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MECCANICA

QUANTISTICA
Libri di Testo:

 DISPENSE ISTITUZIONI DI FISICA TEORICA (Camiz – Capuani)


 MECCANICA QUANTISTICA MODERNA (J. J. Sakurai)

Università degli studi di Roma “La Sapienza”

Laurea Triennale in Fisica

Anno Accademico 2006-2007


Lezioni del docente: G. Martinelli, M. Testa

Ultimo Aggiornamento: 10/06/2007

Per qualsiasi appunto e/o correzione: ricmail@libero.it

Riccardo Pompili.
Appunti di * Meccanica Quantistica * - Anno Accademico 06/07 Riccardo Pompili

MOMENTO ANGOLARE E REGOLE DI COMMUTAZIONE: ................................................. - 3 -


AUTOVALORI E AUTOVETTORI DEL MOMENTO ANGOLARE: ............................................ - 4 -
ELEMENTI DI MATRICE DEGLI OPERATORI DI MOMENTO ANGOLARE: ............................. - 6 -
MOMENTO ANGOLARE ORBITALE: ............................................................................... - 8 -
MOMENTO ANGOLARE E COMMUTATORI DI POSIZIONE, IMPULSO E DISTANZA: ............ - 10 -
L’ATOMO DI IDROGENO: .......................................................................................... - 11 -
QUANTIZZAZIONE DELL’ATOMO DI IDRO GENO: .......................................................... - 14 -
CONSIDERAZIONI FISICHE E DEGENERAZIONE DEI LIVELLI ENERGETICI: ......................... - 17 -
DEFINIZIONE DI SPIN E RELAZIONI DELL’OPERATORE NELLO SPAZIO: ........................... - 18 -
COMPOSIZIONE DI MOMENTI E COEFFICIENTI DI CLEBSCH -GORDAN: ............................ - 20 -
AUTOVALORI E AUTOVETTORI NELLE COMPOSIZIONI DI MOMENTI ANGOLARI: .............. - 22 -
EQUAZIONE DI PAULI PER PARTICELLE IN UN CAMPO ELETTROMAGN ETICO: ................. - 25 -
EQUAZIONE DI PAULI ED ESPERIMENTO QUANTISTICO DEL SOLENOIDE: ....................... - 28 -
MATRICI ORTOGONALI E COVARIANZA PER ROTAZIONI: .............................................. - 31 -
MOMENTO ANGOLARE COME GENERATORE DI ROTAZIONI: ......................................... - 33 -
ALGEBRA DELLE ROTAZIONI: .................................................................................... - 35 -
ESPERIMENTO DELLA DOPPIA FENDITURA: ................................................................ - 36 -
PARTICELLE IDENTICHE: ........................................................................................... - 38 -
POSTULATO DI SIMMETRIZZAZIONE: ......................................................................... - 40 -
SISTEMA DI DUE ELETTRONI ED APPROSSIMAZIONE PER L’ATOMO DI ELIO: .................. - 41 -
COSTRUZIONE DI FUNZIONI SIMMETRICHE E ANTISIMMETRICHE: ................................. - 42 -
TEORIA PERTURBATIVA INDIPENDENTE DAL TEMPO (CASO NON DEGENERE): ................ - 43 -
TEORIA PERTURBATIVA INDIPENDENTE DAL TEMPO (CASO DEGENERE): ........................ - 46 -
PRINCIPIO VARIAZIONALE: ....................................................................................... - 47 -
TEORIA PERTURBATIVA DIPENDENTE DAL TEMPO: ...................................................... - 48 -

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Appunti di * Meccanica Quantistica * - Anno Accademico 06/07 Riccardo Pompili

MOMENTO ANGOLARE E REGOLE DI COMMUTAZIONE:


Il concetto di momento angolare è di grande interesse per una trattazione completa della Meccanica
Quantistica e, in generale, della Fisica Moderna. Le sue svariate applicazioni, infatti, sono essenziali
nei problemi d’urto o in campo atomico e nucleare, dove è di fondamentale importanza per la
definizione di concetti come lo spin1 nelle particelle elementari e così via...
Una premessa che è utile dare è che lo spazio in cui opereremo è sempre lo spazio vettoriale
complesso di Hilbert e che la notazione che verrà sin d’ora seguita sarà quella introdotta da Dirac.
Per incominciare la trattazione introduco proprio l’operatore momento angolare definito nella forma
M x p,
a cui sarà conveniente per semplificare sostituire (prossimo paragrafo) l’operatore adimensionale
M 2
K .

Trattandosi di un prodotto matriciale, è bene definire il cosiddetto formalismo di ε nello sviluppo
dei calcoli sul momento angolare, che potrà così essere espresso nella maniera seguente:
Mi ijk x j pk ,
3
dove il fattore ijk vale +1 se si rispetta l’ordine 1231 e -1 in caso contrario. È bene chiarire

il suo senso andandosi a calcolare direttamente le espressioni per M1 , M 2 , M 3 , date da:

1. M1 1 jk x j pk x p3
123 2 x p2
132 3 x2 p3 x3 p2 .

2. M 2 2 jk x j pk x p3
213 1 x p1
231 3 x1 p3 x3 p1 .

3. M 3 3 jk x j pk x p2
312 1 x p1
321 2 x1 p2 x2 p1 .

Una volta fatte le dovute introduzioni, posso cominciare a calcolare il commutatore [M1, M 2 ] .

Dimostrazione:
[M1 , M 2 ] [ x2 p3 x3 p2 , x3 p1 x1 p3 ] [ x2 p3 , x3 p1 ] [ x3 p2 , x1 p3 ] , che eseguendo i vari conti ci dà

e cioè ho dimostrato che [M1 , M 2 ] iM 3 .


Posso quindi concluderne che per la commutazione dei momenti assiali vale la regola generale
[ M i , M j ] i ijk Mk ,

meglio nota come relazione fondamentale di commutazione del momento angolare. È bene
precisare che da questa importante regola generale è possibile anche trarre le seguenti conclusioni:

1
Il concetto di spin verrà chiarito nelle pagine più avanti.
2
Il momento angolare M è hermitiano e quindi lo sarà anche K.
3
NB: ε è un operatore antisimmetrico.

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M k è il generatore della rotazione attorno all’asse k.

Le rotazioni attorno ad assi diversi non commutano.


A questo punto tornerà molto utile il fatto che M commuta con il suo modulo quadro4, cioè vale
[M k , M 2 ] 0 ,
e questo significa che sarà possibile costruire una base di autovettori simultanei per diagonalizzarli.
Dimostrazione:
Svolgendo i conti (scelgo la terza componente del momento angolare ma i calcoli sono identici per
le altre due) avrei [M 2 , M 3 ] [M12 , M 3 ] [M 22 , M 3 ] [M 32 , M 3 ] [M 3 , M12 ] [M 3 , M 22 ] , dove si
vede immediatamente che il terzo commutatore vale zero (il modulo quadro è funzione di M...);
poiché vale la regola algebrica [ A, BC ] [ A, B]C B[ A, C ]  ottengo allora l’espressione
[M3 , M1 ]M1 M1[M3 , M1 ] [M 3 , M 2 ]M 2 M 2 [M 3 , M 2 ] i ( M 2 M1 M1M 2 M1M 2 M 2 M1 )
che dà risultato nullo!

AUTOVALORI E AUTOVETTORI DEL MOMENTO ANGOLARE:


Una volta vista l’utile relazione [ M k , M 2 ] 0 è possibile incominciare la ricerca degli autovalori e
autovettori dell’operatore momento angolare. Scrivo quindi che

e, come anticipato, passo ad utilizzare l’operatore adimensionale K al posto di M che verifica


sempre la relazione [ Ki , K j ] i ijk Kk e anche le altre dimostrate in seguito. Le relazioni andranno

quindi riscritte come K 2 | , m | ,m e Kk | , m m | , m . È opportuno anche


introdurre due nuovi operatori hermitiani detti operatori a scala dati da:
K K1 iK2  operatore di creazione.

K K1 iK2  operatore di annichilazione.

Prendendo, ad esempio, la terza componente del momento ho che il commutatore [ K3 , K ] K .


Dimostrazione:
Utilizzando quanto detto [ K3 , K ] [ K3 , K1 iK2 ] i( K2 i( K1 )) iK2 K1 (K1 iK2 ) K .

Ora analizzo le relazioni che intercorrono tra K e K 2 , K3 sulle equazioni agli autovalori:

K | ,m sono autovettori di K 2 associati all’autovalore λ.

4
Il modulo quadro di M è definito da M2 M12 M 22 M 32 .

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Dimostrazione:
K 2 (K | , m ) K (K 2 | , m ) K | ,m dove ho utilizzato la relazione [ Kk , K 2 ] 0

(perché è funzione di ed ho già visto che [ M k , M 2 ] 0 ). Vale inoltre l’affermazione:

K | ,m è autovettore di K3 con autovalore m 1  operatore di creazione.

Dimostrazione:
.
Ovviamente avrò anche la relazione (con dimostrazione simile alla precedente):
K | ,m è autovettore di K3 con autovalore m 1  operatore di distruzione.

Si dimostra facilmente anche che ( K K )† K †K † K K , cioè è un operatore hermitiano. Il

prodotto K K può anche essere riscritto come K 2 K32 K3 5; stessa cosa per K K che si può

riscrivere come K 2 K32 K3 .


Dimostrazione:
K K ( K1 iK2 )( K1 iK2 ) K12 K22 i[ K1 , K2 ] K12 K22 K3 K 2 K32 K3 .
Vista anche l’analogia fin qui avuta con l’oscillatore armonico, è bene porsi la domanda: esiste un
massimo ( creazione) e/o un minimo ( distruzione) nell’applicazione ripetuta di K ? A tal

proposito è utile scriversi i valori medi di K K e di K K sull’autostato | , m :

,m | K K | ,m m2 m 0 6 perché coincide con la norma di K | , m .

,m | K K | ,m m2 m 0 perché coincide con la norma di K | , m .

Poiché gli operatori K agiscono solo sugli autovalori m, ho che λ non viene toccato visto che è

l’autovalore di K 2 . Giungo così alla conclusione che esistono un massimo e un minimo per
l’applicazione ripetuta degli operatori di creazione e distruzione; valgono quindi le affermazioni:
K | , mMAX 0  la norma si annulla e avrei 2
mMAX mMAX 0.

K | , mMIN 0  la norma si annulla e avrei 2


mMIN mMIN 0.
Se ora nella risoluzione della prima equazione parametrizzo λ, cioè scrivo che vale la relazione
l (l 1) 7,

ottengo che l (l 1) mMAX (mMAX 1) 0 mMAX l e quindi ho la soluzione che cercavo.

5
Ecco l’utilità di aver introdotto l’operatore adimensionale K: non ci sono quindi problemi a sommare quadrati e non…
6
Vale infatti K K K2 K32 K3 , dove l’autovalore di K 2 è λ e quello di K3 è m.
7
Risolvendo l’equazione quadratica in l avrei l ( 1 1 4 ) / 2 ed escludo la soluzione negativa perché 0.

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Analogamente, nella seconda equazione la parametrizzazione l (l 1) fa sì che riesca ad avere

l’equazione l (l 1) mMIN (mMIN 1) 0 l (1 l ) mMIN (1 mMIN ) mMIN l. Tutto questo


significa due cose molto importanti:
che l’autovalore m è compreso nell’intervallo [ l , l ] .
che l’autovalore m scende o avanza di un numero intero perché si sposta da –l a +l in seguito
all’applicazione ripetuta di K  m può essere un numero intero o semi-intero.

Quindi, poiché tra –l e +l c’è un numero intero di passi  l ( l ) 2l , ne concludo che l è un


intero o semi-intero non negativo. Dalla scelta di l avrò più combinazioni possibili di autovettori:
l=0  l’unico autoket che può essere associato a questa scelta è | 0, 0 .
1 1 1 1
l=½  ho due possibilità: | , oppure | , .
2 2 2 2
l=1  ho tre possibilità: |1,1 , |1, 0 e |1, 1 .
Siccome λ risulta di volta in volta fissato8, le varie combinazioni possibili di m determinano anche il
grado di degenerazione dell’operatore K3 (di cui m è autovalore). Si intuisce dalla tavola

precedente che le possibili combinazioni (per m!) sono 2l 1  quindi ho anche una degenerazione
pari a 2l 1…

ELEMENTI DI MATRICE DEGLI OPERATORI DI MOMENTO ANGOLARE:


Riassumendo brevemente quanto detto prima, ho trovato le relazioni [ Ki , K j ] i ijk Kk e anche

[ K 2 , K k ] 0 ; ho scritto inoltre l’equazione agli autovalori per K 2 e K3 (con l (l 1) ):

K 2 | l, m l (l 1) | l , m
.
K3 | l , m m | l, m
Arrivati a questo punto, specifico in maniera più chiara come agiscono gli operatori di
9
creazione/distruzione K sulla norma; devo cioè avere che

K | l, m c(l , m) | l , m 1
,
K | l, m d (l , m) | l , m 1
dove i valori c e d possono essere trovati andando a riscrivere proprio la norma data da:

l, m | K K | l, m c 2 (l , m) l (l 1) m(m 1) K | l, m l (l 1) m(m 1) | l , m 1
.
l, m | K K | l, m d 2 (l , m) l (l 1) m(m 1) K | l, m l (l 1) m(m 1) | l , m 1

8 2
L’operatore K non ha quindi degenerazione (è associato all’autovalore λ) e risulta fissato.
9
Questi operatori mantengono il modulo fisso mentre la loro fase globale rimane arbitraria.

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Ho finalmente una illustrazione completa su come operino gli operatori di creazione e distruzione.
Possiamo quindi entrare nel dettaglio e andarci a calcolare direttamente gli elementi di matrice degli
operatori K1 , K2 , K3 nel caso bidimensionale10, cioè quando l 1/ 2 .
Prima però vado a vedere come agiscono gli operatori sui due autovettori che ho ottenuto:
1 1
K | , 0
2 2
1 1 1 1 1 1 1 1 1 1
K | , 1 1 | , 1 | ,
2 2 2 2 2 2 2 2 2 2

1 1
K | , 0
2 2
1 1 1 1 1 1 1 1 1 1
K | , 1 1 | , 1 | ,
2 2 2 2 2 2 2 2 2 2

Sono in grado a questo punto trovarmi i quattro elementi di matrice11 di K e quindi di K1 , K2 , K3 ,

K K K K
sapendo che valgono le relazioni inverse K1 e K2 i ; scrivo quindi che
2 2
1 1 1 1 1 1 1 1
, |K | , , |K | ,
2 2 2 2 2 2 2 2 0 1
K
1 1 1 1 1 1 1 1 0 0
, |K | , , |K | ,
2 2 2 2 2 2 2 2

1 1 1 1 1 1 1 1
, |K | , , |K | ,
2 2 2 2 2 2 2 2 0 0
K
1 1 1 1 1 1 1 1 1 0
, |K | , , |K | ,
2 2 2 2 2 2 2 2
Svolgendo i vari conti posso trovarmi le rappresentazioni matriciali che rappresentano il momento:

Tali matrici ricordano molto le matrici di Pauli12 i date da:

per questo posso concludere che esiste una stretta relazione tra queste due rappresentazioni data da:
1
Ki i .
2

10
La dimensione dello spazio di appartenenza è pari al numero di possibili combinazioni di m  così nel caso di
l 1/ 2 ho due possibili valori e quindi lo spazio sarà bidimensionale ( matrici 2x2).
11
NB: trattandosi di matrici hermitiane, ho che autoket diversi sono tra loro ortogonali.
12
Queste matrici godono di diverse proprietà: anticommutatività, determinante pari a -1 e il loro quadrato dà l’identità.

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Posso quindi concludere di aver risolto il problema di come rappresentare M x p nello spazio.
Una regola generale per avere gli elementi di matrice delle componenti del momento angolare M è
quella che segue la forma definita nella figura seguente.

In questa particolare rappresentazione ( corrisponde ad una particolare scelta di base), detta


rappresentazione irriducibile, i blocchi grigi rappresentano delle sotto-matrici quadrate di
dimensione (2 j 1) (2 j 1) che, fissata la base, non sono ulteriormente riducibili.

MOMENTO ANGOLARE ORBITALE:


Finora la questione del momento angolare è stata affrontata e risolta utilizzando le relazioni esistenti
con i commutatori, introducendo di volta in volta nuovi operatori ai fini del calcolo. Però la forma
del momento angolare, data da M x p , può essere vista anche come equazione differenziale del

primo ordine (basta ricordare che px i / x ) e posso quindi scriverla nella forma seguente:

d d
M3 xp y ypx i x y .
dy dx
Per lo svolgimento dei calcoli risulta particolarmente utile passare dalle coordinate cartesiane a
quelle sferiche, richiamando alla mente che le relazioni adatte al cambiamento di base sono date da

x r sin cos r x2 y2 z2
y r sin sin arccos( z / r ) ;
z r cos arctan( y / x)

A questo punto cerco di trovare l’espressione di e in funzione del cambio di coordinate:

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r 13
,
x x r x x
dove andrò a risolvere ora le singole derivate. Avrò quindi che sussistono le corrispondenze:
r x xz y
  2
x r x r 2 x2 y2 x x y2
.
r y yz x
 
y r y r 2 x2 y2 y x2 y2

Posso perciò scrivere la forma finale del momento angolare che sarà data da
d
M i .
d
Dimostrazione:
d d
Basta andare a sostituire quanto appena trovato nell’equazione M 3 xp y ypx i x y
dy dx
e si vede che rimane solo l’ultimo termine, che mi darà quindi l’espressione del momento angolare.
Se ora vado a risolvere l’equazione agli autovalori con un’autofunzione R(r )Y ( , )  ho che:

dY (r , , ) 14
M 3Y (r , , ) mY (r , , ) i ,
d
dove l’autofunzione Y associata all’autovalore m che la risolve è del tipo
Y F ( ) exp(im ) .
In questo momento nasce però un problema dovuto essenzialmente alle singolarità associate alle
coordinate polari: queste infatti sono periodiche (in 2π) e quindi lo sarà anche la parte exp(im ) 
devo avere che exp(im( 2 )) exp(im ) exp(im2 ) cos(m2 ) i sin(m2 ) 1 , e quindi
(circa l’argomento del coseno) devo avere cioè che m sia un numero intero!
Questa soluzione però contrasta appieno con quanto precedentemente trovato utilizzando le
relazioni sui commutatori, dove avevo che m poteva essere anche un semi-intero! Devo buttare
quindi la metà delle soluzioni precedentemente trovate  sono così portato a dire che quello che ho
ottenuto con questo ragionamento non è il momento angolare della forma M x p  lo definisco
L x p,
dove L ora indica il momento angolare orbitale.
Questa apparente incongruenza può essere risolta, come si vedrà in seguito, introducendo lo spin.
Sempre in coordinate polari posso riscrivermi anche gli operatori introdotti nei paragrafi precedenti:

13
Avrò una cosa del tutto simile per la y…
14
m è l’autovalore associato a K3 M 3 /  ; ho scritto solo Y e non Ψ perché M 3 non dipende da r (coordinate polari)

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K exp( i ) i cot .

2
2 1
K sin sin .
sin 2 2

Avrò quindi le equazioni agli autovalori da risolvere espresse dalle uguaglianze


K 2Yl ,m ( , ) l (l 1)Yl ,m ( , ) 15
.
K 3Yl ,m ( , ) mYl ,m ( , )

Dimostrazione:
Scrivendo l’equazione agli autovalori per K dove Y (l’armonica sferica di prima) è un

autofunzione con la condizione m l , cioè Yl ,l F ( ) exp(il )  avrò così l’equazione

exp(i ) i cot F ( ) exp(il ) 0 , perché K | l, l 0 (infatti l è proprio il limite

superiore per l’applicazione ripetuta di K ). Andando a svolgere i calcoli per le derivate parziali

ottengo 0 F/ lF ( ) cot che può essere facilmente risolta in F e  mi darà la soluzione:


16
Yl ,l A exp(il )sin l .

MOMENTO ANGOLARE E COMMUTATORI DI POSIZIONE, IMPULSO E DISTANZA:


In questa sezione andremo a calcolare altri commutatori dell’operatore momento angolare M che
saranno molto importanti nell’affrontare il successivo capitolo.
Inizio col dimostrare che vale la relazione con l’impulso
[ M i , p j ] i ijm pm .

Dimostrazione:
Basta calcolarsi il commutatore
[M i , p j ] [ x pm , p j ]
ilm l ilm pm [ xl , p j ] i ilm pm l, j i ijm pm

Prima di passare al prossimo commutatore (con la posizione), è


utile vedere che il risultato ottenuto prima coincide (almeno
nell’ultima parte) proprio con il prodotto (ni p) j , dove ho

15
Y è la parte in ( , ) dell’autofunzione Ψ: infatti K 2 , K3 non dipendono da r  la parte in r si semplifica. Y
corrisponde (come si vedrà tra un attimo) proprio alla funzione armonica sferica introdotta poco prima.
16 l
NB: la soluzione dell’equazione differenziale sarebbe F A sin e quindi, visto che Y F (r , ) exp(im ) 
la soluzione completa conterrà anche l’ultimo termine di fase.

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indicato, secondo la classica notazione, con ni il versore dell’asse i-esimo. Svolgendo il calcolo

posso infatti scrivere che (ni p) j n pb


jab i , a jib pb , dove ni ,a i ,a .

Questo significa che M è il generatore di rotazioni, come avevamo osservato in precedenza; ho


quindi una variazione infinitesima di p facendo una rotazione infinitesima lungo l’asse i.
Posso quindi passare a dimostrare che per la posizione vale [M i , x j ] i x .
ijm m

Dimostrazione:
17
Come prima ho che [M i , x j ] [ ilm l x pm , x j ] x [ pm , x j ]
ilm l i ilm l x m, j i x
ilj l i x
ijm m .

Gli ultimi commutatori che andrò a trovare sono con i quadrati di impulso e posizione, e valgono 0.
Dimostrazione:
[M i , p2 ] [M i , p j p j ] [M i , p j ] p j p j [ M i , p j ] i ijk pk p j i ijk p j pk 0 . La dimostrazione è

del tutto equivalente per svolgere [M i , x2 ] 0 .


Queste ultime due relazioni sono molto importanti perché sapendo che l’hamiltoniana è della forma
p2
H V (r ) ,
2m

con r x2 y2 z 2  ho che H H ( p2 , x2 ) e quindi posso arrivare all’importante conclusione

[M i , H ] 0 ;
è quindi possibile costruire una base comune di autovettori simultanei, e inoltre ottengo anche che
l’hamiltoniana si presenta invariante rispetto alle rotazioni. Inoltre, avendo trovato prima che le
autofunzioni sono le armoniche sferiche  le equazioni agli autovalori sono semplicemente date da
H n ( x) En n ( x)
M2 n ( x) a n ( x)
M3 n ( x) b n ( x)
 la dipendenza angolare delle autofunzioni dell’energia è fissata a priori.

L’ATOMO DI IDROGENO:
Il sistema atomico più semplice da studiare è l’atomo di idrogeno H. Classicamente lo si è sempre
raffigurato con il cosiddetto modello planetario, ossia immaginando un nucleo costituito da un
protone (carica positiva) fermo e un elettrone (carica negativa) che vi ruota attorno. È bene
precisare subito che la massa dell’atomo è quasi tutta contenuta nel nucleo visto che la massa del
protone è parecchie volte più grande di quella dell’elettrone (circa 2000 volte), e cioè .

17
Ho cambiato l’ordine degli indici muti e per questo ε ha cambiato segno.

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Questo modello, comunque, non convinceva già prima dell’avvento della Meccanica Quantistica
per vari problemi non risolti che si portava dietro; quelli principali erano due:
Se fosse vero che la carica negativa dell’elettrone ruota attorno al protone  avrei un
generatore di onde elettromagnetiche18: queste, in quanto onde, portano con se una certa
quantità di energia che quindi sfugge all’atomo. Osserverei quindi un graduale collasso
dell’elettrone sul nucleo protonico, cosa che sperimentalmente non si è mai osservata19.
Proiettando un fascio di luce su un gas formato da atomi di idrogeno, questo eccita gli
elettroni che si sposterebbero su un’altra orbita  classicamente mi aspetto di osservare uno
spettro continuo, cioè assumo che l’elettrone possa trovarsi in una qualsiasi posizione (o
orbita) in base all’energia trasportata dal fascio di luce. Sperimentalmente, invece, osservo
uno spettro a righe, cioè l’elettrone può saltare solo su orbitali ben precise  quantizzate.
La Meccanica Quantistica riesce a risolvere entrambi i problemi secondo quanto segue:
Se l’elettrone precipitasse sul nucleo, un osservatore sperimentale potrebbe sapere, con
certezza assoluta, dove si trova in quel momento l’elettrone e che velocità avrebbe
(ovviamente nulla, visto che collassa!)  ci sarebbe una violazione del principio di
indeterminazione di Heisemberg x p  / 2 . Quindi, semplicemente, tale principio vieta
che si possa verificare questa situazione.
Per la quantizzazione delle orbitali dell’atomo di idrogeno non bisogna aggiungere nulla
poiché si è già visto (nel caso dell’oscillatore armonico e del momento angolare) che gli
stati possibili sono quantizzati.
Nonostante possa assumere che il nucleo rimanga fermo (vista la sua preponderanza in fatto di
massa) e l’elettrone vi giri attorno, considero invece il problema dei due corpi20 e mi sposto nel
sistema del loro baricentro.
L’Hamiltoniana del sistema complessivo è data (prima ancora di passare nel nuovo sistema) da:
p12 p22
H V (| x1 x2 |) ,
2m1 2m2

e per risolvere l’equazione agli autovalori H ( x1, x2 ) En ( x1, x2 ) ho bisogno di ben sei relazioni
(visto che le due posizioni sono espresse, ognuna, da 3 incognite x,y,z).
Passando al nuovo sistema del baricentro, avrò un doppio cambio di coordinate (visto che passo al
nuovo sistema in x e X…) che verificano le relazioni

18
Una carica elettrica in movimento genera attorno a sé un campo elettromagnetico…
19
Nell’ipotesi assurda di un collasso di questo genere, il tempo necessario sarebbe praticamente zero  sarebbe
collassato quasi immediatamente!
20
Verrà così introdotta anche la cosiddetta massa ridotta (il tutto in un sistema complessivamente fittizio).

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  
m1 x1 m2 x2   
X  x x1 x2 ,
M
dove M m1 m2 e inoltre x x1 x2 è chiamata la coordinata relativa.
Cambieranno così anche i momenti, visto che continuano a valere le relazioni p i / x …
Dimostrazione:
Occorre riscrivere le derivate parziali21 che, visto lo specifico cambio di coordinate saranno date da
2 2
m1 p12 2 2 m1 2 2 2
2m1
x1 M X x 2m1 2m1 x1 2m1 M X2 x2 X x
2
.
2
m2 p12 2 2 m2 2 2 2
2m2
x2 M X x 2m2 2m2 x2 2m2 M X2 x2 X x

Usando la notazione del laplaciano x


2
/ x 2  posso riscrivere la nuova hamiltoniana come

2 2
H X x V ( x) 22,
2M 2
dove è ciò che va sotto il nome di massa ridotta.
A questo punto, nel risolvere l’equazione agli autovalori H ( x, X ) E ( x, X ) conviene

scomporre l’autofunzione nella maniera ( x, X ) 1 (X ) 2 ( x)  ora il laplaciano agisce solo


sulla funzione con la coordinata “giusta” e lascia invariata l’altra. Avviene cioè che l’equazione ci
2 2
darà 2 ( x) X 1( X ) 1 (X ) x 2 ( x) (V ( x) E ) 1 (X ) 2 ( x) 0 ; inoltre provo a
2M 2
dividere il tutto per 1 (X ) 2 ( x) ed ottengo che

2 X (X )
1 2 x 2 ( x)
(V ( x) E ) 0.
2M 1(X ) 2 2 ( x)

Poiché si tratta di funzioni a variabili separate, affinché il risultato sia sempre nullo è necessario che
la prima (in X) sia in realtà una costante23; ed ora vado ad imporre proprio questo, cioè ammetto che
2 (X ) 2
X 1
EB X 1 (X ) EB 1 ( X ) 24.
2M 1(X ) 2M

21
NB: devo riscrivere le derivate parziali come .
22
La forma della nuova hamiltoniana è nella forma espressa dal noto Teorema di König, dove è possibile separare il
termine cinetico in due parti: nella prima è contenuta la quantità del sistema del baricentro (o del centro di massa)
mentre nella seconda è presente la parte relativa alla massa ridotta (relativa ai moti interni).
23
Infatti il potenziale dipende solo da x e non da X…
24
Sempre in accordo col caso classico e col Teorema di König, riesco ad avere che in assenza di forze esterne (
infatti l’hamiltoniana da cui sono partito è costante visto che mi trovo sempre in sistemi conservativi) l’energia cinetica
del sistema del baricentro è costante (la derivata seconda è nulla) e si muove di moto rettilineo uniforme; classicamente
avrei detto che la quantità di moto del centro di massa è costante nel tempo.

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Posso infine andare a riscrivere l’equazione “completa”, che in virtù del primo termine costante sarà
2
x 2 ( x) V ( x) 2 ( x) (E EB ) 2 ( x) .
2
L’equazione appena ottenuta ha una forma del tutto simile al caso in cui ipotizzavo il protone fermo
(a causa della sua massa molto più grande rispetto a quella dell’elettrone) e l’elettrone mobile che
girava in orbite  in quel caso avrei subito scritto che il problema agli autovalori da risolvere
sarebbe stato semplicemente espresso da
2
( x) V ( x) ( x) E ( x) .
2me
La stessa può essere riscritta in coordinate polari, cosa che ci tornerà utile nel prossimo paragrafo:

2 1 1 1 2
r2 sin V (r ) E ,
2 r2 r r 2
r sin r sin 2
2 2

con l’autofunzione espressa sempre dalla forma Y ( , ) R(r ) .

QUANTIZZAZIONE DELL’ATOMO DI IDROGENO:


Riprendendo l’equazione agli autovalori trovata alla fine del precedente paragrafo 

2 1 1 1 2

2
r2 2
sin V (r ) E
2 r r r r sin r sin 2
2 2

provo a risolverla, sapendo anche che per gli atomi (idrogenoidi e non) il potenziale è di tipo
coulombiano e quindi della nota forma
Ze2
V (r ) ,
r
dove Z indica il numero di protoni (e quindi elettroni) ed e è la carica dell’elettrone (uguale, in
modulo, a quella del protone…).
Noto subito che il secondo e terzo membro della parentesi quadra non rappresentano nient’altro che
l’operatore K 2 scritto in coordinate polari, per il quale si può scrivere che K 2 l (l 1) . Inoltre
sostituendo Y ( , ) R(r ) nell’equazione, si possono operare delle semplificazioni 
sopravvive solo il termine R(r ) , mentre scompare Y ( , ) . Ottengo quindi l’equazione che segue:

2 1 R(r ) 1
2
r2 l (l 1) R(r ) V (r ) R(r ) ER(r ) .
2 r r r r2

Sempre riguardo al potenziale nell’atomo di idrogeno (e similari) ho che questo segue l’andamento
indicato dal grafico a pagina seguente.

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In particolare si vede che V ( ) 0 e che il potenziale è tutto negativo nel finito  questo
significa che l’hamiltoniana che caratterizza tutto il sistema lega tra di loro le particelle che
altrimenti sarebbero svincolate25. A questo punto opero le seguenti sostituzioni:

r , con 8m | E | / 

2mZe2 /  2
 ottengo la seguente equazione differenziale, scritta in una forma più compatta e semplice:
1 2 R( ) 1 l (l 1)
2 2
R( ) 0 .
4
Per iniziale a definire meglio la funzione risolutrice R è bene fare varie considerazioni sul suo
andamento tenendo sempre presente che la norma dell’autofunzione Ψ è rappresentata dall’integrale

| |2 d 3 x | R( ) |2 2
d | Y |2 d 1
0 4

e deve quindi convergere in tutto l’intervallo dove sono definite R e Y.


È possibile dire che asintoticamente l’andamento della funzione risolutrice R va come

perché svolgendo i calcoli con la derivata ottengo un’equazione del tipo R " R / 4 0 26, la quale è
soddisfatta per una funzione (ho escluso la soluzione positiva, per la quale avrei
avuto problemi di convergenza della norma…).
Posso quindi scrivere che la funzione generale avrà la forma espressa dalla funzione seguente:
1
R( ) F ( ) exp .
2

25
Infatti per E 0 avrei una particella che proviene dall’infinito, poi urta e ritorna a infinito (moto comete); invece per
E 0 le particelle sono legate  c’è la presenza dei punti di inversione.
26
Si annullano, infatti, tutti i termini con ρ al denominatore visto che tende a infinito!

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Si può anche predire l’andamento della funzione nel caso limite in cui abbia r 0 , avendo:
,
perché l’equazione differenziale si ridurrebbe27 a R "( ) l (l 1) R( ) / 2
la quale dà come
possibili soluzioni e ; la seconda, tuttavia, va scartata perché in r 0 non
verifica la convergenza. Mettendo insieme quanto sostenuto dalle due precedenti deduzioni avrei 
1
R( ) r l 1 L( ) exp ,
2
che tiene conto degli andamenti per r 0er (L è una funzione che verrà discussa tra poco).

L’autofunzione totale avrà quindi la forma cercata

Andando a sostituire la soluzione appena ottenuta nell’equazione differenziale di partenza riesco ad


avere, con opportune semplificazioni,
2
L "( ) (2(l 1) ) L '( ) ( (l 1) ) 0.

Penso di sviluppare quindi la funzione L in serie di potenze L a  l’equazione diventa


1 1 1
( 1) 2(l 1) a a a (l 1) a .

Confrontando i termini con potenze dello stesso grado (ad esempio potenze alla 1 ) ottengo la
relazione di ricorrenza (i cui termini, cioè, dipendono dal primo della serie…):

Tuttavia questa soluzione ricorsiva per la funzione L è fisicamente accettabile solo se la serie è
troncata ad un polinomio ( da questa ipotesi ottengo la quantizzazione dell’energia di cui parlavo
all’inizio per l’atomo di idrogeno); quanto detto è dimostrabile osservando che i coefficienti della
serie di potenze hanno l’andamento , che è del tutto simile a quello che otterrei con i

coefficienti di sviluppo della funzione  se contenesse infiniti termini si comporterebbe


come un esponenziale, e dunque non è accettabile.
Affinché possa avere un polinomio finito devo imporre che a 1 0 con a 0  devo imporre

l 1,
e questo mi dà proprio la quantizzazione di E (per come avevo definito λ):

27
In questo caso prevalgono i termini con potenze di ρ più alte al denominatore…

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CONSIDERAZIONI FISICHE E DEGENERAZIONE DEI LIVELLI ENERGETICI:


Nel paragrafo precedente siamo riusciti a dimostrare che l’energia negli atomi (in particolare per
l’atomo di idrogeno se Z 1 ) è quantizzata e decresce all’aumentare del livello energetico n.
Fissato dunque il numero quantico n 1, valgono le seguenti conclusioni:

 Avrò che il grado di degenerazione (i distinti valori associati allo stesso n) di tale livello
n 1
Dn (2l 1) n2 .
l 0

Dimostrazione:
n 1 n 1 n 1
n(n 1)
Sviluppando la serie, Dn (2l 1) 2 l 1 2 n n 2 , come si voleva dimostrare.
l 0 l 0 l 0 2
Una prima deduzione (seppur ovvia) da farsi è che solo il livello ad energia più bassa non è
degenere (cioè n 1 ); è bene inoltre fare delle considerazioni sulle relazioni appena trovate:
La degenerazione di m è tipica di tutti i problemi di potenziale centrale.
La degenerazione di l in linea di principio non è da aspettarsi, e di fatto si trova che essa si
verifica soltanto nei problemi dell’atomo di idrogeno (e dell’oscillatore armonico isotropo):
infatti questo è un caso di degenerazione accidentale.
Per tutte le altre forme di potenziale c’è una dipendenza effettiva dei valori dell’energia dal
numero quantico l  se al potenziale coulombiano28, che va come 1/ r , si aggiunge una
(piccola) correzione  energie associate allo stesso n ma con differente l saranno diverse!
Da queste considerazioni si può trarre la conclusione che, con la dovuta correzione (di tipo non
coulombiano), ogni livello energetico dell’atomo di idrogeno (ad eccezione di quello più basso che
non è degenere) si “dividerà” in tanti livelli vicini, corrispondenti ai diversi valori di l.
Le correzioni che si introducono,in accordo con i dati sperimentali (spettri di emissione), sono due:
Applicazione delle formule relativistiche.
Presenza dello spin dell’elettrone.

28
Nel caso di problema coulombiano, le orbite ellittiche appartengono tutte allo stesso piano a cui M è perpendicolare.
Inclinando il piano (il che non significa inclinare M  avrei una momento di forze esterno!), la situazione rimane
esattamente la stessa di prima, con orbite aventi la medesima energia e M sempre perpendicolare. È bene precisare
questo punto perché mentre in Meccanica Classica tale piano poteva essere inclinato a piacere, in Meccanica
Quantistica è come se la rotazione fosse quantizzata, cioè avviene per salti di m .

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DEFINIZIONE DI SPIN E RELAZIONI DELL’OPERATORE NELLO SPAZIO:


L’incongruenza29 riscontrata poco prima nello spettro dell’operatore momento angolare può essere
risolta introducendo un altro operatore, detto spin, che in pratica non fa altro che introdurre un altro
grado di libertà al problema. L’operatore di spin s può essere visto come un momento angolare
intrinseco associato ai valori semi-interi di l30 ( nel caso degli elettroni l 1/ 2 ) e, per come lo
voglio definire, deve soddisfare le solite relazioni di commutazione che avevo nel caso di M:
[si , s j ] i s
ijk k

[sx , x] [sx , px ] [sx , Lx ] 0 31


Sempre in analogia con il momento M, anche per s valgono le seguenti relazioni per gli autovalori:
All’operatore s 2 sono associati gli autovalori s(s 1)2 .

All’operatore sz è associato l’autovalore m ed ho che s m s  ho 2s 1 valori.


Per vedere come cambia lo spazio dove ora si opera con questo nuovo grado di libertà, basta
rispondere alla domanda: quale è la probabilità di trovare un elettrone che abbia anche spin
orientato secondo l’asse z positivo (o negativo)? Mi accorgo subito che la sola funzione ( x, y , z )

non basta più  sono necessarie due funzioni: ( x, y, z), ( x, y, z) . La normalizzazione sarà:

(| |2 | |2 ) d 3 x 1 .

Andando a vedere il caso più semplice di particelle con spin pari a ½, lo stato è così descritto da un
vettore a due componenti espresso da
( x, y, z )
,
( x, y, z )

Prendendo uno stato coincidente con l’autostato di sz associato all’autovalore  / 2 (il che equivale
a dire che mi trovo in uno stato in cui lo spin è parallelo all’asse z in tutto lo spazio) devo avere
che si annulla la funzione e rimane solo la : utilizzando il vettore a due componenti ho che

1 32
sz  / 2 .
0

Mettendomi a questo punto nella base di autovettori di sz  posso scrivere semplicemente che

29
Avevo ottenuto che l’operatore M era caratterizzato da un determinato spettro se lo avessi risolto con le regole di
commutazione e, invece, un altro spettro (la metà del precedente) se avessi usato il metodo differenziale.
30
Questi sono proprio quelli che avevo buttato via qualche paragrafo prima! Ai valori interi infatti è associato il
momento orbitale L… Ecco perché lo spin risolve il problema precedente!
31
Essendo un nuovo gradi di libertà, s commuta con tutti gli operatori che agiscono sulle coordinate spaziali… La
dimostrazione di questa affermazione sarà condotta tra breve, quando introdurrò le relazioni con le matrici di Pauli.
32
Stesso ragionamento per l’autovalore  / 2 a cui è associata la .

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1 0
,
0 1

dove ora ( x, y, z), ( x, y, z) assumono il significato di coefficienti di probabilità della funzione

d’onda in termini degli autostati di sz .

1 0 33
Indicando con | e | si vede subito che i due vettori di base sono tra
0 1
loro ortogonali; si definiscono inoltre gli spinori, cioè i vettori che rappresentano stati di spin34: nel
caso generale (applicabile quindi anche al caso s=½) uno spinore è rappresentano dal vettore 2s+1
dimensionale
( x) s , s 1 ,, s .

Avendo imposto che l’operatore di spin verifichi le regole di commutazione [si , s j ] i s ,


ijk k

analogamente a quanto accadeva con M avrò che continua a valere il legame con le matrici di Pauli:
1
sk  k .
2
Un fatto interessante che tornerà utile è osservare che, poiché le matrici di Pauli verificano la
1 2 1 2 1 2 3 2
condizione 2
k 1  vale anche che s 2  2
x  2
y  2
z  , ed è indipendente da ζ.
4 4 4 4
Avendo introdotto la dipendenza di s dalle matrici ζ, posso ora dimostrare che [sx , px ] 0 .

Dimostrazione:
Immaginando di applicare il commutatore al generico 1 ( x), 2 ( x)  posso svolgere il calcolo e

1 1 0 1 1 1 0 1 1
ottenere ciò che volevo: [ px , sx ] i   i 0.
2 x2 1 0 2 2 1 0 x 2

È bene a questo punto della trattazione riassumere brevemente quanto visto sino ad ora; il
formalismo matriciale degli spinori introdotto per i sistemi con momento di spin semi-intero (
valori semi-interi di l) può essere esteso anche ai sistemi con l intero, evitando tutta la trattazione
con le armoniche sferiche, le quali, è bene precisarlo, non possono essere applicate ai sistemi con
spin semi-intero. Posso cioè affermare che:
Per gli spin si usa sempre il formalismo degli spinori
Per i momenti angolari orbitali si usa il formalismo delle armoniche sferiche.

33
La simbologia | ,| si può usare solo nel caso di spin 1/2, cioè quando mi trovo con due sole componenti.

34
|
Nel caso di spin ½ ho lo spinore a due componenti …
|

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Nel prossimo paragrafo verrà introdotto l’importante concetto di composizione di momenti angolari,
  
con particolare attenzione al caso M L S , dove cioè m potrà assumere valori interi e semi-
interi.

COMPOSIZIONE DI MOMENTI E COEFFICIENTI DI CLEBSCH-GORDAN:


Verrà ora introdotto un argomento molto importante: la composizione di momenti angolari.
L’espressione di una tale composizione è semplicemente data dalla somma di momenti indipendenti
M M1 M 2 ,

dove ad esempio potrei avere che M 1 è il momento angolare della particella 1 e M 2 quello di

un’altra particella 2, oppure potrei avere un’unica particella in cui M 1 è il momento orbitale e M 2 è

lo spin… e così via. Trattandosi, in ogni caso, di momenti indipendenti  devo avere [M1 , M 2 ] 0 .
Lo stato quantico “complessivo” delle due particelle può essere individuato usando la notazione
tensoriale ( l m l ), il che esprime l’esistenza di una base di autovettori
simultanei tra M12 , M 22 , M1z , M 2 z ; stati di questo tipo formano una base (vedrò poi, dal tipo di
problema, se si tratta di una base buona o meno…) che viene detta disaccoppiata.
Per come l’ho scelta, questa base sarà quindi una base di autovettori per i singoli contributi, cioè per
M12 , M 22 ( l1 , l2 ) e per M1z , M 2 z ( m1 , m2 ) ma non per M 2 complessivo (dove M M1 M 2 )!
Dimostrazione:
Vale che M 2 (M1 M 2 )2 M12 M 22 2M1M 2 (infatti [M1 , M 2 ] 0 ); però per il termine misto

ho che M1 M 2 M1 x M 2 x M1 y M 2 y M1z M 2 z non so come agiscono le componenti in x e y (visto

che conosco solo la componente z) e quindi, in definitiva ho che M 2 non è una funzione dei soli
M12 , M 22 , M1z , M 2 z  in questo caso non può essere costruita una base di autovettori simultanei35!

L’obiettivo è quindi quello di trovare una qualche relazione che mi faccia passare dalla vecchia base
di autovettori in M12 , M 22 , M1z , M 2 z ad una nuova base in M12 , M 22 , M 2 , M z ,  impongo la relazione

e la nuova base è detta base accoppiata; è inoltre necessario (come indicato) che sia verificata
l’ulteriore condizione m1 m2 m (mi servirà la componente M z totale, con autovalore m).

35
Non avrei problemi, invece, per M z visto che questa vale M z M1z M 2 z  [M z , M1z ] [M z , M 2 z ] 0 :
quindi la base | l1 , m1 | l2 , m2 potrebbe andare bene per M z ma non per M 2 visto che [M 2 , M z ] 0 …

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Dimostrazione:
Poiché M z M1z M2z (M z M1z M 2 z ) | l1 , l2 , l , m 0  moltiplicando ora a sinistra per

l1 , m1 , l2 , m2 | ottengo (m m1 m2 ) l1 , m1 , l2 , m2 | l1 , l2 , l, m 0 e quindi ho m1 m2 m.
Riassumendo il tutto, ho due possibili basi da scegliere:
Opzione 1: autoket simultanei di M12 , M 22 , M1z , M 2 z , che denoto con .

Opzione 2: autoket simultanei di M12 , M 22 , M 2 , M z , che denoto con

Nella sommatoria i coefficienti c equivalgono al bracket e sono


comunemente chiamati coefficienti di Clebsch-Gordan.
Con opportune considerazioni che non verranno qui riportate, si vede che i possibili valori assunti
da J, inteso quindi come autovalore del momento angolare totale, sono quelli compresi tra
.
Per meglio chiarire quanto sinora esposto, è bene fare un esempio, trattando magari la composizione
di due particelle di spin ½ ( s 1/ 2 m 1/ 2 ). Avrei quindi le seguenti relazioni:
S S1 S2

Gli autovalori associati a S 2 , S z , S1z , S2 z sono, rispettivamente, s(s 1)2 , m, m1, m2  .
Le possibili scelte di base sono quindi le solite due espresse da:
Base di autoket di S1z , S2 z che indico con | ,| ,| ,| , dove | sta

semplicemente per m1 1/ 2, m2 1/ 2 .
36
Base di autoket di S 2 , S z che indico con | s 1, m 1, 0 ,| s 0, m 0 (quindi ancora
quattro vettori).

Le relazioni che intercorrono tra le due basi appena citate è espressa dalle seguenti espressioni:
| s 1, m 1 |
1
| s 1, m 0 (| | )
2
,
| s 1, m 1 |
1
|s 0, m 0 (| | )
2
dove i coefficienti numerici delle varie combinazioni lineari sono i più semplici esempi di
coefficienti di Clebsch-Gordan.

36
NB: s s1 s2 1/ 2 1/ 2 1 …

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È possibile ottenere queste relazioni facendo agire di volta in volta gli operatori a scala
37
S S1 S2 . Partendo dalla prima relazione, questa sta a significare che entrambi gli elettroni

hanno spin su  questo stato non può che corrispondere a s 1, m 1 . Per la seconda relazione,
faccio agire l’operatore S sull’autoket | s 1, m 1 ed ottengo la seconda relazione.

Dimostrazione:
Per definizione avrei che S | s 1, m 1 (S1 S2 ) | . Il primo termine significa eseguire
38
l’operazione S | s 1, m 1 (1 1)(1 1 1) | s 1, m 0 ; per il secondo termine ho invece

che S1 | S2 | | | . Quindi eguagliando i termini ottengo la seconda relazione.


Si procede con ragionamenti del tutto simili anche per verificare le altre corrispondenze.

AUTOVALORI E AUTOVETTORI NELLE COMPOSIZIONI DI MOMENTI ANGOLARI:


Fino ad ora ho ammesso l’esistenza di una base di autovettori simultanei nella quale esprimere la
composizione di momenti angolari. In questo paragrafo cercherò di determinare gli autovalori λ
associati all’operatore S 2 (nel caso l1 l2 1/ 2 ), andando a vedere come quest’ultimo agisce sul
generico ket. Bisogna tener presente che il numero di possibili stati in tale problema è pari a
(2l1 1)(2l2 1) , avendo indicato con l1 , l2 gli autovalori dei singoli Si2 (la cui somma mi darà S 2 ).

1 0 0 1 1
Dato c1 c2 e ricordando che vale Sk  k  posso riscrivere
0 1 1 0 2

S2 S12 S22 2S1 S2 3/ 4 3/ 4 2S1x S2 x 2S1 y S2 y 2S1z S2 z 39 ed imporre poi S 2 .

Dimostrazione:
Ricordando che gli autovalori associati a S z sono 1/ 2  2S1z S2 z 2( 1/ 2 1/ 2) 1/ 2 e

quindi l’equazione agli autovalori diventa S 2 1 1/ 2( 1x 2x 1y 2y )  mi calcolo

1 0 0 1 1 1 0 0 1 1 0 0 1
c1 c2 c1 1x 2x c2 1x 2x c1 1y 2y c2 1y 2y
0 1 1 0 2 0 1 1 0 0 1 1 0

1 0 0 1
ed impongo che sia uguale a c1 c2 per trovare gli autovalori che risultano:
0 1 1 0

37
Ovviamente S1 agisce solo sulla particella 1 e analogamente S2 agisce sulla particella 2.
38
Per K (e quindi anche per S) avevo le relazioni seguenti per gli operatori a scala:
K | l, m l (l 1) m(m 1) | l , m 1  K | l , m l (l 1) m(m 1) | l , m 1
39 2
Infatti ho che [S1 , S2 ] 0 ed inoltre S 3 / 4 come dimostrato in precedenza…

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c1 c2 / 2 c2 / 2 c1 (1 )c1 c2 0 0 c1 c2 40
.
c2 c1 / 2 c1 / 2 c2 c1 (1 )c2 0 2 c1 c2

Il primo caso 0 corrisponde al fatto che l 0.


Il secondo caso 2 corrisponde, invece a l 1 .
In definitiva ho che gli autovettori che corrispondono, rispettivamente, ai due casi scritti sopra sono:

1 1 0 0 1
.
2 0 1 1 0

 ESERCIZIO 1 
Sempre nel caso di l1 l2 1/ 2  ho verificate le seguenti equazioni agli autovalori:

Sz | 1/ 2 1/ 2 | 1|
2
.
S | 1(1 1) | 2|

Posso vedere quindi come agisce l’operatore S Sx iS y S1 S 2 sui vari stati; se ad esempio ho

S | scrivo che S | S1 | S2 | 1| 1| , e quindi, poiché ho la

corrispondenza | | l 1, m 1  S | l 1, m 1 2 |1, 0 e ne concludo (come visto per

le relazioni precedenti) che l’autovettore vale |1,0 1/ 2(| | ) … Nel caso in cui l 0
 ho la combinazione lineare c1 | c2 | che mi da l’autoket; ma ricordando che gli

autovettori devono essere tra loro ortogonali, basta scegliere c1 | c2 | in modo che sia

ortogonale41 a |1,0 1/ 2(| | )  l’autovettore vale | 0,0 1/ 2(| | ).

 ESERCIZIO 2 
Stavolta ho la composizione di due momenti angolari con l1 1, l2 1  l totale varia tra 0 e 2.

Ottengo il valore 2 quando entrambe i momenti hanno valore 1  vale che | 2, 2 | m1 1, m2 1

e a partire da questa, applicando di volta in volta M ottengo anche le altre relazioni; ad esempio

ho | M | 2, 2 2 | 2,1 ( M1 M 2 ) | m1 1, m2 1 (| 0,1 | 1, 0 )  vale la connessione

tra | 2,1 1/ 2(| 0,1 |1,0 ) .

A pagina seguente è allegata una tavola per i coefficienti di Clebsch – Gordan.

40
Ho imposto che il determinante del sistema sia pari a zero.
41
Applicando ancora gli operatori a scala potevo trovare anche che |1, 1 | , che è ortogonale a | …

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Il procedimento per ricavare i coefficienti della tavola è quello ricorsivo sin qui tenuto; 
continuando posso ricavarmi | 2, 0 perché avrei, ricordando che | 2,1 1/ 2(| 0,1 |1,0 ) ,

M | 2,1 6 | 2, 0 ( M1 M 2 )(1/ 2(| m1 0, m2 1 | m1 1, m2 0 )) ed eseguendo i

conti ricavo 2 / 2(| 1,1 | 0,0 | 0,0 1, 1 ) 42  posso ottenere la connessione cercata

e dire che | 2,0 1/ 6(| 1,1 2 | 0,0 |1, 1 ) .


Quando passo a calcolare autovettori come | 1,1 , sfrutto sempre il fatto che questi si scrivono
come una certa combinazione lineare c1 | 0,1 c2 |1,0 e imporre la condizione di ortogonalità

con | 2,1 . In questo caso ottengo subito |1,1 1/ 2(| 0,1 |1,0 ) e da qui riparti per trovarmi
anche |1, 0 ecc…

EQUAZIONE DI PAULI PER PARTICELLE IN UN CAMPO ELETTROMAGNETICO:


Nello studiare il comportamento (dal punto di vista quantistico) di una particella carica immersa in
un campo elettromagnetico, si dovrebbe usare la teoria formulata dall’elettrodinamica quantistica.
Tuttavia, se si trascura l’azione del momento magnetico della particella stessa, è possibile scrivere
l’hamiltoniana del sistema tenendo conto delle classiche leggi dell’elettromagnetismo:
  
B A
 
B 0
 
( A) A . i ijk j k

1 A
E
c t
Inserendo inoltre nell’hamiltoniana la cosiddetta sostituzione minimale  riesco ad avere la forma
2
e 1 e e
p p A H p A V ( x) e ( x) B ,
c 2m c 2mc
dove è stato introdotto l’ultimo termine di natura empirica. Ora riscrivo l’equazione di Schrodinger
con H appena ottenuta ed ho la seguente equazione di Pauli (in cui non conosco A e Φ):
2
( x, t ) 1 e e
i p2 A( x) e ( x) B ( x, t ) .
t 2m c 2mc

L’obiettivo è di rendere questa espressione più “significativa” dal punto di vista fisico e per questo
proviamo a fare le seguenti ipotesi:
Impongo che sia ovunque 0.

42
I coefficienti numerici degli operatori a scala vanno sempre calcolati anche per M1 , M 2 …

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Inoltre ammetto che il potenziale vettore A sia costante nel tempo  questo mi determina un
campo elettrico E 0 , perché E A / c .
1
Per quanto detto, un’opportuna scelta è A B x (e poiché B A , allora il campo magnetico
2
sarà costante). Verifichiamo che tale opzione continua a soddisfare le equazioni elencate prima.
Dimostrazione:
1
Le componenti di A saranno espresse con la notazione Ai ijk B j xk  il rotore di A ( campo
2
1 1 43
B) sarà dato da ( A)l lmi m Ai lmi m ( ijk B j xk ) lmi ijk Bj m,k  deve essere m k .
2 2
Quando mi trovo in presenza di una doppia notazione ε  vale la regola generale espressa dalla

i i i

ijk det j j j ;
k k k

in questo caso applicando la regola ottengo che i ijk 2  riesco così ad avere quanto volevo:

( A)l (rotA)l Bl .
Alle ipotesi citate poco sopra, ne dovrò aggiungere un’altra sull’intensità del campo magnetico:
Suppongo che B, oltre ad essere costante sia anche debole  posso effettuare così
un’approssimazione al primo ordine.
Dimostrazione:
2 2
e e1 e e
Posso ora sviluppare il quadrato p A p B x p2 p( B x) ( B x) p ,
c c2 2c 2c
dove ho trascurato i termini quadrati di B. Posso riscrivere quanto ottenuto usando il formalismo di
e e e
ε ed ottenere la relazione p 2 pi ijk B j xk ijk B j xk pi p2 Bj kij pi xk p2 B j M j 44.
2c c c
Posso così, al termine di questo ragionamento, riscrivere l’equazione di Schrodinger che sarà 

( x, t ) p2 e e p2 e e
i B M B ( x, t ) B M B S ( x, t ) .
t 2m 2mc 2mc 2m 2mc mc

I vari significati fisici di questa equazione sono molto interessanti e verranno ora discussi:
Anzitutto si nota come, per minimizzare l’hamiltoniana M e S tendono ad allinearsi a B,

43
m indica la derivata secondo la componente m-esima. Poiché B è costante  sopravvive solo la derivata di x (che è
1…): è per questo che nel calcolo finale è sparita la x.
44
NB: vale sempre che [ xi , pk ] 0 i k…

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come mi aspetto dal punto di vista classico.


M e S rappresentano a tutti gli effetti due tipi di momento angolare; nonostante ciò, il fattore
½ presente nel termine di S non mi permette di immaginare lo spin come una rotazione
classica (come invece accade per M) e neanche (come si dice spesso) come una “mezza
rotazione”…  Ne concludo che lo spin è un particolare momento angolare, e lo si verifica
appieno con la Meccanica Quantistica Relativistica.
Se la particella è molto pesante (oppure ho la situazione di un elettrone fissato come in un
solido)  l’applicazione di un campo magnetico esterno causerà una precessione dello spin,
visto che è l’unico termine che rimane nell’equazione di Schrodinger45.

Su questo argomento è possibile svolgere un semplice esercizio.

 ESERCIZIO 
Ho una particella che verifica le ipotesi di prima ( in cui l’unico termine dell’hamiltoniana è
quello di spin) immersa in un campo magnetico diretto secondo l’asse x. All’istante iniziale misuro
spin su  1,0 .

Il fatto che il campo B sia diretto parallelamente a x significa che l’hamiltoniana avrà una forma
H c x .

Questa matrice andrà quindi diagonalizzata per determinarne autovalori e autovettori:


1 1 1 1
1  1 .
2 1 2 1

Descrivo quindi lo stato iniziale come combinazione lineare di autoket dell’energia:


1 1 1 1 1 1
.
0 2 1 2 1 2

L’evoluzione temporale sarà data dall’equazione generale | ,t cn exp( iHt / ) | 0

1 1 1 ct 1 1 ct cos(ct / ) 46
 exp i exp i .
2 2 1  2 1  i sin(ct / )

Tale risultato verrà applicato anche in seguito per descrivere l’esperimento della doppia fenditura:
in particolare si vedrà che dopo un certo tempo la figura di interferenza si ritroverà cambiata.

45
Infatti la particella è praticamente ferma e quindi scompaiono i termini in p2 / 2m e in x come e ( x ) , che
equivale al termine eB M /(2mc) …
46
NB: dopo un tempo pari a t  / c  ottengo il ket 1, 0 1, 0 , perché trascuro una fase globale  ottengo
nuovamente il ket di partenza già dopo mezzo giro…

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EQUAZIONE DI PAULI ED ESPERIMENTO QUANTISTICO DEL SOLENOIDE:


È bene riprendere l’argomento dell’equazione di Pauli per determinare la connessione che c’è tra
questa equazione e le equazioni del moto; in particolar modo verrà mostrato che la Forza di Lorentz
del campo elettromagnetico classico è presente anche in Meccanica Quantistica, secondo questo
approccio. Tratterò, per semplicità, il caso dell’hamiltoniana semplificata, cioè senza il termine
aggiuntivo dovuto allo spin (che verrà quindi trascurato).
In seguito alla sostituzione minimale abbiamo visto che l’hamiltoniana assume la forma nota

dalla quale è possibile ricavarsi le equazioni del moto di Hamilton come segue nella dimostrazione.
Dimostrazione:

1. . Questo deriva dal fatto che nel derivare la sommatoria generica

e quindi ho il risultato.

2. , in cui il secondo termine altro non è che 

posso scrivere .

Dalla prima equazione posso ottenere l’equazione


,

 facendone la derivata seconda posso arrivare ad avere l’equazione del moto generale data da
.

Dimostrazione:

La derivata seconda mi dà e

poiché i termini in parentesi non rappresentano altro che il rotore di A  ottengo ciò che cercavo.
A questo punto posso calcolarmi l’equazione di Schrodinger

la quale dipende, è bene notarlo, anche dal potenziale vettore A. In Meccanica Classica potevo
contare sull’importante risultato che un’eventuale trasformazione di Gauge47 non avrebbe
modificato le equazioni del nostro sistema  avevo, cioè, un’invarianza rispetto a tale
trasformazione. Apparentemente, in Meccanica Quantistica non vale questa affermazione perché le
trasformazioni di Gauge effettivamente cambiano l’equazione di Schrodinger… È anche vero però

47
La trasformazione di Gauge consiste nel sostituire al potenziale vettore e, invece, al potenziale scalare
.

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che ora tutto è definito a meno di una trasformazione unitaria U  che alla fine mi permette di
ottenere lo stesso risultato di partenza: si dice che ora ho una covarianza rispetto a queste
trasformazioni.
Dopo aver illustrato l’equazione di Schrodinger, posso iniziare a trattare l’esperimento della doppia
fenditura per analizzare, stavolta, cosa succede in presenza di un solenoide indefinito.

Per come è definito, un solenoide di questo tipo presenta un campo magnetico solo al suo
interno mentre al di fuori il campo è nullo. Questo tuttavia non significa che anche il potenziale
vettore sia nullo fuori dal solenoide, come verrà ora dimostrato.
Dimostrazione:
Calcolando la circuitazione di ho che , dove ho usato il teorema di
Stokes. Poiché la superficie Σ passa attraverso il solenoide  l’integrale sarà sicuramente diverso
da zero in quella zona; ne segue che al di fuori .
L’esperimento presuppone che un’eventuale particella non possa capitare dentro all’avvolgimento e
quindi non sa se ci sia o meno un . Tuttavia, poiché l’equazione di Schrodinger tiene conto
non di B ma di A  non ho il caso di particella libera48… Quindi mi aspetto che l’interferenza che
osservo in questo caso sia diversa da quella visibile in un esperimento “classico” di doppia
fenditura: mi accorgo cioè della presenza del solenoide, nonostante questo non sia accessibile 49! È
possibile determinare teoricamente questa conclusione con il cosiddetto integrale sui cammini.

48
Classicamente sarebbe stata libera perché l’energia non dipende direttamente dal potenziale vettore A.
49
La non accessibilità del solenoide può essere pensata come una barriera di potenziale che lo circonda.

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Senza scendere nei dettagli (non ne verrà data la dimostrazione), questo integrale è della forma

dove S indica l’azione; per una particella libera è possibile scriverla esplicitamente nella forma:
.

Ritornando all’esperimento in esame, quando viene emessa dalla sorgente la particella ha da


scegliere tra due cammini possibili50, ognuno dei quali è scomponibile in due parti:
1. La prima parte (a) va dalla sorgente alle fenditure: in questo tratto la funzione d’onda non
tiene conto della presenza del solenoide e si muove quindi come particella libera.
2. La seconda parte (b) va dalle fenditure al generico punto x situato sullo schermo dietro: ora
la funzione d’onda (che deve risolvere l’equazione di Schrodinger descritta poco prima)
deve tener conto del solenoide in quanto al suo interno compare il potenziale vettore A.
L’integrale sui cammini può essere quindi riscritto come

Poiché ho due cammini possibili  avrò la somma di due esponenziali ( indica l’azione libera):

Posso quindi fare il calcolo delle probabilità associate  posso formalmente ottenere l’effetto che
ha causato la presenza del solenoide:

Si vede subito che lo sfasamento che la figura di interferenza che ne risulta è lo stessa della
particella libera con un’aggiunta dovuta al solenoide  la differenza di fase è pari a
,

dove era, appunto, quella relativa al caso libero. Sono riuscito così a dimostrare che è
effettivamente possibile determinare se c’è o meno la presenza di un solenoide (pur non sapendolo).
Fisicamente un tale fenomeno può essere spiegato (anche se in maniera molto grossolana…)
andando a vedere cosa succede all’istante iniziale dell’esperimento. Quando si accende il solenoide,
il campo magnetico presente all’interno passa gradualmente da zero a : quindi in questi istanti
iniziali si genera (anche all’esterno del solenoide) un campo elettrico indotto (espresso dalle
equazioni di Maxwell); questo sarebbe direttamente rilevabile immettendo un elettrone e andando a
vedere il suo moto.

50
In realtà i cammini possibili sono infiniti, ma per ora trattiamo solo il caso semplificato a due.

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Poiché le orbite della barriera di potenziale (attorno al solenoide) sono quantizzate  la presenza di
un campo elettrico ne modifica i livelli energetici51.
Quindi, quando proietto una funzione d’onda nel mio esperimento, questa (dopo aver attraversato le
fenditure) si accorge che i livelli energetici sono cambiati e mi genera un’interferenza leggermente
spostata: sono riuscito ad ottenere un informazione52 sugli effetti di un solenoide impenetrabile.

MATRICI ORTOGONALI E COVARIANZA PER ROTAZIONI:


Suppongo che il mio sistema venga sottoposto ad una rotazione (particolare trasformazione) e che le
coordinate vengano cambiate seguendo la legge
x ' Rx ,
dove, in particolare, R è una matrice ortogonale, cioè verifica la relazione RT R 1 . Come avviene
per qualsiasi cambiamento di coordinate, la distanza tra due punti rimane immutata (si conserva…).
Dimostrazione:
2
La distanza tra due punti è dOP xi ' xi ' R jk xk R jl xl R jk R jl xk xl , ma per la definizione stessa della

matrice R (che è ortogonale)  R jk R jl kl e ne concludo allora che xi xi xi ' xi ' .

Indicando la generica matrice R 3x3 ortogonale con la notazione seguente


a b c a d g a b c 1 0 0
d e f b e h d e f 0 1 0 ,
g h i c f i g h i 0 0 1

devo avere che a2 d 2 g 2 1 e le altre combinazioni pari a zero: ho cioè dei ket ortonormali.

Dalla definizione discende anche che (det R)2 1 e quindi, per la scelta del determinante posso
distinguere due categorie di matrici diverse:
Rotazioni proprie53: se è verificata la condizione det R 1.
Riflessioni: se, invece, è verificata la condizione det R 1.
Teorema:
Ogni rotazione (o combinazione di queste) può essere pensata come un’unica rotazione attorno ad
un certo asse. Si può quindi imporre che risulti sempre verificate la relazione seguente:
Rv v .
Il teorema appena enunciato è molto importante, soprattutto perché fissa un autovettore (che è
proprio l’asse di rotazione) e il corrispondente autovalore, pari a 1 (e quindi appartiene ai reali).
51
Le orbite rimangono comunque quantizzate, ma ora i livelli energetici che corrispondono a ogni orbita possono essere
cambiati…
52
Questa conclusione è vera se, dopo il cambiamento, le orbite non vanno a sovrapporsi ai livelli di quelle successive…
53
In questo caso è possibile pensare alle rotazioni finite come somma di rotazioni infinitesime.

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Poiché nel caso di matrici 3x3 avrei 3 autovalori da ricercare (e quindi un polinomio caratteristico di
terzo grado da risolvere…), la conoscenza di uno di questi ( 1 ) mi permette di semplificarne la
ricerca e ridurmi così ad un polinomio caratteristico di secondo grado.
Vale inoltre la relazione che segue per i determinanti delle matrici ortogonali R:
det(1 R) det(1 R) .
Dimostrazione:
det(1 R) 1 det(1 R) det( RT )det(1 R) det( RT (1 R)) det( RT 1) det(R 1) det(1 R) .
In base a questo risultato posso anche aggiungere che le rimanenti due soluzioni del polinomio
saranno l’una la complessa coniugata dell’altra54 e saranno del tipo exp( i ) , dove θ indica
l’angolo dell’effettiva rotazione.
Sempre nel caso tridimensionale, immagino una rotazione attorno all’asse z di un certo angolo θ. La
rotazione sarà espressa dalle relazioni
x ' x cos y sin x' x y
y' x sin y cos y' x y
avendo esteso questo risultato alla situazione di rotazione infinitesima, dove posso apportare le
approssimazioni al primo ordine sin , cos 1 . Generalizzando, posso impiegare l’espressione
  
x' x (nˆ x ) xi ' xi ijk n j xk .

Dimostrazione:
Si possono provare alcuni casi nei quali si verifica la correttezza della relazione; ad esempio,
ponendo x1 x, x2 y  nel primo ottengo xi 1 ' x' x i 1, j ,k n j xk x i 1, j 3,k 2 y x y,

mentre nel secondo avrei xi 2 ' y' y i 2, j ,k n j xk y i 2, j 3,k 1 y x y 55. Nello svolgere i

calcoli, ricordarsi che ijk vale +1 se l’ordine è ijki, mentre vale -1 in caso contrario…

Arrivati a questo punto possiamo vedere che tipo di relazione intercorre tra un osservatore O con
sistema di coordinate x e un altro osservatore O ' con coordinate x ' . Ad esempio, nel caso di
particelle libere mi chiedo come siano collegabili le equazioni di Schrodinger osservate dai due:
2 ' 2
O i x  O ' i x' '.
t 2m t 2m
Per una prima stima della relazione esistente è bene fare delle considerazioni sul tipo di grandezza
che andiamo a calcolare nel vecchio sistema e nel nuovo:

54
NB: questa relazione vale solo per matrici di dimensione dispari.
55
Poiché la rotazione è attorno all’asse z  n (0, 0,1) e quindi sopravvive solo la componente j 3…

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Grandezze scalari: è il caso, ad esempio, della densità ρ e via dicendo… è necessario che in
questo caso la misura dia lo stesso risultato perché si tratta di una proprietà oggettiva e in
quanto tale deve essere ( x) '( x ') .

Grandezze vettoriali: è il caso, ad esempio, delle componenti della velocità (il cui modulo,
comunque, rimane una grandezza scalare!) che sono diverse da sistema a sistema  vale la
 
relazione v j '( x ') R ji vi ( x ) .

Quindi per quando riguarda la densità di probabilità devo avere (nello stesso punto x ' Rx !)
| ( x, t ) |2 | '( x ', t ) |2 perché è una grandezza scalare. Si vede allora che il legame è definito da
( x, t ) '( x ', t ) 56,
Ritornando al caso dei due osservatori O, O ' ognuno risulta definito in un suo spazio di Hilbert e
quindi gli stati che gli osservatori rilevano sono in generale diversi… ad esempio O potrebbe
osservare lo stato | mentre O ' osserverebbe | .
Vedrò tra breve che i due risultati sono legati tra loro da una trasformazione unitaria57 U, cioè
.
U è determinabile perché, in base al principio di corrispondenza, è possibile legare i risultati delle
due misurazioni dei diversi osservatori; infatti posso scrivere che
L’osservatore effettua la misurazione .
L’osservatore effettua la misurazione .
Ne concludo che  vale la relazione che lega due misurazioni condotte da diversi osservatori
.

MOMENTO ANGOLARE COME GENERATORE DI ROTAZIONI:


Ritornando a quanto ottenuto precedentemente posso dire che avendo una matrice 3x3 ortogonale
(e quindi verifica ), in uno spazio tridimensionale (il concetto è estendibile anche a n
dimensioni), che mi lega i vettori posizione di due diversi osservatori con la relazione ,
vale la relazione che determina il passaggio :
.
Avevamo inoltre accennato al fatto che la connessione tra l’osservazione della medesima situazione
fisica vista nei due sistemi è del tipo , con U rappresentata da una matrice unitaria
(che verifica quindi le condizioni ).

56
NB: ' … Infatti l’uguaglianza si verifica se mi trovo nello stesso punto, cioè in x ' Rx .
57
Il fatto che debba essere un operatore unitario è, ad esempio, perché va conservata la norma e la probabilità.

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Grazie a questo legame posso anche connettere (tramite una rotazione) i valori medi di una
misurazione condotta nei due sistemi ed ottenere . Vale perciò la seguente relazione:
58.

Ricordando che vale la relazione (dimostrata al paragrafo precedente) 


suppongo che la matrice U è scrivibile come
,
analogamente a quanto avevo fatto per l’operatore di traslazione e di evoluzione temporale. Posso
calcolarne così la coniugata, che risulta essere ;  riesco quindi ad avere
(riscrivendo la relazione precedente) la relazione di commutazione e relativa conclusione

Dimostrazione:
Calcolandosi  da cui
segue anche la conclusione sulla natura dell’operatore A e del suo legame con M.
Il risultato ottenuto è di fondamentale importanza perché dimostra (cosa che ci aspettavamo sin
dall’inizio di tutta questa trattazione) che, anche in Meccanica Quantistica, le rotazioni risultano
essere generate dall’operatore di momento angolare.
Ora sono in grado di passare direttamente alle rotazioni finite, ottenibili componendo quelle
infinitesime sin qui trattate; così dalla composizione (per n volte) di una rotazione pari a θ 

Passiamo ora al problema degli autovalori.

Ricordando sempre i nostri due osservatori, avremo il rappresentativo per


l’osservatore , e per . Applicando ora U ho verificata la seguente equazione:
,
la quale mi dice che è autostato di con il corrispondente autovalore .
Dimostrazione:
Dalla definizione di U data nelle pagine precedenti avevamo ;
moltiplicando per U a sinistra da entrambe le parti dell’uguaglianza  ottengo l’equazione agli
autovalori che cercavo, cioè .
Un altro utile risultato sulle matrici ortogonali è quello che mi permette di scrivere che
.

58
La stessa regola vale anche per altri operatori (l’impulso ad esempio…).

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Dimostrazione:
Basta scrivere .
Per i calcoli che verranno a seguire potrò usare la notazione e anche l’inversa
.
Tramite questa notazione posso riscrivere la funzione d’onda dell’osservatore rispetto
all’osservatore 59 come  è ciò che
mi aspettavo in virtù del paragrafo precedente, perché la funzione d’onda, complessivamente, è
scalare e quindi nei due sistemi devo ottenere gli stessi risultati (ovviamente se vado a prendere le
singole componenti queste saranno diverse perché si tratta di grandezze vettoriali…).
Tutto quando sin’ora detto per l’operatore di posizione si applica allo stesso modo per l’operatore di
spin60, visto che si tratta di un altro grado di libertà che ho introdotto (infatti verifica )
quando andrò ad indicare gli autovettori lo farò con la notazione 61; quando invece sarà da
scrivere la funzione d’onda questa sarà della forma .

ALGEBRA DELLE ROTAZIONI:


Utilizzando i risultati sin qui ottenuti derivanti dalle proprietà delle matrici ortogonali e dalle
applicazioni del momento angolare, sono riuscito a dimostrare che una rotazione finita è data da

Ovviamente il risultato qui sopra è estendibile grazie alla composizione dei momenti angolari, che
mi permette di sostituire al generico M presente nell’esponenziale un momento globale dato dalla
somma ( composizione) di altri momenti, ad esempio . Poiché lo spin è un grado di
libertà aggiunto  e ne segue che l’applicazione di U a S62 darà come risultato

l’espressione dove i

termini in L sono semplificabili (proprio in virtù della regola di commutazione) 


63.

Indicando gli autovettori con , l’applicazione generale di U sugli stessi autovettori farà sì che
;

59
NB: la connessione tra i due sistemi degli osservatori è sempre data da .
60
Quindi, i due osservatori misureranno e : la notazione è quindi identica a
quella per la posizione x.
61
Le equazioni agli autovalori sono quindi e .
62
NB: applicare l’operatore U all’operatore S significa, in generale, scrivere …
63
Questa regola risulta molto interessante perché semplifica i calcoli quando le osservabili sono compatibili

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ora posso calcolarmi il prodotto scalare ( rappresentativo) con , sapendo che si tratta
comunque di autovettori tra loro ortogonali 
.
Ne segue, quindi, che moltiplicando quanto ottenuto (cioè per il complesso
coniugato devo ottenere di conseguenza la matrice identità I ( rappresentata
dalla funzione δ di Dirac…). Ed è quanto andrò ora a dimostrare.
Dimostrazione:
Applicando il risultato precedente al complesso coniugato ottengo , visto che
cambiano solo i coefficienti c (la δ è una funzione reale…); andando ora a moltiplicare quest’ultimo
risultato con il precedente  ne deriva dalla quale
ottengo (tenendo conto delle proprietà della funzione di Dirac)  . Inoltre,

poiché vale la relazione64 -  come risultato ho la matrice identità.

Poiché vale , la matrice c è unitaria.


Proseguendo nei calcoli posso sviluppare il calcolo di
ed ottenere alla fine (calcoli omessi) che sussiste la seguente identità:
.
Ad esempio, nel caso bidimensionale è possibile esprimere lo spinore nella maniera seguente:

65,

perché è possibile scrivere la matrice C come .

ESPERIMENTO DELLA DOPPIA FENDITURA:


Riprendendo i risultati precedenti e sviluppando ora l’esponenziale in serie di potenze66  arrivo a
dire che è la matrice C è riscrivibile in termini di seno e coseno nella maniera seguente:

Da questo sviluppo è possibile concludere che, vista la ciclicità dei termini sinusoidali e
cosinusoidali, dopo aver fatto evolvere nel tempo la funzione d’onda, questa si ripresenta uguale a
quella di partenza anche prima di , più precisamente in corrispondenza di . Questo
perché a questa angolazione ho un segno negativo davanti la funzione d’onda (uguale in modulo a
64
Questa è dimostrabile sapendo che , cioè tenendo conto della matrice
jacobiana.
65
NB: vale sempre che .
66
Sviluppo cioè . Bisogna tener conto poi delle proprietà delle matrici di Pauli…

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quella di partenza)  corrisponde ad una fase globale, che può essere semplicemente messa in
evidenza visto che i risultati non cambiano!
A questo punto sono in grado di mostrare un interessante fenomeno, connesso con l’esperimento
cardine della doppia fenditura, molto citato nei corsi di Meccanica Quantistica.

Quello che verrà trattato presenterà però una variante che consiste nella seguente ipotesi:
1. Nella zona 1, si trova un campo magnetico (costante) non nullo.
2. Nella zona 2, non si ha nessun campo magnetico (si ammette, inoltre, che il campo
magnetico della prima zona non abbia effetto sulla seconda).
Riprendendo quanto trovato in un problema citato in precedenza, data una zona con campo
nella quale viene sparato, all’istante iniziale, un elettrone con spin diretto su  l’evoluzione sarà

il che significa che, in generale, la funzione d’onda globale risulta essere una combinazione lineare

ora mi ritrovo con tre situazioni possibili, le quali saranno ora analizzate:
1. L’elettrone è sparato nella seconda zona e quindi la attraversa indisturbato: la sua funzione
d’onda rimarrà quindi con spin su, cioè si verificherà che

2. L’elettrone è sparato nella prima zona con un tempo tale che la funzione d’onda sia

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3. L’elettrone è sparato nella prima zona, stavolta con un tempo tale che la funzione d’onda
sia cambiata di segno (come nella condizione descritta poco prima); avrò così

Se ne conclude che l’immagine di interferenza nel primo e nel terzo caso risulta diversa e quindi
questa situazione mi permette di ricavare un’informazione su come descrivere il comportamento
tenuto dall’elettrone. È bene precisare che nonostante questo stratagemma non è comunque
possibile sapere per quale fenditura sia effettivamente passato l’elettrone: infatti nella prima e terza
situazione la particella continua ad avere spin su e non è cambiato! Quindi le conclusioni
dell’esperimento della doppia fenditura ( principio di indeterminazione) continuano a valere…

PARTICELLE IDENTICHE:
Nella Fisica Classica è possibile mantenere traccia delle singole particelle, anche quando queste
sembrano identiche. Date la particella 1 e la particella 2, considerate come un sistema, possiamo in
linea di principio seguire la traiettoria di 1 e di 2 separatamente ad ogni istante di tempo. Per poterle
riconoscere possiamo, ad esempio, colorarne una di blu e l’altra di rosso e quindi esaminare come si
muovono col trascorrere del tempo.
Nella Meccanica Quantistica, tuttavia, le particelle identiche sono veramente indistinguibili. Questo
avviene perché non possiamo specificare più di un insieme completo di osservabili compatibili per
ciascuna delle due particelle  in particolare non possiamo etichettarle colorandole… Non
possiamo seguirle poiché questo implicherebbe una misura di posizione ad ogni istante di tempo,
che disturba necessariamente il sistema. Guardando la figura seguente, che mostra due particelle in
due distinte situazioni (a) e (b), queste non possono essere distinte neanche in linea di principio!

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Per entrare nel dettaglio del problema, denotiamo lo stato delle due particelle con la notazione
;
supponiamo ora di voler fare una misura sul sistema: possiamo ottenere dalla prima e dalla
seconda. Tuttavia non sappiamo a priori se lo stato sia o o una qualche loro
combinazione lineare… Questo significa che tutti i ket espressi nella forma

portano allo stesso insieme di autovalori quando si esegue la misura  ciò è noto come
degenerazione di scambio. Prima di procedere oltre in questo discorso è bene sviluppare la
matematica della simmetria di permutazione. Definisco così l’operatore di permutazione67
,
che risulta essere hermitiano ( ), unitario e che inoltre verifica la relazione .
Fisicamente tale operatore fa sì che la particella 1, che precedentemente aveva , diventi la
particella 1 che ha (viceversa per la particella 2): in altre parole ha l’effetto di scambiare 1 e 2.
Essendo un operatore, questo opera sulle osservabili (di posizione, ad esempio) nella maniera

Una proprietà importante di cui gode è che è autovettore di con autovalore .


Dimostrazione:
Si può scrivere che .
Analogamente vale .
 è autovettore di e con autovalori scambiati.
L’effetto dell’applicazione dell’operatore di scambio alla funzione d’onda sarà quindi:
,
come ci si poteva aspettare. Sfruttando questa congettura è possibile dire che gli autovalori di P
sono (stessa cosa che si aveva per l’operatore di parità).
Dimostrazione:
Deve essere . Poiché l’operatore scambia le variabili 
; riapplicando P ottengo  in definitiva avrei
 .
Questa conclusione mi porta ad affermare che le autofunzioni dell’operatore di scambio sono
funzioni simmetriche (+1) o antisimmetriche (1).
Si verifica inoltre (non verrà dimostrato) che l’hamiltoniana H commuta con l’operatore P (cioè

67
Viene chiamato anche operatore di scambio.

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vale che )  è possibile costruire una base di autofunzioni simultanee per H e P. Posso
quindi dire che, analogamente all’operatore di permutazione, anche l’hamiltoniana ha autofunzioni
simmetriche (+1) o antisimmetriche (-1).

POSTULATO DI SIMMETRIZZAZIONE:
Fin qui non abbiamo discusso se la natura faccia uso di stati completamente simmetrici o
antisimmetrici. Si trova che i sistemi che contengono N particelle identiche sono totalmente
simmetrici nello scambio ( statistica di Bose – Einstein) oppure totalmente antisimmetrici (
statistica di Fermi – Dirac). In base a questa distinzione si riconoscono due tipi di particelle68:
Bosoni: caratterizzati da sistemi simmetrici; hanno spin intero (0,1,2,…).
Fermioni: caratterizzati da sistemi antisimmetrici; hanno spin semi – intero (1/2,…).
Chiarita la natura di questi due tipi di particelle, posso quindi applicare l’operatore P ed avere:

Dove, come al solito, P è l’operatore di permutazione che scambia i e j. Ovviamente P ha un effetto


anche sugli spin, purché si adoperi la notazione 69, ad esempio. La connessione tra
spin e statistica è per quanto ne sappiamo una legge esatta della natura, senza eccezioni.
Nell’ambito della Meccanica Quantistica non relativistica, questo principio deve essere accettato
come postulato empirico. Nella Teoria Quantistica Relativistica, invece, si può provare che le
particelle con spin intero non possono essere fermioni e che le particelle di spin semi – intero non
possono essere bosoni. Una conseguenza immediata del fatto che l’elettrone sia un fermione è che
l’elettrone deve soddisfare il noto Principio di Esclusione di Pauli, il quale stabilisce che due
elettroni non possono occupare lo stesso stato.
Questa congettura deriva dal fatto che uno stato di tipo è necessariamente simmetrico,
cosa non possibile per un fermione70… Come è ben noto, il principio di esclusione è la pietra di
volta su cui è costruita la fisica atomica e molecolare ed anche l’intera chimica.
Per illustrare la differenza che esiste tra bosoni e fermioni è utile citare un esempio, magari
considerando due particelle identiche ciascuna delle quali può occupare solo due stati 71,
caratterizzati da e :

68
Per quanto si sa, tutte le particelle conosciute sono o bosoni o fermioni.
69
Avrò quindi che .
70
Detto in altre parole, dati due elettroni (quindi per forza particelle identiche!), questi non possono stare su
perché , che è simmetrico.
71
È la situazione che si ha, ad esempio, per particelle di spin ½.

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Per un sistema di fermioni c’è una sola possibilità: - .

Per un sistema di bosoni, invece, ci sono tre diverse possibilità:


.

SISTEMA DI DUE ELETTRONI ED APPROSSIMAZIONE PER L’ATOMO DI ELIO:


Consideriamo ora specificamente un sistema di due elettroni. L’autovalore dell’operatore di
permutazione è necessariamente -1 (gli elettroni sono fermioni!) e la funzione d’onda sarà del tipo
.
Se inoltre è verificata la commutazione  posso considerare autofunzioni simultanee
che posso riscrivere nella forma
,
dove Φ è la parte spaziale e χ è la parte relativa allo spin che, nel caso ½ risulta essere data da:
Tripletto [ ] (simmetrico):   .

Singoletto [ ] (antisimmetrico): .

Un caso particolare di sistema a due elettroni è costituito dall’atomo di elio. In questa trattazione
parleremo di una versione semplificata in cui verrà trascurato:
L’interazione tra i due elettroni
La presenza dello spin
L’hamiltoniana avrà quindi una forma molto semplice da descrivere e anche da risolvere:

Il problema è risolvibile scomponendo l’hamiltoniana in due parti e risolvendo quest’ultime:

Si dimostra facilmente che la soluzione globale di H è un’autofunzione data dal prodotto delle
singole autofunzioni con autovalore pari alla somma dei singoli autovalori, cioè
72.

Dimostrazione:
Basta sostituire l’autofunzione globale nel problema agli autovalori e si trova facilmente che

, poiché le singole hamiltoniane agiscono sui “propri” autoket.

72
NB: questa soluzione, come specificato precedentemente, va bene solo per particelle non interagenti.

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COSTRUZIONE DI FUNZIONI SIMMETRICHE E ANTISIMMETRICHE:


Come precedentemente osservato, l’hamiltoniana di un sistema di particelle identiche commuta con
l’operatore di scambio (o permutazione)  se ne conclude che se è autofunzione di H,
allora lo sarà anche .
In generale, partendo da una funzione generica , è possibile generare funzioni simmetriche
e/o antisimmetriche componendo più volte e . Ad esempio, per due particelle ho
Funzione simmetrica: componendo (simmetrizzazione).
Funzione antisimmetrica: componendo (antisimmetrizzazione).
Ritornando all’esempio dell’atomo di elio (semplificato), data una funzione , non
so dire a priori se questa sia simmetrica o antisimmetrica: in generale non è nessuna delle due!
Sappiamo però che è possibile renderla simmetrica e/o antisimmetrica scrivendola nella forma:
.
Procedendo nello schema che segue, è possibile realizzare la “costruzione” di un atomo di elio:
1. Prendo il nucleo di elio.
2. Dispongo il primo elettrone (fermione con spin ½) sul livello fondamentale (primo orbitale):
questo sarà della forma ; poiché si tratta di una funzione
simmetrica (R è simmetrica e Y è associata ad un momento angolare nullo)  il primo
elettrone si disporrà con spin di singoletto (antisimmetrico)  antisimmetrizzazione.
3. Se ora vado a mettere il secondo elettrone, questo non potrà starci 73 (nonostante sia il livello
energetico più “conveniente”) perché non gli è possibile assumere un altro spin
antisimmetrico che non sia singoletto (il quale, al contrario del tripletto, ha una sola
configurazione possibile e non tre).

Vedremo ora come recuperare funzioni simmetriche e antisimmetriche da funzioni che non lo sono,
anche nel caso di più di due particelle.
Partendo da un’arbitraria funzione d’onda normalizzata , possiamo costruire una funzione che
abbia la corretta simmetria/antisimmetria. La funzione risultante deve quindi essere invariante (a
meno di un segno nel caso di antisimmetria) e deve essere una combinazione lineare di tutte le
possibili funzioni ottenute per permutazione con coefficienti numerici tutti uguali in modulo (quindi
con la normalizzazione). Si trova che la funzione risultante sarà data da:

73
Nel caso avessi avuto bosoni, la cosa sarebbe stata possibile perché lo stato deve essere simmetrico e quindi avrei
usato lo spin di tripletto: qui avevo tre configurazioni diverse disponibili.

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Se è un prodotto di orbitali (come nel nostro caso), questa introdotta è la definizione del
determinante (normalizzato) chiamato determinante di Slater, espresso dalla seguente formula:

Il postulato di antisimmetria dunque esclude automaticamente che due elettroni possano essere
descritti dallo stesso orbitale (o da combinazioni non linearmente indipendenti di orbitali), perché
altrimenti il determinante si annullerebbe. Notiamo inoltre che il determinante è invariante rispetto
ad una trasformazione unitaria degli orbitali che lo compongono.
Infine, due prodotti di orbitali che differiscano solo per una permutazione degli orbitali generano, a
meno del segno, lo stesso determinante. Dunque una valida e distinta funzione d'onda per il sistema
elettronico è generata solo da una ennupla di orbitali distinti e ordinati.
Tale ennupla è anche chiamata configurazione elettronica.

Una considerazione finale che è bene fare è stabilire se nel determinante di Slater è necessario tener
conto di tutti gli elettroni presenti nell’Universo: infatti due elettroni comunque distanti possono
avere, in linea di principio, funzioni d’onda e di poco sovrapposte, cosa che mi fa
variare le funzioni del determinante. Invece si vede (con opportuni calcoli integrali che verranno
omessi) che data la distanza delle due particelle, calcolata in (cioè la funzione )è
praticamente nulla  se ne conclude che nel determinante di Slater non bisogna prendere in
considerazione tutti gli elettroni dell’Universo (e quindi molto distanti tra loro).

TEORIA PERTURBATIVA INDIPENDENTE DAL TEMPO (CASO NON DEGENERE):


Pochi problemi in Meccanica Quantistica, con hamiltoniane indipendenti o dipendenti dal tempo,
possono essere risolti esattamente. Inevitabilmente siamo costretti a servirci di un qualche metodo
di approssimazione, e nel nostro caso ci occuperemo del problema degli stati legati.

Il metodo di approssimazione che useremo qui è la teoria perturbativa indipendente dal tempo
(quella che invece contiene anche la variabile temporale verrà discussa tra qualche paragrafo). Nella

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pratica si cerca di sviluppare funzioni per ordini bassi, sapendo che la perturbazione deforma gli
stati legati discreti e anche gli autovalori dell’energia. La nuova hamiltoniana sarà quindi data da
74,

dove V è la perturbazione ed ε è un parametro reale continuo che, per così dire, controlla (variando
tra 0 e 1) il termine potenziale V.
Nel caso in cui V e/o ε siano pari a zero  il problema si riduce al caso imperturbato (per ora non
considero un’eventuale degenerazione), con autovalori e autoket dell’energia già noti:
75.

Il metodo si basa sullo sviluppo di autovalori e autoket dell’energia in serie di potenze76 di ε. Lo


spettro dell’hamiltoniana perturbata dovrà essere quindi vicino allo spettro di quella imperturbata.
Distinguiamo dunque il caso di sviluppo per gli autovalori e per gli autovettori dell’energia:
 rappresenta lo sviluppo in serie di potenze per gli autovalori.
 è lo sviluppo in serie di potenza per gli autovettori.
Con questo sviluppo (nella nuova notazione usata), il problema agli autovalori sarà il seguente:
.
A questo punto, per trovare quanto valgono autovalori e autovettori perturbati, basterà mettere in
pratica un confronto tra i vari termini di grado uguale in ε (principio di identità dei polinomi). Si
procede così nel definire le seguenti uguaglianze per ordini di ε (partendo dalla potenza 0 di ε):
0. 77, quindi per mi ritrovo con il caso imperturbato.
1. .
Fermandomi al primo ordine (quelli successivi si fanno in maniera analoga), posso così determinare
, cioè l’autovalore corretto (sempre al primo ordine…) del livello energetico k dell’hamiltoniana
perturbata. Posso difatti proiettare l’intera equazione al punto 1 sull’autoket (che a questo
punto diventerà un vettore bra…) ed ottenere la correzione che cercavo:
.
Dimostrazione:
Proiettando otterrei che , dove
nella primo termine ho tenuto conto che valeva . Da qui determino infine .
Ne segue che con una correzione al primo ordine, l’autovalore dell’energia iniziale diventerebbe

74
Il caso  corrisponde al problema imperturbato; se  ho “intensità completa” di perturbazione.
75
In questa notazione, il pedice “0” indica che sto trattando l’hamiltoniana imperturbata e il pedice “k” indica il
livello energetico (0, 1, …).
76
Questo significa che assumiamo l’analiticità degli autovalori e degli autoket nel piano di ε attorno a .
77
Il vettore corrisponde, nella notazione usata prima, a .

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78;

Riprendendo l’equazione generale di partenza e proiettandola stavolta su un altro livello dello stato
non perturbato, indicato con , riesco ad avere la seguente espressione:

79.

Dimostrazione:
Basta risolvere rispetto a …
Dal precedente risultato possiamo ricavare quanto vale il termine correttivo sul primo livello
energetico (inteso come autovettore: prima avevamo visto quanto valeva la correzione
sull’autovalore dell’energia…), perché moltiplicando il tutto per si ottiene che

Il primo livello energetico sarà quindi dato (sempre nell’approssimazione al primo ordine) da
.

È bene fare un opportuno ragionamento su ciò che riguarda la normalizzazione di un siffatto


autovettore; imponendo, infatti, che  si ottiene
(procedendo nei calcoli) che , il ché significa che è nulla la parte
reale del prodotto, cioè ; se ne conclude che è un immaginario
puro.  Scegliendo quindi un’opportuna fase è possibile annullare anche la parte immaginaria.
Dimostrazione:
Considerando la fase ho che . Sviluppando l’esponenziale in
potenze di γ (almeno fino al primo ordine)  e imponendo la
normalizzazione si ottiene immediatamente che .
Può essere utile utilizzare il procedimento sinora seguito per trovare anche la correzione al secondo
ordine causata dalla perturbazione.
Dimostrazione:
Andando a confrontare i coefficienti numerici in  si ha immediatamente la seguente equazione:
.
Da qui proietto sempre l’equazione su e si ottiene alla fine che la correzione risulta essere:
.

78
La perturbazione deve essere piccola a tal punto da non far sovrapporre due livelli successivi!
79
NB: questa relazione vale esclusivamente per il caso non degenere! Infatti solo in questa situazione posso affermare
che due autovettori appartenenti ad autovalori diversi sono tra loro sicuramente ortogonali.

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Si ottiene in pratica il seguente andamento ricorsivo per trovare le correzioni successive al 2° ordine

Riguardo allo sviluppo al secondo ordine perturbativo, è possibile scrivere in un’altra notazione.
Dimostrazione:
Usando la relazione di completezza  che

possiamo riscrivere come . Se ne conclude quindi che

TEORIA PERTURBATIVA INDIPENDENTE DAL TEMPO (CASO DEGENERE):


Il metodo perturbativo che abbiamo sviluppato nel precedente paragrafo non è più valido quando gli
autoket imperturbati dell’energia sono degeneri. Questo metodo, appunto, assume che vi sia un ket
imperturbato dell’energia unico e ben definito a cui il ket perturbato tende quando . In
presenza di degenerazione, tuttavia, ogni combinazione lineare di ket imperturbati ha la stessa
energia imperturbata; in tal caso non è ovvio a priori a quale ket imperturbato il ket perturbato si
riduce nel limite . In questo caso non è sufficiente specificare l’autovalore dell’energia;
qualche altra osservabile è necessaria per completare il quadro. Per essere più specifici, in presenza
di degenerazione dobbiamo prendere come nostra base gli autoket simultanei di e di qualche
altra osservabile A, e possiamo continuare ad indicare l’autoket imperturbato dell’energia con
, dove k sta ora ad indicare un indice collettivo che si riferisce all’autovalore dell’energia e
all’autovalore di A. Quando l’operatore di perturbazione non commuta con A, gli autoket di ordine
zero per H (includendo la perturbazione) non sono di fatto autoket di A.
All’atto pratico non è quindi possibile applicare ciecamente la formula precedentemente ricavata

perché non sappiamo cosa succede a V quando . Intuitivamente ci aspettiamo che questo caso
limite possa essere evitato scegliendo i nostri ket di base in modo che V non abbia elementi fuori
dalla diagonale  dobbiamo usare combinazioni lineari dei ket imperturbati degeneri che
diagonalizzano H. Questo è il procedimento corretto da usare.

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Supponiamo che ci sia degenerazione g prima di “accendere” la perturbazione. Questo significa che
ci sono g diversi autoket, tutti con la stessa energia imperturbata ; indico questo insieme con la
dicitura . La cosa fondamentale da capire è che in generale la perturbazione rimuove la
degenerazione  ci saranno g autoket perturbati con energie stavolta distinte, e questi formeranno
un insieme . Nel limite , 80 ed i vari sono autoket di tutti con la
stessa energia .

Passando al formalismo matematico e usando la notazione del paragrafo precedente, ho che la


degenerazione fa sì che l’equazione sia e quindi mi ritrovo con una scelta
multipla di possibili autovettori da associare a . Come prima possiamo affermare che
,
 andando a proiettare l’equazione
sul ket si perviene al risultato (già anticipato all’inizio di questo nuovo paragrafo)
,
il quale altro non è che un’equazione agli autovalori per la perturbazione V.

Così risolvendo il problema agli autovalori di V, che sono in tutto g, otteniamo in un colpo solo
le variazioni dell’energia al primo ordine ed i corretti autoket di ordine zero. Si osserva subito che
gli autoket ottenuti diventano, per , le giuste combinazioni lineari dei vari che
diagonalizzano la perturbazione V.
Se ne conclude che gli elementi diagonali di V danno quindi le variazioni di energia al primo ordine
.

PRINCIPIO VARIAZIONALE:
La teoria perturbativa sviluppata sino ad ora non è di alcuna utilità se non conosciamo le soluzioni
esatte di un problema la cui hamiltoniana sia sufficientemente simile. Il metodo variazionale che
discuteremo ora è molto utile per stimare l’energia dello stato fondamentale quando tali soluzioni
esatte non sono disponibili; questo approccio è utile anche per perturbazioni più o meno grandi.
Conoscendo l’hamiltoniana H, mi calcolo il suo valor medio su uno stato normalizzato ed ottengo
.

80
L’insieme non deve necessariamente coincidere con l’insieme anche se i due insiemi formano una base
nello stesso sottospazio degenere. Posso quindi scrivere che .

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Poiché tutte le hamiltoniane sono limitate inferiormente81  esiste uno stato fondamentale con
energia (la più piccola possibile) pari a . Questo significa che è possibile scrivere la disequazione
,
e cioè sono riuscito a dimostrare che vale il seguente teorema:
.
Questo teorema è molto potente perché fornisce una stima superiore all’energia dello stato
fondamentale; quindi se scelgo una generica funzione d’onda normalizzata e calcolo  ottengo
una stima per eccesso di .

Prendendo ad esempio una funzione di prova che dipende da vari parametri (oltre x)

e quindi ho la stima : a questo punto variando opportunamente tutti i parametri
riesco ad “abbassare” il valore di F in maniera tale da avvicinarmi il più possibile ad .

TEORIA PERTURBATIVA DIPENDENTE DAL TEMPO:


Fino ad ora ci siamo occupati di hamiltoniane che non dipendono esplicitamente dal tempo. In
natura comunque ci sono molti importanti sistemi quantistici con una dipendenza temporale.
Consideriamo quindi un’hamiltoniana H che possa essere divisa in due parti,
,
e riscriviamo l’equazione di evoluzione temporale di uno stato che abbia H come hamiltoniana:

A questo punto si opera un’opportuna parametrizzazione del ket che andrò a riscrivere come
82.

Andando ora a sostituire questa parametrizzazione nell’equazione di Schrodinger indicata sopra 


si confrontano i coefficienti con la stessa potenza di ε e si possono avere più informazioni su .
Dimostrazione:

Dalla sostituzione ho , che deve

uguagliare . Confrontando i

vari termini si giunge allora a poter dire che

81
In Meccanica Classica avrei potuto ottenere (teoricamente) anche un’energia nulla, ad esempio nel caso di un
elettrone orbitante che collassa sul nucleo
82
Ovviamente andrò a scrivere il tutto nella base degli autostati di , visto che è l’unica che conosco!

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Sviluppando la funzione  83, quindi

Proiettando ora l’uguaglianza

(confronto con potenze sull’autoket 84, si perviene alla seguente equazione finale:

Questa altro non è che un’equazione differenziale di cui già conosciamo le condizioni iniziali, visto
che prima di accendere la perturbazione abbiamo e quindi il nostro stato iniziale è proprio
(associato all’energia )  possiamo cioè conoscere all’istante zero: infatti solo
se ci troviamo precisamente sul nostro stato iniziale, sul quale, tra l’altro, vale 85. Questo fa
sì che sia possibile eliminare la sommatoria dall’equazione differenziale (è superflua, visto che
avrebbe tutti termini nulli tranne uno!) e quindi si riesce ad avere la seguente equazione:

Integrando ora ambedue le parti si ha la soluzione per e la cosiddetta proprietà di transizione:

Questo risultato ci permette così di poter determinare i coefficienti e quindi di risolvere il


problema iniziale.

83
A destra non c’è nessun termine in …
84
Dove vale .
85
rappresenta la probabilità e quindi su quello stato ho la certezza assoluta, cioè probabilità 1.

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