se puoi venirmi in aiuto: perché il mio amore per quest'uomo è diventato una
cosa seria. Da quando mi sono innamorato di lui, non mi è più consentito di rivolgere uno sguardo
o una parola a un'altra persona bella; altrimenti lui, pieno di gelosia e di invidia, si mette a fare
stranezze e mi insulta e poco ci manca che mi metta le mani addosso (Symp. 213c-d).
del filosofo, da gelosia e invidia: due elementi che, come vedremo più avanti analizzando il
Fedro43, sono estranei all'eros filosofico, ovvero all'amore che si instaura tra anime nobili.
dell'Alcibiade I, in cui il maestro e l'allievo erano giunti ad un accordo sancito dalle parole
noi oggi siamo vicini a fare uno scambio delle parti, Socrate; io prendo la tua e tu la mia. Da
oggi in poi non ci sarà modo che io non ti segua sempre come tu fossi un bambino, e che tu non mi
abbia visto vicino come tuo pedagogo […] da questo momento comincio a prendermi a cuore la
giustizia (Alc. I, 135d-e).
64
Il rapporto tra Socrate e Alcibiade, insieme erotico e educativo, che nell'Alcibiade I
sembrava concretizzarsi in una relazione di crescita in nome della filosofia, non ha dato i
Erissimaco a pronunciare un elogio nei confronti di eros così come hanno fatto gli altri
afferma che in presenza del filosofo non può lodare che lui (Symp. 214d). Tuttavia, nel
vero e proprio elogio di Socrate che segue, Alcibiade lascia emergere, in nome della verità,
anche elementi di critica. Egli afferma subito che dirà esclusivamente le cose come stanno,
e invita Socrate a correggerlo qualora dica qualcosa di falso. Di fatto Socrate non lo
corregge mai, per cui abbiamo motivo di pensare che quella presentata da Alcibiade sia
una descrizione abbastanza fedele di ciò che è avvenuto tra i due e delle azioni compiute da
Dunque io affermo che Socrate è in tutto simile a quei sileni che sono esposti nelle botteghe
degli scultori e che gli artisti scolpiscono con zampogne o flauti in mano: sileni che, aperti in due,
mostrano di contenere al loro interno simulacri di divinità. In fondo neppure tu, o Socrate, potresti
contestare di avere un aspetto simile a quelli (Symp. 215a-b).
In questo passo emerge che l'aspetto di Socrate era tutt'altro che bello. Tale bruttezza
è, però, solo apparente, come l'aspetto esteriore delle statuette dei Sileni, che nascondono
all'interno immagini divine, così come divina è l'anima di Socrate. Come fa notare Sassi, la
di quell'ideale di congruenza fra bellezza esteriore e nobiltà d'animo che si attesta come
nucleo vitale della cultura greca fin dal prototipo dell'eroe omerico, e ben si condensa nel
65
termine kalokagathia (crasi appunto di kalòs, “bello”, e agathos, “buono”)»44.
Se leggiamo questo passo alla luce della lettura dell'Alcibiade I vediamo che è
quella del corpo, bensì quella dell'anima45. Questo aspetto del pensiero socratico emerge
Dovete sapere che a lui non importa nulla se uno è bello, ma lo disprezza oltre ogni dire, né gli
importa se uno è ricco né se possiede qualunque altro dei pregi che la gente esalta: tutti questi
possessi li considera privi di qualsiasi valore e noi stessi ci valuta delle nullità – ve lo garantisco io
– e passa tutta la vita fingendo ignoranza e burlandosi di tutto e di tutti (Symp. 216d-e).
con l'intento di scoprire se ad essa corrisponda un'anima altrettanto bella (Charm. 154e).
Benché Alcibiade abbia messo bene in luce questa caratteristica di Socrate, emerge
subito quanto egli l'abbia fraintesa, nel momento in cui passa a narrare quello che definisce
“un atto di superbia” del filosofo. È il famoso episodio in cui Socrate lo accusa di voler
scambiare “oro con bronzo”. (Vi abbiamo già fatto riferimento nel primo capitolo 46 a
stesso racconta, il giovane ha cercato di persuadere il filosofo a giacere con lui, con queste
parole:
Per me nulla è più onorevole che diventare quanto migliore mi riesce, e credo che a questo fine
nessuno può aiutarmi più validamente di te. Non compiacendo un uomo quale tu sei, ne proverei
66
vergogna davanti alle persone intelligenti più di quanta ne proverei, compiacendoti, di fronte alla
massa degli ignoranti (Symp. 218d).
Notiamo che compare qui il tema del carattere educativo del rapporto erotico, che
quello platonico. Alcibiade crede che tale crescita, tale miglioramento, possa avvenire
attraverso la consumazione del rapporto fisico. Non è della stessa opinione Socrate: non è
possibile ottenere la saggezza con una tale facilità. Come abbiamo già visto nel primo
capitolo47, per Socrate la saggezza si può conquistare solo scoprendola dentro di sé, nella
propria anima, e riguarda così una sfera ben distinta da quella fisica. Ecco perché accusa
Se […] cerchi di concludere un affare con me barattando bellezza con bellezza, ingente è il
profitto che intendi lucrare a danno mio, anzi in luogo dell'apparenza tu cerchi di acquistare la
realtà del bello e veramente mediti di scambiare oro con bronzo. Tuttavia, mio carissimo, sta
attento e controlla se io, essendo di fatto una nullità, non ti metto di mezzo. La vista del pensiero
incomincia a vedere acuto quando prende a scemare la vista degli occhi; ma tu sei ancora ben
lontano da questo punto (Symp. 218e-219a).
Con la sua tipica ironia, Socrate spiega ad Alcibiade l'errore, l'equivoco in cui è
filosofo. Oltre ad aver frainteso l'interesse di Socrate nei suoi confronti, interpretandolo
come interesse fisico, Alcibiade ha rovesciato il meccanismo delle relazioni tra amanti e
amati usuale nella società ateniese: era l'amante, in questo caso Socrate, che doveva
67
corteggiare l'amato, qui Alcibiade, e quest'ultimo doveva mostrare di essere interessato più
ai benefici che poteva ricevere a livello di sapienza e crescita intellettuale che a quelli
fisici. Qui avviene esattamente l'opposto, e ciò è tanto umiliante per il giovane da portarlo
Fussi fa notare che dal comportamento di Alcibiade emerge tutta la sua natura di
individuo che aspira solamente all'onore e alla ricchezza, un individuo che secondo la
accettare che secondo gli standard di Socrate egli non ha abbastanza qualità, ovvero che la
sua anima necessita di cure, ma si sente semplicemente sminuito e crede che Socrate abbia
usato nei suoi confronti un vero e proprio inganno. In linea con la sua natura di uomo
ambizioso, Alcibiade reagisce come qualcuno che è stato ferito nell'orgoglio, prova
Questi, amici miei, sono le cose di cui rendo lode a Socrate; e d'altronde, mescolandovi le cose
per cui lo biasimo, vi ho spiegato in che cosa mi ha offeso. Comunque sia, non ha fatto così solo
con me, ma anche con Carmide di Glaucone e con Eutidemo di Diocle e con tanti altri: dando loro
ad intendere di voler esserne l'amante, ne è diventato lui l'amato. E proprio questo raccomando
anche a te, Agatone: non lasciarti ingannare da lui, ma sta' in guardia, ammaestrato dalle nostre
esperienze, e non voler imparare a tue spese, come lo sciocco del proverbio (Symp. 222 a-b).
In realtà Socrate stesso riconosce di aver provato amore nei suoi confronti (Symp.
213d), ma nel momento in cui Socrate cerca di capire se alla bellezza esteriore corrisponda
È Alcibiade, che, agli occhi di Platone, non è riuscito a comprendere questo aspetto a
68
sufficienza, poiché, pur avendo descritto Socrate come un sileno che contiene al suo
interno preziose doti come temperanza e saggezza, è rimasto «prigioniero della rete di
valori e desideri esteriori che Socrate tanto disprezza, anzi per non provarne vergogna è
stesso”»52. Alle parole di Socrate abbiamo già fatto riferimento nel primo capitolo citando
il passo del Simposio in cui Alcibiade paragona Socrate al satiro Marsia 53. Vale la pena di
E non sei un flautista? Anzi, molto più meraviglioso di Marsia. Quello incantava con la potenza
della sua bocca ma in virtù di strumenti, come fa anche oggi chi suona le sue melodie – quelle che
suonava Olimpo, io le attribuisco a Marsia, che gliele insegnò – orbene le melodie di Marsia, che le
suoni un artista valente o una mediocre flautista, inducono di per sé uno stato di possessione e in
quanto divine denunciano chi ha bisogno degli dei e delle iniziazioni. Tu invece lo superi di gran
lunga già per il fatto che ottieni lo stesso risultato senza strumenti ma con la nuda parola (Symp.
215b-c).
Gli effetti incantatori delle parole di Socrate sono proprio ciò che abbiamo visto
costringere l'Alcibiade dell'Alcibiade I a guardare dentro di sé, grazie alla loro capacità di
suscitare un certo sconvolgimento emotivo. Alla luce del Simposio comprendiamo meglio
il quadro generale in cui possiamo inserire la complessa relazione tra Socrate ed Alcibiade,
da parte di Platone.
La scala amoris del Simposio può apparire come la rielaborazione dell'immagine che
Platone aveva del maestro e del suo atteggiamento nei confronti di eros. Socrate
69
trasformava di fatto l'impulso erotico verso la bellezza fisica in amore per la bellezza
immateriale della sapienza54. Sassi fa notare che la dottrina erotica che Platone fa
presentare a Socrate nel Simposio, così come quella che emergerà nel Fedro, si distingue
per aspetti sostanziali da quella del maestro, di cui costituisce di fatto un superamento. La
componente emotiva che nell'Alcibiade I è sfruttata da Socrate per favorire gli effetti della
sua pratica filosofica55, diviene oggetto di repressione, come emerge a ben vedere qui nel
Simposio. Platone, a differenza del maestro, non opta per una repressione del desiderio,
ma, come abbiamo visto ripercorrendo passo per passo la scala amoris, sublima l'impulso
70
3. IL FEDRO: TRA AMORE DEL BELLO E REMINISCENZA
1. Il Fedro
un altro dialogo platonico: il Fedro. Questo dialogo, considerato un'opera della tarda
maturità, affronta il tema dell'amore nella sua prima parte, a seguito della quale la
trattazione si sposta sul tema della retorica e della composizione di discorsi. In relazione al
tema erotico, vengono introdotti elementi innovativi rispetto a quelli che sono emersi nel
Simposio e che vanno a completare la dottrina platonica dell'eros. L'ambientazione dei due
dialoghi è significativamente diversa: passiamo dall'ambiente chiuso della casa del poeta
Agatone ad un ambiente aperto e, Socrate e Fedro, gli unici due protagonisti del dialogo, si
trovano a passeggiare nella natura. Si tratta di una novità, poiché Socrate è solito non
uscire dalle mura della città, e si giustifica dicendo di essere più interessato a interloquire
con i suoi concittadini che alla contemplazione del paesaggio. Questo è in accordo con la
motivazione di fondo che muove la pratica filosofica socratica e che il filosofo spiega a
Fedro dicendo: «Abbi pazienza con me, carissimo. Amo imparare: ma la campagna e gli
alberi non sono disposti a insegnarmi nulla, a differenza degli uomini in città» (Fedro, 230
d). Nel caso del Fedro, Socrate sta accompagnando il personaggio eponimo nella sua
un paesaggio idilliaco e sacrale caratterizzato dalla bellezza, bellezza che, come abbiamo
visto, occupa una posizione importante all'interno della dottrina erotica platonica del
71
Simposio57, e che anche nel Fedro manterrà il suo ruolo decisivo per guidare l'anima sul
nel Simposio, dove ha esordito con il primo discorso di elogio nei confronti di eros. In quel
frangente abbiamo sottolineato che il suo discorso si preoccupava più che altro di riportare
la voce della morale tradizionale58. La tesi che propone nel Fedro, tuttavia, non appartiene
discorso di Lisia che prende avvio la conversazione su eros: Fedro ha con sé un rotolo con
scritte le parole pronunciate dal retore a proposito delle conseguenze, soprattutto gli
svantaggi, di concedersi a qualcuno che è innamorato. Si tratta di una tesi paradossale che
Lisia sceglie di sostenere allo scopo di mostrare le sue abilità retoriche. Socrate convince il
giovane a leggere il discorso ad alta voce e, una volta ascoltatolo, prende la parola e ne
pronuncia altri due a proposito dell'amore, di cui si ritiene che il secondo rispecchi il
pensiero platonico.
pensiero platonico da quello socratico. Oltre al “mondo delle Idee” già introdotto nel
precedente dialogo erotico, vengono presentati i temi dell'immortalità dell'anima, della sua
composizione interna descritta attraverso la celebre immagine della “biga alata”, e quello
dell'anamnesi, ovvero della possibilità di ricordare il mondo delle Idee, la realtà autentica
72
La discussione prende quindi le mosse a partire dalla lettura da parte di Fedro del
argomentando in favore di una tesi che contraddice le opinioni socialmente più diffuse. La
tesi che Lisia sostiene è che sia meglio per un giovane concedersi a chi non lo ama
piuttosto che a chi lo ama. Si tratta di una tesi paradossale, ma i punti argomentativi che
tocca non sono moralmente scandalosi, dato che fanno appello ad alcune convinzioni
radicate nella società ateniese. Occorre ricordare che Lisia cerca di persuadere un pubblico
che ha presente il legame tra eros e le pratiche educative, data la decisiva funzione che le
relazioni pederastiche svolgono nella formazione dei giovani ateniesi, trasmettendo valori
e norme sociali.
233a) Lisia cerca di mostrare che una relazione con qualcuno che non è innamorato può
offrire più benefici rispetto ad una relazione intrattenuta con qualcuno che si trova in preda
se mi dài retta, ti frequenterò non servendo solo il piacere del momento ma anche il tuo
interesse futuro, non dominato dall'amore ma nel pieno possesso di me stesso, senza farmi
trascinare in un odio violento per delle piccolezze ma contenendo piuttosto l'irritazione nelle
questioni serie, pronto a perdonare i torti involontari e cercando di scongiurare quelli volontari:
queste sono le prove di un'amicizia che durerà a lungo nel tempo (Fedro, 233 b-c).
A suo parere, gli innamorati prendono decisioni mentre sono trascinati dalla
chi ama loda le azioni e le parole dell'amato senza tenere conto del loro valore: lo fa per
evitare che egli lo odi o perché il suo giudizio è offuscato dal desiderio (Fedro, 233 a-b).
73
Lisia lascia emergere una valutazione negativa di eros, che viene visto come una follia che
si impadronisce degli uomini e che comporta il fatto che essi non siano più «nel pieno
possesso delle proprie facoltà» (Fedro, 231d). Per questo motivo, quando tornano in sé, gli
innamorati «rimpiangono i benefici che hanno fatto» (Fedro, 231a). Lisia contrappone a
questa immagine di innamorato malato quella di un “non amante” sano, capace di valutare
lucidamente quali siano le scelte più vantaggiose per sé e per l'amato. Per indicare la “non
sia valore morale che intellettuale: indica sia la temperanza e il controllo di sé, che una
eros nel suo secondo discorso affermerà proprio l'opposto, ovvero che la follia erotica è ciò
che permette di riscoprire il vero sé, e con esso il giusto modo di vivere, caratterizzato
proprio dalla temperanza. Affronteremo questo aspetto più avanti, mentre è significativo
riportare qui un passo del discorso di Lisia, in cui vengono descritte nel dettaglio le azioni
tentano di impedire ai loro amati di frequentare gli altri: temono i ricchi, perché li potrebbero
superare con i loro beni, e temono le persone colte, perché potrebbero risultare migliori per
intelligenza; diffidano di chiunque abbia un qualche ascendente. Convincendoti a odiare tutti,
costoro fanno il vuoto intorno a te. Ma se consideri il tuo interesse personale e mostri più giudizio
dei tuoi amanti, è con costoro che dovrai litigare. Al contrario chi non ama, quando grazie alla sua
virtù avrà ottenuto ciò che desiderava, non sarà geloso delle tue frequentazioni […] Per di più,
molti amanti desiderano il corpo prima ancora di conoscere il carattere o di avere fatto esperienza
delle altre qualità: è dunque incerto se vorranno essere ancora amici dopo che il desiderio sarà
passato (Fedro, 232c-d).
59 Cfr. M. Bonazzi, Platone, Fedro, trad. a cura di M. B., Torino, Einaudi, 2011, p. 27, n. 36.
74
individuo irrazionale, possessivo, indiscreto, egoista e incostante. I contenuti di questo
tradizionali come l'esortazione a non cedere ad eros, visto alla stregua di una malattia, o
l'elogio di una temperanza che trae legittimità dai vantaggi che procura. La morale
implicita nel discorso di Lisia è che per ottenere la felicità, intesa come successo pubblico
e privato, “occorre appagare con intelligenza i propri desideri” 60. Il modo più intelligente è
ovviamente quello di concedersi ad una persona che non è innamorata, ovvero che
mantiene intatta la sua lucidità e la padronanza di sé. La conseguenza è che il rapporto che
viene a crearsi sembra d'amicizia più che d'amore, data l'assenza del “dannoso” eros, e lo
stesso Lisia non esita a parlare di “amicizia” (philia). Non viene però offerta una
spiegazione all'attrazione dell'amante nei confronti dell'amato: se egli non prova amore, e
non è accecato dal desiderio erotico, deve esserci un'altra ragione per cui è attratto dal
fatto che, nel discorso che Socrate pronuncerà subito dopo, il non amante di cui ha parlato
conviene concedersi a chi non è innamorato in ragione del fatto che le decisioni che
prenderà saranno accompagnate dalla padronanza di sé. L'aspetto ripetitivo, oltre ad altre
Socrate come imperfezioni e riprese nella seconda parte del dialogo come esempio di
errata costruzione di un discorso retorico. Dopo che si è conclusa la lettura del discorso di
75
Davvero Fedro, mi è sembrato, ma forse tu sei di altro parere, che siano state ripetute le stesse
cose due o tre volte, come se gli mancassero i mezzi per sviluppare lo stesso tema; o come se forse
di un simile argomento non gliene importasse nulla. Mi è sembrato proprio un ragazzotto bramoso
di mostrare che era capace di dire le stesse cose ora in un modo ora in un altro, ma sempre nel
modo migliore (Fedro, 235a).
carenze compositive che mostrano come l'interesse principale del retore fosse dimostrare le
sue abilità persuasive, piuttosto che comporre un bel discorso. Il filosofo sostiene così di
aver sentito pronunciare discorsi migliori (Fedro, 235c) e Fedro lo convince a pronunciare
lui stesso un discorso che, centrato sugli stessi temi, risulti migliore. Socrate esita
inizialmente, ma poi accetta di pronunciare tale discorso «con il capo coperto» (Fedro,
237a), in modo da non «provare vergogna» (Fedro, 237a). Le tesi che va a sostenere,
infatti, come sarà più chiaro in seguito, non rispecchiano il suo pensiero, ma sono riprese
dal discorso di Lisia. Egli si trova quindi ad argomentare intorno agli stessi nuclei tematici
amante mascherato, un amante che «aveva convinto il ragazzo che non l'amava» (Fedro,
eros, in accordo con la sua convinzione che, per argomentare correttamente, occorre
iniziare dalla definizione dell'oggetto di cui si tratta. Si ricordi che già nel Simposio (Symp.
Si afferma così, prima di tutto, che eros è un desiderio, ma si precisa subito che
«desidera le cose belle anche chi non ama» (Fedro, 237d). Per distinguere chi ama da chi
non ama Socrate sostiene che bisogna tener presente che ci sono due principi che ci
76
spingono all'azione: uno è il desiderio di piaceri e uno la convinzione acquisita,
il desiderio irrazionale che domina sull'opinione indirizzata al meglio, che si lascia trascinare
verso il piacere della bellezza e che si rinforza vigorosamente per opera dei desideri a lui affini
volti alla bellezza del corpo – quel desiderio, quando diventa guida vittoriosa, proprio da quella
forza prende il suo nome e viene chiamato amore (Fedro, 238b-c).
Eros è visto come un desiderio irrazionale che domina sulla ragione, ne segue che
l'innamorato descritto in questo discorso è schiavo del desiderio di piacere e fa di tutto per
rendere l'oggetto del suo desiderio il più possibile piacevole per sé. Viene ripresa e ribadita
l'osservazione di Lisia per cui l'amante è come colpito da una malattia, e vale la pena
riportare l'acuta descrizione che Platone offre per voce di Socrate a proposito della
più avanti che c'è un altro modo di intendere eros, che Socrate descriverà nel suo secondo
discorso):
Chi è dominato dal desiderio, l'uomo servo del piacere, non potrà fare altro che foggiarsi l'amato
in modo da trarne quanto più piacere possibile: per chi è malato piacevole è infatti tutto ciò che non
gli si oppone, ma odioso ciò che gli è superiore o pari. Non tollererà dunque di buon grado che
l'amato gli sia superiore e neppure pari, ma farà sempre di tutto perché gli sia inferiore e da lui
dipenda. […] È inevitabile che sia geloso e che gli impedisca la frequentazione di molte altre
compagnie, anche utili, grazie a cui potrebbe diventare un vero uomo; è perciò causa di un grande
danno, un danno grandissimo quando gli impedisce la frequentazione di chi lo aiuterebbe a
diventare un vero saggio. Intendo la divina filosofia, da cui è inevitabile che l'amante tenga lontano
77
l'amato per paura di essere disprezzato. Escogiterà di tutto perché l'amato rimanga nell'ignoranza e
non abbia occhi che per il suo amante (Fedro, 239a-b).
la sua crescita, il suo possesso di beni, in modo che la sua condizione di inferiorità lo porti
a dipendere da lui e a restare costantemente al suo fianco come suo oggetto di «piacere
immediato» (Fedro, 239a). In un suo articolo61 Fussi fa notare che è possibile tradurre con
“invidia” il vedere come odioso tutto ciò che è superiore o pari. Osserva che la bellezza
che ispira amore, e che, come vedremo nel secondo discorso di Socrate, attrae e colpisce
anche il desiderio di degradare tale bellezza fino a distruggerla. Riprenderemo più avanti
questa riflessione per confrontare il tipo di reazione di questo amante di fronte alla bellezza
con quella che viene descritta nella palinodia socratica. Occorre invece notare qui che,
oltre che di invidia, Socrate parla anche di gelosia che spinge l'amante ad impedire al suo
amato di intrattenere rapporti con altri individui, anche quelli che potrebbero essere
benefici per lui, favorendo così la sua ignoranza. In generale, Socrate afferma che il
rapporto con qualcuno che è innamorato comporta più svantaggi che vantaggi, e soprattutto
modo ricorrente all'interno dei vari dialoghi platonici, e di cui anche nel Fedro, proprio in
questo frangente, si ribadisce che «niente è o giammai sarà più prezioso né per gli uomini
Oltre a questi svantaggi che comporta il rapporto intrattenuto con qualcuno che è
innamorato, Socrate descrive anche gli aspetti negativi di una relazione del genere che si
61 Cfr. A. Fussi, “As the Wolf Loves the Lamb”: Need, Desire, Envy, and Generosity in Plato's Phaedrus, in
Epoché, 11, 2006, p. 68.
78
avvia alla fine, quando, svanito l'amore, l'amante diventa un'altra persona, poiché
«intelligenza e sobrietà hanno preso il posto dell'amore e della follia» (Fedro, 241a). A
questo punto l'amante fugge, interrompe la relazione senza dare spiegazioni, poiché
si vergogna di dire che ormai è un altro né sa come mantenere giuramenti e promesse fatti sotto
l'imperio della precedente dissennatezza, perché teme, ora che ha recuperato intelligenza e senno,
che rifacendo le stesse cose non diventi di nuovo simile o addirittura identico a quel che era (Fedro,
241 a-b).
Proprio come se guarisse da una malattia, l'innamorato il cui amore svanisce diviene
un'altra persona, e non può mantenere saldo il rapporto precedente con il suo amato. Una
volta guarito riconosce la malattia che lo colpiva e, pur di non tornare in quelle condizioni,
fugge senza riuscire a dare spiegazioni all'amato, tradendo così ogni promessa e privandolo
improvvisamente di tutti i vantaggi che gli procurava. Socrate offre questa riflessione per
spiegare come, al contrario, un rapporto instaurato con qualcuno che non è innamorato non
mette il giovane nelle condizioni di poter subire un tale danno. In conclusione del suo
discorso Socrate aggiunge queste parole: «l'amicizia di un amante non nasce dall'affetto,
ma è come cibo per saziarsi: come i lupi amano gli agnelli, così “gli amanti si tengono caro
il proprio fanciullo”» (Fedro, 241d). L'immagine dell'amore che emerge da questo discorso
è decisamente negativa: l'amato sembra essere nutrimento per l'amante, mero oggetto di
soddisfazione del suo desiderio. Fussi sottolinea l'importanza della metafora del nutrimento
e sottolinea che il tipo di nutrimento di cui Socrate parla in questo passo consiste nel
processo per cui l'altro viene trasformato in qualcosa di proprio, ovvero assimilato come si
79
possibile ricollegare questo passo a quello del Gorgia in cui Socrate fa notare al suo
interlocutore, Callicle, che la tesi da lui sostenuta, per cui la felicità consiste nel soddisfare
il più possibile i propri desideri, non è veritiera, perché può essere vista come il tentativo di
riempire costantemente una giara bucata con dell'acqua: essa non potrà mai riempirsi, ma
ci sarà sempre bisogno di continuare ad aggiungere acqua (Gorg. 493d). Si tratta di una
nozione negativa del bisogno: un appagamento del desiderio che consiste nel soddisfare i
bisogni immediati è proprio di una natura animale o vegetale, non di una umana, in cui ciò
Fussi invita a mettere a confronto questo tipo di nutrimento con quello che verrà
presentato poco più avanti a proposito della capacità dell'anima di nutrirsi della verità
che non consuma e non modifica: la verità non diminuisce o muta mentre l'anima vi
attinge. È sempre l'altro, l'amato, che è fonte di nutrimento, ma non più come qualcosa che
viene trasformato in una parte di sé, ovvero assimilato, ma qualcuno la cui alterità viene
Questo secondo modo di vedere eros, quindi, viene presentato come più autentico:
abbiamo visto nel Simposio che secondo Platone l'amore è una via da percorrere per
appena pronunciato qui nel Fedro si configura un percorso diverso. È probabilmente per
questa ragione che il filosofo non riesce a proseguire il discorso, anche se non sembra aver
concluso: Fedro si aspetta che Socrate enunci i vantaggi che comporta intrattenere una
relazione con qualcuno che non è innamorato, visto che fino a quel momento si è parlato
solo degli svantaggi che un innamorato può arrecare. Socrate, invece, vorrebbe congedare
80
Fedro e smettere di parlare, ma quando si accinge a farlo avverte il suo “segno divino” che
lo invita a non andarsene prima di aver pronunciato un altro discorso, ovvero uno che sia
veramente degno di eros. Troviamo qui il riferimento a quella voce interiore che abbiamo
visto intervenire anche nell'Alcibiade I (Alc. I, 103a), dove si legge che il daimonion aveva
trattenuto il filosofo dal parlare con Alcibiade fino a che non fosse giunto il momento
opportuno. Nel Fedro Socrate sostiene di aver nuovamente avvertito questo segno, e spiega
a Fedro che tale voce gli ha intimato di “purificarsi”, come se avesse «commesso qualche
colpa nei confronti della divinità» (Fedro 242c). Si rende così conto di non aver parlato
secondo ciò che è opportuno, poiché di fatto ha calunniato eros che, come abbiamo visto
nel Simposio, è un essere divino. Socrate si rende conto che gli dei potrebbero punirlo per
questo, a meno che non proceda con una palinodia, ritrattando tutto ciò che ha appena
sostenuto.
Si ritiene che nella palinodia di Socrate sia racchiusa l'autentica dottrina dell'amore di
Platone nel Fedro, che è presentata in contrasto con ciò che si è affermato nei discorsi
precedenti. Viene mantenuta la tesi per cui eros è una forma di follia, ma si precisa che è
una forma di mania divina, una follia che colpisce chi si innamora per volontà degli dei
stessi. Nei discorsi che sono stati pronunciati fino a questo momento l'accostamento di
eros ad una sorta di follia era considerato un aspetto negativo, un elemento in grado di
privare l'innamorato della padronanza di sé, fondamentale per mettere al primo posto il
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Non è vero il discorso che invita a concedere le proprie grazie a chi non ama quando è presente
chi ama, perché quest'ultimo sarebbe folle, mentre l'altro è assennato. Certo, sarebbe detto bene, se
la follia fosse un male soltanto. Ma i beni più grandi ci vengono dalla follia, dalla follia che ci è
elargita per dono divino (Fedro, 244a).
Il primo passo che fa Socrate, quindi, è mostrare che esistono forme di follia di cui la
stessa tradizione riconosce il valore positivo. Vi è la mania profetica, la mantica, con cui la
emettono, mentre sono divinamente posseduti, (Fedro, 244b-c) responsi a cui il mondo
purificatrice, capace di guarire forme dannose di follia stessa con preghiere e riti sacri
(Fedro, 244d-e). Infine, l'ultimo tipo di follia positiva che Socrate rammenta è la mania
poetica, ispirata dalle Muse: i poeti della tradizione orale legittimano la loro grandezza in
nome della follia che impadronendosi di loro permette di ricevere ispirazione direttamente
Come queste forme di mania sono un dono prezioso, in quanto offrono all'uomo la
possibilità di attingere alla sfera del divino, allo stesso modo anche eros può essere una
forma di follia positiva. A sostegno di questa tesi viene introdotta una questione
fondamentale già centrale nell'Alcibiade I, quella della natura dell'uomo. Nel Fedro, come
prima di leggere il discorso di Lisia, aveva cercato di affrontare una discussione riguardo
ad un mito legato al bellissimo luogo in cui i due si trovano a passeggiare, il filosofo gli
aveva risposto:
io di tempo per queste cose non ne ho, e la causa, mio caro, è questa. Non sono neppure capace
di conoscere me stesso, come prescrive l'iscrizione di Delfi: ignorando questo, mi sembra allora
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ridicolo indagare cose che mi sono estranee. Perciò le lascio da parte, credendo a quello che di esse
si tramanda; e intanto, come dicevo, indago non loro ma me stesso (Fedro, 229e-230a).
Prima di procedere con il suo secondo discorso su eros, quindi, Socrate si esprime a
proposito della natura dell'anima. Nell'Alcibiade I è stato detto che l'essenza dell'uomo è la
sua anima, ma non sono state specificate né le sue caratteristiche, né in che modo essa stia
in relazione al corpo.
La tradizione omerica aveva elaborato il concetto di anima come soffio vitale che
anche dal pensiero pitagorico e da quello orfico, accomunati dalla credenza che essa debba
reincarnarsi più volte, al fine di espiare una qualche colpa originaria e recuperare la sua
purezza divina. Sassi fa notare che è da questa visione orfico-pitagorica che deriva la
nozione dell'anima come soggetto intellettuale e morale, pensata come la parte più nobile
ma si distacca dal contesto religioso di origine per fondarsi su «un piano che potremmo
definire “laico”, sul quale il valore dell'anima, intesa essenzialmente come ragione, si
salvezza»64. È per l'appunto Platone a riprendere invece l'aspetto metafisico del pensiero
sull'anima, sostenendo sia nel Fedone (Phaed. 72e-78b) che nel Fedro che sia possibile
Nel Fedro, che qui più c'interessa, viene affrontato il tema dell'incarnazione
dell'anima nel corpo, unitamente alla questione della sua immortalità. A questo proposito
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Repubblica, ma per quanto concerne il Fedro, Platone affronta, in un primo momento, la
poiché l'anima è ciò che muove se stessa (una tesi assunta come vera, piuttosto che
dimostrata) ne segue che non può perire: ciò che muove se stesso può farlo solo in quanto
non ottiene il principio del movimento da qualcosa di esterno a sé, ma lo contiene già al
suo interno. Dunque, poiché tale principio del movimento non è generato da altro e non si
può per sua natura arrestare, ne segue che l'anima, che è ciò che sempre muove se stessa, è
alata”, il racconto con cui Platone descrive ciò a cui somiglia l'anima umana e offre la
possibilità di capire con facilità la sua natura e le parti che la compongono. La pariglia
alata, infatti, è costituita da un lato dall'auriga, che si trova alla guida del carro, e che
simboleggia la ragione, e dall'altro dai due cavalli che trainano la biga, uno bianco e uno
nero, di cui solamente il primo è di buona razza. Essi rappresentano le altre due parti che
sono presenti nell'anima insieme alla ragione, rispettivamente quella irascibile o animosa, e
quella passionale. Come vedremo nel dettaglio più avanti, il cavallo bianco obbedisce più
Socrate afferma che c'è una condizione originaria in cui l'anima, composta così come
abbiamo visto, è dotata di ali grazie alle quali «ascende alle altezze del cielo e governa
l'intero cosmo» (Fedro, 246c), muovendosi insieme agli dei. In questo stato disincarnato è
possibile per l'anima contemplare le realtà immutabili, le Idee, quelle stesse entità alla cui
comprensione era finalizzata la scala amoris del Simposio. Qui nel Fedro Socrate parla
delle Idee definendole «l'essere che veramente è tale, privo di colore, privo di forma, che
non si può toccare, che solo il pilota dell'anima, l'intelletto, può contemplare, e che è
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l'oggetto proprio del genere della vera conoscenza» (Fedro 247c-d). L'anima ha la
nel suo stato disincarnato. L'incarnazione, infatti, avviene una volta “perdute le ali” a causa
della lotta con le altre anime nel tentativo di salire più in alto e nutrirsi il più possibile della
verità.
“pianura della verità” (Fedro, 248b). Socrate afferma che l'ala è la parte dell'anima che
partecipa al divino più delle altre (Fedro, 246d), e che, anche una volta perduta, può
tutto ciò che, presso la realtà terrena, possiede qualità affini al divino: ciò che è bello,
A proposito degli dei, insieme ai quali l'anima umana disincarnata compie il suo
percorso celeste contemplando la verità, Socrate spiega che la loro anima si differenzia da
quella degli uomini poiché possiede entrambi i cavalli di buona razza. (Nel caso della
caduta delle anime umane sulla terra, il cavallo nero, che non è di buona razza, trascina la
biga verso il basso). Perciò, durante la vita ultraterrena l'anima umana cerca di «seguire il
dio e farsi simile a lui» (Fedro, 248a), ovvero cerca di contemplare il più possibile le Idee.
Riguardo all'attività degli dei presso il regno sovraceleste, Socrate offre una chiara
descrizione:
E allora la ragione divina, che si nutre di intelligenza e conoscenza pura, e ogni anima a cui sta a
cuore ricevere ciò che le è proprio, per tutto il tempo che guarda l'essere lo ama e contemplando la
verità trova il suo nutrimento e la sua gioia, fino a quando la rivoluzione circolare non lo riconduce
allo stesso punto. Durante la rivoluzione v e d e la Giustizia, vede la Temperanza, vede la
Conoscenza, non quella soggetta al divenire e neppure quella che è diversa in ciascuno dei diversi
oggetti che noi chiamiamo enti, ma la conoscenza che è vera conoscenza della vera realtà (Fedro,
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247d).
Vediamo che gli dei contemplano le Idee “per tutto il tempo” e non lottano tra loro
per conquistare la possibilità di vedere più a lungo la verità, come fanno invece le anime
umane. In questo passo torna di nuovo la metafora del nutrimento, che abbiamo visto
essere stata utilizzata anche nei discorsi che hanno preceduto la palinodia socratica e che,
come abbiamo visto, lascia emergere il contrasto tra il nutrimento come assimilazione che
emergeva nel primo discorso socratico e quello che viene descritto qui: ci si può nutrire
della verità senza che essa venga consumata, senza toglierla ad altri, quindi senza che ci sia
consapevolezza che gli uomini, a differenza degli dei, non possiedono, e, per questa
ragione, si trovano a lottare tra loro e a cadere nel mondo terreno. Vi sono però delle anime
che prima di incarnarsi sono riuscite a contemplare la verità più di altre, e un'anima del
genere attecchisce «nel seme di un uomo che diventerà amante della sapienza, amante del
bello, devoto alle Muse e vero amante» (Fedro, 248d). Si accosta qui per la prima volta il
filosofo al “vero amante”. C'è uno stretto legame tra il tempo che l'anima ha potuto
impiegare nella contemplazione delle Idee e il modo in cui l'individuo si relaziona con
eros, ovvero il modo in cui ama la persona oggetto del suo amore.
È per questo che la trattazione di temi come l'immortalità dell'anima e il mondo delle
Idee va intesa come una digressione propedeutica a una piena comprensione dell'eros: per
non è possibile se non mettiamo la nostra dimensione terrena in relazione con quella
metafisica.
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4. La reminiscenza
Idee che sono state contemplate prima dell'incarnazione, tanto più intenso quanto più a
lungo l'anima è stata capace di vedere la verità. Nel Fedro, così come nel Simposio, è
presentata la possibilità del filosofo di attingere al mondo ideale a partire dalla percezione
sensibile delle realtà terrene, ma questa volta un ruolo decisivo è svolto dalla reminiscenza,
Ma ricordarsi delle cose di laggiù a partire da quelle di quaggiù non per tutte le anime è facile –
non per quelle che hanno goduto di una visione fugace delle cose di laggiù, né per quelle che, una
volta cadute quaggiù, ebbero la sventura di dimenticare le sacre visioni di cui avevano goduto un
tempo, trascinate da cattive compagnie nell'ingiustizia; poche allora ne rimangono capaci di
ricordare in modo adeguato: e queste, quando vedano delle immagini somiglianti alle cose di lassù,
ne vengono sconvolte e non sono più padrone di sé. Non sono in grado di comprendere ciò che
provano perché non riescono a coglierlo in maniera adeguata (Fedro, 250a-b).
Le “immagini somiglianti alle cose di lassù” sono quelle qualità presenti nelle realtà
sensibili che sono comuni al divino. In particolare, fra tali realtà, è la bellezza sensibile a
risvegliare il ricordo di una bellezza più autentica, quella ideale, che è stata contemplata
amata, più di ogni altra, coinvolge e sconvolge tutta l'anima favorendo quella che
all'interno del mito della biga alata è stata descritta come la “crescita dell'ala”, e permette il
sconvolgimento emotivo che non è del tutto comprensibile da parte di chi lo prova, e che
padronanza di sé, già centrale nei discorsi precedenti, ma stavolta perdere tale padronanza
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non è considerato il danno più grande, ma il dono più prezioso. Abbiamo visto sopra che la
prima mossa di Socrate, nella sua palinodia, è proprio quella di accostare eros a forme di
mania positive, quelle con cui l'uomo è capace di attingere al mondo celeste, di entrare in
comunicazione con gli dei. Platone la definisce «quella follia per cui quando si vede la
bellezza, in particolare quella della persona amata, è il fattore fondamentale, quello che nel
Fedro, come nel Simposio, è in grado di condurre il filosofo alla contemplazione delle
Idee.
A proposito della bellezza, Platone afferma che «anch'essa risplendeva insieme agli
altri, ed è ancora lei, luminosa di più intensa chiarezza, che noi cogliamo una volta giunti
qui in basso per mezzo del più chiaro dei nostri sensi» (Fedro, 250d). Con “il più chiaro
dei nostri sensi” Platone intende la vista, la cui importanza era emersa già nel Simposio. La
processo di ricongiungimento con il mondo ideale: tale processo si presenta come una
progressiva '“ascesa” nel Simposio, e come immediata “reminiscenza” nel Fedro. Nel
Fedro, infatti, il ricordo del mondo ideale si manifesta alla mente in maniera immediata,
attraverso una forma di entusiasmo, un'estasi, che abbiamo visto lasciare chi la prova nelle
condizioni di non saperne dare ragione. Nel Simposio, benché anche qui la visione delle
Idee non consista in qualcosa di razionale, ma, come abbiamo visto, in qualcosa di
istantaneo ed intuitivo65, Platone non fa riferimento al legame tra eros e la mania. Qui nel
Vale la pena riportare per intero, in tutta la sua bellezza, il passo in cui Platone
descrive quel che avviene nel filosofo non appena si trova di fronte alla bellezza della
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persona amata:
Mentre lo guarda si produce in lui un cambiamento, e dopo i brividi si copre di sudore provando
un insolito calore: il fatto è che ricevendo gli effluvi della bellezza attraverso gli occhi si scalda nel
punto in cui l'ala viene irrorata. Per il calore si scioglie la zona in cui crescono le ali, zona che
prima era dura e impediva loro di sbocciare; affluendo il nutrimento, il fusto dell'ala si inturgidisce
e inizia a sbocciare dall'alveolo, su tutta la superficie dell'anima. Perché l'anima prima era tutta
alata. Ribolle allora tutta intera ed erompe, prova il dolore di chi sta mettendo i denti:
quell'irritazione fastidiosa alle gengive che si prova quando spuntano i denti è la stessa che prova
l'anima di chi comincia a mettere le ali; mentre le ali spuntano l'anima ribolle, prova fastidio, sente
prurito. Quando dunque l'anima fissa lo sguardo sulla bellezza del ragazzo, accogliendo le
particelle che di lì partono e fluiscono (che per questo sono dette “desiderio”) ne è irrorata e
riscaldata, cessa di soffrire e gioisce. Quando invece ne è separata e si inaridisce, gli orifizi dei
pori, dove le penne premono, si seccano e si chiudono ostruendo i germogli dell'ala: e quei
germogli, chiusi all'interno insieme al flusso del desiderio, palpitando come arterie pulsanti,
premono ciascuno contro il proprio poro, così che l'anima, punta tutt'intorno, smania per il dolore;
ma il ricordo della bellezza la riempie di gioia. Nella mescolanza di queste emozioni s'inquieta per
l'assurdità di quello che prova; s'infuria nella sua incapacità di trovare una via d'uscita; nel pieno
della follia non riesce a dormire di notte né a trovare riposo di giorno, ma corre desiderosa là dove
si immagina che potrà vedere colui che possiede quella bellezza. Ma come lo vede s'impregna di
desiderio e si sciolgono allora i condotti prima ostruiti: trova requie dalle punture e smette di
soffrire, e coglie finalmente il frutto di quel piacere dolcissimo (Fedro, 251a-252a).
Quando la bellezza risveglia il ricordo del mondo ideale l'innamorato prova uno
sconvolgimento interiore in cui il dolore si mescola alla gioia. Il dolore della “crescita
dell'ala” è paragonato a quello provato da chi mette i denti, ma è una sofferenza che si
condotti prima ostruiti, nutre l'ala che permette all'anima di tornare com'era in origine.
Come fa notare Sassi, in questo passo viene presentato uno scenario che somiglia ad
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ora si ostruiscono e bloccano il passaggio di particelle del mondo sensibile»66. Prima di
intendendo con essi i flussi di particelle materiali che, a suo avviso, si staccano dagli
oggetti esterni per penetrare nel soggetto senziente. (Altri riferimenti simili possono essere
Questo risulta ancor più evidente quando Platone riprende l'immagine della biga alata
per spiegare in maniera più approfondita lo sconvolgimento che colpisce l'anima in preda
a d eros: tutte e tre le componenti dell'anima, di fronte alla bellezza dell'amato, sono
travolte dalla divina follia erotica, ed ognuna reagisce secondo quelle che sono le sue
lasciando che il ricordo della bellezza ideale venga risvegliato. Il cavallo nero, invece, che
rappresenta l'irresistibile forza della passione, preme affinché venga soddisfatto senza
alcun freno il desiderio fisico che tale bellezza suscita, mentre il cavallo bianco, frenato dal
dell'anima tra di loro: dopo un'iniziale resistenza, l'auriga e il cavallo bianco accettano
l'invito del cavallo nero ad avvicinarsi all'amato, ma quando l'individuo incrocia il suo
preda ad una forte emozione di venerazione, quasi spaventato, cade indietro e trascina con
sé entrambi i cavalli. Il cavallo nero non comprende le motivazioni che stanno alla base del
66 M. M. Sassi, Eros come energia psichica. Platone e i flussi dell'anima, in Interiorità e anima, cit., p. 285.
67 Cfr. ivi, p. 287.
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comportamento dell'auriga: si lascia convincere ad aspettare ma vive questo gesto come un
poi un secondo momento in cui il cavallo nero cerca di persuadere nuovamente l'auriga e il
cavallo bianco, senza la minima intenzione di non essere assecondato, e con forza scalpita
e si agita, tanto che l'auriga ricorre alla violenza per tenerlo a freno (Fedro, 254d-e).
Questo meccanismo sembra ripetersi più volte fino a che il cavallo nero, esausto in seguito
È interessante notare che, in questa battaglia interna all'anima, sia l'auriga sia il
cavallo nero ricorrono a metodi che sarebbero più appropriati per l'antagonista:
inizialmente il cavallo nero usa la forza bruta, ma quando si rende conto che l'auriga e il
cavallo buono non cedono ricorre al ragionamento per persuaderli, così come l'auriga ad un
certo punto ricorre alla violenza. G. R. F. Ferrari fa notare che c'è comunque una
sostanziale differenza tra il tipo di ragionamento utilizzato dal cavallo nero e quello
l'auriga e il cavallo bianco “codardi”, vede solo un lato della situazione. La razionalità che
utilizza è solo un mezzo per raggiungere il suo fine, non è capace di valutare in un'ottica
più ampia la bontà di esso o di ampliare il proprio orizzonte. Non vale, invece, l'inverso:
grado di valutare che cosa sia veramente bello e buono, riuscendo ad andare al di là del
desiderio fisico. La forza utilizzata dall'auriga è legata ad un desiderio più intenso rispetto
a quello del cavallo nero: è il desiderio del Bello e del Bene che caratterizza la natura
68 Cfr. G.R.F Ferrari, The Struggle in the Soul: Plato, Phaedrus 253c7-255a1, in Ancient Philosophy 5,
1985, p. 4.
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filosofica, indubbiamente più autentico rispetto alla passione erotica che muove il cavallo
nero. Si dice che alla fine della lotta, una volta che il cavallo nero è domato, quando
l'auriga vede il bel ragazzo «si sente venir meno per la paura» (Fedro, 254e) e che quindi
254e-255a). Si tratta di una paura legata al timore di commettere qualche tipo di ingiustizia
nei confronti di quel mondo delle Idee di cui la vista dell'amato ha risvegliato il ricordo. Il
cavallo bianco, che si oppone anch'esso al cavallo nero, sembra capire il legame tra
bellezza e moderazione, poiché, essendo per natura incline all'onore, vede questa
opposizione come favorevole al raggiungimento del suo fine. Anche nel suo caso il
Abbiamo visto che, per loro natura, il cavallo nero e quello bianco possiedono dei
propri e particolari desideri che vanno in direzioni diverse e contrastanti rispetto a quelli
dell'auriga: viene detto anche che la tendenza naturale dei cavalli è di portare verso il basso
(Fedro, 247b, 248a), mentre ciò che rende possibile la contemplazione è un movimento
verso l'alto, favorito dalla crescita dell'ala (Fedro, 246d-e). Ora, Socrate ad un certo punto
afferma che è la ragione del filosofo che mette le ali (Fedro, 249c), mentre
successivamente dice che l'ala cresce su tutta la superficie dell'anima (Fedro, 251b). Nasce
così il problema di rendere compatibili queste due affermazioni. Una soluzione plausibile
potrebbe essere ritenere che tutta l'anima diviene alata, ma grazie all'attività della ragione,
o dell'auriga, soprattutto grazie alla sua capacità di imporre la direzione giusta ai cavalli, in
modo che contribuiscano, o quanto meno non si oppongano, al movimento verso l'alto70.
92
5. Eros e cura di sé
Dopo aver sottolineato il notevole sconvolgimento che colpisce l'anima alla vista
della bellezza dell'amato, non ci resta che vedere che cosa avviene una volta che viene
instaurato il rapporto con la persona amata. Socrate afferma che, in preda all'amore,
l'innamorato perde di vista tutte le altre cose importanti: «si dimentica di madri, fratelli,
disprezzando tutte le regole di condotta di cui prima si faceva bella» (Fedro, 252a). Nel
parametri e dei valori che regolavano la vita precedente. È possibile vedere in questo
aspetto un parallelismo tra eros e l'esperienza della filosofia, che, come è già emerso nei
dialoghi che abbiamo analizzato, ma sarà ancor più evidente quando prenderemo in
Questo però non avviene per tutti allo stesso modo. La reminiscenza stessa non è
è giusto che solo la ragione del filosofo metta le ali: perché, per quanto le è possibile, è sempre
fissa sul ricordo di quelle cose, che rendono divino un dio quando si rivolge a esse. L'uomo che si
serve correttamente di questi strumenti per rinnovare la memoria, iniziandosi sempre ai misteri
perfetti, è il solo che può diventare veramente perfetto: allontanandosi dalle preoccupazioni umane
e occupandosi di ciò che è divino, è accusato dalla massa di essere fuori di sé, e nessuno capisce
che è divinamente occupato (Fedro, 249 c-d).
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Come abbiamo accennato sopra72, le anime che più a lungo sono riuscite a
tracce della bellezza ideale, e di sperimentare il processo della “crescita delle ali”.
Una volta avvenuto l'incontro tra un'anima del genere e il giovane di cui si innamora,
si instaura tra i due una relazione caratterizzata da una frequentazione assidua e lunghe
conversazioni. Una volta che l'amato ha accettato di parlare e frequentare l'amante «la
la fonte di quel flusso, che Zeus innamorato di Ganimede chiamò “desiderio”, si riversa copiosa
sull'amante, penetrando prima dentro di lui, e poi traboccando di fuori quando lui ormai ne è pieno.
Come un soffio di vento o un'eco che rimbalzando su una superficie levigata e solida ritorna al
punto da cui era partito, così, attraverso gli occhi, il flusso della bellezza ritorna sul bel ragazzo; e lì
è naturale che proceda verso l'anima e, una volta raggiuntala, la disponga al volo, irrorando i
condotti, spingendo le ali a crescere e riempendo di amore l'anima dell'amato. Allora ama, ma non
sa chi; e non comprende ciò che prova né sa esprimerlo: come se avesse contratto da altri una
malattia agli occhi non sa dirne il motivo e non si accorge di vedere nell'amato se stesso come in
uno specchio. Quando gli è vicino, smette di provare dolore, proprio come lui desidera ed è
desiderato, perché prova un amore di risposta, immagine dell'amore (Fedro 255 c-e).
trasferisce all'amato stesso, dalla cui bellezza di fatto era partito. L'amore provato
dall'amante, quindi, inonda l'amato, che cade anche lui in preda alla follia amorosa, senza
però capire quello che sta succedendo, in quanto si tratta di un amore di riflesso, che fa sì
che egli veda nell'altro se stesso come in uno specchio. Vediamo tornare l'immagine dello
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specchio che abbiamo visto nell'Alcibiade I, atta a illustrare che all'interno del rapporto
erotico è possibile, appunto, vedere se stessi nell'anima della persona amata come se ci si
era riconducibile alla scoperta di una dimensione interiore di virtù comune sia all'amante
che all'amato, ritorna nel Fedro sotto una nuova luce offerta dalle originali riflessioni
platoniche.
Nel Fedro, a differenza che negli altri dialoghi, è la somiglianza tra anime la ragione
dell'insorgere di eros: in altre parole, la bellezza che attrae l'amante non è solo di tipo
fisico, ma anche di tipo psichico. Tra i due amanti c'è un'affinità la cui origine è
specifica divinità dotata di peculiari caratteristiche, alla quale cercava di rendersi “simile”.
temperamento dell'individuo in cui l'anima che ne era al seguito va ad incarnarsi. Chi era al
seguito di Zeus, per esempio, si incarna in un individuo con un carattere adatto al comando
e incline all'amore per la sapienza, così come chi era al seguito di Era si incarna in un
individuo dal carattere regale, e così via. Il ricordo del dio al cui seguito l'anima si trovava
nasce proprio in seguito alla vista dell'amato, ed è in questo senso che Socrate afferma che
E così i seguaci di Zeus cercano come amato chi abbia un'anima affine a quel dio: osservano se
abbia una natura filosofica e incline al comando, e quando lo trovano se ne innamorano e fanno di
tutto perché rimanga tale. Se prima non si erano impegnati in una tale occupazione, ora vi si
accingono, imparando da dove possono e applicandosi per loro conto. Mettendosi sulle tracce
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riescono facilmente a trovare da sé la natura del loro dio; erano stati infatti costretti a fissare il loro
sguardo intensamente su di esso: quando entrano in contatto con lui tramite la memoria, venendone
ispirati, ne adottano le consuetudini e le occupazioni, per quanto è possibile all'uomo partecipare di
ciò che è divino. E attribuendo il merito di tutto ciò ai loro amati, li amano ancora di più: anche se
attingono da Zeus come le Baccanti, riversando nell'anima dell'amato ciò che hanno attinto, lo
rendono quanto più possibile simile al loro dio (Fedro, 252e-253b).
Un amante che era al seguito di Zeus ricerca sulla terra un individuo che, come lui,
sia stato al seguito dello stesso dio, e che quindi possieda un'anima simile alla sua.
Trovando un amato della sua stessa natura, gli si presenta di fronte un'immagine del dio del
quale entrambi erano al seguito. Così, il primo scopo dell'amante è far sì che quelle qualità
affini al divino che egli ha visto nell'amato siano valorizzate il più possibile. Il ricordo del
dio ispira l'amante a compiere azioni sempre più affini a quelle del dio, e in questo modo la
sua anima si fa sempre più divina, per quanto è permesso all'uomo. Socrate aggiunge che
«non c'è gelosia, non c'è malevolenza servile nei loro rapporti; al contrario tutti gli sforzi
sono volti a rendere l'amato più simile a se stessi e al dio che onorano» (Fedro, 253 b-c).
Eros quindi porta l'amante a rendere l'amato il più possibile simile al dio, e così
facendo egli stesso diviene migliore. Eros in questo senso non è una passione incentrata su
desiderio di rendere l'altro più nobile e più bello 74. È il caso di rammentare qui il passo del
Simposio in cui Platone sostiene che eros è amore di “ciò di cui si è carenti” (Symp. 200e).
Abbiamo visto che “ciò di cui si è carenti” non è altro che la nostra vera natura, che
cerchiamo di recuperare tanto quanto invitiamo la persona che amiamo a fare lo stesso 75.
Se leggiamo il passo del Fedro appena citato alla luce di questo nesso possiamo sostenere
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che “la nostra vera natura” assume in questo dialogo caratteristiche più chiare e specifiche:
qualità possedute dal dio di cui eravamo al seguito. Il rapporto erotico che si instaura qui
ha come scopo il rendere l'altro “più divino”. Non ci sorprende quindi il fatto che Socrate
affermi che tale relazione è esente da invidia o gelosia: un amante nobile sa che la bellezza
che costituisce l'oggetto del suo amore va al di là dell'amato e proviene direttamente dal
Nel Simposio Platone rimane piuttosto vago sul motivo per cui una persona può
attrarre più di un'altra il desiderio erotico, o meglio, si limita ad indicare come unica
ragione la bellezza fisica. Nel Fedro, invece, è maggiormente enfatizzato l'aspetto della
reciprocità della relazione amorosa. Occorre sottolineare che in questa relazione è presente
amore che è partita da lui, si rispecchia, ma di fatto non capisce che cosa sta succedendo.
Socrate afferma che, benché anche lui sia mosso da amore, lo chiama amicizia. L'amante
rivede il suo comportamento e diviene più divino attraverso il ricordo della realtà
ultraterrena, comprende l'aspetto divino del sentimento che sta provando, mentre l'amato
non fa lo stesso con l'amore che prova, non lo comprende, perché è un amore di risposta,
un'immagine dell'amore (Fedro, 255e). Nonostante sia possibile rilevare qui una forma di
relazioni pederastiche diffuse nella società ateniese al tempo di Platone, in cui un membro
era attivo e l'altro passivo, e nelle quali non erano previsti sentimenti di amore da parte del
97
giovane77.
progrediscono sul cammino della virtù. Non può non venire alla mente a questo proposito
la situazione dell'Alcibiade I in cui la relazione amorosa offre le condizioni per cui Socrate e
Alcibiade possono mettersi, insieme, sulla strada della saggezza 78. Anche nel Fedro, come
quanto eros procura agli amanti le condizioni necessarie per comprendere che cosa è
“bene” in modo che entrambi siano d'aiuto reciproco in vista del miglioramento delle
rispettive anime.
Questo permette di sottolineare ancora una volta che in una relazione come quella
rapporto fondato sull'idea di cura. Secondo Socrate, questa relazione tra due individui dal
carattere filosofico, oltre ad essere libera da invidia, gelosia, cattiveria e egoismo, prevede
che entrambi gli innamorati si impegnino nel fare bei discorsi e a discuterne (Fedro, 257b).
L'altro, quindi, non è semplicemente un individuo bello fisicamente, nella cui avvenenza
possiamo acciuffare una traccia del divino, ma è un individuo che, come noi, percorre la
strada della saggezza attraverso la filosofia. In questo senso l'altro è un'immagine non solo
della divinità, ma anche della mortalità: è qualcuno che, in quanto umano, non è già
virtuoso, ma aspira a diventarlo il più possibile, proprio come il “filosofo” del Simposio,
che come '“amante della sapienza”, si trova in una posizione intermedia fra ignoranza e
Risulta evidente nel Fedro, come nell'Alcibiade I, l'importanza del nesso tra eros e
98
cura di sé: l'amore, mettendo le “ali” all'anima, ne favorisce la cura, che consiste
nell'assimilarsi sempre più alla divinità. È Socrate stesso nell'Alcibiade I a dire al suo
amato: «Il mio amore verso di te, allora, sarà in tutto simile a quello della cicogna: dopo
avere covato in te un amore alato, sarà esso poi, a sua volta, ad essere circondato di cure»
(Alc. I, 135e). Anche il concetto di “ascesa” presente sia nel Simposio che nel Fedro, può
conosci il modo di poter salire al cielo?» (Alc. I, 117b). Sembra plausibile collegare il
riferimento al “cielo” al mondo delle Idee e a quella che nel Fedro è la “pianura della
verità”, il luogo dell'Iperuranio in cui si trova il «pascolo che si addice alla parte migliore
leghi nel Fedro alla comprensione di qualcosa che sta al di fuori dell'esperienza
prettamente umana, ovvero alla dimensione ultraterrena che l'anima ha sperimentato prima
229e).
Come abbiamo accennato, una relazione d'amore del genere, volta al miglioramento
L'uomo la cui iniziazione risale a tanto tempo fa o che ormai corrotto non si slancia rapidamente
di qui a là, verso la bellezza in sé, quando guarda quello che sulla terra porta il suo nome: così,
invece di elevare il suo sguardo con venerazione in quella direzione, si abbandona al piacere,
99
cercando come una bestia di montare e di spargere il suo seme; compagno dell'eccesso, non teme
né si vergogna di inseguire piaceri contro natura (Fedro, 250e-251a).
Una relazione di eros filosofico come quella che abbiamo descritto non può esistere
tra persone che provano solamente il desiderio di soddisfare il piacere fisico, ma si addice a
coloro che hanno un'anima filosofica e amano trascorrere la vita in discorsi ispirati dalla
certo senso “innate”, poiché derivano dall'esperienza che l'anima ha avuto prima di
incarnarsi. Nel passo citato i filosofi vengono distinti da coloro che provano
esclusivamente il desiderio di soddisfare i propri impulsi fisici, ma, come abbiamo visto
indagando la natura dell'anima, la questione è ben più complessa. Nel Simposio il desiderio
erotico, con il relativo aspetto passionale, è presente, ma è il primo che va incontro ad una
della bellezza dell'altro. Abbiamo a questo proposito sottolineato il contrasto con l'eros
socratico, che prevedeva piuttosto una repressione del desiderio. Nel Fedro viene
presentato un quadro più ampio della condizione umana, i cui molteplici desideri e spinte
motivazionali, come il desiderio di onori o, appunto, quello passionale, sono ricondotti alla
composizione interna dell'anima, di cui nel Simposio non si parla. Anche se Socrate sembra
sostenere che la felicità risieda nel raggiungere gli scopi del desiderio razionale, si può
ipotizzare che i desideri non razionali possano contribuire all'avere una vita felice,
svolgendo un ruolo positivo in due sensi: il primo è che possono essere un'importante fonte
guidare in vista del perseguimento del bene79. F. Sheffield fa presente che questa inclusione
degli elementi non razionali nel Fedro può essere vista come una compensazione
100
dell'eccessivo razionalismo del Simposio, ovvero come un completamento della dottrina
erotica esposta da Diotima, il che favorirebbe un'interpretazione “debole” del confronto tra
i due dialoghi, che viene solitamente contrapposta ad una “forte”, secondo la quale la teoria
del Fedro sarebbe un tentativo di correzione di quella del Simposio80. Nel Simposio l'unica
distinzione che ritroviamo tra gli individui è basata su una diversa concezione di quale sia
il bene che sta al centro di una vita felice: gli affari, la ginnastica o la filosofia. Lo studioso
fa notare che, per sostenere il parallelismo con la tripartizione dell'anima che emerge nel
Fedro e nella Repubblica, occorre mostrare che ogni individuo contiene in sé tutte e tre
queste tendenze e, nella formulazione della sua concezione del bene, si trova a
privilegiarne una piuttosto che un'altra. Inoltre, alla luce della Repubblica possiamo
affermare che per distinguere le diverse parti dell'anima occorre un qualche criterio, come
estrapolare una teoria dell'anima82. Tuttavia, per Sheffield, la teoria della tripartizione
abbiamo visto, quando l'individuo si trova colpito dal sentimento amoroso accade qualcosa
che la ragione non è del tutto in grado di comprendere, ma entra in gioco la mania. Gli
sono prima di ostacolo e poi di aiuto nel movimento verso l'alto dell'anima, che però è
sempre guidato dalla ragione. In questo senso, la teoria della virtù e della felicità non
101
subisce sostanziali modificazioni in Platone. In entrambi i dialoghi eros tende al bene, che
possiamo pensare alla lotta interna all'anima come a una ricanalizzazione del flusso del
desiderio che, mentre nel Simposio andava incontro ad una progressiva sublimazione
dirigendosi verso oggetti sempre più astratti, nel Fedro si presenta come una
intenso e irrazionale, per cui l'energia che in un primo momento si dirige come un fiume in
piena verso la parte passionale dell'anima finisce, nel caso dell'eros che si instaura tra
anime filosofiche, per essere canalizzato perlopiù verso la parte razionale, quella divina,
che, attraverso i discorsi filosofici, ricerca la conoscenza. In questo modo una minor
quantità di energia affluisce alla parte passionale dell'anima, e il cavallo nero può più
facilmente essere domato. La temperanza che caratterizza l'eros filosofico può essere vista,
così, come una distribuzione equilibrata dell'energia psichica all'interno delle tre parti
dell'anima, che, come viene ribadito anche nella Repubblica, prevede che ad essere
spinte motivazionali presenti nella nostra anima che possono essere in contrasto tra loro.
Sostiene anche, però, che possiamo raggiungere una condizione di armonia tra di esse tale
che le passioni contribuiscono alla nostra felicità. Platone non afferma da nessuna parte che
dobbiamo eliminare gli appetiti fisici o la sete d'onore, ma invita semplicemente a domarli
come si addestrano dei cavalli ineducati. Il desiderio razionale che mira alla
102
contemplazione e alla conoscenza delle Idee resta l'aspirazione più alta che il filosofo, se
vuole essere virtuoso, deve assecondare e porre alla base della sua vita, senza lasciare che
Secondo Fussi, la differenza tra un cavallo nero educato che si muove verso l'alto in
modo unitario insieme a tutta l'anima, e uno ineducato che si ostina ad opporsi alla
direzione imposta dall'auriga, corrisponde alla differenza tra un semplice appetito, quello
un'interruzione della continuità con l'elemento naturale, un taglio del cordone ombelicale
che lega direttamente l'essere vivente alla natura, dovuto alla relazione dell'ala con la
verità84, che permette il movimento verso l'alto. Grazie all'ala l'anima entra in contatto con
“ciò che veramente è”, si stacca dalla dimensione terrena, e prova un tipo di desiderio che
può essere guidato o influenzato, anche se con difficoltà, dalla ragione. Lo stesso non può
accadere negli animali, in cui il legame con la natura è caratterizzato da una continuità che
non può essere interrotta, e i cui bisogni sono caratterizzati da un approccio assimilativo,
quello che abbiamo visto caratterizzare il tipo di amore descritto da Socrate nel suo primo
discorso, in cui l'amato era per l'amante «come cibo per saziarsi» (Fedro, 241c). Il
desiderio che prova chi mette le ali, al contrario, non mira a trasformare l'oggetto del
l'atteggiamento adottato degli dei durante il loro percorso di contemplazione delle Idee:
essi non lottano tra loro per riuscire a nutrirsi in maniera maggiore della verità, ma
84 Cfr. Fussi, “As the Wolf Loves the Lamb”, cit., p. 60.
103
comprendono come essa sia inesauribile e non assimilabile85.
Questa lettura invita ad immaginare che, come il cavallo nero che mette le ali
del desiderio, allo stesso modo un cavallo bianco alato conferisce all'animosità quella
temperanza per cui essa non degenera in arroganza e vanagloria. D'altronde, una ragione
senza ali può essere qualcosa che allontana dalla verità piuttosto che un mezzo per
7. Eros e la retorica
sposta sul tema della retorica, abbandonando così la trattazione specifica del tema dell'eros,
con il quale, tuttavia, sono riscontrabili rimandi e connessioni. Fedro risponde a Socrate
senza riconoscere la rilevanza dei contenuti filosofici che egli ha esposto, ma si esprime
esclusivamente in relazione alla superiorità del suo discorso dal punto di vista retorico. La
retorica è un tema caro a Platone, che lo affronta in diversi dialoghi, principalmente nel
Gorgia. Essa, così come eros, ha per Platone uno stretto legame con la verità che emerge
subito nel Fedro, quando Socrate domanda al giovane: «Non è forse necessario che i
discorsi ben detti presuppongano nella mente di chi li tiene la conoscenza della verità in
merito all'argomento di cui si deve parlare?» (Fedro, 259d). Fedro risponde facendo
presente a Socrate che molti sostengono il contrario, ovvero che ciò che conta nella
104
retorica non è la verità, ma l'opinione di coloro a cui si rivolgono i discorsi: «non ciò che è
realmente buono, ma ciò che sembrerà tale» (Fedro, 260a). Interrogandosi sulle
caratteristiche della retorica, Socrate e Fedro concordano che, per persuadere o ingannare,
essere certi di ingannare a proposito di qualcosa se non si conosce con certezza la verità
Poiché conoscere la natura delle cose non è semplice, Socrate individua un metodo
composto da due procedimenti, detto metodo “dialettico”. Il primo passo consiste nel
considerare «insieme ciò che è molteplice e disseminato per ricondurlo a una sola forma, in
modo da rendere chiara, definendola, ciascuna cosa intorno a cui ogni volta si voglia
insegnare» (Fedro, 265d) e il secondo nel «suddividere nuovamente l'oggetto per specie,
proprio del dialettico: la capacità di condurre prima il molteplice ad un'unica idea, e poi
suddividere tale idea secondo le sue linee naturali con un movimento discensivo, in modo
definizione che Socrate dà della mania per spiegare come sia stato possibile passare da un
discorso di biasimo nei confronti di eros ad uno di lode. Dopo aver riunito la mantica,
l'oionistica, la poesia e l'amore sotto l'idea di mania è opportuno suddividere tale idea
secondo le sue linee naturali e mostrare che ci sono due diramazioni interne tali che esiste
una follia «derivante dalle malattie umane» (Fedro, 264b), e una provocata dalla divinità.
Entrambi i discorsi di Socrate hanno considerato come unica la follia che colpisce gli
uomini ed hanno perciò messo in luce solo un aspetto limitato di eros. Una visione più
veritiera si può ottenere con il procedimento di “ascesa” e “discesa” proprio del dialettico,
105
necessaria alla realizzazione di ogni tipo di persuasione, anche di quella che mira
all'inganno.
Il procedimento dialettico sta quindi alla base della retorica. Per persuadere, però,
non è sufficiente che il retore conosca dell'oggetto di cui si parla: occorre conoscere anche
la natura dell'anima, in particolare quanti e quali tipi di anime esistono, poiché non tutti gli
uomini si lasciano persuadere dai medesimi discorsi. Socrate sostiene che discorsi diversi
siano in grado di persuadere tipologie di anime diverse (Fedro, 271d), e per questo occorre
essere consapevoli degli effetti che specifiche tipologie di discorsi possono avere e su quali
anime. Questo aspetto è comune alla retorica e alla medicina: come la medicina deve
conoscere il corpo per curarlo, così è necessario per la retorica conoscere la natura
Non bisogna forse ragionare intorno alla natura di una cosa, quale che sia, nel seguente modo?
Prima di tutto, se sia semplice o multiforme ciò di cui vogliamo diventare esperti e capaci di
rendere tali gli altri; in un secondo momento, nel caso sia semplice, occorre indagare la sua
capacità, vale a dire da un lato quale capacità di agire abbia, e su che cosa, dall'altro quale di subire
e per opera di che cosa. Nel caso sia invece multiforme, occorre enumerarne le parti, per vedere,
come nel caso dell'oggetto unico, quale capacità abbia di agire e su che cosa, e quale di subire e per
opera di che cosa (Fedro, 270d).
addicono a ciascuno. A questa conoscenza va aggiunta quella «del momento opportuno per
parlare o tacere, riconoscendo anche la misura adatta e inadatta per i discorsi brevi, lo stile
compassionevole, quello veemente e tutti i generi di discorsi appresi: solo allora si sarà
106
convinzione platonica per cui «la potenza del discorso culmina nella guida delle anime»
(Fedro, 271d). Solo chi conosce la verità sia riguardo all'oggetto di cui parla, sia riguardo
agli effetti che il tipo di discorso ha e su quali tipi di anime, può esercitare un'efficace
alla pratica della filosofia. Per comprendere meglio che cosa si intenda con “impiantare
nell'anima” i discorsi, occorre fare riferimento alla critica alla scrittura presente nelle
ultime pagine del Fedro e che viene introdotta con un mito: il mito di Theuth.
Tale mito narra l'invenzione della scrittura da parte di Theuth, un dio che vive in
Egitto sotto il regno di Thamous. Nel presentare la sua invenzione, Theuth descrive la
scrittura come uno strumento in grado di favorire sapienza e memoria. Il re, al contrario,
gli spiega che essa genera oblio sulle anime di chi l'apprende, poiché, confidando nella
della verità, e se «l'unico vero sapere è il sapere che è nell'anima, il criterio per stabilire il
valore relativo dei discorsi risiede nella maggiore o nella minore incidenza che un discorso
ineliminabile: può finire nelle mani di chiunque ed essere letto sia da coloro sui quali può
avere un effetto positivo, che da coloro che possono fraintenderlo. In altre parole, il
discorsi»88. Inoltre, un discorso scritto non può venire «in soccorso a se stesso» (Fedro,
107
276a): ormai fissato ed immutabile, non può chiarire in alcun modo al lettore il significato
che vuole veicolare, rischiando di essere inutile o, nei casi peggiori, dannoso. Il discorso
orale, invece, permette all'oratore di scegliere i discorsi che più si adattano all'anima
dell'individuo che li ascolta, favorendo il recupero interiore della verità in cui consiste la
vera conoscenza. È possibile riconoscere che il discorso scritto possiede una funzione
positiva: è un utile «supporto per la memoria di chi già sa» (Fedro, 278a). Tuttavia, dato
che «la verità è un attributo dell'anima e non dei discorsi»89, per chi sa dedicarsi ai discorsi
molto più bello […] diventerà quando farà sul serio, quando ricorrendo alla dialettica e
prendendo un'anima adatta, pianterà e seminerà, con la conoscenza, discorsi che saranno capaci di
soccorrere se stessi e chi li ha piantati, discorsi non sterili ma fecondi di semi, da cui cresceranno
altri discorsi ancora, in altri tipi di anime, capaci di rendere sempre immortale questa semenza e
rendendo chi li possiede felici, per quanto felice piò essere un uomo (Fedro, 276e-277a).
La differenza fondamentale stabilita dal Fedro non è dunque quella fra discorso
scritto e discorso orale, ma fra il sapere dell'anima e i discorsi in generale 90. Quello che
conta è la capacità del discorso di risvegliare la verità presente nell'anima e dare vita ad
dell'individuo verso la verità prevede ad ogni tappa la creazione di discorsi che conducano
contemplazione del Bello ideale. A differenza del Fedro, però, non si parla di dialettica, la
quale, se è presente nell'ascesa della scala amoris, come abbiamo appena ipotizzato, lo fa
favorendo il processo per cui l'anima riconduce il molteplice all'unità, senza che faccia poi
108
la comparse un movimento “discendente” di ritorno alla molteplicità, come quello
109
4. LA REPUBBLICA: DALL'EROS ALLA DIALETTICA
1. La Repubblica
La Repubblica, scritta tra il 390 e il 360 a.C., è ritenuta uno dei dialoghi più completi
e significativi di Platone grazie alla peculiarità di riuscire a toccare tutti i punti principali
della filosofia platonica. Si tratta di un dialogo molto corposo, composto da dieci libri, in
delle Idee e alla dialettica, il tutto in relazione ad un ampio progetto politico. L'oggetto
fondamentale del dialogo, infatti, è l'indagine su che cosa sia la giustizia, sia nell'individuo
che nello Stato. Tale indagine porta Socrate, presente nel dialogo in forma di narratore che
con l'argomentazione fino a creare un paradigma di città ideale retta sulla giustizia. Platone
offre una descrizione dettagliata di questo Stato ideale, dall'articolazione della funzione
delle classi sociali all'educazione dei singoli cittadini. L'educazione costituisce un filo
conduttore che percorre quasi tutto il dialogo e che fa la sua comparsa con l'esposizione
delle regole per la formazione di un buon guerriero, figura protagonista dei primi libri della
governanti.
Tutto l'interesse per la formazione dei cittadini e del modo in cui la loro anima si
allontana sempre più dalla dimensione ristretta del dialogo che caratterizzava l'attività
socratica, spostando la sua riflessione all'interno di un contesto più ampio, in linea con il
110
progetto di riforma sociale che qui si delinea. Questo interesse per la politica, che si
rispecchia nella Repubblica nel tentativo di teorizzare la città ideale e giusta, nasce dal
riconoscimento della tragica decadenza che ha colpito Atene, con la sconfitta nella guerra
del Peloponneso e il colpo di stato dei Trenta Tiranni, ma anche e soprattutto dalla
condanna di Socrate. Come Platone spiega nella Lettera VII, questi eventi lo hanno portato
a pensare che l'unica soluzione per sanare il sistema politico sia di Atene che delle altre
Per Platone, la riforma politica deve partire dalle anime dei singoli individui, sulle
quali l'educazione può influire favorendo le condizioni necessarie affinché essi non
commettano ingiustizie. La condanna di Socrate non aveva fatto altro che mostrare al
trovare una nuova chiave per il miglioramento morale degli individui, un miglioramento
che si rispecchiasse nelle istituzioni e in quel mondo politico che si era mostrato capace,
condannando Socrate, di compiere la più grave delle ingiustizie. È alla luce di questa
platonico, ed educazione: tutti e tre sono volti a realizzare lo scopo ultimo della filosofia,
2. La tripartizione dell'anima
dei cittadini, quella che è per lui l'essenza autentica dell'uomo, ricercandone la giustizia.
Per questa ragione, troviamo riferimenti specifici e dettagliati alla composizione interna
dell'anima, che, come vedremo, si pongono in continuità con il mito della biga alata
111
presente nel Fedro. Nella Repubblica tutti i desideri, compresi gli appetiti fisici, vengono
collocati nell'anima piuttosto che nel corpo, in una concezione innovativa rispetto alla
che vede l'opposizione sia ontologica che morale tra anima e corpo, in cui la prima
che conoscitiva91.
Occorre precisare che sono presenti, nella Repubblica, delle incongruenze riguardo
alla natura dell'anima: nel IV libro Platone ne distingue le varie parti che la compongono,
ma quando cerca di dimostrare la sua immortalità nei libri IX e X precisa che l'anima che
sopravvive alla morte e che si reincarna dopo aver contemplato le Idee è semplice e ben
separata dal corpo (Resp. X, 611b-612a), quindi non corrisponde esattamente a quella che
passioni ed emozioni, così come l'appetito fisico puro, elementi corporei che hanno come
fosse disincarnata, in una sorta di "pratica per la morte". Tuttavia, abbiamo visto che le
anime disincarnate di cui Platone ha parlato nel mito della biga alata nel Fedro sono
composte da tre parti: le anime che sono destinate all'incarnazione nei corpi mortali
possiedono già tutti e tre gli elementi prima della caduta dal cielo, mentre ancora cercano
91 Cfr. Mario Vegetti, Guida alla Repubblica di Platone, Roma, Laterza, 1999, p. 56. Ho fatto simili
riferimenti già nel III capitolo, trattando il mito della biga alata nel Fedro, vedi supra, p. 83.
92 Cfr. Sassi, Eros come energia psichica, cit., p. 276.
93 Vedi supra, pp. 84-86.
112
confrontiamo questa visione del destino ultraterreno dell'anima con quelle di altri dialoghi.
C'è probabilmente una contraddizione irrisolta nel pensiero stesso di Platone, che oscilla
fino alla fine tra una concezione religioso-pitagorica dell'anima concepita in contraddizione
dualista al corpo e una concezione dell'anima intesa essenzialmente come sede di una
varietà di desideri, compresi quelli fisici94. Guthrie95, ad esempio, sostiene che Platone non
dell'anima: a suo avviso è improbabile che sia arrivato ad includere le due parti inferiori
dell'anima nella sua natura più pura e più vera, ma è più plausibile che sia sempre stato
convinto che solo la ragione, o per meglio dire, quella parte dell'anima che aspira alla
approfondire in questa sede, è utile ritornare sulla novità significativa della Repubblica,
che era già emersa nel mito della biga alata esposto nel Fedro: Platone indaga il conflitto
questa nuova consapevolezza è che viene data una maggiore importanza al ruolo di
Platone individua tre parti dell'anima che sono di fatto tre “centri motivazionali”96:
uno passionale, uno animoso e uno razionale, ognuno dei quali possiede diversi tipi di
bisogni e desideri. A seconda di quali tipi di desideri prevalgono al suo interno, l'anima
risulta dominata da una delle tre specifiche componenti e ne segue che l'individuo è portato
94 Cfr. W. K. C. Guthrie, Plato's View on the Nature of the Soul, in Recherches sur la tradition
platonicienne – Entretiens sur l'antiquité classique, tome III, Genova, 1955, pp. 7-8.
95 Cfr. ivi, p. 8.
96 Cit. Vegetti, Guida alla Repubblica di Platone, cit., p. 61.
113
parte che desidera la saggezza e l'apprendimento, e permette di ampliare la sfera della
conoscenza escludendo da essa tutto ciò che non corrisponde a verità (Resp. IX, 581b).
Essa è inoltre, come sottolineeremo meglio più avanti, l'unica in grado di guardare al bene
dell'anima nel suo complesso97, mentre le altre due parti, quella epithymetica e quella
thymoeidetica, non vedono oltre il soddisfacimento dei propri specifici desideri. L'appetito
desidera soddisfare i bisogni del corpo e quindi ricerca cibo, bevande, sesso e il denaro
necessario per possedere tali oggetti (Resp. IX, 580e), mentre le aspirazione di thymos sono
patire cose opposte» (Resp. IV, 436b). Ciò significa che quando incontriamo una
contraddizione di questo genere dobbiamo riportare ogni azione a diversi soggetti. Socrate
fa l'esempio di un uomo che allo stesso tempo si trova a desiderare e a rifiutare una
bevanda (Resp. IV, 439c). Per spiegare come sia possibile provare entrambi gli opposti
desideri (possiamo immaginare che abbia sete ma che la bevanda di fronte a lui, se bevuta,
gli recherebbe dei danni) non si può che ipotizzare un conflitto interno all'anima tra un
elemento appetitivo, quello che suggerisce di bere, e la ragione che tende all'opposto.
passionale: Socrate racconta la storia di Leonzio (Resp. IV, 439e-440a) che, passando
accanto a dei cadaveri distesi ai piedi di un boia, prova un forte desiderio di guardarli.
Insieme a questo desiderio prova repulsione per il fatto stesso di desiderare qualcosa di
così riprovevole, ritrovandosi a sperimentare un conflitto interiore, una feroce lotta interna
114
alla fine della quale cede e guarda i cadaveri dicendo ai propri occhi di “godere del bello
Questo esempio mostra che tutti quegli aspetti legati al senso di dignità personale,
alla rabbia, all'indignazione e al desiderio di onore non possono appartenere alla parte
appetitiva, perché possono risultare contraddittori rispetto ai desideri di tale parte. È così
che viene individuata la parte thymoeidetica dell'anima, chiamata anche “animosa”, capace
di fare appello a valori come “nobile” e “ignobile”, fondamentali per stabilire la propria
condotta. Essa sembra essere anche la sede di emozioni come la vergogna, di cui abbiamo
abbiamo sottolineato il legame con eros98. In questo specifico caso, la vergogna di Leonzio
è provata nei confronti dell'ideale di persona rispettabile e dignitosa che la società gli ha
trasmesso e al quale egli sente di dover corrispondere. Essa, unita all'indignazione verso se
stesso, comporta necessariamente una credenza valutativa a proposito di che cosa sia
giusto e nobile, e questo ci spiega perché thymos sia considerato da Platone l'alleato
naturale della ragione (Resp. IV, 441a): il carattere intrinsecamente sociale dei desideri
propri della parte thymoedetica possiede un riferimento al bene comune che la ragione può
sfruttare per affermare e far prevalere i propri desideri su quelli prettamente fisici della
parte epithymetica99.
Potremmo chiederci, a questo punto, in che relazione questa parte stia con quella
come esso sia già presente nei bambini e negli animali, in cui la ragione non è ancora
sviluppata. Inoltre, fornisce l'esempio di Ulisse (Resp. IV, 441b-c) che, tornato in incognito
115
nel suo palazzo a Itaca, scopre che le sue ancelle lo hanno tradito con i Proci e prova un
immediato e furioso desiderio di ucciderle. Tuttavia egli si rende conto che cedere alla
rabbia ridurrebbe le possibilità di raggiungere il suo scopo principale, cioè uccidere i Proci.
Omero dice che Ulisse «“percotendosi il petto rimproverava il suo cuore”» (Resp. IV,
441b) e ciò mostra che siamo di fronte ad un caso in cui la parte razionale dell'anima
Thymos si distingue dalla ragione anche per la natura delle sue risposte agli eventi
circostanti: esse sono immediate, non riflessive, sono parziali e si occupano di questioni
morali solo nella misura in cui tali questioni sono direttamente connesse all'immagine che
l'agente ha di sé. Come fa notare Fussi100, rabbia e indignazione non vengono provate dal
soggetto sulla base della conoscenza di cosa è giusto, ma sulla base di ciò che “appare”
giusto. Per questa ragione thymos può facilmente sbagliare, interpretando frettolosamente
gli eventi e vedendo ingiustizie là dove non ci sono; oppure può credere che ciò che è stato
commesso sia più grave di quanto lo è realmente, portando l'individuo ad esprimere la sua
rabbia in modi e luoghi inopportuni. In questi casi spetta alla ragione acquietare thymos e
Occorre notare che è possibile sostenere che anche la parte appetitiva abbia una sua
propria opinione101, poiché Socrate afferma che durante il sonno la parte appetitiva è in
grado di elaborare sogni complessi ed esercitare il governo sull'anima (Resp. IX, 571c-d).
Questa è la parte che domina, anche mentre la ragione è sveglia, nel modo di vivere del
tiranno.
116
Tutto questo mostra che l'armonia interna all'anima è qualcosa di tutt'altro che
semplice da realizzare, poiché chiama in causa desideri e aspetti valutativi che finiscono
spesso per entrare in conflitto tra loro. È proprio nel miglior equilibrio possibile tra di essi,
in particolare nella capacità di ognuna delle tre parti di svolgere esclusivamente il proprio
compito, che Platone individua la giustizia dell'anima (Resp. IV, 443c-d). Per giungere ad
affermare questa importante tesi, Platone sfrutta l'analogia con lo Stato giusto. La decisione
di ricorrere a questa analogia è giustificata dal fatto che “è più facile leggere una stessa
cosa scritta a caratteri grandi, piuttosto che a caratteri piccoli” (Resp. II, 368d), ovvero che
è utile comprendere in che cosa consista la giustizia nello Stato, dove risulta più chiaro, per
Socrate afferma che «entro ciascuno di noi esistono i medesimi aspetti e caratteri che
esistono nello stato […] perché nello stato essi non sono venuti che dall'individuo» (Resp.
IV, 435e). Buona parte del dialogo è così dedicata alla teorizzazione di un modello di città
giusta, “kallipolis”. Tale città è composta da tre classi sociali: quella dei produttori e degli
agricoltori, quella dei guerrieri o guardiani, e quella dei governanti. Platone spiega che la
classe dei governanti corrisponde alla parte razionale dell'anima, quella dei guardiani alla
(Resp. IV, 439c-e). Così come la giustizia nello Stato può realizzarsi solamente se ogni
classe sociale svolge le proprie mansioni senza invadere i territori di competenza delle altre
due (Resp. IV, 433e-434c), nell'anima vi è giustizia se ogni sua parte svolge
E la giustizia, come sembra, era davvero qualcosa di simile: essa consiste nell'adempiere i
propri compiti non esteriormente ma interiormente, in un'azione che coinvolge veramente la
propria personalità e carattere, per cui l'individuo non permette che ciascuno dei suoi elementi
117
esplichi compiti propri di altri né che le parti dell'anima s'ingeriscano le une nelle funzioni delle
altre; ma instaurando un reale ordine nel suo intimo, diventa signore di se stesso e disciplinato e
amico di se medesimo e armonizza le tre parti della sua anima (Resp. IV, 443c-d).
La funzione propria della ragione è “governare” (Resp. IV, 444b). Qualora questo
non accada si genera nell'anima l'ingiustizia, che consiste in una sorta di “usurpazione”,
ovvero nel tentativo delle altre parti dell'anima di svolgere il compito proprio della ragione
(Resp. IV, 444b). Non dobbiamo fare l'errore di pensare che, se a ogni parte dell'anima è
propria102. Abbiamo già accennato al fatto che anche la parte animosa e quella passionale
possiedono una certa capacità di ragionamento, così come la ragione ha dei suoi specifici
Nel IX libro della Repubblica Platone attribuisce ad ogni parte dell'anima uno
581b), la parte animosa «amante di vittoria e di onori» (Resp. IX, 581b), la parte appetitiva
«amante di denaro e amante di guadagno» (Resp. IX, 581a), nella misura in cui il denaro
Quest'ultimo caso mostra che ci sono cose amate per se stesse e cose amate in quanto
strumenti utili al raggiungimento delle prime. Questo non vale solamente per la parte
appetitiva, ma può valere anche per la parte animosa: l'oggetto amato per se stesso è
l'onore, mentre la vittoria, la buona reputazione, il dominio, sono amati come mezzi per
interno all'anima come ad una modulazione dei diversi desideri che non prevede tanto che
118
alcuni di essi vengano repressi in favore di altri, quanto piuttosto subordinati. Ognuna delle
tre parti può detenere il comando e subordinare i desideri delle altre due ai propri, ma
solamente quando comanda la ragione l'anima si trova nel suo stato ottimale: essa è l'unica
capace sia di cogliere e comprendere i desideri delle altre due parti, sia di aiutare le parti
A proposito di tutti quegli appetiti che si ricollegano all'amore del guadagno e della vittoria,
possiamo dire che quelli che seguono la scienza e la ragione e che, aiutati da queste, mirano e
riescono a cogliere i piaceri che l'intelligenza indica, coglieranno i più veri, per quanto è loro
possibile coglierne i veri. […] Allora se tutta l'anima segue l'elemento filosofico e non è turbata da
discordia, ciascuna sua parte, oltre ad adempiere ogni suo altro compito, è giusta; e inoltre gode i
propri piaceri, i migliori e i più veri che le sia possibile. […] Quando però uno degli altri elementi
abbia il predominio, avviene che esso non riesce a scoprire il proprio piacere e costringe gli altri a
perseguirne uno estraneo e non vero (Resp. IX, 586d-587a).
questa parte è in grado di realizzare ciò che è meglio anche per le altre due, qualora
riescano a seguire le sue indicazioni. La razionalità, però, non possiede le stesse capacità
per comandare sugli altri desideri che invece possiedono la parte animosa e quella
passionale, dotate di forza bruta che deriva dalle forti emozioni e dagli urgenti desideri che
Sulla base dell'analogia che abbiamo visto sopra, a membri di classi sociali diverse
119
viene attribuita la prevalenza di uno dei tre elementi dell'anima: i governanti sono coloro
nella cui anima predomina il principio razionale, capace di guidare le anime individuali e
la collettività verso il bene comune, i guerrieri quelli in cui predomina thymos, con la sua
aggressività collerica che è però disposta ad ascoltare la ragione, e i produttori coloro in cui
hanno il sopravvento i desideri epithymetici, che possono essere temperati solamente con la
dote morale della moderazione105. Ogni componente di questi gruppi possiede dunque
dentro di sé o l'amore per la conoscenza, o quello per l'onore, o quello per i piaceri fisici. È
interessante porre questo punto in relazione con il passo del Simposio che abbiamo citato
nel secondo capitolo106 in cui Socrate afferma che eros, inteso come desiderio del bene,
può esercitarsi attraverso molteplici sentieri: gli affari, la ginnastica, o la filosofia (Symp.
205d).
riflettere su come sia possibile realizzare la giustizia nell'anima e nello Stato, e a trovare
una soluzione in una riforma dell'educazione. Occorre vedere, quindi, come l'educazione
sia in grado di influire sui desideri dell'anima, orientandoli in modo da favorire il dominio
nella società greca secondo la quale la formazione del carattere e lo sviluppo della
120
conoscenza non dipendono solo dall'insegnamento razionale, ma anche dalle
produrre sanità significa disporre gli elementi del corpo in un sistema di dominanti e di dominati
conforme alla natura: produrre malattia disporli in un sistema di governanti e governati contrario
alla natura. […] D'altra parte, dissi, produrre la giustizia non significa disporre gli elementi
dell'anima in un sistema di dominanti e dominati conforme alla natura? E produrre l'ingiustizia
disporli in un sistema di governanti e governati contrario alla natura? E allora la virtù, sembra, sarà
una specie di sanità, bellezza e felice condizione dell'anima; il vizio malattia, bruttezza e debolezza
(Resp. IV, 444d-e).
Questa analogia tra la virtù e la salute mostra il legame tra educazione e cura
parti dell'anima. Abbiamo sottolineato nei capitoli precedenti l'esistenza di un legame tra
eros e cura di sé sia in Socrate che in Platone: la cura dell'anima e la sua “conversione”
verso la verità, si trovi essa nella propria dimensione interiore o presso un diverso piano
ontologico, restano gli interessi principali della filosofia platonica nel corso di tutta la sua
riflessione. Come abbiamo già accennato, qui nella Repubblica non si parla esplicitamente
di eros, se non in alcuni passi sporadici, bensì di desideri che caratterizzano le diverse parti
dell'anima. Vedere nel dettaglio i procedimenti educativi consigliati da Platone può aiutarci
a stabilire se è possibile individuare una qualche continuità tra i dialoghi erotici e quelli
107Cfr. J. Szaif, Plato on the “cultivation of the soul” through philosophical knowledge, in Ideal and
Culture of Knowledge in Plato (Philosophie der Antike), a cura di W. Detel, A. Becker, P. Scholz, Franz
Steiner Verlag, 2003, p. 26.
121
N e l Fedro il legame tra eros e elevazione dell'anima risulta evidente: si parla
miglioramento reciproco, volta a rendere l'altro “sempre più divino” (Fedro, 253b-c). E
anche se l'aspetto della reciprocità della relazione amorosa presente nel Fedro non è
analogamente presente nel Simposio, come abbiamo già sottolineato, anche in quest'ultimo
dialogo è possibile ritrovare alcuni riferimenti all'educazione: nella descrizione della scala
amoris sono presenti passi in cui si parla della creazione di discorsi volti a migliorare i
giovani e ce n'è uno in particolare in cui la sublimazione dell'amore per l'anima dell'amato
Di Benedetto, che questo passaggio non era obbligatorio ai fini dell'ascesa del filosofo,
poiché si sarebbe potuti giungere alla contemplazione dell'Idea del Bello anche senza di
esso:
L'eros e anche la philia più spiritualizzata potevano restare indefinitamente nel loro ambito.
Invece a Platone premeva che l'interesse per l'anima (anziché il corpo) avesse come conseguenza
uno sbocco pedagogico: il fatto che l'anima produca dei discorsi tali che rendano migliori i giovani.
Il nesso tra eros pederastico ed educazione poteva riflettere un modo di vita reale, ma da questo non
derivava ancora che l'amante, uscendo dalla sfera interpersonale, passasse alla contemplazione dei
nomoi degli uomini. Ma il passaggio era necessario perché Platone potesse compiere l'operazione
di innestare su una esperienza fondamentale quale quella erotica le sue esigenze di filosofo
educatore108.
Di Benedetto mette in luce il riferimento alla sfera educativa presente in questo passo
dell'ascesa. A questo proposito fa notare che vi sono, nelle parole di Diotima, espliciti
108Cit. Vincenzo Di Benedetto, Eros / conoscenza in Platone, introduzione a Simposio, di Platone, Milano,
BUR, 2005, p. 38.
122
Per altro in queste cose d'amore forse, o Socrate, avresti potuto anche iniziarti da solo; ma
dubito che saresti capace di percorrere i gradi della visione suprema, in cui hanno radice anche le
cose d'amore, se si segue una retta via di indagine. Perciò te ne parlerò io e non mi farò mancare
d'impegno. Tu cerca di venirmi dietro, se ti riesce. In realtà – disse – chi si dirige per la retta via a
questa impresa, deve cominciare fin da giovane ad avvicinarsi a corpi belli, e dapprima, se chi lo
guida lo indirizza per la retta via, deve amare un determinato corpo e in esso generare discorsi belli
(Symp. 209e-210a).
In questo passo Diotima dice che il filosofo ha bisogno di una guida che lo indirizzi,
che lo aiuti a seguire una “retta via di indagine”. Questo punto è sottolineato anche più
avanti, quando, subito prima di parlare della visione del Bello, Diotima ricapitola i passi
compiuti dall'amante parlandone come di «colui che sia stato educato fino a questo punto
all'esperienza erotica è un primo punto di continuità tra i due dialoghi. Nella Repubblica la
figura della guida è trasferita nello Stato stesso, i cui comandanti (i filosofi nel caso di
kallipolis) possono migliorare e rendere giusti i cittadini grazie al più indicato sistema
educativo.
Tale educazione può essere scissa in due momenti distinti: uno in cui la formazione
Possiamo immaginare la prima parte come una sorta di “preparazione del terreno” in
cui verrà impiantato il “seme” del logos filosofico109. Platone è convinto che l'anima
infantile sia porosa, plasmabile, dotata di una plasticità in grado di ricevere e interiorizzare
123
ogni tipo di stimolo in modo profondo e determinante. Possiamo sottolineare, a questo
proposito, il ricorrere dei termini plattein e typos110, che rimandano alla tecnica di
scontrosità (Resp. III, 410d), mentre la mousiké favorisce la temperanza, ma, in eccesso, la
mollezza fisica (Resp. III, 410d). Per un'eccellente educazione morale e fisica occorre che
le due discipline si armonizzino tra loro (Resp. III, 412a-b), favorendo un equilibrio tra
tutte le arti cui presiedono le Muse. Platone si preoccupa perciò di modificare le storie che
vengono raccontate ai bambini in base agli effetti che hanno sull'anima, curando in
particolare l'immagine degli dei che viene trasmessa in questi racconti, in quanto essa
costituisce un efficace e diffuso modello educativo. È utile far emergere degli dei una
concezione non antropomorfica e totalmente positiva sul piano morale (Resp. III, 388b-d),
in modo che i giovani non possano giustificare eventuali proprie azioni ingiuste ispirandosi
a tali racconti.
Riguardo all'aspetto della melodia, viene specificato che armonia e ritmo sono i due
Ora, Glaucone, ripresi, non sono queste le ragioni che rendono estremamente importante
l'educazione musicale? Ché il ritmo e l'armonia penetrano profondamente entro l'anima e assai
110Cfr. S. Gastaldi, Paideia/mythologia, in La Repubblica, a cura di M. Vegetti, Vol. II, Napoli, Bibliopolis,
2003, p. 343.
124
fortemente la toccano, conferendole armoniosa bellezza; e se uno è stato educato bene, gliela
rendono bella, e se no, brutta. Perché chi ha avuto una perfetta educazione musicale, sarà
prontissimo ad accorgersi delle cose trascurate o imperfettamente lavorate o difettose per nascita; e,
giustamente disgustato, loderà le cose belle, se ne compiacerà e le accoglierà nell'anima sua
facendosene nutrimento e diventerà una persona perfetta, mentre sin da giovane, prima di poterne
acquistare piena coscienza, rettamente criticherà e aborrirà quelle brutte; e quando gli sia
sopraggiunta la ragione, chi così è stato allevato le farà grande festa riconoscendola soprattutto per
la familiarità che ve lo unisce (Resp. III, 401d-402a).
Armonia e ritmo sono due elementi in grado di generare nell'anima una sorta di pre-
concezione di che cosa è bello e che cosa è brutto, producendo nel giovane la capacità di
distinguere istintivamente gli oggetti in cui si trova l'armonia e quelli che ne sono privi.
Abbiamo visto l'importanza attribuita da Platone alla bellezza sia nel Simposio che nel
Fedro, in quanto permette all'anima di elevarsi conducendola presso il mondo ideale. Qui
nella Repubblica, coerentemente, Platone afferma che la musica allena l'anima a sviluppare
dentro di sé una concezione intuitiva della bellezza, distinguendo le cose in cui risiede
armonia da quelle disarmoniche prima ancora che tale distinzione sia compresa
razionalmente (Resp. III, 401d), in modo da non avere difficoltà più avanti, quando
Anzi, Platone dice esplicitamente che l' “amore per il bello” è il fine ultimo della
musica (Resp. III, 403c). In questo frangente si ribadisce la superiorità della bellezza
dell'anima su quella corporea (Resp. III, 402d), bellezza che in entrambi i casi consiste in
una perfetta armonia e che viene definita “degna d'amore” (Resp. III, 402d). Più in
chi realmente ama apprendere deve, fino da fanciullo, desiderare più che può tutta la verità. […]
nella persona in cui i desideri sono fortemente inclinati in un senso, essi sono più deboli negli altri
sensi, come una corrente lì convogliata. […] Ora, in quella persona in cui i desideri sono rivolti agli
125
studi e a ogni attività simile, essi riguarderanno, credo, il piacere dell'anima per se stessa e
trascureranno i piaceri del corpo (Resp. VI, 485d).
Nella Repubblica Platone descrive l'ascesa del filosofo verso il mondo delle Idee,
senza che sia eros a guidare l'anima come avveniva nel Simposio e nel Fedro. Tuttavia, si
parla di desideri che possono essere canalizzati in direzioni diverse ed il ruolo di primaria
canalizzare nel modo corretto questo flusso di energia presente in essa, disponendola in
Se riprendiamo il concetto di eros che emergeva nella scala amoris del Simposio, in
cui esso è via via direzionato verso oggetti diversi e più vicini alle Idee, vediamo che non è
possibile identificarlo con uno stato emotivo specifico, in quanto ognuno di essi è
manifestazione di un eros che muta e predispone l'anima ogni volta in modo diverso. Sono
“inclusiva”, che vede eros espandersi dirigendosi verso un numero sempre maggiore di
oggetti senza che nessuno di essi venga sostituito o in qualche modo abbandonato, o,
aspirazione vengono totalmente sostituiti dai nuovi 111. Sembra plausibile, però,
un'interpretazione “mediana”, che vede eros come flusso psichico, ovvero come una
corrente di energia che si presenta ai livelli più bassi come istinto passionale e di
autoconservazione e a quelli più alti come principio di conoscenza 112, ovvero come una
forza che trascina con sé l'anima fino a permetterle di conoscere la verità. Secondo questa
126
interpretazione, le tappe della scala amoris devono essere considerate come espressioni di
un reindirizzamento del flusso: una volta che la corrente di eros viene canalizzata in una
nuova direzione, affluisce “in quantità minore” nella direzione precedente, o in altre
Socrate afferma che quando il filosofo dirige il suo amore verso “tutti” i corpi belli,
“allenta” la passione per uno solo (Symp. 210d). Questo “allentare” potrebbe essere
indizio, appunto, di una canalizzazione del flusso della corrente erotica in direzione diversa
da quella di un solo corpo bello, dunque vale la pena ricercare se anche nella Repubblica
sia possibile riscontare qualcosa di simile, prendendo in considerazione ciò che Platone
dice a proposito del ruolo svolto dai desideri nei diversi temperamenti umani.
Oltre alla distinzione tra filosofi, timocratici e passionali, Platone offre la descrizione
dettagliata di cinque tipi psicologici, distinguendo all'interno di coloro che sono dominati
dai desideri passionali l'individuo democratico, quello oligarchico e il tiranno, che vanno
L'individuo democratico viene descritto come colui che «vive giorno per giorno
compiacendo così il primo appetito che gli capita […] e per la sua vita non conosce né
ordine né necessità alcuna» (Resp. VIII, 561c-d), l'oligarchico invece reprime i desideri
superflui per realizzare i necessari, agendo in preda alla paura di perdere i propri beni,
mentre non si fa problemi a dissipare i beni altrui e finisce così per essere doppio (Resp.
VIII, 554c-e), e, infine, il tiranno è descritto come colui che possiede dentro di sé un «certo
amore che si pone a capo degli appetiti oziosi e prodighi di ogni bene disponibile» (Resp.
IX, 572e-573a).
127
desideri, in relazione al tiranno parla esplicitamente e ripetutamente di “amore”.
della figura del tiranno sia in grado di offrire dei chiarimenti a proposito della concezione
platonica di eros. Lo studioso sottolinea che si tratta di una forza distinta dagli appetiti
stessi, che però è in grado di ordinarli «consentendo un'esistenza estrema (ed estremamente
indirizzato, è capace di unificare tutta l'anima, nel tiranno come nel filosofo. Nel Simposio
e nel Fedro eros era ciò che riusciva a trascinare l'anima del filosofo verso l'alto, presso il
mondo ideale e la contemplazione della verità, conferendo alla vita il massimo “bene”. Qui
nella Repubblica vediamo che eros può dominare nell'anima anche in nome del più grande
male. Si tratta, infatti, di una potente energia psichica che può unidirezionare le pulsioni 114,
sia assecondando il soddisfacimento delle più basse passioni, sia a favore della razionalità
e dell'elevazione dell'anima. In ogni caso, anche nella Repubblica, eros rimane mediatore:
congiunge la parte più bassa e quella più alta dell'anima, creando un equilibrio per cui l'una
In generale, quindi, tra Simposio e Repubblica, sembra che il desiderio sia come un
flusso di una certa quantità limitata di energia che, se direzionata verso un oggetto, viene
desiderio nella Repubblica. A questo proposito, Sassi fa notare che l'interpretazione di eros
128
come energia psichica può essere utilizzata per «spiegare l'apparente venir meno della
Sembra, cioè, che in ciascun elemento dell'anima la tensione del desiderio acquisti un preciso
carattere a seconda dell'oggetto di riferimento, determinando poi il carattere stesso degli individui
in cui ciascun elemento predomina. Il desiderio apparirebbe allora non circoscrivibile all'elemento
più basso, avendo la possibilità di fluire attraverso l'intera anima (così come un elemento cognitivo
sembra necessariamente attribuibile a tutti e tre gli elementi) 116.
La seconda parte del curriculum educativo è riservata a coloro che sono idonei ad
filosofica: «amano sempre una disciplina che sveli loro un po' di quell'essenza che
affaticarsi nello studio non meno che nella ginnastica» (Resp. VI, 504d), altrimenti non
verranno mai a capo della disciplina più sublime, quella che ha per oggetto l'idea del Bene,
quell'idea che occupa il sito più alto del mondo intelligibile. Essa viene immediatamente
introdotta:
di essa non abbiamo una conoscenza adeguata; ma se non ne abbiamo conoscenza, anche se
129
conoscessimo perfettissimamente tutto il resto senza di questa, vedi bene che non ne ritrarremmo
nessun giovamento, come non lo ritrarremmo se possedessimo una cosa senza il bene (Resp. VI,
505a-b).
Possedere l'Idea del Bene è per il filosofo una conquista imprescindibile. Definirla
sapere che non è possibile identificare il “Bene” né con l'intelligenza, né con il piacere
(Resp. VI, 505b). L'identificazione del Bene con l'intelligenza produce una definizione
circolare: l'intelligenza è tale, infatti, soltanto se ha per oggetto il Bene, quindi non può
essere identificata con il Bene in sé. L'identificazione del Bene col piacere, ancora, genera
una contraddizione non appena si riconosce che esistono piaceri cattivi. Infatti, se il Bene
coincide con il piacere, allora qualsiasi piacere deve costituire un bene, ma è possibile
Il Bene viene, inoltre, distinto dal giusto e dal bello: gli individui, pur essendo
disposti a compiere azioni che appaiono giuste o belle senza in realtà esserlo, non
accettano, di contro, di possedere beni che sono tali solo in apparenza (Resp. VI, 505d). A
conoscere in che relazione le cose giuste e belle stanno con l'idea del Bene (Resp. VI,
506a), se desiderano possederne una conoscenza autentica. Per chiarire la natura di questa
“suprema” Idea, Platone presenta un'analogia tra il Bene e il sole, osservando che «ciò che
nel mondo intelligibile il bene è rispetto all'intelletto e agli oggetti intelligibili, nel mondo
visibile è il sole rispetto alla vista e agli oggetti visibili» (Resp. VI, 508c).
Il sole mette in atto la potenzialità della vista: quando guardiamo oggetti illuminati
dal sole, riusciamo a vedere, mentre quando guardiamo oggetti oscuri, è come se fossimo
ciechi (Resp. VI, 508c). Il Bene fa lo stesso con l'anima: quando essa si fissa su ciò che è
130
illuminato dalla verità e dall'essere, ovvero il Bene, lo coglie e lo conosce, mentre quando
si fissa su ciò che è oscuro e “viene ad essere e perisce”, allora ha solo opinioni, si offusca e
questo elemento che conferisce la verità e a chi conosce dà la facoltà di conoscere, dì pure che è
l'idea del bene; e devi pensarla causa della scienza e della verità, in quanto conosciute. Ma per belle
che siano ambedue, conoscenza e verità, avrai ragione se riterrai che diverso e ancora più bello di
loro sia quell'elemento. E come in quell'altro ambito è giusto giudicare simili al sole la luce e la
vista, ma non ritenerle il sole, così anche in questo è giusto giudicare simili al bene ambedue questi
valori, la scienza e la verità, ma non ritenere il bene l'una o l'altra delle due. […] agli oggetti visibili
il sole conferisce non solo la facoltà di essere visti, ma anche la generazione, la crescita e il
nutrimento, pur senza essere esso stesso generazione […] anche gli oggetti conoscibili non solo
ricevono dal bene la proprietà di essere conosciuti, ma ne ottengono ancora l'esistenza e l'essenza,
anche se il bene non è essenza, ma qualcosa che per dignità e potenza trascende l'essenza (Resp. VI,
508e-509b).
Come il sole fornisce alle cose visibili non solo la nascita, la crescita e il nutrimento,
ma anche la capacità di essere viste, così il Bene conferisce ai conoscibili sia l'essere che
l'essenza (ousia). Platone imposta il discorso sia a livello conoscitivo che ontologico:
di vista conoscitivo è possibile pensare che esso sia immaginabile come l'orientamento di
ogni conoscenza, e dal punto di vista ontologico come ciò in vista di cui ogni agire tende
(benché l'analogia sia con il sole, che non è causa finale ma efficiente) 117. In generale, però,
Platone non spiega in modo sistematico perché e in che senso il bene sia causa dell'essere e
Un ulteriore chiarimento è offerto grazie all'immagine della linea (Resp. VI, 509d-
131
511e), intesa come una prosecuzione dell'analogia fra sole e Bene. Platone invita ad
immaginare una linea divisa in due segmenti, uno per la sfera del visibile e uno per quella
conoscenza” a cui corrispondono da un lato certi tipi di oggetti distinti secondo gradi
dell'anima, ovvero le modificazioni che si verificano in essa quando ha a che fare con tali
oggetti. Le diverse fasi sono distinte in base a criteri di verità e chiarezza: come le diverse
grado differente della chiarezza, e la chiarezza ottenibile dall'intelletto dipende dal grado di
Il primo sotto-segmento, ovvero il grado più basso della linea (che occorre, appunto,
verifica nell'anima quando si trova in relazione alle immagini delle cose sensibili, come le
loro ombre e i loro riflessi (Resp. VI, 509e-510a). Al secondo sotto-segmento corrisponde
invece la “credenza fondata” (pistis) in relazione alle cose sensibili, come gli animali, le
piante e tutti gli oggetti artificiali (Resp. VI, 510a-b). Il segmento dell'intelligibile, invece,
vede corrispondere la sua parte inferiore alla dianoia, traducibile con “intellezione
articolata”120, quella che ha che fare con gli oggetti delle scienze matematiche, geometriche
e simili, che si servono delle cose visibili per cogliere l'intelligibile (Resp. VI, 510b-511a).
L'ultimo sotto-segmento, infine, il più alto, corrisponde alla dialettica, che permette di
119Questa interpretazione si oppone a quella illustrativa, secondo cui i due segmenti inferiori della linea si
limitano a illustrare analogicamente, proseguendo l'analogia del sole, il rapporto tra i due metodi di
conoscenza, matematica e dialettica, descritte nei due segmenti superiori.
120Cfr. Di Benedetto, op. cit., p. 7.
132
L'ultima “fase” è qualcosa che il filosofo è chiamato a raggiungere, e in questo senso
le distinzioni interne all'immagine della linea possono essere viste come tappe di un
Si tratta di un percorso filosofico che Platone cerca forse di illustrare con il mito
della caverna, che vale la pena riprendere, date le assonanze con l'immagine della linea che
ne hanno, tra l'altro, favorito un'interpretazione in analogia con essa. I prigionieri della
caverna sono legati mani e piedi, costretti ad osservare delle ombre proiettate sul muro di
fronte a loro grazie alla luce di un fuoco dietro di loro, convinti che quella sia la realtà.
Quando uno di loro viene slegato e condotto presso la realtà esterna, lungo un percorso
articolato e difficoltoso, passa dalla visione delle ombre proiettate sul muro a quella degli
oggetti “reali” di cui prima vedeva le ombre, rendendosi conto di come quella che credeva
essere la realtà fosse invece un'illusione, per poi progredire ancora uscendo dalla caverna e
vedendo le cose che sono al di fuori, nel mondo superiore (Resp. VII, 516a), autentico.
Anche qui, dato che i suoi occhi non sono ancora abituati alla luce, prima di vedere gli
oggetti, è costretto a guardare il loro riflesso nell'acqua. Solo in seguito riesce a guardare
gli oggetti illuminati dalla luce del sole, per riuscire infine a guardare direttamente il sole.
gradi della conoscenza presentati nell'immagine della linea ha creato non poche difficoltà.
La prima tappa, ovvero la visione delle ombre, dovrebbe corrispondere al grado più basso
Questa corrispondenza è però problematica: chi vede ombre, secondo la linea, sa di vedere
delle immagini riflesse, mentre il prigioniero è convinto che le ombre siano reali. Lo stato
conoscitivo del prigioniero sembra corrispondere alla credenza (pistis) piuttosto che
all'eikasia, ma nella linea la pistis corrisponde allo stadio successivo alla visione delle
133
ombre e dei riflessi, il secondo grado della conoscenza. Se allora cerchiamo di individuare
una corrispondenza della pistis con la seconda tappa del percorso attraversato dal
modo simbolico e non in stretta corrispondenza con il primo stadio conoscitivo della linea,
ovvero vedendole come false credenze dal punto di vista etico, false opinioni 121 da cui è
necessario liberarsi. Per quanto riguarda le fasi successive del percorso del prigioniero
liberato, abbiamo che la visione del riflesso degli oggetti nell'acqua dovrebbe
corrispondere alla fase della dianoia nella linea, quella in cui ci si serve degli enti
matematici come immagini delle entità ideali, e la visione delle cose sensibili
corrisponderebbe alla conoscenza vera delle Idee (episteme). La visione del Sole, infine,
Tra i riflessi, ovvero le immagini che il prigioniero vede appena uscito dalla caverna,
e il mondo matematico non c'è, di nuovo, una chiara corrispondenza: agli enti matematici
si giunge a partire dagli oggetti sensibili, operando una sempre maggiore astrazione, ma i
riflessi degli oggetti nell'acqua fuori dalla caverna non hanno alcuna relazione con il
mondo dentro la caverna. Vediamo così che, in generale, la sequenza tra gradi della
conoscenza presente nell'immagine della linea non trova corrispondenza nel mito della
caverna.
un percorso di progressivo avvicinamento alla verità, a quel mondo delle Idee che
costituiva già la meta ultima degli altri percorsi di “elevazione dell'anima” che Platone ha
134
esposto sia nel Simposio che nel Fedro.
Sciogliersi dai legami, volgersi dalle ombre alle immagini e alla luce, ascendere dal mondo
sotterraneo verso il sole […]: questo potere è posseduto da tutto quello studio delle arti di cui
abbiamo discorso, uno studio che eleva la parte migliore dell'anima alla contemplazione dell'essere
più sublime (Resp. VII, 532 b-c).
Quando Platone parla dello “studio delle arti di cui abbiamo discorso” si riferisce al
curriculum educativo che abbiamo visto cominciare con ginnastica e mousiké, di cui
ricordiamo la capacità di fornire all'anima una pre-concezione di ciò che è bello, cui si
si estende per anni può essere colta alla luce delle difficoltà che caratterizzano l'uscita dalla
caverna: il prigioniero liberato non riesce subito a guardare la luce del sole, che possiamo
senza problemi leggere in analogia con il Bene, ma è costretto ad attendere che i suoi occhi
si abituino prima di riuscirci, e solo dopo che questo è avvenuto egli è in grado di giudicare
ciò che vede più vero del mondo della caverna (Resp. VII, 515c-516c). È in questo senso
che Platone afferma che la ragione deve voltarsi in direzione della verità insieme a tutta
l'anima (Resp. VII, 518c): essa deve essere capace di resistere a tale contemplazione, e
deve perciò essere allenata in precedenza con le discipline che Platone ha inserito nel suo
programma educativo.
piacimento come se fosse un gioco, per contraddire chiunque gli capiti di fronte, finendo
per rinnegare tutto ciò in cui credono e gettando scredito su se stessi e sulla filosofia (Resp.
VII, 539b-c). Occorre imparare le basi della dialettica, ma prima di giungere alla “meta
ne faccia esperienza. Se l'animo di tali individui non è turbato dalla carriera militare e
135
politica, una volta raggiunti i cinquant'anni d'età
verranno costretti a volgere in su il raggio dell'anima e a guardare a ciò che a ogni cosa dà luce;
e dopo aver veduto il bene in sé a usarlo come un modello e ordinare, ciascuno a turno, per il resto
della vita, lo stato e i privati cittadini e se stessi (Resp. VII, 540a-b).
Il percorso educativo si estende lungo tutto l'arco della vita, e coloro che riescono a
raggiungere il culmine della più alta educazione sono indubbiamente coloro che Platone
ritiene prescelti per ricoprire le cariche governative. Essi hanno il compito di prendere le
decisioni più importanti in quanto sono i soli in grado di deliberare basandosi sulla verità,
senza perdersi nella molteplicità delle opinioni. Essi sono capaci prima di tutto di
mantenere saldo il controllo della propria anima, dato che, come abbiamo visto, la loro
Nella Repubblica, a differenza del Simposio e del Fedro, il filosofo è invitato, una
volta contemplata la realtà immutabile delle Idee, a non «plasmare solo se stesso» (Resp.
VI, 500d), ma a modificare anche la polis sulla base di tale «modello divino» (Resp. VI,
500e): egli è chiamato a gettare il proprio sguardo ora da un lato ora dall'altro al fine di
migliorare la costituzione della città e gli altri uomini in base al modello ideale (Resp. VI,
500d). Quello che nel Simposio era lo stadio finale e che nel Fedro era seguito da un
nella vita pubblica. Questo aspetto si pone in sintonia con il progetto generale di riforma
sociale che muove Platone quando scrive la Repubblica. Tuttavia, si afferma che il filosofo
si trova “costretto” (Resp. VI, 500d) a tradurre in caratteri umani gli oggetti della sua
136
visione, sintomo del fatto che preferirebbe passare il resto della sua vita contemplando le
Idee piuttosto che impegnarsi nell'attività politica122, il che significa in qualche modo
occuparsi di affari dai quali il filosofo si sente ormai distante, avendo conosciuto una realtà
5. La matematica e la dialettica
Abbiamo visto che l'educazione proposta nella Repubblica per coloro che sono
destinati a diventare filosofi prevede, per riprendere l'immagine della linea, il passaggio
cruciale dalla sfera del sensibile a quella dell'intelligibile. Sappiamo che nella porzione
inferiore della sezione dell'intelligibile Platone pone i mathemata, che quindi costituiscono
la chiave per comprendere come possa avvenire questo “salto” da una dimensione all'altra.
Per mathemata si intendono tutte quelle discipline che si servono di immagini sensibili,
per pensare a modelli intelligibili, come può essere l'Idea del triangolo in sé o gli enti
e l'armonica, conducono «dal mondo della generazione al mondo dell'essere» (Resp. VII,
525d) grazie alla sua capacità, di fronte a percezioni contrastanti, di ricercare la verità
grande e piccolo, o gli stessi visibile e intelligibile, costringe l'anima a risvegliare la sua
noesis, la sua pura facoltà intellettuale, per porsi dubbi e iniziare un nuovo lavoro di
indagine e discussione, rivolto a distinguere la vera natura delle cose. In questa ricerca
137
l'anima si serve di oggetti sensibili come immagini di enti intelligibili e procede
formulando ipotesi di cui scopre via via la fondatezza o meno, in modo da poter giungere
la ginnastica è subordinata a ciò che nasce e perisce, in quanto «si occupa della crescita e
della diminuzione dei corpi» (Resp. VII, 521e) e alla musica manca la capacità di «trainare
l'anima da ciò che diviene a ciò che è» (Resp. VII, 521d). Abbiamo già sottolineato la loro
conoscenza puramente razionale come quella delle Idee, occorre l'esclusivo esercizio del
Il procedimento per cui, nei libri VI e VII della Repubblica, si passa dai mathemata alla
dialettica mostra un certo parallelismo con il passaggio della scala amoris del Simposio123
in cui dall'eros rivolto alla bellezza delle scienze si passa all'amore per il Bello in sé (Symp.
210d)124.
sensibile e di un sempre maggiore utilizzo della facoltà razionale. Nell'ultima tappa della
scala amoris, infatti, abbiamo visto che l'emotività da cui si era partiti non svolge più alcun
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ruolo. Allo stesso modo nella Repubblica, thymos, la parte dell'anima sede delle emozioni,
non interviene nella fase finale dell'educazione, quella dialettica. Questa dimensione, però,
ha costituito un elemento fondamentale delle prime tappe dell'ascesa, sia nella scala
amoris che nell'educazione, e occorre sottolineare che di fatto non si può mai davvero
prescindere da essa. Nella Repubblica è grazie al lavoro fatto sulla parte thymoeidetica che
la ragione può raggiungere i livelli più alti di conoscenza: la dialettica deve essere
insegnata solamente a coloro che hanno una natura ordinata e ferma (Resp. VII, 539d).
Ancora, sia nel percorso educativo che nella scala amoris, la ragione, che finisce per essere
preponderante nella tappa finale, interviene già nelle prime fasi dell'ascesa, favorendo,
Oltre a questi punti comuni, la struttura gerarchica che caratterizza eros da un lato e
il percorso che va dai mathemata alla dialettica dall'altro, ne mette in luce la continuità 125:
elevata perfezione via via che aumenta il valore (da intendersi in senso ontologico) degli
oggetti cui si riferisce. Inoltre, è stato osservato che non è del tutto corretto considerare il
esempio, sostiene che già nella prima fase l'anima utilizzi il ragionamento inferenziale
quando conserva le giuste convinzioni, e invita a riflettere sul fatto che la ragione sarebbe
presente in entrambe le fasi educative e non solamente nella seconda, che di fatto
fornirebbe la comprensione delle strutture intelligibili che sono alla base delle credenze
sviluppate nel primo stadio126. Sia in un caso che nell'altro, quindi, la componente razionale
e quella emotiva collaborano per buona parte del percorso filosofico, favorendo un
125Cfr. Jerry Stannard, Socratic Eros and Platonic Dialectic, in Phronesis, 4, 1959, pp.126-127.
126Cfr. BMCR 2005.10.28, Ideal & Culture of Knowledge in Plato, owner-bmcr-1@brynmawr.edu, p.2
(17/10/2005)
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progresso graduale che conduce l'anima a volgere il proprio sguardo presso la realtà ideale.
L'educazione non è proprio come la definiscono alcuni che ne fanno professione. Essi dicono
che essendo l'anima priva di scienza, sono loro che la istruiscono, come se in occhi ciechi
ponessero la vista […] Invece, il presente discorso vuole significare che questa facoltà insita
nell'anima di ciascuno e l'organo con cui ciascuno apprende si devono staccare dal mondo della
generazione e far girare attorno insieme con l'anima intera, allo stesso modo che non è possibile
volgere l'occhio dalla tenebra allo splendore se non insieme con il corpo tutto (Resp. VII, 518 b-c).
visto sopra127 che la fermezza e l'equilibrio dell'anima sono favoriti da una corretta
canalizzazione dei desideri, ovvero un'adeguata distribuzione del flusso di energia presente
nell'anima nelle sue tre parti in modo che ad essere privilegiata sia la ragione.
Inoltre, questo passo mette in evidenza il fatto che la teoria dell'educazione platonica
si pone in continuità con la maieutica socratica, nel comune presupposto che la conoscenza
della verità non possa essere acquisita tramite un'istruzione che preveda il trasferimento di
nozioni dall'esterno all'interno, ma possa essere raggiunta tramite qualcosa che già
possediamo, che è già dentro di noi. In altre parole, si tratta di conferire all'anima la
il tema della cura dell'anima permane costante in ognuno dei dialoghi che abbiamo preso in
considerazione in questo lavoro, sia quando il tema trattato è l'eros, prima socratico che
platonico, sia quando si tratta l'educazione. Permane immutato, in un'ottica molto generale,
anche il fine di tale cura, inteso come una certa “conversione” dell'anima. Come ricavare
Repubblica, come nel Simposio, Platone lascia intravedere un processo a più stadi in cui
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l'ultima tappa è costituita da un atto intuitivo128. Tuttavia, riguardo l'ascesa del filosofo
nella Repubblica, Platone non spiega mai con chiarezza come si arrivi alla meta finale
Allora comprendi che per secondo segmento dell'intelligibile io intendo quello cui il discorso
attinge con il potere dialettico, considerando le ipotesi non principi, ma ipotesi nel senso reale della
parola, punti di appoggio e di slancio per arrivare a ciò che è immune da ipotesi, al principio del
tutto; e, dopo averlo raggiunto, ripiegare attenendosi rigorosamente alla conseguenze che ne
derivano, e così discendere alla conclusione senza assolutamente ricorrere a niente di sensibile, ma
alle sole idee, mediante le idee passando alle idee; e nelle idee termina tutto il processo (Resp. VI,
511b-c).
519d) in cui i gradini sono costituiti dalle ipotesi, che, di volta in volta superate,
permettono di risalire fino al non ipotetico, il principio del tutto, in modo da giungere a
conclusioni che vertono su Idee, senza fare più ricorso a nulla di sensibile. Le scienze non
sono capaci di condurre fino a questo punto: l'apprendimento delle scienze per Platone è
ateles, senza telos, ovvero senza compimento, imperfetto (Resp. VII, 530e). Esercitando la
dialettica, invece, l'intelletto si serve di Idee, passa attraverso Idee ed è rivolto ad Idee:
quando uno, servendosi della dialettica e prescindendo da ogni sensazione cerca di muovere con
la ragione verso ciascuna cosa che è, in se stessa, e non desiste se prima non è riuscito a cogliere
con la pura intellezione la reale essenza del bene, giunge proprio al limite estremo dell'intelligibile
(Resp. VII, 532a-b).
Molte difficoltà emergono quando cerchiamo di capire se la meta finale sia stata
141
noetico-eidetica, cioè in una sorta di visione che, a causa della natura extra-linguistica
degli oggetti ideali, non può più essere discorsiva. Il Bene, infatti, è il punto di approdo di
un procedimento volta per volta sottoposto a verifica ipotetica e, nello stesso tempo, si
pone fuori di esso. È utile notare che quando Platone parla di ciò che sta al di là del
attribuire alla conclusione noetica del percorso dialettico uno “stato di comprensione”
dell'argomentazione discorsiva130. Potrebbe essere utile notare che, più avanti, Platone
afferma che il metodo dialettico procede “eliminando le ipotesi” (Resp. VII, 533c), ma non
è chiaro, anche qui, che cosa intenda Platone con questa espressione. Una delle convinzioni
più diffuse è che si tratti di superare il carattere ipotetico delle ipotesi, dimostrandone di
volta in volta la loro verità in modo da trasformarle in assiomi da utilizzare come teoremi
della dialettica. Tuttavia, Platone non afferma che la dialettica utilizza le ipotesi come
principi, bensì come punti di partenza il cui carattere ipotetico non viene affatto
soppresso131.
Può venire in nostro soccorso il significativo passo del Fedro in cui vengono definiti
“dialettici” coloro che sono in grado di pensare e di parlare grazie alla capacità di operare
divisioni e sintesi (Fedro, 266b). Il metodo da loro utilizzato è in grado di far scoprire la
verità delle cose, ovvero dare definizioni riguardo alla loro vera natura utilizzando un
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nel riunire sotto un'unica idea distinte realtà sensibili, per poi procedere da tale idea con
divisioni che ne seguano la naturale articolazione, per comprendere come dall'unità possa
articolarsi la molteplicità. In questo modo la dialettica offre una visione sia sinottica che
sistematica delle Idee e dei loro reciproci rapporti 133. È possibile riconoscere questo aspetto
anche nella scala amoris del Simposio, in cui eros, riconoscendo ad ogni stadio la presenza
di carenze ed imperfezioni nel precedente, è in grado di porre i vari tipi di amore e i relativi
oggetti in una prospettiva ampia che metta ognuno di essi in un'opportuna relazione con gli
altri134.
Data l'affinità tra i percorsi di ascesa del Simposio e della Repubblica, possiamo
chiederci se sia possibile individuare una corrispondenza tra il Bello in sé di cui Platone
parla nel Simposio e il Bene descritto nella Repubblica. Su questo punto, però, Platone è
tutt'altro che esplicito. L'Idea del Bene è posizionata al vertice della piramide delle Idee e il
Bello nel Simposio sembra occupare il medesimo sito. Possiamo affermare che da esso
discende e dipende la bellezza sensibile, ma non possiamo affermare di più, dato che il
Bello non è descritto in maniera esaustiva: l'autore si limita a elencare dei predicati, come
l'eternità, l'essere in sé e per sé, l'uniformità (Symp. 211a-c), che tuttavia non esplicano con
esattezza che cosa sia la Bellezza in sé. Possiamo notare che nella Repubblica non si parla
di una visione improvvisa dell'Idea più “alta”, come si afferma invece nel Simposio (Symp.
210e), forse perché tale espressione risulta meno compatibile con la maggiore articolazione
della descrizione dell'ascesa compiuta attraverso la dialettica 135. Quello che possiamo
affermare è che la visione del Bello in sé si manifesta come un'esperienza metafisica, che
consiste in una conversione intellettuale dell'anima. Nel Simposio Platone descrive così la
143
condizione di colui che è giunto alla contemplazione del Bello ideale:
In questa sfera di esistenza, semmai in altra, o mio caro Socrate – disse l'ospite di Mantinea – la
vita è per l'uomo degna di essere vissuta, contemplando il bello in sé. […] E dunque – disse – che
cosa non immagineremo se a qualcuno fosse dato di vedere il bello in sé nitido, puro, intatto,
incontaminato da umane carni e colori e ogni altra effimera vanità, ma potesse scorgere il divino in
sé, bello e uniforme? Credi forse che possa diventare meschina la vita di un uomo che abbia
l'occhio fisso su quella mèta e contempli il bello con lo strumento con cui appunto bisogna
contemplarlo e viva con esso? Non comprendi – aggiunse – che soltanto a questo stadio, guardando
il bello con lo strumento con cui si può guardare, gli sarà dato di partorire non già immagini di virtù
(infatti non attinge a un'immagine), ma la virtù vera, e allevandola, gli riuscirà di diventare amico
del dio, e, se altri mai, immortale anch'egli? (Symp. 211d-212a).
La contemplazione del Bello ideale porta, nel Simposio, ad acquisire la virtù. Questo
passo può essere messo in relazione con quello della Repubblica in cui si afferma che
chi pensa seriamente alle «cose che sono», non ha nemmeno tempo libero per abbassare lo
sguardo alle cose degli uomini, riempirsi d'invidia e di astio combattendo con loro. Tali persone
guardano invece oggetti ordinati e sempre invariabilmente costanti, e osservano che non si fanno
reciproca ingiustizia, ma che se ne stanno tutti ordinati secondo un principio razionale; e perciò li
imitano e si fanno simili a loro quanto più possono. Credi che si possa evitar d'imitare ciò con cui si
vive in armonia e che si ammira? […] Se dunque il filosofo vive in armonia con ciò che è divino e
ordinato, egli diviene ordinato e divino, per quanto è possibile a un uomo (Resp. VI, 500 c-d).
Notiamo che sia chi giunge alla contemplazione del Bello, sia chi coglie l'Idea del
Bene, ne ricava una sorta di “conversione”, un mutamento profondo nel proprio modo di
vivere, che diviene sempre più affine a quello “divino”. Anche nel Fedro abbiamo visto
che il ricordo della realtà ideale fa sì che, nel rapporto d'amore, l'amante si trovi ad essere
“sempre più divino”, rendendo tale anche l'amato (Fedro, 253b-c). Permane costante in
tutti e tre questi dialoghi il perfezionamento morale dell'individuo come conquista finale
144
dell'“ascesa”, con l'assimilarsi del filosofo, anche a livello etico, agli enti che contempla.
miglioramento morale era lo scopo della relazione tra Socrate e i suoi allievi. Sulla base
anche di questo punto comune è possibile vedere eros come elemento di continuità tra la
145
CONCLUSIONE
Il percorso che abbiamo compiuto qui, adottando eros come filo conduttore del
capitolo analizzando l'Alcibiade I, inteso come dialogo in cui Platone riporta fedelmente
aprire alla sfera della cura di sé e del miglioramento dell'anima. Abbiamo ritenuto
ruolo”, ovvero di rendere il rapporto tra amante e amato il contesto più adatto all'avvio di
un percorso di crescita condiviso in direzione della conquista della virtù: un risultato che,
come vedremo fra poco, si è rivelato fruttuoso per la lettura del Fedro.
concetto di eros in Platone. In questo dialogo, l'amore mantiene una funzione decisiva per
l'anima dal mondo sensibile al mondo delle Idee. Nello stesso tempo, in Platone, anche il
ideale. Questa trasformazione diventa ancora più evidente nel Fedro (dialogo che abbiamo
preso in esame nel III capitolo) grazie all'introduzione della teoria dell'anamnesi. Ma sia
nel percorso erotico proposto nel Simposio, l a scala amoris, sia nel processo di
reminiscenza nel Fedro, l'anima viene condotta in alto grazie alla spinta propulsiva di un
sentimento amoroso che muove dalla visione di una bellezza individuale e corporea.
146
Inoltre, nel Fedro viene ripreso l'aspetto di crescita reciproca caratteristico dell'eros
socratico. La meta finale, comunque, sia in Socrate che in Platone, è uno stato di
La capacità di disporre l'anima nelle condizioni più adatte per un percorso che
permetta all'individuo di giungere alla verità, finora attribuita ad eros, è attribuita nella
come flusso del desiderio che può essere diversamente canalizzato, per riscontrare una
grazie al corretto indirizzamento del flusso di energia da una parte all'altra di essa. Sia
l'ascesa della scala amoris nel Simposio, sia la follia amorosa del Fedro, sia quella
razionalità che è importante sottolineare nelle sue variazioni da un dialogo all'altro. In ogni
caso, sia Simposio che Repubblica sfruttano la qualità del bello sensibile come tramite di
Nella Repubblica Platone descrive l'ascesa del filosofo verso il mondo delle Idee
modo corretto del flusso erotico sembra plausibile pensare che le riflessioni sull'eros
a tutte queste considerazioni, mi è parso di poter concludere che eros, nelle sue varie
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