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Università degli Studi di Enna “Kore”

Facoltà di Studi Classici, Linguistici e della Formazione


Corso di Laurea in Lingue e Culture Moderne

Insegnamento di Lingua Francese I


A.A. 2014-2015
Prof.ssa Loredana TROVATO
(loredana.trovato@unikore.it;
loredana_trovato@yahoo.it)

1
Programma
Il corso intende offrire agli studenti la possibilità di arricchire, perfezionare e
potenziare le proprie competenze linguistiche, comunicative e culturali tramite:
a) lo studio e le esercitazioni mirate di morfologia e fonetica;
b) l’apprendimento/approfondimento del lessico di base (campi semantici e uso
ragionato del dizionario);
c) la discussione sulle più attuali problematiche di civilisation;
d) la riflessione metalinguistica sulle principali teorie linguistiche, sulla
grammatica, la formazione delle parole, la lessicologia;
e) l’approccio teorico/pratico alla traduzione (versione dal francese all’italiano)
con particolare attenzione alle caratteristiche linguistico-formali dell’articolo di
giornale.
I metodi adottati saranno principalmente il communicatif e l’actionnel, così da
garantire, alla fine del corso, il pieno raggiungimento degli obiettivi prefissati dal
CECR per il livello B1.

Struttura del corso (13 cfu)

Langue(s), Linguistique, traductologie. De la théorie à la pratique (docente:


Loredana TROVATO, 8 cfu).
Esercitazioni di Lingua Francese (esperto linguistico: Anne-Sophie ANTOINE, 5 cfu).

 In aggiunta alle ore del corso ordinario, gli studenti usufruiranno delle lezioni
di lettorato che si svolgeranno ogni mercoledì e saranno tenute sempre
dall’esperto linguistico.
 Benché la frequenza non sia obbligatoria, essa è vivamente consigliata e
stimolata attraverso prove in itinere, lavori di gruppo ed esercitazioni individuali
mirate.

Langue(s), Linguistique, traductologie. De la théorie à la pratique

Il corso della docente mira non soltanto all’acquisizione di concetti teorici


fondamentali relativi alla lingua, alla linguistica e alla grammatica francese, ma
anche alla strutturazione di alcune conoscenze basilari di geografia e civiltà
francese e francofona (la Francia metropolitana: regioni, départements; la Francia
d’oltremare: geografia e questioni fondamentali; la Francofonia). Molta attenzione
verrà infine offerta alla teoria della traduzione (ivi compresi gli approcci, le
tecniche, i metodi e le metodologie) e alla pratica della versione. Un dossier,
distribuito all’inizio del corso, conterrà i seguenti argomenti:

2
I semestre:
Théorie de la langue: a) Les notions de base de la linguistique; b) Phonétique
et phonologie; c) Les mots-clés de la grammaire; d) La formation des mots; e)
Les signes de ponctuation.

II semestre:
Traductologie:
 Théorie: a) Notes sur la théorie de la communication et sur la
traductologie; b) L’article de journal : l’analyser, le traduire.
 Activités pratiques: Selezione di alcuni testi di attualità tratti dalla
stampa francese.

Géographie(s) de France: a) La division administrative de la France; b) Les


régions; c) Les départements; d) La France d’outre-mer; e) La Francophonie.

N.B. = Tutti i materiali contenuti nel dossier sono parte integrante e fondamentale
dell’esame.

Esercitazioni

Lo scopo delle esercitazioni è quello di garantire a ciascuno studente il pieno


raggiungimento, alla fine del percorso annuale, del livello B1 del CECR. Particolare
attenzione verrà data ai seguenti elementi dell’apprendimento linguistico:
Fonetica: il modulo di fonetica si concluderà con una prova, valida ai fini
della valutazione finale.
Morfologia: lo studio della grammatica di base della lingua attraverso
esercizi di consolidamento e fissazione di regole e strutture.
Periodicamente, verrà predisposta una prova di grammatica, utile a stabilire
i progressi fatti o le lacune da colmare. La valutazione di ciascuna prova
non contribuisce al voto finale, ma è propedeutica al superamento del test
d’esame di grammatica.
Preparazione alla prova scritta finale: la prova scritta è basata sui test di
certificazione DELF e comprende quindi una comprensione orale / scritta e
una produzione scritta sulla base delle indicazioni del CECR per il livello B1
e sui testi approntati dal CIEP (Centre International d’Études pédagogiques).
La preparazione è graduale: durante il I semestre, si cureranno i livelli
A2>B1 (una simulazione alla fine di ciascun modulo e una prova in itinere a
febbraio), mentre il II semestre sarà interamente dedicato all’acquisizione
del livello B1 (una simulazione alla fine di ciascun modulo).

3
Lettorato

Durante le ore di lettorato, verranno potenziate le capacità di produzione orale


(actes de parole / situations de communication, tra cui: saper comunicare e
interagire oralmente in contesti familiari e non; saper esprimere un’opinione, un
punto di vista, un’idea; saper dibattere e difendere una tesi, un’argomentazione...).

Testi

Esercitazioni e lettorato

Méthode:

I semestre :
Y. LOISEAU et R. MERIEUX, Latitudes 1, A1-A2 + CD-AUDIO, Paris, Éditions
Didier, 2009.
Y. LOISEAU et R. MERIEUX, Latitudes 1 – Cahier d’exercices, A1-A2 + CD-AUDIO,
Paris, Éditions Didier, 2009.
II semestre :
R. MERIEUX, E. LAINE et Y. LOISEAU, Latitudes 2, A2-B1 + CD-AUDIO, Paris,
Éditions Didier, 2009.
R. MERIEUX, E. LAINE et Y. LOISEAU, Latitudes 2 – Cahier d’exercices, A2-B1 +
CD-AUDIO, Paris, Éditions Didier, 2009.

Fonetica:
D. ABRY et M.-L. CHALARON, Les 500 exercices de phonétique. Niveaux A1-A2,
Paris, Hachette-Français Langue Étrangère, 2010.

Morfologia:
M.-C. JAMET, M. FOURMENT BERNI CANANI, L. SATTLER, Côté grammaire – côté
lexique, Milano, Minerva scuola, 2013.

Testi complementari (ma non obbligatori) utili per lo studio individuale della
grammatica (disponibili anche in biblioteca)
A. AKYÜZ, B. BAZELLE-SHAHMAEI, J. BONENFANT, M.-F. GLIEMANN, Les 500 exercices
de grammaire, niveau A1, avec corrigés, Paris, Hachette, coll. « Français
Langue Étrangère », 2006.
A. AKYÜZ, B. BAZELLE-SHAHMAEI, J. BONENFANT, M.-F. GLIEMANN, Les 500 exercices
de grammaire, niveau A2, avec corrigés, Paris, Hachette, coll. « Français
Langue Étrangère », 2006.

4
M.-P. CAQUINEAU-GÜNDÜZ, Y. DELATOUR, D. JENNEPIN, F. LESAGE-LANGOT, Les 500
exercices de grammaire, niveau B1, avec corrigés, Paris, Hachette, coll.
« Français Langue Étrangère », 2005.

Preparazione allo scritto e alle certificazioni linguistiche:


AA.VV., Réussir le DELF. Niveau A1 du Cadre européen commun de
référence. CD audio inclus, Paris, Didier, 2010.
AA.VV., Réussir le DELF. Niveau A2 du Cadre européen commun de
référence. CD audio inclus, Paris, Didier, 2010.
AA.VV., Réussir le DELF. Niveau B1 du Cadre européen commun de
référence. CD audio inclus, Paris, Didier, 2010.

Dizionari consigliati

Bilingue (uno a scelta):


Il Boch + CD-ROM, 6a edizione, Milano, Zanichelli, 2014. Disponibile anche
nella versione on-line a pagamento: www.zanichelli.it.
Il Larousse francese. Français-italien / italien-français + CD-ROM, Milano,
Sansoni scuola editore, 2013. Disponibile anche nella versione on-line a
pagamento: http://www.elexico.com.

Monolingue (uno a scelta):


Le Petit Robert, Paris, 2014. Disponibile anche nella versione on-line a
pagamento: www.lerobert.com.
Le Grand Robert de la langue française. Versione on-line a pagamento
tramite abbonamento annuale: www.lerobert.com.
Le Larousse illustré, Paris, 2014. Dei dizionari Larousse, esiste anche la
versione bilingue / monolingue a libero accesso su: www.larousse.fr.
Le Robert Pratique. Le français à portée de main, Milano-Paris, Zanichelli-Le
Robert, 2014.

Siti internet utili per l’auto-apprendimento della lingua:


www.didierlatitudes.com
www.bonjourdefrance.com
www.lepointdufle.net
http://lexiquefle.free.fr
http://phonetique.free.fr/
www.clipclass.net/
http://francite.net/education/cyberprof/index.html
www.ccdmd.qc.ca/fr/
www.francaisfacile.com/index.php
www.la-conjugaison.fr/
www.lexilogos.com/

5
Langue(s), Linguistique, traductologie. De la théorie à la pratique

Il materiale di studio e di lavoro sarà raccolto in un dossier distribuito dalla


docente all’inizio del corso. Il suddetto dossier contiene tutte le indicazioni
bibliografiche necessarie e complementari.

N.B. Gli studenti non frequentanti dovranno quindi contattare la docente al fine di
reperire il materiale utile per il superamento dell’esame.

Testo complementare per approfondire le teorie sulla traduzione (non contenuto


all’interno del dossier, ma in libero accesso in biblioteca):
F. SCOTTO, Il senso del suono. Traduzione poetica e ritmo, Roma, Donzelli editore,
2013. Si vedano, in particolare, i capitoli: “Teorie contemporanee della traduzione
in Francia” (pp.3-13) e “L’Épreuve de l’étranger. Culture et traduction dans
l’Allemagne romantique: la teoria moderna di Antoine Berman” (pp.15-31).

6
Théorie de la langue

Sommaire
 I. Les notions de base de la linguistique.
 II. Phonétique et phonologie.
 III. Les mots-clés de la grammaire.
 IV. La formation des mots.
 V. Les signes de ponctuation.

7
Chapitre I : Les notions de base de la linguistique

Historique
Avant la publication du Cours de linguistique générale (1916) de Ferdinand de
Saussure, on s’occupait surtout de linguistique historique (philologie). Saussure même
était à l’origine un spécialiste de l’indo-européen, dont il avait publié un ouvrage
diachronique sur les voyelles en 1875.
À partir des théories saussuriennes, on inaugure une linguistique appelée
‘structuraliste’ (la branche qui en dérive : le structuralisme), dont on constate
l’hégémonie dans les années qui vont de 1930 à 1975.
Dès 1956, on développe en France une linguistique dite « énonciative » à la suite
des idées d’Émile Benveniste. Ce courant se développe de l’idée d’énoncé, comme le
produit d’un énonciateur au cours d’un acte d’énonciation dans une situation donnée.
Émile Benveniste (1902-1976) part de l’idée que c’est la « subjectivité humaine qui
confère à la langue sa prééminence par rapport à tous les autres systèmes sémiotiques »1.
Dans deux articles fondateurs « « La nature des pronoms » (1956) et « De la
subjectivité dans le langage » (1958), il développe l’opposition qui sera à la base de sa
pensée « entre le système de la langue et son appropriation subjective par le locuteur »2.
Comme l’écrit S. Mosès :

La langue en tant que telle, c’est-à-dire comme système de signes, forme un monde
clos, où les signes se définissent les uns par rapport aux autres, sans que soit posée la
question de la relation du signe avec les choses dénotées, ni celle, plus générale encore,
des rapports entre la langue et le monde. La critique de Benveniste à l’égard de
Saussure porte justement sur le fait que celui-ci ne distingue pas nettement entre le
signifié (qui est une des faces du signe) et le référent, indépendant du sens, et « qui est
l’objet particulier auquel le mot correspond dans le concret de la circonstance ou de
l’usage »3.

Mémo 1 : Ferdinand de Saussure (article tiré de :


http://www.larousse.fr/encyclopedie/personnage/Saussure/143354)

Linguiste suisse (Genève 1857 - Vufflens-le-Château, canton


de Vaud, 1913).
La vie
Né dans une vieille famille de l’aristocratie genevoise où la
recherche scientifique est une tradition (son père, Henri de
Saussure [1829-1905] est un naturaliste de renom), F. de
Saussure, après des études classiques, entreprend en 1875
une première année de physique et chimie à Genève.
Cependant, son goût pour la linguistique s’est déjà manifesté
par un Essai sur les langues rédigé à quinze ans et inspiré par
la tradition linguistique spéculative du XVIIIe s. sur l’origine du
langage. C’est en 1876, avec son départ pour Leipzig, que
commence réellement sa carrière de linguiste. Saussure y
étudie pendant quatre années, avec un court séjour à Berlin
(1878), le sanskrit, l’iranien, le vieil irlandais, le vieux slave, le lituanien, tout en participant

1
S. MOSES, Émile Benveniste et la linguistique du dialogue, in « Revue de métaphysique et de
morale », 2001/4, n°32, p. 511.
2
Ivi, p. 512.
3
Ibidem.
8
activement aux débats des néogrammairiens. Son Mémoire sur le système primitif des voyelles
dans les langues indo-européennes, achevé et publié à Leipzig en 1879, fait de lui, à vingt et un
ans, un des « noms » de la linguistique. En 1880, Saussure soutient à Leipzig sa thèse de doctorat,
De l’emploi du génitif absolu en sanskrit, puis il vient à Paris, où il suit les cours de grammaire
comparée de Michel Bréal (1832-1915) à l’École des hautes études, cours qu’il assurera lui-même
à partir de 1881. Sa période parisienne (1880-1891) est marquée par une grande activité, grâce
à son enseignement, où apparaissent ses premières réflexions sur le « système » de la langue, et
grâce à la publication d’articles et de notes qui paraissent dans les Mémoires de la société de
linguistique, dont il est devenu le secrétaire adjoint en 1882.
Cette activité contraste avec le silence qui marque la dernière période de sa vie, celle de Genève,
de 1891 à 1913. Après avoir enseigné à l’université de Genève le sanskrit et la grammaire
comparée, Saussure aborde en 1907 la question essentielle des fondements de la linguistique
générale, implicite dans toute son œuvre antérieure, mais il ne livre plus rien de ses longues
méditations, hormis au petit cercle de ses élèves genevois, qui transmettront l’essentiel de ses
thèses dans un ouvrage publié en 1916, trois ans après sa mort, Cours de linguistique générale,
réalisé par Ch. Bally et Ch. A. Séchehaye à partir des notes des cours que Saussure a professés en
1906-1907, en 1908-1909 et en 1910-1911.

Mémo 2 : Émile Benveniste et la philosophie du dialogue

Profil biographique de Julia Kristeva


(tiré et adapté de : http://www.kristeva.fr/benveniste.html).
Emile Benveniste fut un savant austère, un très grand connaisseur
des langues anciennes, expert en grammaire comparée, autorité
en linguistique générale. Il connaissait le sanscrit, le hittite, le
tokharien, l’indien, l’iranien, le grec, le latin, toutes les langues indo-
européennes, et, à la cinquantaine passée, s’est plongé dans les
langues amérindiennes. Pourtant son œuvre, d’une audace
impressionnante, toute en retenue et d’une modestie apparente,
demeure relativement méconnue et peu visible de nos jours.
Né à Alep en Syrie en 1902 au sein d’une famille juive et polyglotte,
Ezra Benveniste émigre en France dès 1913 où il devient élève au
« petit séminaire » de l’École rabbinique de France. [...] Ezra
Benveniste intègre l’Ecole pratique des hautes études (EPHE) en
1918, devient licencié ès lettres l’année suivante, obtient
l’agrégation de grammaire en 1922, après quoi, pur produit de
l’enseignement laïque de la République française, il est naturalisé
français en 1924 et choisit le nom de Emile Benveniste. Durant ces années de formation, il noue
des liens étroits avec de jeunes philosophes et linguistes, normaliens plus ou moins révoltés,
libertaires, antimilitaristes, voire sympathisants communistes, et croise notamment les surréalistes.
Il part en Inde en 1924 comme précepteur dans une famille de grands industriels, avant de
remplir bon gré mal gré ses obligations militaires au Maroc en 1926. De retour en France, il
devient l’élève d’Antoine Meillet auquel il succède comme Directeur d’études (Chaire de
grammaire comparée) à l’Ecole pratique des hautes études, où il exerce une forte influence sur
ses collègues. Il intègre le Collège de France en 1937, succédant au même Antoine Meillet à la
Chaire de grammaire comparée. Il est fait prisonnier de guerre en 1940-41, parvient à s’évader
et se réfugie en Suisse, à Fribourg (où résident également Balthus, Giacometti, Pierre Emmanuel
et Pierre Jean Jouve), échappe ainsi aux persécutions nazies, mais son appartement est pillé et
son frère Henri arrêté puis déporté à Auschwitz, où il meurt en 1942. Avec les plus grands noms
de l’intelligentsia israélite, il signe la lettre collective organisée par Marc Bloch, et adressée le 31
mars 1942 à l’UGIF, pour attitrer l’attention sur la ghettoïsation des juifs en France qui préludait
à la déportation.
Après la Libération, Benveniste reprend son enseignement à l’EPHE et au Collège de France,
formant plusieurs générations d’étudiants, mène des enquêtes linguistiques « sur le terrain » en
9
Iran, en Afghanistan puis en Alaska, et participe à de nombreux colloques internationaux de
linguistique. Il devient membre de l’Institut (Académie des inscriptions des belles lettres) en 1960,
Directeur de l’Institut d’études iraniennes en 1963, et Président de l’Association internationale
de sémiotique en 1969. Survenu le 6 décembre, un accident cérébral, qui le laisse handicapé
sept ans durant, jusqu’à sa mort, met un terme à sa carrière.
Cette biographie concise d’un « israélite agnostique », d’un français nomade, est avant tout celle
d’un homme qui fit du langage le chemin d’une vie, et nous transmit par son œuvre la pensée
de cette expérience.

La philosophie du langage (extraits de l’article de S. Mosès)

La langue se présente, en tant que telle, comme un système d’éléments linguistiques — traits
distinctifs, phonèmes, signes — et de règles (phonétiques, morphologiques, syntaxiques) qui
commandent leur agencement. Mais ce système purement formel reste, en quelque sorte, virtuel,
tant qu’un locuteur ne l’a pas actualisé dans un acte individuel d’appropriation, que Benveniste
désigne par le terme d’énonciation. L’énonciation, qui est l’acte même de produire un énoncé,
accomplit ce que Benveniste qualifie de « conversion du langage en discours ».
Ce qui commande cette conversion, c’est la situation, chaque fois nouvelle et chaque fois unique,
dans laquelle se trouve le locuteur, son hic et nunc spécifique, point de référence d’où son
discours tire son sens, et qui le rend intelligible à autrui. Cet acte individuel d’appropriation de la
langue constitue la première marque formelle de toute énonciation. La deuxième marque réside
dans le fait que l’énonciation se produit nécessairement dans une situation d’intersubjectivité.
Parler, c’est toujours, explicitement ou implicitement, s’adresser à quelqu’un : « Immédiatement,
dès qu’il se déclare locuteur et assume la langue, [le sujet] implante l’ autre en face de lui ».
C’est à cette structure fondamentalement dialogale du discours et à l’analyse de ses implications
linguistiques que Benveniste a consacré l’essentiel de sa réflexion sur la nature de l’énonciation,
c’est-à-dire sur la dimension subjective du langage humain. C’est ici aussi qu’il se trouve le plus
près de la conception dialogale du langage développée, au XX e siècle, par des philosophes tels
que Martin Buber, Franz Rosenzweig ou Emmanuel Lévinas, ou par un théoricien de la
littérature tel que Mikhaïl Bakhtine. En partant, comme nous l’avons vu, de considérations
purement linguistiques, Benveniste prend place ainsi, probablement à son insu, dans un courant
de la philosophie du XXe siècle qui, à l’opposé de la philosophie analytique et du positivisme
logique, met l’accent sur le rôle prédominant de la subjectivité dans le langage 4.

L’objet du structuralisme
La linguistique structurale, qui naît à partir des idées de Ferdinand de Saussure,
est un courant qui réunit un groupe d’écoles dans lesquelles la langue est étudiée comme
un système doté d’une structure décomposable.

4
Ivi, pp. 513-514.
10
Mémo 3 : Définitions (d’après le Grand Dictionnaire Larousse de Linguistique & Sciences du
langage)
 Phonétique et phonologie : voir ci-dessous.
 Lexicologie : c’est « l’étude du lexique, du vocabulaire, d’une langue, dans ses relations
avec les autres composants de la langue, phonologique et surtout syntaxiques, et avec
les facteurs sociaux, culturels et psychologiques ». À côté de la lexicologie, on distingue
la lexicographie qui est « la technique de confection des dictionnaires et l’analyse
linguistique de cette technique ».
 Morphologie : « en grammaire traditionnelle, la morphologie est l’étude des formes des
mots (flexion et dérivation), par opposition à l’étude des fonctions ou syntaxe. En
linguistique moderne, le terme a deux acceptions principales : a) ou bien la
morphologie est la description des règles qui régissent la structure interne des mots [...] ;
b) ou bien la morphologie est la description à la fois des règles de la structure interne
des mots et des règles de combinaison des syntagmes en phrases. La morphologie se
confond alors avec la formation des mots, la flexion et la syntaxe, et s’oppose au lexique
et à la phonologie. En ce cas, on dit plutôt morphosyntaxe ».
 Syntaxe : c’est « la partie de la grammaire décrivant les règles par lesquelles se
combinent en phrases les unités significatives. [...] elle a été parfois confondue avec la
grammaire elle-même ».

Définition du champ d’étude de la linguistique


Saussure a défini ce champ d’étude comme une « science qui a pour objet la
langue envisagée en elle-même et pour elle-même. » (tiré du Petit Robert, 1991). La langue
est considérée comme objet d’analyse scientifique en lui-même, hors de tout contexte
social qui apporte souvent des jugements de valeur. Au début du début du 20e siècle, la
linguistique s’est ainsi établie comme discipline scientifique et a commencé à se
démarquer d’autres disciplines utilisant la langue comme la philologie (« science
historique qui a pour objet la connaissance des civilisations passées par les documents
écrits qu’elles nous ont laissés », Grand Dictionnaire Larousse de Linguistique & Sciences
du Langage).

11
La linguistique se veut donc un outil de description scientifique neutre qui ne tient
pas compte des valeurs personnelles associées à la perception d’une langue ou d’une
population. En accord avec cette visée, un certain nombre de questions seront soulevées
ou traitées par la linguistique et par d’autres sciences connexes :
Comment sont structurées les langues ?
Est-ce que le langage est unique aux humains ?
Comment est apparu le langage ?
Quelle est la nature du langage ?
Comment sont structurées les langues ?
Comment est-ce que le langage transmet le sens entre deux individus ?
Comment est-ce que les locuteurs produisent et perçoivent le langage et la langue ?
Les analyses linguistiques ont donné lieu à l’établissement de 5 domaines distincts
d’étude qui sont devenus les domaines d’analyse traditionnels de la linguistique, aussi
appelés domaines « internes » de la linguistique. Le tableau ci-dessous présente une
brève définition de chacune de ces sous-disciplines :

Élément étudié Sous-discipline Exemple


Articulation - phones Phonétique (Description des La description du son [R] en
unités sonores de base) français.
Phonèmes (36 en Français) Phonologie (Étude du rôle des La distinction entre les sons [y]
sons dans le système et [u], comme dans « rue »
linguistique) [Ry] et « roue » [Ru].
Syllabe (quelques centaines) Morphologie (Étude de la Les suffixes formateurs
structure grammaticale des d’adjectifs (ex. masc.
mots) « vendeur », fém.
« vendeuse »), de verbes
(manger, choisir, attendre), etc.
Mots (environ 50 000, mais la Lexicologie (Étude des Synonymes et antonymes :
liste n’est pas exhaustive) vocabulaires composant le beau vs laid ; riche vs pauvre,
lexique d’une langue) etc.
Propositions Sémantique (Étude de la Les faux-amis : cantine =
signification) mensa ; confetti = coriandolo,
etc.
Phrases (nombre illimité) Syntaxe (Étude des La phrase relative.
combinaisons et des relations Martine est la fille qui parle
entre les formes qui composent avec M. Dubois.
la phrase) Martine est la fille que tu as
vue hier.
Énoncés (nombre illimité) Énonciation et pragmatique « Soldes extraordinaires :
(Étude de la production et de la femme et enfant – 70% ».
reconnaissance langagière par Affiche publicitaire dans un
des énonciateurs dans une magasin de vêtements.
situation donnée)

Domaines non traditionnels de la linguistique (liste non exhaustive) :

Sociolinguistique : l’étude des relations entre les phénomènes linguistiques et


sociaux.

12
Ethnolinguistique : l’étude de la langue en tant qu’expression d’une culture (en
relation avec la situation de communication).
Dialectologie : « […] discipline qui s’est donné pour tâche de décrire
comparativement les différents systèmes ou dialectes dans lesquels une langue se
diversifie dans l’espace et d’établir leurs limites. » (Grand Dictionnaire Larousse de
Linguistique & Sciences du Langage)
Psycholinguistique : « L’étude scientifique des comportements verbaux dans
leurs aspects psychologiques. » (Grand Dictionnaire Larousse de Linguistique &
Sciences du Langage)
Lexicologie : « science des unités de signification (monèmes) et de leurs
combinaisons en unités fonctionnelles […] souvent étudiées dans leurs rapports
avec la société dont elles sont l’expression. » (Grand Dictionnaire Larousse de
Linguistique & Sciences du Langage). L’application de la lexicologie se nomme la
lexicographie qui est la technique de confection des dictionnaires.
L’aménagement linguistique : consiste en la mise au point d’un processus de
décision sur la langue par un état ou un gouvernement, qui résulte en une
politique linguistique.
La neurolinguistique : « science qui traite des rapports entre les troubles du
langage (aphasies) et les atteintes des structures cérébrales qu’ils impliquent »
(Grand Dictionnaire Larousse de Linguistique & Sciences du Langage).
L’analyse de discours : « […] partie de la linguistique qui détermine les règles
commandant la production des suites de phrases structurées » (Grand
Dictionnaire Larousse de Linguistique & Sciences du Langage).

13
Un test pour naviguer sans problèmes dans la vaste Mer des définitions...

1. L’étude des patois de France est affaire de :


a) L’ethnolinguistique.
b) La phonétique.
c) La dialectologie.

2. La distinction entre les sons [p] – [b], comme dans « pou » [pu] et « boue » [bu] est affaire de :
a) La phonétique.
b) La phonologie.
c) La sémantique.

3. L’étude du lexique spécialisé de la marine ou du commerce est affaire de quelle discipline ?


a) Sémantique.
b) Lexicologie.
c) Lexicographie.

4. L’étude de la période hypothétique est affaire de quelle discipline ?


a) Syntaxe.
b) Sociolinguistique.
c) Lexicologie.

5. Si je m’intéresse aux lois qui règlent une langue et ses emplois dans un Pays, je m’occupe de :
a) L’aménagement linguistique.
b) La neurolinguistique.
c) La sociolinguistique.

6. Si j’étudie les slogans publicitaires français, je dois approfondir mes connaissances en quels
domaines ?
a) Phonétique et phonologie.
b) Morphologie et syntaxe.
c) Enonciation et pragmatique.

7. Si je travaille sur les interactions en milieu professionnel, je dois approfondir mes


connaissances en quel domaine ?
a) Sémantique.
b) Analyse de discours.
c) Neurolinguistique.

8. L’étude des façons différentes de prononcer le son [l] est affaire de quelle discipline ?
a) Phonétique.
b) Phonologie.
c) Morphologie.

9. L’étude des règles du pluriel est affaire de quelle discipline ?


a) Morphologie.
b) Syntaxe.
c) Lexicologie.

10. Si je travaille avec des enfants qui ont des problèmes de dyslexie, je dois approfondir mes
connaissances en quel domaine ?
a) Psycholinguistique.
b) Neurolinguistique.
c) Sociolinguistique.
14
11. Si je travaille sur les stéréotypes linguistiques d’un individu, je dois approfondir mes
connaissances en quel domaine ?
a) Psycholinguistique.
b) Neurolinguistique.
c) Sociolinguistique.

12. La langue parlée des jeunes de banlieue est affaire de quelle discipline ?
a) Psycholinguistique.
b) Neurolinguistique.
c) Sociolinguistique.

13. L’étude des rapports d’hyperonymie (fruit > orange, pomme, poire...) est affaire de quelle
discipline ?
a) Sémantique.
b) Phonétique.
c) Syntaxe.

14. Si je m’occupe des mots et des structures linguistiques qui dérivent des us et coutumes d’un
peuple, je dois approfondir mes connaissances en :
a) Dialectologie.
b) Ethnolinguistique.
c) Sociolinguistique.

15. L’étude du dictionnaire est affaire de quelle discipline ?


a) Lexicologie.
b) Lexicographie.
c) Sémantique

Si vous avez totalisé :


a) De 15 à 13 réponses correctes : Génial ! Vous avez très bien étudié.
b) De 12 à 10 réponses correctes : Bien ! Mais il y a encore du travail à faire.
c) De 9 à 7 réponses correctes : Suffisant ! Révisez mieux les notions que vous n’avez pas encore
bien apprises.
d) Moins de 6 réponses correctes : Attention ! Il faut travailler pour réussir votre examen !

Langue, parole et langage


Dans la tradition linguistique française, il existe une autre opposition
terminologique, entre langue et parole. La langue désigne deux choses différentes :
1. un système linguistique partagé par un groupe social, comme la langue française,
la langue italienne, etc.
2. le concept même de système linguistique partagé. Ainsi, le français et l’italien sont
des langues, mais ils ont en commun un certain nombre de caractéristiques qui
nous permettent de faire abstraction des différences entre les deux pour parler de
la langue dans les deux cas.
La parole désigne aussi deux choses distinctes:
1. l’activité qui consiste à se servir d’une langue dans une situation particulière. On
parle ainsi d’un acte de parole. Notez bien que ce terme désigne l’activité qui
consiste à parler mais aussi l’activité qui consiste à écrire.
15
2. Le terme parole désigne aussi le produit d’un acte de parole. On utilise aussi le
terme de discours dans ce sens. Le discours écrit ou oral d’un individu peut être
étudié.
Le terme langage s’emploie, lui aussi, dans deux contextes différents. En tant que
capacité d’apprendre une langue humaine, on parle de faculté du langage. Ainsi, un
enfant exposé à une communauté linguistique apprendra la langue parlée dans la
communauté.

Le langage, la langue et la parole

Langage Langue Parole


Aptitude innée à Produit acquis : instrument de Utilisation individuelle
communiquer propre à communication ; code constitué en un du code linguistique par
l’être humain. système de règles communes à une même un sujet parlant.
communauté.

Les langues ne sont pas tout à fait un produit de la nature dans le sens qu’un
enfant ne peut pas acquérir une langue sans être plongé préalablement dans un bain
linguistique spécifique ; mais les langues ne sont pas non plus un produit de la culture
car on ne peut pas changer le système d’une langue par décret.
Les langues naturelles sont appelées ainsi car elles n’ont pas été inventées par les
humains, contrairement aux langues artificielles que sont les langues fabriquées par les
utopistes comme l’esperanto ou le langage informatique.

Langue parlée et langue écrite (d’après J. Dubois et R. Lagane, La Nouvelle


grammaire du français, Paris, Larousse, 2001)
Une langue est d’abord parlée : les hommes communiquent entre eux au moyen de
signes, formés de sons qu’ils émettent en faisant vibrer l’air, expiré des poumons, par des
mouvements particuliers des cordes vocales, de la langue et des lèvres. On dit que la
langue est formée de signes vocaux réalisés par les organes de la parole. Mais ce moyen
est insuffisant pour transmettre des renseignements à longue distance ou pour conserver
un message ; on a alors représenté ces signes parlés par des caractères ou des dessins
spéciaux, ou par des lettres : la langue a été écrite.
Toutes les langues vivantes sont parlées, mais il existe en Asie, en Océanie et en
Afrique des langues qui ne sont pas écrites. Les langues mortes sont celles qui ne
subsistent plus que sous leur forme écrite. Le français est une langue vivante parlée et
écrite ; on l’écrit selon un système particulier, le système alphabétique, qui fait
correspondre les lettres, formant un alphabet, à des sons : ainsi la lettre t correspond à
un certain son /t/. (On représente les sons entre des barres obliques.) Mais la
correspondance entre les sons parlés et les signes écrits n’est pas simple : ainsi les deux
lettres ch représentent un seul son qui peut être /∫/ dans chute ou /k/ dans chaos ; la
lettre o dans mot, les lettres eau dans beau et au dans saut représentent le même son
/o/ ; la lettre s correspond à /s/ dans sac et à /z/ dans rasait. Il y a des règles
d’orthographe du français.

16
Axe paradigmatique et axe syntagmatique
La langue est un phénomène qui se déroule dans le temps. Quand on parle, on
prononce un mot, suivi d’un autre, et d’un autre, et ainsi de suite. La série des mots qu’on
prononce définit un axe ou ligne qu’on appelle l’axe syntagmatique. L’existence de cet
axe a une influence fondamentale sur le fonctionnement de la langue. Si on veut relier
deux éléments dans l’axe syntagmatique, il faut le faire en fonction de la linéarité, soit en
les rapprochant dans la chaîne, soit en les reliant par un autre mécanisme, comme
l’accord. En même temps, le choix des éléments dans l’axe syntagmatique se fait en
général élément par élément.
Prenez les phrases suivantes :

1. Cette salle de classe a une porte et cinq fenêtres.


2. La salle de classe a une porte et cinq fenêtres.
3. Cette chambre a une porte et cinq fenêtres.
4. Cette salle de classe possède une porte et cinq fenêtres.

Notez les colonnes. On a remplacé un seul élément de la première phrase par un élément
dans une autre phrase. L’axe des substitutions s’appelle l’axe paradigmatique. Cet axe
fonctionne au niveau des sons, au niveau des mots, et même au niveau des phrases.

Signifiant, signifié et signe


Le plus souvent en linguistique, ce n’est pas ce qui est individuel qui nous
intéresse, mais plutôt ce qui est commun. Le fait que tel ou tel individu a telle ou telle
prononciation nous intéresse moins que le fait qu’il existe une façon de prononcer qui
caractérise un groupe.
Par exemple, il existe un grand nombre de prononciations individuelles pour le
mot chat, mais toutes ces prononciations ont un noyau commun. Ce noyau s’appelle le
signifiant. Le signifiant n’existe pas comme entité physique. On ne peut pas entendre un
signifiant : on entend des sons. Mais le signifiant montre sa présence par le fait que nous
sommes capables de reconnaître qu’une série de prononciations sont en fait des
exemples du même mot.
Il en va de même pour le sens. Une suite de mots peut avoir une variété
d’interprétations selon la situation et le contexte. Malgré cela, chaque mot possède un
sens général constant d’une situation à l’autre. C’est cette base abstraite qui nous
intéresse : nous l’appelons le signifié. Par exemple, la suite je peut s’employer par
beaucoup d’individus différents. Malgré cela, son signifié reste identique : « la personne
qui parle ». Comme le signifiant, le signifié est une entité abstraite dont on peut déceler
l’existence par l’observation des exemples de communication.
Les signifiants et les signifiés ensemble font partie d’une unité plus complexe,
qu’on appelle le signe linguistique.

Nature du signe linguistique


Partant de la pensée courante de son époque, selon laquelle la langue ne serait
qu’une « nomenclature », c’est-a-dire « une liste de termes correspondant a autant de
choses », Saussure transforme cette conception en un concept fondateur: le signe
linguistique unit non une chose et un nom, mais un concept et une image acoustique.
17
Pour lever toute ambigüité au concept de « signe » qui, dans l’usage courant, peut
designer un mot, Saussure propose de designer les trois notions en présence par des
« noms qui s’appellent les uns les autres tout en s’opposant. Nous proposons de
conserver le mot signe pour designer le total, et de remplacer concept et image acoustique
respectivement par signifié et signifiant. »

Le signe et la signification
La linguistique est un sous-ensemble de la sémiologie, la science qui étudie les
signes. Le signe est un élément cognitif qui comprend les indices, les signaux, les icônes,
les symboles et aussi les signes linguistiques.
Il y a des signes naturels et des signes artificiels. Ils peuvent se diviser comme suit :

Indice « Fait immédiatement perceptible qui nous fait connaître La fumée est l’indice
quelque chose à propos d’un autre fait qui ne l’est pas »5. de l’existence d’un
Il y a un lien logique et implicatif entre l’indice et ce à quoi feu.
il renvoie. L’indice est, en fait, la manifestation des effets
implicatifs d’un phénomène empirique.

Signal « Fait qui a été produit artificiellement pour servir ex. Certains signaux
d’indice »6. du code de la route.
Il est utilisé volontairement par convention.
Le signal a un effet implicatif univoque à message
conventionnel. Le signal est subit. Il vise à déclencher une
réaction.
Le signal a toutes les propriétés du signe linguistique, mais
il évolue hors syntaxe. Il ne se combine pas linéairement
avec d'autres éléments. Dans l’exemple du panneau routier,

5
L. J. PRIETO, Sémiologie, in Le Langage, Paris, Gallimard, coll. « La Pléiade », 1968, p. 95.
6
Ivi, p. 96.
18
il peut y avoir une combinaison mais celle-ci n’est pas
linéaire. C’est une combinatoire simultanée et non
enchaînée.
Symbole Signal qui, de par sa forme ou sa nature évoque ex. La colombe de la
spontanément dans une culture donnée quelque chose paix
d’abstrait ou d’absent.
C’est une représentation fondée sur une convention qu’il
faut connaître pour la comprendre.
Icône Signe artificiel qui a pour propriété d’imiter de façon
perceptuelle ce à quoi il réfère.
En cela, l’onomatopée est une icône sonore.
En revanche, une photo n’est pas une icône. Ce n’est pas
une représentation à vue sémiologique.

Vous avez compris ? Testez vos connaissances !

1. L’image à votre gauche est un exemple de :


a) Symbole.
b) Icône.
c) Indice.

2. L’image à votre droite est un exemple de :


a) Symbole.
b) Signal.
c) Icône.

3. L’image suivante est un exemple de :


a) Symbole.
b) Signal.
c) Icône.

4. Une mauvaise odeur qui arrive de la cuisine est un exemple de :


a) Symbole.
b) Indice.
c) Signal.

Arbitraire du signe
La relation entre signifiant et signifié dans le signe est assez spéciale. Suivant
Saussure, on dit que le lien entre les deux est arbitraire. Ce terme peut avoir deux sens :
1. Au niveau le plus simple, cela signifie que les combinaisons de signifiants et de
signifiés varient d’une langue à l'autre, ce qui est assez évident. Ainsi, on dit chat
en français et gatto en italien.
2. Mais le concept d’arbitraire prend son importance seulement au moment où on
reconnaît que même pour parler d’un signifiant ou d’un signifié, il faut prendre en
considération le système linguistique qui sous-tend le signe.

19
Synchronie et diachronie
L’étude de la langue peut se faire selon deux perspectives temporelles. D’un côté,
on peut analyser un état de langue, c’est-à-dire la façon de parler d’une communauté
linguistique à un moment donné. Ainsi, le français parlé aujourd’hui serait un état de
langue. Évidemment, les dimensions d’un état de langue sont variables. Le système
grammatical d’une langue change assez lentement ; par conséquent, dans une étude
grammaticale, un état de langue peut représenter quelques décennies. Par contre, le
lexique change plus rapidement ; un état lexical de langue peut se limiter à quelques
années seulement. L’étude d’un état de langue s’appelle la linguistique synchronique : il
s’agit de la linguistique inaugurée par Ferdinand de Saussure.
Dans une autre perspective, on peut étudier l’évolution d’une langue à travers le
temps, les gains et les pertes, ainsi que le passage d’une langue à une autre. Cela s’appelle
la linguistique diachronique : il s’agit des études philologiques, qui ont apparu au cours
du XIXe siècle. Aujourd’hui, en sociolinguistique, on l’appelle « variation diachronique ».

Références de base pour approfondir les sujets de ce chapitre

 AA.VV., Grand Dictionnaire Larousse de Linguistique & Sciences du langage , Paris, Larousse, 2008.
 É. BENVENISTE, Problèmes de linguistique générale, vol. I, Paris, Gallimard, 1966.
 É. BENVENISTE, Problèmes de linguistique générale, vol. II, Paris, Gallimard, 1974.
 J. DUBOIS, R. LAGANE, La Nouvelle grammaire du français, Paris, Larousse, 2001
 J.-M. KLINKENBERG, Précis de sémiotique générale, Paris, Éditions du Seuil, 2000.
 S. MOSES, Émile Benveniste et la linguistique du dialogue , in « Revue de métaphysique et de morale »,
2001/4, n°32, pp. 509-525.
 L. J. PRIETO, Sémiologie, in Le Langage, Paris, Gallimard, coll. « La Pléiade », 1968, pp. 93-144.
 F. de SAUSSURE, Cours de linguistique générale, Paris, Payot, 1922.

20
Chapitre II : Phonétique et phonologie

La distinction phonétique / phonologie est issue de la tradition structurale


fonctionnaliste.

Phonétique Phonologie
Étude des sons de la parole appelés phones. Étude des sons à valeur linguistique,
Les phones représentent, selon la terminologie phonèmes en relation avec un signifié. Les
de L. Hjelmslev, la substance de l’expression (la traits phoniques sont appréhendés par rapport
forme). à leur valeur distinctive.
Dans la terminologie européenne, les phones
sont rangés sous l’appellation générale
d’éléments phonématiques (sous l’influence
des études d’A. Martinet).
Dans la terminologie nord-américaine, on les
nomme éléments segmentaux.

Les branches de la phonétique

Étape de la communication Branche de la phonétique correspondante

Production Phonétique articulatoire


(étude des organes de la parole et de la
production des sons)

Transmission Phonétique acoustique


(étude des propriétés physiques des sons)

Perception Phonétique auditive


(étude de l’appareil auditif et du décodage des
sons)

Les branches de la phonologie

Phonématique Prosodie
Dans la terminologie nord-américaine, on parle
parfois d’éléments suprasegmentaux, pour
indiquer que la prosodie est quelque chose de
superposé aux éléments segmentaux que sont
les phones. Les marques prosodiques vient en
effet s’ajouter aux éléments phonématiques.

Étude linguistique des unités distinctives de Étude de la valeur linguistique des sons selon :
la langue, les phonèmes que l’on peut : - leur durée : elle est mesurée en centièmes de
- commuter sur un axe paradigmatique : seconde (cs) ;
ex. /ru/ (rue) / /nu/ (nu) - leur intensité : elle est mesurée en décibel
(Le phonème a une fonction distinctive) (dB), car elle correspond à la force d’un son ;
- permuter sur un axe syntagmatique : - et leur variation mélodique : la mélodie est
ex. /sale/ (salé) / /lase/ (lacé) mesurée en hertz (Hz), car elle correspond à la

21
(Le phonème a alors une fonction démarcative) fréquence d’un son.
à partir desquels les phénomènes
d’accentuation et d’intonation sont constitués.

Organes de la parole

Organes Manifestations selon le point d’articulation


Lèvres Labiale
Dents Dentale
Alvéoles des dents (alveoli dentari) Alvéolaire
Palais (palato) Palatale
Voile du palais (palato molle, velo palatino) Vélaire
Luette (ugola) Uvulaire
Pointe de la langue Apicale
Dos de la langue Dorsale
Pharynx (faringe) Pharyngale
Cordes vocales - sonore (vibration des cordes vocales)
- sourdes (pas de vibration des cordes
vocales)
Trachée artère (arteria tracheale)
Epiglotte (epiglottide)
Œsophage (esofago)

Point d’articulation
Le point d’articulation est l’endroit où se trouve, dans la cavité buccale, un obstacle au
passage de l’air. De manière générale, on peut dire que le point d’articulation est l’endroit
où vient se placer la langue pour obstruer le passage du canal d’air.
Le point d’articulation peut se situer aux endroits suivants :
 les lèvres (articulations labiales ou bilabiales)
 les dents (articulations dentales)
 les lèvres et les dents (articulations labio-dentales)
 les alvéoles (articulations alvéolaires)
 le palais (articulations palatales)
 le voile du palais (articulations vélaires)
 la luette (articulations uvulaires)

22
Organe Nomenclature
anatomique phonétique
correspondante
1 lèvres labiales
2 dents dentales
3 alvéoles alvéolaires
4 palais dur pré-palatales
5 médio-palatales
6 post-palatales
7 voile du palais pré-vélaires
8 post-vélaires
9 luette (uvula) uvulaires
1 pharynx pharyngales
0
1 larynx laryngales
1
1 glotte glottales
2
1 apex de la apicales dorsales
3 langue (pré-dorsales)
1 dos médiodorsales
4
1 racine radicales (post-
5 dorsales)

Pour comprendre l’appareil phonatoire et ses possibilités articulatoires dans l’émission


des phonèmes nous devons tenir compte de différents organes et actions.
La respiration qui comprend deux phases : l’inspiration et l’expiration. C’est l’air rejeté
par l’expiration qu’on utilise pour la phonation.
Le courant d’air sort des poumons et passe par la trachée, où se trouve le larynx, une
espèce de boîte cartilagineuse.
À l’intérieur du larynx se trouvent les cordes vocales ou la glotte. Lorsque les cordes
vocales sont ouvertes on a une articulation sourde (par exemple le phonème [s]), tandis
que lorsqu’elles se rapprochent et vibrent on a une articulation sonore (par exemple le
phonème [z])
La cavité buccale comprend les lèvres, la langue (où nous pouvons distinguer l’apex et
le dos), les dents, les alvéoles (derrière les dents supérieures), le palais dur, le voile du
palais et la luette.
La cavité nasale comprend les fosses nasales et se termine par le nez.

23
La cavité buccale

Les lèvres : labialisation et arrondissement


La langue : articulation apicale / dorsale
Les parties du palais : articulation dentale / alvéolaire / palatale / vélaire

Le larynx
Organe composé de 4 cartilages situé entre la trachée et le pharynx.

24
Le passage de l’air
- libre (voyelles)
- rétréci ou arrêté momentanément (consonnes)

Critères articulatoires des voyelles


Les voyelles proviennent des simples vibrations des cordes vocales, quand l'air
s’échappe sans être freiné ni arrêté. Le timbre propre à chacune dépend principalement
de la position de la langue ou de l’ouverture de la bouche, de toute la modulation que
nous pouvons opérer avec les organes phonateurs (arrondissement des lèvres, etc.).

La description des voyelles utilise plusieurs caractéristiques :

25
orales / nasales orales / nasales

antérieures centrale postérieures

non- arrondies non- non-


arrondies arrondies arrondies arrondies

fermées

mi-fermées

moyenne

mi-
ouvertes

ouvertes

1) Antérieures ou postérieures (voyelles d’avant ou d’arrière)


Le point d’émission, la zone de vibration dans la bouche se situe soit vers l’avant
soit vers l’arrière : c’est vers cette zone que la langue se soulève plus ou moins en
direction du palais.
Ainsi, les voyelles correspondant à "i" ou "é" se situent vers l’avant, elles sont
antérieures. Il en est de même du "a" le plus courant. Les voyelles correspondant à "o",
"ou", "on" se situent vers l’arrière, car la vibration se situe quasiment dans la gorge, elles
sont donc postérieures. De même, le "â", avec accent circonflexe, comme dans âme. La
voyelle correspondant à "eu" (ex : eux) est généralement décrite comme antérieure, mais
elle est en fait plutôt centrale.
2) Ouvertes ou fermées
Pour prononcer les voyelles, les mâchoires sont plus ou moins écartées, la langue
plus ou moins éloignée du palais : c’est ce qu’on appelle le degré d’aperture. On trouve
ainsi des « couples » de voyelles fermées / ouvertes : pot / porte, fée / faire, œuf / œufs.
Le /A/ est la voyelle la plus ouverte du français, surtout le "â". Pour tester les différents
degrés d’aperture, il suffit de prononcer en suivant i / é / è / a (mis / mes / mère / ma).
On se rend compte qu’on ouvre progressivement la bouche. La position de la voyelle dans
la syllabe détermine souvent son degré d’aperture. Attention, il s’agit de la syllabe orale,
non de la syllabe écrite, dont le découpage est artificiel. On délimitera la syllabe orale de
26
manière très simple, en parlant lentement et distinctement, et l’on s’apercevra alors que
les consonnes peuvent commencer ou au contraire terminer la syllabe. Ainsi, le mot
maternel se décompose en ma + ter + nel, et non par exemple ma + te + rnel ou mat + er
+ nel. Le -e- de la 2ème syllabe est nécessairement ouvert, parce qu’il est suivi d’une
consonne -r- qui termine cette syllabe orale. L’effet de la consonne finale est justement le
plus souvent d’ouvrir la voyelle qui la précède, et cela se vérifie aussi avec le dernier -e-,
suivi d’une consonne qui l’ouvre également. Les exceptions à retenir concernant cette
tendance de la langue sont les finales -ose et -euse, où la consonne [z] n’ouvre pas la
voyelle qui précède, du moins en français standard : [oz] / [øz], il pose [poz] / elle est
frileuse [friløz]. Néanmoins, dans le Nord et le Sud de la France, on ouvre cette voyelle.
3) Labiales ou non labiales (arrondies)
Les lèvres s’arrondissent pour certains phonèmes : Les voyelles o / ou / eu (œuf,
œufs) / on sont arrondies. Il suffit de se regarder dans un miroir en prononçant ces
voyelles pour constater l’arrondissement et la contraction des lèvres.
4) Nasalisées ou orales
La résonance des fosses nasales, sur des voyelles ouvertes uniquement, donne des
voyelles nasalisées : an / on / in / un sont les 4 voyelles nasalisées du français, comme
dans l’expression un bon vin blanc.
Les autres voyelles sont dites orales.

Cas particulier :
Le e dit muet, ou sourd (instable, arrondi, féminin, inaccentué...), orthographié "e"
seul, et jamais "eu", est souvent sujet à la disparition, à l’amuïssement ; sauf quand il est
indispensable, par exemple à cause d’un environnement consonantique complexe : un
gredin (on ne dit pas "gr'din") ; une entreprise (et non une "entr'prise"). Mais on prononce
Elle va le faire "ell' va l'faire".

Critères articulatoires des consonnes

Mode d’articulation
Le mode d’articulation est défini par un certain nombre de facteurs qui modifient la
nature du courant d’air expiré :
 intervention des cordes vocales ou mise en vibration : articulation sonore ;
 fermeture momentanée du passage de l’air suivie d’une ouverture brusque
(explosion) : articulation occlusive ;
 rétrécissement du passage de l’air qui produit un bruit de friction ou de frôlement :
articulation fricative ;
 position abaissée du voile du palais : articulation nasale ;
 contact de la langue au milieu du canal buccal ; l’air sort des deux côtés:
articulation latérale ;
 une série d’occlusions brèves et sépa rées de la luette : articulation vibrante.

27
Classification articulatoire des consonnes

Tableau articulatoire des consonnes françaises

Dans l’alphabet phonétique international (API), les consonnes représentent les sons
produits lorsque l’air rencontre un obstacle lors de son écoulement de la cavité buccale ;
cette obstruction, totale ou partielle, est ce qui distingue fondamentalement les
consonnes des voyelles.
Bien que la plupart des consonnes phonétiques soient représentées par les lettres
représentant les consonnes alphabétiques, la correspondance n’est pas complète. En
phonétique, un son est toujours représenté par le même symbole. Au contraire, à l’écrit,
un même son peut s’écrire de différentes façons. Par exemple, le son [k] s’écrira k dans
kiwi, c dans cou et qu dans quai. Inversement, une même consonne graphique pourra se
prononcer différemment. Par exemple, la lettre s se prononcera tantôt s (son), tantôt z
(maison). Par ailleurs, certaines consonnes françaises sont représentées à l’écrit par deux
lettres. Par exemple, le son [S] du mot chat [Sa] est transcrit par les lettres ch, le son [f] du
mot phare [faR] est transcrit par les lettres ph. Il n’y a donc pas forcément d’équivalence
entre le nombre de consonnes phonétiques et le nombre de consonnes graphiques; ainsi,
le mot schématiquement [Sématikm2] comporte 9 consonnes graphiques s-c-h-m-t-q-m-n-t
mais seulement 5 consonnes phonétiques [S-m-t-k-m].

On compte 17 consonnes phonétiques en français alors que l’alphabet comporte 20


consonnes graphiques.
[p] patrie, coupe, japper
[t] terre, vite, thé, bette
[k] col, qui, bac, kayak
[b] bas, noble, rabbin

28
[d] danse, laide, additif
[g] gauche, vague, guide
[f] fou, veuf, phrase
[s] se, ce, balançoire, tresse, ration, science
[S] cheval, vache, schisme
[v] vrai, trêve, wagon
[z] zoo, azote, poison, prise
[G] jambe, gorge, geai
[l] lune, soleil
[R] riz, cuir
[m] musique, amour, gramme
[n] nuit, sonner, bénir
[N] gagner, ligne

À ces 17 consonnes s’ajoutent 3 semi-consonnes.

[j] yeux, caille, pied, vrille


[w] oui, toit, jouet
[H] tuile, luire, nuit

Articulation des consonnes


Les consonnes se caractérisent par l’obstruction, totale ou partielle, du conduit
buccal lors du passage de l’air. Elles se distinguent l’une de l’autre par différents traits
que l’on ramène, à des fins d’analyse, à quatre traits articulatoires : la sonorité (ou
voisement), le mode articulatoire, le point d’articulation et la nasalité.
La sonorité correspond à la vibration des cordes vocales lorsque l’air est expulsé.
Si les cordes vocales vibrent, les consonnes sont sonores (ou voisées), si elles ne vibrent
pas, les consonnes sont sourdes. Pour savoir si une consonne est sonore ou sourde, il
suffit de la prononcer en plaçant un doigt sur le devant de la gorge ; la vibration des
cordes vocales y est perceptible. Onze des dix-sept consonnes françaises sont sonores :
[b], [d], [g], [v], [z], [G], [l], [R], [m], [n] et [N]. Les six autres, [p], [t], [k], [f], [s] et [S], sont
sourdes. C’est la sonorité qui permet, par exemple, d’opposer poison, qui comporte la
consonne sonore [z], et poisson, qui contient la consonne sourde [s].
Le mode articulatoire correspond à la façon dont l’air s’échappe dans le conduit
vocal. S’il y a obstruction totale du passage de l’air, la consonne est dite occlusive (ou
explosive). Si, par contre, le conduit vocal ne fait que se resserrer, créant ainsi une
perturbation du passage de l’air, la consonne est dite constrictive (ou fricative). Les
consonnes occlusives sont : [p], [b], [k], [g], [t], [d], [m], [n] et [N]. Les consonnes
constrictives sont : [f], [v], [s], [z], [S] et [G].
Le point d’articulation correspond au point où l’obstruction (occlusion ou constriction)
se fait. Selon les phonéticiens, on distingue 3 ou 4 points d’articulation, chacun pouvant
être subdivisé. On aura ainsi :
a) des consonnes labiales, par exemple, [p] et [m] sont des consonnes labiales
puisque ce sont les lèvres qui bloquent le passage de l’air ;
b) des consonnes dentales, par exemple [t] et [s] sont des consonnes dentales puisque
les dents empêchent l’air de passer ;

29
c) des consonnes palatales, par exemple [S] et [G] sont des consonnes palatales, car la
langue vient appuyer sur la partie avant du palais ;
d) et des consonnes vélaires, comme [k] et [g], pour lesquelles le dos de la langue
vient rejoindre le voile du palais, c’est-à-dire la partie arrière du palais.
Finalement, la nasalité permet d’opposer les consonnes nasales aux consonnes orales. Les
consonnes nasales sont produites lorsque le voile de palais s’abaisse et permet à l’air de
s’échapper aussi par le nez. Il n’y a que trois consonnes nasales en français, [m], [n] et [N].
Quand le voile du palais est relevé, l’air ne passe que par la bouche produisant ainsi des
consonnes orales.

Références de base pour approfondir les sujets de ce chapitre


 P. R. Léon, Phonétisme et prononciations du français, Paris, A. Colin, 2007.
 M. Léon, P. Léon, La Prononciation du français, Paris, A. Colin, 2009.

 Pour bien réviser et comprendre ces questions théoriques, ainsi que pour vous préparer au test de
phonétique, faites toutes les activités de votre livre, Les 500 exercices de phonétique.

30
Chapitre III : Les mots-clés de la grammaire (d’après J. Dubois et R.
Lagane, La Nouvelle grammaire du français, cit.)

Qu’est-ce qu’une grammaire ?


Décrire une langue, c’est en décrire le système, c’est-à-dire étudier la forme et
l’organisation des règles qui constituent, avec les mots, la structure de la langue. Quand
on analyse ainsi la structure du français, on établit la grammaire du français.
Pour pouvoir faire cette grammaire, il faut analyser ce que disent les Français,
leurs énoncés, afin de dégager les règles générales communes à tous ceux qui parlent
français.

De quoi est composée la grammaire?


Un énoncé peut être analysé de plusieurs manières et selon divers points de vue.
Soit, par exemple, l’énoncé :
L’électricien répare le poste.
On peut constater qu’il est fait d’un certain nombre d’éléments ou mots qui ont un sens
défini dans cet énoncé (électricien, répare, poste).
Par ailleurs, si on remplace poste par appareil, on constate que la phrase a à peu
près le même sens ; il y a donc une relation entre poste et appareil.
Si l’on étudie les mots et les relations qu’ils ont entre eux, on étudie le lexique.
Pour que l’énoncé qui contient ces mots ait un sens, il faut qu’ils aient une certaine
fonction les uns par rapport aux autres. Leur disposition, leur ordre dans l’énoncé,
correspond à une certaine construction propre au français et à certaines fonctions des
mots dans cet énoncé. Ainsi, dans l’exemple précédent, on ne peut pas intervertir
électricien et poste, car l’énoncé obtenu n’aurait pas de sens :

*Le poste répare l’électricien.

On constate aussi que la variation d’un mot peut entraîner la modification d’autres mots
(c’est ce qu’on appelle un « accord ») ; par exemple, si l’on met électricien au pluriel, on
obtient :

Les électriciens réparent le poste.

L’étude des fonctions et des constructions constitue la syntaxe. On peut réaliser des
énoncés différents en modifiant la forme des mots (la morphologie) ; ainsi :

Les électriciens répareront les postes.


L’électricienne réparait le poste.

Cet énoncé et les mots qu’il contient ont un sens. Le sens des mots et le sens des énonces
qui résulte de l’emploi de ces mots et de leur construction syntaxique font l’objet de la
sémantique. Enfin, tous les énoncés qui se succèdent, quand quelqu’un parle, sont reliés
entre eux selon des règles qu’on appelle les règles de la narration, du récit, de la
description, de la démonstration, du monologue, etc., c’est-à-dire du discours : c’est
l’objet de la rhétorique.

31
Interdépendance des parties de la grammaire.
Les règles de chacune de ces parties de la grammaire sont en relation non seulement
entre elles, mais avec celles des autres parties. On ne peut donc pas étudier, par exemple,
le lexique sans faire appel au sens des mots, donc à la sémantique ; on ne peut étudier la
sémantique sans considérer la fonction des mots dans la phrase, c’est-à-dire sans faire
appel à la syntaxe, etc. La langue est un mécanisme dont toutes les parties concourent au
bon fonctionnement du langage. La syntaxe et la morphologie constituent la base de la
grammaire, le centre du mécanisme.

La phrase et les types de phrases

Qu’est-ce qu’une phrase ?


Les énoncés sont formés de phrases. Les phrases sont des suites de mots ordonnés
d’une certaine manière, qui entretiennent entre eux certaines relations, c’est-à-dire qui
répondent à certaines règles de grammaire et qui ont un certain sens. Ainsi :

Les nuages courent dans le ciel


est une phrase.
Dans la langue parlée, les phrases sont caractérisées aussi par une intonation
particulière, une mélodie et, dans la langue écrite, elles sont délimitées par des signes de
ponctuation (point, point-virgule, point d’interrogation, d’exclamation, ou parfois simple
virgule).

Les modes de communication et les types de phrases


Selon le motif qui pousse quelqu’un à communiquer avec les autres, il peut recourir à
plusieurs types de phrases :
 Quand on fait savoir simplement quelque chose à quelqu’un, quand on énonce ou
déclare sa pensée, quand on exprime une idée, on fait une phrase déclarative :
Pierre est venu te voir ce matin.
 Quand on veut obtenir un renseignement de quelqu’un en lui posant une question,
on fait une phrase interrogative : Pierre est-il venu te voir ce matin ?

Mémo 1 : Remarques sur la phrase interrogative (d’après Le petit Grevisse. Grammaire française,
Milano-Bruxelles, Zanichelli-De Boeck, 2005)
 Interrogation directe : Lorsqu’elle est exprimée par une proposition principale. Elle est
caractérisée par un ton spécial, qui s’élève progressivement jusqu’à la syllabe accentuée
du mot qui appelle la réponse. Elle est marquée dans l’écriture par un point
d’interrogation. Ex. Tu pars quand?
 Interrogation indirecte : Lorsqu’elle est exprimée en dépendance d’une proposition
principale dont le verbe indique qu’on interroge ou dont le sens général implique l’idée
d’une interrogation. Elle comporte une proposition subordonnée contenant l’objet de
l’interrogation. Elle se prononce comme une phrase ordinaire et, dans l’écriture, n’est
pas marquée par le point d’interrogation. Ex. Je me demande si tu pars demain.

 Quand on veut que quelqu’un agisse de telle ou telle manière, quand on veut lui
donner un ordre, lui adresser une prière, on fait une phrase impérative : Viens
tout de suite me voir !

32
 Quand on exprime un sentiment vif (indignation, surprise, admiration, etc.), on
fait une phrase exclamative : Ce spectacle est étonnant !
Toute phrase de la langue appartient à l’un de ces quatre types et à un seul. Une phrase
ne peut pas être à la fois interrogative et impérative, interrogative et déclarative, etc.

Les formes de phrases


Chacun des quatre types qui viennent d’être indiqués peut lui-même se présenter sous
plusieurs formes : une phrase est affirmative (ou négative), active (ou passive),
emphatique (ou neutre).

Forme affirmative Type


L’électricien a réparé le poste. déclaratif
L’électricien a-t-il réparé le poste ? interrogatif
Répare le poste ! impératif
Comme c’est curieux ! exclamatif

Forme négative Type


L’électricien n’a pas réparé le poste. déclaratif
L’électricien n’a-t-il pas réparé le poste ? interrogatif
Ne répare pas le poste ! impératif
Ce n’est pas vrai ! exclamatif

 Ces deux formes, affirmative et négative, s’opposent l’une à l’autre : une phrase ne
peut être qu’affirmative ou négative.

Forme active Type


L’électricien a réparé le poste. déclaratif
L’électricien a-t-il réparé le poste ? interrogatif
Que cette preuve vous convainque ! impératif
On a enfin obtenu satisfaction ! exclamatif

Forme passive Type


Le poste a été réparé par l’électricien. déclaratif
Le poste a-t-il été réparé par l’électricien ? interrogatif
Soyez convaincu par cette preuve ! impératif
Satisfaction est enfin obtenue ! exclamatif

 Ces deux formes, active et passive, s’opposent l’une à l’autre une phrase ne peut être
qu’active ou passive.

Forme emphatique (ou d’insistance) Type


L’électricien, lui, a réparé le poste. déclaratif
Le poste, l’électricien l’a-t-il réparé ? interrogatif
Vous, racontez-moi cela ! impératif
Ça, c’est extraordinaire ! exclamatif

 Quand une phrase n’est pas emphatique, elle est neutre, comme dans les deux tableaux
précédents.

33
Vous avez compris ? Testez vos connaissances !

1. Associez chaque phrase à sa typologie :

1. Je pars demain. a) Impérative.


2. Veux-tu encore du café ? b) Déclarative.
3. Tais-toi ! c) Exclamative.
4. Il m’a dit qu’il part demain. d) Interrogative indirecte.
5. Génial ! e) Interrogative directe.

2. Analysez les phrases suivantes en précisant leur forme et leur type :


a) Je ne comprends rien à ce que tu dis.
______________________________________________________
b) Peux-tu me prêter ton livre de français ?
______________________________________________________
c) Je voudrais bien sortir avec toi, mais je dois travailler toute la nuit.
______________________________________________________
d) Quelle horreur !
______________________________________________________
e) Va-t-en !
______________________________________________________
f) Je me demande s’il a réussi son examen.
______________________________________________________
g) Martine, n’est-elle pas partie hier ?
______________________________________________________
h) Moi, je parle français, toi, tu parles russe.
______________________________________________________
i) Les voleurs ont été arrêtés.
______________________________________________________
j) Ne parlez pas !
______________________________________________________

34
Les constituants de la phrase

La structure de la phrase
Une phrase ne se définit pas par sa longueur, par le nombre de ses mots, mais
par les éléments qui la constituent, par les relations qu’ils ont entre eux, c’est-à-dire par
sa structure. Quand on dit, par exemple :

Le célèbre explorateur partit chasser le lion en Afrique,

on fait une phrase.


On peut supprimer certains éléments de cette phrase sans qu’elle cesse pour cela
d’être compréhensible ; ainsi on peut supprimer en Afrique :

Le célèbre explorateur partit chasser le lion.

La phrase obtenue est toujours une phrase française.


Si on essaie ainsi de supprimer tous les éléments qui ne sont pas absolument
indispensables pour qu’il subsiste une phrase, il ne restera finalement que les éléments
suivants :

L’explorateur partit.

Si on enlève l’explorateur, ou le, ou explorateur, ou partit, on obtient quelque chose qui n’est
plus une phrase française :

*Explorateur partit. *Le partit. *L’explorateur.

La phrase minimale
Une phrase à laquelle on ne peut ainsi plus rien retrancher (car autrement elle
cesse d’être une phrase) s’appelle une phrase minimale. Mais, selon le verbe employé, on
peut avoir plusieurs types de phrases minimales. Ainsi, dans :

L’homme s’empara d’une fourche,


Un poète a comparé le train à un taureau,

on ne peut rien retrancher, car les phrases n’auraient plus de sens ; elles seraient
incomplètes. Dans ces deux cas aussi, on a des phrases minimales.

Les constituants fondamentaux de la phrase


Toute phrase se définit par sa structure, c’est-à-dire par les éléments qui la constituent.
Mais comment déterminer ces éléments ? Comment analyser la phrase ? Prenons par
exemple la phrase minimale :

Mon père achève sa lecture.

35
On peut remplacer achève sa lecture par va à son bureau, et obtenir ainsi une autre
phrase française :

Mon père va à son bureau.

Les deux éléments achève sa lecture et va à son bureau peuvent se substituer l’un à
l’autre. En revanche, on ne peut pas remplacer mon père par va à son bureau ; ces
deux éléments ne peuvent pas se substituer l’un à l’autre. On peut remplacer mon
père par mon frère, par exemple :

Mon frère achève sa lecture.


Mon frère va au bureau.

On a ainsi défini deux éléments dans cette phrase minimale : le premier élément est
mon père (ou mon frère) et le second est achève sa lecture (ou va à son bureau). On dit
que la phrase est constituée de deux groupes d’éléments (mon père et achève sa
lecture, par exemple). Dans le premier groupe, l’élément essentiel est le nom, et dans le
deuxième groupe, l’élément essentiel est le verbe. Aussi le premier élément est-il
appelé groupe du nom et le deuxième groupe du verbe (les linguistes appellent le
premier syntagme nominal et le second syntagme verbal). Ces deux groupes sont
appelés les constituants de la phrase.
Dans certaines phrases on peut trouver, outre le groupe du nom et le groupe
du verbe, un ou plusieurs autres groupes qui ne dépendent ni de l’un ni de l’autre,
mais qui sont aussi des constituants de la phrase. Ainsi, dans la phrase :

Le jardinier plante un arbre sur la pelouse avec une bêche,

les groupes sur la pelouse, avec une bêche se rapportent à toute la phrase et non au
seul groupe du verbe (on peut d’ailleurs les séparer du groupe du verbe, par exemple
en les plaçant au début de la phrase). Ces groupes sont introduits par des
prépositions (sur, avec) : ce sont des groupes prépositionnels. Ils peuvent être
supprimés : la phrase n’est donc pas une phrase minimale. On l’appelle une phrase
simple parce qu’on ne peut rien retrancher à aucun des groupes qui la constituent.
Les constituants fondamentaux d’une phrase sont donc :
1. Le groupe du nom ;
2. Le groupe du verbe ;
3. Facultativement, un ou plusieurs groupes prépositionnels.

La nature et la fonction des groupes


Dans la phrase Mon père va à son bureau, on a déterminé deux constituants : un
groupe du nom (mon père) et un groupe du verbe (va à son bureau). On a ainsi défini
la nature des constituants de la phrase. La nature des constituants est différente de
leur fonction.
Dans la phrase Mon père va à son bureau, le groupe du nom mon père
désigne la personne dont je parle, c’est le « thème » de la phrase. Le groupe du
verbe va à son bureau est ce que je dis de mon père, c’est le « commentaire ». Sur le

36
plan de la syntaxe, et non plus du sens, mon père est le sujet de la phrase et va à son
bureau est le prédicat de la phrase : sujet et prédicat sont des fonctions. Un groupe
du nom peut avoir des fonctions différentes ; il peut être sujet (mon père) ou objet
(sa lecture) dans la phrase :

Mon père achève sa lecture.

Il ne faut pas confondre la nature des constituants de la phrase et leur fonction.


On peut représenter la structure de la phrase sous la forme d’un arbre :

Phrase
Mon père va à son bureau

GROUPE DU NOM GROUPE DU VERBE


Mon père va à son bureau
Sujet prédicat

Dans la phrase Mon père est parti à son bureau avec un ami, on a trois constituants ; le
groupe du nom (Mon père) est le sujet, le groupe du verbe (est parti à son bureau) est le
prédicat et le groupe prépositionnel (avec un ami) est une précision apportée à la
phrase, une addition : on dit que c’est un adjoint de la phrase. On peut représenter la
structure de la phrase sous la forme d’un arbre :

Phrase
Mon père est parti à son bureau avec un ami

GROUPE DU NOM GROUPE DU VERBE GROUPE PREPOSITIONNEL


Mon père va à son bureau avec un ami
Sujet prédicat adjoint

Phrases incomplètes et phrases étendues


Il peut arriver que l’un de ces deux groupes ne soit pas exprimé. C’est le cas d’une
phrase comme : Venez tout de suite ici ! où n’apparaît que le prédicat (verbe suivi
d’adverbes) et où le sujet, le pronom vous, n’est indiqué que par la forme du verbe ;
la phrase est incomplète : elle a subi un effacement.
C’est le cas d'une phrase comme : Pierre! où n’apparaît que le nom sujet, et où le verbe
(viens, fais attention, etc.) n’est exprimé que par le type exclamatif de la phrase.
Inversement, le groupe du nom et le groupe du verbe peuvent être formés de plusieurs

37
éléments ; d’autres éléments peuvent en effet se rattacher aux constituants de base.
Ainsi dans :

L’explorateur partit pour l’Afrique,

on peut ajouter certains éléments au groupe du nom (l’explorateur) ou au groupe du verbe


(partit pour l’Afrique) ; par exemple :
Le célèbre explorateur partit pour l’Afrique,

ou, encore, en ajoutant d’autres éléments :

Le célèbre explorateur, Tartarin de Tarascon, saluant la foule qui l’acclamait, partit


chasser le lion en Afrique du Nord.

On peut toujours analyser cette phrase en deux groupes fondamentaux. Le premier est le
groupe du nom, sujet de la phrase :

Le célèbre explorateur, Tartarin de Tarascon, saluant la foule qui l'acclamait ;

Le second est le groupe du verbe, prédicat de la phrase : partit chasser le lion en


Afrique du Nord.
Il y a en ce cas encore une seule phrase, car tous les éléments ajoutés se
rattachent aux deux groupes de la phrase dont on est parti : on dit que ce sont des
expansions du groupe du nom ou du groupe du verbe. Mais ce n’est plus une phrase
simple, c’est une phrase étendue. Au contraire, dans : Tartarin partit chasser le lion. Tout
Tarascon était en fête, on a deux phrases séparées par un point ; chacune est formée d’un
groupe du nom et d’un groupe du verbe ; chacune est indépendante de l’autre du point
de vue de la syntaxe.

Vous avez compris ? Testez vos connaissances !

1. Repérez la phrase minimale parmi les suivantes :


a) Marc a beaucoup travaillé pour réussir son examen.
b) Les enfants jouent dans la cour.
c) Il fait mauvais.
d) Donne-moi ton avis à propos du discours de M. Morin.
e) Le chef a préparé un plat très délicieux.

2. Retracez la phrase minimale en effaçant les éléments qu’on peut supprimer :

a) Les amis de Luc sont partis hier pour la Martinique.


____________________________________________________________
b) Jean travaille au bureau de son père.
____________________________________________________________
c) Monsieur Dupont, l’oncle de Lisa, vend de l’habillement pour femmes dans une boutique
des Champs-Élysées à Paris.
____________________________________________________________
d) Ce restaurant est l’un des meilleurs de la ville.
____________________________________________________________
38
e) J’ai lu un livre très intéressant sur les poissons tropicaux.
____________________________________________________________

3. Divisez les phrases suivantes en groupes :

Phrase Groupe du nom Groupe du Groupe


verbe prépositionnel

a) Les amis de
Marie sont partis
hier pour Paris.
b) Ce chien est
très intelligent.
c) Je vais à
l’Université.
d) Ils ont travaillé
toute la nuit.
e) Le voleur a été
arrêté par les
gendarmes.

4. Repérez la phrase incomplète parmi les suivantes :


a) Viens manger, vite !
b) Je viens manger tout de suite.
c) Je mangerais volontiers avec vous.

La phrase et la proposition (d’après Le petit Grevisse. Grammaire


française, cit.)

La phrase
Nous pensons et nous parlons, non pas par des mots séparés, mais par
assemblages de mots ; chacun de ces assemblages, logiquement et grammaticalement
organisés, est une phrase. Elle peut être simple ou composée.

La proposition
La phrase simple comprend un seul verbe : elle forme, dans le langage, l’assemblage le
plus simple exprimant un sens complet : cet assemblage est appelé proposition. Une
proposition est donc un assemblage logique de mots se rapportant directement ou
indirectement à un verbe, base de l’ensemble et au moyen desquels on exprime un fait,
un jugement, une volonté, une sensation, un sentiment, etc.

La phrase composée
Tandis que dans la phrase simple, on n’a qu’un seul verbe, dans la phrase composée, on a
plusieurs verbes dont chacun est la base d’une proposition distincte. Ex. Je crois que tu es
très sympa. (2 prop.)

39
Les espèces de propositions
 Proposition indépendante : C’est la proposition qui ne dépend d’aucune autre et
dont aucune autre ne dépend. Ex. Marie mange un sandwich.
 Proposition principale : C’est la proposition qui a sous sa dépendance une ou
plusieurs autres propositions. Ex. David écrit un mèl à Marie pour lui raconter ce
qui s’est passé hier au stade.
 Proposition subordonnée : C’est la proposition qui dans la dépendance d’une
autre proposition. Ex. David écrit un mèl à Marie pour lui raconter / ce qui s’est
passé hier au stade  Dans cette phrase la première subordonnée est principale
par rapport à la seconde.

Proposition elliptiques
Une proposition est dite elliptique lorsque son verbe n’est pas exprimé. Ce type de
proposition se rencontre surtout dans les dialogues, dans les ordres, dans les
exclamations ou interrogations, dans les proverbes, dans les comparaisons. Ex. Silence! 
Faites silence!
Parmi les propositions elliptiques, il faut signaler les propositions principales
réduites à certains adverbes, à certains noms ou adjectifs, tels que: apparemment,
certainement, dommage, heureusement, nul doute, peut-être, possible, probablement, sans
doute, sûrement, vraisemblablement… Ex. Heureusement que vous êtes arrivés  Je suis
heureux que…

Les mots de liaison


Les mots de liaison dans la proposition sont:
 La conjonction de coordination: et, ou, etc. Ex. La mère et le père de Claudine.
 La préposition, qui unit certains compléments aux mots complétés. Ex. Il partira
dans trois jours.

Les mots indépendants


Les mots indépendants n’ont aucune relation grammaticale avec les autres mots de la
proposition. Ce sont:
 L’interjection. Ex. Ah! Quel plaisir de te voir!
 Les mots mis en apostrophe. Ex. Temps, suspends ton vol! (Lamartine)
 Le mot explétif, qui est un pronom personnel marquant l’intérêt que prend à
l’action la personne qui parle, ou indiquant qu’on sollicite le lecteur ou l’auditeur
de s’intéresser à l’action. Ex. Je vous le dis, lecteur… (Céline)

L’ellipse et le pléonasme
 L’ellipse : C’est l’omission d’un ou de plusieurs mots qui seraient nécessaires pour la
construction régulière de la proposition. On peut omettre:
 Le sujet: Fais ce que dois  Fais ce que [tu] dois.
 Le verbe (proposition elliptique): Combien ce livre?  Combien [coûte] ce livre?
 Le sujet et le verbe: Loin des yeux, loin cœur  [Qui est] loin des yeux [est] loin du
cœur.
 Le pléonasme : C’est une surabondance de termes: il ajoute des mots non exigés par
l’énoncé strict de la pensée. Il peut servir à donner plus de force ou de relief à tel ou tel
élément de la proposition. Ex. Moi, je parle le français, toi, tu parles l’espagnol.

40
Le groupement des propositions
Les propositions de même nature peuvent, dans la phrase, être associées par
coordination ou par subordination.
 La coordination : Sont dites coordonnées les propositions de même nature qui, dans
une même phrase, sont liées entre elles par une conjonction (qui est une conjonction de
coordination). Ex. Marie va à l’Université et Pierre reste à la maison. La coordination est
dite:
 copulative, lorsqu’elle marque l’union de deux propositions par et, ni, puis, aussi,
ensuite, de plus, etc. Ex. Elle est sortie avec Paul, ensuite elle est allée au restaurant.
 Disjonctive, quand elle indique que deux propositions s’excluent l’une l’autre ou
forment une alternative par ou. Ex. Martine est allée à l’Université ou est-elle restée
à la maison?
 Adversative, quand elle indique que deux propositions sont mises en opposition
l’une avec l’autre au moyen de mais, au contraire, cependant, toutefois, néanmoins,
etc. Ex. Martine est allée à l’Université, mais elle est rentrée peu après.
 Causale, lorsqu’elle indique, au moyen de car, en effet, etc., que le fait exprimé par
la seconde proposition est la cause du fait exprimé par la première. Ex. Martine est
rentrée tôt de l’Université, car elle avait mal aux dents.
 Consécutive, lorsqu’elle indique, au moyen de donc, par conséquent, etc., que le
fait exprimé par la seconde proposition est la conséquence du fait exprimé par la
première. Ex. Martine est allée à l’Université, donc elle n’est pas restée à la maison.
 La juxtaposition : Sont dites juxtaposées les propositions de même nature qui, dans
une même phrase, ne sont reliées entre elles par aucune conjonction. Ex. Martine s’en va,
Pierre l’observe triste derrière une porte. Ce type de coordination s’appelle parataxe.
 On appelle proposition incidente une proposition généralement courte, intercalée dans
la phrase ou ajoutée à la fin de la phrase – mais sans avoir avec elle aucun lien
grammatical – et indiquant qu’on rapporte les paroles de quelqu’un. Ex. Vous
comprendrez un jour, dit-il, le sens de ces affirmations.

41
Vous avez compris ? Testez vos connaissances !

5. Une phrase simple peut-elle être aussi une proposition indépendante ?


a) Oui.
b) Non.

6. Retracez la proposition indépendante parmi les suivantes :


a) Je pense qu’il est sympa.
b) Marguerite aime jouer aux échecs.
c) Les enfants, entrez tout de suite !

7. Divisez les phrases suivantes en retraçant la principale et la subordonnée :

Phrase Prop. principale Prop. subordonnée

a) Nous croyons qu’il est le


meilleur de la classe.
b) Mes amis espèrent réussir
leur examen.
c) Ils ont travaillé toute la nuit
afin de rendre leur rapport
au directeur de l’entreprise.
d) J’aime beaucoup voyager.

e) Je déménagerai dans un
mois pour aller travailler en
Suisse.

8. Retracez la phrase qui contient une conjonction de coordination :


a) Demain, j’irai travailler à Toulouse.
b) Martine et Louise sont très sympas.
c) Dominique gare sa voiture dans le garage.

9. Retracez la phrase qui contient le plus de prépositions.


a) Les joueurs de football sont parmi les plus payés au monde.
b) Le Président de la République a accueilli les chefs des gouvernements européens.
c) Le samedi, je sors toujours avec mes amis.

10. Associez chaque phrase à sa typologie de coordination :

1. Je joue au football, mais je préfère le a) disjonctive.


tennis.
2. Donald est rentré très tard et sa mère l’a b) consécutive.
réprimandé.
3. Nous sommes heureux, car nous avons c) copulative.
réussi notre examen.
4. Lauren, est-elle partie ou est restée chez d) adversative.
elle ?
5. Benoît est le nouvel arrivé ; par e) causale.
conséquent, il ne connaît personne.

42
Le mot et le morphème

La méthode d’analyse des groupes du nom et du verbe


La phrase la plus simple s’analyse en deux constituants, le premier étant appelé
« groupe du nom » et le second « groupe du verbe ». Peut-on décomposer chacun de
ces groupes en éléments plus petits ? Soit la phrase :

Le gardien monte le courrier,

que l’on analyse en le gardien, groupe du nom, et monte le courrier, groupe du verbe. On
peut remplacer dans le premier groupe l’élément le par les éléments notre, mon, ce :
NOTRE gardien monte le courrier.
MON gardien monte le courrier.
CE gardien monte le courrier.
En ce cas, le groupe du nom se décompose en deux éléments :
le
notre + gardien.
mon
On peut aussi remplacer gardien par un autre terme, comme facteur ou concierge :
Le FACTEUR monte le courrier.
Le CONCIERGE monte le courrier.

Si on représente l'analyse par un arbre, on obtient :


le gardien

le gardien

On peut procéder de la même manière avec le groupe du verbe. Au lieu de monte le


courrier, on peut avoir monte les lettres, en substituant les lettres à le courrier. On peut
aussi remplacer monte par distribue ; on obtient toujours une phrase :
Le gardien monte LES LETTRES.
Le gardien DISTRIBUE le courrier.
Le groupe du verbe peut être analysé en plusieurs éléments et on représente cette analyse
de la manière suivante :
monte le courrier

le courrier monte

On peut de même analyser le courrier, groupe du nom, en ses deux éléments le et


courrier, puisque l’on peut remplacer le par notre et courrier par journal :
Le gardien monte NOTRE courrier.
Le gardien monte le JOURNAL.

43
Le mot est-il la plus petite unité de la phrase ?
Peut-on aller plus loin dans la décomposition de la phrase en ses divers éléments?
Dans la phrase simple, le groupe du nom est formé de deux éléments, par exemple le et
gardien ; peut-on encore diviser ces éléments en éléments plus petits qui aient toujours
un sens?
On ne peut pas diviser gardien en ga + rdien ou gar + dien ; gar et ga, -rdien et
dien ne sont pas remplaçables par d’autres éléments qui soient des mots ou des
morphèmes significatifs (bardien, par exemple n’est pas un mot français).
Mais on peut diviser gardien en gard + ien ; en effet, on dit une gardeuse d’oies.
Gardeuse est un mot formé de deux éléments : gard + euse, -euse pouvant se substituer à
-ien.
Le mot gardien est donc formé de deux éléments distincts qui, chacun séparément,
ne sont pas capables de former un groupe du nom, mais qui ont un sens ; gard-
représente un radical de verbe, qui a le sens de « garder », et -ien est un suffixe qui sert
à former des noms, et qui signifie « celui qui fait l’action de » ; radicaux et suffixes sont
des morphèmes.
Aussi distingue-t-on les mots comme gardien, raffinement, définition, laveur, etc.,
et les morphèmes, qui sont les plus petites unités qui aient un sens, c’est-à-dire gard +
ien, raffine + ment; défini(r) + tion, lav + eur.
Un mot comme gardien est formé de deux morphèmes. Il arrive que le mot comporte un
seul morphème ; en ce cas, mot et morphème se confondent, comme dans le, notre, fier,
table, concierge, etc. Certains mots peuvent être formés de plus de deux morphèmes ;
ainsi redistribution est formé de trois morphèmes : re + distribu + tion, car -tion peut se
trouver en combinaison avec d’autres morphèmes (définition, construction) comme re-
(refaire, reprendre), et on peut avoir distributeur où -teur a été substitué à -tion, avec un
sens différent.
Le morphème est la plus petite unité significative indécomposable des constituants
de la phrase. Le mot est la plus petite unité significative capable d’être à elle seule un
constituant de n’importe quel groupe du nom ou groupe du verbe, selon les cas.

L’analyse grammaticale de la phrase


A cette étape de l'analyse grammaticale de la phrase, on peut en dessiner l’arbre
complet :

Phrase
Le concierge monte le courrier

Le concierge monte le courrier


GROUPE DU NOM GROUPE DU VERBE

Le concierge monte le courrier

le courrier

44
On a donné des étiquettes (phrase, groupe du nom, groupe du verbe) aux éléments dont
on a déjà défini la nature.

Les classes de mots ou parties du discours

Qu’est-ce qu’une classe de mots ?


Chaque mot appartient à une classe ; une classe est un ensemble comportant tous les
mots qui peuvent se substituer les uns aux autres dans une phrase sans que celle-ci cesse
d’être française.

CLASSE A CLASSE B CLASSE C CLASSE D CLASSE E


Le concierge monte nos lettres
Un gardien donne les clefs
Notre facteur apporte ces imprimés

Un mot appartient à la même classe qu’un autre quand il est possible de le remplacer
dans une phrase par un autre mot (de les commuter), en changeant certes le sens de la
phrase, mais en lui conservant sa structure de phrase française. Les mots le, un, notre
appartiennent à la même classe ; concierge, gardien, facteur, forment une deuxième
classe ; monte, donne, apporte forment une autre classe.
La répartition des mots en classes est donc liée à la manière dont on peut les employer
dans des phrases, à la fonction qu’ils peuvent avoir, à leurs propriétés syntaxiques.
Quelles sont les principales classes de mots que l’on peut définir par cette méthode
d’analyse?

La classe des noms


Dans la phrase :
Le facteur porte rarement des paquets dans cette ferme lointaine, on peut remplacer
facteur par postier, livreur, commissionnaire, etc. Tous ces mots appartiennent à la même
classe, celle des noms (on dit aussi « substantifs »).

La classe des verbes


De même, on peut remplacer porte par distribue, dépose, laisse, ou encore (même si l’idée
est surprenante) par jette, casse, achète, classe, etc.
Le facteur PORTE les lettres.
Le facteur DISTRIBUE les lettres.
Le facteur LAISSE les lettres.
Le facteur JETTE les lettres.
Les phrases obtenues sont compréhensibles et bien formées. Tous ces mots
appartiennent à une même classe, que l’on appelle la classe des verbes, essentielle pour
exprimer le prédicat.

La classe des déterminants


Au lieu de le facteur, on peut dire ce facteur, un facteur, notre facteur, quel facteur, etc. :
CE facteur porte rarement des lettres.
NOTRE facteur porte rarement des lettres.

45
UN facteur porte rarement des lettres.
CE facteur porte rarement des lettres.
QUEL facteur porte rarement des lettres ?
Les mots, le, ce, un, notre, quel, etc., appartiennent à une même classe, appelée classe des
déterminants, qui sert à constituer le groupe du nom.

La classe des adjectifs


Le mot lointaine peut être remplacé par solitaire, moderne, ancienne, croulante, etc., mais
non par facteur, distribue, etc. :
La ferme LOINTAINE.
La ferme MODERNE.
La ferme ANCIENNE.
La ferme CROULANTE.
Lointaine, solitaire, moderne, ancienne, croulante font partie de la même classe de mots
que l’on appelle la classe des adjectifs.

La classe des adverbes


Le mot rarement peut être remplacé par toujours, souvent, parfois, peut-être, etc. :
Le facteur porte RAREMENT des lettres.
Le facteur porte TOUJOURS des lettres.
Le facteur porte PARFOIS des lettres.
Le facteur porte PEUT-ETRE des lettres.
Ces mots appartiennent à une même classe, qu’on appelle la classe des adverbes.

La classe des prépositions


Le mot dans peut être remplacé par vers, à, devant, près de, etc. :
Le facteur porte des lettres VERS la ferme.
Le facteur porte des lettres A la ferme.
Le facteur porte des lettres DEVANT la ferme.
Le facteur porte des lettres PRES DE la ferme.
Ces mots appartiennent à une même classe, qu’on appelle la classe des prépositions.

La classe des pronoms


Enfin, au lieu de Le facteur porte, on peut dire : il porte, je porte, tu portes, etc. Je, tu, il,
etc., qui peuvent être substitués à le facteur ou à Jacques, semblent donc appartenir à la
même classe que ces mots, c’est-à-dire à celle des noms. Cependant, en raison de
nombreuses particularités d’emploi, qui les distinguent des noms, on les range dans une
classe voisine, qu’on appelle la classe des pronoms.

La classe des conjonctions


Si l’on a une suite de deux phrases comme :
Je n’ai pas attendu Pierre, CAR il ne m’avait pas prévenu de son arrivée,
on peut remplacer car, qui relie les deux phrases, par puisque ou par du fait que, etc. Ces
mots ou groupes de mots appartiennent à la même classe, que l’on appelle la classe des
conjonctions.
De même, si on a la phrase :
Je viendrai avec mon père ET ma mère,

46
et, qui relie les deux groupes du nom mon père et ma mère, appartiennent à la classe des
conjonctions ; il peut être remplacé par ou :
Je viendrai avec mon père OU ma mère.

Les parties du discours


Les mots du français peuvent être rangés en 9 catégories ou parties du discours :
Les mots variables:
 Le nom ou substantif: varie en genre et nombre.
 L’article: varie en genre et nombre.
 L’adjectif: varie en genre et nombre. L’adjectif possessif même en personne.
 Le pronom: varie en genre et nombre. Les pronoms possessif et personnel même
en personne.
 Le verbe: varie en nombre, personne, temps, mode.
Les mots invariables:
 L’adverbe.
 La préposition.
 La conjonction.
 L’interjection.

47
Vous avez compris ? Testez vos connaissances !

1. Divisez, si possible, les mots suivants en morphèmes.


c) Vendeur.
d) Lit.
e) Choisir.
f) Attendre.
g) Martien.
h) Ancien.
i) Joliment.
j) Réchauffer.
k) Papier.
l) Douloureux.

2. Soulignez les mots qui appartiennent à la classe des déterminants :


d) Mes amis sont sympas.
e) Les enfants sont dans la cour.
f) Un de vos collègues, est-il allé au Portugal ?

3. Soulignez les mots qui appartiennent à la classe des adjectifs :


a) Jules et Jim est l’un des films les meilleurs de François Truffaut.
b) Les Beaux draps est un pamphlet polémique et virulent de Louis-Ferdinand Céline.
c) Ce bijou est très précieux.

4. L’adjectif « joli » est un mot :


d) variable.
e) invariable.

5. Soulignez les mots invariables.


d) Patricia est allée au bureau de poste avec sa mère.
e) J’aime beaucoup les papillons.
f) Depuis plusieurs années, on travaille avec des partenaires européens très compétents.

48
Chapitre IV : La formation des mots (d’après Le petit Grevisse.
Grammaire française, cit.)

La langue française est un organisme vivant en perpétuel devenir 7 : des mots


meurent, d’autres naissent.
Il y a de différentes typologies de formation des mots:

 dérivation;
 composition;
 onomatopées;
 abréviations.

Certains mots sont des emprunts faits à d’autres langues (ex. kimono, du japonais).
Il y a aussi de faux emprunts, mots fabriqués artificiellement sur le modèle de mots
étrangers (ex. footing).
Certains mots sont des calques par transposition des éléments dont ils sont
formés dans la langue d’origine (ex. gratte-ciel < sky-scraper).
Les mots sont venus par :
 Formation populaire : dans cette typologie de formation, les mots proviennent de
l’usage naturel et spontané qu’en fait la masse des gens qui les emploient.
 Formation savante : dans cette typologie de formation, les mots résultent de
l’action délibérée de lettres.
On appelle :
 Archaïsme : un mot tombé en désuétude, un tour de phrase ou construction hors
d’usage. Ex. idoine (propre à); moult (beaucoup, très).
 Néologisme : un mot nouvellement créé ou un mot déjà en usage, mais employé
dans un sens nouveau. Il existe deux types de néologismes:
 Néologismes de sens (ex. une cassette);
 Néologismes de mots (ex. informaticien).

La dérivation
On a plusieurs types de dérivation :
 La dérivation impropre: sans rien changer de la figure des mots, les fait passer
d’une catégorie grammaticale dans une autre.
 La dérivation propre crée des mots nouveaux en ajoutant à des mots simples
certaines terminaisons appelées suffixes. Ces suffixes servent à former des
substantifs, des adjectifs, des verbes ou des adverbes. Le radical est, dans un mot,

7
Le point de vue le plus commun sur les langues et leur nature est celui qu’on dit « biologique »,
selon lequel « les langues fonctionnent comme des organismes et peuvent par conséquent être
identifiées comme on peut identifier des organismes » (M. HELLER, « L’écologie et la sociologie du
langage », in A. BOUDREAU, L. DUBOIS, J. MARAIS, G. MCCONNELL (éds.), L’Écologie des langues / Ecology
of Languages, Paris, L’Harmattan, 2002, p. 176). Contre cette optique diffusée, les sociolinguistes
affirment que les langues « sont plutôt des pratiques communicatives et sociales fortement
imbriquées dans des relations sociales qui prennent des formes autres que linguistiques. Les
frontières entre les langues sont davantage le produit de processus idéologiques et sociaux que de
processus linguistiques proprement dits. [...] la survivance ou la disparition d’une langue peut être
comprise [...] en fonction de la reproduction ou la non-reproduction des relations sociales où les
pratiques langagières en question ont une signification. » (Ibidem).
49
l’élément essentiel, celui qui exprime fondamentalement le sens de ce mot; on peut
le reconnaître en dégageant, dans les divers mots de la famille à laquelle
appartient le mot considéré, l’élément commun à tous ces mots: dans détourner, le
radical est tour.
 La dérivation est dite régressive quand elle procède par suppression d’une syllabe
finale: galop est formé sur galoper; démocrate sur démocratie.

La dérivation impropre

Peuvent devenir noms:


des participes présents ou
des adjectifs (ex. Le beau) des infinitifs (ex. Le savoir)
passés (ex. Une issue)

Peuvent devenir des adjectifs:


des participes (ex. un livre des adverbes (ex. des gens très
des noms (ex. un ruban rose)
illustré) bien)

Peuvent devenir adverbes:


des noms (ex. Pas grand) des adjectifs (ex. voir clair)

Peuvent devenir prépositions:

des adjectifs (ex. plein ses poches) des participes (ex. durant dix ans)

Peuvent devenir des conjonctions:

certains adverbes (ex. Aussi j’y tiens. Ainsi je conclus que…)

Peuvent devenir des interjections


des formes verbales (ex.
des noms (ex. Attention!) des adjectifs (ex. Bon!)
Suffit!)

50
La dérivation propre

Les suffixes principaux

Formateurs • -ade (colonnade); -aille (ferraille); -an (Persan);


• -ance (Puissance); -eur (grandeur); -ien (historien); -
de substantifs isme (Journalisme); -itude (solitude); -tè (fierté)…

Formateurs • -aire (légendaire); -ais (français); -al (royal); -esque


(livresque); -elet (rondelet); -eux (courageux); -if
d’adjetctifs (sportif); -ique (ibérique); -u (feuillu)…

Formateurs • -ailler (travailler); -iller (mordiller); -iner (trottiner); -


iser (neutraliser)…
de verbes

La composition
Par la composition, on forme des mots nouveaux:
 En combinant entre eux deux ou plusieurs mots français (ex. chou-fleur;
portemanteau; pomme de terre). On peut: a) relier les mots entre eux par le trait
d’union; b) les souder; c) les faire rester graphiquement indépendants.
 En faisant précéder un mot simple d’un préfixe, c’est-à-dire d’une particule sans
existence indépendante (ex. mécontent).
 En combinant entre eux des racines ou des radicaux grecs ou latins (ex. biographie,
baromètre, agricole).

Certains mots sont venus par formation parasynthétique : à un mot simple s’ajoutent
simultanément un préfixe et un suffixe (ex. éborgner, encolure, atterrir).

51
Quelques préfixes :

•Anté- (antédiluvien);
•Bien- (bienfaisant);

D’origine •Contre- (contrecoup):


•Dé- (décharger);
•En- (enlever);
latine •Mé- (mésaventure);
•Pré- (présupposer);
•Sou(s)- (soulever).

•Amphi- (amphithéâtre);
•Ana- (anagramme);
D’origine •Cata- (catastrophe);
•Hyper- (hypercritique);

grecque •Méta- (métaphore);


•Para- (paradoxe);
•Syn- (synthèse).

Autres formations
Les onomatopées sont des mots imitatifs qui reproduisent approximativement certains
sons ou certains bruits (ex. Tic-tac; cocorico…).
Les abréviations et sigles : la langue parlée résiste naturellement aux mots trop longs, et
souvent, elle les abrège. Tantôt elle réduit certaines expressions à leurs seules lettres
initiales (ex. SIDA); tantôt elle ôte à certains mots leurs syllabes finales (ou initiales): ex.
auto[mobile]; ciné[ma]; métro[politain], etc.
Parmi les actions qui s’exercent dans le domaine de la formation des mots, il y a lieu de
signaler encore : l’analogie, la contamination, l’étymologie populaire et la tautologie.
 L’analogie est une influence assimilatrice qu’un mot exerce sur un autre au point
de vue de la forme ou du sens ; ainsi bijou-t-ier a un t d’après les dérivés comme
pot-ier, cabaret-ier, etc.
 La contamination est une sorte de croisement de deux mots ou expressions d’où
résulte un mot ou une expression où se retrouve un aspect de chacun des éléments
associés : ainsi le tour je me souviens est issu de la contamination de je me
rappelle et il me souvient.
 L’étymologie populaire est un procédé suivant lequel un mot se trouve rattaché,
dans la conscience du sujet, à tel mot ou à telle expression qui paraissent en
fournir l’explication : ainsi choucroute – venu en réalité de l’alsacien sûrkrût,
proprement « herbe (krût) aigre (sûr) » – est rattaché par l’étymologie populaire
aux mots français chou et croûte.
 La tautologie est une expression pléonastique qui revient à dire deux fois la même
chose, généralement par répétition littérale : au jour d’aujourd’hui.

52
Les familles de mots
Une famille de mots est l’ensemble de tous les mots qui peuvent se grouper autour d’un
radical commun d’où ils ont été tirés par la dérivation et par la composition. Ex. Arme 
armée, armer; armement; armoire, etc.

Les mots apparentés

•sont des mots de prononciation identique, mais différant par le sens et


souvent par l’orthographe.
Les •Ex. Chair, cher, chère, chaire.
homophones

•sont des mots proches l’un de l’autre par leur forme extérieure.
Les •Ex. Événement, avènement.
paronymes

•Sont des mots qui présentent des analogies générales de sens, mais
différant entre eux par des nuances d’acception.
Les •Ex. Casser, rompre, briser.
synonymes

•On les appelle aussi contraires. Ce sont des mots qui, par le sens,
Les s’opposent directement l’un à l’autre. Ex. Riche vs pauvre.
antonymes

Vous avez compris ? Testez vos connaissances !

1. Fruits et légumes exotiques... Soulignez les emprunts.


Orange ; kiwi ; tomate ; litchi ; pêche ; échalote.

2. Le mot « hypocondriaque » est un exemple de formation :


g) populaire.
h) savante.

3. Le mot « souris » est un __________ de l’anglais « mouse » :


a) Emprunt.
b) Calque.

4. Le mot « ordinateur », formé pour traduire l’anglais « computer » est un exemple de :


f) Formation populaire.
g) Formation savante.
h) Calque.
i) Emprunt.
53
5. Le mot « moult » est un exemple de :
g) archaïsme.
h) néologisme.

6. Le mot « voiture » qui existait déjà au XVIIIe siècle comme synonyme de « carrosse » est un
exemple de :
a) Néologisme de sens.
b) Néologisme de forme.

7. « Savoir » (v.) > « le savoir » (n.) est un exemple de :


a) Dérivation propre.
b) Dérivation impropre.
c) Dérivation régressive.

8. « beau » > « beauté » est un exemple de :


a) Dérivation propre.
b) Dérivation impropre.
c) Dérivation régressive.

9. « accorder » > « accord » est un exemple de :


a) Dérivation propre.
b) Dérivation impropre.
c) Dérivation régressive.

10. Classez les mots suivant sur la base de leur typologie de composition : bateau-mouche ;
portefeuille ; bleu clair ; chemin de fer ; mégabit ; machine à laver ; savoir-faire ; après-midi ;
passepartout ; pause-café ; porte-parole ; permis de conduire ; hypermarché.

Soudure Trait d’union Graphiquement


indépendant

11. Classez les mots qui contiennent des préfixes d’origine grecque et latine : Agricole ; hyperbole ;
méprisant ; détruire ; amphibie ; anaphore ; catastrophe ; contrepartie ; synthétique ;
baromètre ; biologie ; préfixe ; prétexte ; paratexte ; démocratie ; métacognitif ; méfait ; enlever ;
soumettre ; hypocondriaque.

Préfixes d’origine grecque Préfixes d’origine latine

12. Le verbe « miauler » est formé à partir :


a) D’une analogie.
b) D’une onomatopée.

54
c) D’une abréviation.

13. « RER » et « RATP » sont les _________ des réseaux des transports parisiens.
a) Sigles.
b) Abréviations.

14. Les mots « mer, maire, mère » sont des :


a) Homophones.
b) Homographes.

15. L’opposition « beau » vs « laid » est un exemple de :


a) Synonymie.
b) Antonymie.

55
Chapitre V : Les signes de ponctuation

La virgule

La virgule marque une courte pause dans la lecture sans cependant que l’intonation
change. Elle s’emploie:

 Dans une énumération, pour séparer des mots, des groupes de mots de même
nature ou des propositions juxtaposées.

Elle monte, elle descend, elle n’arrête pas de bouger!


Les lions, les girafes, les zèbres, vivent tous trois dans la savane.

 Pour séparer des mots, des groupes de mots ou des propositions coordonnées par
les conjonctions de coordination et, ou, ni lorsque celles-ci sont répétées plus de
deux fois.

Il ne craint ni le vent, ni le froid, ni la neige.

Remarque :
Notons que la virgule peut aussi servir à remplacer les conjonctions « et, ou, ni ». La
conjonction n’apparaissant alors qu’avec le dernier mot.

Vous avez le choix entre un café, un thé, une tisane ou un chocolat chaud.
L’enseignante, le proviseur et les élèves montèrent dans le bus.

 Devant des mots, groupes de mots ou des propositions coordonnées par des
conjonctions de coordination autres que et, ou, ni:

Je viendrai, mais avec un peu de retard.


Nous irons au lac, car je sais que tu aimes particulièrement cet endroit.

 Pour mettre en relief un élément placé en tête de phrase :

Au sommet de la tour de Windsor, des corbeaux ont élu domicile.


Moi, je ne croirais jamais une telle chose.
Puisque tu le souhaites, je le ferai.

Remarque :
Dans le cas des inversions de sujets, les éléments placés en tête de phrase ne sont pas
séparés par une virgule.

Dans le salon attendent les invités.

56
 Pour isoler les propositions participiales.

Son travail terminé, il rentra directement chez lui.

 Pour isoler ou encadrer des mots, groupes de mots ou propositions mis en


apposition et qui donnent des informations complémentaires:

L’enfant, épuisé par cette première journée d’école, s’est rapidement endormi.
Martin, le plus chanceux des hommes, a encore gagné à la loterie.
Cette chanson, que tout le monde apprécie, est pourtant très ancienne.

Remarque:
Si la proposition subordonnée relative explicative est isolée par une virgule (voir exemple
ci-dessus), la subordonnée relative déterminative, elle, n’est pas séparée de son
antécédent par une virgule.

L’homme qui m’a téléphoné hier est passé ce matin à mon bureau.

 Pour encadrer ou isoler les propositions incises:

Je vais, dit le professeur, vous expliquer la formation des nuages.


Je vais vous expliquer la formation des nuages, dit le professeur.

 Pour séparer des propositions en signifiant un déroulement chronologique, une


succession d’événements:

Je l’entends, je cours vers la porte, elle ouvre et m’enlace tendrement.


Nous montions, il descendait.

 Après le nom de lieu dans l’indication des dates:

Grenoble, le 17 octobre 2012.

Le point-virgule
Le point-virgule marque une pause plus importante que la virgule mais à la différence du
point, la voix ne baisse pas complètement entre les deux propositions.

 Pour séparer des propositions ou expressions indépendantes mais qui ont entre
elles une relation faible, généralement une relation logique.

La planète se réchauffe; les glaciers reculent d'année en année.

 Le point-virgule est également utilisé lorsque la deuxième proposition débute par


un adverbe.

57
Sa voiture est tombée en panne au milieu de la campagne; heureusement un fermier
passait par là.

 Pour mettre en parallèle deux propositions:

Isabelle jouait au tennis; son frère préférait le football.

Remarques:
Le point-virgule s’utilise toujours en milieu de phrase et n’est jamais suivi d’une
majuscule.

 Pour séparer les termes d’une énumération introduite par un deux-points:

Acheter à l’épicerie:
– 3 oranges;
– 2 pamplemousses;
– 4 citrons.

Les deux-points

Ils peuvent annoncer:


 une énumération:

Les trois plus grandes villes de France sont: Paris, Marseille et Lyon.

 une citation ou des paroles rapportées:

Paul Valéry a dit: « L’art est fait de beaux détails. »


Arrivé au bord de la falaise, il s’écria: « Ciel, je suis perdu ! »

 une explication, une relation de cause ou de conséquence:

Je n’ai nullement aimé ce film: il était tellement vulgaire.


Il n’a pas fini ses devoirs : il n’ira pas jouer avec son frère.

Remarque:
On évitera fortement de répéter les deux-points dans une même phrase soit en
reformulant soit en les remplaçant le cas échéant par « car » ou « parce que ».

Le point

Le point indique la fin d’une phrase. Il s’accompagne d’une intonation descendante et


d’une pause nettement marquées.

Le musée du Louvre, ancienne demeure des rois de France, est depuis deux siècles l’un
des plus grands et des plus beaux musées du monde. Il attire chaque année des milliers
de visiteurs.

58
Remarque:
Excepté les titres d'œuvres (livre, film…), une phrase nominale, ou sans verbe, se termine
par un point.

Voici une très belle histoire.

Les points de suspension

Toujours au nombre de trois ..., les points de suspension peuvent avoir différentes
valeurs.

 Ils indiquent que la phrase est interrompue. Plusieurs cas:

- La phrase commencée est abandonnée:

Attends que je… Il va me rendre fou !

 Ils indiquent une hésitation en cours de phrase:

Elle est… partie hier matin.

 Ils interviennent dans une énumération qui est écourtée.

Au Musée d’Orsay, vous pourrez admirer les œuvres de nombreux peintres: Cézanne,
Corot, Klimt, Delacroix, Pissarro, Toulouse-Lautrec…

Remarque:
Ils ont dans ce contexte la valeur de « etc. ». Cette abréviation ne peut donc être suivie
des points de suspension.

Dans la montagne vivent des marmottes, des bouquetins, des chamois, etc.

Employés en fin de phrase, ils sous-entendent une suite, une référence, une complicité
avec celui à qui on s’adresse, un effet d’attente.

Vous me comprenez…
Un jour, je ferai le tour du monde…

 Ils peuvent également être employés après l’initiale d’un nom ou d’un mot
(généralement grossier) que l’on ne souhaite pas citer.

Monsieur K… m’a raconté cette étrange histoire.


Marre de cette p… de vie !

 en remplacement du dernier chiffre dans une date.

Cette histoire s’est déroulée en 164…

59
Le point d’interrogation

Le point d’interrogation se place à la fin d’une phrase interrogative (interrogation directe).


L’intonation est montante.

Allez-vous dimanche prochain à la piscine ?

Placé entre parenthèse (?), le point d’interrogation marque l’incertitude.

William Shakespeare est né le 23 ( ?) avril 1564 à Stratford sur Avon.

Le point d’exclamation

Le point d’exclamation se place à la fin d’une phrase exclamative ou d’une phrase


exprimant la surprise, l’exaspération, l’admiration, un ordre… L’intonation est montante.

Que cette fleur est belle !


Sortez d’ici immédiatement !
Pourvu que cela lui plaise !

Il s’emploie également après l’interjection.

Hélas ! vous ne le reverrez pas avant longtemps.


Elle s’avança doucement, et crac ! elle tomba.

Remarque:
Lorsque le point d’exclamation marque une interjection il n’est pas suivi d’une majuscule.

Les guillemets

Les guillemets (inventés par l’imprimeur Guillaume, dit Guillemet, en 1525) permettent
d’encadrer les paroles ou écrits de quelqu’un (citation).

« Quand je regarde l’Histoire, j’y vois des heures de liberté et des siècles de servitude. »
(Joseph Joubert)

Précédés de deux points, ils encadrent un discours direct.

Il se tourna vers moi et me demanda : « Avez-vous l'heure ? »

60
Où placer la ponctuation finale?
Le point final est placé à l’intérieur des guillemets lorsque la citation forme une phrase
complète débutant par une majuscule et introduite par deux-points. Il est placé à
l’extérieur lorsque la citation n’est qu’un segment de phrase fondu dans le texte.

Pierre Reverdy a dit : « Créer, c'est penser plus fortement. »


Raymond Queneau écrivait de l’histoire qu’elle est « la science du malheur des
hommes ».

Pour préciser qui parle, on insèrera seulement une courte phrase entre virgules à
l’intérieur des guillemets.

Le professeur demanda : « Quelle est la capitale de l'Australie ?


– Canberra, répondis-je, confiant. »

Règles typographiques:
On distingue les guillemets à la française « … » et les guillemets droits (aussi appelés
guillemets informatiques ou anglais) "...".

Les parenthèses

Les parenthèses servent à isoler un mot, un groupe de mots à l’intérieur d’une phrase.
Généralement une explication, un commentaire sans lien syntaxique avec le reste de la
phrase.

Il n’a pu se présenter à son entretien (ce n’était d’ailleurs pas la première fois) et n’a
même pas pris la peine de s’excuser.

Elles permettent également de signaler des variantes de genre et de nombre.

Passionné(e)s de littérature, cet ouvrage saura vous séduire.


Le ou les responsable(s) sont attendus dans le bureau du proviseur.

Les tirets

Dans un dialogue, le tiret indique le changement d’interlocuteur.

- Bonjour ! Comment allez-vous ce matin ?


– Très bien, merci. Et vous ?
– Un peu fatigué aujourd’hui.

Encadrant une phrase ou un segment de phrase, les tirets jouent le même rôle que les
parenthèses.

Les Vikings – de hardis navigateurs – ont vraisemblablement découvert l'Amérique bien


avant Christophe Colomb.

Dans une liste, ils servent à l’énumération des termes.


61
Pour la rentrée scolaire, acheter :
– deux cahiers à spirales, gros carreaux ;
– des crayons à mine ;
– des stylos de couleurs ;
– une gomme ;
– une règle.

Les majuscules

On met une majuscule (ou lettre capitale):

 au début de la phrase :

Le joueur d’échecs, comme le peintre ou le photographe, est brillant… ou mat.

 aux noms propres, prénoms, noms de famille, surnoms…

Marco Polo, Christophe Colomb, Jacques Cartier étaient tous des grands explorateurs.

 aux noms communs utilisés comme noms propres :

Son chat Myrtille.


Le chef de l’État français
La Bourse de Wall Street

 à certains termes de politesse :

Madame, Mademoiselle, Monsieur

 aux noms de fêtes :

Noël, Yom Kippour, le Ramadan, Pâques…

 aux noms de rues, départements, régions, villes, pays, régions géographiques…

Il habite rue de l’Esplanade.


L’avenue Joliot-Curie
le Canada, la France, la Grande-Bretagne, les États-Unis
la Seine-et-Marne

 aux points cardinaux lorsqu’ils désignent une région géographique :

l’Afrique du Sud
l’Asie du Sud-Est
la mer du Nord
le Midi de la France

62
Ils n’en prennent en revanche pas lorsqu’ils désignent une direction.

Saint-Denis se situe au nord de Paris.

 aux noms de peuples ou d’habitants de régions géographiques. De même que les


membres de dynasties.

les Français, les Belges, les Québécois, les Mérovingiens

Mais les adjectifs correspondants n’en prennent pas.

le peuple français.

Remarque:
Les noms des adeptes de doctrines, de religions, de courants de pensée, ne prennent pas
de majuscule.

Les chrétiens, les juifs, les surréalistes, les capitalistes

 au mot « saint » lorsqu’il désigne la fête, la localité, la rue qui porte le nom du
saint :

La Saint-Patrick
La rue Saint-Paul

En revanche, devant le nom du personnage qu’il qualifie, le mot « saint » s’écrit sans
majuscule et sans trait d’union.

La pensée de saint Augustin est très marquée par le néo-platonisme.

 aux titres d’œuvres et d’ouvrages :

La Guerre et la paix de Tolstoï


Autant en emporte le vent
Il achète chaque jour Le Monde

 aux noms déposés :

un Kleenex, une Vespa, une fermeture Éclair, du Nylon…

Remarques:
Les noms de jours, mois et de saisons s’écrivent sans majuscule.

Il passera le mois d’octobre au Canada.


L’hiver débute le 21 décembre.
À Grenoble, le 15 septembre 2012.

63
[ ] Les crochets

On les utilise lorsque, à l’intérieur d’une parenthèse, il est nécessaire d’en ouvrir une
autre.

(Albert Camus [1913 – 1960] a obtenu le prix Nobel de littérature en 1957.)

Avec des points de suspension, ils indiquent une coupure, une modification dans un texte
cité.

Vos enfants ne sont pas vos enfants. Ce sont les fils et les filles de la Vie qui se désire. Ils
vous traversent mais ne sont pas de vous. Et s'ils vous entourent, ils ne sont pas à vous
[…] (Khalil Gibran, Le Prophète)

* L’astérisque

L’astérisque s’emploie dans deux cas :

 En appel de note (*) (**) (***). On se limitera à trois renvois par page.

 De la même manière que les points de suspension dans un nom réduit à la simple
initiale.

J’ai aperçu monsieur V*** hier à la sortie du restaurant.

L’alinéa

Bien que l’alinéa ne soit pas un signe de ponctuation à proprement parler, il servira à
marquer plus fortement le point et le passage à une idée nouvelle.

Vous avez compris ? Testez vos connaissances !

1. Insérez les signes de ponctuation corrects dans les phrases suivantes.


a) Il ne veut ni café ni thé ni jus de fruits ou toute autre boisson
_____________________________________________________________
b) Martine dit je partirai demain
_____________________________________________________________
c) La terre tourne autour du soleil toutefois quelqu’un croit encore que c’est le soleil qui tourne
autour de la terre
_____________________________________________________________
d) M s’exclama le type au fond furieux
_____________________________________________________________
e) Te voici la liste des ingrédients lait café œufs farine sucre levure
_____________________________________________________________
f) Je n’ai pas terminé mes devoirs je ne peux pas sortir
_____________________________________________________________
g) Au Musée du Louvre on peut admirer des œuvres de Léonard Giotto Delacroix Vermeer
Mantegna Botticelli

64
_____________________________________________________________
h) Vous partez quand
_____________________________________________________________
i) Viens vite
_____________________________________________________________
j) Oh là là la belle histoire
_____________________________________________________________
k) Céline 1894 1961 est un des écrivains français les plus célèbres du XXe siècle
_____________________________________________________________

2. Corrigez les fautes que vous trouvez dans les phrases suivantes :
a) M,me compagnon est la prof de français.
_____________________________________________________________
b) il dit : « Voici le » plan de l’appartement.
_____________________________________________________________
c) Le saint-laurent est un fleuve Canadien.
_____________________________________________________________
d) Cet Homme est canadien.
_____________________________________________________________
e) Si tu vas au supermarché : achète : pain fromage, salade, bière.
_____________________________________________________________

65
Corrigés des activités
 Test pp. 13-14 : 1-c ; 2-b ; 3-b ; 4-a ; 5-a ; 6-c ; 7-b ; 8-a ; 9-b ; 10-b ; 11-a ; 12-c ;
13-a ; 14-b ; 15-b.

 pp. 18-19 = 1-b ; 2-b ; 3-a ; 4-b.

 p. 33 = Exercice 1: 1-b; 2-e; 3-a; 4-d; 5-c. Exercice 2: a) active, négative, déclarative ; b)
active, interrogative ; c) active, déclarative ; d) emphatique, exclamative ; e) active,
impérative ; f) active, interrogative indirecte ; g) active, négative, interrogative ; h)
emphatique, active, déclarative ; i) passive, déclarative ; j) active, négative, impérative.

 pp. 37-38 = Exercice 1 : c ; Exercice 2 : a) Les amis sont partis ; b) Jean travaille ; c)
Monsieur Dupont vend de l’habillement ; d) Ce restaurant est l’un des meilleurs de la
ville ; e) J’ai lu. Exercice 3 : a) Les amis de Marie / sont partis / hier pour Paris ; b) Ce
chien / est très intelligent ; c) Je / vais / à l’Université ; d) Ils / ont travaillé / toute la
nuit ; e) Le voleur / a été arrêté / par les gendarmes. Exercice 4 : a.

 p. 41 = Exercice 1 : a. Exercice 2 : c. Exercice 3 : a) Nous croyons / qu’il est le meilleur


de la classe. b) Mes amis espèrent / réussir leur examen. c) Ils ont travaillé toute la nuit /
afin de rendre leur rapport au directeur de l’entreprise. d) J’aime beaucoup / voyager. e)
Je déménagerai dans un mois / pour aller / travailler en Suisse. Exercice 4 : b. Exercice
5 : a. Exercice 6 : 1-d ; 2-c ; 3-e ; 4-a ; 5-b.

 p. 47 = Exercice 1 : vend-eur ; lit ; chois-ir ; at-tend-re ; mart-ien ; anc-ien ; joli-ment ;


ré-chauff-er ; papier ; doulour-eux. Exercice 2 : a) mes ; b) les – la ; c) un – vos.
Exercice 3 : a) meilleurs ; b) beaux – polémique – virulent ; c) précieux. Exercice 4 : a.
Exercice : a) de – avec ; b) beaucoup ; c) depuis – avec – très.

 pp. 52-54 = Exercice 1 : kiwi – litchi. Exercice 2 : b. Exercice 3 : b. Exercice 4 : b.


Exercice 5 : a. Exercice 6 : a. Exercice 7 : b. Exercice 8 : a. Exercice 9 : c. Exercice 10 :
Soudure : portefeuille, mégabit, passepartout, hypermarché. Trait d’union : bateau-
mouche, savoir-faire, après-midi, pause-café, porte-parole. Graphiquement indépendant :
chemin de fer, machine à laver, permis de conduire, bleu clair. Exercice 11 : Origine
grecque : hyperbole, amphibie, anaphore, catastrophe, synthétique, baromètre, paratexte,
démocratie, métacognitif, hypocondriaque, biologie. Origine latine : Agricole, méprisant,
détruire, contrepartie, préfixe, prétexte, méfait, enlever, soumettre. Exercice 12 : b.
Exercice 13 : a. Exercice 14 : a. Exercice 15 : b.

 pp. 63-64 = Exercice 1 : a) Il ne veut ni café, ni thé, ni jus de fruits ou toute autre
boisson. b) Martine dit : « je partirai demain. » c) La terre tourne autour du soleil ;
toutefois, quelqu’un croit encore que c’est le soleil qui tourne autour de la terre. d)
« M*** ! », s’exclama le type au fond, furieux. e) Te voici la liste des ingrédients : lait ;
café ; œufs ; farine ; sucre ; levure. OU Te voici la liste des ingrédients :
- lait ;
- café ;
- œufs ;

66
- farine ;
- sucre ;
- levure.
f) Je n’ai pas terminé mes devoirs : je ne peux pas sortir. g) Au Musée du Louvre on peut
admirer des œuvres de Léonard, Giotto, Delacroix, Vermeer, Mantegna, Botticelli... h) Vous
partez quand ? i) Viens, vite ! j) Oh là là ! la belle histoire ! k) Céline (1894-1961) est un
des écrivains français les plus célèbres du XXe siècle. Exercice 2 : a) Mme Compagnon est
la Prof de français. b) Il dit : « Voici le plan de l’appartement ». c) Le Saint-Laurent est
un fleuve canadien. d) Cet homme est Canadien. e) Si tu vas au supermarché, achète :
pain, fromage, salade, bière.

67
Traductologie
(2ème semestre)

Sommaire

Théorie :
 I. Notes sur la théorie de la communication et sur la traductologie.
 II. L’article de presse. Le comprendre pour bien le traduire.

Activités pratiques :
 Sélection de textes d’actualité tirés de la presse française.

68
Chapitre I : Notes sur la théorie de la communication et sur la
traductologie

Préliminaires : la
communication
 Toute activité humaine est
finalisée à la communication,
à l’expression d’un besoin,
d’une nécessité, d’un désir, à
la transmission d’un message
implicite ou explicité à un
interlocuteur.
 Bien communiquer à l’oral,
c’est faire passer des
messages à l’aide d’un
langage choisi, en utilisant
une voix bien placée, en
jouant de ses émotions, en
utilisant intelligemment son
corps pour que son public, respecté et pris en compte, accepte le message émis
et y adhère.
 Communiquer, c’est mettre en commun : Dans un monde qui se veut être celui de la
communication, nous sommes loin d’être performants ; pourtant la diversité des
approches et les ouvrages sur le sujet ne manquent pas.
 L’information : Notre monde dit « de la communication » est surtout un monde de
l’information. Un monde où l’information circule comme un objet qui passe de main en
main, et qui est véhiculé grâce aux nouvelles technologies. Sous prétexte de faire circuler
de l’information en envoyant pléthore de mail, certains pensent être des communicants.
 La relation : Communiquer vient du latin communicare qui signifie « être en relation
avec ». La relation est-elle alors de la communication ? Dans « relier », n’entendons-nous
pas « lier par deux fois » ? « Je me suis lié d’amitié » : suis-je libre d’être ami ou suis-je
asservi ? « Ce n’est pas un ami, c’est une relation… » : n’avons-nous pas un certain
nombre de coordonnées de « relations » dans nos répertoires ? Il y a fréquemment dans
la notion de relation à l’autre une notion d’intérêt et c’est souvent la raison des échanges
en entreprises. Dans une relation, l’information n’est pas forcément partagée, elle peut
être imposée par l’émetteur et subie par le récepteur. Le passage de l’information compte
alors plus que les individus présents.
La communication : Communiquer, c’est aller au-delà, c’est mettre en commun. C’est
partager. La notion d’intérêt disparaît au profit de la notion du respect de l’autre.
L’information est proposée par l’émetteur et reçue par le récepteur qui l’accepte (ou non).
L’individu devient plus important que l’information.

69
 Modèle de la communication

Roman Jakobson (1896-1982) est un linguiste et un


théoricien de la communication qui a conçu un modèle qui
permet de réfléchir sur la communication et qui permet de
comprendre les nombreux facteurs intervenant dans chaque
situation de communication. Son modèle est apparu en
anglais en 1958, la traduction française est publiée en 1963
sous le titre d’Essais de linguistique générale, un recueil
d’articles où on retrouve aussi d’importants considérations
sur le système phonologique de la langue, sur la linguistique
et Saussure, sur la traduction.

Modèle de la communication de Jakobson

 L’émetteur : on l’appelle aussi « locuteur » (en cas de communication linguistique


orale), « scripteur » (communication écrite) ; on dit aussi « source » (en théorie de
l’information), « énonciateur » (théorie de l’énonciation), « destinateur » (narratologie).
Il s’agit de toutes façons de l’instance qui produit le message et qui dans le cas le plus
courant peut en être tenue pour responsable. C’est à l’émetteur qu’est rapportable
l’intention de communication, et qui fait que nous aurons, dans un message, de véritables
signes (vs indices) empruntés à un code. En y regardant de plus près on s’aperçoit que,
davantage qu’une personne concrète, l’émetteur est un « rôle » qui peut être dissocié et
réparti entre plusieurs maillons de ce qui constitue alors une « chaîne d’émetteurs ». Le
sémioticien, Jean-Marie Klinkenberg, affirme que l’émetteur est « une entité théorique » :

[Il] n’est pas toujours une personne humaine, et encore moins une personne ayant
véritablement envie de transmettre une information précise. [...] l’émetteur peut être
un animal, un organisme vivant inconscient, voire une machine ; il peut être aussi une
institution, ou une multitude de personnes8.

Cependant il est dans tous les cas très utile de distinguer entre :

8
J.-M. KLINKENBERG, Précis de sémiotique générale, Paris, Seuil, coll. « Points-Essais », 2000, p. 44.
70
 L’instance qui ne serait responsable que de la production concrète du message,
mais non de son contenu (ce peut être un émetteur « mécanique », comme le
répondeur téléphonique. Tous les « supports », dans le vaste domaine des médias,
sont des émetteurs, chargés seulement de la diffusion de messages élaborés par
d’autres ; c’est ce type d’émetteur qui détermine le canal de réception.
 L’instance qui est responsable de la teneur du message (le contenu). On réserve le
terme d’énonciateur à ce deuxième cas. C’est en effet à lui que l’on attribue
l’intention de communication, et c’est lui qui en principe contrôle la référence
(« contexte », dit Jakobson) du message.

 Le récepteur : selon le cas (voir liste ci-dessus) allocutaire, lecteur, but, énonciataire,
destinataire. Il s’agit de l’instance qui reçoit le message. Il ne s’agit pas forcément d’un
individu : un message peut très bien avoir plusieurs récepteurs (simultanés ou non).
Comme pour l’émission, on pourrait distinguer des sous-rôles relativement au canal
(récepteurs divers, radio, télé, répondeur téléphonique de nouveau, etc.) ; au code
(interprètes, mais on peut aussi les considérer comme des réémetteurs), et au référent.
Selon J.-M. Klinkenberg, on a encore affaire à une « autre entité théorique », car :

Il ne s’agit pas nécessairement d’une personne physique (ce peut-être l’interrupteur du


thermostat). Et d’ailleurs, le récepteur réel n’est pas nécessairement présent
physiquement au moment de la production du message. Pensons au lectorat d’un
journal, aux usagers de la route [...]. On a donc intérêt à décrire le destinataire comme
une instance abstraite, un modèle postulé davantage qu’une réalité physique. De même
qu’il y a un émetteur idéal, tout message a en effet un récepteur idéal [...] 9.

On peut aussi faire une distinction entre :


 Récepteurs effectifs (tous ceux qui, mis en présence du message, sont amenés à le
décoder), qui peuvent être « non concernés », voire illégitimes, clandestins, etc.
 Récepteurs ciblés, auxquels le message est véritablement adressé ; c’est à ce
dernier type que l’on pourrait réserver le terme de destinataire.
Dans le cas de communications médiatiques, le ciblage du destinataire réellement visé
peut être crucial, surtout s’il doit s’auto-sélectionner, ce qui est fréquent (publicités,
codes de la route), et il fait souvent l’objet d’un travail spécifique lisible à l’intérieur du
message (marques d’adresse, etc.).

 Le canal : ou « contact ». Le canal correspond à la voie matérielle qu’emprunte le


message pour circuler de l’émetteur au récepteur. On distingue généralement les
différents canaux selon la modalité sensorielle qui est sollicitée chez le récepteur : l’ouïe
(canal auditif), la vue (canal visuel) sont chez l’homme les principaux, mais on peut
également exploiter le toucher (canal tactile, cf. le cas du braille), et beaucoup plus
marginalement l’odorat (canal olfactif, cf. cas des parfums) et le goût (canal gustatif,
fonctionnant la plupart du temps en couple avec le précédent). Généralement un code
donné entretient des relations privilégiées avec un canal particulier (par exemple code
gestuel / canal visuel), mais dans certaines situations de communication on peut être
obligé de « changer de canal ». Ainsi le langage verbal, lié au départ au canal auditif,
peut aussi donner lieu à des messages exploitant le canal visuel (communications écrites).

9
Ivi, p. 45.
71
Le transcodage consiste précisément à adapter le code utilisé au canal de communication
effectivement disponible, lorsque celui-ci diffère de celui pour lequel sont « taillés » au
départ les signes que l’on veut utiliser. Un même message peut exploiter simultanément
plusieurs canaux : on parle alors de communication multicanale (par exemple : les
communications audio-visuelles).

 Le code : il s’agit du système de signes dans lequel sont prélevés ceux qui vont
constituer le message. Le code utilisé doit en principe être partagé par les partenaires de
la communication, ce qui leur permet de se comprendre. L’existence d’un code est donc
un préalable de l’acte de communication. Un même message peut emprunter ses signes à
plusieurs codes distincts : on peut alors parler de communications pluri-codiques : les
panneaux du « code de la route » en fournissent un exemple, puisque certains exploitent
conjointement code iconique (image) et code linguistique.

 Le contexte : ou le « référent », terme de loin préférable, et qui a l’avantage de


marquer la correspondance avec la fonction dite « référentielle », qui lui est reliée. Le
référent, donc, est ce sur quoi porte le message, ce dont il parle. Il n’est absolument pas
envisageable en dehors d’une situation de communication particulière.

 Le message : il s’agit de l’ensemble particulier de signes (choisis au sein d’un ou


plusieurs codes) qu’adresse l’émetteur au récepteur – à ne pas confondre donc avec
l’information qu’il a l’intention de lui communiquer, comme on risquerait de le faire en se
fondant sur un sens courant du mot message. Il faut prendre ici le terme comme un
concept, qui signifierait « ensemble fini et adressé d’éléments porteurs d’information ».

L’intérêt de ce schéma de la communication réside dans la conceptualisation des


fonctions du langage. Jacobson fait correspondre à chaque facteur de la communication
une fonction du langage. Au six facteurs, correspondent six fonctions.

 Les fonctions du langage

 La fonction référentielle
Cette fonction, liée au contexte, concerne principalement le référentiel dans lequel le
message doit être interprété. Autrement dit à cet état du monde à l’intérieur duquel
s’inscrit le message, et qui est nécessaire pour comprendre le sens. Le contexte d’une
72
communication peut être par exemple une référence à la conversation en cours, ou
encore à une culture, un pays.

 La fonction expressive
Elle est centrée sur le destinateur (l’émetteur) et lui permet d’exprimer son attitude, son
émotion, et son affectivité par rapport à ce dont il parle. Par exemple, tous les traits dits
suprasegmentaux – intonation timbre de la voix, etc. – du langage parlé se rattachent à la
fonction expressive. Dans un contexte informatique, la fonction expressive pourrait être
remplie par des méta-informations exprimant l’état psychologique de l’agent émetteur.

 La fonction conative
Elle est portée par le destinataire. Il s’agit de reconnaître au langage une visée
intentionnelle sur le destinataire et une capacité d’avoir sur ce dernier un effet. Cet
aspect est lié à une autre approche, la théorie des actes de langage. Des formes
grammaticales comme le vocatif ou l’impératif permettent l’instanciation de cette
fonction, de la même manière que les verbes dits performatifs comme « demander »,
« affirmer », « proposer », etc.

 La fonction phatique
Cette fonction sert à établir la communication, à assurer le contact et l’attention entre les
interlocuteurs. Il s’agit de rendre la communication effective avant la transmission
d’information utile. L’exemple typique est le « Allo » d’une communication téléphonique.

 La fonction métalinguistique
La fonction métalinguistique est liée au code, c’est-à-dire par exemple, la langue,
employée pour la communication. Elle répond à la nécessité d’expliciter parfois les
formes même du langage. À chaque fois que le destinateur s’assure que son interlocuteur
partage le même système linguistique que lui, il fait appel à la fonction métalinguistique
de son code.

 La fonction poétique
Cette dernière fonction met l’accent sur le message lui-même et le prend comme objet. Il
s’agit donc de mettre en évidence tout ce qui constitue la matérialité propre des signes, et
du code. Il s’agit de tous les procédés poétiques tels que l’allitération, les rimes, etc.

 La communication du point de vue psycholinguistique


Sur le plan psycholinguistique, c’est le processus intersubjectif au cours duquel la
signification qu’un locuteur associe aux sons est la même que celle que l’auditeur associe
à ces mêmes sons.
 Les participants à la communication, ou acteurs de la communication, sont les
« personnes » : l’ego, ou sujet parlant qui produit l’énoncé, l’interlocuteur ou allocutaire,
enfin ce dont on parle, les êtres ou objets du monde.
 La situation de communication est définie par les participants à la communication dont
le rôle est déterminé par je (ego), centre de l’énonciation, ainsi que par les dimensions
spatio-temporelles de l’énoncé ou contexte situationnel : relations temporelles entre le
moment de l’énonciation et le moment de l’énoncé (les aspects et les temps), relations
spatiales entre le sujet et les objets de l’énoncé, présents ou absents, proches ou éloignés,

73
relations sociales entre les participants à la communication ainsi qu’entre eux-mêmes et
l’objet de l’énoncé (les types de discours, les facteurs historiques, sociologiques, etc.). Ces
embrayeurs de la communication sont symbolisés par la formule « je, ici, maintenant ».
 Le statut de communication est défini par la distance sociale, ou intersubjective,
instituée par je avec les interlocuteurs (ainsi la différence entre tu et vous traduit une
intimité ou une relation sociale différente), et par la manière dont je envisage son énoncé.
Ainsi, l’énoncé peut être plus ou moins pris en considération, assumé par le locuteur :
cela se traduit par les modes et les aspects du verbe, et par des adverbes comme peut-
être, sans doute, c’est-à-dire par ce qu’on appelle les modalisations.

Aspects basilaires concernant la traduction

 La traduction est une opération assez complexe qui intervient toujours dans notre
existence quotidienne sous des formes différentes (quand on écoute une chanson en
langue étrangère, ou on lit un roman, un texte, des instructions… dans une langue
différente de la nôtre ; quand on cherche la signification d’un mot et on cherche à faire
une reformulation dans le but d’en véhiculer le sens ; quand on interprète les gestes, les
expressions, les messages d’un tableau, d’une photo ou de toute autre image vue à la télé,
dans un journal ou sur le web…).
Elle rend compte alors de plusieurs facteurs :
a) linguistiques : grammaire (morphologie et syntaxe) ; sémantique (lexicologie
et lexicographie) ; prosodie ; stylistique ; rhétorique ; phonétique et
phonologie.
b) culturels (et aussi folkloriques) ;
c) historiques ;
d) sociaux ;
e) politiques ;
f) …
 La traduction est l’une des formes de la communication par les biais de la
reformulation, c’est-à-dire de la faculté nécessaire pour communiquer.
 Il existe 3 approches à la traduction :
1) descriptive (comment traduit-on ?) ;
2) prescriptive (comment faut-il traduire ?) ;
3) théorique (qu’est-ce que traduire ?).
 La traduction est un instrument très important, car elle agit en tant que canal entre
deux cultures et deux langues différentes : elle a toujours existé et, dès l’Antiquité, elle a
suscité maintes querelles et débats à propos de sa nature, de ses fonctions et de ses buts.
Si elle n’existait pas, on ne saurait pas entrer en contact avec des cultures éloignées ou
différentes des nôtres. Elle est fondamentale aussi pour l’apprentissage des langues
étrangères et, plus fondamentalement, pour la connaissance de sa propre langue : il n’est
pas par hasard que le poète allemand W. Goethe affirmait que « qui ne connaît pas de
langues étrangères ne sait rien de la sienne ».
 La première fonction de la traduction est donc d’ordre pratique (fonction
communicative) : sans elle, la communication est compromise ou impossible. Elle est
aussi la condition essentielle de survie d’une langue, car on définit une langue morte, une
langue qu’on n’arrive plus à traduire, avant que la traduction ne la ressuscite (ex. Si la

74
pierre de Rosette n’avait pas contenu la traduction d’un texte écrit en hiéroglyphes dans
une langue connue, le grec, Champollion ne serait pas parvenu à les déchiffrer, et la
langue des pharaons demeurerait sans doute aussi impénétrable que celle des Étrusques).
 Un aspect très important à considérer est la question de la langue – en l’occurrence,
des langues en présence (dimension linguistique). Ce n’est pas la même chose de traduire
de l’hébreu au grec que du grec au latin, ou du français au japonais que du français à
l’italien, car l’hébreu ou le japonais appartiennent à des familles linguistiques différentes.
Autrement dit, il est difficile de maîtriser une langue qui appartient à une famille
différente de la nôtre. Condition nécessaire, mais non suffisante pour une bonne
traduction est alors de connaître la langue de départ et maîtriser suffisamment la langue
d’arrivée.
 À la fonction communicative de la traduction et à sa dimension linguistique, s’ajoute
un troisième facteur, lié aux précédents, celui de la pluralité des versions pour un même
texte. Il existe, en effet, plusieurs versions de la même œuvre ; versions qui, à la fois, se
présente très diverses les unes des autres. Face à de telles différences, on peut adopter
plusieurs attitudes :
1) la première consiste à conclure à l’intraduisibilité radicale de toute langue par
une autre (ex. Pour les musulmans du monde entier, le Coran ne saurait être
traduit : il doit être lu dans la langue originelle, que l’on soit arabophone ou
non).
2) On peut aussi conclure à l’intraduisibilité relative des langues : traduire, c’est
forcément trahir, pour reprendre l’adage italien traduttore, traditore.
3) Une troisième solution consiste à inverser l’interprétation habituelle du mythe
de Babel (la confusion des langues en tant qu’une punition de Dieu face à la
présomption humaine) et à voir dans la diversité des langues autre chose
qu’une donnée négative.

Langues et visions du monde

 Une langue n’est pas faite uniquement de mots : chacune renferme une « vision » du
monde propre, une « Weltansicht » pour reprendre le terme utilisé par Wilhelm von
Humboldt dans sa conception élaborée au XIXe
siècle et reprise par Edward Sapir et Benjamin Lee
Whorf au siècle suivant pour aboutir à ce que l’on
a coutume d’appeler l’hypothèse « Sapir-Whorf ».
Cette théorie affirme que chaque langue a sa
propre vision du monde : l’exemple type pour
illustrer le « découpage » différent que chaque
langue effectue sur le « réel » est celui des
couleurs. Au français « bleu », l’italien fait
correspondre « azzurro » (« bleu clair ») et
« blu » (« bleu foncé »), le terme « azur »
existant en tout cas en français, mais renvoyant à
une diverse connotation, plus symbolique (par
exemple, il faut penser à l’Azur du poète symboliste Stephan Mallarmé).
 La langue n’est donc pas un simple instrument, une opération intransitive entre la
pensée et son expression : elle dépend d’une précise vision du monde (ex. Les Grecs

75
avaient une vision du monde essentiellement « monolingue », comme l’indique
l’étymologie de « barbare », adjectif et substantif qu’ils attribuaient à ceux qui ne
parlaient pas leur idiome). Cela se passe à cause du fait qu’on a tendance à identifier sa
langue à la réalité, ainsi que le fait remarquer le célèbre linguiste français André Martinet.

Quelques idées de W. von Humboldt

 Reprenant une distinction aristotélicienne, Humboldt insiste


sur le fait que la langue n’est pas un « ergon » (racine indo-
européenne « werg* » que l’on retrouve dans l’anglais
« work » : « un ouvrage fait »), mais une « energeia » (« une
activité en train de se faire »).
 Cette conception a des implications épistémologiques et
philosophiques considérables qui ont également des
répercussions non moins essentielles pour la traduction. La
plus fondamentale est la suivante : il n’est pas de traduction
« neutre » ou « transparente » au travers de laquelle le texte
original apparaîtrait idéalement comme dans un miroir à
l’identique.
 On ne saurait donc reprocher à la traduction de procéder à tout un ensemble de
transformations : c’est dans la nature même du langage.

Roman Jakobson, « Aspects linguistiques de la traduction » (1959), in Essais de


linguistique générale, trad. Nicolas Ruwet, Paris, Éds. de Minuit, 1963.

 Dans cet article capital, Jakobson accorde à la traduction une valeur primordiale : de
phénomène marginal, elle vient à occuper une place centrale. Il affirme : « Pour le
linguiste comme pour l’usager ordinaire du langage, le sens d’un mot n’est rien d’autre
que sa traduction par un autre signe qui peut lui être substitué ».
 Il distingue ainsi trois sortes de traduction :
1. La « traduction intralinguale » ou « reformulation » qui consiste en la
reformulation dans la même langue d’un texte (ex. Quand on « traduit » en
français contemporain une œuvre écrite en français médiévale).
2. La « traduction interlinguale » ou « traduction proprement dite » (ex. du
français à l’italien et vice versa).
3. La « traduction intersémiotique » qui « consiste en l’interprétation des signes
linguistiques au moyen de systèmes de signes non linguistiques ».
 Sur la traduction intersémiotique, il dit qu’on peut s’interroger sur le fait de savoir si
tout système de signes n’est pas, par nature, intersémiotique. En postulant que le sens
d’un signe est sa traduction par un autre signe, peu importe que celui-ci soit visuel
(langue écrite ou « langue des signes »), phonétique (langue orale), tactile (alphabet
braille), etc., voire relève de plusieurs systèmes de signes à la fois. La traduction opérant
sur des signes, elle ne relève donc pas de la seule linguistique, mais d’un domaine plus
vaste, celui de l’étude de ses signes, la sémiotique.

76
 Dans la traduction « intersémiotique », il ne s’agit plus de passer d’une langue à une
autre, mais d’un système de signes à un autre. Cette définition est très moderne, car elle
prévoit dès sa formulation (en 1958) l’intromission des nouvelles technologies dans notre
vie quotidienne et la mondialisation du savoir, des connaissances et des données
culturelles (il faut penser à l’importance d’Internet et des médias pour la transmission de
nos connaissances et de nos valeurs actuelles).

Jean-Paul Vinay et Jean Darbelnet, Stylistique comparée du français et de


l’anglais, Paris, Didier, 1958.

 Cette œuvre, publiée dans la même période que les études de


Jakobson, fait date : c’est en effet « la première méthode de
traduction fondée sur une analyse scientifique ». Peu ou prou, la
plupart des manuels de traduction disponibles actuellement lui sont
redevables. S’il fait date, il est également daté. Comme Jakobson, les
deux auteurs se réclament de Saussure, selon qui il faut
« délimiter » les unités.
 Les deux auteurs parlent donc d’« unités de traduction », là où on
ne peut pas se réduire à faire des « mots » les unités de base, car
Jean-Paul Vinay
une telle conception aboutirait en effet à rendre la langue une simple
« nomenclature », c’est-à-dire « une liste de termes correspondant à autant de choses »
(d’ici on peut avancer la critique à la traduction automatique et à la traduction assistée
par ordinateur, autrement dit, aux « machines à traduire »).
 En traduction, on ne traduit pas les mots isolément les uns des autres : la traduction
« mot à mot » est donc bien souvent impossible. Pour les deux auteurs, l’unité
essentielle est, sur le plan des signifiés, « l’unité de pensée », sur le plan des signifiants,
« l’unité lexicologique », à quoi fait pendant, dans une parfaite symétrie, « l’unité de
traduction », ces trois termes étant considérés comme « équivalents ».
 Définition d’« unité de traduction » : c’est le plus petit segment de l’énoncé dont la
cohésion des signes est telle qu’ils ne doivent pas être traduits séparément.
 Grâce à ces unités, les auteurs croient réussir à résoudre les problèmes dérivés du fait
que chaque langue à sa propre vision du monde, son propre découpage de la réalité.
Toutefois, en dépit de ses avantages d’ordre pratique, une telle démarche entraîne deux
inconvénients majeurs :
1) le premier consiste à accorder trop de place aux aspects linguistiques de la
traduction, d’où la critique formulée par Edmond Cary, un des plus importants
traducteurs de la Bible : « La traduction littéraire n’est pas une opération
linguistique, c’est une opération littéraire ».
2) le second, c’est de ne pas tenir suffisamment compte de la notion des « unités
linguistiques » chez Saussure lui-même. On parlera alors d’une dimension
différentielle du langage : « Comme il n’y a aucune unité (de quelque ordre et
de quelque nature qu’on l’imagine) qui repose sur autre chose que des
différences, en réalité l’unité est toujours imaginaire, la différence seule
existe ».

77
Les opérations de la traduction

 La distinction entre « opération linguistique » et « opération littéraire » établie par


Edmond Cary est une donnée fondamentale. Néanmoins, elle ne saurait suffire,
notamment parce qu’elle passe sous silence les textes « pragmatiques », comme les
textes scientifiques, techniques, économiques, les textes des grandes organisations
internationales, les textes journalistiques, les documents officiels, les brochures
touristiques, les panneaux de signalisation multilingues dans les aéroports, etc., vaste
corpus qui a connu un développement spectaculaire et que la mondialisation ne fait
qu’amplifier. Dire qu’on ne traduit pas Flaubert comme un rapport de l’ONU ou d’autres
textes « non littéraires » est une évidence, mais qui ne devrait pas masquer la vue
d’ensemble : ce sont les mêmes opérations qui entrent en jeu. Seule la fonction diffère
selon la nature du texte à traduire.
 On a vu apparaître au XXe siècle des termes que « langue source » (LS) ou « langue de
départ » (LD) et « langue cible » (LC) ou « langue d’arrivée » (LA). Dans les ouvrages de
traductologie, on voit des schémas, parfois d’une grande complexité, qui dérivent en
réalité de la formule fondamentale :

LD LA

La flèche symbolise le transfert linguistique que constitue la traduction et que vient


confirmer l’étymologie (« traduire » = du lat. « trans-ducere », c’est-à-dire, « conduire
de l’autre côté »). Cette formule focalise aussi sur la question de la langue : d’un côté, les
« sourciers » ; de l’autre les « ciblistes ». Les uns privilégieraient le « texte source »,
les autres le « texte cible » (ou la « culture source » et la « culture cible »). Poussé à
l’extrême, le point de vue cibliste vise à la transparence absolue. Toute intrusion d’une
structure de la LD est perçue comme une maladresse, voire un manque de maîtrise de la
LA. Le philosophe Friedrich Schleiermacher (1813) affirmait que selon la nature du texte à
traduire, on se fera sourcier ou cibliste : « Ou bien le traducteur laisse l’écrivain le plus
tranquille et fait que l’écrivain aille à sa rencontre, ou bien il laisse le lecteur le plus
tranquille et fait que l’écrivain aille à sa rencontre ». En ce sens, c’est la notion de
mouvement qui importe, la traduction étant une opération de nature dynamique
(« energeia ») et non statique (« ergon »).

 La notion d’équivalence en traduction : le critique-traducteur,


spécialiste de la traduction de la Bible, Eugène E. Nida (Towards a
Science of Translating, 1964) distingue deux formes d’équivalence :
a) l’équivalence formelle, qui consiste à rendre mécaniquement la
forme de l’original ;
b) l’équivalence dynamique, qui transforme le « texte source » de
manière à produire le même effet dans la « langue cible ».
 Équivalence d’effet : c’est une notion centrale qui dépasse le
clivage entre « sourciers » et « ciblistes » : elle demande à être prise
en compte dans un cadre plus large, à commencer par ses implications
d’ordre linguistique.

78
Linguistique et traduction

 L’apport de la linguistique à la théorie de la traduction est considérable: il existe


plusieurs ouvrages consacrés à la théorie de la traduction et à son analyse / à sa
dimension linguistique. L'importance que revêt la traduction au regard de la linguistique
est primordiale, ainsi que le souligne Roman Jakobson: « L’équivalence dans la différence
est le problème cardinal du langage et le principal objet de la linguistique ».
 L’hégémonie de la linguistique est, pour certains, évidente. La traduction devient un
domaine relevant de la linguistique générale, selon ce simple raisonnement: la traduction
est affaire de langage; la linguistique traite du langage; donc la traduction est l'objet de la
linguistique.
 Contre les affirmations de Cary qui souhaitait une traduction essentiellement de
caractère « littéraire », J.-P. Vinay et J. Darbelnet affirment: « On lit trop souvent, même
sous la plume de traducteurs avertis, que la traduction est un art. Cette formule, pour
contenir une part de vérité, tend néanmoins à limiter arbitrairement la nature de notre
objet. En fait la traduction est une discipline exacte, possédant ses techniques et ses
problèmes particuliers ».
 C’est le linguiste Georges Mounin qui opère la synthèse des deux
points de vue dans Les Problèmes théoriques de la traduction (1963):
« On peut, si l’on y tient, dire que, comme la médecine, la traduction
reste un art – mais un art fondé sur une science ». La traduction est
alors une opération linguistique, mais également une opération
littéraire.
 Méthode d’analyse → inductive: la théorie seule ne suffit, il faut
partir des faits. On part des traductions effectuées par des traducteurs
professionnels, que l’on compare avec les originaux, afin d'étudier les
transformations effectuées. D’abord descriptive, la théorie de la traduction se fait alors
explicative.

Poétique de la traduction

 Contre une approche essentiellement linguistique à la traduction, d’autres critiques


pensent que la théorie de la traduction n’est pas une linguistique appliquée, mais un
champ nouveau dans la théorie et la pratique de la littérature. Son importance
épistémologique consiste dans sa contribution à une pratique théorique de l’homogénéité
entre signifiant et signifié propre à cette pratique sociale qu’est l’écriture.
 C’est l’écrivain-traducteur, Henri Meschonnic, qui, dans
Pour la Poétique II (1973), pose l’existence d’une poétique de
la traduction.
 Et toutefois, la vision dominante tend à considérer la
traduction sous l’angle de la « défectivité », c’est-à-dire,
tout texte traduit serait par nature imparfait. C’est Georges
Mounin qui, le premier, a synthétisé cette idée : « Tous les
arguments contre la traduction se résument en un seul : elle
n’est pas l’original ». Par conséquent, si par traduction, on
entend le passage de l’original sans aucune transformation
d’une langue à une autre, il faut conclure à l’impossibilité

79
même de traduire.
 À partir de cette problématique, Henri Meschonnic reprend la distinction entre
« sourciers » et « ciblistes » pour l’abolir. Pour lui, cette opposition est dénuée de sens:
« La traduction n’est pas définie comme transport du texte de départ dans la littérature
d’arrivée ou inversement transport du lecteur d’arrivée dans le texte de départ (double
mouvement, qui repose sur le dualisme du sens et de la forme, qui caractérise
empiriquement la plupart des traductions), mais comme travail dans la langue,
décentrement ». La traduction purement « sourcière », ou « littérale », aboutit au
calque. La traduction « cibliste » revient à « annexer » l’œuvre en laissant croire qu’elle
a été écrite dans la langue traductrice, créant ainsi l'illusion du « naturel », de la
« transparence » qui caractérise les traductions « élégantes ».

Traduction et reformulation

 Au schéma qui représente le passage de la langue de départ « LD » à la langue


d’arrivée « LA », on peut ajouter par conséquent celui du passage du « texte source »
(« TS ») au « texte cible » (« TC ») :

TS  TC

 Toutefois, si on parle de « textes », ce serait exclure arbitrairement la traduction orale.


On peut donc remplacer « texte » par « énoncé » :

ES  EC

 La traduction proprement dite ne peut se passer de la traduction intralinguale. Celle-ci


est présente tant du côté de l’ES que de l’EC. L’ES ne peut être compris que si l’on est en
mesure de le reformuler en « langue source » (« L1 ») :

L1 L1

 Une fois l’énoncé compris, on le reformule dans la langue traductrice (« L2 ») :

L1 L2

 Cette faculté de passer d’une langue à l’autre est, par définition, indispensable. Mais il
faut avoir également la capacité de disposer de plusieurs reformulations en langue cible
afin de dépasser le stade de la traduction mot à mot :

L2 L2

 La reformulation en « langue source » est davantage de l’ordre de la compréhension ;


la reformulation en « langue cible », davantage de l’ordre de l’expression. C’est pourquoi
on ne devrait en principe traduire qu’en direction de la langue qu’on maîtrise le mieux.
 Dans l’Encyclopédie de Diderot et D’Alembert, Beauzée écrivait ainsi : « Rien n’est plus
difficile […] et rien de plus rare qu’une excellente traduction, parce que rien n’est ni plus
difficile ni plus rare que de garder un juste milieu entre la licence du commentaire et la

80
servitude de la lettre. Un attachement trop scrupuleux à la lettre détruit l’esprit, et c’est
l’esprit qui donne la vie ; trop de liberté détruit les traits caractéristiques de l’original, on
en fait une copie infidèle ».

Traduction ou déformation ?

 La Stylistique comparée de J.-P. Vinay et J. Darbelnet souligne que, surtout dans les
contextes bilingues (voire, par exemple, le Canada), l’optique « cibliste » c’est celle qui
prévaut et qui s’impose d’elle-même. C’est la même optique qui prévaut, à juste titre,
dans un grand nombre de domaines, à commencer par les instruments indispensables
que sont les grands dictionnaires bilingues, car ils ne doivent pas se contenter des
traductions littérales. Ils constituent alors un vaste champ de traductologie « cibliste »
appliquée.
 Un autre domaine d’application majeur est celui des textes « pragmatiques » : Jean
Delisle affirme en effet qu’en « traduction informative, l’exigence esthétique cède le pas
aux contraintes de clarté, de rigueur d’expression et de respect des règles de rédaction ».
Cela ne veut pas dire qu’elle n’est pas absente, mais qu’elle doit être subordonnée à la
fonction communicative. Le traducteur de textes pragmatiques ne doit pas seulement
disposer d’une connaissance approfondie de la « langue source » : il doit de surcroît
avoir des aptitudes de rédacteur dans la « langue cible ».
 La traduction « cibliste » n’est donc qu’une modalité parmi d’autres du traduire. Elle
n’est pas adaptée à la traduction des textes qui, dans l’original, vont à la rencontre de
« l’idiomaticité » ou de l’élégance. Une traduction élégante aboutit alors à une
déformation systématique de l’original selon Antoine Berman. Il en dénombre 13
manifestations, dont la tendance :
3) à la « rationalisation » ;
4) à la « clarification » ;
5) à l’« allongement » ;
6) à l’« ennoblissement » ;
7) à l’« homogénéisation » ;
8) à la « destruction des rythmes » ;
9) à la « destruction des réseaux signifiants sous-jacents » ;
10) à la « destruction ou l’exotisation des réseaux langagiers vernaculaires » ;
11) à la « destruction des locutions » ;
12) etc…
 À notre époque, la notion de la primauté de l’original (apparue au XVIe siècle) et de la
prééminence de l’auteur (apparue avec les Romantiques) a généralement pour corollaire
la défectivité de toute traduction. La traduction, par définition, ne peut être l’original, pas
plus que le traducteur n’est habituellement l’auteur (à l’exception du cas où l’auteur est
bilingue et il procède, lui-même, à la traduction de son ouvrage).
 Toute traduction contient ainsi une part de transformation. Sophie Rabau affirme, à ce
propos, que « l’idée de reproduction absolue et littérale ne fait pas vraiment sens en
littérature […]. La traduction d’une langue à l’autre est bien une forme d’hypertextualité
car elle est par définition une imitation, la plus fidèle possible mais qui suppose
évidemment une transformation ».

81
La traduction au service des langues

 Dans la Déclaration Universelle de l’Unesco sur la diversité culturelle, adoptée en


novembre 2001 à Paris, l’article 6 stipule : « […] La liberté d’expression, le pluralisme
des médias, le multilinguisme, l’égalité d’accès aux expressions artistiques, au savoir
scientifique et technologique – y compris sous la forme numérique – et la possibilité,
pour toutes les cultures, d’être présentes dans les moyens d’expression et de diffusion,
sont les garants de la diversité culturelle ».
 Dans L’autre mondialisation (2003), Dominique Wolton se fait
l’apôtre d’une véritable « cohabitation culturelle » qui exige
d’« assumer la diversité des langues » : « La pluralité des langues
est la première condition de la diversité culturelle, qui est la
première réalité politique du monde contemporain ». Promouvoir
l’hégémonie de l’anglais au détriment des autres langues est un non-
sens : c’est la raison pour laquelle l’Unesco encourage la diversité
linguistique – dans le respect de la langue maternelle – à tous les
niveaux de l’éducation et stimule l’apprentissage du plurilinguisme
dès le plus jeune âge.
 Le philosophe Paul Ricœur en situe bien la portée : « Traduire, c’est à la fois habiter
dans la langue de l’étranger et donner hospitalité à cet étranger au cœur de sa propre
langue ».
 De plus, Dominique Wolton soutient que « une langue n’est pas seulement un
ensemble de mots, c’est aussi et surtout une manière de penser, de rêver, d’imaginer, de
voir le monde. On ne fait pas les mêmes associations d’idées, les mêmes constructions
mentales, les mêmes raisonnements d’une langue à l’autre ».
 La traduction est donc au service des langues et contribue à l’affirmation d’une idée
différente de mondialisation, au moment où elle cherche à promouvoir la diversité
linguistique et culturelle contre tout mécanisme de massification et uniformité du savoir
et de la culture.

Bibliographie sélective

BARTHES Roland, Essais critiques, Paris, Le Seuil, 1964.


BERMAN Antoine, L’Épreuve de l’étranger. Culture et traduction dans l’Allemagne
romantique, Paris, Gallimard, 1984.
BERMAN Antoine, Pour une critique des traductions : John Donne, Paris, Gallimard,
1995.
CARY Edmond, Comment faut-il traduire ? (1958), Lille, PUL, 1985.
CARY Edmond, Les Grands traducteurs français, Genèves, Georg, 1963.
CATFORD John, A Linguistic Theory of Translation : An Essay in Applied Linguistics,
London, Oxford University Press, 1965.
DELISLE Jean, L’Analyse du discours comme méthode de traduction, Ottawa, Éditions
de l’Université d’Ottawa, 1984.
ECO Umberto, Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione, Milano, Bompiani,
2003.
82
GENETTE Gérard, Palimpsestes. La littérature au second degré, Paris, Le Seuil, 1982.
GUIDERE Mathieu, Introduction à la traductologie, Bruxelles, De Boeck, 2008.
HAGEGE Claude, Halte à la mort des langues, Paris, Odile Jacob, 2002.
HUMBOLDT Wilhelm von, Sur le caractère national des langues et autres écrits, trad.
éd. Denis Thouard, Paris, Le Seuil, 2000.
JAKOBSON Roman, « Aspects linguistiques de la traduction », in Essais de
linguistique générale, trad. N. Ruwet, Paris, Éds de Minuit, 1963, p. 78-86.
KERBRAT-ORECCHIONI Cathérine, L’énonciation (1980), Paris, Armand Colin, 2002.
KLINKENBERG Jean-Marie, Précis de sémiotique générale, Bruxelles, De Boeck, 1996.
LADMIRAL Jean-René, Traduire : théorèmes pour la traduction (1979), Paris,
Gallimard, 1994.
MESCHONNIC Henri, Poétique du traduire, Lagrasse, Verdier, 1999.
MESCHONNIC Henri, Pour la poétique II. Épistémologie de l’écriture poétique de la
traduction, Paris, Gallimard, 1973.
MOUNIN Georges, Les Problèmes théoriques de la traduction, Paris, Gallimard, 1963.
NIDA Eugene E., Toward a Science of Translating, Leyde, Brill, 1964.
OSEKI-DEPRE Inês, Théories et pratiques de la traduction littéraire, Paris, Armand
Colin, 1999.
OUSTINOFF Michel, La Traduction, Paris, PUF, coll. « Que sais-je ? », 2007.
RABAU Sophie, L’Intertextualité, Paris, Flammarion, 2002.
SAUSSURE Ferdinand de, Écrits de linguistique générale, éd. S. Bouquet, R. Engler,
Paris, Gallimard, 2002.
VINAY Jean-Paul, DARBELNET Jean, Stylistique comparée du français et de l’anglais
(1958), Paris, Didier, 1977.
WHORF Benjamin Lee, Language, Thought and Reality, Cambridge (Mass.), The MIT
Press, 1956.
WOLTON Dominique, L’Autre mondialisation, Paris, Flammarion, 2003.

83
Chapitre II : L’article de presse. Le comprendre pour bien le
traduire

Rédigé par un journaliste, un article peut prendre plusieurs formes en fonction de son
contenu et de la rubrique à laquelle il est destiné (politique, économie, étranger, société,
culture, sports, etc.). On distingue généralement :
 L’éditorial, qui présente la position de la rédaction sur un thème d’actualité (ou qui
met en valeur un dossier publié dans le journal). Originellement cantonné aux
premières pages des journaux de presse écrite, l’éditorial se retrouve aussi dans
des émissions de radio et de télévision, sur des sites web d’information et sur des
supports multimédias. Il est généralement signé par le rédacteur en chef du
journal mais peut aussi être confié à un représentant privilégié de la rédaction,
appelé éditorialiste. Pour les publications qui font preuve d’objectivité ou de
neutralité dans leurs articles, l’éditorial constitue un espace de liberté où s’exprime
un certain point de vue. Il ne faut cependant pas confondre l’éditorial avec les
billets et les articles dits « de commentaire » ou « d’humeur », destinés à faire
connaître les positions personnelles de son auteur, qu’il soit rédacteur en chef,
grand reporter ou chroniqueur. Ainsi, dans un éditorial, l’auteur s’exprime
rarement à la première personne alors qu’il peut le faire dans un texte d’humeur
ou d’opinion.
 Le reportage, dans lequel le journaliste rend compte d’un événement particulier en
se rendant sur place.
 L’interview, qui présente les réponses d’une personnalité (politique, artistique,
sportive ou autre) aux questions du journaliste.
 le portrait, qui dépeint une personnalité de l’actualité.
 L’enquête, qui s’appuie sur des recherches, des témoignages et des analyses pour
rendre compte d’un phénomène ou d’un événement.
 La critique, qui exprime le point de vue du journaliste sur une œuvre littéraire, un
film ou un spectacle.
 La chronique, qui expose régulièrement diverses informations liées à un domaine
particulier (gastronomie, cinéma, voyages, etc.).
 L’analyse, dans laquelle une information d’ordre économique ou politique est
expliquée et mise en perspective.
 Le billet d’humeur, dans lequel un rédacteur donne libre cours à ses impressions
sur un événement qui lui tient à cœur.
 La brève et l’entrefilet, qui rendent compte succinctement d’une information. En
presse écrite, la brève est, comme son nom l’indique, un texte court (dix lignes
maximum). Elle livre en trois ou quatre phrases une information très concise, sans
titre. La brève doit répondre aux 5W et à la question « comment ? ». Les 5W sont
les questions auxquelles répondent les journalistes dans la plupart de leurs
articles. Il s’agit des questions qui ?, quoi ?, où ?, quand ? et pourquoi ? (en anglais :
who ?, what ?, where ?, when ? et why ?). Les brèves fournissent de l’information
sur l’actualité. Elles couvrent toute une gamme de sujets, des faits divers à
l’actualité internationale. Dans les médias écrits, les brèves sont généralement
regroupées dans une colonne pour former un bloc.

84
Rédigée non pas par un journaliste, mais par une personne qui n’appartient pas à
l’équipe de rédaction, on trouve la tribune libre, article qui reproduit l’opinion d’un
lecteur sur un fait d’actualité ou un article publié par le journal. Une tribune libre désigne,
dans la presse écrite, un article d’opinion publié dans une rubrique ouverte au public. Par
extension, la tribune libre désigne aussi la rubrique ouverte au public dans un autre
média (télévision, radio, internet, etc.). Ce mode de publication permet à une personne
qui n’appartient pas à l’équipe de rédaction d’exprimer publiquement ses idées. Dans la
presse écrite, il s’agit d’un article d’opinion, de commentaire ou de réactions qui permet,
dans la mesure du respect des autres et du bon sens, d’aborder des thèmes très divers.

Style
La rédaction d’un article répond à un certain nombre de règles :
 Le titre et si possible l’introduction doivent présenter brièvement l’information.
 Le contenu doit répondre aux questions qui, quoi, où, quand, comment, pourquoi ?
(QQOQCP).
 L’essentiel de l’information doit apparaître dès le début du texte.
 Le style doit privilégier les phrases courtes et éviter le jargon ou, à défaut,
l’expliquer.
 La longueur demandée (ou calibrage) doit être respectée.
 La présentation doit renforcer la lisibilité du texte, notamment grâce au sous-titre
(ou chapeau), aux intertitres et aux légendes des photos.

Structure
La majorité des articles se composent de trois grandes parties :
 L’attaque, qui est la première phrase du texte, et qui doit inciter le lecteur à lire la
suite de l’article. Elle se compose souvent d’une phrase sans verbe, d’une
description imagée ou d’une citation.
 Le corps de l’article, qui est constitué de la plus grande partie du texte. Selon sa
longueur, il peut être séparé par des intertitres.
 La chute, qui est la dernière phrase de l’article, sert à marquer la fin du texte. Elle
prend souvent la forme d’une question, d’une comparaison ou d’une phrase-clé
reprise du corps de l’article. À la différence d’une conclusion, elle doit être brève et
frappante.
En plus du titre et du corps du texte, un article peut être complété par d’autres éléments :
 Le sous-titre (ou « chapeau »), qui précède l’article proprement dit. Il sert à
résumer l’information et à inciter le lecteur à s’intéresser à l’article. Il est souvent
présenté en caractères gras ou en italiques. Le chapeau (souvent écrit « chapô »
dans le milieu de la presse) est un texte généralement court, précédant le corps
d’un article de presse, et dont le but est d’en encourager la lecture, par exemple, en
résumant le propos qui va être développé. Placé a priori au-dessus de l’article, sa
justification (sa largeur) « coiffe » généralement les différentes colonnes utilisées
pour le contenu de l’article (d’où le terme « chapeau »). Pour les journalistes, le
chapeau constitue avec la titraille et une éventuelle illustration les éléments
essentiels de l’accroche, censée donner envie au lecteur de lire l’article. En presse
écrite, une accroche bien constituée donne au lecteur une information immédiate
quant au contenu de l’article. Elle est déterminante dans le choix du lecteur
d’aborder ou non une lecture approfondie de l’article. Si le sujet de l’article le
85
permet et que le lignage est suffisamment important, l’article est précédé d’un
chapeau qui vise dans l’idéal à répondre aux cinq questions. Dans un journal
quotidien, où la typographie est la plus sobre possible, le chapeau est
généralement donné en gras. Les autres périodiques peuvent adopter une plus
grande fantaisie, notamment avec l’utilisation de fontes différentes, d’une lettrine,
le jeu avec les diverses règles typographiques, voire en insérant un élément
graphique ou une photo détourée (image dont on dégage tout ce qui peut distraire
l’œil du sujet que l’on veut souligner, ou pour laquelle une forme arrondie est
choisie), ou encore une photo dont les bords se fondent plus ou moins avec le
texte. Les éditions en ligne répondent globalement aux mêmes impératifs
typographiques et recourent également au chapeau. Le chapeau existe en version
sonore : en radio et en télévision, les sujets importants ou ceux que la rédaction
veut particulièrement souligner pour diverses raisons éditoriales, sont « lancés »
par une accroche, dont la forme est différente en apparence, mais dont le but et le
principe sont les mêmes.
 L’encadré, qui est une forme d’article destiné à apporter un éclairage sur un des
aspects dont traite l’article principal. Un article consacré à un sportif peut, par
exemple, être accompagné d’un encadré sur la carrière de ce sportif. Un article sur
l’adoption d’une loi par les députés peut s’accompagner d’un encadré qui retracera
l’histoire de cette loi.

FICHE METHODE : Comment analyser un article de presse ?

Le plus souvent, un article de journal a un caractère informatif mais il peut être


également analytique ou argumentatif.

Pour analyser un article, il convient de suivre les étapes suivantes :

I. Repérer le titre du journal.

Parmi les titres nombreux, distinguez :


a. les journaux nationaux : L’Humanité, Libération, Le Monde, Le Figaro, La
Croix, Aujourd’hui en France ;
b. les journaux régionaux : Le Parisien, Ouest-France, La Nouvelle République
du Centre… ;
c. les journaux hebdomadaires : Le Canard Enchaîné, Les Echos ou encore
Charlie Hebdo ;
Respectez la graphie de ces journaux (majuscules, articles…) : ce sont des marques
déposées.

II. Distinguer journal (papier journal) / magazine (papier glacé, photos


nombreuses) / revue spécialisée (ne traitant qu’un thème : voiture, sport,
jardinage ou sciences humaines…).

III. Définir la périodicité du journal (la fréquence de parution du support) ; de


nombreuses variantes existent mais il faut connaître les trois principales :
86
a. quotidien : parution chaque jour ;
b. hebdomadaire : parution chaque semaine, un jour prédéfini et normalement
fixe ;
c. mensuel : parution une fois par mois.
On peut la déduire grâce aux dates données en bas du document : un jour fixe
= quotidien, une semaine (du 3 au 10 octobre) = un hebdomadaire ou encore
un mois (octobre 2013) = un mensuel.

IV. Préciser la date de l’article pour situer celui-ci dans un contexte :


Parler de cyclisme en juillet 2013 doit vous évoquer les problèmes de dopage…

V. Repérer, si possible, les noms des journalistes :


Pour pouvoir les citer, mais aussi parce que certains sont de grandes plumes ou des
plumes célèbres des journaux : Jérôme Canard pour le Canard Enchaîné, Florence
Aubenas pour Libération, etc.

VI. Distinguer les éléments qui composent l’article.

VII. Cas particulier : la Une d’un journal.

VIII. Entourer les liens logiques pour déterminer les grandes lignes de la structure.

IX. Distinguer idées / exemples.

X. Souligner pour chaque paragraphe l’idée clé développée et la résumer sous


forme d’une courte phrase nominale.

87
Voici un exemple de la structure d’un article de presse

88
 Texte 1

Nos ancêtres les Martiens ?


Le Point.fr - Publié le 29/08/2013

La vie sur Terre serait née grâce à un métal provenant tout droit de Mars, livré
directement sur notre planète par une météorite, selon une nouvelle théorie.

Si la vie est née sur Terre, c’est grâce à du métal provenant tout droit de Mars, livré
directement sur notre planète par une météorite, selon une nouvelle théorie présentée
jeudi par un chercheur. Cet ingrédient vital s’est présenté à nous sous une forme oxydée
de molybdène, un métal utilisé de nos jours dans des alliages pour les outils de bricolage
ou les couronnes dentaires.
Mais à l’époque reculée où la vie est apparue sur Terre, ce molybdène oxydé a servi
à empêcher les molécules de carbone – briques élémentaires de toute forme de vie – de se
dégrader et de finir en goudron, estime Steven Brenner, enseignant à l’Institut
Westheimer pour la science et la technologie à Gainesville (États-Unis). « C’est seulement
lorsque le molybdène est très fortement oxydé qu’il devient capable d’influencer la
formation d’une vie primitive », précise-t-il dans un communiqué [...]. « Cette forme de
molybdène ne pouvait pas être présente sur Terre à l’époque où les premiers éléments de
la vie sont apparus, parce qu’il y a trois milliards d’années, la surface de la Terre ne
contenait que très peu d’oxygène, contrairement à Mars », explique-t-il.

« Nous sommes tous des Martiens »

À l’époque, le système solaire était particulièrement agité et la Terre était sans


cesse bombardée par des comètes et astéroïdes. Notre voisine Mars également, ce qui
explique comment des débris martiens ont pu se retrouver projetés dans l’espace pour
finir leur course sur notre planète, piégés par son champ de gravité. [...]
« Il semble qu’on accumule les preuves selon lesquelles nous sommes en réalité
tous des Martiens et que la vie a débuté sur Mars avant de venir sur Terre à bord d’un
rocher », résume Steven Brenner. « C’est un coup de chance, car la Terre est de loin la
meilleure des deux planètes pour héberger de la vie. Si nos hypothétiques ancêtres
martiens étaient restés sur Mars, on ne serait peut-être pas là pour en parler », conclut le
chercheur.
D’autres théories expliquent l’apparition de la vie sur Terre par de l’eau apportée
sur la planète bleue par des comètes, composées de glace et de poussières cosmiques
héritées de la formation du système solaire. Une autre hypothèse, baptisée
« panspermie », suggère que des bactéries embarquées comme passagers clandestins
sur des astéroïdes aient fini par s’écraser sur Terre pour y proliférer dans ses océans
chauds et accueillants.

 Activités

1. Dans quelle rubrique peut-on trouver cet article ?


 Médicine.
89
 Technologie.
 Science.

2. Comment s’appelle, en jargon journalistique, le petit paragraphe en italique ?


 Attaque.
 Chapeau.
 Corps de l’article.

3. Et la partie en gras (« Nous sommes tous des Martiens ») ?


 Titre.
 Sous-titre.
 Intertitre.

4. Complétez le schéma de Jakobson :

Emetteur

Message

Destinataire

Code

Canal

Contexte

5. Intertextualité. Le titre « Nos ancêtres les Martiens » renvoie à l’expression « Nos


ancêtres les Gaulois », utilisée aux XIXe et XXe siècles pour évoquer la Gaule
indépendante d’il y a vingt siècles. Elle sous-tendait notamment le récit de
l’histoire de France dans les manuels scolaires de la troisième république.
On la trouve aussi dans la chanson d’Henri Salvador, Faut rigoler (1960), dont le
texte est du poète et écrivain, Boris Vian. Retrouvez la vidéo et les paroles de la
chanson sur : http://www.jukebox.fr/henri-salvador/clip,faut-rigoler,vm38f.html

Structures de la langue

1. Les mots « planète » et « météorite » appartiennent à quel genre ?


_________________________________________________________________________________

2. Faites une liste du lexique de spécialité qu’on retrouve dans le texte et dites
ensuite à quel(s) domaine(s) il appartient.
_________________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________________

90
3. Quel est l’infinitif du participe passé féminin « née » ?
 Néer.
 Naître.
 Naîtrir.

4. Remplissez le tableau suivant :

Singulier Pluriel
Masculin
______________ manteau ___________________ livres
______________ imperméable ___________________ hôtels.
Féminin
nouvelle théorie ___________________ opinions

5. Choisissez le synonyme correct de « selon » :


 Après.
 D’après.
 Avant.

6. Quel est l’infinitif du participe passé féminin « apparue » ?


 Apparaître.
 Apparir.
 Apparer.

7. A quelle planète se réfère l’expression « la planète bleue » ?


 La terre.
 Mars.

8. Le morceau de phrase « des bactéries embarquées comme passagers clandestins


sur des astéroïdes » est un exemple de quelle figure de rhétorique ?
 Comparaison.
 Métonymie.
 Métaphore.

9. Et maintenant, à vous de traduire le texte.

91
 Texte 2

Découverte d’une planète en diamant

Le Monde.fr avec AFP | 11.10.2012

Une équipe franco-américaine d’astronomes a découvert une planète deux fois plus
grande que la Terre et composée en grande partie de diamant. La planète, que les
scientifiques ont baptisée « 55 Cancri e », est en orbite autour d’une étoile visible à
l’œil nu, située à environ 40 années-lumière de la Terre, dans la constellation du
Cancer.

Le rayon de cette planète est deux fois supérieur à celui de la nôtre et sa masse est huit
fois plus grande. La température y est très élevée, pouvant atteindre 1 648 °C à la surface.
Cancri tourne si rapidement autour de son étoile qu’une révolution ne dure pas plus de
dix-huit heures, quand il faut un an à la Terre pour faire le tour du Soleil.

GRAPHITE ET DIAMANT

« La surface de cette planète est probablement couverte de graphite et de diamant plutôt


que d’eau et de granit », explique Nikku Madhusudhan, un chercheur de l’université Yale,
à New Haven, dont les travaux vont prochainement paraître dans la revue Astrophysical
Journal Letters. « Ceci est notre premier aperçu d’une exoplanète rocheuse avec une
composition chimique radicalement différente de celle de la Terre », ajoute-t-il dans un
communiqué.
Dans cette étude, faite en collaboration avec le Français Olivier Mousis, de l’Institut de
recherche en astrophysique et planétologie de Toulouse, les chercheurs estiment qu’au
moins un tiers de la masse de la planète serait constitué de diamant, soit environ trois
fois la masse terrestre.
Cette planète a été initialement observée en 2011 quand elle passait devant son étoile,
permettant aux astronomes de mesurer son rayon pour la première fois. Des planètes
diamant ont déjà été repérées dans le passé, mais c’est la première fois que l’une d’entre
elles a été examinée en orbite autour d’une étoile et étudiée de façon aussi détaillée.

 Activités

1. Dans quelle rubrique peut-on trouver cet article ?


 Médicine.
 Technologie.
 Science.

2. Comment s’appelle, dans le jargon journalistique, le paragraphe en gras ?


 Attaque.
 Chapeau.
 Corps de l’article.

92
3. Quelle est la source des informations présentées ? _________________________________

4. Remplissez le tableau ci-dessous en répondant aux 5W :

Qui ?

Quoi ?

Où ?

Quand ?

Comment ?

Pourquoi ?

Structures de la langue

5. Quel complément est exprimé par la préposition « en » dans « découverte d’une


planète en diamant » ?
 de matière.
 de cause.
 de manière.

6. « découvert » est le participe passé du verbe :


 Découvrir.
 Découver.
 Découvertir.

7. Dans le texte, on parle de la « Constellation du Cancer ». Quels sont les autres


signes du zodiaque ? Choisissez les formes correctes.
  Bélier ;  Arête.
  Taureau ;  Toro.
  Jumeaux ;  Gémeaux.
 Cancer ;
  Lion ;  Léon.
  Verger ;  Vierge.
  Balancé ;  Balance.
 Scorpion ;  Scorpio.
  Sagittaire ;  Sagitaire.
  Capercorne ;  Capricorne.
  Aquarium ;  Verseau.
  Poisons ;  Poissons.

93
8. Quel est le féminin de l’adjectif « supérieur » ?
 Supérieuse.
 Supérieure.

9. Quelle est la fonction grammaticale de « la nôtre » :


 Adjectif possessif.
 Pronom possessif.

10. Quelle forme verbale trouve-t-on dans l’expression « les travaux vont prochainement
paraître » ?
 Passé récent.
 Présent continu.
 Futur proche.

11. Quel est le masculin de l’adjectif « rocheuse » ?


 Rocheur.
 Rocheux.

12. Dans cet article, on trouve deux mots de genre féminin qu’en italien sont au masculin.
Lesquels ?
a) __________________________________
b) __________________________________

13. Et maintenant, à vous de traduire le texte.

94
 Texte 3

Écoles : vers la fin de la collation de 10 heures ?


Le Point.fr - Publié le 11/09/2013

L'en-cas de 10 heures n'est pas « une bonne pratique nutritionnelle » chez les plus jeunes,
selon l'agence régionale de santé en Alsace.

Accusé de favoriser grignotage et obésité, la collation de 10 heures à l'école est


dans le collimateur des professionnels de santé. C'est le cas notamment en Alsace,
première région touchée par l'obésité infantile, où ils ont proposé de supprimer cette
tradition encore très populaire héritée de l'après-guerre. « Il convient d'éviter toute prise
alimentaire entre les repas et donc de supprimer le goûter de milieu de matinée » dans
les écoles maternelles, indique l'académie de Strasbourg dans une circulaire distribuée
aux établissements avant la rentrée de septembre. [...] « La collation matinale apprend
aux enfants à manger sans faim et au-delà de leurs besoins nutritionnels : c'est le début
du grignotage et de la déstructuration du rythme de prises des repas à un âge où se
forgent les habitudes alimentaires », selon le médecin de l'ARS-Alsace, Patrice Ferré.
« Aucune prise alimentaire en milieu de matinée ne se justifie à l'école élémentaire »,
poursuit la circulaire, précisant que « la vente de viennoiseries organisée dans le but de
financer des projets de voyages scolaires ou autre manifestation » ne doit pas être
encouragée dans les collèges et les lycées. [...] Une étude de la Direction de la recherche
des études, de l'évaluation et des statistiques (Drees) de 2006 fait état de 15,3 % d'enfants
de 5 à 6 ans souffrant d'obésité ou de surpoids, contre une moyenne nationale de 12 %.
« La collation du matin est une habitude qui s'est ancrée en France dans les années 1950,
pour pallier les carences caloriques et calciques des enfants dans l'après-guerre »,
rappelle Patrice Ferré.

Inquiétudes sur la relation mère-enfant

En 1954, Pierre Mendès-France avait lancé la distribution d'un verre de lait à 10


heures dans les écoles françaises. « Mais aujourd'hui le niveau de santé général des
enfants s'est nettement amélioré et les jeunes Français ne souffrent plus de carences »,
souligne-t-il. Selon les spécialistes, la collation de 10 heures représente aujourd'hui un
excès d'environ 14 % des apports journaliers recommandés (AJR). « Mais l'idée de
supprimer le goûter du matin provoque de fortes réactions chez certains parents car ils
se sentent dépossédés de l'éducation de leur enfant », reconnaît Fabienne Grappe,
infirmière-conseillère technique à l'Éducation nationale. Selon elle, l'alimentation est un
vecteur « affectif, voire intime ».
« En mettant un goûter dans la poche de son enfant, un parent transmet de
l'affect : c'est une façon de dire à son enfant qu'il pensera à lui et d'être sûr qu'en retour
ce dernier pensera à ses parents lorsqu'il mangera son goûter », résume-t-elle. « On
touche ici à la relation mère-enfant et cela provoque des réactions épidermiques », juge
Fabienne Grappe, qui voit là une des raisons pour lesquelles il est difficile de modifier les
comportements. [...]

95
 Activités

1. Dans quelle rubrique peut-on trouver cet article ?


 Santé.
 Technologie.
 Économie.

2. Complétez le schéma de Jakobson :

Emetteur

Message

Destinataire

Code

Canal

Contexte

Structures de la langue

1. Les repas de la journée. Associez chaque repas à sa définition 10.

1. Collation a. Repas léger tenu prêt à toute heure.


2. Petit-déjeuner11 b. Repas du milieu du jour.
3. En-cas c. Léger repas que l'on fait entre le
déjeuner et le dîner.
4. Dîner d. Repas du matin, le premier de la
journée.
5. Déjeuner e. Repas léger, pris le plus souvent au
cours de l'après-midi ou de la soirée.
6. Goûter f. Repas du soir.

1 : ____ / 2 : ____ / 3 : ____ / 4 : ____ / 5 : ____ / 6 : ____


2. Les repas de la journée. Associez chaque repas à son heure.

1. Petit-déjeuner.

a)
2. Goûter.

b)

10
Les définitions sont tirées du Grand Robert de la langue française, édition en ligne.
11
On peut écrire aussi : « petit déjeuner ».
96
3. Déjeuner.

c)

1 : ____ / 2 : ____ / 3 : ____

3. Le « grignotage », c’est quoi ?


 Le fait de manger très peu, toute la journée et sans faire de véritable repas.
 Le fait de manger seulement quelques aliments, spécialement des
viennoiseries.

4.
a) L’expression « être dans le collimateur » veut dire :
 Être le sujet de discussion le plus important.
 Être surveillé très étroitement.

b) Dans son acception courante, le terme « collimateur » indique un « dispositif


de visée au moyen duquel on ajuste le tir des armes de bord, sur un avion de
chasse ». Il appartient donc à quel domaine ?
 Chasse.
 Science.
 Aviation.

5. Choisissez l’infinitif correct du verbe « s’appuie » (3e personne du sing., prés.


ind.) :
 S’appuyer.
 S’appuier.
 S’appuir.

6. Chasse à l’intrus. Cherchez l’aliment qui ne fait pas partie de la catégorie


« viennoiseries » : croissant / pain au chocolat / chausson aux pommes /
quiche lorraine / pain aux raisins12.

7. Indiquez le synonyme correct de « environ » :


 A peu près.
 Près de.
 Peu de.

12
Le pain aux raisins est appelé aussi « escargot » lorsqu’il est en spirale.
97
 Texte 4

Sondage : la chute vertigineuse de François Hollande

Le Point.fr- Publié le 15/10/2012

Le président atteint « des profondeurs » que son prédécesseur avait mis un an à


atteindre.

La cote de confiance de François Hollande et de Jean-Marc Ayrault a continué de baisser


depuis un mois, le jugement de l’opinion étant particulièrement sévère à l’égard du chef
de l’État, selon deux études publiées lundi par les instituts de sondage. De la mi-
septembre à la mi-octobre, la cote de confiance de François Hollande a reculé de neuf
points et celle de Jean-Marc Ayrault de cinq, d’après l’enquête de Le Nouvel Observateur.
Seules 40 % des personnes interrogées ont « une opinion positive » de François Hollande
(49 % à la mi-septembre), tandis que 52 % en ont « une opinion négative » (43 % à la mi-
septembre), dont 21 % « très négative ». 8 % ne se prononcent pas. C’est la première fois
dans un sondage de cet institut que les avis défavorables concernant le chef de l’État
l’emportent sur les avis favorables, en l’occurrence de 12 points.

Fort mécontentement des cadres

Selon une autre étude de L’Express et France Inter, 53 % des personnes interrogées ont
« une mauvaise » opinion du président François Hollande, qui perd deux points et 49 %
de Jean-Marc Ayrault, qui en cède trois. Seules 44 % des personnes interrogées ont « une
bonne opinion » de François Hollande (46 % à la mi-septembre), tandis que 55 % en ont
« une mauvaise opinion » (53 % à la mi-septembre), dont 23 % « très mauvaise ». 1 % ne
se prononcent pas.
Le solde négatif s’accroît donc pour le chef de l’État, atteignant « des profondeurs » que
Nicolas Sarkozy « avait mis près d’un an (février 2008) à atteindre ». Phénomène
nouveau, « un très fort mécontentement » s’observe désormais chez les cadres (56 %
d’entre eux) et les ouvriers (57 %) à l’égard du président de la République. Selon l’institut
LH213, François Hollande régresse fortement dans toutes les tranches d’âge, sauf auprès
des 50-64 ans (- 2 points), et notamment auprès des 65 ans et plus (- 14). Par grandes
catégories socioprofessionnelles, la chute est spectaculaire auprès des professions
intermédiaires (- 15).

Une politique jugée inefficace

D’autre part, dans l’enquête de BVA 14 , Jean-Marc Ayrault fait l’objet de jugements
majoritairement négatifs pour la première fois depuis sa prise de fonctions. Alors que
septembre montrait un équilibre (49 % de bonnes opinions et autant de mauvaises), le
Premier ministre recueille en octobre 46 % de « bonnes opinions », mais 52 % de
« mauvaises » (+ 3 points, dont 18 % de « très mauvaises »). 2 % sont sans avis.

13
LH2 est un institut de sondages d’opinion et d’études de marché français anciennement connu
sous le nom de Louis Harris avant 2005.
14
BVA, c’est un Institut d’Études de marché et d’opinion.
98
Néanmoins, selon l’étude de LH2, le solde demeure légèrement positif pour le Premier
ministre, 45 % des sondés (50 % à la mi-septembre) ayant de lui « une opinion positive »
et 43 % « une opinion négative » (35 % à la mi-septembre). 12 % n’ont pas d’opinion. Ces
évolutions à la baisse sont le corollaire d’un jugement globalement négatif sur l’action de
l’exécutif, pourtant centrée sur « le redressement dans la justice ».
Une proportion très élevée (69 %) trouve que la politique suivie n’est pas « efficace » (+ 2
points en un mois), la part de ceux jugeant qu’elle n’est « pas du tout efficace »
atteignant même 34 %. Ils sont même 56 % (+ 3 points par rapport à septembre) à penser
que la politique gouvernementale n’est pas juste (dont 22 % « pas juste du tout »).
Conséquence, seules 27 % des personnes interrogées estiment que l’UMP15 ferait « moins
bien » si elle était au pouvoir. 36 % pensent qu’elle ferait mieux, autant qu’elle ne ferait
« ni mieux, ni moins bien ».

 Activités

1. Dans quelle rubrique peut-on trouver cet article ?


 Politique.
 Économie.
 Culture.

2. De quel type d’article s’agit-il ?


 D’un article d’opinion.
 D’un sondage.
 D’une interview.

3. Quelle est la source des informations présentées ? _________________________________

4. Remplissez le tableau ci-dessous en répondant aux 5W :

Qui ?

Quoi ?

Où ?

Quand ?

Comment ?

Pourquoi ?

15
Union pour un Mouvement Populaire. C’est le parti de Nicolas Sarkozy.
99
Structures de la langue

1. Quel est l’infinitif du verbe « atteint » ?


 Atteindre.
 Attendre.

2. Quel est l’infinitif du participe passé « mis » ? ____________________________________

3. Quelle est la transcription phonétique correcte du terme « cote » ?


 [kɔt]
 [kote]

4. Relevez, à l’aide d’un dictionnaire, la signification des termes ci-dessous et leur


traduction en italien :
 Cote :

 Côte :

 Côté :

5. Choisissez le synonyme correct de la locution « à l’égard de » :


 Pour.
 Envers.
 Vers.

6. Cherchez dans l’article un synonyme de « reculer » : ______________________________

7. Et maintenant à vous de traduire le texte.

100
 Texte 5

Smartphone : Apple lorgne vers le low cost


Le Point.fr - Publié le 08/09/2013

Apple devrait rompre avec sa stratégie de haut de gamme et partir à la conquête des
marchés émergents avec un iPhone à bas prix dévoilé mardi 10 septembre.

Le géant informatique américain Apple devrait dévoiler mardi de nouveaux


modèles de son iPhone, et plus particulièrement une version moins chère qui pourrait lui
permettre de toucher de nouveaux marchés. Lors d'un événement très attendu mardi à
son siège de la Silicon Valley, les analystes prévoient qu'Apple lève le voile sur un modèle
d'iPhone à bas prix qui a été surnommé « le 5C » car « il serait proposé en de
nombreuses couleurs, comme le baladeur iPod Touch ». Pour les analystes, le 5C est
important pour gagner des clients en Chine et pour les marchés émergents, où la
concurrence des modèles moins chers fonctionnant avec le système opérationnel Android
de Google a été particulièrement intense.
Apple a également invité la presse à un événement à Pékin, où les experts pensent
que le groupe devrait dévoiler un partenariat avec le premier opérateur chinois de
téléphonie mobile, China Mobile, qui dispose d'un énorme réseau de 700 millions
d'abonnés à travers le pays.

_________________________ ???? (activité 3)

La stratégie d'Apple sur l'iPhone a historiquement été focalisée sur les produits
haut de gamme à prix élevés, et le groupe s'est donc retrouvé « incapable d'offrir des
produits adaptés » à environ 60 % du public potentiel des smartphones, ce qui devrait
changer grâce au 5C [...]. Le marché des smartphones est maintenant dominé par les
appareils sous système Android, qui représentent environ les trois quarts du marché [...].
Charles Golvin, analyste du cabinet spécialisé Forrester, veut toutefois croire
qu'Apple n'a pas perdu sa capacité d'innovation comme le disent de nombreux analystes,
dont Trip Chowdhy de Global Equities Research. « Il y a un flux presque constant de
critiques, mais il est plus prononcé vers Apple » que vers les autres fabricants
informatiques, car « le groupe a lancé des produits qui ont vraiment changé la façon
dont les gens vivent », note M. Golvin. [...]

 Activités

1. Dans quelle rubrique peut-on trouver cet article ?


 Santé.
 Technologie.
 Économie.

2. Quelle est la source des informations présentées ? _______________________________

101
3. Après la lecture de la deuxième partie de l’article, trouvez l’intertitre correct parmi
les suivants :
 Apple est-il toujours innovant ?
 L’inefficacité des stratégies d’Apple.
 Apple est critiqué pour ses prix élevés.

Structures de la langue

1. Retrouvez dans le texte :


a) Le synonyme de l’expression « low cost » : ________________________________
b) Et son antonyme : _________________________________________________________

2. Indiquez le synonyme correct du verbe « lorgner » :


 Examiner.
 Vouloir.
 Se diriger.

3. Complétez le tableau suivant : verbe « rompre », présent de l’indicatif.

Je Nous rompons
Tu Vous
Il / Elle Ils / Elles

4. Complétez le tableau suivant : verbe « pouvoir », conditionnel présent.

Je Nous
Tu Vous
Il / Elle pourrait Ils / Elles

5. Complétez le tableau suivant : verbe « permettre », présent de l’indicatif.

Je Nous permettons
Tu Vous
Il / Elle Ils / Elles

6. Complétez le tableau suivant : verbe « permettre », présent de l’indicatif.

Je Nous
Tu Vous
Il / Elle Ils / Elles prévoient

7. Indiquez le synonyme correct de « car » :


 Voiture.
 Parce que.

102
 Texte 6

Monaco ouvre le premier restaurant 100 % bio de la Côte


d'Azur
Le Point.fr - Publié le 25/08/2013

La carte de l'Elsa, au Monte-Carlo Beach Resort, a reçu le label Ecocert, c'est-à-dire qu'elle
est entièrement confectionnée à partir de produits bio. Une gageure !

Le bio, il y a ceux qui en parlent et ceux qui le pratiquent vraiment ! Les uns
pérorent, les autres agissent. Elsa, le restaurant du Monte-Carlo Beach Relais et Châteaux,
est le premier établissement gastronomique de la région Provence-Alpes-Côte d'Azur à
recevoir la certification bio. Concrètement, cela signifie que 100 % des produits proposés
à la carte sont issus de l'agriculture biologique. Le chef Paolo Sari a sélectionné 33
producteurs de vin et 22 fournisseurs alimentaires qui lui permettent de compter sur 158
ingrédients entant dans la composition des plats.
Une telle démarche repose bien entendu sur la volonté de se concentrer sur des
produits de saison fabriqués ou récoltés dans la région, et de réhabituer les
consommateurs au vrai goût des légumes, des viandes et des poissons débarrassés des
traces gustatives laissées par les pesticides, engrais et autres colorants auxquels nous
nous sommes bien involontairement habitués.

La renaissance du Monte-Carlo Beach

[...] La mise en place de cette filière écologique fiable et durable est une étape
supplémentaire de la résurrection du Beach de Monaco. Longtemps effacé par les célèbres
Hermitage et Hôtel de Paris, et éclipsé par l'ouverture, en 2005, du vaste resort du Monte-
Carlo Bay, le petit hôtel de 40 chambres a été entièrement redécoré par India Mahdavi, la
star des designers d'intérieur. Le bijou années 1930 a retrouvé tout son éclat et des
couleurs estivales, du bleu, du jaune, de l'ocre, et ressemble à un navire encastré entre la
mer et les pins maritimes. Pour cela, il a fallu apporter une pinède autour du bâtiment et
déposer pas moins de 400 mètres cubes de terre. [...] Il joint le geste à la parole et se
présente comme un palace résolument moderne, preuve vivante que la transition
écologique est possible, qu'elle n'est pas un frein à la créativité et à l'innovation.

 Activités

1. Dans quelle rubrique peut-on trouver cet article ?


 Gastronomie.
 Technologie.
 Santé.

2. Quelle est la source des informations présentées ? _______________________________

3. Quel est le sujet de cet article ? _________________________________________________


103
4. Paolo Sari est le propriétaire de cet hôtel.
 Vrai.
 Faux.
Justification (citez un mot ou une expression de l’article) : ________________
__________________________________________________________________________

Structures de la langue

1. Quel est l’infinitif du verbe « ouvre » ?


 Ouvrir.
 Ouver.
 Ouvrer.

2. Quel est l’infinitif du participe passé « reçu » ?


 Reçure.
 Reçoir.
 Recevoir.

3. Sur la base du contexte, choisissez le synonyme correct du mot « gageure ».


 Pari.
 Risque.
 Enjeu.

4.
a) Sur la base du contexte, choisissez le synonyme correct du verbe « pérorer ».
 Jacasser.
 Causer.
 Parler.
b) A quel registre appartient-il ?
 Familier.
 Standard.
 Soutenu.

5. Sur la base du contexte, choisissez le synonyme correct du verbe « enter » :


 Entrer.
 Ajouter.
 Contaminer.

6. Verbes impersonnels : « falloir ». Complétez le tableau suivant :

présent indicatif
passé composé il a fallu.
imparfait
futur
conditionnel

104
 Texte 7

Football - Ligue 1 : Lyon et Rennes nous livrent un match


nul.
Le Point.fr - Publié le 15/09/2013

L'Olympique lyonnais met fin à sa série de quatre défaites toutes compétitions confondues,
mais ne parvient pas à résoudre le puzzle rennais (0-0).

Par MARC FAYAD

L'OL n'a pas perdu, mais nous a livré une première mi-temps bien morne, pleine de
déchets techniques et sans mouvements. Les hommes de Rémi Garde nous ont même
surpris en étant attentistes par séquences. Rennes a joué le coup à fond pendant la
première demi-heure avec des contres intéressants, notamment grâce à la vitesse et à la
technique de Pitroipa qui ont causé d'énormes dégâts dans la défense lyonnaise. Le
spectacle n'est pas au rendez-vous et les deux équipes se neutralisent systématiquement
dans les trente derniers mètres.
La seconde période marque un changement net. Avec 12 tirs à 0, Lyon tente
d'emballer la rencontre, mais manque de réalisme à l'image de Lacazette très imprécis
dans ses passes et pas assez percutant. Gomis, de retour dans l'effectif, s'est montré
motivé et incisif. Faisant parler sa puissance physique, il parvient à se créer de belles
occasions, mais se trouve malchanceux dans la finition. À la 67e minute, il décoche une
frappe extrêmement puissante qui heurte la transversale et manque de faire basculer la
rencontre. Les hommes de Philippe Montanier n'ont pas été très ambitieux dans
l'animation du jeu et se sont contentés de bien défendre. Rennes repart de Gerland16 avec
un bon match nul.

 Activités

1. Dans quelle rubrique peut-on trouver cet article ?


 Santé.
 Sport.
 Culture.

2. Complétez le schéma de Jakobson :

Emetteur

Message

Destinataire

16
C’est le stade le plus grand et important de la ville de Lyon.
105
Code

Canal

Contexte

3. A quelle équipe l’auteur se réfère-t-il par la périphrase « Les hommes de Rémi


Garde » :
 L’Olympique lyonnais.
 Rennes.

4. A quelle équipe l’auteur se réfère-t-il par la périphrase « Les hommes de


Philippe Montanier » :
 L’Olympique lyonnais.
 Rennes.

5. Reconstituez les deux équipes. Écrivez les noms des footballeurs cités sous leur
équipe :

Olympique lyonnais Rennes

Structures de la langue

1. Choisissez l’infinitif correct du participe passé féminin pluriel « confondues ».


 Confondre.
 Confondure.
 Confonder.

2. Complétez le tableau suivant : verbe « parvenir », présent de l’indicatif.

Je Nous
Tu Vous
Il / Elle parvient Ils / Elles

3. Complétez le tableau suivant : verbe « résoudre », présent de l’indicatif.

Je résous Nous résolvons


Tu Vous
Il / Elle Ils / Elles

4. Choisissez l’infinitif correct du participe passé « perdu ».


 Perdure.
 Perder.
 Perdre.

106
 Texte 8

Kafka à Gibraltar
Lepoint.fr - Publié le 12/09/2013

Un père de famille se retrouve pris en étau entre les narcotrafiquants colombiens et une
administration opaque. Kafkaïen.

Par THOMAS MAHLER

C'est une minuscule enclave britannique entre Espagne et Maroc à l'importance


inversement proportionnelle à sa taille (6,2 kilomètres carrés). Carrefour propice aux
échanges et trafics en tout genre, Gibraltar est aussi un écrin idoine pour le cinéma.
Après le prologue du James Bond Tuer n'est pas jouer, Gibraltar vient le confirmer. Gilles
Lellouche y incarne Marc Duval, un expatrié sur le Rocher qui, en proie à des difficultés
financières, accepte de devenir « aviseur », c'est-à-dire indic pour les douanes françaises.
Choix peu avisé : gagnant la confiance de Claudio Lanfredi, un mafieux associé aux
cartels colombiens, Marc se retrouve pris en étau entre les narcotrafiquants et une
administration opaque. De plus en plus schizophrène, ce père de famille met le doigt
dans un engrenage irréversible.
Les hommes ordinaires entraînés dans une mécanique kafkaïenne donnent souvent
d'excellents films. Celui-ci est d'autant plus réussi qu'il s'inspire d'une histoire vraie, celle
de Marc Fiévet, ex-aviseur. Efficacement réalisé par Julien Leclercq, qui, après L'assaut,
confirme qu'il sait muscler les faits réels, ce troisième long-métrage happe le spectateur
tout en évitant, tel le Traffic de Soderbergh, les clichés sur les professionnels de la
drogue. Une immersion en eaux troubles où les prédateurs les plus redoutables ne sont
pas forcément ceux qu'on croit.

 Activités

1. Dans quelle rubrique peut-on trouver cet article ?


 Santé.
 Sport.
 Culture.

2. Complétez le schéma de Jakobson :

Emetteur

Message

Destinataire

Code

Canal

Contexte

107
3. Remplissez le tableau suivant avec les noms des films et des réalisateurs cités :

Films Réalisateurs

4. Qui est le romancier à qui l’on doit l’adjectif « kafkaïen » ? _____________________

Structures de la langue

1. Quelle est la définition correcte de l’adjectif « kafkaïen » ?


 Se dit d’une atmosphère oppressante.
 Se dit d’une atmosphère énigmatique.

2. Nationalités masculin/féminin. Remplissez le tableau suivant :

Masculin Féminin
colombien colombienne
italien
américain
française
danois
belge
letton
espagnole
suisse
allemande
canadien

3. Écrivez le masculin de l’adjectif « financière » : _________________________________

4. Sur la base du contexte, quel est le synonyme correct du terme « avisé » ?


 Prévenu.
 Prudent.
 Eclairé.

5. Quel est le synonyme correct de « ex » ?


 Ancien.
 Antique.
 Vieil.

6. A quoi se réfère le pronom « y » dans la phrase « Gilles Lellouche y incarne Marc


Duval » ? ______________________________________________________________________

108
Geographie(s) de France

Sommaire
 I. La division administrative de la France.
 II. Les régions.
 III. Les départements.
 IV. La France d’outre-mer.
 V. La Francophonie.

109
Chapitre I : La division administrative de la France

 À noter :
 Avant la révolution française de 1789, la France était divisée en provinces.
 Le terme « territoire d’outre-mer » n’a plus de valeur juridique depuis la
révision constitutionnelle du 28 mars 2003.

1.1. France métropolitaine

La France étant un État unitaire, aucune de ses divisions administratives ne


possède de compétence législative. La division du territoire métropolitain remonte, pour
les départements, les cantons et les communes, à 1789, pour les arrondissements à 1800.
Les régions sont plus récentes : apparues dans les années 1950, elles ont évolué du
statut de regroupements administratifs de départements à celui de collectivités
territoriales munies d’un conseil élu. Les autres collectivités territoriales, conformément à
l’article 72 de la Constitution, sont les départements, les communes et certaines
collectivités à statut particulier ou d’outre-mer, les autres niveaux ne jouant un rôle qu’en
matière administrative ou électorale.
La profusion de communes ainsi que les services parfois redondants entre les
régions et les départements continuent d’alimenter le débat en France sur une éventuelle
refonte de ce système.
Au 1er janvier 2006, la France métropolitaine — c’est-à-dire la partie du territoire
français située en Europe — est divisée en :

22 régions métropolitaines et 4 régions d’outre-mer


La région est la division territoriale française de premier degré. Elle est gérée par
un conseil régional élu pour six ans au suffrage universel direct. Chaque région possède
également un préfet de région, nommé par le Gouvernement, dont le rôle est de
représenter l’État et de s’assurer du bon fonctionnement des services déconcentrés,
comme par exemple la coordination des services de police.
La collectivité territoriale de Corse, comptée parmi les 22 régions, possède un
statut particulier, analogue à celui d’une région mais avec sensiblement plus de pouvoirs.

96 départements métropolitains et 5 d’outre-mer (Mayotte est le 101ème département


Français , référendum de mars 2009)
La France compte 96 départements en métropole, bien que la numérotation
s’arrête à 95 : en effet l’ancien département de Corse (20) a été divisé en deux
départements (2A et 2B) en 1976. La France compte également 4 départements outre-mer.
Un niveau au-dessous de la région (chacune d’entre-elles étant composée de plusieurs
départements, sauf pour les régions d’outre-mer), le département est géré par un conseil
général dont les élus, conseillers généraux élus pour six ans, sont renouvelés par moitié
tous les trois ans au suffrage universel direct. De nos jours, son rôle est souvent
concurrencé par celui des régions.

110
Les départements ont été créés en 1789. L’objectif était de faciliter l’unification
linguistique et nationale de la France sous prétexte de rationaliser la carte administrative.
Il était alors préconisé à la commission parlementaire qui s’en occupait, de faire en sorte
que toute personne vivant dans le département puisse en atteindre le chef-lieu en une
journée de cheval.
Chaque département possède un préfet. Le préfet du département où se situe le
chef-lieu de région est également préfet de région.

329 arrondissements
Chaque département français est à nouveau découpé en plusieurs arrondissements,
qui accueillent chacun un sous-préfet. Leur rôle est d’assister le préfet de département
dans ses missions.

3 883 cantons
Les arrondissements sont à leur tour divisés en plusieurs cantons (la législation
permet qu’un canton soit partagé entre deux arrondissements, mais ce cas de figure, qui
s’est rarement produit, n’existe pas actuellement).
Leur rôle est essentiellement de fournir un maillage électoral ; aux élections
cantonales, chaque canton élit la personne amenée à le représenter au conseil général. En
zone urbaine, une même commune recouvre généralement plusieurs cantons. En zone
rurale, un canton est souvent formé de plusieurs petites communes ; il arrive alors
fréquemment que les principaux services administratifs soient concentrés dans le chef-
lieu de canton.

36 783 communes
Il s’agit (dans la quasi-totalité des cas) du découpage administratif ultime du
territoire français et correspond généralement au territoire d’une ville ou d’un village. Si
la commune peut être couverte par plusieurs cantons, elle ne peut faire partie que d’un
seul arrondissement. Une commune est administrée par un conseil municipal élu pour six
ans, présidé par un maire.
Les 3 communes les plus peuplées que sont Paris, Marseille et Lyon sont encore
divisées en 45 arrondissements municipaux : 20 pour Paris, 16 pour Marseille et 9 pour
Lyon. Ils n’ont rien de commun avec les arrondissements départementaux si ce n’est le
nom et correspondent plutôt à des sous-communes, avec un maire et un conseil
municipal d’arrondissement. Il y a une mairie par arrondissement en plus de la mairie
centrale pour Paris et Lyon, respectivement 20 et 9, et Marseille est en fait découpée en 8
« secteurs » regroupant chacun deux arrondissements.
Certaines communes peuvent également couvrir plusieurs agglomérations, villages
ou bourgs provenant souvent d’anciennes communes ou agglomérations trop peu
peuplées ou trop isolées pour disposer d’une administration autonome, et regroupées
avec une ancienne commune voisine plus importante. Elles peuvent aussi être issues de
plans d’aménagement, par exemple dans les « villes nouvelles », créées sur le territoire
d’une ou plusieurs communes, ou dans les stations de montagne.

Intercommunalité
Cependant, afin d’améliorer la coopération entre communes proches, qui ont des
intérêts communs au niveau des transports, des zones économiques, etc., il existe

111
plusieurs types d’établissements publics de coopération intercommunale (EPCI)
présentant divers niveaux de coopération. Au 1er janvier 2009, 34 164 communes,
regroupant 56,4 millions d’habitants, sont regroupées dans 2 601 groupements à
fiscalité propre :
1. 16 communautés urbaines, le degré le plus élevé de coopération intercommunale.
Elles ne concernent que des ensembles de plus de 500 000 habitants comportant
au moins une ville de 50 000 habitants et ont des compétences larges
(développement économique, gestion des transports, de l’urbanisme, de l’eau, des
déchets, etc.).
2. 174 communautés d’agglomérations, pour des ensembles possédant au moins
50 000 habitants autour d’une ville d’au minimum 15 000 habitants. Leurs
compétences obligatoires sont moins nombreuses que celles des communautés
urbaines.
3. 2 406 communautés de communes, sans seuil minimum de population. Leurs
compétences obligatoires sont, là encore, moins nombreuses.
4. 5 syndicats d’agglomération nouvelle, une catégorie ancienne en voie de
remplacement par les communautés d’agglomération.

1.2. France d’outre-mer


La République française est également constituée de plusieurs divisions
administratives pour les parties du territoire ne se situant pas en France métropolitaine.
Ces divisions correspondent en gros au degré d’indépendance de ces territoires vis-à-vis
de la métropole.

Les régions d’outre-mer


Il existe en France 5 régions d’outre-mer : Guadeloupe, Guyane, Martinique, La
Réunion et Mayotte. Ces régions ont exactement le même statut que les régions
métropolitaines depuis 2003. Chacune d’entre elles est également un département
d’outre-mer, qui existait depuis 1946. Cette nouvelle structure monodépartementale
pourrait être amenée à terme à disparaître par la fusion des assemblées régionales et
départementale, à moins que de nouveaux départements ne soient créés (il a été évoqué
par exemple la création d’un nouveau département dans le sud de la Réunion, la région se
retrouvant alors composée de deux départements) mais tout cela reste pour l’instant
hypothétique.
Ces régions d’outre-mer sont en outre divisées en :
1. 13 arrondissements ;
2. 156 cantons ;
3. 112 communes (il y a effectivement au total plus de cantons que de communes, à
l’inverse de ce qui est observé en France métropolitaine).

Les collectivités d’outre-mer


Les collectivités d’outre-mer ou COM sont, depuis la révision constitutionnelle du
28 mars 2003, des territoires de la République française régis par l’article 74 de la
Constitution. Cette catégorie regroupe des anciens territoires d’outre-mer (TOM) et
d’autres collectivités à statut particulier.

112
Ces collectivités disposent de compétences particulièrement étendues : notamment,
elles bénéficient de l’autonomie douanière et fiscale, ainsi que de systèmes de protection
sociale distincts de celui de la métropole.
Les COM font pleinement partie du territoire de la République française, et des
compétences exclusives de l’État français s’y appliquent, notamment en matière de
défense, de sécurité, de citoyenneté et de nationalité, de Constitution, mais aussi en
matière législative via le Parlement : chaque COM dispose d’une représentation élue à la
fois à l’Assemblée nationale et au Sénat, même si les lois votées au Parlement et
promulguées ne s’y appliquent pas obligatoirement. De plus la pleine citoyenneté
française leur permet de participer aux autres élections nationales comme celle du
Président de la République ou un référendum national.
Elles restent par ailleurs soumises (à l’exception de Saint-Pierre-et-Miquelon) au
régime de la spécialité législative, selon lequel une loi ou un décret ne peut leur être
applicable qu’à la condition de le préciser expressément. Ils bénéficient par exemple de
régimes de défiscalisation concernant l’immobilier, ce qui conduit certains observateurs à
parler de paradis fiscaux.
Contrairement aux départements d’outre-mer, les COM ne font pas partie de
l’Union européenne et ne sont pas automatiquement inclus dans les autres traités
internationaux signés et ratifiés par la France.
La France compte actuellement cinq collectivités d’outre-mer :
 La Polynésie française est qualifiée de « pays d’outre-mer » et dispose d’une
autonomie très poussée.
 Saint-Pierre-et-Miquelon possède également un statut voisin de celui d’un
département, avec un conseil général. Son territoire est divisé en deux communes,
mais ne possède ni arrondissement, ni canton. La loi du 11 juin 1985 fait
simplement d’elle une collectivité territoriale.
 Wallis-et-Futuna, dans l’océan Pacifique, possède une organisation très
spécifique. C’est encore la seule portion habitée du territoire de la République qui
n’est pas subdivisée en communes. Cette collectivité a un statut spécifique. Il est
constitué par trois monarchies, formant autant de circonscriptions territoriales.
Les rois de ces royaumes président le conseil territorial qui comprend également
trois représentants de l’État français, tandis qu’une assemblée territoriale est élue
au suffrage universel. Uvéa, la plus peuplée des circonscriptions, est divisée en
trois districts. Les circonscriptions et districts sont divisés en 36 villages.
S’y ajoutent trois COM :
 Clipperton est une île isolée de l’océan Pacifique sous administration directe
du gouvernement.
 Saint-Martin est la moitié septentrionale de l’île du même nom des petites Antilles
dans la Caraïbe.
 Saint-Barthélemy est une île des petites Antilles dans la Caraïbe.

Nouvelle-Calédonie
La Nouvelle-Calédonie n’est pas une collectivité territoriale, mais possède un statut
spécifique de collectivité, lui garantissant une très large autonomie. Un référendum local
portera en outre à partir de 2014 sur son indépendance éventuelle. Elle possède un
congrès élisant un gouvernement. La liberté de législation accordée à la Nouvelle-
Calédonie est à l’heure actuelle la plus importante de tous les territoires français, le

113
congrès édictant des lois de pays. La Nouvelle-Calédonie est divisée en trois provinces
(province Nord, province Sud et province des îles Loyauté), à leur tour divisées en 33
communes (dont l’une partagée entre 2 provinces).

Autres territoires
Il existe encore trois autres structures concernant différents territoires de la
République française qui ne possèdent aucune population permanente et par conséquent
aucune élection locale :
1. Les Terres australes et antarctiques françaises (TAAF), divisées en cinq districts :
les îles Kerguelen, l’île Amsterdam et l’île Saint-Paul, les îles Crozet et la terre
Adélie et, depuis février 2007, les îles Éparses. Concernant la terre Adélie, la
France ayant signé, en 1959, le Traité sur l’Antarctique, sa souveraineté y est
actuellement suspendue. Elles sont administrées depuis la ville de Saint-Pierre à la
Réunion par un administrateur supérieur, assisté par un secrétaire général.
2. Les îles Éparses de l’océan Indien furent administrées par le préfet de la Réunion.
À partir de l’arrêté du 3 janvier 2005 et jusque 2007, l’administration des îles fut
confiée au préfet, administrateur supérieur des Terres australes et antarctiques
françaises.

114
Chapitre II : Les régions

La France compte 22 Régions métropolitaines (incluant la Corse) auxquelles


s’ajoutent les cinq départements et régions d’outre-mer (DROM) de la Guadeloupe, de la
Guyane, de la Martinique, de La Réunion et de la Mayotte (qui a cependant un conseil
général et non régional). Les Régions correspondent à des unités territoriales purement
administratives, qui n’ont aucun lien avec les anciennes provinces historiques et encore
moins avec une quelconque réalité socioculturelle.
La Région est dotée d’un Conseil régional et d’un Comité économique et social; le
premier a un pouvoir de décision en matière budgétaire, tandis que le second reste
consultatif. La France étant un État unitaire et centraliste, les régions n’ont aucune
autonomie législative ni réglementaire. En revanche, elles reçoivent du gouvernement une
partie des impôts nationaux et possèdent un certain budget qu’elles ont pour mission de
répartir dans différents domaines. Ces différents domaines de compétences sont
l’éducation (gestion des lycées), l’enseignement supérieur et la recherche, l’éducation
spécialisée, la formation professionnelle et l’apprentissage, le développement
économique, les ports fluviaux d’aide à la pêche côtière et aux entreprises de culture
marine, l’aménagement du territoire et les infrastructures.
De temps en temps, il est question de confier une certaine autonomie législative
aux régions, mais ces propositions sont toujours extrêmement controversées.

115
2.1. Histoire

Les anciennes provinces du Royaume


Avant la Révolution française de 1789, le Royaume de France était divisé en
provinces historiques issues de l’histoire féodale et dont, pour certaines, la taille
correspondait grosso modo aux régions actuelles. En 1789, ces provinces furent
supprimées et le territoire français divisé en 83 départements.
La particularité française est que le fait régional est lié au fait national. En effet,
après la Révolution française, la Nation s’est substitué au Roi et l’État français a conservé
sa structure centralisatrice ce qu’a démontré Alexis de Tocqueville dans L'Ancien Régime
et la Révolution (1851): « à travers le gouffre de la Révolution, le préfet et l’intendant se
tiennent par la main ».
De plus, le département est devenu l’échelon rationnel de la mise en œuvre des
politiques publiques, institution mise en place par les lois des 15 janvier et 16 février
1790 dont le découpage a été fait sous l’influence d’Honoré Gabriel Riqueti de Mirabeau
prenant en compte des particularismes locaux mais non l’identité régionale de peur de
faire renaître les pays d’État et d’Élections de l’Ancien Régime.
Les revendications régionalistes sont, en effet, réapparues vers la fin du XIXe siècle
à travers Frédéric Mistral et le Félibrige prônant une identité de langue et de culture
occitane dans la littérature, courant auquel se rattachèrent les courants contre-
révolutionnaires.

Naissance des régions modernes


Suite à une circulaire du ministère du Commerce du 25 août 1917, un premier
arrêté ministériel institua des groupements économiques régionaux dits « régions
Clémentel » le 5 avril 1919. Ces « régions économiques » regroupaient des chambres de
commerce, à leur volonté, sur le territoire de la métropole. Les chambres de commerce
étant libres d’adhérer à la région de leur choix et d’en changer librement, les 17 régions
prévues initialement furent bientôt portées à 21, et administrées par un Comité régional
composé de deux délégués par chambres, auxquels étaient adjoints les préfets et sous-
préfets qui avaient voix consultative.
À partir de la Première Guerre mondiale, le développement des transports, la
modification du tissu urbain et le renforcement des idées régionalistes conduisirent
certaines personnes à s’interroger sur l’opportunité de créer des divisions administratives
plus grandes que les départements. Ces revendications régionalistes s’identifièrent au
pays réel prôné par Charles Maurras, disciple de Frédéric Mistral, intellectuel de l’Action
française et de la Révolution nationale pétainiste du gouvernement de Vichy. C’est,
notamment sur ce fondement idéologique, que le Maréchal Pétain entérina une
recomposition territoriale régionale par la publication du décret du 30 juin 1941
attribuant à certains préfets les pouvoirs des préfets régionaux et portant division du
territoire pour l’exercice de ces pouvoirs. Cette organisation ne survécut pas à la chute du
régime pétainiste et fut abrogée dès 1945.
Le général de Gaulle décida par ordonnance le 10 janvier 1944 de l’organisation
administrative accompagnant la libération du territoire et instaura des régions
administratives qui furent dissoutes à son départ du pouvoir en 1946. Elles étaient
placées sous l’autorité d’un commissaire de la République.

116
L’aménagement du territoire sous la Quatrième République conduisit cependant à
repenser à ces groupements supra-départementaux. Un décret du 30 juin 1955 décide le
lancement de « programmes d’action régionale » en vue de « promouvoir l’expansion
économique et sociale des différentes régions ». D’usage exclusivement administratif (il
n’était pas question alors d’en faire quoi que ce soit de plus), ces régions furent créées
suivant des considérations strictement techniques mais réussirent néanmoins à coïncider
en plusieurs endroits avec les anciennes provinces de France.
En 1960, un décret du 2 juin se rapporte (pour la métropole) aux limites des
régions sur lesquelles ont été instaurés les programmes d’action régionale pour en faire
des circonscriptions d’action régionale. Ces circonscriptions d’action régionale seront
dotées d’un préfet par un décret du 14 mars 1964.
En 1969, l’échec d’un référendum visant entre autres à élargir le rôle des régions
conduisit à la démission de Charles de Gaulle de la présidence de la République. Ce refus
peut probablement expliquer pourquoi, lors de la promulgation de la loi du 5 juillet 1972
créant les conseils régionaux, les circonscriptions d’action régionale sont investies de si
peu de pouvoirs ; elles cessent toutefois d’être de simples territoires pour devenir des
établissements publics régionaux (EPR). Elles prennent néanmoins désormais le nom de
« régions », terme consacré par la loi de décentralisation de 1982, qui va en faire des
collectivités territoriales.
La loi du 2 mars 1982 a institué l’élection des conseillers régionaux au suffrage
universel direct, dans le cadre des départements, pour un mandat de six ans renouvelable.
La première élection a eu lieu le 16 mars 1986. Les régions sont devenues des collectivités
territoriales au même titre que les départements et les communes.

2.2. Les régions françaises

Depuis avril 2009, chaque région est représentée par un logo, sur les plaques
d’immatriculation des véhicules terrestres, dans leur partie droite (identifiant territorial).

Logo Carte Nom Code Départements Chef-lieu

Alsace 42 Bas-Rhin (67) Strasbourg


Haut-Rhin (68)

Aquitaine 72 Dordogne (24) Bordeaux


Gironde (33)
Landes (40)
Lot-et-Garonne (47)
Pyrénées-Atlantiques (64)

Auvergne 83 Allier (03) Clermont-Ferrand


Cantal (15)
Haute-Loire (43)
Puy-de-Dôme (63)

117
Logo Carte Nom Code Départements Chef-lieu

Bourgogne 26 Côte-d’Or (21) Dijon


Nièvre (58)
Saône-et-Loire (71)
Yonne (89)

Bretagne 53 Côtes-d’Armor (22) Rennes


Finistère (29)
Ille-et-Vilaine (35)
Morbihan (56)

Centre 24 Cher (18) Orléans


Eure-et-Loir (28)
Indre (36)
Indre-et-Loire (37)
Loir-et-Cher (41)
Loiret (45)

Champagne-Ardenne 21 Ardennes (08) Châlons-en-


Aube (10) Champagne
Marne (51)
Haute-Marne (52)

Corse 94 Corse-du-Sud (2A) Ajaccio


Haute-Corse (2B)

Franche-Comté 43 Doubs (25) Besançon


Jura (39)
Haute-Saône (70)
Territoire de Belfort (90)

Guadeloupe 01 Guadeloupe (971) Basse-Terre

Guyane 03 Guyane (973) Cayenne

Île-de-France 11 Paris (75) Paris


Essonne (91)
Hauts-de-Seine (92)
Seine-Saint-Denis (93)
Seine-et-Marne (77)
Val-de-Marne (94)
Val-d'Oise (95)
Yvelines (78)

118
Logo Carte Nom Code Départements Chef-lieu

Languedoc-Roussillon 91 Aude (11) Montpellier


Gard (30)
Hérault (34)
Lozère (48)
Pyrénées-Orientales (66)

Limousin 74 Corrèze (19) Limoges


Creuse (23)
Haute-Vienne (87)

Lorraine 41 Meurthe-et-Moselle (54) Metz


Meuse (55)
Moselle (57)
Vosges (88)

Martinique 02 Martinique (972) Fort-de-France

Mayotte 05 Mayotte (976) Mamoudzou

Midi-Pyrénées 73 Ariège (09) Toulouse


Aveyron (12)
Haute-Garonne (31)
Gers (32)
Lot (46)
Hautes-Pyrénées (65)
Tarn (81)
Tarn-et-Garonne (82)

Nord-Pas-de-Calais 31 Nord (59) Lille


Pas-de-Calais (62)

Basse-Normandie 25 Calvados (14) Caen


Manche (50)
Orne (61)

Haute-Normandie 23 Eure (27) Rouen


Seine-Maritime (76)

119
Logo Carte Nom Code Départements Chef-lieu

Pays de la Loire 52 Loire-Atlantique (44) Nantes


Maine-et-Loire (49)
Mayenne (53)
Sarthe (72)
Vendée (85)

Picardie 22 Aisne (02) Amiens


Oise (60)
Somme (80)

Poitou-Charentes 54 Charente (16) Poitiers


Charente-Maritime (17)
Deux-Sèvres (79)
Vienne (86)

Provence-Alpes-Côte 93 Alpes-de-Haute-Provence Marseille


d'Azur (04)
Hautes-Alpes (05)
Alpes-Maritimes (06)
Bouches-du-Rhône (13)
Var (83)
Vaucluse (84)

La Réunion 04 La Réunion (974) Saint-Denis

Rhône-Alpes 82 Ain (01) Lyon


Ardèche (07)
Drôme (26)
Isère (38)
Loire (42)
Rhône (69)
Savoie (73)
Haute-Savoie (74)

Depuis 1991, la Corse a un statut particulier, conférant à la collectivité des droits


plus étendus que ceux d’une région au sens strict et une organisation particulière (conseil
exécutif et assemblée de Corse).

2.3. Problèmes
Le découpage régional actuel, né de l’aménagement administratif du territoire
français dans les années 1950 et des projets précédents, est toujours sujet à controverses.
Son concepteur lui-même (Serge Antoine) pensait qu’il était provisoire, que l’on assisterait
à des regroupements naturels visant à diminuer le nombre de régions jugé excessif :
120
 La région Pays-de-la-Loire a, dès sa création, suscité de vives critiques et fut
même qualifiée d’ineptie administrative ubuesque. En Loire-Atlantique, il
existe un courant d’opinion pour intégrer ce département à la région
Bretagne.
 La division de la Normandie historique en deux régions (Haute-Normandie,
Basse-Normandie) est également contestée, l’idée d’une fusion des deux
entités via un référendum étant alors évoquée.
Certains veulent recouvrer des limites de provinces historiques voir l’exemple
emblématique de la Loire Atlantique et Bretagne, d’autres militent pour un rationalisme
géographique avec prééminence des limites naturelles des bassins hydrographiques
français, une solution médiane serait le scénario d’une France métropolitaines en 12
Grandes Régions qui permettrait de regrouper un certain nombre de régions
administratives actuelles en duo.

121
Chapitre III : Les départements

Les départements français correspondent à des divisions administratives placées


sous l’autorité d’un préfet et administrées par un Conseil général. Les compétences
propres au département concernent essentiellement l’action sanitaire et sociale,
l’équipement rural, la voirie départementale et les dépenses d’investissement et de
fonctionnement des collèges.
La France est divisée en 101 départements dont cinq d’outre-mer. 26 départements
de la métropole ont une façade littorale.

122
3.1. Généralités

Le département est une subdivision territoriale située entre la région et


l’arrondissement. De façon générale, une région contient plusieurs départements et un
département est subdivisé en plusieurs arrondissements.
Chaque département possède un chef-lieu de département qui regroupe ses
institutions. Ce chef-lieu est généralement la plus grande ville du département, mais de
nombreuses exceptions existent.

3.2. Collectivité locale


Le département est aussi une collectivité locale décentralisée dirigée par le conseil
général, élu au suffrage universel direct pour six ans. Les élections cantonales ont lieu
tous les trois ans et renouvellent la moitié de l’assemblée départementale afin de
permettre sa continuité.

3.3. Création
Une première approche d’un découpage du territoire national en départements est
soumise au roi de France en 1665 par Marc-René d’Argenson, le département est alors
entendu en tant que répartition fiscale ou circonscription territoriale.
En 1787, les assemblées régionales d’Ile de France sont convoquées par
« département » afin de clarifier les échanges. Un découpage en entités similaires du
territoire semble un atout pratique pour l’administration, ainsi l’on retrouve cette
demande dans les cahiers de doléance de 1788 qui souhaitent la formation de
circonscriptions uniformes avec un chef-lieu accessible. Les départements furent créés
par décret du 22 décembre 1789 pris par l’Assemblée constituante afin de remplacer les
provinces de France jugées contraires à l’homogénéité de la nation.

3.4. Évolution
Le nombre de départements, initialement de 83, grimpa à 130 en 1810 avec les
annexions territoriales de la République et de l’Empire, en Allemagne, aux Pays-Bas, en
Italie, en Espagne, puis fut réduit à 86 après la chute de l’empereur en 1815. L’annexion
de Nice et de la Savoie en 1860 conduisit à un total de 89.
Les deux départements de l’Alsace et un de la Lorraine furent cédés à l’Allemagne
en 1871. Les départements annexés furent restitués en 1919, ramenant le nombre total à

123
89 (les parties rendues des anciens départements de la Meurthe et de la Moselle furent
fusionnées dans le département de la Moselle).
Avec cela il fallait compter sur les départements en Algérie, de trois départements
en 1848, quatre en 1902, cinq en 1955, jusqu’à 17 en 1958, puis 15 départements de
1959 à leur suppression définitive en 1962.
Les réorganisations de la région parisienne en 1964, effective en 1968, et la
division de la Corse en 1976 ajoutèrent six départements. Avec les cinq départements
d’outre-mer actuels, le total est porté à 101.

3.5. Codification
À l’origine, les départements français étaient numérotés (de 01 à 83) pour les seuls
besoins des services postaux. Ce système fonctionna sous la Révolution et l’Empire puis
fut abandonné. Un nouveau classement fut mis en place au XXe siècle avec six nouveaux
départements qui décalaient les numéros. En 1922 en effet, les 89 départements étaient
classés dans l’ordre alphabétique ; le numéro 01 était attribué à l’Ain et le 89 à l’Yonne.
À partir de 1946, ce fut l’Insee qui devint responsable de la codification officielle
des départements.
Les départements d’outre-mer reçurent les numéros 971 à 974 après qu’ils furent
devenus des départements en 1946 (les numéros 91 à 96 étant alors utilisés pour les
territoires français du Maghreb).
Le redécoupage de l’Île-de-France conduisit à la création des départements de Paris
(qui prit le numéro 75 attribué jusqu’alors à la Seine), des Yvelines (qui fut numérotée 78
en lieu et place de la Seine-et-Oise) ainsi que de l’Essonne, des Hauts-de-Seine, de la Seine-
Saint-Denis, du Val-de-Marne et du Val-d’Oise, ajoutés en fin de liste avec les numéros 91
à 95. Quatre de ces cinq départements récupéraient en effet les numéros qu’avaient
portés entre 1943 et 1961 les quatre premiers départements de l’Algérie française. La
Corse (numéro 20) fut partagée en 1976 entre la Corse-du-Sud (2A) et la Haute-Corse (2B).
Le « numéro » est donc depuis un « code alphanumérique ».
Au-delà de leur fonction de découpage du territoire français, les numéros de
départements font partie de la vie quotidienne des Français. On les retrouve au début des
codes postaux, ou dans les numéros de sécurité sociale (ceux des deux départements de
la Corse débutent toujours par 20). Ils figurent également sur les plaques
d’immatriculation des véhicules depuis 1950.
Les territoires français qui ne sont pas des départements possèdent également des
numéros analogues : 975 et 976 pour Saint-Pierre-et-Miquelon et Mayotte, 977 et 978
pour Saint-Martin et Saint-Barthélemy (deux collectivités d’outre-mer détachées de la
Guadeloupe en 2007), 986, 987 et 988 pour les anciens territoires d’outre-mer Wallis-et-
Futuna, la Polynésie française et la Nouvelle-Calédonie.

3.6. Le nom des départements

Origine des noms


Les départements furent principalement nommés non pas d’après des critères
historiques, pour ne pas rappeler le découpage en provinces de l’Ancien Régime, mais
surtout d’après des critères géographiques même s’il existe des exceptions, comme avec
les départements savoyards qui ne furent créés qu’en 1860, dans un contexte politique
différent.

124
Origine Nombre Départements (exemples)

Ain, Bouches-du-Rhône, Charente-Maritime, Drôme, Eure-et-Loir,


Haute-Garonne, Hérault, Indre-et-Loire, Isère, Loire, Meurthe-et-
Cours d’eau 67
Moselle, Nièvre, Oise, Rhône, Seine-Maritime, Seine-et-Marne, Tarn-
et-Garonne, Var, Vienne, Yonne.

Alpes-de-Haute-Provence, Alpes-Maritimes, Ardennes, Cantal, Jura,


Montagnes et monts 12
Lozère, Puy-de-Dôme, Pyrénées-Atlantiques, Vosges.

Îles et îlots 5 Corse-du-Sud, Haute-Corse, Guadeloupe, Martinique, La Réunion

Côtes et plans d’eau 5 Calvados, Côtes-d'Armor, Manche, Morbihan, Pas-de-Calais

Villes et villages 3 Paris, Territoire de Belfort, Seine-Saint-Denis

Provinces ou territoires
3 Savoie, Haute-Savoie, Guyane
historiques

Étendues arbustives et
2 Landes, Yvelines
boisées

Situation géographique 2 Finistère, Nord

Poésie 1 Côte-d’Or

125
Chapitre IV : La France d’outre-mer

 À noter :
Depuis le mois de mai 2012, le ministre des Outre-mer
est Victorin Lurel.

La France d’outre-mer est généralement mal connue. Les médias métropolitains ne


s’y intéressent souvent qu’en cas de catastrophe naturelle ou de crise. L’actualité
ultramarine est revenue sur le devant de la scène à l’occasion des mouvements sociaux
dans les Antilles et à la Réunion fin 2008 et début 2009. Ce sont pourtant quelque deux
millions et demi d’habitants qui vivent dans les collectivités situées outre-mer. Certaines
ont des spécificités à peu près ignorées du grand public : sait-on par exemple que trois
rois règnent à Wallis-et-Futuna ?
Handicapé par sa géographie, marqué par son histoire coloniale, l’outre-mer
français présente un certain nombre de points communs. Mais ces territoires n’en
demeurent pas moins très divers, par leurs populations comme par leurs évolutions. On
peut distinguer deux grandes tendances, avec d’une part les départements d’outre-mer
engagés dans l’assimilation avec la métropole, et d’autre part des territoires qui ont

126
choisi l’autonomie dans la République. Plus que les évolutions statutaires, le principal
défi que doit aujourd’hui relever l’outre-mer français est de nature économique et social.
Le développement y reste en effet fragile, malgré de très importants financements
publics, qui apportent une prospérité relative.

4.1. Des données géographiques et historiques communes


Les terres de la France d’outre-mer, pour diverses et éparpillées qu’elles soient,
partagent un certain nombre de caractéristiques, fruits de la géographie ou de l’histoire :
ce sont d’abord des contraintes et des spécificités naturelles, mais aussi l’empreinte
laissée par la période coloniale. Toutes les entités composant la France d’outre-mer se
caractérisent par un isolement marqué. Il s’agit d’abord de l’éloignement de ces terres par
rapport à la métropole, avec laquelle les liens sont cependant particulièrement forts. Par
exemple, les Antilles se trouvent à 6 800 km de Paris, la Polynésie à 16 000 km et la
Nouvelle-Calédonie à 19 000 km. De plus, ces territoires peuvent aussi se trouver très
éloignés des partenaires économiques importants les plus « proches » : Papeete
(Polynésie) est à 5 700 km de l’Australie, 6 200 km des Etats-Unis et 8 800 km du Japon.
L’insularité constitue un autre facteur d’isolement pour l’outre-mer français, à
l’exception de la Guyane. Mais si cette dernière est la seule région continentale d’outre-
mer, son enclavement en Amérique du Sud, entre Amazonie et Océan Atlantique, l’isole
également d’une autre manière. En outre, pour certains territoires, l’insularité se
conjugue avec un grand émiettement : la Polynésie française compte ainsi plus d’une
centaine d’îles, composant cinq archipels et dispersées sur 2,5 millions de km 2. Ces
facteurs naturels d’isolement sont accentués par une faible intégration régionale. La
France d’outre-mer n’entretient que très peu de relations avec les pays voisins. Héritage
du système économique colonial dit « de l’Exclusif », qui attribuait un monopole
commercial à la métropole, cette dernière reste le plus souvent le premier partenaire
commercial, surtout dans les DOM.

4.2. La deuxième zone économique exclusive du monde


L’isolement, l’insularité et l’émiettement des terres françaises d’outre-mer
confèrent aussi à la France un immense domaine maritime. Les zones économiques
exclusives (ZEE) françaises couvrent ainsi plus de 10 millions de km² dans l’Océan
Atlantique, l’Océan Indien et l’Océan Pacifique. La France se situe ainsi au deuxième rang
mondial après les Etats-Unis. Le droit d’exploitation des ressources (par exemple
halieutiques) des ZEE en fait une source de richesse.

4.3. Des climats difficiles et des risques naturels importants


L’outre-mer français est soumis à des climats difficiles. La plupart des terres
ultramarines sont situées dans des zones tropicales ou équatoriales (Caraïbes, Amérique
du Sud, Océan Indien, Polynésie…); les autres relevant de climats froids rigoureux (Saint-
Pierre-et-Miquelon, TAAF). En outre, du fait de sa situation géographique, la France
d’outre-mer est davantage exposée que la métropole à des risques naturels, cycloniques,
sismiques ou volcaniques. Des exemples de catastrophes majeures témoignent de la
réalité de ce risque : une éruption de la Montagne Pelée (Martinique) le 8 mai 1902 avait
fait 28 000 morts; un ouragan sur la Guadeloupe le 12 septembre 1928 avait fait 1 200
morts. Enfin, le tremblement de terre d’Haïti a cause de nombreuses victimes, ainsi qu’un
ultérieur appauvrissement de la population.

127
4.4. Une démographie dynamique et une urbanisation croissante
Dans L’outre-mer français en mouvement, Jean-Christophe Gay souligne
« l’explosion démographique et urbaine » dans les sociétés ultramarines : « La
population de la France d’outre-mer, dans sa configuration actuelle, a connu une
croissance spectaculaire, passant en un siècle de moins de 600 000 personnes à plus de
2,4 millions aujourd’hui.
Après la Seconde Guerre mondiale, un vaste mouvement migratoire s’est
développé depuis les DOM vers la métropole. Ainsi, 357 000 personnes nées outre-mer
résidaient en métropole en mars 1999. C’est notamment le manque de débouchés
professionnels qui avait conduit de nombreux jeunes Guadeloupéens, Martiniquais,
Réunionnais et Guyanais à s’installer en métropole, aidés par une société d’Etat, le
BUMIDOM (Bureau pour le développement des migrations intéressant les départements
d’outre-mer), devenu Agence nationale pour l’insertion et la promotion des travailleurs
d’outre-mer (ANT).

4.5. Une forte immigration


L’avis n° 78 de la Commission des affaires sociales du Sénat sur l’outre-mer dans le
projet de loi de finances 2005 qualifie l’immigration de « nouveau défi pour l’outre-
mer ». La Commission entend « alerter le Gouvernement sur les enjeux de l’immigration
outre-mer qui inquiètent de plus en plus les ultramarins, en particulier à Mayotte, en
Guyane mais également à la Réunion ».
«Entre 1990 et 1999, les soldes migratoires ont été fortement positifs à la Réunion
et en Guyane. » L’augmentation moyenne annuelle de la population liée aux flux
migratoires est d’environ 1.700 par an à la Réunion et 1.150 par an en Guyane.
À la Réunion, la situation est devenue particulièrement préoccupante, du fait de la
croissance de flux d’immigrés venus des Comores. Mayotte est davantage victime de
l’immigration clandestine que la Réunion puisque sur 160.000 Mahorais, on compte au
moins 50.000 Comoriens. L’immigration est ainsi devenue le moyen de bénéficier des
avantages sociaux et économiques liés à la vie en France.

4.6. L’empreinte de l’histoire coloniale

Une situation économique marquée par l’héritage colonial


Dans le numéro consacré à L’outre-mer en mouvement, Jean-Christophe Gay
explique bien l’extraversion économique de l’outre-mer héritée de la période coloniale et
sa pérennisation par les élites locales : « La situation actuelle est le résultat d’une
exploitation coloniale orientée vers la métropole. Une telle extraversion a empêché
l’apparition de processus locaux d’entraînement financier, commercial et social. Au
fondement d’une économie dépendante, il y avait le principe de l’Exclusif ou Pacte
colonial, consistant à interdire aux colonies toute relation commerciale avec l’étranger, et
laissant à la métropole le monopole. Par ailleurs, il était interdit aux colonies de
développer des activités susceptibles de concurrencer celles de métropole. L’abolition du
Pacte colonial par Napoléon III supprime la protection des denrées coloniales en
métropole, mais l’outre-mer reste une chasse gardée du capitalisme national ».
« Les élites locales, d’origine européenne, n’ont fait qu’accentuer la sujétion des
colonies à la métropole, car elles n’avaient pas intérêt à un développement autonome. Le
développement ces vingt dernières années des grandes surfaces est le dernier avatar de la

128
logique de reconversion des capitaux de ces descendants non métissés des grands
propriétaires terriens de l’époque coloniale que l’on appelle Gros-Blancs, Grands-Blancs
ou Békés dans les DOM. Ce sont aujourd’hui des acteurs économiques de premier plan ».

Dans la République, entre assimilation et autonomie


Il convient de rappeler d’abord le lourd passé de la traite et de l’esclavage dans les
colonies françaises, ce dernier ayant été aboli par le décret du 27 avril 1848. 153 ans plus
tard, le Parlement français a voté à l’unanimité une loi reconnaissant la traite et
l’esclavage comme crime contre l’humanité : « La République française reconnaît que la
traite négrière transatlantique ainsi que la traite dans l’Océan Indien d’une part, et
l’esclavage d’autre part, perpétrés à partir du XVe siècle, aux Amériques et aux Caraïbes,
dans l’Océan Indien et en Europe contre les populations africaines, amérindiennes,
malgaches et indiennes constituent un crime contre l’humanité ».
Sur le plan politique, la relation historique avec la métropole dessine deux
ensembles parmi les collectivités territoriales situées outre-mer, suivant qu’elles se sont
inscrites dans une logique d’assimilation ou d’autonomie. Dans le premier cercle, les
quatre départements d’outre-mer (DOM) se caractérisent par une assimilation culturelle
et politique, largement déterminée sous la IIIe République. Dans le second, les autres
territoires (anciennement TOM) ont fait le choix de l’autonomie dans la République.
Sur ce processus, Jean-Christophe Gay apporte des éléments d’analyse très
intéressants : « La spécificité des DOM tient au fait que ces "vieilles colonies" ont connu
l’Ancien Régime et l’esclavage, et que leur peuplement actuel est presque complètement
le résultat de la colonisation par l’appropriation de terres inhabitées (Réunion), la
disparition des premiers occupants (Antilles) ou la marginalisation des populations
autochtones (Guyane), contrairement au reste de la France d’outre-mer. À partir de
l’abolition de l’esclavage, en 1848, un processus d’assimilation s’est engagé et a débouché
sur la départementalisation, en 1946. Dans le Pacifique, la classe politique locale est
hostile à l’assimilation et rejette l’idée de départementalisation. Le processus
d’assimilation culturelle y était beaucoup plus faible que dans les "vieilles colonies" et la
culture républicaine moins forte. Par ailleurs, ces îles des antipodes restaient dans les
années 1950 mal reliées à l’Europe et leur singularité semblait évidente aux responsables
locaux. Il y avait, en outre, dans ce souci d’autonomie, la ferme détermination de
conserver leurs avantages fiscaux. Cela explique qu’en 1958, la population de Polynésie
française et de Nouvelle-Calédonie opte pour le statut de TOM, rejetant la solution
départementaliste ou celle de devenir des Etats membres de la Communauté française,
proposée par le gouvernement français ».

4.7. Des statuts de plus en plus différenciés

La diversification croissante des statuts outre-mer depuis les années 1970


Dans le texte initial de la Constitution de 1958, deux catégories de collectivités
territoriales situées outre-mer étaient prévues, en dehors des Etats de la « Communauté
française » : les départements d’outre-mer (DOM) et les territoires d’outre-mer (TOM).
L’expression de « DOM-TOM » était devenue commune pour désigner l’ensemble de
l’outre-mer français.
Mais à partir des années 1970, cette classification dualiste est contournée par la
multiplication de statuts particuliers (Mayotte en 1976, Saint-Pierre-et-Miquelon en 1985,

129
Nouvelle-Calédonie depuis 1985, la Polynésie française), en plus de ceux déjà existant
(TAAF, Wallis-Et-Futuna).

La réforme du cadre constitutionnel de l’outre-mer en 2003


La révision constitutionnelle du 28 mars 2003 relative à l’organisation
décentralisée de la République comporte d’importantes dispositions relatives aux
collectivités territoriales situées outre-mer. On peut d’abord noter que la Constitution
désigne nominativement chacune d’entre elles (article 72-3) et marque ainsi
solennellement leur appartenance à la République. De plus, la notion de « peuples
d’outre-mer » issue du texte de 1958 disparaît dans sa nouvelle rédaction : « la
République reconnaît, au sein du peuple français, les populations d’outre-mer » (article
72-3 alinéa 1er).
La Constitution, qui redéfinit la classification de l’ensemble des collectivités
territoriales, établit les catégories suivantes en outre-mer (article 72) :
- les départements et les régions d’outre-mer (Guadeloupe, Guyane, Martinique, Réunion,
Mayotte) ;
- les collectivités d’outre-mer (Polynésie française, Saint-Barthélemy, Saint-Martin, Saint-
Pierre-et-Miquelon, Wallis-Et-Futuna).
Restent à l’écart de cette classification les deux territoires suivants, qui possèdent
chacun des particularités : la Nouvelle-Calédonie et les Terres australes et antarctiques
françaises (TAAF).

4.8. Un développement encore fragile


Dans ses différents environnements régionaux, la France d’outre-mer jouit d’une
relative prospérité : en effet, ces collectivités apparaissent à leurs voisins comme des
« espaces opulents ». L’ampleur des flux financiers venant de métropole fait de chaque
entité ultramarine un véritable îlot de richesse au sein d’un environnement relativement
pauvre avec lequel chacune d’entre elles entretient des relations ténues. L’opulence de
l’outre-mer par rapport à ses voisins ne va pas sans poser des problèmes d’immigration,
tout particulièrement à Mayotte, en Guyane et à Saint-Martin.
Mais cette prospérité est largement due aux très importantes aides dont l’outre-
mer est destinataire : la prospérité qui apparaît avec la multiplication des hypermarchés
est largement factice, car elle repose presque entièrement sur les transferts de l’Etat et de
l’Union européenne sous forme d’aides diverses, de prestations sociales ou de salaires
artificiellement élevés. Soumises à un ensemble de contraintes naturelles et historiques,
ces économies ultramarines sont aujourd’hui en crise, malgré la mise en œuvre d’outils
d’intervention spécifiques.

4.9. Une situation de dépendance économique


Ces handicaps géographiques ou climatiques génèrent des coûts d’exploitation
plus lourds que ceux des pays voisins et une compétitivité faible, y compris dans des
secteurs où les outre-mer disposent de réels savoir-faire. C’est pourquoi la stratégie
économique à l’égard de ces collectivités a longtemps été fondée sur la seule
compensation des handicaps liés à la distance et à l’insularité. Cette logique n’a
cependant pas suffi à faire émerger des secteurs à forte valeur ajoutée dans les outre-mer.
Malgré la distance, la majorité des échanges commerciaux des collectivités territoriales
d’outre-mer se fait aujourd’hui encore avec la métropole : celle-ci représente, par exemple,

130
50% à 60% des échanges extérieurs des départements d’outre-mer. La faiblesse du taux de
couverture des importations par les exportations participe du déséquilibre des échanges.
Le développement de la production locale constitue donc une priorité pour les pouvoirs
publics.
Les économies ultra-marines reposent, dans la plupart des collectivités territoriales,
sur un nombre réduit de secteurs économiques :
– l’agriculture demeure incontournable, notamment dans les départements d’outre-mer,
et se caractérise par une grande spécialisation des productions ;
– le tourisme représente une source déterminante d’activités dans les Antilles et il s’est
largement développé à la Réunion, en Nouvelle-Calédonie et en Polynésie;
– enfin, le secteur du bâtiment soutient par son dynamisme la croissance des outre-mer
et a profité de la mise en place de dispositifs de défiscalisation.
En complément, il faut rappeler le poids prépondérant de secteurs économiques
spécifiques comme le nickel en Nouvelle-Calédonie ou l’industrie spatiale en Guyane.

4.10. Des difficultés sociales


La persistance de ces déséquilibres économiques a un effet direct sur les
conditions de vie des populations des outre-mer. Le niveau de vie y demeure globalement
inférieur à celui de la métropole : cependant, ce niveau de vie est très sensiblement
supérieur à celui de leur environnement régional.
Le niveau du chômage, qui se situe à près de trois fois la moyenne nationale, reste
très élevé, à 36% de la population active dans les départements d’outre-mer. Cette
situation s’explique en partie par le décalage entre une croissance économique forte et
une évolution démographique plus rapide encore.
Le salaire moyen outre-mer est inférieur de près de 10% pour les emplois les moins
qualifiés, qui sont aussi les plus nombreux. À ce phénomène s’ajoutent des proportions
plus importantes de chômeurs et de bénéficiaires du RMI. Les comparaisons de prix
mettent de surcroît en évidence des décalages importants, parfois jusqu’à 35%, pour des
produits de première nécessité, comme les carburants.

131
Chapitre V : La Francophonie (www.francophonie.org)

5.1. L’Organisation Internationale de la Francophonie


Forte d’une population de plus de 890 millions d’habitants et de 220 millions de
locuteurs de français de par le monde, l’Organisation internationale de la Francophonie
(OIF) a pour mission de donner corps à une solidarité active entre les 75 États et
gouvernements qui la composent (56 membres et 19 observateurs) – soit plus du tiers des
États membres des Nations unies.
La Francophonie est le dispositif institutionnel qui organise les relations politiques
et de coopération entre les États et gouvernements de l’OIF, ayant en partage l’usage de la
langue française et le respect des valeurs universelles.
Le dispositif institutionnel de la Francophonie comprend des instances politiques
décisionnelles dont la plus haute est le Sommet des chefs d’Etat et de gouvernement qui
se réunit tous les deux ans, et le Secrétaire général de la Francophonie, clé de voûte de ce
système. Depuis 2003, le Secrétaire général de la Francophonie est Abdou Diouf, ancien
Président de la République du Sénégal.
La coopération multilatérale francophone est mise en œuvre par l’Organisation
internationale de la Francophonie et quatre opérateurs spécialisés.
L’OIF a été fondée en 1970 sur la base du Traité de Niamey (Niger). Elle mène des
actions politiques et de coopération multilatérale pour donner corps à une solidarité
active au bénéfice des populations de ses Etats et gouvernements membres. Elle agit dans
132
le respect de la diversité culturelle et linguistique et au service de la promotion de la
langue française, de la paix et du développement durable.
La Francophonie dispose d’un organe consultatif, l’Assemblée parlementaire de la
Francophonie (APF).
Les quatre opérateurs spécialisés sont :
1. l’Agence universitaire de la Francophonie (AUF) ;
2. la chaîne internationale de télévision TV5 ;
3. l’Association internationale des maires francophones (AIMF) ;
4. l’Université Senghor.

5.2. Objectifs
Les objectifs de la Francophonie sont consignés dans sa Charte adoptée en 1997 au
Sommet des chefs d’Etat et de gouvernement à Hanoi (Vietnam) et révisée par la
Conférence ministérielle en 2005 à Antananarivo (Madagascar) :
 l’instauration et le développement de la démocratie ;
 la prévention, la gestion et le règlement des conflits, et le soutien à l’État de droit
et aux droits de l’Homme ;
 l’intensification du dialogue des cultures et des civilisations ;
 le rapprochement des peuples par leur connaissance mutuelle ;
 le renforcement de leur solidarité par des actions de coopération multilatérale en
vue de favoriser l’essor de leurs économies ;
 la promotion de l’éducation et de la formation.

5.3. Missions
Les missions de la Francophonie sont définies dans un Cadre stratégique de dix ans
adopté par le Sommet des chefs d’Etat et de gouvernement en 2004 à Ouagadougou
(Burkina Faso) pour la période 2005 – 2014 :
 Promouvoir la langue française et la diversité culturelle et linguistique ;
 Promouvoir la paix, la démocratie et les droits de l’Homme ;
 Appuyer l’éducation, la formation, l’enseignement supérieur et la recherche ;
 Développer la coopération au service du développement durable.
Une attention particulière est accordée aux jeunes et aux femmes, ainsi qu’à l’accès aux
technologies de l’information et de la communication.

5.4. Une histoire de la Francophonie


Le terme « francophonie » est apparu vers la fin du XIXe siècle, pour décrire
l’ensemble des personnes et des pays utilisant le français. Il acquiert son sens commun
lorsque, quelques décennies plus tard, des francophones prennent conscience de
l’existence d’un espace linguistique partagé, propice aux échanges et à l’enrichissement
mutuel. Des hommes et femmes de lettres seront à l’origine de ce mouvement. Quoi de
plus naturel pour une entreprise adossée à l’usage de la langue.

5.5. Premiers pas


Des écrivains initient le processus, dès 1926, en créant l’Association des écrivains
de langue française (Adelf) ; suivent les journalistes, regroupés en 1950 au sein de l’Union
internationale des journalistes et de la presse de langue française (aujourd’hui Union de
la Presse francophone) ; en 1955, une Communauté des Radios publiques francophones

133
est lancée avec Radio France, la Radio suisse romande, Radio canada et la Radio belge
francophone. Cette communauté propose aujourd’hui, avec une audience sans cesse
accrue, des émissions communes diffusées simultanément sur les ondes des radios
membres, contribuant ainsi au renforcement du mouvement francophone à travers le
monde.
En 1960, la première institution intergouvernementale francophone voit le jour
avec la Conférence des Ministres de l’Education (Confemen) qui regroupait au départ 15
pays. Cette conférence ministérielle permanente compte aujourd’hui 41 Etats et
gouvernements membres. Elle se réunit tous les deux ans pour tracer les orientations en
matière d’éducation et de formation au service du développement.
Les universitaires s’en mêlent à leur tour en créant, une année plus tard,
l’Association des universités partiellement ou entièrement de langue française, qui
deviendra, en 1999, l’Agence universitaire de la Francophonie (AUF). L’AUF compte
aujourd’hui 677 établissements d’enseignement supérieur et de recherche répartis dans
81 pays. Elle est l’un des opérateurs spécialisés de la Francophonie.
Le mouvement s’élargit aux parlementaires qui lancent leur association
internationale en 1967, devenue l’Assemblée parlementaire de la Francophonie (APF) en
1997. Elle regroupe actuellement 65 parlements membres et 11 observateurs et
représente, selon la Charte de la Francophonie, l’Assemblée consultative du dispositif
institutionnel francophone.

5.6. L’avènement de la coopération francophone


« Dans les décombres du colonialisme, nous avons trouvé cet outil merveilleux, la
langue française », aimait à répéter le poète Léopold Sédar Senghor, ancien président du
Sénégal. Une formule qui reflète la philosophie des pères fondateurs de la Francophonie
institutionnelle – Senghor et ses homologues tunisien, Habib Bourguiba et nigérien,
Hamani Diori, ainsi que le Prince Norodom Sihanouk du Cambodge – et qui consiste à
mettre à profit le français au service de la solidarité, du développement et du
rapprochement des peuples par le dialogue permanent des civilisations.
C’est là tout l’objet de la signature à Niamey, le 20 mars 1970, par les
représentants de 21 Etats et gouvernements, de la Convention portant création de
l’Agence de coopération culturelle et technique (ACCT). Nouvelle organisation
intergouvernementale fondée autour du partage d’une langue commune, le français,
chargée de promouvoir et de diffuser les cultures de ses membres et d’intensifier la
coopération culturelle et technique entre eux. Le projet francophone a sans cesse évolué
depuis la création de l’ACCT devenue, en 1998 l’Agence intergouvernementale de la
Francophone et, en 2005, l’Organisation internationale de la Francophonie.
En 1986 est inauguré le premier des Centres de lecture et d’animation culturelle –
Clac – qui offrent aux populations des zones rurales et des quartiers défavorisés un accès
aux livres et à la culture. On en dénombre aujourd’hui 295, répartis dans 21 pays. En
1993, le premier MASA, Marché des arts du spectacle africain est organisé à Abidjan (Côte
d’Ivoire). Parallèlement, un programme d’appui à la circulation des artistes et de leurs
œuvres est lancé ouvrant les frontières aux créations d’arts vivants : théâtre, danse,
musique. En 2001, l’Agence crée un nouveau prix littéraire, le Prix des cinq continents de
la Francophonie, qui consacre chaque année un roman de langue française.
Dans les années 70 et 80, les réseaux francophones s’organisent. Un Conseil
international des radios télévisions d’expression française (CIRTEF) est créé en 1978.

134
Composé aujourd’hui de 44 chaînes de radiodiffusion et de télévision utilisant
entièrement ou partiellement la langue française, il développe la coopération entre elles,
par l’échange d’émissions, la coproduction et la formation des professionnels. En 1979, à
l’initiative de Jacques Chirac, maire de Paris, les maires des capitales et métropoles
partiellement ou entièrement francophones créent leur réseau : L’Association
internationale des maires francophones (AIMF) deviendra, en 1995, un opérateur de la
Francophonie.
En 1984, la chaîne de télévision francophone TV5 naît de l’alliance de cinq
chaînes de télévision publiques. Transportée par 44 satellites, reçue dans 189 millions de
foyers de par le monde, elle constitue le principal vecteur de la Francophonie : la langue
française, dans la diversité de ses expressions et des cultures qu’elle porte.

5.7. Une nouvelle dimension politique


Le Sommet des chefs d’État et de gouvernement des pays ayant le français en
partage, communément appelé « Sommet de la Francophonie », se réunit pour la
première fois en 1986 à Versailles (France), à l’invitation du Président de la République
française François Mitterrand. 42 Etats et gouvernements y participent et retiennent
quatre domaines essentiels de coopération multilatérale : le développement, les
industries de la culture et de la communication, les industries de la langue ainsi que le
développement technologique couplé à la recherche et à l’information scientifique.
Depuis 1986, 12 Sommets de la Francophonie se sont réunis.
Ces concertations politiques au plus haut niveau ont progressivement renforcé la
place de la Francophonie sur la scène internationale, tout en élargissant ses champs
d’action et en améliorant ses structures et modes de fonctionnement.
Pour être plus conforme à la dimension politique qu’elle a acquise, la Francophonie
est dotée sur décision du Sommet de Cotonou (1995, Bénin) d’un poste de Secrétaire
général, clé de voûte du système institutionnel francophone.
Abdou Diouf, ancien Président de la république du Sénégal, est élu Secrétaire
général de la Francophonie au Sommet de Beyrouth. Il impulse une nouvelle dynamique à
l’Organisation dans ses deux volets : les actions politiques et la coopération pour le
développement. Une nouvelle Charte de la Francophonie adoptée par la Conférence
ministérielle à Antananarivo (Madagascar) en 2005, rationalise les structures de la
Francophonie et ses modes de fonctionnement et consacre l’appellation d’Organisation
internationale de la Francophonie.
A la culture et à l’éducation, domaines originels de la coopération francophone,
se sont ajoutés, au fil des Sommets, le champ politique (paix, démocratie et droits de
l’Homme), le développement durable, l’économie et les technologies numériques.
L’Institut de l’énergie et de l’environnement de la Francophonie voit le jour à
Québec en 1988 et un Institut des nouvelles technologies de l’information et de la
formation doté d’un Fonds des inforoutes remplace l’Ecole internationale de Bordeaux en
1998.
En 2000 au Mali, la « Déclaration de Bamako », premier texte normatif de la
Francophonie en matière de pratiques de la démocratie, des droits et des libertés est
adoptée. La Francophonie se dote ainsi de pouvoirs contraignants face à ses membres qui
ne respectent pas les valeurs démocratiques communes.

135
5.8. Au plus près des populations
Avec les premiers Jeux de la Francophonie en 1989, la Francophonie
institutionnelle prend une dimension populaire et se met à l’écoute de la jeunesse : le
Maroc accueille 1700 jeunes de 31 pays francophones autour de concours culturels et
sportifs. Depuis, les jeux se tiennent tous les quatre ans : France (1994), Madagascar
(1997), Canada-Québec (2001), Niger (2005) et Liban (2009).

136

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