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Pamela Chiaro 4^Fla Montebelluna, 05 marzo 2007

TEMA D’ITALIANO
In Italia nel ‘700 ci sono due “teatri”: quello di Goldoni e quello di Parini. Tutti e due
parlano di un quotidiano e non di uno straordinario, tutti e due senza volerlo parlano
di cambiamenti, analizzano il mondo che li circonda con sana ironia: tutti e due
utilizzano la letteratura come fonte indiretta di denuncia. Il privato diventa pubblico
ed è uno specchio pieno di contraddizioni.

All’orizzonte del ‘700 italiano si stagliarono due figure rivoluzionarie, destinate a cambiare ed a
rinnovare in maniera profonda il proprio settore: stiamo parlando di Carlo Goldoni e Giuseppe
Parini.
Il primo, nato a Venezia nel 1707, poté dar sfogo alla propria prepotente vocazione teatrale grazie
all’incontro con il capocomico Giuseppe Imer, dal quale ricevette l’incarico di scrivere testi per il
teatro veneziano di San Samuele. Ma non fu nella prima fase della sua carriera che Goldoni riuscì a
far emergere il proprio genio: ciò avvenne infatti quando egli ottenne un contratto stabile come
poeta di teatro presso la compagnia di Girolamo Medebac. E’ questo un segno molto importante
della particolarità della figura di Goldoni: fino a quel momento gli scrittori facevano parte dei ceti
privilegiati, oppure ne erano al servizio e godevano della loro protezione; Goldoni, invece,
guadagna ciò di cui vive solo grazie al frutto della propria genialità, non sente il bisogno di ricevere
la protezione e la sicurezza di una figura importante che funga da mecenate.
Egli anticipa così la figura dello scrittore che si imporrà nell’800 all’interno della società borghese.
Inoltre, il destinatario della produzione goldoniana non è più il pubblico interamente composto da
colti e letterati, bensì la massa. Il teatro diventa in questo modo una vera e propria impresa
commerciale, in cui è possibile investire per guadagnare, ma per far ciò è necessario andare
incontro alle esigenze ed ai gusti del pubblico. Goldoni, on grande lungimiranza, comprese tutto
questo, e vi si adattò appieno.
All’inizio della sua attività di scrittore per il teatro, la scena comica rispondeva ancora ai canoni
della Commedia dell’Arte: i personaggi erano sempre i medesimi, e gli attori recitavano con il volto
coperto dalle maschere tradizionali (Arlecchino, Pantalone, ecc.) seguendo un semplice canovaccio
e sfruttando le proprie doti di improvvisatori. Goldoni mise da subito in discussione questo tipo di
teatro: egli ne criticava infatti la volgarità, alla quale era affidato il compito di creare comicità, la
monotonia e lo stereotipo a cui si erano ridotti i modelli umani rappresentati dalle maschere, la
ripetitività del modo di recitare degli attori, permeato da battute prevedibili e dense di luoghi
comuni., e l’assoluta inverosimiglianza delle situazioni portate in scena. La contrarietà di Goldoni s
questa forma di teatro è dovuta alla sua crescita in un clima intellettuale dominato dal razionalismo
arcadico, che era in netta contrapposizione con la stravaganza e la bizzarria barocche ( e delle quali
era intrisa la Commedia dell’Arte).
La riforma messa in atto da Goldoni non apportò cambiamenti solamente nell’ambito del genere
letterario, ma modificò significamene anche il modo di fare spettacolo, rendendolo specchio della
vita sociale. Il suo desiderio di produrre testi che il pubblico potesse apprezzare andava di pari
passo con la sua voglia di portare in scena spaccati della vita quotidiana, di produrre una commedia
verisimile nella quale si rispecchiassero realisticamente la società del tempo e le figure che vi si
muovevano. Per questo egli elimina dalla scena le maschere tradizionali ed introduce personaggi
nuovi, donando loro particolari caratteristiche che ne vanno a delineare e ad approfondire il profilo
psicologico. Quest’esigenza dell’individualità nella sua unicità nacque dall’imporsi della civiltà
borghese moderna, i cui gusti erano in netta contrapposizione con la tipicità astratta propria dell’arte
classica antica e rinascimentale. Per comprendere appieno tutto ciò, e fondamentale ricordare che la
città in cui si formo Goldoni era Venezia. La nascita della commedia realistica fu infatti favorita
dalla vasta presenza di un pubblico borghese all’interno della città, il quale gradiva profondamente
vedere la propria figura, la propria psicologia ed i propri principi etici rappresentati sul
palcoscenico. Si può dedurre da questo che Goldoni riuscì ad infondere alle proprie commedie
quella empatia che ormai da tempo nel teatro italiano era diventata solo un vago ricordo.
Anche Giuseppe Parini, nato nel 1723 in Brianza, fu un uomo fondamentale per la scena
intellettuale italiana.
Importante fu la sua ammissione all’Accademia dei Trasformati, all’interno della quale egli scoprì
un ambiente che rispecchiava pienamente i suoi orientamenti ideologici e letterari tipici
dell’illuminismo. Il suo pensiero non va però associato alla corrente più radicale ed innovatrice
dell’illuminismo: l’Accademia dei Trasformati faceva infatti parte dell’ala più moderata dello
schieramento progressivo.
Parini si trovò ad esempio in forte disaccordo con i sentimenti antireligiosi ed edonistici portati
avanti dai grandi pensatori francesi, quali Rousseau e Voltaire. Pur essendo ostile ad ogni forma di
fanatismo religioso, egli crede fermamente nella religione, considerandola come un mezzo per porre
freno all’irrequietezza e alle passioni umane, e vedendola come rivelazione del significato ultimo
dell’esistenza umana.
Ciò con cui Parini si trova in pieno accordo sono invece i principi umanitari ed umanistici promossi
dall’illuminismo: egli crede cioè nell’assoluta eguaglianza e nella pari dignità di tutti gli esseri
umani, a prescindere dalle loro origini, e nell’amore per l’umanità in quanto tale.
Furono proprio queste idee ad alimentare la forte critica di Parini nei confronti della nobiltà, idee di
cui è testimone il giorno, opera satirica riguardante l’aristocrazia. Egli riteneva, non a torto, che i
ceti privilegiati fossero oziosi, vuoti ed improduttivi sul piano economico, sul piano intellettuale e
su quello civile. All’ozio andava aggiunta poi l’immoralità dei costumi: all’interno dei ceti nobiliari
era infatti frequente l’adulterio, che offendeva la famiglia ed i suoi valori, considerati sacri da
Parini. Parini riconosce tuttavia la grandezza della nobiltà del passato, ed il suo intento non è quello
di eliminare la classe aristocratica: egli non è ostile alla nobiltà in sé, bensì alla sua attuale
sfrenatezza e decadenza; la sua critica non vuole quindi essere distruttiva ma costruttiva, ed il
desiderio di Parini è di ricondurre l’aristocrazia sulla retta via.
Proprio grazie a tutto ciò la figura di questo poeta è fondamentale. Egli, superando ogni timore e
pregiudizio, non solo ebbe il coraggio di andare contro ad alcune idee promosse dall’illuminismo,
corrente che aveva riscosso generalmente grande consenso da parte di tutti, ma riuscì a costringere
l’aristocrazia a guardarsi allo specchio, specchio rappresentato dalle sue opere: in esse i nobili erano
ritratti per ciò che effettivamente erano, con i loro molteplici difetti, ben lontani dal rappresentare
quei modelli di nobili eroi proposti dalla letteratura precedente.
In conclusione, si può affermare che questi due scrittori furono capaci di infondere efficacemente
nelle proprie opere le idee di cui erano sostenitori, ed apportarono significativi cambiamenti non
solo nel loro campo letterario, ma anche nel modo di pensare proprio della loro epoca. Uomini che
tutt’ora, a distanza di ‘300 anni, possono rappresentare un modello per chi si pone controcorrente.

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