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Politecnico di Torino – Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale – C.

Delprete

CARATTERISTICHE (PROPRIETA’)
MECCANICHE STATICHE DEL MATERIALE
Prova di trazione
• La prova serve per valutare le caratteristiche meccaniche di
resistenza statica di un materiale
• La normativa di
riferimento è la UNI
EN 10002
• La prova si esegue su
provini cilindrici o
piatti (provette) che
presentano un tratto
calibrato di sezione
retta (A0 o S0) e una
lunghezza L0 tra due
riferimenti
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• La macchina di prova è
provvista di una traversa fissa
e una traversa mobile; tra le
due traverse viene montato il
provino per mezzo di
afferraggi (morsetti)
meccanici o idraulici
• Durante la prova una cella di
carico misura la forza di
trazione assiale applicata e un
estensometro misura
l’allungamento subito dal
tratto calibrato del provino
• La prova procede fino alla
rottura del provino

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• Durante la prova si registrano quindi i


valori di forza agente sul provino e il
suo allungamento e i risultati si
riportano su un grafico forza-
allungamento
• Riaccostando i monconi del provino
dopo rottura si misura la lunghezza
ultima Lu tra i riferimenti e si definisce
l’allungamento percentuale dopo
rottura:

• In base all’allungamento percentuale


dopo rottura nella pratica ingegneristica
i materiali si distinguono convenzionalmente in fragili (A < 5%) e
duttili (A > 10%)
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• Il comportamento meccanico statico del materiale viene definito


mediante valori di tensione calcolati convenzionalmente dividendo
il carico applicato al provino per la sezione retta iniziale del tratto
calibrato
• Le caratteristiche meccaniche statiche di riferimento del materiale
sono in particolare:

carico unitario di rottura, UTS (MPa)


carico unitario di snervamento superiore, σy (MPa)
carico unitario di scostamento dalla
proporzionalità allo 0.2%, σy (MPa)
dove le forze che compaiono sono le ordinate di punti particolari
del grafico forza-allungamento ottenuto dalla prova di trazione sul
materiale (fragile o duttile) in esame

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Materiale fragile

Massima
ordinata del
grafico,
coincide con la
rottura del
provino

• La rottura è improvvisa
• La superficie di rottura è perpendicolare alla direzione del carico,
ruvida e con asperità (decoesione frontale)

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Materiale duttile con evidente snervamento

Massima
ordinata del
grafico,
non coincide
con la rottura
del provino

• È evidente un plateau di snervamento


• La rottura è preceduta da deformazioni plastiche (generalizzata
prima, localizzata poi)
• La superficie di rottura, liscia e satinata, è a 45° rispetto alla
direzione del carico (piano di massima tensione tangenziale)
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Materiale duttile senza evidente snervamento

Massima
ordinata del
grafico,
non coincide
con la rottura
del provino

• Il plateau di snervamento non è presente: lo snervamento si


definisce convenzionalmente ad allungamento percentuale di 0,2%
• La rottura è preceduta da deformazioni plastiche
• La superficie di rottura, liscia e satinata, è a 45° rispetto alla
direzione del carico (piano di massima tensione tangenziale)
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Effetto della temperatura


• I componenti strutturali sono frequentemente esposti a
temperature di lavoro diverse dalla temperatura ambiente (Tamb)
• I principali effetti della temperatura relativamente al
comportamento strutturale sono:
1. Nascita di deformazioni termiche (εth) e conseguente nascita
delle relative tensioni
2. Variazione dei valori delle proprietà meccaniche del materiale
3. Possibilità di cedimento per scorrimento viscoso (creep)
• Nella realtà i tre fenomeni coesistono e hanno grado di importanza
che dipende dal valore della temperatura:
1. Sempre presente
2. Presente da alcune decine fino ad alcune centinaia di gradi
sopra la Tamb
3. Presente da temperature di circa 1/3 della T di fusione (Tfus)
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• Per temperature superiori alla Tamb il comportamento meccanico


dei materiali metallici presenta alcune modificazioni di
importanza crescente con la temperatura
• In generale all’aumentare della temperatura si osserva:
• Una riduzione del modulo elastico normale (di Young), del
limite elastico e del limite di rottura
• Un aumento dell’allungamento percentuale e della strizione
• Quindi al crescere della temperatura il materiale tende a essere
meno resistente e più duttile
• A temperature elevate, una volta che il limite elastico è stato
superato, la determinazione del limite di rottura diventa poco
significativa a causa del rilevante effetto del fenomeno di creep
• Per questo motivo i valori di Rm non vengono solitamente
riportati per valori di alta temperatura e si utilizza il limite di
snervamento Rp0.2 alla temperatura di esercizio
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• Effetto della temperatura


sulla curva di trazione
carico-allungamento

• Acciai: modulo elastico e


limite di snervamento per
diverse temperature
Acciaio 20 °C 300 °C 400 °C 500 °C
al carbonio E (GPa) 206 180 170
(C 0.2%) Rp0.2 (MPa) 255 155 125
debolmente legato E (GPa) 206 180 170 160
(Cr 1% Mo 0.5%) Rp0.2 (MPa) 295 235 205 175
inossidabile E (GPa) 196 196 185 175
(Cr 18% Ni 8%) Rp0.2 (MPa) 200 130 125 120
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• Acciai per impiego aeronautico: modulo elastico e coefficiente di


dilatazione termica in funzione della differenza di temperatura tra
esercizio e ambiente:

• Lega di alluminio per impiego motoristico (p.e. AlSi12Cu3MgNi):


modulo elastico, conducibilità termica e coefficiente di dilatazione
termica per diverse temperature

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CRITERI (IPOTESI) DI CEDIMENTO STATICO

Concetto di cedimento

• Si parla di cedimento quando un componente non è più in grado di


assolvere la missione per cui è stato progettato e prodotto
• Il cedimento può essere la rottura vera e propria del componente,
con conseguente distacco di parti, oppure può verificarsi per una
riduzione delle capacità operative del componente
• Quest’ultimo è il caso di un componente che a seguito di una
deformazione permanente non può più funzionare correttamente
• In entrambi i casi è cura dell’ingegnere stabilire quale sarà il
cedimento da evitare e, sulla base di questo, eseguire il
dimensionamento (progetto) o la verifica del componente
• Il cedimento può avvenire in due modalità: duttile o fragile

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• La differenza tra questi due tipi di cedimento è legata alla velocità


di propagazione della cricca e tradizionalmente la distinzione si
basa sul materiale utilizzato (che viene detto fragile o duttile)
• Molti materiali metallici utilizzati nell’ingegneria possono essere
considerati duttili perché presentano un cedimento con estese zone
di plasticizzazione e, di conseguenza, un apprezzabile
allungamento a rottura (A > 10%)
• Anche i materiali normalmente duttili però possono presentare
comportamenti a rottura di tipo fragile, per esempio se messi in
esercizio a bassa temperatura o se sottoposti a carichi impulsivi
• La differenza sostanziale tra i due tipi di cedimento (fragile o
duttile) è legata al tempo di nucleazione della cricca e alla sua
velocità di propagazione
• Nel caso di cedimento duttile, le dislocazioni tendono a muoversi
sui piani di massima tensione tangenziale (piano critico) fino a
raggiungere una zona di coalescenza e quindi a formare una cricca
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• La forte plasticizzazione locale dovuta alla presenza della cricca, o


di un difetto, porta alla rottura dei legami di coesione e quindi si ha
il distacco delle parti e la cricca propaga
• Il cedimento duttile è dominato
da meccanismi di crescita della
cricca definiti di modo II
(scorrimento) e modo III
(lacerazione, cioè a taglio) Modo II Modo III

• La propagazione della cricca diventa instabile quando la sezione


resistente del componente raggiunge una dimensione troppo
piccola per sopportare il carico esterno e si produce la rottura di
schianto dell’ultima sezione resistente
• Questa rottura “ultima” è caratterizzata dall’assenza quasi totale di
plasticizzazione: le dislocazioni non si muovono e il materiale non
si “riarrangia” in funzione del carico esterno
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• Nel caso di cedimento fragile, la rottura avviene per distacco del


legame interatomico all'interno dei cristalli
• Questo distacco si verifica su particolari piani cristallini detti piani
di clivaggio (cleavage significa solco, spaccatura) per poi
proseguire, cambiando direzione, tra i grani e ricongiungersi a un
altro piano di clivaggio di un altro cristallo
• Il cedimento fragile è governato da meccanismi
di crescita della cricca di modo I (di apertura), Modo I
cioè di apertura normale

• Tutti i meccanismi di crescita della cricca (modo I, II e III)


possono presentarsi contemporaneamente nel cedimento di un
componente sottoposto a carichi variabili nel tempo
• Un’ulteriore distinzione vede quindi il cedimento essere di tipo
statico se il carico non varia nel tempo, oppure a fatica se il carico,
o meglio la sollecitazione, subisce variazioni (cicliche) nel tempo
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• Il cedimento statico si verifica sotto l’azione di un carico costante


• Questo cedimento costituisce normalmente il riferimento per il
dimensionamento del componente in quanto l’obiettivo primario è
garantire la sopravvivenza del componente quando esso è
sottoposto al massimo carico che si può verificare durante il suo
funzionamento
• Normalmente per i componenti meccanici realizzati in materiale
metallico si fa riferimento a un cedimento di natura duttile
• Volendo mantenere inalterata la funzionalità del componente, il
limite a cui si considera che il materiale abbia subito cedimento è
l’inizio della plasticizzazione
• Quello che viene abitualmente definito come limite di snervamento
(ReH o Rp0,2) è quindi considerato il limite oltre il quale il materiale
non deve essere sollecitato

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• Invece, se il materiale non presenta uno snervamento apprezzabile


(A < 5%) e può essere considerato fragile, si deve assumere come
limite massimo di utilizzo la tensione ultima di rottura (Rm)
• Per effettuare la verifica o il dimensionamento di un componente
bisogna quindi verificare che lo stato di tensione nel punto più
sollecitato (della sezione più sollecitata) non superi i limiti indicati
• Dato che le caratteristiche statiche del materiale sono ricavate
come monoassiali (prova di trazione), bisogna riportare lo stato di
tensione del componente, che in generale è triassiale, a una
condizione di riferimento monoassiale equivalente in modo da
calcolare un valore di tensione equivalente (o ideale) da
confrontare con la caratteristica meccanica del materiale idonea per
il cedimento considerato
• Il criterio di cedimento è quindi una metodologia che consente di
valutare se uno stato di tensione triassiale genera nel materiale lo
stesso danno di uno stato di tensione monoassiale equivalente
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• Alle tre tensioni principali presenti, il criterio di cedimento


sostituisce un unico valore di tensione ideale ed equivalente dal
punto di vista del pericolo di cedimento:

• La funzione f (o la funzione g nel riferimento cartesiano xyz) non è


univoca ma dipende dal tipo di materiale, o meglio dal tipo di
cedimento: duttile o fragile
• I principali criteri di cedimento in ambito meccanico sono:
• In caso di cedimento fragile (σlim=Rm)
• Ipotesi della massima tensione normale (Galileo)
• In caso di cedimento duttile (σlim=ReH o Rp0,2)
• Ipotesi della massima tensione tangenziale (Tresca)
• Ipotesi della massima energia di distorsione (Von Mises)

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Criteri di cedimento per materiali fragili


• In realtà è più corretto parlare non di materiale fragile ma di
comportamento fragile in quanto anche materiali che a temperatura
ambiente presentano comportamento duttile, a basse temperature
(al di sotto della temperatura di transizione duttile-fragile tipica del
materiale metallico in esame) presentano una rottura con una
rapida propagazione di cricca dominata dal modo I di apertura
• Come per i criteri di danneggiamento precedenti, anche in questo
caso il meccanismo di cedimento è alla base del criterio
• Essendo il tipo di cedimento dominato dal modo I (apertura
normale della cricca), il parametro di interesse è la massima
tensione normale

C. Delprete - DIMEAS 19

Criterio della massima tensione normale (Galileo)


• Il criterio ipotizza che il parametro attraverso cui confrontare lo
stato di tensione triassiale con quello monoassiale di riferimento
sia la massima tensione normale che si viene a generare
• Il componente si rompe (il cedimento è la rottura fragile) per
decoesione frontale
• In termini grafici il
criterio è facilmente
osservabile per mezzo dei
cerchi di Mohr

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• In termini matematici il criterio di Galileo si esprime uguagliando


l’espressione della tensione normale massima ricavabile dai cerchi
di Mohr dello stato di tensione triassiale e la tensione normale
massima associata al caso di trazione monoassiale:

da cui:
(Hp. Galileo)

• Nel caso tipico dell’ingegneria (flesso-trazione + torsione) il


criterio di Galileo si riscrive come:

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Stato di tensione piana


σult = Rm

Hp. Galileo

[J.A. Collins, Failure of Materials in Mechanical Design, Wiley, 1981


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Criteri di cedimento per materiali duttili


• In realtà è più corretto parlare non di materiale duttile ma di
comportamento duttile per quei materiali che presentano un
meccanismo di danneggiamento di tipo duttile cioè che avviene per
spostamento delle dislocazioni sul piano critico di scorrimento
plastico di ogni grano e la cricca propaga per apertura a taglio
(modo II o III), solitamente molto lentamente
• Da osservazioni sperimentali si è evidenziato che la componente
del tensore della tensione che crea danno nel materiale è la
componente cosiddetta deviatorica (responsabile della variazione
di forma) mentre la componente idrostatica (responsabile della sola
variazione di volume) non lo danneggia
• Sulla base di queste osservazioni sono stati proposti due criteri di
cedimento: uno riferito alla massima tensione tangenziale (Tresca)
e l’altro riferito alla massima energia di distorsione (Von Mises)

C. Delprete - DIMEAS 23

Criterio della massima tensione tangenziale (Tresca)


• Il criterio ipotizza che il parametro attraverso cui confrontare lo
stato di tensione triassiale con quello monoassiale di riferimento
sia la massima tensione tangenziale che si viene a generare
• Si considera che le dislocazioni si attivino e si muovano sul piano
dove si verifica la tensione tangenziale massima (piano a 45°
rispetto alla direzione di applicazione della sollecitazione)
• In termini grafici il
criterio è facilmente
osservabile per mezzo dei
cerchi di Mohr

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• In termini matematici il criterio di Tresca si esprime uguagliando


l’espressione della tensione tangenziale massima ricavabile dai
cerchi di Mohr dello stato di tensione triassiale e la tensione
tangenziale massima associata al caso di trazione monoassiale:

da cui:
(Hp. Tresca)
• Nel caso tipico dell’ingegneria (flesso-trazione + torsione) il
criterio di Tresca si riscrive come:

C. Delprete - DIMEAS 25

Criterio della massima energia di distorsione (Von Mises)


• Il criterio assume che il danneggiamento prodotto dallo stato di
tensione triassiale sia confrontabile con quello prodotto da uno
stato di tensione monoassiale di riferimento (equivalente), quando
entrambi producono la stessa energia di distorsione
• L’energia di distorsione può essere facilmente compresa facendo
riferimento a un corpo che si deforma sotto carico accumulando
energia potenziale in forma elastica
• Per esempio, in una molla l’energia accumulata è pari all’area
sottesa nel diagramma forza-allungamento:

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• Per calcolare l’energia elastica accumulata a livello di materiale, si


studia la deformazione di un elemento (elastico) infinitesimo
(cubetto elementare)
• Se sul cubetto elementare agisce la sola tensione normale σxx la
risultante elementare sulla faccia di area dydz vale:

• Lo spostamento elementare per cui


questa risultante compie lavoro vale:

• L’energia elastica quindi vale:

(*)

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• Se sul cubetto elementare agisce la sola tensione tangenziale τxy le


risultanti elementari sulle facce di area dxdz e dydz valgono:

• Gli spostamenti elementari per


cui queste risultanti compiono
lavoro valgono:

• L’energia elastica quindi vale:

(**)

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• In generale, l’energia elastica di deformazione per unità di volume


(o energia di distorsione) è data dalla somma dei contributi di tutte
le componenti di energia elastica
• Tenendo conto che:
• Le tensioni normali non producono lavoro con gli spostamenti
dovuti agli scorrimenti, come visibile nella (*)
• Le tensioni tangenziali non producono lavoro con gli
spostamenti dovuti alle dilatazioni, come visibile nella (**)
• L’energia elastica di deformazione per unità di volume (energia di
distorsione), espressa nel riferimento cartesiano xyz o nel
riferimento principale p1p2p3, risulta pari a:

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• Il ragionamento analitico che dall’energia di distorsione porta alla


formula del criterio di Von Mises, identifica una particolare terna di
direzioni per cui il piano su cui si attiva il movimento delle
dislocazioni è il cosiddetto piano ottaedrico (la sua normale forma
angoli uguali con le direzioni principali)
• Rispetto alla terna di riferimento principale p1p2p3, la normale che
identifica il piano ottaedrico è:

• Le componenti di tensione normale e tangenziale che agiscono sul


piano ottaedrico assumono valori che possono essere calcolati
pensando il tensore delle tensioni come somma di una parte
idrostatica e di una deviatorica
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• Il tensore idrostatico [σ0] è una matrice diagonale che contiene il


valor medio delle tensioni principali e ha stessa espressione nei
sistemi di riferimento cartesiano xyz e principale p1p2p3:

• La tensione idrostatica (ottaedrica) è la componente dello stato di


tensione che non distorce il componente ma ne cambia
semplicemente il volume (non porta al cedimento)
• Per le proprietà dei tensori, la tensione idrostatica (ottaedrica)
corrisponde anche a 1/3 del valore del primo invariante del tensore
di tensione
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• La componente di tensione normale a una superficie è infatti


sempre data dal prodotto scalare tra il vettore della tensione totale
che agisce sulla superficie e il versore (la normale) che identifica
la giacitura della superficie in esame
• La tensione ottaedrica, componente di tensione normale che agisce
sul piano ottaedrico, è quindi:

(cvd)

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• Il tensore deviatorico [σ’] è invece una matrice che ha espressione


diversa a seconda del sistema di riferimento utilizzato (cartesiano
xyz o principale p1p2p3):

• La tensione tangenziale ottaedrica si calcola applicando la


relazione pitagorica e risulta proporzionale alla radice quadrata del
secondo invariante del tensore deviatorico
C. Delprete - DIMEAS 33

(cvd)

C. Delprete - DIMEAS 34

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• La tensione tangenziale ottaedrica è la componente dello stato di


tensione che cambia la forma del componente, quindi è legata
all’energia di distorsione e quindi porta al danneggiamento

• L'espressione del criterio di Von Mises si ottiene uguagliando la


τott calcolata per lo stato di tensione triassiale esistente con la τott
corrispondente al caso di trazione monoassiale:

da cui:

(Hp. Von Mises)

C. Delprete - DIMEAS 35

• Nel caso tipico dell’ingegneria (flesso-trazione + torsione) il


criterio di Von Mises si riscrive come:

• A parità di σ e τ, il criterio di Von Mises calcola un valore di σid


più basso rispetto a quello calcolato dal criterio di Tresca e quindi è
meno conservativo del criterio di Tresca
• Il criterio di Von Mises può anche essere visto da un punto di vista
energetico: il componente inizia a deformarsi plasticamente quando
la quota di energia potenziale elastica di deformazione (energia di
distorsione, puro cambiamento di forma) raggiunge il limite del
materiale
• Essendo un’ipotesi di tipo energetico ecco che la relazione è di tipo
non lineare nelle tensioni principali
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Stato di tensione piana


σyp= ReH o Rp0,2

Hp. Von Mises

Hp. Tresca

[J.A. Collins, Failure of Materials in Mechanical Design, Wiley, 1981


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• Anche confrontando a livello grafico i criteri di Tresca e Von Mises


si evidenzia che il criterio di Tresca è più cautelativa
• Infatti la “curva limite” (linea spezzata) corrispondente al criterio
di Tresca è inscritta nella curva limite del criterio di Von Mises
• L’area racchiusa dalla curva limite di Tresca, cioè la zona di
sicurezza, è quindi più piccola e cioè più conservativa
• La discrepanza tra i due criteri è comunque limitata e praticamente
assorbita dalla dispersione dei dati sperimentali
• Un’ultima osservazione può essere fatta in base all’espressione
matematica e quindi alla “forma” delle curve limite dei due criteri:
• Il criterio di Von Mises porta a un’unica formula valida in tutti i
quattro quadranti del piano σ1σ2 che però è di tipo non lineare
• Il criterio di Tresca è invece una semplice relazione lineare (a
forma di esagono) ma porta a espressioni diverse nei quattro
quadranti
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FINE DEL RIPASSO

Cedimento in presenza di difetti


• I criteri precedentemente visti sono utilizzabili quando si considera
un materiale privo di difetti
• Nell’eventualità che ciò non accada occorre effettuare una verifica
di stabilità del difetto e quindi di “tenuta” del componente
• Per fare ciò si ricorre alla teoria della frattura lineare elastica e, in
base al tipo di difetto in essere, si stima la stabilità della cricca:

il pedice i indica il modo di apertura della cricca, KiC è il limite di


tenacità alla frattura del materiale, Y un coefficiente che dipende
dal tipo di difetto, a la semi-ampiezza del difetto e σ la tensione
che si sviluppa nel componente considerato privo di difetto
• Normalmente la verifica sopra indicata si effettua considerando il
modo I perché è il più pericoloso
C. Delprete - DIMEAS 39

• Il parametro che distingue realmente un materiale con


comportamento fragile da uno con comportamento duttile è proprio
il KiC in quanto esprime la capacità fisica del materiale di
sopportare la presenza di un difetto
• I materiali che presentano comportamento fragile hanno una
dimensione minima di difetto (a) paragonabile ai difetti intrinseci
alla matrice metallica del materiale (p.e. le ghise vermiculari e le
ghise grigie) e quindi sono più soggetti alla propagazione instabile
della cricca
• Al contrario materiali che si comportano in modo duttile, hanno
dimensioni accettabili del difetto molto più grandi e paragonabili a
difetti visibili presenti nel componente
• Inoltre, il comportamento del materiale non è soltanto influenzato
dalla temperatura ma anche dal tipo di stato di tensione che subisce

C. Delprete - DIMEAS 40

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• Normalmente ci si confronta con stati di tensione piana ma, come


nel caso di strutture di grandi dimensioni, anche con stati di
deformazione piana
• Nel caso di stato di deformazione piana l’energia necessaria a
propagare una cricca è minore di quella relativa a un equivalente
stato di tensione piana
• In questo caso un materiale con comportamento duttile potrebbe
quindi “infragilirsi”
• Ecco che diventa necessario effettuare sempre una verifica a
propagazione di cricca per quei materiali particolarmente sensibili
e che subiscono stati di deformazione piana

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Coefficiente di sicurezza statico


• Il calcolo strutturale ha lo scopo di garantire che il componente
possa sopportare i carichi a cui sarà sottoposto durante il servizio,
senza subire alterazioni che ne pregiudichino il regolare
funzionamento o addirittura rotture
• Definita una soglia di sollecitazione da non superare (p.e. la rottura
o lo snervamento) è quindi prudente che la condizione di lavoro
non giunga a sfiorare tale soglia, ma se ne mantenga
sufficientemente al di sotto
• Il coefficiente di sicurezza misura, per così dire, la “distanza” tra la
sollecitazione corrispondente alla condizione di lavoro e la
sollecitazione relativa alla soglia
• La necessità di calcolare/imporre un coefficiente di sicurezza è
collegata a motivi di natura diversa

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01/02OJZND – parte di MECCANICA STRUTTURALE 21


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• Prima di tutto lo stato di sollecitazione che agisce sul componente


si può calcola sia con soluzioni analitiche (elementi strutturali
standard) sia con metodi numerici (p.e. FEM) ma il risultato
ottenuto non rappresenta esattamente la realtà ma ne costituisce
comunque un’approssimazione
• La condizione di carico che viene assunta per il calcolo è sempre
soggetta a un certo grado di incertezza (dispersione a cui si cerca di
ovviare assumendo come riferimento la situazione peggiore) e non
si può escludere che per qualche causa accidentale possa anche
superare il valore massimo previsto
• Inoltre le caratteristiche di resistenza del materiale sono anch’esse
soggette a incertezze principalmente legate al processo di
produzione
• Infine quando si cerca di quantificare il margine di sicurezza da
interporre tra la situazione limite e il funzionamento, ci si accorge
che la scelta non è unica
C. Delprete - DIMEAS 43

• A determinare tale scelta concorrono infatti considerazioni diverse,


non soltanto di natura tecnica ma anche di natura economica e/o
sociale:
• Se la condizione limite fosse superata la struttura subirebbe un
eccesso di deformazione locale o una rottura?
• La rottura riguarderebbe soltanto uno o pochi elementi oppure
porterebbe alla distruzione completa del sistema?
• Il superamento della condizione limite potrebbe causare danni
ad altri beni o addirittura a persone?
• Esistono meccanismi intrinseci di limitazione del danno legati
per esempio al comportamento del materiale (plasticità), alla
distribuzione delle sollecitazioni (gradiente), alla struttura
(ridondanze)?
• Solitamente, l’approccio più semplice e più utilizzato per calcolare
il coefficiente di sicurezza statico è fare riferimento alla tensione
C. Delprete - DIMEAS 44

01/02OJZND – parte di MECCANICA STRUTTURALE 22


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• Nel punto più sollecitato della sezione più sollecitata del


componente, si verifica che la tensione ideale che agisce (tensione
ideale calcolata in base a un’ipotesi di cedimento adeguata al tipo
do materiale) sia sufficientemente inferiore rispetto alla tensione
limite di cedimento del materiale

• Il rapporto tra la tensione limite (del materiale) e la tensione ideale


(figlia della geometria del componente e della condizione di carico)
definisce il coefficiente di sicurezza statico (fattore di sicurezza):

• La condizione di sicurezza si ha quando CS > 1 mentre il


componente si trova al limite del cedimento se CS = 1

C. Delprete - DIMEAS 45

• Coefficiente di sicurezza statico: alcuni valori minimi prescritti

Caso CS
Strutture (acciaio) 1.5 (a snervamento)
Recipienti in pressione (acciaio) 1.5 (a snervamento)
Recipienti in pressione (ghisa sferoidale) 4 ÷ 5.5 (a rottura)
Recipienti in pressione (ghisa grigia) 8 (a rottura)
Funi (ascensori, montacarichi) 12 (a rottura)

C. Delprete - DIMEAS 46

01/02OJZND – parte di MECCANICA STRUTTURALE 23


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EFFETTO D’INTAGLIO NEL CEDIMENTO STATICO

• La presenza di un intaglio si verifica nel componente là dove la


geometria, e quindi la sezione resistente, presenta una brusca
variazione di forma

C. Delprete - DIMEAS 47

• La presenza dell’intaglio provoca


perturbazioni locali come:
• Variazione dello stato di tensione
rispetto a quanto calcolato con la teoria
di de Saint Venant con concentrazione
localizzata delle tensioni
• Stato di tensione tridimensionale (anche
nel caso di sollecitazione monoassiale)
σmax
σmax
σnom

σnom

Trazione Flessione
C. Delprete - DIMEAS 48

01/02OJZND – parte di MECCANICA STRUTTURALE 24


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• Lo stato di tensione nella zona dell’intaglio


è valutabile per via sperimentale
(fotoelasticità, estensimetria, vernici
fragili), visualizzando la concentrazione
delle deformazioni e quindi delle tensioni
• Oppure per via numerica (p.e. FEM), le
tensioni in prossimità dell’intaglio sono già
automaticamente calcolate tenendo in conto
la presenza dell’intaglio (valori concentrati)
in quanto la mesh, infittita vicino
all’intaglio, segue la variazione di
geometria in modo sufficientemente fedele
• Oppure per via analitica, per specifiche geometrie della zona
intagliata, utilizzando la teoria dell’elasticità (equazioni di
equilibrio e di congruenza) e tenendo conto di fattori correttivi per
calcolare il valore di tensione concentrata dall’intaglio
C. Delprete - DIMEAS 49

Valutazione analitica
• Barra a sezione circolare con gola, sollecitata a trazione statica:
stato di tensione 3D per effetto d’intaglio

• Si tiene conto della concentrazione di tensione con il fattore di


forma (o di concentrazione delle tensioni) Kt
C. Delprete - DIMEAS 50

01/02OJZND – parte di MECCANICA STRUTTURALE 25


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• Il fattore di forma è definito come rapporto tra la tensione massima


concentrata, raggiunta all’apice dell’intaglio e diretta nella
direzione della tensione nominale, e la tensione nominale calcolata
con le formule di de St Venant nella sezione minima dell’intaglio:

• I valori dei fattori di forma, per definite geometrie dell’intaglio e


modalità di applicazione del carico ma indipendenti dal materiale,
si ricavano da diagrammi di letteratura (R.E. Petterson, Stress
Concentration Factor, Wiley, 1974)
• Nota la tensione nominale di de St. Venant nella sezione minima
dell’intaglio e ricavato il fattore di forma dall’opportuno
diagramma di letteratura è possibile calcolare la tensione massima
che si genera in prossimità dell’intaglio stesso:

C. Delprete - DIMEAS 51

• Da uno dei diagrammi che


riportano i valori del fattore di
forma si nota che la geometria
dell’intaglio è descritta dalle
grandezze adimensionali D/d e r/d
• Il Kt dipende quindi soltanto dalle
proporzioni del componente e
non dalle sue dimensioni assolute
• Se il raggio r di fondo intaglio tende a zero il Kt (quindi la tensione
massima) tende a infinito ma ciò non può accadere nella realtà:
• Nel caso di materiale duttile, superato il limite elastico il
materiale snerva e ridistribuisce i picchi di tensione localizzata
• Nel caso di materiale fragile, superato il limite di rottura il
materiale si rompe
• Il picco di tensione concentrato dalla presenza dell’intaglio gioca
quindi diversamente a seconda che il materiale sia fragile o duttile
C. Delprete - DIMEAS 52

01/02OJZND – parte di MECCANICA STRUTTURALE 26


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Albero con spallamento

C. Delprete - DIMEAS 53

Albero con gola

C. Delprete - DIMEAS 54

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Albero con foro trasversale

C. Delprete - DIMEAS 55

Piastra con riduzione di sezione

C. Delprete - DIMEAS 56

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Piastra con intagli laterali

C. Delprete - DIMEAS 57

Piastra con foro centrale

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Piastra intagliata, carico trazione (monoassiale), materiale fragile


• Si consideri una piastra di spessore trasversale b, con intagli laterali
che ne riducono lo spessore frontale da H a h
P P
h H

• Dato che il carico è di trazione, lo stato di tensione nominale di de


Saint Venant è uniforme
• Dato che il materiale della piastra è fragile, l’unica modalità di
cedimento è la rottura fragile (per decoesione frontale)
• Il carico unitario di rottura del materiale non deve quindi essere
superato neanche in un punto della sezione minima resistente

C. Delprete - DIMEAS 59

Piastra intagliata, carico trazione (monoassiale), materiale duttile


• Si consideri la stessa piastra di spessore trasversale b, con intagli
laterali che ne riducono lo spessore frontale da H a h
P P
h H

• Dato che il carico è di trazione, lo stato di tensione nominale di de


Saint Venant è uniforme
• Dato che ora il materiale della piastra è duttile, le modalità di
cedimento sono più d’una e in particolare:
1. Primo snervamento
2. Completa plasticizzazione (collasso plastico della sezione con
formazione di una cerniera plastica)
3. Rottura duttile

C. Delprete - DIMEAS 60

01/02OJZND – parte di MECCANICA STRUTTURALE 30


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1. Primo snervamento

P P
h H

• Il primo snervamento della sezione minima resistente si ha quando


il picco di tensione concentrata dall’intaglio raggiunge il valore del
carico unitario di snervamento del materiale:

• Dato che l’effetto dell’intaglio è localizzato, questa condizione è


molto restrittiva e porta a un forte sovradimensionamento del
componente

C. Delprete - DIMEAS 61

• Spesso è però sufficiente che il componente nel suo insieme rispetti


la linearità, indipendentemente da ciò che accade localmente in
singoli punti
• Si può quindi accettare che la prima fibra a fondo intaglio snervi e,
sfruttando la duttilità del materiale, che la rimanente parte di
sezione snervi progressivamente fino a che la zona completamente
plasticizzata interessi tutta la sezione minima resistente
• Si è così in presenza della seconda modalità di cedimento, la
completa plasticizzazione della sezione minima resistente, che
viene analizzata nel seguito

C. Delprete - DIMEAS 62

01/02OJZND – parte di MECCANICA STRUTTURALE 31


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2. Completa plasticizzazione

P P
h H

• Il picco di tensione che all’apice dell’intaglio ha raggiunto il limite


di snervamento del materiale, si ridistribuisce per plasticizzazione
progressiva della sezione finché in tutti i punti si raggiunge il
carico unitario di snervamento del materiale:

• In questo cedimento si assume perché la distribuzione di


tensione sulla sezione minima resistente è tornata a essere quella
nominale uniforme di de Saint Venant (l’intaglio non conta più)
C. Delprete - DIMEAS 63

3. Rottura duttile

P P
h H

• Dalla completa plasticizzazione della sezione minima in poi il


componente si comporta come se fosse un pezzo non intagliato di
sezione pari a quella minima (la presenza dell’intaglio non conta)
• La rottura duttile si raggiunge quando la distribuzione di tensione
raggiunge il carico unitario di rottura del materiale

• Anche in questo cedimento si assume convenzionalmente


perché la presenza dell’intaglio non ha più alcun effetto
C. Delprete - DIMEAS 64

01/02OJZND – parte di MECCANICA STRUTTURALE 32


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Verifica statica in presenza d’intaglio, carico trazione: riassunto

Materiale fragile Materiale duttile


• Rottura fragile: • Primo snervamento:

• Completa plasticizzazione:

• Rottura duttile:

C. Delprete - DIMEAS 65

Componente intagliato, stato tensione multiassiale, materiale fragile


• Nel caso di materiale fragile, presenza di intaglio e stato di tensione
multiassiale (flesso-trazione + torsione) si applica l’ipotesi di
cedimento della tensione normale massima (Galileo):

• La tensione normale massima (cerchi di Mohr) vale:

• Per ciascuna componente di tensione si tiene conto


dello specifico fattore di forma che concentra il picco di tensione per
la presenza dell’intaglio:

C. Delprete - DIMEAS 66

01/02OJZND – parte di MECCANICA STRUTTURALE 33


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Componente intagliato, stato tensione multiassiale, materiale duttile


• Nel caso di materiale duttile, presenza di intaglio e stato di tensione
multiassiale (flesso-trazione + torsione) non si conosce l’effettivo
stato di tensione nell’intorno dell’intaglio e si procede in modo
convenzionale
Verifica convenzionale a primo snervamento
• Si effettua calcolando la tensione ideale con l’ipotesi della tensione
tangenziale massima (Tresca) tenendo conto dello specifico fattore
di forma per ciascuna componente di tensione concentrata dalla
presenza dell’intaglio:

con

C. Delprete - DIMEAS 67

Verifica convenzionale a rottura duttile


•Si effettua calcolando la tensione ideale con l’ipotesi della tensione
tangenziale massima (Tresca) conteggiando le componenti nominali
di tensione di de St. Venant:

•Questo perché, come già detto in precedenza, dal momento della


completa plasticizzazione della sezione resistente, aumentando la
sollecitazione il componente si comporta come se fosse un pezzo non
intagliato con sezione pari alla sezione minima
•La presenza dell’intaglio non ha quindi alcun effetto e la verifica
contro la rottura duttile viene convenzionalmente effettuale
considerando le tensioni nominali di de St Venant
C. Delprete - DIMEAS 68

01/02OJZND – parte di MECCANICA STRUTTURALE 34


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EFFETTO DEL CREEP NEL CEDIMENTO STATICO

• Come noto, il creep (scorrimento viscoso a caldo) si manifesta a


partire da una temperatura di circa 1/3 della Tmelt (in K)
• Sotto l’azione di una tensione costante il materiale, anziché
mantenere una deformazione costant , si deforma
progressivamente nel tempo comportandosi come un fluido a
elevata densità
• Il fenomeno porta a un lento allungamento del componente,
dovuto all’accumulo di deformazione plastica nel tempo, che può
proseguire fino alla rottura
• Le variabili in gioco sono: tempo t, tensione σ e temperatura T
• Il creep si studia con provini caricati in trazione pura e lasciati
liberi di allungarsi a temperatura controllata; si traccia la curva
della deformazione plastica in funzione del tempo (i tempi di
prova sono molto lunghi, migliaia di ore)
C. Delprete - DIMEAS 69

• Nella curva si distinguono tre zone di creep: primario, secondario


e terziario

• Lo stadio di maggiore interesse pratico è il creep secondario dove


la velocità di deformazione è costante e per il quale sono
disponibili formule analitiche di calcolo
• Sotto l’azione di σ-T elevate, il creep secondario può però non
avere luogo, passando direttamente dal creep primario al terziario
C. Delprete - DIMEAS 70

01/02OJZND – parte di MECCANICA STRUTTURALE 35


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• La rottura per creep è in genere di tipo intercristallino e


caratterizzata da superfice di rottura con aspetto simile a una
rottura fragile (anche se il fenomeno è di tipo plastico) e assenza di
fenomeni di cedimento intermedio (snervamento) con strizione
scarsa o assente e quindi senza preavviso
• A creep si comportano meglio i materiali con grandi dimensioni
dei grani cristallini (a grano grosso) perché hanno un minor
numero di superfici di separazione disponibili tra i grani

C. Delprete - DIMEAS 71

• La tensione che porta a rottura il componente a un dato tempo è


solitamente detta “limite di scorrimento a tempo”
• Nella pratica ingegneristica è spesso necessario limitare la
deformazione raggiunta in modo da evitare il componente soggetto
al fenomeno non riesca più a operare correttamente; in questo caso
si imporrà un limite di progetto alla deformazione raggiungibile
• Dato che il cedimento per creep può manifestarsi in tempi molto
lunghi, e la determinazione esatta del comportamento del materiale
richiederebbe prove impraticabili, si sono sviluppati metodi adatti
a ottenere i dati necessari da prove di durata limitata:
• Metodo di abbreviazione del tempo
• Metodo di accelerazione meccanica
• Metodo di accelerazione termica
• Tutti questi metodi accelerati danno risultati significativi soltanto
se le prove sono svolte per un tempo comunque non inferiore al
10% di quello previsto dalle condizioni operative del componente
C. Delprete - DIMEAS 72

01/02OJZND – parte di MECCANICA STRUTTURALE 36


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• Acciai adatti all’impiego ad alta temperatura: resistenza al creep a


10000 e 100000 ore
Rp0.1 (MPa) Rm (MPa)
Acciaio T (°C) 10000 ore 100000 ore 10000 ore 100000 ore
380 164 118 229 175
P235GH 420 113 73 158 103
per recipienti
in pressione 440 91 57 127 79
480 53 30 75 42
450 216 167 298 239
16Mo3 470 182 126 247 178
per recipienti
in pressione 500 132 73 171 101
530 84 36 102 53

X10CrNi1809 500 98 245 206


inossidabile 600 56 108 98
austenitico 700 15 44 37

C. Delprete - DIMEAS 73

• Metodo di abbreviazione del tempo: prove a temperatura costante e


a diversi livelli di tensione (come le prove di lunga durata),
interrotte a un tempo definito a priori
• Curve ε-t sono poi estrapolate fino al tempo richiesto
• Conoscendo la massima
deformazione accettabile, alla
temperatura di prova si trova la
tensione limite di utilizzo
• Il metodo non consente di
determinare il passaggio tra
creep secondario e creep
terziario
• Non si può determinare se, nel
periodo di tempo previsto,
si raggiungerà o meno il limite di scorrimento a tempo (e quindi il
cedimento)
C. Delprete - DIMEAS 74

01/02OJZND – parte di MECCANICA STRUTTURALE 37


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• Metodo di accelerazione meccanica: prove a temperatura costante


ma a livelli di tensione molto più elevati di quello di lavoro
• Risultati sono elaborati per tracciare curve di deformazione
costante nel diagramma σ-t
• Curve sono poi estrapolate e la
tensione ammissibile è ricavata
dalla curva della deformazione
ammissibile, in corrispondenza
del tempo di utilizzo previsto
• Le curve estrapolate per
deformazioni maggiori di quella
ammissibile possono essere
utilizzate per garantire che nella
vita richiesta al componente non si raggiunga il limite di
scorrimento a tempo (e quindi il cedimento)

C. Delprete - DIMEAS 75

• Metodo di accelerazione termica: prove a livelli di temperatura


molto più elevata di quelli previsti in esercizio
• Per ogni temperatura si traccia una curva sul diagramma σ-t
• La curva per la temperatura di
lavoro viene estrapolata fino al
tempo di esposizione previsto
e si ricava la corrispondente
tensione ammissibile
• Le curve ottenute per le
temperature più elevate
servono a garantire che prima
del tempo previsto non si
raggiunga il limite di scorrimento
a tempo, e quindi il cedimento

C. Delprete - DIMEAS 76

01/02OJZND – parte di MECCANICA STRUTTURALE 38


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Relazioni analitiche
• In generale la deformazione a velocità costante che si verifica nel
creep secondario è prevalente rispetto a quelle associate agli altri
stadi di creep primario e terziario, che sono quindi trascurabili, e
può essere descritta da una relazione empirica doppio logaritmica:

dove t è il tempo, σ la tensione applicata, B ed n sono costanti


empiriche del materiale (a una certa temperatura)
• La legge consente di valutare con buona approssimazione la
tensione ammissibile per ottenere, a una data temperatura e in un
determinato tempo, la deformazione massima che si ritiene
accettabile:

C. Delprete - DIMEAS 77

• L’utilizzo dei metodi di prova accelerati, e in particolare di quello


di accelerazione termica, porta alla formulazione di formule
empiriche tempo-temperatura, utili per legare i risultati delle prove
accelerate con il tempo necessario per raggiungere la deformazione
ammissibile alla temperatura di esercizio
• La relazione più utilizzata è la legge di Larson-Miller:

dove t è il tempo (in ore), T la temperatura (in K), C coefficiente


caratteristico del materiale, P il parametro di Larson-Miller
(costante, almeno idealmente, a tensione costante)
• La legge di Larson-Miller consente di stimare la durata a rottura, o
a uno stabilito livello di deformazione, per temperature inferiori
ma alla stessa tensione della prova accelerata
• In generale i risultati ottenuti sono di buona approssimazione
C. Delprete - DIMEAS 78

01/02OJZND – parte di MECCANICA STRUTTURALE 39


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• L’errore associato alla legge di Larson-Miller è dovuto al fatto che


il parametro C in realtà non è costante con la temperatura
• Inoltre, in generale le leggi tempo-temperatura forniscono risultati
corretti soltanto se il meccanismo di scorrimento viscoso nella
condizione di prova è lo stesso di quello che si ha nelle condizioni
che vengono estrapolate
• Dato che, nel corso del suo servizio, il componente non è sempre
sottoposto alle stesse condizioni di T e σ, si deve tenere conto in
qualche modo delle diverse condizioni incontrate durante il suo
funzionamento
• Solitamente si utilizza la formula di Robinson (legge della frazione
di vita, life fraction rule, 1952) che quantifica il danno accumulato
per creep nel componente:

C. Delprete - DIMEAS 79

dove D è il danno totale accumulato, Di la frazione di vita


consumata (danno i-esimo) da ciascuna condizione σ-T, ti il tempo
per il quale il componente è sottoposto alla i-esima condizione σ-
Τ, tr,i la durata che il componente avrebbe se fosse soggetto
soltanto alla i-esima condizione σ-T per tutta la sua vita
•La rottura del componente si verifica quando il danno totale
accumulato raggiunge l’unità:

•L’approccio al problema è analogo a quello che vedremo verrà


utilizzato per valutare il danneggiamento causato da cicli di
tensione di fatica di ampiezza variabile
C. Delprete - DIMEAS 80

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