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Inferno

Inferno

Introduzione
L’orrore e la pietà
L a discesa nell’abisso infernale costituisce il primo tratto del
viaggio di Dante nell’aldilà. Qui egli incontra le anime dan-
nate, che scontano per l’eternità le conseguenze non tanto dei
che non è soltanto il pretesto o portavoce di una lezione di ca-
techismo. Dante, nel testo, agisce pertanto con grande e anche
contraddittoria libertà: simpatizza, si irrita, si sdegna, compa-
loro peccati, ma del non essersi voluti pentire dei loro peccati. tisce, sviene, impreca… Ma i due sentimenti e le due esperien-
Infatti, anche in Purgatorio, e poi in Paradiso, Dante incontrerà ze morali su cui si fonda tutto l’impianto dell’Inferno dantesco
dei peccatori (e chi, fra noi uomini, può dirsi senza colpa?); ma sono l’orrore e la pietà. Ambedue intendono avere una funzio-
saranno peccatori che hanno fatto ricorso in tempo alla miseri- ne didattica e pedagogica: il contatto col peccato e con la sua
cordia divina. Dal punto di vista fisico, l’Inferno è una sorta di vo- punizione deve far scattare nel visitatore una repulsione edu-
ragine a forma di imbuto, sprofondata fino al centro della Terra. cativa, che lo ammonisca a non commettere lui quelle colpe
Sulle sue pareti corrono, a spirale, dei gradoni (cerchi, o gironi, che vede così orrendamente castigate. Il primo sentimento di
li chiama Dante) dove trovano posto i peccatori, distribuiti se- reazione è dunque, deve essere, l’orrore. Un orrore spesso anche
condo schiere che seguono le sofisticate e talvolta molto sottili fisico, di fronte a un Inferno che si presenta come una stermi-
distinzioni della morale cattolica, filtrata e raffinata attraver- nata camera di tortura: dove i dannati sono sottoposti alle pene
so i dettami dell’aristotelismo antico e della filosofia scolastica, fisiche più sanguinarie, talvolta, e ripugnanti (immersi nel san-
specie di san Tommaso, che è per Dante il filosofo, teologo, e gue bollente, nello sterco, nella pece, mutilati di continuo da
moralista di riferimento. La mappa dei peccati infernali viene un diavolo squartatore, infettati delle malattie più schifose…).
analiticamente illustrata da Dante (o meglio da Virgilio a Dante) Ma l’orrore non basta. Connaturata – non occasionale, conna-
nel canto XI; qui basti ricordare la divisione cruciale di questo turata – all’esperienza dell’Inferno è la pietà. Talvolta questo
ordinamento, che taglia in due l’imbuto infernale: quella fra i sentimento, che Dante anche qui si prende la libertà di provare
peccati di incontinenza, che coinvolgono soltanto i sensi, e che in modo vario a seconda dei peccati e dei peccatori, ma che è
costituiscono colpe d’ordine istintuale (lussuria, gola, ira, e così sempre virtualmente presente, è sembrato contraddittorio con
via), e peccati di malizia, più gravi, che coinvolgono ciò che di l’intenzione e il senso dell’opera. Perché Dante sviene di fronte
più proprio è della specie umana, ovvero il cervello, la ragione. a Paolo e Francesca? Perché esibisce tanta affettuosa solidarietà
Ne risulta che il primo peccato incontrato da Dante – il più lieve nei confronti di Brunetto Latini? Perché gli viene da piangere da-
dunque, o almeno il meno grave – è quello di lussuria; mentre vanti alla pena degli indovini? Certo non perché egli sia in disac-
l’ultimo, in fondo all’Inferno, è quello del tradimento dei propri cordo con la giustizia divina che ha condannato quei peccatori a
benefattori, inteso come la cosciente, calcolata risposta del di- quella punizione. Ma, molto più semplicemente, perché l’Inferno
samore all’offerta gratuita d’amore che si è ricevuta. L’Inferno, è per Dante l’esperienza del male. E il male non fa solo paura e
insomma, mette il lettore moderno di fronte a un universo mo- orrore. Perché la lezione dell’Inferno possa essere efficace, bi-
rale e a una gerarchia di colpe che possono talvolta sconcertare sogna che Dante si identifichi – parzialmente, potenzialmente
per la loro distanza rispetto alle percezioni e alle sensibilità del – con i peccati che vede, con le condanne di cui è testimone.
nostro tempo. Bisogna che egli si immedesimi, almeno un po’, con i dannati e il
Lo scopo di questa discesa di Dante nel regno del male è di- loro destino; bisogna che egli li compatisca, che ne abbia com-
dattico e conoscitivo. Dante deve rendersi conto dei criteri che passione e pietà. Solo così quel male e quel peccato non saranno
la giustizia divina adopera nel comminare le sue pene; deve per solo un’esperienza aliena, incomprensibile, che non lo tocca: ma
prima cosa istruirsi anche lui sul sistema giudiziario e morale a un pericolo imminente, da cui guardarsi. Sarebbe facile respin-
cui deve rispondere la vita di un cristiano. Tuttavia, non si tratta gere lontano da noi il male come cosa che non ci appartiene e
evidentemente di un viaggio soltanto intellettuale, ma di una che non ci riguarda. La pietà di Dante all’Inferno significa invece
esperienza altamente emotiva. Il Dante scrittore si oggettiva e che il male è vicino a ciascuno di noi, e nessuno può sentirsene
si proietta in un Dante personaggio che si comporta come un esente. Che in ciascuno di noi si annida, forse, un dannato. Che
vero carattere narrativo, romanzesco, all’interno del racconto, e le anime d’Inferno erano – e sono ancora, in fondo – come noi.

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Mappa interattiva
Inferno • Schema Inferno

Canti Peccatori Luoghi

selva
porta Gerusalemme
I, II

ANTINFERNO
III ignavi Acheronte

IV non battezzati I CERCHIO (LIMBO)

V lussuriosi II CERCHIO
INCONTINENTI

VI golosi III CERCHIO

VII avari e prodighi IV CERCHIO

VIII iracondi e accidiosi palude Stigia V CERCHIO città


di Dite
IX, X, XI eretici VI CERCHIO

I girone
XII omicidi e predoni
VII CERCHIO

Flegetonte
VIOLENTI

XIII suicidi e scialacquatori II girone

XIV, XV, bestemmiatori, III girone


XVI, XVII sodomiti, usurai
cascata del Flegetonte

XVIII ruffiani e seduttori I bolgia

XVIII adulatori II bolgia


VIII CERCHIO (MALEBOLGE)

XIX simoniaci III bolgia

XX indovini IV bolgia
FR AUDOLENTI

XXI, XXII barattieri V bolgia

XXIII ipocriti VI bolgia

XXIV, XXV ladri VII bolgia

XXVI, XXVII consiglieri fraudolenti VIII bolgia

XXVIII, XXIX seminatori di discordia IX bolgia

X bolgia
XXIX, XXX falsari

XXXI
pozzo dei giganti

XXXII traditori dei parenti I zona – Caina


IX CERCHIO (COCITO)

XXXII, XXXIII traditori della patria II zona – Antenora


TR ADITORI

XXXIII traditori degli ospiti III zona – Tolomea

XXXIV traditori dei benefattori IV zona – Giudecca

Lucifero

CENTRO
DELLA
TERRA

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Inferno Introduzione:
traccia

Canto I Canto:
traccia
Audio e video
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Luogo Figure allegoriche


selva oscura; pendio verso il colle tre fiere: lonza, leone, lupa

I l primo canto della Commedia serve da prologo all’intero quando vi sia capitato. Con le sue sole forze, vincendo i terrori
poema, e non a caso può considerarsi “fuori numerazione”, notturni, egli riesce comunque a districarsene: di fronte a lui,
all’interno del sistema simbolico dell’opera. Essa infatti è com- oltre il margine di quella paurosa foresta, si erge un colle appena
posta di canti, così distribuiti: Inferno , Purgatorio , Pa- baciato dai primi raggi del sole, e il suo cuore subito si rinfranca.
radiso ; ma i dell’Inferno vanno considerati, appunto, come Ma per poco. La strada gli viene subito sbarrata da tre belve
più . Questo primo canto, dunque, complica la numerologia feroci: una lonza (una sorta di leopardo), un leone e una lupa.
dantesca, aggiungendo all’ossessione del “tre” e dei suoi multi- Specie quest’ultima appare così aggressiva che Dante comincia
pli, allusiva al mistero centrale della fede cristiana – quello della a retrocedere. Ma ecco che qualcuno appare a soccorrerlo. È
Trinità –, la suggestione armonica dell’unità e dell’“uno” come Virgilio, il famoso poeta latino autore dell’Eneide, l’idolo lettera-
cifra perfettamente squadrata. Come la rio di Dante. Ma Virgilio non è qui come
divinità cristiana, la Commedia si presen- poeta; o almeno, non solo come poeta.
ta subito, insomma, una e trina, specchio Egli è qui per salvare Dante dalla ferocia
umano e poetico della misteriosa perfe- delle tre belve, e specie della lupa. È qui,
zione divina. anche, come profeta, visto che egli pre-
In questo canto proemiale Dante di- dice la prossima sconfitta di tale bestia,
spone schematicamente, ma con grande che sarà, egli assicura, ricacciata all’In-
efficacia, le pedine essenziali del suo rac- ferno da un veltro, un levriero da caccia
conto. Fin dall’inizio capiamo che sarà provvisto di tutte le virtù contrarie ai vizi
un racconto allegorico, in cui dietro della lupa. Soprattutto, però, Virgilio si
ogni cosa narrata potrà celarsi un senso offre a Dante come guida. Per scon-
ulteriore, simbolico, segreto: la selva su figgere la lupa e guadagnare la luce che
cui si apre il poema è sì una selva, ma adesso invade il colle al di là della selva,
anche il simbolo di un fatale smarrimen- Dante dovrà affrontare un lungo pelle-
Nel mezzo del cammin di nostra vita
to nel peccato, e così via. Fin dall’inizio mi ritrovai per una selva oscura, grinaggio attraverso l’Inferno, il Purga-
è chiaro che il protagonista è Dante, lo ché la diritta via era smarrita. torio e il Paradiso: viaggio certo fuori
scrittore stesso; siamo dunque di fronte (vv. 1-3) dell’ordinario, ma come rifiutare? Il canto
a un racconto autobiografico che l’au- si chiude con Dante che si affida, senza
tore pretende che noi consideriamo vero, anche se le cose nar- riserve, alla protezione di Virgilio.
rate saranno davvero “dell’altro mondo”. Sarà il racconto della Questi gli eventi, ovvero il racconto letterale di questo primo
conversione di Dante dal male al bene: dai vizi, simboleggiati canto. Il suo sovrasenso allegorico è, sotto vari aspetti partico-
dalle tre bestie feroci che qui gli sbarrano la strada, alla ricon- lari, di ardua e controversa decifrazione (la profezia del veltro,
quista della grazia divina e alla visione stessa di Dio, in Paradiso. per esempio), ma il disegno generale è assai chiaro. Il canto pre-
Ma questo cammino di conversione non si consumerà nell’in- senta lo smarrimento di un’anima nel buio del peccato (la selva
teriorità dell’animo del Poeta: esso si svolgerà attraverso un tenebrosa), il suo desiderio di cambiare vita e di ritornare alla
viaggio vero e proprio nei tre regni oltremondani dell’Inferno, luce del vero e del giusto (l’uscita dalla selva, il colle solatìo), il
del Purgatorio e del Paradiso, in modo che Dante possa ritorna- riemergere delle inveterate abitudini peccaminose (le tre fiere,
re sulla retta via a contatto con l’esperienza della dannazione, allegorie della lussuria, della superbia e della cupidigia), lo scora-
della penitenza e della beatitudine paradisiaca. A contatto, in- mento (il retrocedere verso la selva), l’intervento di un soccorso
somma, con la vicenda drammatica dell’uomo e della sua sto- esterno (Virgilio) e l’inizio di un lungo percorso di conoscenza e
ria, di peccato e di grandezza. Perché, infine, questo non sarà di docile accettazione della grazia divina (il viaggio oltremon-
solo il racconto della conversione di Dante, ma sarà insieme dano). Virgilio, in particolare, rappresenta in questo disegno le
anche la parabola esemplare di un itinerario morale, valida risorse della ragione umana che, come qui viene subito preci-
per chiunque voglia passare dal buio del peccato allo splendore sato, saranno capaci di accompagnare Dante fino alla soglia del
della Grazia. Paradiso, ma non oltre. Per penetrare nella beatitudine di Dio
Che cosa accade in questo primo canto? Dante si trova occorrerà una guida più alta (Beatrice), ovvero, occorreranno
solo, di notte, smarrito in una selva paurosa, incapace di trovare le risorse della fede, della speranza e della carità che Virgilio, in
una via d’uscita. Non sa rendersi conto neanche lui di come e quanto pagano, non ha potuto conoscere.

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Inferno • Canto I

N 3
el mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
La selva oscura, la paura,
la notte

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura


esta selva selvaggia e aspra e forte
6 che nel pensier rinova la paura!
Tant’ è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,
9 dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte.
Io non so ben ridir com’ i’ v’intrai,
tant’ era pien di sonno a quel punto
12 che la verace via abbandonai.
Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto, Il colle, il sole, la speranza
là dove terminava quella valle
15 che m’avea di paura il cor compunto, Le parole di Dante, p. 7

guardai in alto e vidi le sue spalle


vestite già de’ raggi del pianeta
18 che mena dritto altrui per ogne calle.
Allor fu la paura un poco queta,
che nel lago del cor m’era durata
21 la notte ch’i’ passai con tanta pieta.

Nel mezzo… di nostra vita: all’età di dura: ardua. all’Ottocento); la verace via è, al solito, la
trentacinque anni. Secondo la Bibbia, esta… forte: l’insistita allitterazione via del vero, del bene.
infatti, l’età tipica dell’uomo è di settanta (eSta Selva Selvaggia e aSpra) vuole sot- compunto: punto in profondità,
anni (Salmo 90, 10: «dies annorum tolineare la difficoltà e l’intrico della selva trafitto.
nostrorum sunt septuaginta anni», “Gli anni (selva selvaggia è anche figura etimologica - vidi le sue spalle… calle: «vidi i
della nostra vita sono settanta”), e Dante e replicazione); forte: compatta, impossibile pendii del colle illuminati dai raggi del
aveva già affermato (Convivio IV, xxiii, a penetrare. sole, l’astro che guida l’uomo nella giusta
6-10) che il «punto sommo di questo arco nel pensier… paura: «solo a direzione (dritto), qualunque via egli
[dell’esistenza umana]» doveva ravvisarsi ripensarci fa rinascere il terrore di quella prenda». Il sole è detto pianeta perché nella
«tra il trentesimo e ’l quarantesimo anno», esperienza». cosmologia tolemaica è un corpo celeste
e «nelli perfettamente naturati [cioè negli amara: tormentosa; poco… morte: la che ruota anch’esso intorno alla Terra; qui
individui di natura più perfetta] … nel morte è appena poco più angosciosa di è simbolo della luce di Dio, che illumina
trentacinquesimo anno». Dante era nato quella selva. tutti sulla retta via.
nel 1265, quindi l’inizio della Commedia ben: il ben che Dante troverà nella selva queta: acquietata.
viene collocato dall’autore nel 1300; più oscura è Virgilio, e, attraverso lui, la via nel lago del cor: nel profondo del
precisamente, come si ricava da altri passi d’uscita dalla selva, verso la salvezza. Ma cuore. Il lago è, nella lingua antica, la cavità
del poema, nella primavera di quell’anno, prima dell’incontro con Virgilio, Dante interna dove il sangue si raccoglie e da dove
o la sera del Venerdì Santo (8 aprile) o più dovrà dire delle altre cose (v. 9), ovvero viene reimmesso in circolo.
probabilmente del 25 marzo (che era il degli ostacoli da lui scorti (visti, incontrati) pieta: tormento, angoscia (dal latino
Capodanno fiorentino, detto ab incarna- in quella selva. pietas); nella lingua antica era comune-
tione, nove mesi esatti prima del Natale). - tant’ era… verace via: il sonno mente usato come alternativa a “pietà”,
- selva oscura… diritta via: simboli, simboleggia lo stato di assenza e cecità che, in genere, però, ha il significato
rispettivamente, del peccato e della via del della ragione, ottenebrata dal peccato; moderno di “compassione” (vedi anche
bene. era: ero (comune nella lingua antica, fino scheda a p. 105).

6
Inferno • Canto I

vv. - La selva oscura, la paura, la notte


La Commedia comincia di botto, senza preamboli: «Verso i miei trentacinque anni, nell’età che
si considera metà della vita umana, mi trovai nel mezzo di una selva spaventosa, incapace di
trovare la via giusta per uscirne. Ancora adesso, a ripensarci, provo gli stessi brividi, se devo dire
quanto irta, impenetrabile e selvaggia era quella selva». Così inizia Dante, ed è un inizio pecu-
liare. Basta confrontarlo con l’inizio delle altre due cantiche (Purgatorio e Paradiso) dove Dante
si presenterà in veste di poeta, lieto di potersi lasciare alle spalle la crudele materia infernale
(Purgatorio) e ben consapevole della sfida espressiva che lo attende, al momento di ridire le
cose viste nel Regno celeste (Paradiso). Lì, sulla soglia delle altre due cantiche, Dante invocherà
in suo aiuto, come i poeti classici, le muse, Calliope in particolare, e Apollo stesso, padre di ogni
poesia. È ben vero che anche qui, nella prima cantica, Dante premette un proemio, ma nel
secondo canto: O muse, o alto ingegno, or m’aiutate; / o mente che scrivesti ciò ch’io vidi, / qui si
parrà la tua nobilitate (vv. - ). Il che ribadisce che l’Inferno veramente ha una scansione pe-
culiare ( + ) e che il suo primo canto va considerato d’introduzione a tutta l’opera, mentre
è il secondo che apre veramente la prima cantica. Tuttavia, l’effetto narrativo non cambia: il
racconto della Commedia parte amputato di ogni preambolo, di ogni dichiarazione poetica, di
ogni avviso al lettore. Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura. Sem-
bra che l’unica preoccupazione sia quella di cominciare, e alla svelta, trascinando noi lettori nel
cuore di una situazione narrativa angosciosa, carica di ansia e di spavento. D’altronde, che cosa
c’è di più elementare, per cominciare un racconto, di un protagonista smarrito in un bosco? È
l’archetipo delle fiabe ancestrali; è anche, per un poeta nutrito di cultura francese come Dante,
un archetipo dei racconti di cavalleria da lui tanto amati, dove lo smarrirsi del cavaliere nella
foresta è circostanza narrativa assai tipica. Tanto più che, lo capiremo subito, è notte: trovarsi
solo, di notte, in una foresta senza uscita…
Dante non spiega come è entrato in questa selva, anzi, dice che «ci si è ritrovato» e, più
precisamente ancora, che non saprebbe ridire come vi era entrato, tanto era pien di sonno
quando smarrì la giusta direzione. La Commedia dunque comincia con una specie di sopras-
salto: come se uno, uscito di strada senza accorgersene, come un sonnambulo, improvvisa-
mente si riscuotesse e si guardasse intorno realizzando, con terrore, di trovarsi in un luogo
sconosciuto e pericoloso.
Un inizio di racconto così impressionante (e, non a caso, rimasto così impresso nella me-
moria dei lettori di Dante) è anche, allo stesso tempo, una scena allegorica. Che cos’è un’al-
legoria per Dante e per gli uomini del suo tempo? In generale, tenendo presente l’etimologia
stessa del termine (che deriva dal greco allos, “altro”, e rein, “dire”), allegoria significa “parlare
d’altro”, ovvero che in un discorso, oltre al senso letterale immediatamente comprensibile,
ve ne sono altri (“sovrasensi”) nascosti, e di meno immediata comprensibilità. Dante stesso

LE PAROLE DI DANTE v. 15
Compunto
Dante usa questo a ettivo sempre nel senso del latino Tuttavia ben presto compunto (come il sostantivo “compunzione”)
compunctus, da compungere, ovvero “pun ere”, “punzecchiare”, viene ad assumere un si nificato riferito all’aspetto esteriore, più che
“trafi ere”. È si nificativo che lo usi soltanto nell’Inferno, in al sentimento del cuore: così nella Vita di Vittorio Alfieri hanno «viso
relazione a emozioni di paura, come qui; di pena, come davanti compunto e an elico» i novizi che l’autore fanciullo vede in chiesa,
ai dannati per avarizia o prodi alità: E io, ch’avea lo cor quasi e che lo incantano con il loro aspetto devoto. Per questa strada il
compunto, / dissi (Inf. VII, - ); di sensi di colpa: Allor, come termine assume via via una sfumatura ne ativa, implicando osten-
di mia colpa compunto, / dissi (Inf. X, - ); Di che ciascun di tazione ipocrita di una contrizione interiore in realtà poco sentita,
colpa fu compunto, / ma quei più che cagion fu del difetto (Inf. XXII, o addirittura falsa. Così nei Promessi sposi di Alessandro Manzoni:
- ), in questo ultimo caso in riferimento ai diavoli uardiani «Quel frate [Padre Cristoforo] in somma v’ha convertito … Convertito,
dei barattieri, che si pentono di aver accettato una specie di ara cu ino; convertito, vi dico. Io per me, ne odo. Sapete che sarà un
con un dannato più furbo di loro. bello spettacolo vedervi tutto compunto e con li occhi bassi!».
Il vocabolo ha fatto un lun o via io, dai tempi di Dante. Ancora Si può concludere che o i, sia in letteratura sia nell’uso comune,
nel Rinascimento manteneva si nificato e uso antico, per esempio compunto è vocabolo sospetto, riferito spesso a persone che
nella Gerusalemme liberata di Torquato Tasso: «Tosto ciascun, da ostentano modestia, umiltà, scrupolosa reli iosità, o anche sempli-
ran desio compunto, / veste le membra de l’usate spo lie, / e cemente dili enti rispetto delle norme di buona educazione, senza
tosto appar di tutte l’arme in punto». che a questo corrisponda sincerità d’animo.

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Inferno • Canto I

E come quei che con lena affannata,


uscito fuor del pelago a la riva,
24 si volge a l’acqua perigliosa e guata,
così l’animo mio, ch’ancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passo
27 che non lasciò già mai persona viva.
Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso,
ripresi via per la piaggia diserta,
30 sì che ’l piè fermo sempre era ’l più basso.
Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta, Primo ostacolo: la lonza
una lonza leggera e presta molto,
33 che di pel macolato era coverta;
e non mi si partia dinanzi al volto,
anzi ’mpediva tanto il mio cammino,
36 ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto.
Temp’ era dal principio del mattino,
e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle
39 ch’eran con lui quando l’amor divino
mosse di prima quelle cose belle;
sì ch’a bene sperar m’era cagione
42 di quella fiera a la gaetta pelle

- E come quei… guata: «E come piaggia: il declivio intermedio fra la che nascesse dall’accoppiamento di un
un naufrago che ancora col fiato corto, pianura e l’altura vera e propria; qui, fra la leopardo e una leonessa; il termine lonza è
scampato dalle onde e approdato sulla selva che giace in basso, al buio, e il colle un francesismo (da lonce). Simboleggia il
spiaggia, si volge verso il mare pericoloso visto di sopra, baciato dai raggi del primo peccato di lussuria, evidentemente il primo
e lo contempla intensamente». “Guatare”, sole. e più grave impedimento per il riscatto
nell’uso antico e dantesco, è più intenso del sì che ’l piè… basso: «il piede più saldo spirituale di Dante.
semplice “guardare”. era quello più basso, su cui si appoggiava ch’i’ fui… vòlto: «mi volsi più d’una
l’animo… fuggiva: vuole dire che il il peso del corpo, mentre l’altro piede volta indietro, per ritornare nella selva».
corpo si era fermato (a contemplare la selva procedeva in avanti». Verso molto discusso, - e ’l sol montava… cose belle:
da cui era appena uscito), ma l’animo aveva ma che sembra alludere semplicemente al «il sole stava sorgendo congiunto con la
ancora l’impressione di fuggire, a malapena fatto che Dante sta affrontando l’inizio della costellazione dell’Ariete, come all’inizio
credeva di essere scampato al pericolo. salita più ripida (il cominciar de l’erta, v. 31) della creazione». Infatti si credeva che Dio
- lo passo… viva: è la selva stessa, forse con troppa ingenua baldanza, senza (l’amor divino) avesse dato il primo moto
da cui nessuno era uscito vivo. Vuole tenere conto della sua forte consuetudine agli astri (quelle cose belle) all’inizio della
significare che, dallo stato di peccato in ad abbandonarsi ai peccati, simboleggiati primavera, che si inaugura appunto sotto il
cui si trova Dante a metà della sua vita, dalle tre fiere che gli sbarrano subito il segno dell’Ariete.
non è possibile tornare alla via del bene; passo. - sì ch’a bene sperar… la dolce
almeno non da soli, come il resto del canto una lonza… molto: la lonza, agile e stagione: «sì che l’ora del giorno (l’alba) e
dimostrerà. molto svelta, è un felino simile al leopardo la dolcezza del clima primaverile mi inco-
Poi ch’èi posato: «Dopo che ebbi (più avanti si farà riferimento alla sua pelle raggiavano a sperar bene davanti al pericolo
riposato». maculata: pel macolato, v. 33); si credeva di quella fiera dal pelo screziato»; gaetta,

8
Inferno • Canto I

nel Convivio, a proposito della lettura delle Sacre Scritture, propone di applicare ai testi biblici
tre diversi livelli di senso: allegorico, morale e anagogico. In seguito, scrivendo a Cangrande
della Scala a proposito del suo Paradiso, egli semplifica il discorso, distinguendo fra l’allegoria
dei teologi, più sottilmente complicata, e quella dei poeti, che consiste semplicemente nel
rivestire di belle immagini messaggi morali più profondi. Per quanto riguarda l’inizio della
Commedia, e per tutto questo primo canto, il sovrasenso allegorico del testo è, nelle sue linee
generali, molto evidente, quasi schematico: la selva in cui Dante si smarrisce è allegoria della
vita di peccato, da cui è così arduo uscire; la diritta via è insieme un sentiero vero, concreto,
che non si riesce a ritrovare e, allegoricamente, la “via del bene” smarrita; solo il sorgere del
sole su un colle, oltre la selva, significherà per Dante la speranza di uscire dall’oscurità del
vizio verso la luce della virtù.
D’altronde, se si guarda un poco più a fondo in questa allegoria, si vedrà che essa non è
poi così schematica. Che cosa significa, infatti, esattamente, il soprassalto di paura su cui si
apre la Commedia? Che cosa vuol dire essere entrati nella selva senza neanche accorgersene?
E anche non riuscire a trovare la via d’uscita è poi un elemento così banale di questo raccon-
to? In realtà, qui Dante stringe in pochi versi una rappresentazione del peccato che noi mo-
derni, forse, potremmo definire “dipendenza” dal male. Dante sa bene (dalla lezione della sua
principale guida teologica, san Tommaso) che il peccato non consiste tanto in singole azioni
malvagie ma in un habitus, una pratica inveterata, radicata, del male. Di questo egli si accorge
nella selva oscura: di essere ormai in trappola, soffocato da una situazione di oscurità morale,
e di non sapere neanche bene, esattamente, come sia arrivato fino a quel punto. Accorgersi,
comunque, della propria crisi esistenziale è il punto di partenza; cercare disperatamente una
via d’uscita, la prima mossa verso la salvezza. Ma – come il seguito del canto ci insegnerà – la
forza inveterata delle abitudini cattive è troppo forte. Da soli non ce la facciamo. Occorrono
l’intervento di un aiutante esterno (Virgilio) e un lungo cammino di rigenerazione interiore per
approdare, finalmente, alla luce.

vv. - Il colle, il sole, la speranza


La notte sembra dileguata e Dante scorge, oltre il limite della selva, un colle baciato dai raggi
del primo sole. Basta questo per calmare un poco l’angoscia della spaventosa notte appena
trascorsa; nel profondo del cuore la paura si placa, la salvezza sembra a portata di mano; anzi,
Dante si può guardare indietro, verso il passo pericoloso appena superato, con il sollievo del
naufrago appena scampato sulla riva, che, sia pure ancora ansimante, si volge a contemplare
i marosi che stavano per inghiottirlo, anche se l’animo ancora quasi non crede di essere dav-
vero in salvo. E dopo un po’ di riposo, su per le prime alture del colle, a passo spedito, verso la
luce del mattino!
È un’illusione, naturalmente. Fosse così facile, uscire dalla selva del male… Bastasse soltan-
to rendersi conto della propria situazione di peccato, provarne terrore e decidere di liberarse-
ne… La volontà di salire all’erta del colle illuminato dal sole (facile allegoria della salvezza mo-
rale, della luce della Grazia, di Dio stesso) non basta. La vita passata, con i suoi vizi, interviene
a tagliare la strada all’ascesa baldanzosa del nostro protagonista.

vv. - Primo ostacolo: la lonza


Si parano improvvisamente di fronte a Dante tre fiere, o belve feroci: una lonza, un leone e
una lupa, che impediscono al Poeta l’ascesa a quel colle, allietato dai primi raggi del sole, che
sembra così vicino, a portata di mano, di fronte a lui. Le fiere sono allegorie di altrettanti vizi
che sbarrano la strada verso la luce della salvezza morale e della Grazia; ma, più ancora che
la loro identificazione con questo o quel peccato, ciò che conta qui è il meccanismo narrativo,
morale ed esistenziale di questo passo. Perché intervengono queste fiere? Che cosa significa
il loro intervento? Perché non hanno assalito Dante nella selva oscura ma lo hanno, invece,
aspettato in quel margine (piaggia diserta, erta) fra la selva e il colle? La risposta può essere
questa: le tre fiere non appartengono evidentemente al mondo del male vissuto come oscurità
della ragione, sonno della coscienza; esse si risvegliano quando Dante peccatore si indirizza al
bene, nel momento in cui egli comincia a prendere consapevolezza degli ostacoli che si frap-
pongono fra lui e una piena conversione morale. Sono creature non della notte ma, purtroppo,
della luce che comincia a rischiarare l’anima, e nel cui chiarore la natura dei propri peccati si
rivela vivida e distinta.

9
Inferno • Canto I

l’ora del tempo e la dolce stagione;


ma non sì che paura non mi desse
45 la vista che m’apparve d’un leone. Secondo ostacolo: il leone

Questi parea che contra me venisse


con la test’ alta e con rabbiosa fame,
48 sì che parea che l’aere ne tremesse.
Ed una lupa, che di tutte brame Terzo ostacolo: la lupa
sembiava carca ne la sua magrezza,
51 e molte genti fé già viver grame,
questa mi porse tanto di gravezza
con la paura ch’uscia di sua vista,
54 ch’io perdei la speranza de l’altezza.
E qual è quei che volontieri acquista,
e giugne ’l tempo che perder lo face,
57 che ’n tutti suoi pensier piange e s’attrista;
tal mi fece la bestia sanza pace,
che, venendomi ’ncontro, a poco a poco
60 mi ripigneva là dove ’l sol tace.
Mentre ch’i’ rovinava in basso loco, Comparsa di un aiutante:
dinanzi a li occhi mi si fu offerto Virgilio

63 chi per lungo silenzio parea fioco.


Quando vidi costui nel gran diserto, Le parole di Dante, p. 12
«Miserere di me», gridai a lui,
66 «qual che tu sii, od ombra od omo certo!».
Rispuosemi: «Non omo, omo già fui,
e li parenti miei furon lombardi,
69 mantoani per patrïa ambedui.

francesismo da gai, significa propria- che ispirava il suo aspetto, che perdetti la significherebbe? forse la lunga assenza della
mente “leggiadra”; insomma, la screziatura speranza di poter salire sulla cima del colle». luce del sole?). Il passo rimane comunque di
rendeva grazioso il pelo della lonza. - E qual è quei… s’attrista: difficile interpretazione.
un leone: la seconda fiera che si para «E come colui (un avaro o un giocatore) nel gran diserto: diserto non nel senso
davanti a Dante simboleggia la superbia; che si allieta delle sue vincite e, quando propriamente geografico (siamo nella piaggia
altro vizio, evidentemente, inveterato nel viene invece il momento di perdere alle soglie della selva oscura), ma inteso come
poeta peccatore. ciò che ha guadagnato, si dispera “luogo solitario”; forse ancora migliore il
parea… tremesse: «sembrava che profondamente». significato che il termine ha nella tradizione
anche l’aria intorno ne tremasse di paura». sanza pace: che non dà requie, del romanzo arturiano: luogo deputato alle
una lupa: la terza fiera simboleggia implacabile. avventure e alle prove dei cavalieri.
l’avarizia o, più in generale, la cupidigia. tace: non si fa sentire, non penetra. «Miserere di me»: «Abbi pietà di me».
È di gran lunga la fiera (e il vizio) più Efficace traslato, a significare il buio della La schietta forma latina, resa familiare dalla
temibile, quella che rischia davvero di selva oscura. sua frequenza nella liturgia cristiana, era
far precipitare di nuovo Dante nella rovinava: «stavo precipitando». d’uso comune ai tempi di Dante.
selva oscura (v. 60); Dante la definisce al mi si fu offerto: nella lingua antica, omo certo: uomo in carne e ossa.
singolare (la bestia, v. 58) come quella che il trapassato remoto è usato per indicare Non omo… fui: Virgilio dichiara che
gli fa più spavento (vv. 88-90); l’unica a cui la fulmineità dell’azione, già successa, per egli non è più tra gli uomini viventi, ma che
sembra riferirsi Virgilio (v. 94 e vv. ss.), e così dire, quando il soggetto senziente se ne egli lo fu, in un passato remoto.
contro la quale egli scaglia la profezia del accorge. - parenti: genitori, dal latino parentes
veltro (vv. 100-111). chi… fioco: è Virgilio, come si dirà (vedi anche scheda a p. 54); lombardi,
- che di tutte brame… magrezza: subito. Egli sembra fioco, senza voce, per mantoani: la patria tradizionale di Virgilio
«che sembrava portare, impressi nella sua essere stato a lungo senza parlare. Si può è Andes (odierna Pietole), piccolo villaggio
magrezza, i segni di tutte le sue cupidigie, intendere che Virgilio ha taciuto dai tempi nei pressi di Mantova; terra lombarda nel
della sua insaziabile avidità». dell’antichità classica; Dante sembra riven- senso antico, quando per Lombardia si
grame: afflitte. dicare qui il merito di ridargli la parola intendeva generalmente tutta l’Italia setten-
questa: riprende con effetto di enfasi dopo tanto tempo. Si potrebbe intendere trionale. Virgilio (Publius Vergilius Maro)
il soggetto già espresso (Ed una lupa); fioco anche come “scolorito”: in questo caso vi nacque nel 70 a.C.; morì a Brindisi nel
mi porse… gravezza: «mi angosciò l’espressione vorrebbe dire che l’apparizione 19 a.C., avendo appena terminato (ma non
talmente». di Virgilio ha l’evanescenza di un fantasma perfezionato) il suo capolavoro, l’Eneide,
- con la paura… altezza: «col terrore (ma in questo caso il lungo silenzio che cosa qui ricordato anche da Dante.

10
Inferno • Canto I

Così, il primo ostacolo incontrato qui da Dante è la lonza, una sorta di leopardo maculato in
cui si riconosce, tradizionalmente, il peccato di lussuria: evidentemente, il primo vizio da supe-
rare, in questa sorta di allegorico esame di coscienza. Dante sentirebbe quasi di farcela: è vero
che la fiera non gli si leva dinanzi agli occhi e gli impedisce tanto ostinatamente il cammino,
che più d’una volta egli si sente riprecipitare all’indietro verso la selva, ma il sole sta sorgendo
nel cielo, la luce invade il paesaggio, e per di più è l’inizio della primavera, la stagione in cui
tutto l’universo fu creato dall’amore di Dio; la lussuria, forse, sarebbe un ostacolo superabile…

vv. - Secondo ostacolo: il leone


Se non fosse che, immediatamente dopo la lonza, ecco comparire un leone a testa alta, criniera
ritta, ferocemente affamato, che non si limita a impedire il passo a Dante, come l’agile lonza,
ma gli viene proprio addosso; sembra che anche l’aria, intorno, ne abbia paura. È il secondo
ostacolo, il secondo vizio, comunemente identificato con il peccato di superbia; un peccato di
cui Dante apertamente si accuserà in Purgatorio (canto XIII, vv. - ) e che quindi dob-
biamo considerare tristemente caratteristico della sua vita morale.

vv. - Terzo ostacolo: la lupa


Ma il colpo di grazia è la comparsa di una lupa, il terzo e ultimo ostacolo all’ascesa di Dante verso
la luce: magra, divorata dalla sua stessa avidità, abituata ad affliggere l’esistenza di tanta gente
e paurosa all’aspetto, essa sgomenta tanto il nostro peccatore da fargli perdere del tutto la spe-
ranza di raggiungere il sommo del colle. Ormai la troppo facile sicurezza di averla vinta sui suoi
spaventi notturni abbandona Dante, che si sente come un giocatore, o un avaro, che di colpo
abbia perso i suoi guadagni o i suoi averi; la lupa, bestia sanza pace, lo aggredisce apertamente,
e a poco a poco lo respinge inesorabilmente verso il buio, là dove non arriva più la luce del sole.
La lupa è allegoria della cupidigia: un vizio che rappresenta un salto di qualità decisivo, per
così dire, in questa analisi dantesca della propria corruzione morale. Infatti, la lonza e il leone,
ovvero la lussuria e la superbia, rappresentavano peccati individuali, più legati al personale vis-
suto del Poeta; la cupidigia, invece, fin dall’inizio si presenta come una sorta di sciagura collet-
tiva (molte genti fé già viver grame), come una specie di peste sociale. Per questo d’ora in avanti
lonza e leone praticamente spariscono dal canto e la bestia per antonomasia, nelle parole di
Dante e di Virgilio, sarà sempre la sola lupa; anzi, sembra proprio che la comparsa di Virgilio
sia resa necessaria dall’aggressività di questa fiera, più che da quella delle altre due. D’altron-
de, già san Paolo aveva bollato la cupidigia come radice di ogni altro peccato (Prima lettera a
Timoteo , ); Dante, dal canto suo, nel corso della Commedia riporterà proprio a questo vizio
non tanto la sua personale vita morale (che invece sembra esserne alquanto immune), ma la
corruzione del proprio tempo e delle sue principali istituzioni, specie della Chiesa.

vv. - Comparsa di un aiutante: Virgilio


Mentre Dante, sotto l’incalzare della lupa, sta rovinando verso il basso, verso la selva oscura,
ecco comparire in scena, finalmente, un soccorritore. All’inizio è delineato in modo enigmatico,
e comunque appare una figura sfumata: chi per lungo silenzio parea fioco. Che s’intenda fioco
in senso vocale (uno che a forza di tacere a lungo aveva perso la voce) o in senso visivo (uno
che appariva scolorito, come un fantasma, per la lunga assenza dalla luce del sole), si tratta
comunque di un personaggio sbiadito: come se Dante volesse presentarcelo, da principio, roco
ed evanescente, salvo fargli acquistare subito voce, riconoscibilità e importanza attraverso il
suo rapporto con lui. Il misterioso soccorritore, a cui Dante si rivolge subito con accenti di-
sperati («Che tu sia uomo in carne e ossa o fantasma, abbi pietà di me!») è niente meno che
Virgilio, il poeta dell’Eneide, come egli si presenta in una sorta di succinta scheda anagrafica:
«non più vivo, ma vissuto un tempo; figlio di genitori del Nord Italia, anzi, per la precisione,
mantovani; nato sotto Giulio Cesare, ma troppo tardi per acquistare fama sotto di lui; suddito
di Augusto; pagano, purtroppo; di professione poeta, e, anzi, autore dell’Eneide». E poi, quasi
che egli non fosse al corrente della situazione di Dante: «Ma tu perché torni indietro verso
l’angoscia della selva? Perché non ascendi il dilettoso monte che conduce al gioioso possesso
di Dio?». Strana domanda per uno che – come si vedrà – è stato appositamente inviato per
prendersi cura di Dante… In realtà, proprio perché si sa che Dante non ce la farebbe mai da
solo ad ascendere al dilettoso monte, la domanda, si può supporre, è provocatoria, fatta appo-
sta perché il Poeta riconosca a chiare note la propria impotenza e la necessità di un soccorso.

11
Inferno • Canto I

Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,


e vissi a Roma sotto ’l buono Augusto
72 nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.
Poeta fui, e cantai di quel giusto
figliuol d’Anchise che venne di Troia,
75 poi che ’l superbo Ilïón fu combusto.
Ma tu perché ritorni a tanta noia?
perché non sali il dilettoso monte
78 ch’è principio e cagion di tutta gioia?».
«Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte Dante si stupisce e chiede
che spandi di parlar sì largo fiume?», aiuto

81 rispuos’ io lui con vergognosa fronte.


«O de li altri poeti onore e lume,
vagliami ’l lungo studio e ’l grande amore
84 che m’ha fatto cercar lo tuo volume.
Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore, Le parole di Dante, p. 12
tu se’ solo colui da cu’ io tolsi
87 lo bello stilo che m’ha fatto onore.

sub Iulio… tardi: «sotto Giulio Cesare, troppo presto per conoscere il cristiane- reverenza; quasi vergognoso, intimidito, nel
benché fosse tardi». A dire il vero nel 70 a.C., simo che condanna Virgilio (vv. 124-126) al trovarsi davanti al suo idolo letterario.
data di nascita di Virgilio, Cesare aveva solo primo cerchio infernale, quello del Limbo. vagliami: «mi sia di giovamento (per
trent’anni e non aveva ancora preso il potere poi che… combusto: «dopo che l’eccelsa trovare ascolto e aiuto presso di te)».
a Roma; per questo Virgilio aggiunge ancor potenza di Troia fu distrutta dalle fiamme». che m’ha fatto… volume: «che mi ha
che fosse tardi, volendo dire che egli era nato noia: angoscia. Nella lingua antica, non spinto a leggere e rileggere il tuo poema,
troppo tardi per farsi conoscere e apprezzare ha mai il significato attuale di “tedio”, ma l’Eneide».
da Cesare, che infatti cadde assassinato nel indica sempre dolore, tormento. ’l mio autore: il mio auctor (dal latino),
44 a.C., quando Virgilio non si era ancora - quella fonte… fiume: l’eloquenza l’esempio da seguire.
affermato come poeta. della poesia virgiliana è paragonata a un lo bello stilo… onore: Dante riconosce
buono Augusto: buono nel senso di fiume sgorgante da una fonte, a significare in Virgilio il modello di stile “alto” (bello,
“prode”, “valoroso”. Augusto fu il vero l’abbondanza, la ricchezza e la naturalezza cioè eccellente sopra ogni altro) di cui egli
protettore di Virgilio, e a lui (e alla sua delle risorse espressive del poeta latino. ha già dato prova e che gli ha già procurato
stirpe) è infatti dedicata l’Eneide. lui: a lui. Il dativo senza preposizione onore, fama di poeta. Dante qui si riferisce
nel tempo… bugiardi: cioè in pieno era abbastanza comune nella lingua antica; alle poesie d’amore e morali composte prima
paganesimo. È proprio questo essere nato con vergognosa fronte: con aspetto di del 1300, data del viaggio della Commedia.

LE PAROLE DI DANTE
Diserto v. 64 avventuravano, sicuri di incontrarvi prove de ne del loro valore.
Nella lin ua di Dante si nifica “luo o solitario”, come nell’uso Così in una delle versioni italiane più antiche (ultimo quarto del
odierno; in particolare lo troviamo nella Commedia riferito più secolo XIII) delle le ende di re Artù, il cosiddetto Tristano Riccar-
di una volta al diserto in cui Giovanni Battista, secondo il Van elo, diano: «La quale terra si este de lo ree Arturi; e questo si èe lo più
si ritirò prima di cominciare la sua predicazione pubblica: bello diserto ke mai sia e quello là dove si truovano piue aventure
Mele e locuste furon le vivande / che nodriro il Batista nel diserto ke in nessuna parte ke ssia al mondo, né unqua non v’andoe
(Pur . XXII, - ); in Paradiso, poi, si nomina il gran Giovanni, / neuno cavaliere ke non vi trovasse aventura». È assai probabile
che sempre santo ’l diserto e ’l martiro / sofferse (Par. XXXII, - ). che in questo inizio della Commedia, con la menzione sia della selva
Anche nel Padre nostro recitato dalle anime dei superbi, in oscura, sia di questo diserto, a isca nell’imma inazione dantesca la
Pur atorio, si fa menzione di questo aspro diserto (Pur . XI, ), memoria della letteratura cavalleresca, da Dante ben conosciuta
riferito metaforicamente alla durezza della vita su questa Terra, e molto amata (vedi anche la scheda La cultura francese di Dante,
esposta alle tentazioni, ma anche al deserto in cui il popolo di p. ). Cosicché si può dire che il via io di Dante nell’aldilà
Israele, dopo la fu a dall’E itto, va ò per quarant’anni. Diserto è comincia come una vera e propria “avventura”.
anche il paesa io della monta na pur atoriale, quando non sono
in vista anime di penitenti: restammo in su un piano / solingo più Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore v. 85
che strade per diserti (Pur . X, - ). Detta da Dante a Vir ilio, è frase divenuta proverbiale, non solo
Tuttavia va osservato che nella lin ua antica diserto desi nava nel senso di riconoscere il primato dell’intelli enza o la funzione di
anche il luo o specifico dell’avventura cavalleresca: non un uida di qualcuno, ma anche in senso lievemente ironico: «Tu sei
luo o eo raficamente specifico, ma il luo o in cui i cavalieri si più bravo di me: mi arrendo».

12
Inferno • Canto I

Virgilio, per consenso comune dei critici, è nella Commedia l’allegoria della ragione umana.
Con i suoi limiti e la sua grandezza: la ragione, infatti, può condurre Dante alla riconquista
di una salute morale “naturale”, ma non lo può far penetrare nel mondo della grazia divina,
cioè della rivelazione cristiana. Per questo Virgilio accompagnerà Dante solo fino al Paradiso
Terrestre, collocato sulla cima della montagna purgatoriale; in Paradiso, guida di Dante non
sarà più Virgilio, ma Beatrice. Il poeta latino d’altronde non rappresenta solo la ragione indi-
viduale dell’uomo, che gli permette di superare il vizio e di attingere a una perfezione etica
pari a quella goduta prima del peccato originale dai nostri progenitori Adamo ed Eva. Virgilio,
il più grande poeta di Roma, è considerato da Dante anche come l’incarnazione della ragione
umana nell’Impero, nella cultura e nella storia di Roma. Tutto ciò che di bello e di buono l’u-
manità, anche in assenza della rivelazione divina e senza conoscere il messaggio cristiano, può
realizzare (e ha storicamente realizzato nella civiltà romana) è simboleggiato secondo Dante
da Virgilio. Infatti, ci si potrebbe chiedere: come mai proprio Virgilio? Non c’erano figure più
adatte a condurre Dante attraverso i regni oltremondani dell’Inferno e del Purgatorio? Non
sarebbe stato più adatto un santo, una figura biblica o un angelo cristiano? E invece Dante sce-
glie Virgilio come guida del suo viaggio, non nonostante egli sia pagano, ma proprio perché egli
è un pagano che non ha conosciuto Cristo. Così facendo, Dante vuole sottolineare l’autonomia
della ragione umana e le sue capacità di giungere da sola al bene; allo stesso tempo ne vuole
marcare, con assoluto rigore, i limiti. La perfezione puramente umana del Paradiso Terrestre
è ciò a cui Virgilio può pervenire; più su, egli – il più perfetto degli antichi – non può andare.
Anche in questo caso bisogna sottolineare con forza che Virgilio, però, non è una pura e
semplice allegoria. Dante fa di lui, e in modo sempre più vivido col procedere del racconto, un
personaggio vero; anzi, trasforma le contraddizioni della sua funzione simbolica in tratti carat-
teriali. Questo vuol dire, cioè, che la contraddizione fra i poteri e i limiti della ragione umana, di
cui Virgilio è allegoricamente portatore, si trasforma in una caratteristica del personaggio, via
via sempre più accentuata nel vario sviluppo del racconto. Infatti, se all’Inferno Virgilio appare
guida (quasi) sempre sicura di sé, e ostenta superiorità morale rispetto al mondo di vizio e di
dannazione che egli attraversa insieme a Dante, in Purgatorio la sua posizione si farà sempre
più scomoda e le sue emozioni più ambigue. Egli infatti si troverà di fronte ad anime destinate
a un futuro di salvezza che a lui, pagano, rimane negato. E negato solo per un accidente cro-
nologico: per avere avuto la sfortuna di nascere nel tempo de li dèi falsi e bugiardi, prima cioè
della venuta di Cristo.

vv. - Dante si stupisce e chiede aiuto


Di fronte alla rivelazione che la misteriosa figura apparsa dal nulla è Virgilio, Dante è sopraffat-
to dalla sorpresa e da un senso di vergogna: che emozione, trovarsi improvvisamente davanti
al suo idolo letterario! E infatti, le sue prime parole sembrano quasi dimenticare le drammati-
che circostanze in cui egli si trova, per riconoscere innanzitutto la grandezza del poeta antico:
fiume di eloquenza, onore e lume di ogni altro poeta e oggetto di idolatrica ammirazione da
parte di Dante, che si è rovinato gli occhi sulla sua Eneide; infine, maestro e modello di stile
per le rime già composte da Dante stesso, e che gli hanno già procurato onorata reputazione.
E qui occorrerà una precisazione. In che senso Virgilio può essere stato maestro di stile
per Dante? Non dimentichiamoci che siamo nell’anno e che Dante, per ora, ha compo-
sto essenzialmente la Vita nuova e altre rime di carattere amoroso e morale. Si tratta di opere
quindi molto lontane da quelle di Virgilio che, oltre all’Eneide, resta famoso per il suo poema
agricolo, le Georgiche, e per le sue egloghe pastorali, le Bucoliche. Eppure Dante parla di un bello
stilo di cui il poeta latino gli è stato maestro. Bisogna allora intendere che Dante si riferisca non
al contenuto della poesia, né ai generi letterari praticati, ma al livello stilistico dell’espressione
poetica: evidentemente egli sente di dovere a Virgilio l’esempio di uno stile alto, nobile, adat-
to a sentimenti profondi e a tematiche comunque impegnative. Virgilio ha indicato a Dante,
insomma, l’altezza di stile a cui egli ha sempre aspirato a conformarsi.
Ma Virgilio non è solo un poeta. Una volta proclamata la sua eccellenza e riconosciutolo
come suo maestro e autore, come suo sommo modello di poesia, Dante lo invoca anche come
soccorritore: «Guarda la bestia che mi sta facendo tornare indietro; scampami da lei, famoso
saggio, che mi sta facendo tremare il sangue addosso». Famoso saggio: non più solo poeta. Qui
Dante si fa erede di una tradizione che aveva trasformato Virgilio, nel corso del Medioevo, in
sapiente, filosofo, profeta e perfino mago. Il punto di partenza era stata la sua egloga IV, nella

13
Inferno • Canto I

Vedi la bestia per cu’ io mi volsi;


aiutami da lei, famoso saggio,
90 ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi». Le parole di Dante, p. 14

«A te convien tenere altro vïaggio», Come Dante potrà


rispuose, poi che lagrimar mi vide, scampare

93 «se vuo’ campar d’esto loco selvaggio;


ché questa bestia, per la qual tu gride,
non lascia altrui passar per la sua via,
96 ma tanto lo ’mpedisce che l’uccide;
e ha natura sì malvagia e ria,
che mai non empie la bramosa voglia,
99 e dopo ’l pasto ha più fame che pria.
Molti son li animali a cui s’ammoglia, Profezia del veltro
e più saranno ancora, infin che ’l veltro
102 verrà, che la farà morir con doglia.
Questi non ciberà terra né peltro,
ma sapïenza, amore e virtute,
105 e sua nazion sarà tra feltro e feltro.
Di quella umile Italia fia salute
per cui morì la vergine Cammilla,
108 Eurialo e Turno e Niso di ferute.

la bestia… volsi: «la bestia che mi corrotta dei tempi di Dante la cupidigia, e sua nazion… feltro: altro passo
spinse a tornare indietro, verso la selva». ristabilendo quindi sulla Terra un regno di oscuro. Il liberatore simboleggiato nel
Dante e Virgilio, d’ora in avanti, si rife- giustizia, di ordine e di pace. Arduo dire a veltro nascerà tra feltro e feltro, cioè avvolto
riranno soltanto all’ultima delle tre fiere chi Dante pensasse, profetizzando l’avvento in ruvidi panni. Sarà dunque un eroe
apparse al Poeta (la lupa). di questo veltro: a Cangrande della Scala, il povero, di umili origini? O forse, prove-
famoso saggio: non solo perché, munifico signore suo protettore? all’impe- niente da un ordine religioso che professi la
secondo Dante, ogni poeta è anche un ratore Arrigo VII, in cui Dante riponeva povertà (e quindi l’uso di vestiario ruvido)
sapiente, ma perché Virgilio, special- le sue speranze di restaurazione dell’auto- come i francescani? O si dovrà intendere
mente, era stato trasformato dalla cultura rità imperiale? a una figura religiosa, come quel feltro in senso geografico, cioè che
medievale in una sorta di filosofo, profeta e farebbero forse pensare i vv. 103-104? O il veltro nascerà tra Feltre, nel Veneto, e
perfino mago, dotato di poteri divinatori. dobbiamo forse supporre che il veltro rap- Montefeltro, in Romagna?
polsi: arterie. presenti solo l’auspicio di una nuova età di - Di quella umile Italia… Niso
A te convien: «ti è necessario». Nella redenzione? Ancora una volta ci troviamo di ferute: il veltro sarà la salvezza di quella
lingua antica “convenire” ha spesso questo di fronte a un passo molto controverso e misera Italia per la cui difesa morirono,
valore di obbligazione fatale, più raramente aperto a molteplici interpretazioni. colpiti a morte, tanti eroi dell’Eneide:
quello attuale di “opportunità”. non ciberà… peltro: «non sarà Camilla, Turno, Eurialo e Niso. Ma umile
gride: gridi, implori aiuto. avido né di domini territoriali (terra) né ricalca probabilmente un verso dell’Eneide
altrui: nessun altro, nessuno. di ricchezze». (Il peltro è una lega usata stessa («humilemque videmus Italiam», III,
empie: soddisfa. spesso ai tempi di Dante per battere vv. 522-523), dove però significa letteral-
Molti… s’ammoglia: la lupa moneta.) mente “piatta” e si riferisce alla penisola
(cupidigia) si accoppia con molti altri sapïenza… virtute: allusione alle tre salentina, la prima terra italiana avvistata
animali (cioè con altrettanti vizi). Vuol persone della Trinità: il Padre (che è virtute, da Enea. Da notare anche come Virgilio citi
dire che la cupidigia non agisce mai in potenza creatrice), il Figlio (sapïenza) e lo con affetto, quali difensori della penisola,
solitudine, ma istiga la comparsa di sempre Spirito Santo (amore). Il veltro si ciberà solo quei personaggi del suo poema che si
nuove depravazioni: come scrive san Paolo, di loro, ovvero sarà tutto dedito al servizio erano tuttavia opposti a Enea, e quindi al
«radix omnium malorum cupiditas» (“la di Dio. magnifico futuro di Roma e della gens Iulia.
radice di ogni male è la cupidigia”; Prima
lettera a Timoteo 6, 10).
veltro: è un cane da caccia ben
addestrato; di norma si intende un levriero. LE PAROLE DI DANTE v. 90
Animale adatto, dunque, a cacciare la lupa Tremar le vene e i polsi
(non stupisca che un cane possa dare la
Non occorre trovarsi di fronte alla lupa, propria emozione, e il timore di non farcela,
caccia a un lupo: vedi il celebre sogno del
conte Ugolino, in cui una muta di cagne o sul punto di iniziare una spaventosa di fronte a una prova particolarmente
caccia e sbrana una famiglia di lupi; canto discesa all’Inferno, per usare questo modo impe nativa: «è un pro etto da far tremar
XXXIII, 31-36). Allegoricamente, il veltro di dire. In enere, infatti, l’espressione viene le vene e i polsi»; «è un esame da far tremar
rappresenta l’utopia di un liberatore, impie ata per si nificare l’intensità della le vene e i polsi».
o redentore, che scaccerà dalla società

14
Inferno • Canto I

quale Virgilio aveva inteso celebrare l’imminente nascita del figlioletto di un amico, il console
Asinio Pollione, che egli si era augurato potesse dare inizio a una nuova età, di pace, di giu-
stizia e di cosmica armonia. Si trattava, in effetti, di una profezia perfettamente in linea con il
clima politico seguito a Roma alla riappacificazione tra Ottaviano Augusto e Marco Antonio,
che si sperava ponesse fine alle convulsioni sanguinose delle recenti guerre civili: infatti, alcuni
interpreti danteschi vedono nel puer (“fanciullo”) vaticinato da Virgilio la sperata prole dell’u-
nione fra Marco Antonio e Ottavia, sorella di Ottaviano, che aveva sancito tale riappacifica-
zione. Fin troppo facile fu, per la cultura cristiana, leggere l’egloga IV come un’anticipazione
della nascita non del figlio di Asinio Pollione (o di Ottavia e Marco Antonio), ma del Cristo, del
nuovo principe di pace che doveva portare nel mondo la luce di una nuova rivelazione. Dall’in-
terpretazione cristiana di questa egloga scaturì dunque la leggenda di un Virgilio che avrebbe
miracolosamente vaticinato la nascita di Gesù e che sarebbe quindi stato dotato di poteri ben
superiori a quelli della poesia. È un’appropriazione caratteristica della cultura medievale, che
fu una cultura tipicamente “attualizzante”, nel senso che essa, davanti a fenomeni estranei e
lontani (e specialmente di fronte al mondo dell’antichità pagana), non ebbe scrupolo a mani-
polare, inventare o fraintendere, pur di rendere quei fenomeni interessanti e utili ai propri fini
e alle proprie preoccupazioni intellettuali.
Così, anche il Virgilio di Dante è certamente il Virgilio “antico”, amato, studiato e imitato,
ma è anche un Virgilio “attualizzato”, che Dante trasporta nella propria vicenda di uomo del
suo tempo, mettendolo a parte di realtà filosofiche, morali, intellettuali o politiche, ovviamen-
te del tutto estranee al Virgilio storico. Come qui, quando Dante metterà in bocca al poeta
dell’Eneide la maledizione della lupa e la profezia del veltro.

vv. - Come Dante potrà scampare


Neanche Virgilio, però, può affrontare frontalmente la lupa. Dante gli aveva chiesto aiuto per
scampare da essa e si aspettava, evidentemente, che il nuovo e potente soccorritore scon-
figgesse le fiere e gli aprisse la strada al dilettoso monte. Invece, Virgilio gli annuncia che egli
dovrà fare altro vïaggio: la liberazione dal male dovrà svolgersi secondo un itinerario ben più
complesso rispetto al semplice salire l’erta che conduce al colle solatio davanti a lui. Troppo
forte è il potere della bestia: essa non lascia passare nessuno dalla sua strada, aggredisce al
punto di uccidere, ed è di natura così malvagia e iniqua, che non sazia mai le sue brame; anzi,
dopo avere sfogato la sua fame, è ancora più vorace di prima.
È il momento cruciale del canto, in cui la situazione iniziale (lo smarrimento nella selva, le
tre fiere, la strada impedita verso il colle della luce) viene accantonata e lasciata irrisolta per
volgere il racconto in una direzione completamente diversa. L’altro vïaggio che si prospetta ora
a Dante è, né più né meno, che l’intero svolgimento della Commedia.

vv. - Profezia del veltro


Virgilio non affronta direttamente la lupa, ma rimanda comunque a un futuro in cui la bestia
troverà il vendicatore che ne farà giustizia: un veltro, cioè un cane da caccia, che la farà morir
con doglia, dopo averla cacciata da ogni città e villaggio d’Italia. A dire la verità, qui c’è qualche
contraddizione: Virgilio profetizza la morte fra grandi sofferenze della lupa e poi profetizza che
il veltro la respingerà giù all’Inferno da dove è uscita, sospinta da Satana, invidioso come sem-
pre dell’umanità; insomma, il veltro ne farà strazio o si limiterà a risospingerla giù all’Inferno?
In ogni caso, il senso è chiaro: la cupidigia che affligge il mondo, e che è origine di ogni male
contemporaneo, sarà sconfitta da un antagonista qui simboleggiato dalla figura del veltro.
Su chi sia questo veltro, fiumi di inchiostro sono stati versati: egli è stato identificato con una
figura politica, con un riformatore religioso o, più vagamente, con l’utopia di un movimento
di redenzione dell’umanità, che sarebbe rimasto vago nella mente stessa di Dante mentre
scriveva questi versi. In verità, ciò che Dante dice qui del veltro sembra riferirsi a un personag-
gio preciso, specifico, il quale non sarà avido né di terra né di moneta (un pontefice di spirito
evangelico? un francescano? un signore laico nobilmente disinteressato?) e nascerà tra feltro e
feltro (tra le ruvide stoffe di un ordine religioso pauperista? oppure tra Feltre e Montefeltro?).
Impossibile dare una risposta sicura. Di sicuro c’è che Dante vede l’Italia contemporanea deva-
stata dalla cupidigia, che questa cupidigia sarà sradicata da un redentore, politico e/o religioso,
che restituirà all’Italia la sua salute e che inaugurerà, quindi, una nuova era di bene, individuale
e collettivo. Si inserisce così nella Commedia, fin da questo primo canto, una delle dimensioni

15
Inferno • Canto I

Questi la caccerà per ogne villa,


fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno,
111 là onde ’nvidia prima dipartilla.
Ond’ io per lo tuo me’ penso e discerno Virgilio guida di Dante…
che tu mi segui, e io sarò tua guida,
114 e trarrotti di qui per loco etterno;
ove udirai le disperate strida,
vedrai li antichi spiriti dolenti,
117 ch’a la seconda morte ciascun grida;
e vederai color che son contenti
nel foco, perché speran di venire
120 quando che sia a le beate genti.
A le quai poi se tu vorrai salire,
anima fia a ciò più di me degna:
123 con lei ti lascerò nel mio partire;
ché quello imperador che là sù regna,
perch’ i’ fu’ ribellante a la sua legge,
126 non vuol che ’n sua città per me si vegna.
In tutte parti impera e quivi regge;
quivi è la sua città e l’alto seggio:
129 oh felice colui cu’ ivi elegge!».
E io a lui: «Poeta, io ti richeggio … che lo segue
per quello Dio che tu non conoscesti, prontamente

132 acciò ch’io fugga questo male e peggio,


che tu mi meni là dov’ or dicesti,
sì ch’io veggia la porta di san Pietro
135 e color cui tu fai cotanto mesti».
Esercitati
136 Allor si mosse, e io li tenni dietro. su zte.zanichelli.it

villa: città, dal francese ville (vedi seconda morte come la morte dell’anima, qualificarlo oggettivamente come “ribelle”,
anche scheda a p. 203). dopo quella del corpo; in questo caso grida estraneo alla vera legge di Dio. Nota la
là onde… dipartilla: «là da dove, vorrebbe dire “lamenta gridando”. forma impersonale per me si vegna, con per
all’Inferno, la ’nvidia prima, cioè Lucifero, - che son contenti nel foco: sono me usato come complemento d’agente (dal
incarnazione primaria e principale dell’in- le anime del Purgatorio, condannate a francese par): “da me”.
vidia, la sprigionò». Si può intendere prima pene dolorose (qui indicate genericamente In tutte parti… regge: Dio esercita
anche come avverbio: là da dove “per la con foco) ma contente, perché sanno che il suo dominio dappertutto nel creato, ma,
prima volta”, “in origine”. attraverso quelle sofferenze si guadagne- in particolare, regge, cioè governa diretta-
per lo tuo me’: «per il tuo meglio, per ranno il Paradiso. mente, il Paradiso, come sua città (v. 128) e
la tua salvezza». A le quai: alle beate genti (v. 120) del sede del suo regno.
per loco etterno: «facendoti attra- Paradiso. cu’ ivi elegge: che Dio sceglie per quel
versare un luogo eterno, immutabile (cioè anima: Beatrice, che avrà il compito luogo, come abitante della sua città.
l’Inferno)». di fare da guida a Dante in Paradiso, suben- la porta di san Pietro: sarebbe
antichi: perché l’Inferno ospita fra i trando a Virgilio. quella del Paradiso, ma Virgilio ha appena
dannati tutti i malvagi, fino dai primordi - quello imperador… si vegna: precisato che egli non potrà scortare Dante
della storia umana. «il Re del Cielo, Dio, non vuole che io fin lassù. Dante intende, più genericamente,
la seconda morte… grida: ogni entri nella sua città, dato che non seguii la la meta finale del viaggio che sta per intra-
dannato invoca una seconda – e definitiva sua legge». Ovviamente, la “ribellione” di prendere sotto la guida di Virgilio.
– morte, cioè implora di morire davvero, Virgilio alla rivelazione cristiana era stata color… mesti: i dannati, che Virgilio
di sparire, per sottrarsi al dolore della involontaria: egli era nato troppo presto per ha rappresentato così dolenti (mesti) della
dannazione. Si può anche intendere la conoscere il Vangelo. Tanto basta, però, per loro condizione.

16
Inferno • Canto I

fondamentali del testo: ovvero il legame strettissimo tra morale e politica, fra salute dell’indi-
viduo (qui, il protagonista smarrito nella selva e ostacolato dalle tre fiere) e salute della collet-
tività (qui, l’Italia devastata dalla lupa). Dunque, non ci si salva da soli, attraverso un itinerario
di semplice conversione interiore: ci si salva tutti insieme, perché i vizi del singolo sono radicati
inevitabilmente nella corruzione della società che lo circonda.

vv. - Virgilio guida di Dante…


L’altro vïaggio prospettato da Virgilio è dunque una diversa maniera di aggirare la lupa, ovvero
di compiere un processo di conversione che sarà, però, riflessione non soltanto sul proprio
male individuale, ma sul male del mondo. Virgilio pertanto condurrà Dante attraverso la di-
sperazione dei dannati, che inutilmente si augurano di morire per sempre, maledicendo la loro
sorte, e attraverso le penitenze degli animi purganti, lieti pur nella sofferenza perché sanno
che essa li renderà degni del Paradiso; al quale Paradiso Dante è pure destinato ad ascendere,
ma con una guida più degna di Virgilio (la quale, come sappiamo, sarà Beatrice). A lei Virgilio
affiderà Dante congedandosi da lui perché Dio non permette al poeta pagano l’accesso al suo
regno, le cui leggi egli non poté seguire; beati quelli destinati, invece, a partecipare alla gloria
della Città di Dio!
Il viaggio di Dante svela qui un suo ulteriore carattere, pedagogico e conoscitivo. Per tor-
nare al bene (non solo proprio, ma del corrotto mondo contemporaneo) c’è bisogno di passare
attraverso l’esperienza dettagliata dei peccati che affliggono l’umanità (Inferno), del modo con
cui essi si possono combattere e superare (Purgatorio) e, infine, occorre affidarsi, in positivo,
alla spiegazione dei valori più alti delle virtù cristiane (Paradiso). Virgilio può essere guida di
Dante solo per i primi due segmenti di questo viaggio di istruzione: il Paradiso gli è precluso.
Eppure, pur nell’aperto riconoscimento della propria esclusione e del privilegio concesso, inve-
ce, agli eletti di Dio, Virgilio non sembra ancora toccato dai toni di malinconia che affioreranno
nel Purgatorio. Prevale, si direbbe, la baldanza dell’impresa, la coscienza di un compito co-
munque eccezionale, di una missione da compiere. Quella missione ha i suoi limiti, denunciati
subito fin da ora, ma essi sembrano messi in secondo piano, per ora superati dalla grandezza
del compito che, comunque, si dispiega di fronte a Virgilio e a Dante…

vv. - … che lo segue prontamente


Il quale non può che acconsentire prontamente all’invito. Pur di fuggire questo male e peggio,
Dante si affida senza troppo pensare alla sua guida, anzi, la prega, nel nome di quel Dio che
Virgilio non fece in tempo a conoscere, di condurlo pure a destinazione, fino alla soglia del
Paradiso e, per adesso, attraverso la tristezza del primo regno infernale. È un consenso senza
riserve, un gettarsi nell’ignoto di un’avventura della quale, sotto la pressione degli spaven-
ti di questo primo canto, Dante non sembra calcolare per
ora tutti i rischi e le incognite. È nel secondo canto, a
mente un poco più fredda, che cominceranno ad
affiorare le prime esitazioni…

17
Inferno • Canto I

Per approfondire

Virgilio medievale
Perché Dante sceglie proprio Virgilio come guida per il suo essere piegata a significazioni simboliche, alla ricerca di oscuri
viaggio oltremondano? Su questa scelta influisce sicuramente messaggi cifrati che potessero essere letti come prefigurazioni
la fama che Virgilio si era acquistato nel Medioevo, non solo di sia pure approssimative della nuova fede.
sommo poeta dell’antichità, ma anche di sapiente, mago e Ma il passo decisivo verso un Virgilio mago e negromante è
stregone; non per caso Dante si rivolge a lui appellandolo fa- legato al suo rapporto con la città di Napoli. Secondo Domenico
moso saggio. E allora ci si può chiedere: come si era arrivati a un Comparetti (Virgilio nel Medioevo, ), tutto nasce quando un
simile stravolgimento della figura storica di Virgilio? erudito ecclesiastico inglese, Giovanni di Salisbury, testimonia
Certamente questo dipese da alcuni elementi già insiti nel suo Polycraticus (ca ) come nella città partenopea si rac-
nella sua poesia: nelle Georgiche, una sensibilità cosmica che conti che durante un’invasione di mosche Virgilio avesse liberato
lega l’uomo e le sue opere ai ritmi dell’Universo, ai movimenti la popolazione da quel flagello, costruendo una mosca magica
delle stelle, a una Natura intesa quasi in senso mistico e reli- di bronzo. Più tardi, nel , Corrado di Querfurt, segretario di
gioso; nell’Eneide, un afflato profetico che vede nella Roma di Arrigo VI, sostiene che il suo signore aveva potuto conquistare
Augusto l’inizio di una nuova era, di pace e di benessere, quasi la città perché una sorta di modellino di Napoli in una boccia di
un ritorno provvidenziale dell’antica età dell’oro; una visione che cristallo (opera di Virgilio, dotata di magici poteri di difesa) si era
nella IV egloga delle Bucoliche diventa profezia vera e propria, crepato, perdendo il suo magico valore protettivo.
nell’enigmatica premonizione dell’avvento di un nuovo infante E via di questo passo: verso la fine del secolo XII Alexander
che, insieme col ritorno di una mistica Vergine, rinnoverà la sto- Neckam parla di talismani (fra cui una sanguisuga d’oro) fabbri-
ria dell’uomo. Si capisce come quella Vergine – che in Virgilio è cati da Virgilio per proteggere Napoli; negli Otia imperialia (ca
Astrea, la dea della giustizia – e quell’infante – che nell’egloga è ) di Gervasio da Tilbury si favoleggia che Virgilio sia stato
il nuovo nato di un amico – potessero facilmente essere trasfor- sepolto con un libro di magia sotto la testa; infine, nella prima
mati, nel Medioevo cristiano, nella Vergine Maria e nel Bambino metà del Trecento appare nella cerchia del re Roberto d’Angiò
Gesù. Tuttavia questo non basta. Ben presto, infatti, si creò nella la Cronaca di Partenope, d’ignoto autore, che mette in fila ben
tarda latinità un vero e proprio culto di Virgilio come deposita- diciassette benefici che Virgilio, in qualità di stregone, avrebbe
rio di ogni sapienza, e non solo come poeta. Già nei Saturnalia operato per la città in cui era stato sepolto: dalla fattura di un
di Macrobio (ca - ) tutte le più varie questioni di filosofia, pesce di pietra che, lanciato in acqua, aveva reso pescosissimo il
diritto, oratoria vengono ricondotte ad altrettanti passi delle golfo napoletano, alla fondazione di un orto di erbe magiche sul
opere di Virgilio, che divengono così un vero tesoro di scienza, a Monte Vergine, all’inserimento di un sigillo magico nelle strade
cui attingere come a una vera e propria enciclopedia del sapere. napoletane, capace di tenere lontani vermi e serpenti…
Decisivi furono poi gli scritti di Fabio Planciade Fulgenzio Superfluo osservare la distanza che separa questo Virgi-
(vissuto fra il V e il VI secolo d.C.) che nella sua Expositio Virgi- lio dal famoso saggio di Dante. È ben vero però che nel canto IX
lianae continentiae immagina che Virgilio gli appaia per svelargli (vv. - ) Virgilio affermerà di essere stato evocato dalla maga
il significato segreto dell’Eneide, che al di là del suo senso lette- Eritone e di essere stato costretto a scendere nel fondo dell’In-
rale sarebbe un’immagine allegorica della vita umana. In questo ferno (e per questo ne conosce la topografia così bene): un par-
modo Fulgenzio applicava ai testi pagani l’interpretazione alle- ticolare misterioso, sin qui rimasto inspiegato dalla critica dan-
gorica che i Padri della Chiesa (Agostino, Girolamo) avevano ap- tesca, e che sembra alludere, anche nel Virgilio della Commedia,
plicato ai testi biblici. La strada è aperta perché la figura di Vir- a un lato esoterico della sua leggenda che Dante sembra aver
gilio venga svuotata del suo significato storico – e poetico – per moderato ma, forse, non ignorato.

Lavorare sul testo


Comprendere e analizzare il testo spiega il significato del loro intervento.

La selva oscura 4. Quale valore simbolico ricoprono le fiere e quale eventuale


1. argomentare Spiega che cosa rappresenta il primo canto rapporto ha con la vita morale del Poeta?
dell’Inferno nell’intera Commedia. Perché si può dire che è 5. Il canto presenta allegorie e similitudini: spiega la
“fuori numerazione” rispetto alla numerologia dantesca differenza tra le due figure retoriche e individua le similitu-
incentrata sul “tre”? dini facendo riferimento ai versi che le contengono.
Per approfondire

2. Qual è il senso allegorico delle terzine iniziali del poema Virgilio


(vv. - )? 6. Come appare Virgilio a Dante? Che cosa nota immediata-
Il colle; gli ostacoli alla salita mente il Poeta?
3. argomentare Tre belve si oppongono improvvisa- 7. argomentare Virgilio allegoria, Virgilio personaggio:
mente a Dante che intende iniziare la salita del colle: spiega il complesso ruolo del poeta latino nella Commedia,

18
Inferno • Canto I

così come appare già da questo canto. (Ti consigliamo di punto per punto oppure costruire un discorso coeso e coerente
leggere attentamente l’analisi del canto.) che comprenda le risposte alle domande.
8. argomentare Perché Dante sceglie proprio un pagano Comprensione e analisi del testo
come guida in questo viaggio verso la salvezza? ▶ Riassumi brevemente l’apparizione di Virgilio e la sua
Il veltro autobiografia.
9. argomentare Nel canto incontriamo vari animali ▶ Perché Virgilio rimpiange di essere nato tardi?
con valenza fortemente allegorica: due in particolare ▶ Quale rimprovero fa il poeta latino a Dante?
sembrano essere costruiti con caratteri peculiari che Interpretazione
identificano l’eterna antitesi “bene-male”. Sono la lupa Elabora una tua interpretazione del perché Dante sceglie
e il veltro.
Virgilio come sua guida riflettendo su quanto da te letto nel
Ricerca nei versi questi caratteri e spiega l’antitesi,
commento al canto.
facendo attenzione in particolare ai vv. 97-99 e 103-105.
10. argomentare Che interpretazioni critiche sono state date Laboratorio
del veltro e del suo nascere tra feltro e feltro?
La foresta, locus horridus
Il tema della foresta, locus horridus, è caro alla letteratura:
Riflettere sulla lingua
lo si trova nelle fiabe, nei poemi cavallereschi, nei romanzi
11. vv. 7-9: fai la parafrasi della terzina. di epoche diverse. Questo tema è caratterizzato da aspetti
12. v. 11 tant’era: che valore ha? realistici e valori simbolici.
a  Finale b  Causale c  Modale d  Consecutivo Proponiamo come attività laboratoriale una ricerca da svolgere
13. vv. 22-27: indica i termini di paragone della similitudine. a piccoli gruppi, in forma collaborativa, che analizzi il tema della
14. v. 77: che significato assume il termine “dilettoso” nell’e- selva nei testi seguenti.
spressione dilettoso monte? Trova un sinonimo. ▶ Dante, Commedia, Inferno, canto XIII, vv. 1-30; 109-129
15. v. 128 Oh felice colui cu’ ivi elegge: questa espressione è ▶ Giovanni Boccaccio, Decameron, V, 8: la novella di Nastagio
a  apostrofe b epifonema c ironia degli Onesti
▶ Ludovico Ariosto, Orlando Furioso, canto I, vv. 33-34
Scrivere per analizzare ▶ Alessandro Manzoni, I promessi sposi, capitolo XVII
ESAME DI STATO – TIPOLOGIA A Ogni gruppo produrrà una sintetica relazione sul tema dato da
Dopo aver letto i vv. 61-78 di questo canto, elabora un testo esporre ai compagni (anche utilizzando la LIM o un computer
sintetico rispondendo alle seguenti domande. Puoi rispondere on/offline).

Forum critico
Come va letta la Commedia?
Il quesito fondamentale da cui partire prima di leggere il poema dantesco è quello che riguarda
l’interpretazione della sua struttura. Esistono veramente due diverse forme interpretative,
ovvero una differenza tra senso letterale e senso allegorico del poema? Il senso letterale è
fascinoso ma menzognero poiché solo l’allegoria nasconde la verità?

A Secondo Benedetto Croce


La struttura dottrinale del poema è scissa dal significato letterale
e figurale delle singole immagini
Per Benedetto Croce, che nel suo saggio prende in considerazione i vari metodi interpretativi
dell’opera dantesca dal Medioevo ai suoi tempi (interpretazione dottrinale, estetica, filosofica,
storica e politica), cercare di decifrare l’allegoria della Commedia, da lui definita «una sorta di
criptografia», può essere lecito anche se complesso; ma è illecito unire l’interpretazione allegorica
con quella estetica.
Lavorare sul testo

Premessa:
la poesia di Dante
va letta in modo
C’ è ragione alcuna per la quale la poesia di Dante debba esser letta e
giudicata con metodo diverso da quello di ogni altra poesia?
Parrebbe di sì, a volger l’occhio al severo profilo tradizionale di Dante,
diverso da quella
degli altri poeti poeta, filosofo, teologo, giudice, banditore di riforme e profeta, e a dare
ascolto ai motti che insistentemente si ripetono su lui, che è detto «gran-

19
Inferno • Canto I

de al pari come uomo e poeta», «grande poeta perché uomo grande», «più
che poeta», e sulla sua Commedia, definita opera «singolare» e «unica» fra
quante altre mai si conoscano.
[…] La differenza, che per questa parte è dato porre tra Dante e la ge-
neralità degli altri poeti, non è […] logica, ma soltanto quantitativa, perché
[…] l’interpretazione «allotria» prende, nei rispetti di lui, grandi dimensioni,
assai maggiori che non per altri poeti, per molti dei quali essa è trascurabile e
trascurata a segno che quasi pare (pare, ma non è) che non ce ne sia materia.
Cominciò questa interpretazione filosofica ed etica e religiosa fin dai
tempi di Dante, per opera di notai e frati e lettori d’università, e degli stessi
figliuoli del poeta […].
Appartengono al giro di queste indagini – «allotrie», nel senso sopradetto Espansione
– gli studi sulla filosofia di Dante e su quel tanto, se pur vi fu, che egli nel suo del discorso:
le diverse indagini
generale tomismo immise di altre correnti speculative o pensò di proprio; sul
allotrie
suo ideale politico, e le somiglianze e differenze che presenta verso altri idea-
li allora proposti e vagheggiati, sulle vicende della sua vita pubblica e privata,
e il variare dei suoi concetti e speranze, e sulla cronologia delle opere e delle
singole parti della Commedia in rapporto alle loro storiche occasioni; sull’e-
redità letteraria, classica e medievale, che egli accolse; su quanto egli conobbe
della storia passata e della contemporanea; e su quel che credeva reale nei fatti
a cui alluse, e su quel che stimava semplicemente probabile o addirittura im-
maginò pei suoi intenti; sull’allegoria generale e quelle particolari e inciden-
tali del poema, e se il fine del poema sia etico-religioso o politico o entrambi
questi fini combinati; e via enumerando e particolareggiando. […]
I tesi: L’allegoria non è altro, per chi non ne perda di vista la vera e semplice
l’allegoria è natura, se non una sorta di criptografia, e perciò un prodotto pratico, un atto
una sorta di
di volontà, col quale si decreta che questo debba significare quello, e quello
criptografia: se
l’autore non ne quell’altro: per «cielo» (scrive Dante nel Convivio) «voglio» intendere «la
dà una chiave scienza», e per «cieli» le «scienze», e per «occhi» le «dimostrazioni». E quan-
interpretativa è do l’autore di quel prodotto non lascia un espresso documento per dichiara-
inutile cercare di re l’atto di volontà da lui compiuto, porgendo al lettore la «chiave» della sua
decifrarla
allegoria, è vano ricercare e sperare di fissarne in modo sicuro il significato:
la «vera sentenza non si può vedere», se l’autore «non la conta», come anche
si avverte nel Convivio. In mancanza della chiave della espressa dichiarazio-
ne di chi ha formato l’allegoria, si può, fondandosi sopra altri luoghi dell’au-
tore e dei libri che egli leggeva, giungere, nel miglior caso, a una probabilità
d’interpretazione, che per altro non si converte mai in certezza: per la cer-
tezza ci vuole, a rigor di termini, l’ipse dixit. […]
I argomentazione: Nondimeno, dopo questa doverosa protesta contro il troppo che è trop-
legittimità po e contro il parziale difetto di metodo, rimane che l’interpretazione allotria
dell’interpretazione
di Dante è non solo legittima, come per qualsiasi poeta, ma per lui ritiene
allegorica
anche un uso particolarmente appropriato.
E legittima altrettanto è l’interpretazione estetica o storico-estetica, il cui II argomentazione:
diritto non potrebbe essere, e non è stato, revocato in dubbio se non da coloro, legittimità
dell’interpretazione
che, di proposito o involontariamente, non ammettono l’arte come una realtà
estetica
e la trattano quasi parvenza illusoria, risolvendola in altre forme spirituali o
addirittura in concezioni materialistiche. Anch’essa ha la sua lunga storia, che
comincia davvero questa volta con Dante, cioè con la teoria ond’egli spiegava
e giudicava la poesia e con la definizione che dié di sé medesimo come di poeta
della «rettitudine» o di poeta «sacro»; e nel suo processo confluisce con la sto-
ria dell’estetica e della critica estetica dal medioevo sino al presente […].
Forum critico

III argomentazione: Se questi due modi d’interpretazione [estetica e allegorica] sono ambe-
le due forme due legittimi, illegittimo invece è il loro congiungimento, quantunque una
interpretative non
molto ripetuta formula di scuola – che qui recisamente si rifiuta – asserisca
sono assimilabili
che condizione e fondamento dell’interpretazione estetica della Commedia

20
Inferno • Canto I

sia la sua interpretazione filosofica, morale, politica e altresì allegorica. Que-


sta formula prendeva un sembiante di verità a cagione della falsa identifica-
zione che […] soleva farsi dell’interpretazione allotria con l’interpretazione
storica in genere, alla quale si metteva a sèguito quella estetica, concepita
come per sé non istorica e ritrovante nell’altra la sua premessa o la sua base
storica. Ma poiché l’una e l’altra sono, in realtà, a lor modo storiche, cioè ri-
spondono a diverse e compiute storie o forme di storia, è chiaro che il con-
giungimento richiesto manca del necessario addentellato. La storia della po-
esia di Dante, e quella della sua filosofia o della sua politica, hanno radice alla
pari in tutta la storia che precesse quella creazione estetica, quell’accettazio-
ne o riforma di dottrine, quell’azione pratica; ma ciascuna di esse compie, di
quella materia storica, una sintesi sua propria […].
Finalmente, e per fermarci alquanto sopra un punto che suol dare luogo Espansione
alle più tormentose difficoltà, tra le forme d’espressione, o meglio di comu- del discorso:
l’allegoria nel
nicazione e di scrittura, usuali o predilette nel Medioevo, c’era, senza dubbio,
Medioevo
l’allegoria, il fare a nascondino, il proporre e sciogliere indovinelli […].
II tesi: Ma, checché pretendano e vantino gli investigatori e congetturisti delle
inutile e dannoso allegorie dantesche, nella poesia e nella storia della poesia le spiegazioni delle
decifrare
allegorie sono affatto inutili e, in quanto inutili, dannose. […]
le allegorie
dantesche Anche se tutte le allegorie di tutte le liriche, e di tutti i luoghi della Com- Argomentazione
media, fossero spiegate e in modo certo, resterebbe poi sempre da interpre- della II tesi:
la necessità di una
tare quelle liriche e quei luoghi storicamente, prescindendo cioè dalle alle-
interpretazione
gorie come inutili e dannose distrazioni, e ricercando il vero «senso storica
specifico».
E se io dovessi designare in qualche modo l’interpretazione storica che è I precisazione:
propria dell’interpretazione storico-estetica, ossia il momento analitico che occorre interpretare
il senso delle parole
precede quello sintetico, direi che è l’explanatio verborum, l’interpretazione,
nell’uso dei parlanti
largamente intesa, del senso delle parole: senso che, come tutti sanno, si trae dell’epoca
non dalla loro etimologia e dalla sequela dei concetti e dei sentimenti che
hanno concorso a formarle e che stanno dietro a loro come una sorpassata
preistoria, ma dall’uso generale dei parlanti di un dato tempo, dall’ambiente
in cui sono adoperate, e si determina e individua poi in relazione alla nuova
frase che è composta di esse e insieme le compone e le crea. Proposizioni
filosofiche, nomi di persone, accenni a casi storici, giudizi morali e politici e
via dicendo, sono, in poesia, nient’altro che parole, identiche sostanzialmen-
te a tutte le altre parole, e vanno interpretate in questi limiti. Nella interpre-
tazione allotria non sono più, e non debbono essere, parole, ossia immagini,
ma cose. Può darsi che non in tutti i casi si riesca a determinare, in quella
explanatio verborum, il senso preciso di talune parole, il contenuto morale,
filosofico, e, in genere, storico, che in esse vibra; ma lo stesso può accadere
per ogni altra parola, perfino di quelle che si dicono di materia comune e
familiare.
E, quando non si riesce a determinarlo con esattezza, permane una mag- II precisazione:
giore o minore oscurità; e della «oscurità» di Dante si è molto vociferato ed l’oscurità
delle parole si
è anzi passato, in proverbio, di essa stranamente esagerandosi l’importanza
può chiarire o no
e l’estensione. L’oscurità di Dante è piuttosto una difficoltà, che viene dall’es-
ser la lingua, che egli usò molto ricca e in alcune parti antiquata, e le riferen-
ze storiche molteplici e non ovvie, e la terminologia filosofica appartenente
a una cultura oltrepassata e nota solo a specialisti; e perciò quella oscurità si
schiarisce con un po’ di buona informazione, senza dire che concerne di so-
lito punti particolari e secondari. Qualche volta rimane oscurità, o perché il
Forum critico

poeta sia stato poco attento a evitare equivoci, o perché mancano i docu-
menti che la schiarirebbero; e allora l’interpretazione diventa meramente
congetturale, ammettente cioè parecchie possibilità, e non si potrebbe asse-
rirla se non per arbitrio. […]

21
Inferno • Canto I

Conclusione: La distinzione e la profonda diversità tra le due interpretazioni, l’estetica


leggere Dante e l’allotria, che abbiamo procurato di fermare in esatti termini logici, è sen-
«da solo a solo»
tita generalmente, sebbene pensata in modo confuso ed espressa con formu-
le improprie. Da quella coscienza o semicoscienza proviene il fastidio che di
continuo prorompe contro gli allegoristi, gli storicisti, gli aneddotisti, i con-
getturisti, e in genere contro i filologi e i «commentatori»; e il proposito che
si forma e l’esortazione che si predica a leggere Dante, gettati via i commen-
ti, «da solo a solo». Certo, non si può far di meno, e nessuno ha mai fatto di
meno, dell’aiuto dei commenti nel leggere Dante; ma il consiglio di gettarli
via è buono tutte le volte (e sono assai frequenti) che, invece di fornire i soli
dati giovevoli alla interpretazione storico-estetica, esibiscono cose inoppor-
tune ed estranee: certo, nessuno può leggere Dante senza adeguata prepara-
zione e cultura, senza la necessaria mediazione filologica, ma la mediazione
deve condurre al ritrovarsi con Dante da solo a solo, ossia a mettere in im-
mediata relazione con la sua poesia. Questa è l’esigenza ragionevole che si
manifesta in quel fastidio e in quei propositi, i quali, per altri rispetti, vanno
di là dal ragionevole.
Benedetto Croce, La poesia di Dante,
in Scritti di Storia letteraria e politica, vol. XVII, Laterza, Bari 1952

B Secondo Michele Barbi


Struttura dottrinale e significato letterale-figurativo
non sono separabili
Non esiste una duplicità di significati nella Commedia: il viaggio nei tre mondi dell’oltretomba non è
menzogna, ma la figurazione fondamentale del poema; la selva, le fiere e Virgilio non nascondono
concetti astratti ma hanno un significato intrinseco, funzionale alla narrazione.

I tesi: […] quando, a proposito del I canto, si parla comunemente di allegoria fon-
il canto I non può damentale del poema (e meglio sarebbe chiamarla, semmai, figurazione ini-
essere definito
ziale), si tira a significazione allegorica troppo di quella che è semplicemen-
«allegoria
fondamentale te espressione parabolica o tropologica, e che appartiene, come tale, al mero
del poema» senso letterale.
Così, ad esempio, ciò che Dante dice della selva in cui si trovò smarrito è I argomentazione:
una semplice maniera di dire figurata per significare il proprio traviamento molte figurazioni
collegate al senso
morale; e quando dalla figura noi passiamo a vedere, nell’immagine della
allegorico rientrano
selva, siffatto traviamento, non usciamo affatto dall’ambito del senso lette- nel senso letterale
rale per entrare in quello allegorico, dacché […] il senso letterale non è la del poema
figura in sé, ma quel che è in essa figurato, vale a dire quello che essa signi-
fica. E ciò è tanto vero che, per richiamare lo stesso fatto del traviamento, il
poeta altrove ha potuto servirsi, senza incongruenza, di altre figure, quando
proprio non lo abbia espresso con la nudità di quello che i retori chiamano
linguaggio proprio […].
Anche altre più complesse figurazioni, le quali pur si collegano in un
modo o nell’altro al senso allegorico del poema, appartengono, in quanto si
prendano a sé, al linguaggio parabolico, che Dante ha familiare in confor-
mità col gusto del tempo e per la consuetudine con le Sacre Scritture e con
le opere ascetiche; e rientrano quindi nel senso letterale. Valga ad esempio
la figurazione delle tre fiere che impediscono l’andare su al «bel monte». Si
tratta, certo, di impedimenti intrinseci, che si oppongono alla liberazione
dell’anima dallo stato di smarrimento morale in cui si trova: e ben videro i
Forum critico

primi interpreti figurato in esse il peccato; ch’è, in fondo, il distacco dell’ani-


ma dal Bene sommo a cagione della «concupiscentia carnis», della «concu-
piscentia oculorum», e della «superbia vitae», nelle quali si riassume tutto
ciò che nel mondo ostacola all’uomo «la strada di Dio». […] Dal fatto che

22
Inferno • Canto I

il poeta abbia ornato di simboli l’opera sua non ne consegue che essi sieno
parti costitutive dell’allegoria fondamentale connaturata, per così dire, alla
stessa inspirazione del poema: possono, al più, alcuni apparirci come parti-
colare illustrazione.
II argomentazione: Quale sia il vero senso allegorico nascosto sotto la lettera Dante stesso ce
il vero senso lo insegna […] nell’ultimo capitolo della Monarchia. Il poeta ha inteso ritrar-
allegorico è
re lo stato di smarrimento e di traviamento della società cristiana del suo
strettamente
collegato alla realtà tempo (selva) e mostrarne la causa nella mancanza delle guide che la Prov-
storica di Dante videnza assegnò al genere umano quando lo volle redento in Cristo. Ha in-
teso proclamare la necessità del ritorno delle sue guide al proprio distinto
ufficio e che la società, sotto di esse e per opera loro distinta e concorde,
riprenda il retto cammino che conduce alla felicità terrena e alla beatitudine
celeste (raffigurate nel Paradiso terrestre e nel Paradiso celeste), secondo i
due fini posti da Dio alla vita umana. Ha inteso annunziare che il ripristino
delle due distinte guide nella pienezza, ciascuna, dei propri e distinti uffici è
prossima: per opera d’un uomo a ciò straordinariamente destinato dalla
Provvidenza (raffigurato nel Veltro e nel Dux), il quale caccerà via dal mondo
la cupidigia (la lupa), corruttrice della vita familiare e civile e politica d’ogni
ceto sociale, e corruttrice della stessa Chiesa di Cristo, e anzi soprattutto di
essa, ne’ suoi organi e ne’ suoi capi […].
II tesi: Definita e considerata così, l’allegoria fa corpo con la poesia; e viene a
allegoria e poesia costituire, per così dire, l’anima e il succo del poema.
sono una sola cosa
Con che non si dice, e non si vuole intendere che Dante, nel corso del suo Argomentazione
lavoro, fosse ossessionato dal pensiero di porla presente ed operante in ogni della II tesi:
non occorre
singolo episodio o discorso né che, conseguentemente, al lettore incomba
comprendere ogni
l’obbligo di andarla appostando e scovando per ogni dove. E anche se qualche allegoria
complessa figurazione simbolica c’invita a ricercare e a penetrare oltre la
lettera, non dobbiamo, neppure in questi casi, abbandonarci alle nostre più
o meno sottili esercitazioni d’ingegno dimenticando quel ch’è sempre l’es-
senziale, la poesia; e gioverà anzi contentarsi di arrivare a scoprire, se e in
quanto esistano, i legami che congiungono siffatte figurazioni a quella che
sola può dirsi l’allegoria fondamentale. D’altronde, neppure bisogna credere
che, in un’opera così vasta, non possano esserci parti opache o perché trop-
po strettamente legate a dottrine e pregiudizi ormai superati o perché la fan-
tasia non è riuscita a far entrare nell’onda dell’ispirazione certi elementi cul-
turali o morali.
[…] Al fondo della costruzione egli ha addirittura posto la storia del pro- Precisazione:
prio personale smarrimento e dei vani tentativi da lui con le sole sue forze alla base della
struttura c’è sempre
fatti per ritornare su la via retta, e degli impedimenti che si sono opposti, e
la storia ovvero il
della Grazia intervenuta a trarlo in salvo e farlo «puro e disposto a salire a le senso letterale
stelle» e degno, infine, della visione di Dio e della Incarnazione redentrice.
Anche se rappresentata per via di figure (la selva, le tre fiere, Virgilio, Beatri-
ce, Paradiso terrestre, Paradiso celeste) questa storia fa parte, ripeto, del senso
letterale del poema, ed è errore considerarle come allegorie e, peggio, come
l’allegoria fondamentale.
Conclusione: Nell’ambito dell’allegoria – e diciamola pure allegoria iniziale perché ci è
l’allegoria «iniziale» data dai primi due canti presso che tutta o almeno nelle sue linee essenziali
(dei primi due canti)
– si entra solo in quanto il poeta ha voluto adombrare in se stesso la società
allude alla società
cristiana del tempo cristiana del suo tempo; e Virgilio e Beatrice assumono il significato dell’au-
di Dante torità imperiale e dell’autorità pontificia dei quali, l’una con gli argomenti
della scienza umana e l’altra con gli insegnamenti della verità rivelata, deb-
Forum critico

bono guidare gli uomini per la strada «del mondo» e «di Dio» rispettivamen-
te alla felicità temporale ed all’eterna.
Michele Barbi, Problemi fondamentali per un nuovo commento
della Divina Commedia, Sansoni, Firenze 1955

23
Inferno • Canto I

C Secondo Erich Auerbach


Le “figure” della storia, della vita e della concezione
intellettuale di Dante hanno anche un valore
universale
Erich Auerbach colloca la Commedia nella concezione figurale, molto diffusa nel Medioevo, in base
alla quale la realtà storico-culturale dell’epoca, tradotta in “figure”, assume un valore più ampio,
potremmo dire di “figure-mito”.

Premessa
L’ interpretazione figurale o, perché la definizione sia più completa, la
concezione figurale degli avvenimenti ebbe una larga diffusione e una
profonda influenza fino al Medioevo e oltre. La cosa non è sfuggita agli
studiosi; non soltanto opere teologiche che trattano della storia dell’erme-
neutica, ma anche le ricerche di storia dell’arte e della letteratura si sono
imbattute in rappresentazioni figurali e le hanno discusse. Ciò vale soprat-
tutto, naturalmente, per la storia dell’arte nel campo dell’iconografia me-
dievale e per la storia della letteratura nel campo del dramma religioso
medievale.
Tesi: Ma a quanto pare non si è colto il lato peculiare del problema; la struttu-
la struttura figurale ra figurale o tipologica o real-profetica non viene nettamente distinta da altre
e la struttura
forme, allegoriche o simboliche, di rappresentazione. […] [Abbiamo una]
allegorica
nel Medioevo sono mescolanza di senso della realtà e di spiritualità, per noi così difficilmente
inscindibili accessibile, che caratterizza il Medioevo europeo. […]
All’ingrosso si può affermare che in Europa il metodo figurale risale a in- I argomentazione:
flussi cristiani, quello allegorico a influssi antico-pagani, e anche che il primo l’origine del metodo
figurale e di quello
è per lo più applicato a soggetti cristiani, l’altro preferibilmente a soggetti
allegorico e il loro
antichi. Non sarà neppure sbagliato dire che la concezione figurale è in pre- intrecciarsi
valenza cristiano-medievale, mentre quella allegorica, che prende per mo-
delli autori pagani della tarda antichità o autori non intimamente cristianiz-
zati, tende a manifestarsi allorché si rafforzano gli influssi antichi, pagani o
fortemente mondani. Ma queste osservazioni sono troppo generali e impre-
cise, perché la grande massa di fenomeni in cui per un millennio le civiltà si
compenetrano non ammette ripartizioni così semplici. Ben presto s’inter-
pretano figuralmente anche temi profani e pagani […]. Nell’alto Medioevo
vengono ammessi nell’interpretazione figurale le Sibille, Virgilio e le figure
dell’Eneide, e persino personaggi del ciclo bretone (per esempio Galahad
nella Queste del Saint Graal), e sorgono i più svariati intrecci di forme figu-
rali, allegoriche e simboliche. Tutte queste forme si trovano anche, riferite a
temi antichi così come a quelli cristiani, nell’opera che conclude e riassume
la civiltà medievale, nella Divina Commedia. Ma vorrei cercare di dimostra-
re che in essa le forme figurali sono decisamente prevalenti e decisive per
tutta la struttura del poema. […]
Virgilio è stato considerato da quasi tutti gli antichi commentatori come II argomentazione:
l’allegoria della ragione, della ragione umana e naturale che porta al giusto allegoria e figuralità
in Virgilio
ordine terreno ossia, secondo le idee di Dante, alla monarchia universale. Gli
antichi commentatori non trovavano difficoltà in un’interpretazione mera-
mente allegorica perché essi non sentivano, come noi, un contrasto fra alle-
goria e poesia vera. Gli interpreti moderni si sono spesso opposti a questa
interpretazione e hanno messo in luce l’aspetto poetico, umano, personale
della figura di Virgilio, senza tuttavia poterne negare il «significato» e met-
Forum critico

terlo in perfetta concordanza con l’aspetto umano […] non c’è alcun aut-aut
fra senso storico e senso recondito: c’è l’uno e l’altro. È la struttura figurale
che conserva il fatto storico mentre lo interpreta rivelandolo, e che lo può
interpretare soltanto se lo conserva.

24
Inferno • Canto I

Agli occhi di Dante il Virgilio storico è in pari tempo poeta e guida. È una Precisazione:
guida come poeta, perché nel suo poema, nel viaggio agli Inferi del giusto il Virgilio storico è per
Dante poeta e guida
Enea, sono profetizzati e celebrati l’ordinamento politico che Dante consi-
dera esemplare, la «terrena Jerusalem», e la pace universale sotto l’Impero
romano; perché nel suo poema è cantata la fondazione di Roma, sede pre-
destinata del potere temporale e spirituale, in vista della futura missione.
Soprattutto egli è una guida, come poeta, perché tutti i grandi poeti poste-
riori furono infiammati e ispirati dalla sua opera; […] Virgilio è una guida
come poeta perché al di là della sua profezia temporale ha anche annunciato,
nella quarta Egloga, l’ordine eterno e sovratemporale, la venuta di Cristo, ché
era tutt’uno col rinnovamento del mondo temporale: sia pure senza sospet-
tare il significato delle proprie parole, ma in modo tale che questa luce po-
tesse infiammare i posteri. Inoltre egli era una guida come poeta perché
aveva descritto il regno dei morti e quindi era una guida per il regno dei
morti, conoscendo la strada. Ma egli era destinato a fare da guida non sol-
tanto come poeta, bensì anche come romano e come uomo; egli non possie-
de solo la bella parola, non solo l’alta sapienza, ma proprio le qualità che lo
rendono capace di guidare e che distinguono il suo eroe Enea e Roma in ge-
nerale: «iustitia» e «pietas». La piena perfezione terrena, che autorizza ed
elegge a guidare fino alle soglie della visione della perfezione divina ed eter-
na, è impersonata per Dante già nel Virgilio storico, il quale è da lui conside-
rato una «figura» per il personaggio, ora adempiuto nell’aldilà, del poe-
ta-profeta che fa da guida. Il Virgilio storico è «adempiuto» dall’abitante del
Limbo […] Come egli un tempo, da romano e da poeta, aveva fatto discen-
dere Enea per consiglio divino nell’oltretomba, affinché egli conoscesse il
destino del mondo romano, come la sua opera era diventata una guida per i
posteri, così ora egli è chiamato dalle potenze celesti a una funzione di guida
non meno importante perché non è dubbio che Dante vede se stesso in una
missione importante quanto quella di Enea: egli è chiamato ad annunciare
al mondo dissestato l’ordinamento giusto, che gli viene rivelato nel suo cam-
mino. E Virgilio è chiamato a mostrargli e a spiegargli il vero ordinamento
terreno, le cui leggi giungono ad esecuzione nell’aldilà, la cui sostanza è
adempiuta nell’aldilà – anche nella direzione del loro fine, della comunità
celeste dei beati che egli ha presagito nel suo poema, – ma non fino nell’in-
terno del regno di Dio, perché il senso del suo presentimento non gli è stato
rivelato durante la sua vita terrena e, senza questa illuminazione, egli è morto
da infedele […]
Conclusione: Virgilio non è dunque l’allegoria di una qualità, di una virtù, di una capa-
Virgilio nella cità o di una forza, e neppure di un’istituzione storica. Egli non è né la ragio-
Commedia è solo
ne né la poesia né l’Impero. È Virgilio stesso. […] Nella Commedia Virgilio è
Virgilio. Tutta la
Commedia si basa bensì il Virgilio storico, ma d’altra parte non lo è più, perché quello storico è
sulla concezione soltanto «figura» della verità adempiuta che il poema rivela, e questo adem-
figurale pimento è qualche cosa di più, è più reale, più significativo della «figura».
All’opposto che nei poeti moderni in Dante il personaggio è tanto più reale
quanto più è integralmente interpretato, quanto più esattamente è inserito
nel piano della salute eterna. E all’opposto che negli antichi poeti dell’oltre-
tomba, i quali mostravano come reale la vita terrena e come umbratile quel-
la sotterranea, in lui l’oltretomba è la vera realtà, il mondo terreno è soltanto
«umbra futurorum», tenendo conto però che l’«umbra» è la prefigurazione
della realtà ultraterrena e deve ritrovarsi completamente in essa. In effetti
ciò che qui si è detto per […] Virgilio vale per tutta la Commedia. Essa è fon-
Forum critico

data in tutto e per tutto sulla concezione figurale.


Erich Auerbach, Figura, in Studi su Dante,
tr. italiana di M.L. De Pieri Bonino, Feltrinelli, Milano 1963

25
Inferno • Canto I

L’immagine e il testo

Virgilio: filosofo medievale o poeta classico?


Come dobbiamo immaginarci Virgilio? Giovane (il poeta in ef-
fetti morì all’età di anni)? Con la barba o senza? Ammantato
dalla toga o, come Vittorio Sermonti ha osato insinuare, nudo,
come tutte le altre anime dell’aldilà?
Nella tradizione figurativa del personaggio si possono notare a
questo proposito due fasi ben distinte. Nella prima, che com-
prende il Medioevo e arriva sino al Rinascimento, Virgilio è rap-
presentato con aspetto venerando (età matura, se non proprio
senile, lunga barba) e con abiti che spesso rimandano al costume
accademico medievale (da qui proviene per esempio il collare di
pelliccia presente in alcune di queste immagini); talvolta il co-
stume appare vagamente orientaleggiante, come di un “mago”
esoterico. Con la riscoperta di Dante alla fine del Settecento
e con il Romanticismo ottocentesco, invece, la raffigurazione
di Virgilio cambia in modo radicale: riportato alla sua realtà di
poeta classico, riacquista la toga romana, la corona d’alloro, e, in
genere, ringiovanisce.

▶ [ ] Priamo della Quercia, Divina


Commedia, manoscritto per Alfonso V,
1442-1450. Londra, British Library.

▲ [ ] Maestro delle Vitae Imperatorum,


Divina Commedia, manoscritto con
commento di Guiniforte Barzizza,
1438-1450. Pari i, Bibliothèque
L’imma ine e il testo

Nationale de France.

▶[ ] Gu lielmo Giraldi, Divina


Commedia, manoscritto per
Federico da Montefeltro,
1477-1478. Biblioteca
Apostolica Vaticana.

26
Inferno • Canto I

▶[ ] Sandro
Botticelli, La voragine
infernale, ca 1485.
Berlino,
Kupferstichkabinett.

▼[ ] Gustave Doré,
illustrazione per la
Divina Commedia, 1861.

▲[ ] Eu ène Delacroix, La barca di


Dante, 1822. Pari i, Musée du Louvre. ▼[ ] William-Adolphe Bou uereau,
Dante e Virgilio (particolare), 1850.
Pari i, Musée d’Orsay.

Osservare e riflettere
1. Esamina le immagini qui presentate, seguendo
questa griglia di osservazioni: età presumibile;
presenza o meno della barba; costume (classico/
medievale); presenza o meno della corona
d’alloro.
2. Secondo te, quale Virgilio più si avvicina all’im-
L’imma ine e il testo

magine che poteva averne Dante? Il Virgilio


di Dante ti sembra ancora il Virgilio-mago
del Medioevo (vedi anche la scheda Virgilio
medievale, p. ) o ti sembra che Dante ne
abbia già una percezione storica e filologica più
esatta, basata sulla lettura e sulla assimilazione
letterale dei testi virgiliani?

27
Purgatorio
Purgatorio

Introduzione
La clinica dell’anima
L’ esperienza del Purgatorio è, più dell’Inferno e del Paradiso,
un’invenzione dantesca. Anche dal punto di vista teologico,
l’esistenza, la configurazione, la finalità di un locus purgatorius,
della Vergine, sussurrato in fin di vita, a salvare un’anima. Tanto
che il diavolo venuto a prendere possesso dell’anima di Boncon-
te (il quale evidentemente non era ritenuto uno stinco di santo)
ovvero di un luogo di purgazione e purificazione delle anime non può che constatare la propria sconfitta. Tu te ne porti di co-
dopo la morte, erano state a lungo oggetto di discussione, e stui l’etterno – egli protesta stizzito contro l’angelo che prende
le soluzioni offerte erano, ancora all’epoca di Dante, piuttosto con sé lo spirito del morto – per una lagrimetta che ’l mi toglie
nebulose. Si badi che solo nel 1254, pochi anni prima della Com- (vv. 106-107). Una lagrimetta, appunto: tanto è sufficiente a di-
media, c’era stato un pronunciamento teologico autorevole: una videre dannazione e salvezza, Inferno e Paradiso.
lettera del pontefice Innocenzo IV, che aveva affermato l’esi- Ma pentirsi non è che l’inizio di un processo. Forse solo noi
stenza del Purgatorio richiamandosi a esili evidenze scritturali contemporanei, così esperti delle vicissitudini e dei traumi della
e, più che altro, alla tradizione cristiana. Ma appunto, secondo psiche, possiamo apprezzare appieno la grandiosa moderni-
quella tradizione non era ben chiaro dove fosse, come fosse, e a tà dell’intuizione dantesca. Dante inventa il Purgatorio come
che cosa servisse il Purgatorio. In genere, era raffigurato come un lungo, penoso e faticoso processo di terapia, di guarigione
un luogo sotterraneo, continguo all’Inferno, a esso assai simi- spirituale e psicologica. Non basta pentirsi, ovvero decidere di
le; si disputava se fosse guardato da angeli oppure da demoni; cambiare, di farla finita col proprio passato. Dante sembra avere
spesso si pensava che servisse a purificare dai peccati veniali, “indovinato” che esiste una durata della psiche, dove anche le
che fosse quindi un luogo di perfezionamento dalle minori in- decisioni morali più drastiche e irreversibili hanno però bisogno
fermità dell’anima, prima di salire in Paradiso. Dante trasforma di essere coltivate, rafforzate, assunte come parte finalmente
radicalmente la tradizione purgatoriale e, oltre alla topografia accettata e tranquilla del proprio vissuto. Il Purgatorio è la di-
e alla configurazione morale del Purgatorio, inventa una vera e mensione in cui i peccatori ripensano il loro passato, vengono
propria esperienza psicologica, una dimensione interiore “pur- a patti con un’identità che non riconoscono più come propria,
gatoriale”, a cui conferisce spazio e importanza pari e simmetrici soffrono in se stessi le conseguenze di quel passato per disfarse-
rispetto alle altre due cantiche. Infatti, il Purgatorio di Dante ne una volta per tutte. L’Inferno è un ergastolo senza speranza,
è una montagna librata verso il cielo, non un luogo sotterra- in cui si vuole soltanto la punizione del colpevole; il Purgatorio
neo; è anzi il calco perfetto dell’Inferno, di cui replica i peccati è una casa di correzione, dove si lavora per la sua riabilitazio-
in successione inversa (dai più gravi ai più lievi). Non è affatto, ne morale. O meglio, è una casa di cura: una clinica dell’anima,
dottrinalmente, una “zona grigia”, riservata ai peccati veniali: il dove i pazienti sono sottoposti a un lento programma di rico-
suo stesso rapporto speculare rispetto all’Inferno ci dice che qui stituzione dell’identità.
i peccati sono esattamente gli stessi, e che la sacra montagna Il Purgatorio è quindi un luogo di passaggio, eminentemen-
è abitata da peccatori non meno esperti del male di quelli in- te transeunte. Mentre noi abbiamo visto i peccatori infernali
fernali. Orribil furon li peccati miei dice infatti Manfredi nel canto inchiodati al luogo che la giustizia divina assegna loro per l’eter-
III; e subito aggiunge: ma la bontà infinita ha sì gran braccia, / che nità, tutte le anime del Purgatorio sono pellegrine, in viaggio, in
prende ciò che si rivolge a lei (vv. 121-123). itinere. Infatti, anche se Dante le incontra nei gironi che meglio
La differenza, semplice e radicale, è tutta qui. Gli abitanti le caratterizzano moralmente, è inteso che tutti i penitenti pas-
del Purgatorio non sono stati migliori di quelli dell’Inferno, ma sano attraverso tutti i balzi della montagna e ne sperimentano
si sono pentiti. Ovvero, c’è stato nella loro esistenza, magari tutte le pene. Come Dante si muove in ascesa verso la vetta,
anche soltanto in punto di morte, un momento in cui si sono dunque, così anch’esse: e questo comune movimento rende
affidati al perdono di Dio. Bonconte da Montefeltro dice della tutta la montagna – e non solo per Dante – un luogo di viaggio
sua morte: nel nome di Maria fini’ (canto V, v. 101): basta il nome e di trasformazione.

397
Mappa interattiva
Purgatorio • Schema Purgatorio

Canti Peccatori Luoghi

XXXIII
XXXII
XXXI
XXX
XXIX
XXVIII PARADISO TERRESTRE

VII CORNICE
XXVII
XXVI lussuriosi
XXV

XXIV
XXIII golosi VI CORNICE
XXII

XXI
XX avari e prodighi V CORNICE
XIX

XIX
XVIII accidiosi IV CORNICE
XVII

III CORNICE
XVII
XVI iracondi
XV

XIV
invidiosi II CORNICE
XIII

XII
XI superbi I CORNICE
X

PORTA DEL PURGATORIO

IX

VIII
principi negligenti valletta
VII
ANTIPURGATORIO

VI morti di morte
II balzo
V violenta

pentiti in punto
IV I balzo
di morte

III morti scomunicati


II
spiaggia
I

398
Purgatorio Introduzione:
traccia 69

Canto I Canto:
traccia 70
Audio e video
sull’app GUARDA!

Luogo Custode
Antipurgatorio, spiaggia dell’isola su cui sorge la montagna Catone Uticense

A lla fine dell’Inferno, dopo avere faticosamente risalito il


cammino ascoso, ovvero la galleria sotterranea che collega
il centro della Terra all’isoletta del Purgatorio, Dante e Virgi-
“Uticense”). Dunque un pagano e un suicida a guardia del Pur-
gatorio? La scelta di Dante è audace, ma proprio per questo si-
gnificativa. Scegliendo di porre un personaggio come Catone a
lio avevano già intravisto, per un pertugio tondo, un firmamen- guardia della montagna purgatoriale, Dante vuole concentrare
to stellato: le cose belle / che porta ’l ciel. Sì che l’ultimo verso l’attenzione dei suoi lettori su un elemento, e uno solo, che de-
dell’Inferno suonava così: E quindi uscimmo a riveder le stelle. Il termina la salvezza dell’anima e costituisce quindi il prerequisito
primo canto del Purgatorio ricomincia da qui, da questa aperta essenziale del Purgatorio: questo elemento è la libertà, intesa
contemplazione di un cielo stellato. È ben vero che prima di come valore che, unico, conferisce merito alla vita morale degli
riprendere il suo racconto Dante deve obbedire alle regole del individui. Senza libertà, cioè senza libero arbitrio, non c’è né
poema classico antico, e quindi presentare il suo argomento, bene né male: non c’è etica. Per questo anche un pagano suici-
precisare le intenzioni e le ambizioni del suo canto e invocare da, ma suicida per salvaguardare il valore supremo della libertà,
la divina protezione delle Muse. Tuttavia, la felice metafora che può diventare un modello: un modello esemplare perfino per la
egli usa subito, in apertura di canto, per significare l’aprirsi di morale cristiana.
un nuovo repertorio poetico, e l’abbandono di quello inferna- Infine, va osservato come anche nel Purgatorio la poesia
le, fa familiarizzare immediatamente il lettore con l’atmosfera di Dante mantiene la sua speciale qualità di poter essere letta
paesistica e poetica di questo nuovo canto. Per correr miglior a diversi livelli di significato. In altre parole, anche qui il livello
acque alza le vele / omai la navicella del mio ingegno… È una me- letterale del racconto si accompagna con un livello allegorico.
tafora marina, che raffigura la sfida poetica rappresentata dalla Per esempio, le quattro stelle della nuova costellazione australe
nuova cantica nei termini di una nuova navigazione, avventu- significano anche le quattro virtù cardinali (prudenza, giustizia,
rosa certo, ma finalmente all’aria aperta, sulla distesa infinita di fortezza, temperanza), possedute dall’umanità ai suoi primordi,
nuove acque serene. Questo clima di freschezza marina, questo prima del peccato originale, e poi perdute; Catone stesso è alle-
senso nuovo di libertà, questa sensazione quasi fisica di poter goria della libertà, il cui esercizio è preliminare per l’accesso al
respirare finalmente a pieni polmoni caratterizzano tutto que- Purgatorio e alla salvezza; il giunco con cui Virgilio intreccia il cin-
sto primo canto purgatoriale. L’Inferno è presto dimenticato, golo penitenziale di Dante è simbolo di umiltà e docile arrende-
col suo buio oppressivo, la sua aria soffocante e claustrofobica, volezza; il fatto stesso che Virgilio si rivolga a Catone in qualche
il suo puzzo, la sua colonna sonora dissonante, stridente e la- modo sbagliando tono, con un eccesso di cerimonie e di lusinghe,
mentosa. Adesso siamo in riva all’oceano, sotto un cielo d’alba ci rappresenta il nuovo disagio che la ragione umana (della quale
azzurro e trasparente come uno zaffiro orientale: in alto brillano anche nel Purgatorio Virgilio è figura allegorica) incontra, e incon-
quattro stelle di una costellazione australe sconosciuta; Venere trerà sempre di più, addentrandosi nel mondo della Grazia; dove
splende velando col suo fulgore i Pesci, che la seguono da pres- non bastano più le risorse dell’intelligenza e della bontà naturale,
so. È, davvero, l’alba di un giorno nuovo, e di un nuovo mondo. ma serve una luce dall’alto che Virgilio non ha potuto ricevere.
Il guardiano di questo nuovo mondo è Catone, che funge da Tuttavia la complessità di significato del racconto non alte-
divino guardacoste dell’isoletta e da “portiere”, per così dire, della ra né compromette la fascinosa freschezza e l’incanto di questo
montagna del Purgatorio. Chi è Catone? È, per l’esattez- esordio. Siamo all’inizio di un itinerario di purificazione interiore,
za, Marco Porcio Catone, il fiero difensore della ricco di profonde implicazioni teologiche e dottrinali; ma
libertà repubblicana che nel 46 a.C., per non siamo anche all’inizio del viaggio d’esplorazione di un
sottoporsi alla tirannia di Cesare, si tolse la mondo nuovo, sotto un nuovo cielo, sotto
vita a Utica (donde il suo soprannome di costellazioni sconosciute.

Lunga la barba e di pel bianco mista


portava, a’ suoi capelli simigliante,
de’ quai cadeva al petto doppia lista.
(vv. 34-36)

399
Purgatorio • Canto I

3
P er correr miglior acque alza le vele
omai la navicella del mio ingegno,
che lascia dietro a sé mar sì crudele;
☛ Esordio e invocazione
alle Muse

e canterò di quel secondo regno


dove l’umano spirito si purga
6 e di salire al ciel diventa degno.
Ma qui la morta poesì resurga,
o sante Muse, poi che vostro sono;
9 e qui Calïopè alquanto surga,
seguitando il mio canto con quel suono
di cui le Piche misere sentiro
12 lo colpo tal, che disperar perdono.
Dolce color d’orïental zaffiro, ☛ Un altro cielo, altre stelle
che s’accoglieva nel sereno aspetto
15 del mezzo, puro infino al primo giro, ☛ Le parole di Dante, p. 400
- Per correr… sì crudele: Dante usa - Ma qui la morta… perdono: quanto musa della poesia epica, conside-
la metafora della navigazione per esprimere «Ma adesso la mia poesia, che era come rata la più sublime; anche se il Poeta qui
in modo figurato il suo lavoro di poeta: morta nel racconto delle pene infernali sottolinea la sua ambizione a sollevarsi
la sua ispirazione è come una barchetta (dovendo trattare della morte spirituale alquanto dalla materia infernale, e non
(la navicella del mio ingegno); l’inizio dei dannati) riprenda vita (resurga), o sacre di più; lo stile più alto della Commedia
della nuova cantica è un alzare le vele per Muse, dacché sono tutto vostro, e adesso sarà infatti riservato alla terza cantica,
cominciare un nuovo viaggio; la materia Calliope, in particolare, mi aiuti a elevare al Paradiso.
più serena del Purgatorio è rappresentata almeno un poco (alquanto) la mia ispi- Dolce color… zaffiro: è soggetto
da miglior (più chiare e tranquille) acque razione, aiutandomi a continuare il mio di ricominciò diletto (v. 16); il delicato e
rispetto al mar sì crudele della navigazione canto con quella musica che inferse un prezioso azzurro del cielo (siamo vicini
appena conclusa, cioè il racconto dell’e- colpo tale alle Piche da farle disperare di all’alba), simile nel colore e nella traspa-
sperienza infernale. Secondo i dettami trovare scampo». Dante allude qui alla renza a uno zaffiro orientale, è come un
della retorica antica, che prescriveva la sfida di canto, rivolta alle Muse dalle figlie ristoro per gli occhi e lo spirito di Dante,
sequenza argomento/invocazione a inizio del re di Tessaglia, Pierio (dette perciò che hanno dovuto sopportare così a lungo
di poema, Dante dedica le prime due Pieridi): quando queste ultime sentirono il la caligine dell’abisso infernale.
terzine (vv. 1-6) alla proposizione del tema, canto di Calliope, capirono subito non solo - che s’accoglieva… al primo giro:
e le due successive (vv. 7-12) all’appello alle di aver perso la gara, ma che non ci sarebbe «(l’azzurro del cielo), che si diffondeva
Muse, perché lo assistano nella sua nuova stata indulgenza per la loro presunzione; (s’accoglieva) nel sereno aspetto dell’atmo-
fatica. Il racconto vero e proprio riprende infatti, esse furono trasformate da Calliope sfera (del mezzo, “dell’aria”, che è il fluido
solo al v. 13: Dolce color d’orïental zaffiro… stessa in Piche, ovvero in “gazze” (non a mediante il quale la realtà è percepibile),
secondo regno: il Purgatorio, secondo caso, i più ciarlieri fra gli uccelli). Calliope pura fino all’orizzonte (ma c’è chi intende
rispetto al primo, l’Inferno. è esplicitamente menzionata da Dante in primo giro come il cielo della Luna)».

LE PAROLE DI DANTE ☛ v. 15
Mezzo
Dante usa più di una volta mezzo, nella Commedia, nel senso di troppo, gli impedì di penetrare oltre”; mezzo è anche la profondità
“aria”, cioè di spazio attraverso cui si propaga la luce, o si rivelano dell’aria nel crepuscolo mattutino: quando ’l mezzo del cielo, a noi
gli oggetti alla vista. Qui, nel primo canto del Purgatorio, mezzo è profondo, / comincia a farsi tal, ch’alcuna stella / perde il parere
l’atmosfera limpida dell’alba, sgombra di nubi; nella grande parata (Par. XXX, 4-6).
allegorica che si svolgerà sulla cima della montagna purgatoriale, Particolarmente eloquente l’accezione in Par. XXXI, 77-78, quando
mezzo è la grande distanza che si interpone tra la vista di Dante Dante spiega che Beatrice, tornata al posto che le spetta nella rosa
e quelli che sembrano, da lontano, sette alberi d’oro – si tratta in dei beati, lontanissima da Dante, non per questo diviene meno
realtà di sette candelabri: Poco più oltre, sette alberi d’oro / falsava nitidamente visibile all’occhio del suo fedele, visto che lì, nell’Em-
nel parere il lungo tratto / del mezzo ch’era ancor tra noi e loro (Purg. pireo, non v’è mezzo, ossia fluido aereo che s’interponga alla vista:
XXIX, 43-45), cioè “Poco più avanti, la lunga distanza, in linea nulla mi facea, ché süa effige / non discendëa a me per mezzo mista,
d’aria, fra noi e loro, ci faceva sembrare – ma erroneamente – che cioè “quella distanza non mi era di nessun ostacolo, perché il suo
stessero avanzando verso di noi sette alberi d’oro”. aspetto non mi arrivava sfocato attraverso lo spessore dell’aria”.
In Paradiso, mezzo è l’etera, l’etere, ovvero l’aria attraverso cui Come sostantivo riferito al fluido aereo interposto (“posto in
Dante segue l’ascesa verso l’Empireo delle anime trionfanti: Lo mezzo”) tra il nostro occhio e gli oggetti visibili, mezzo non è più
viso mio seguiva i suoi sembianti, / e seguì fin che ’l mezzo, per usato nella nostra lingua moderna. Accezioni simili si possono
lo molto, / li tolse il trapassar del più avanti (Par. XXVII, 73-75), però trovare quando definiamo l’aria il mezzo attraverso cui certi
ovvero “Il mio sguardo seguiva lo spettacolo di quelle apparenze fenomeni arrivano alla nostra visione; ma in questo caso mezzo
e lo seguì finché lo spazio interposto fra me e loro, divenuto significa semplicemente “strumento intermediario”.

400
Purgatorio • Canto I

☛ vv. 1-12 Esordio e invocazione alle Muse


Le regole del poema classico prevedevano che il poeta non potesse cominciare a “cantare” senza
un preambolo, cioè dando subito inizio alla storia che voleva raccontare. Il poeta doveva prima e
preliminarmente presentare il suo argomento, magari ragionare un poco del suo stile e delle risorse
espressive di cui intendeva valersi; poi, di norma, doveva invocare un aiuto dall’alto: le Muse, Apollo,
Dio stesso o qualche altro celeste protettore e ispiratore. Nell’Inferno, Dante obbedisce a questa re-
gola non nel primo, ma nel secondo canto: il primo, come abbiamo visto, serviva di prologo a tutto
il poema nel suo insieme, il che permetteva a Dante di iniziare la Commedia con quell’esordio brusco
e folgorante nella sua immediatezza (Nel mezzo del cammin di nostra vita), senza mettere di mezzo
né muse né altro. Ma qui, all’inizio del Purgatorio, Dante si sente in obbligo di cominciare secondo
le regole. Abbiamo quindi, prima che il racconto ricominci, quattro terzine introduttive, nelle quali
Dante annuncia il contenuto della nuova cantica (il secondo regno dell’aldilà, dove gli spiriti si purifica-
no e diventano degni di salire in Cielo), e precisa con esattezza lo scarto stilistico rispetto all’Inferno
appena visitato e raccontato. Quella infernale, infatti, è stata una morta poesì: una poesia “morta”,
non solo perché trattava delle pene dei dannati, “morti” alla grazia di Dio, ma perché la materia, in
qualche modo, contagiava anche lo stile, che era stato uno stile di morte, tetro, orrendo, pauroso;
uno stile di tenebra anche nei suoi frequenti risvolti comici e grotteschi. Adesso quella morta poesì,
dice Dante, deve elevarsi alquanto; anzi, deve risorgere, come da una lunga incubazione tombale;
però, appunto alquanto, cioè soltanto in una certa misura; Dante sa bene che il Purgatorio rappre-
senta nel suo poema una tappa intermedia fra Inferno e Paradiso e che, stilisticamente, l’altezza più
sublime del suo dire poetico è riservata all’ultima cantica. Però già da ora il suo canto osa richiedere
un aiuto decisivo alle Muse, anzi a Calliope, che in quanto patrona dell’epica presiede al livello più
alto di poesia: il distacco dall’Inferno vuole dunque essere reciso. Né è casuale che Dante richieda una
particolare assistenza delle muse e di Calliope: egli aspira infatti, dice, a che le Muse gli prestino quel
suono, cioè quella musica con cui sconfissero le figlie del re Pierio, quando queste poverette cantatrici
osarono sfidarle a una gara di canto poetico, uscendone naturalmente distrutte. Dante leggeva di
questo mito in Ovidio (Metamorfosi V, v. 300 e vv. ss.).
Dunque, questa volta Dante esordisce secondo tutte le regole: presentazione dell’argomento,
messa a fuoco del livello di stile perseguito e invocazione alle Muse. Eppure, queste non sono terzine
scritte soltanto per dovere. La materia e lo stile della nuova cantica sono introdotti da Dante, infatti,
con un vero senso di infinita liberazione, di sconfinato sollievo. Non si tratta, per lui, di passare solo
da un argomento all’altro, da un livello di stile all’altro, bensì di lasciarsi davvero alle spalle l’orrore
dell’esperienza infernale, l’angoscia e l’affanno del peccato e del male, per respirare più liberamente, a
contatto con le prime dolci consolazioni della salvezza. A questo senso di liberazione contribuisce so-
prattutto la prima stupenda terzina del canto, tutta giocata sulla metafora della navigazione. Dante
vuole semplicemente dire che il suo ingegno si accinge ad affrontare un tema più sereno, lasciandosi
alle spalle la lugubre esperienza dell’Inferno: ma, per dirlo, usa la figura della navigazione marina, per
cui la sua ispirazione è una navicella, la nuova materia sono acque più tranquille, la scorsa materia
infernale un mar sì crudele; e l’inizio del poema diventa davvero uno spiegare le vele, all’aria aperta,
respirando a pieni polmoni, per una nuova esaltante avventura. È una splendida metafora, e insie-
me una sorta di messaggio subliminale. Tutto questo primo canto, infatti, si svolgerà sulla spiaggia
dell’isoletta del Purgatorio, alle falde della montagna dove gli spiriti patiscono la loro penitenza. Ma
per ora, Dante sembra evitare la vista dell’incombente scalata: in alto, egli vede solo, per il momento,
lo sconfinato azzurro di un cielo albeggiante.
Il suo sguardo indugerà piuttosto sull’orizzonte dell’oceano che circonda l’isoletta: tutto il primo
canto sarà pervaso dall’aria fresca di una trasparente alba sul mare. La fresca aria marina che i primi
versi, pur entro l’obbligo retorico dell’esordio, insinuavano già per via di metafora.

☛ vv. 13-27 Un altro cielo, altre stelle


L’inizio del racconto è un arpeggio di liquide: DoLce coLoR d’oRïentaL zaffiRo… Si capisce subito che la
musica della nuova cantica sarà altra cosa rispetto alle rime aspre e chiocce dell’Inferno appena abban-
donato. La dolcezza musicale di questi versi, d’altronde, è intonata alla nuova gamma di sentimenti e
di emozioni su cui Dante apre il racconto. Sollievo di essere finalmente uscito dall’aura morta infernale,
che lo aveva afflitto fisicamente (li occhi) e spiritualmente (’l petto, il cuore); commosso piacere (di-
letto) di fronte a un paesaggio che non aggredisce con la sua violenza, ma porge tacito lo spettacolo
della sua bellezza; e silenzio, finalmente, silenzio, dopo l’assordante e stridente cacofonia infernale. E
tuttavia, Dante non è semplicemente tornato sulla Terra, a contatto col cielo, con le acque, con la luce

401
Purgatorio • Canto I

a li occhi miei ricominciò diletto,


tosto ch’io usci’ fuor de l’aura morta
18 che m’avea contristati li occhi e ’l petto.
Lo bel pianeto che d’amar conforta ☛ Le parole di Dante, p. 402
faceva tutto rider l’orïente,
21 velando i Pesci ch’erano in sua scorta.
I’ mi volsi a man destra, e puosi mente
a l’altro polo, e vidi quattro stelle
24 non viste mai fuor ch’a la prima gente.
Goder pareva ’l ciel di lor fiammelle:
oh settentrïonal vedovo sito,
27 poi che privato se’ di mirar quelle!
Com’ io da loro sguardo fui partito, ☛ Catone a guardia
un poco me volgendo a l’altro polo, del Purgatorio

30 là onde ’l Carro già era sparito,

aura morta: è l’aria di morte peccato originale; altro saranno le tre stelle della possibilità di contemplare tale
dell’Inferno. visibili più avanti, nella valletta dei principi – costellazione.
li occhi e ’l petto: ovvero, la vista canto VIII, 89-93 – che simboleggiano invece da loro sguardo: dal guardare loro;
(i sensi) e l’anima. le tre virtù teologali – fede, speranza e carità sguardo ha valore verbale e loro è comple-
- Lo bel pianeto… in sua scorta: – pertinenti a una perfezione raggiungibile mento oggetto.
«Venere, il bel pianeta che ispira l’amore, soltanto attraverso l’aiuto della grazia divina). - a l’altro polo… era sparito: verso
faceva sfolgorare tutta la parte orientale - oh settentrïonal… quelle!: il polo artico (cioè a sinistra), ossia verso
del cielo, velando col suo splendore la l’emisfero settentrionale, o boreale, quella zona celeste dove era già tramontata
costellazione dei Pesci, che le era da presso è vedovo, cioè deserto, essendo privo l’Orsa Maggiore.
(ch’erano in sua scorta)».
- e puosi mente… polo: «e rivolsi
la mia attenzione al polo antartico (altro,
rispetto a quello artico, o delle terre
emerse)». È quanto Virgilio ha spiegato
in Inf. XXXIV, 112-126. Dante dunque si
rivolge a una parte del firmamento ignota
all’umanità, come subito non manca di sot-
tolineare; quattro stelle… prima gente:
Dante vede una costellazione non mai vista
da alcuno, tranne che da Adamo ed Eva
(la prima gente), innanzi che essi fossero
scacciati dal Paradiso Terrestre. Si tratta
di una costellazione allegorica, simboleg-
giante le quattro virtù cardinali (prudenza,
giustizia, fortezza, temperanza), di deri-
vazione platonica ma incorporate nella
morale cristiana (e dunque emblema di
una perfezione umana, sia pure perduta col

LE PAROLE DI DANTE ☛ v. 19
Conforta
Qui significa “incoraggiare”, “istigare”, “sollecitare”, ma Dante usa il più specifico di “incoraggiare”, “istigare”, “sollecitare” è pure
verbo in una vasta estensione di senso: “consolare”: nulla speranza ampiamente diffuso. Così Petrarca nel Canzoniere (XXXVII): «tal
li conforta mai, / non che di posa, ma di minor pena (Inf. V, 44-45); ch’io non penso udir cosa già mai / che mi conforte ad altro che
“rianimare”: Ma qui m’attendi, e lo spirito lasso / conforta e ciba di a trar guai», “che mi solleciti ad altro che a lamentarmi pietosa-
speranza buona (Inf. VIII, 106-107); “risollevare”, “riscattare”: E se di mente”; Poliziano nel suo Orfeo: «Conforto e’ maritati (“i mariti”)
voi alcun nel mondo riede, / conforti la memoria mia (Inf. XIII, 76-77); a far divorzio, / e ciascun fugga el feminil consorzio»; Tasso nella
“rinfrancare”, e specialmente “riscaldare”: come ’l sol conforta / le Gerusalemme liberata (IX, 16): «Qui fe’ cibar le genti, e poscia d’alto
fredde membra che la notte aggrava (Purg. XIX, 10-11). Si tratta / parlando confortolle (“le incitò”) al crudo assalto».
comunque pressoché di sinonimi, tutti derivanti dal latino ecclesia- Oggi, tuttavia, di quella antica gamma di significati rimane nell’uso,
stico confortare, una voce semidotta che valeva “render forte”, da sostanzialmente, quello di “consolare”; più raro, ma non obsoleto,
fortis, “forte”. quello di “incoraggiare” (per esempio: «Le tue parole mi confortano
L’uso antico è coerente con quello dantesco, e il significato a continuare nella mia battaglia», e simili).

402
Purgatorio • Canto I

delle stelle. Dante si trova adesso, non dimentichiamolo, agli antipodi di Gerusalemme, cioè in posizio-
ne esattamente rovesciata rispetto alla nostra, di abitanti dell’emisfero boreale: l’emisfero “orientato”
secondo la direzione di Satana, come si è visto nell’ultimo canto dell’Inferno. Adesso Dante è, invece,
orientato nella direzione giusta, quella verso Dio, quella originariamente pensata e voluta dal Creatore
per il genere umano. Lo spettacolo naturale intorno a Dante non è dunque, semplicemente, bellissimo:
la trasparenza dell’aria azzurrina, pura, senza una nuvola, sino all’orizzonte; lo sfolgorio di Venere che
sta per tramontare, ma ancora così brillante da velare la luce della costellazione dei Pesci, che la segue
da vicino nel firmamento (e anche qui, che arpeggio: Lo beL pianeto che d’amaR confoRta / faceva tutto
RideR L’oRïente, / veLando i Pesci); la nuova, splendida costellazione australe, che al confronto fa sem-
brare così sguarnito il nostro cielo di settentrione… Queste non sono bellezze semplicemente naturali,
contemplate dall’occhio di un viaggiatore appena scampato da un viaggio terribile, e grato e felice di
essere tornato a casa, in salvo. Dante non è a casa. Questo non è il suo emisfero, e quello non è il suo
firmamento; la nuova costellazione australe, col suo fascino sconosciuto, è il simbolo più evidente che
Dante è approdato in un paesaggio seducente, ma “altro”; veramente, in un mondo nuovo. E infatti,
le quattro nuove stelle australi non sono state viste mai fuor ch’a la prima gente: ovvero, nessuno ha
mai visto questo paesaggio dalle origini della creazione, da Adamo ed Eva in poi. Insomma, Dante
sta contemplando il paesaggio della Genesi, dei primi giorni dell’umanità, prima del peccato che ci
ha relegato, con Satana, nell’emisfero “sbagliato”. La straordinaria freschezza della visione, la purezza
dell’aria, la meraviglia di Dante di fronte alle nuove stelle, la sua commozione di fronte al brillare tacito
degli astri non sono dunque da leggersi come semplici notazioni o emozioni paesistiche. In esse c’è,
invece, una profonda risonanza teologica e religiosa. In questa tappa del suo viaggio, è come se Dante
avesse compiuto uno straordinario viaggio nel tempo; come se la Provvidenza gli concedesse, questa
volta, l’immenso privilegio di sentirsi come un nuovo Adamo, che contempla stupito le meraviglie di un
creato appena uscito, innocente e incontaminato, dalle mani del suo creatore.
Ma purtroppo, il ritorno all’innocenza primitiva non è così semplice. La storia dell’umanità si ri-
presenta subito, col suo carico problematico e inquieto, attraverso l’ingresso in scena di Catone, il
primo personaggio del Purgatorio.

☛ vv. 28-48 Catone a guardia del Purgatorio


Distogliendosi dalla contemplazione delle nuove stelle, e girandosi un poco verso l’altro polo, a sini-
stra, là dove la familiare costellazione dell’Orsa Maggiore era già tramontata, Dante si accorge della
presenza, vicino a lui, di un veglio solo: un vegliardo solitario, d’aspetto venerabile. La barba fluente, i
lunghi capelli che cadono sul petto in doppia lista, il loro colore misto di bianco gli danno un aspet-
to solenne, sacrale: potrebbe essere un sacerdote, un mago o un antico saggio. Lo splendore delle
quattro stelle australi illumina in pieno il suo volto, rischiarandolo non meno di quanto farebbe la
luce stessa del sole.
E qui conviene, ancora una volta, soffermarsi sulla compresenza, nel testo di Dante, di significati e
di piani di lettura diversi. Infatti, le quattro stelle della sconosciuta costellazione australe, che l’umanità
caduta nel peccato non ha mai visto, sono non soltanto un elemento del paesaggio, ma significano,
allegoricamente, le quattro virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza), che la teologia
cristiana aveva ereditato dalla filosofia di Platone, e incorporato, come caratteristiche di una moralità
puramente umana, preparatoria alla perfezione della Grazia. Di conseguenza, il fatto che il veglio solo
sia così vividamente illuminato dal loro splendore, viene a dire che egli era in possesso di quelle virtù in
sommo grado: che, insomma, egli era un esemplare rappresentante del livello di moralità che l’uomo
può attingere da solo, autonomamente, senza il soccorso divino. Allo stesso tempo, il fatto che le quat-
tro stelle australi risplendano come ’l sol ci dice che in questo vegliardo solitario la perfezione umana
era arrivata a un tale ammirevole grado da toccare, quasi, la perfezione infusa dalla grazia divina (sim-
boleggiata, fin dal primo canto dell’Inferno, dalla luce del sole). Il seguito del testo ci dirà chi è questo
vecchio misterioso e ci spiegherà la sua altezza morale. Ma fin d’ora si ripresentano anche in Purgatorio
la speciale densità del testo dantesco e la possibilità di leggerlo a vari livelli di significato. Soprattutto,
anche qui va osservato che l’allegoria non predetermina il testo, non condiziona schematicamente il
racconto ma, semmai, lo arricchisce in profondità. Così quelle quattro stelle saranno anche il simbolo di
prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, ma mantengono intatto il loro fulgore e la loro seduzione
visiva. Anzi, in questo caso l’allegoria sembra non tanto “aggiungersi” alla realtà della narrazione, ma
incrementare quella realtà: perché – come sappiamo noi oggi – una costellazione di quattro stelle c’è
davvero, nel firmamento australe, ed è la Croce del Sud: una realtà cosmologica che Dante stavolta ha
addirittura indovinato, sulla scorta delle sue intenzioni simboliche e allegoriche.

403
Purgatorio • Canto I

vidi presso di me un veglio solo,


degno di tanta reverenza in vista,
33 che più non dee a padre alcun figliuolo.
Lunga la barba e di pel bianco mista
portava, a’ suoi capelli simigliante,
36 de’ quai cadeva al petto doppia lista.
Li raggi de le quattro luci sante
fregiavan sì la sua faccia di lume,
39 ch’i’ ’l vedea come ’l sol fosse davante.
«Chi siete voi che contro al cieco fiume
fuggita avete la pregione etterna?»,
42 diss’ el, movendo quelle oneste piume.
«Chi v’ha guidati, o che vi fu lucerna,
uscendo fuor de la profonda notte
45 che sempre nera fa la valle inferna?
Son le leggi d’abisso così rotte?
o è mutato in ciel novo consiglio,
48 che, dannati, venite a le mie grotte?».

un veglio: un vegliardo. È Marco decise e prese, doveva di necessità morire al vegliardo. Va ricordato che secondo
Porcio Catone, il fiero oppositore di Cesare piuttosto che sopravvivere per vedere il Lucano (Farsaglia II, vv. 373-374) Catone,
in nome delle tradizioni repubblicane di volto del tiranno”). Anche nelle altre opere dall’inizio della guerra civile, si era lasciato
Roma; vista perduta la sua causa, si suicidò di Dante Catone è ricordato per la sua infles- crescere capelli e barba, come si faceva a
a Utica, in Africa, nel 46 a.C., all’età di sibilità morale: nel De monarchia (II, v, 15) Roma in periodo di lutto.
quarantotto anni (quindi non era proprio il suo suicidio è definito «illud inenarrabile - Li raggi… davante: lo splendore
un veglio, ma Dante lo presenta tale per sacrifitium severissimi vere libertatis tutoris della costellazione appena scoperta da
accentuare la sua venerabile autorevolezza). Marci Catonis» (“quel famoso inenarra- Dante investe in pieno il volto di Catone,
Catone compariva nell’Eneide, sullo scudo bile sacrificio di quel veramente rigorosis- come se fosse il sole a illuminarlo. Allego-
di Enea, sul quale si vedevano «secretos… simo paladino di libertà, Marco Catone”), ricamente, significa che Catone possiede
pios, his dantem iura Catonem»: “i giusti e si collega esplicitamente il gesto estremo pienamente le virtù cardinali (simboleg-
appartati per conto loro, e Catone che dava di Catone al suo amore per la libertà: giate dalle quattro stelle della costellazione
loro le leggi” (Eneide VIII, v. 670). Tutte le «quanti libertas esset ostendit dum e vita australe), tanto che esse, pur appartenenti
fonti classiche conosciute da Dante erano liber decedere maluit quam sine libertate alla perfezione puramente umana dei nostri
unanimi nel sottolineare l’eccezionalità remanere in illa» (“quanto valesse la libertà progenitori, gli conferiscono una luce di
morale del personaggio: nella Farsaglia lo mostrò preferendo uscire di vita da uomo moralità simile a quella irradiata dal sole
Lucano lo apostrofa «parens verus patriae, libero, piuttosto che rimanervi senza libertà); della grazia divina. Insomma, pur pagano,
dignissimus aris, / Roma, tuis» (“vero padre nel Convivio il suo volontario sacrificio viene Catone era moralmente perfetto, come lo
della patria, degnissimo, o Roma, dei tuoi addirittura visto come analogo a quello di sarebbe stato se fosse stato cristiano.
altari”; IX, vv. 601-602) e celebra in lui Cristo, anch’egli vittima volontaria per il contro al cieco fiume: risalendo il
l’eroismo della sconfitta («victrix causa riscatto e la libertà morale dell’umanità: ruscelletto sotterraneo che, in effetti, ha
deis placuit, sed victa Catoni»: “la causa «quale uomo terreno più degno fu di signi- guidato Dante e Virgilio dalla burella
dei vincitori piacque agli dèi, ma la causa ficare Dio che Catone?» (IV, xxviii, 15). È infernale (Inf. XXXIV, 127-132) al tondo
dei vinti a Catone”, I, v. 128); Cicerone (De chiaro che Dante vede in Catone l’emblema pertugio attraverso cui sono emersi sulla
officiis I, 112) proclama la sua superiorità della libertà morale e della difesa del libero spiaggia del Purgatorio.
morale, che rende il suo suicidio un atto non arbitrio, due aspetti indispensabili per poter la pregione etterna: l’Inferno.
di rinuncia e di viltà, ma di finale, estrema parlare di una vita eticamente impostata; movendo quelle oneste piume:
coerenza: «ceteris forsan vitio datum esset non a caso tutti questi primi canti insistono nell’atto del parlare, la venerabile barba
si se interemissent, propterea quod levior sul motivo della salvezza come scelta libera (oneste piume) di Catone si muove,
eorum vita et mores fuerunt faciliores; dell’individuo, magari anche solo in punto seguendo le espressioni del volto.
Catoni vero cum incredibilem natura di morte. Comunque l’opzione di affidare che vi fu lucerna: «che cosa vi fece
tribuisset gravitatem, eamque perpetua a un pagano, e per di più suicida, la guardia lume, vi guidò».
constantia roborasset, semperque in dell’intero Purgatorio rimane altamente - Son le leggi… grotte?: Catone,
proposito susceptoque consilio permansisset, anticonformista. rigido guardiano delle leggi purgatoriali,
moriendum ei potius quam tyranni vultus - degno… alcun figliuolo: il registra subito l’irregolarità della situazione:
adspiciendus fuit» (“ad altri forse il fatto di vegliardo sembrava all’aspetto (in vista) «Forse le norme infernali (le leggi d’abisso)
essersi tolti la vita sarebbe stato attribuito a degno di tanta reverenza, che nessun figlio non valgono più (cioè: non si giudica e si
mancanza, poiché la loro vita fu più frivola e ne deve di più a suo padre. condanna più, all’Inferno, come d’uso)?
i costumi più corrivi; ma Catone, avendogli a’ suoi capelli simigliante: dunque O forse in Cielo si è cambiata idea, tanto da
la natura donato un’incredibile gravità di anche i capelli, come la barba, erano misti permettere che dei dannati salgano su alle
carattere, e avendola egli rafforzata con di pel bianco, brizzolati. grotte, alle rocce della sacra montagna (mie,
perpetua determinazione, ed essendo de’ quai… doppia lista: due lunghe dice Catone, perché affidate complessiva-
rimasto fermo nelle sue posizioni, una volta ciocche di capelli scendevano sul petto mente alla sua giurisdizione)?».

404
Purgatorio • Canto I

Il veglio si rivela subito personaggio rigido, legalista, turbato custode delle regole. Non dice chi è,
non chiede chi sono i due che si guardano intorno, evidentemente sperduti, sulla spiaggia del Pur-
gatorio. Sua unica preoccupazione, il rispetto della legge: avendo scambiato Dante e Virgilio per due
anime dannate, emerse dall’abisso (come vedremo, le anime purganti giungono sulla spiaggia per
tutt’altra strada), egli chiede come siano evasi dalla pregione etterna dell’Inferno; come hanno fatto
a risalire il cieco fiume (ovvero, il fiumicello sotterraneo che effettivamente Dante e Virgilio hanno
seguito, dalle viscere della terra sino all’aria aperta); chi li ha guidati fuori dal buio infernale. E poi:
che cosa vuol dire che due dannati approdano sulla spiaggia del Purgatorio? Forse che le leggi d’abisso
non funzionano più? Forse che in Cielo si è deciso di abolire l’assoluta incomunicabilità tra Inferno
e Purgatorio? Così che dei dannati, dice il veglio, possano accedere a le mie grotte, cioè alla rocciosa
montagna che cade sotto la mia giurisdizione?
Il vecchio che parla non è né un sacerdote né un mago. È, invece, un guerriero e un uomo politico
di Roma antica: Marco Porcio Catone, l’irremovibile avversario di Cesare, il paladino irriducibile della
causa repubblicana, suicida a Utica nel 46 a.C., quando si rese conto che ormai la vittoria del suo av-
versario era inevitabile, che Roma sarebbe caduta sotto un tiranno e avrebbe dovuto rinunciare alla
sua libertà. Dante ne fa, qui, il guardiano della spiaggia purgatoriale e, quindi, di tutto il Purgatorio;
una sorta di divino guardacoste, incaricato della prima accoglienza delle anime purganti e del loro
primo sommario smistamento.
Alla prima, può stupire che Dante abbia scelto un simile personaggio per un simile incarico. Le
controindicazioni sono parecchie: Catone era un pagano, vissuto prima di Cristo (non dovrebbe
starsene con gli altri spiriti magni nel Limbo?); Catone era nemico di Cesare, quindi del fondatore
dell’Impero romano, che Dante crede provvidenziale e voluto da Dio stesso per la propagazione della
fede cristiana (non dovrebbe Catone essere condannato per questo? non lo sono, per questo, Bruto
e Cassio? E d’accordo che essi sono puniti in quanto traditori di un benefattore, mentre Catone e
Cesare erano aperti nemici: ma avere accanitamente contrastato la nascita dell’Impero, attraverso
l’avversione somma per l’uomo della Provvidenza, non è mancanza o peccato o cecità da prendere
in considerazione?). Infine, Catone muore suicida: non dovrebbe stare nella selva dell’Inferno in com-
pagnia di Pier delle Vigne (canto XIII)?
Dante poteva contare su solidi appoggi teologici, per giustificare la sua scelta. Sia sant’Agostino che
san Tommaso, infatti, non solo ammettevano in casi eccezionali la liceità del suicidio, ma lo considera-
vano un atto moralmente meritevole (Agostino, in particolare, arrivava ad ammirarlo come exemplum
fortitudinis, “esempio di fortezza morale”, e di sovrano disprezzo della morte). Ma qui Dante porge
ascolto soprattutto alle sue fonti classiche (principalmente Lucano e Cicerone, ma anche Virgilio), le
quali gli consegnavano, con unanimi espressioni di lode, un Catone campione di gravità, di profondità
e serietà morale, di rigida devozione ai suoi principi morali; un Catone eroe della morale stoica, quella
che, nella civiltà antica, più si era avvicinata alla morale cristiana, e che Dante stesso, nel Convivio (IV, vi)
presenta con reverente ammirazione: «Furono filosofi molto antichi […] che videro e credettero questo
fine della vita umana essere solamente la rigida onestade; cioè rigidamente, sanza respetto alcuno
la verità e la giustizia seguire, di nulla mostrare dolore, di nulla mostrare allegrezza, di nulla passione
avere sentore. E diffinirono così questo onesto: “quello che, sanza utilitade e sanza frutto, per sé di ra-
gione è da laudare”. E costoro e la loro setta chiamati furono Stoici, e fu di loro quello glorioso Catone».
L’eroismo di Catone, che rinuncia alla vita in nome della libertà e della fedeltà ai propri principi, la vince
dunque su tutto e trasforma il suicidio da atto peccaminoso a gesto esemplare di intransigenza morale.
In questo senso, in quanto paladino irriducibile di libertà, egli è ben adatto a guardare l’approdo costie-
ro del Purgatorio. Il Catone storico, infatti, si era tolto la vita per sottrarsi alla schiavitù della tirannide di
Cesare: il suo era stato soprattutto un gesto politico. Dante però vi legge un significato più alto, cioè la
difesa della libertà come libero arbitrio, come dominio dell’uomo sulla propria esistenza e sul corso della
propria vita morale. Catone guardiano del Purgatorio, in definitiva, incarna la linea di demarcazione
che divide la dannazione dalla salvezza: la quale si acquista solo attraverso una libera scelta del bene.
Detto questo, non si può non confessare, tuttavia, un qualche stupore per la decisione dantesca di
affidare a un personaggio come Catone un compito così esemplare, proprio sulla soglia del Purgatorio,
cioè dell’itinerario di salvezza delle anime. Né si può pensare che Dante non abbia calcolato questo ef-
fetto di stupore, e lo sconcerto iniziale dei suoi lettori. Ma evidentemente proprio questo egli persegue:
lo stupore, lo sconcerto, l’apparenza paradossale della sua scelta. Attraverso il suo anticonformismo,
qui Dante intende sottolineare proprio la potenza radicale del suo messaggio: non si va in Purgatorio,
e poi in Paradiso, se non si è esercitata la propria libertà; magari in grado anche eroico, magari fino a
disprezzare, stoicamente, non la vita (come i suicidi del canto XIII dell’Inferno), ma la morte.

405
Purgatorio • Canto I

Lo duca mio allor mi diè di piglio, ☛ Virgilio introduce Dante:


e con parole e con mani e con cenni libertà va cercando…

51 reverenti mi fé le gambe e ’l ciglio.


Poscia rispuose lui: «Da me non venni:
donna scese del ciel, per li cui prieghi
54 de la mia compagnia costui sovvenni.
Ma da ch’è tuo voler che più si spieghi
di nostra condizion com’ ell’ è vera,
57 esser non puote il mio che a te si nieghi.
Questi non vide mai l’ultima sera;
ma per la sua follia le fu sì presso,
60 che molto poco tempo a volger era.
Sì com’ io dissi, fui mandato ad esso
per lui campare; e non lì era altra via
63 che questa per la quale i’ mi son messo.
Mostrata ho lui tutta la gente ria;
e ora intendo mostrar quelli spirti
66 che purgan sé sotto la tua balìa.
Com’ io l’ho tratto, saria lungo a dirti;
de l’alto scende virtù che m’aiuta
69 conducerlo a vederti e a udirti.
Or ti piaccia gradir la sua venuta:
libertà va cercando, ch’è sì cara,
72 come sa chi per lei vita rifiuta.
Tu ’l sai, ché non ti fu per lei amara
in Utica la morte, ove lasciasti
75 la vesta ch’al gran dì sarà sì chiara.
Non son li editti etterni per noi guasti,
ché questi vive e Minòs me non lega;
78 ma son del cerchio ove son li occhi casti

reverenti… e ’l ciglio: Virgilio induce poco tempo a volger, cioè a precipitarlo viaggio di Dante, che è veramente un viaggio
il suo discepolo ad abbassare in segno di nella perdizione. di affrancamento dalla schiavitù del vizio e
reverenza le gambe, inginocchiandosi, e lo lui: a lui, dativo; la gente ria: i malvagi, del peccato, verso il bene, scelto e accolto in
sguardo. i dannati dell’Inferno. piena libertà e responsabilità.
lui: a lui (comune nella lingua antica, che purgan… balìa: «che si purificano - ove lasciasti… sì chiara: «dove
per il dativo); Da me non venni: Da me sotto il tuo governo». Virgilio enfatizza un ti spogliasti della veste del tuo corpo,
stesso non vegno, aveva detto Dante di poco, per cortesia, le funzioni di Catone, quel corpo che nel giorno del Giudizio
fronte a Cavalcante (Inf. X, 61); in tutt’e promuovendolo a “capo” di tutto il (al gran dì), una volta risorto, sarà così
due i casi si sottolinea che Virgilio e Dante Purgatorio. luminoso».
devono il privilegio dell’eccezionale viaggio l’ho tratto: «l’ho condotto fin qui». per noi guasti: guastati, compromessi
alla grazia divina, non a iniziative personali. - de l’alto scende… a udirti: Virgilio da (per d’agente, come par francese) noi;
donna: Beatrice. riconosce umilmente che, senza l’aiuto di Virgilio spiega che il viaggio di Dante non
de la mia compagnia… sovvenni: un potere (virtù) che discende dal Cielo, egli infrange le leggi dell’aldilà, come Catone
«portai a costui il soccorso della mia non sarebbe in grado di guidare Dante nel sembrava temere: tra Inferno e Purgatorio
compagnia». suo viaggio; d’altra parte, continua a enfa- c’è ancora totale incomunicabilità, perché
- Ma da ch’è… si nieghi: «Ma visto tizzare l’importanza di Catone, presentando questi vive e Minòs me non lega (v. 77),
che è tuo desiderio che sia spiegata più il pellegrinaggio di Dante come avente per ovvero Dante è vivo, quindi non sottoposto
precisamente la nostra condizione, come scopo di arrivare a vederlo e udirlo. alla disciplina degli spiriti dell’oltretomba,
essa è veramente, non può essere che il mio - libertà va cercando… rifiuta: e Virgilio proviene dal Limbo, un cerchio,
desiderio, a sua volta, si neghi a te». Virgilio continua a ingraziarsi Catone, come si è visto (Inf. IV), che è sì il primo
Questi non vide… sera: Dante non è richiamando il suo suicidio come esempio dell’Inferno, ma precede il giudizio di
morto, e quindi la sua presenza, per quanto di amore per la libertà; quella libertà sì cara, Minosse e comprende propriamente non
eccezionale, non infrange le leggi d’abisso. così preziosa, che Dante sta cercando di dannati, ma color che son sospesi (Inf. II, 52).
Ma nei versi successivi la morte corporale conseguire (vedi anche scheda a p. 412). - ma son del cerchio… ti piega:
si muta in morte spirituale, alla quale Dante Ma al di là della volontà di accattivarsi la Virgilio fa appello all’amore di Catone
fu così vicino per la sua follia, cioè per la simpatia del rigido custode del Purgatorio, per la moglie, Marzia, la quale si trova
sua cecità morale, che ci sarebbe voluto Virgilio coglie con esattezza il senso del anch’essa nel Limbo. In particolare, egli

406
Purgatorio • Canto I

☛ vv. 49-84 Virgilio introduce Dante: libertà va cercando…


Di fronte al piglio severo di Catone, Virgilio adotta, e fa adottare a Dante, un atteggiamento parti-
colarmente docile e remissivo. Fa inginocchiare Dante; gli fa abbassare lo sguardo in segno di reve-
renza; quindi si sofferma a spiegare, con dovizia di particolari, la specialissima situazione sua e del
suo protetto.
Si ha l’impressione, a dirla schietta, che Virgilio non abbia letto bene le sue fonti, ovvero, che
non conosca, o non abbia studiato come si deve, il personaggio di Catone come era stato presen-
tato negli autori latini sopra rammentati. Virgilio sembra non ricordarsi che Catone è un carattere
rigido, tutto d’un pezzo; uno stoico, il cui ideale era la devozione alla virtù e il controllo severo –
fino alla soppressione, almeno apparente – delle passioni. Invece, Virgilio gioca tutto il suo discorso
sull’affettività, sui sentimenti; si abbandona a un tono lusinghiero, quasi mellifluo, che non a caso,
come si vedrà subito, suscita una replica assai tagliente da parte di Catone. Insomma, Virgilio, al suo
esordio in Purgatorio, sbaglia clamorosamente registro. «Non sono venuto qui di mia iniziativa; una
donna del Paradiso scese dal cielo per affidarmi la guida di questo che io sto accompagnando. Ma
visto che tu desideri spiegazioni ulteriori, figuriamoci se mi posso sottrarre a quest’obbligo. Questi
che è con me non è ancora morto; morto, ma spiritualmente, lo era quasi, se non si interveniva in
tempo. Io sono stato inviato da lui per salvarlo, e davvero non c’era altro modo. Gli ho fatto vedere
tutti i dannati; adesso vorrei mostrargli quegli spiriti che si purificano, qui in Purgatorio, sotto il tuo
governo. Come ho fatto per garantirgli questo viaggio sarebbe lungo da spiegare, ti basti sapere
che un potere dall’alto mi ha aiutato a portartelo davanti, per vederti e udirti. Spero che il suo arrivo
incontri il tuo gradimento: è in cerca della libertà, che è così preziosa, come sa chi per lei è disposto
a rinunciare anche alla vita. Tu lo sai bene quant’è preziosa la libertà, tu che non temesti di affron-
tare per lei la morte in Utica, dove lasciasti le tue spoglie mortali, destinate, nel giorno del Giudizio,
a risplendere di tutta la loro santità. Non abbiamo infranto alcun editto divino: costui è vivo, e io
non cado sotto la giurisdizione di Minosse; io appartengo al cerchio (il Limbo) dove si trova anche
tua moglie, la casta Marzia, che sembra ancora pregarti che tu la riprenda con te come legittima
sposa; per amor suo accondiscendi ai nostri desideri. Lasciaci andare per le sette cornici di questa
montagna; se acconsenti, ringrazierò Marzia del favore che ci fai, se ti degni che il tuo nome ri-
suoni nel Limbo, che è pur sempre un cerchio di là giù, del mondo infero». Discorso troppo lungo e
troppo cerimonioso. Virgilio ripete due volte, con effetto di ridondanza, le informazioni essenziali:
che il suo viaggio è garantito dall’alto (vv. 52-54 e 67-69) e che le leggi dell’aldilà non sono state
infrante, perché né lui né Dante sono, tecnicamente, anime dannate (vv. 58-60 e 76-77). Inoltre,
sembra quasi intimidito dalla severità di Catone e desideroso di ingraziarselo, come se il consenso
alla salita del Purgatorio potesse dipendere davvero da lui: nelle parole di Virgilio, gli spiriti della
sacra montagna purgan sé sotto la… balìa dell’Uticense (come se egli fosse il governatore di tutto il
Purgatorio); lo scopo del viaggio di Dante è quello di vederti e… udirti (in realtà no, anche se Catone,
incarnando il libero arbitrio, è certo esperienza cruciale della conversione dantesca); sembra che il
viaggio di Dante sia sottoposto al gradimento di Catone (Or ti piaccia gradir la sua venuta, v. 70); il
suo suicidio a Utica è rievocato come un atto splendidamente meritorio, che farà rifulgere debita-
mente anche il corpo di Catone risorto, dopo il Giudizio; infine, Virgilio incappa in una vera e propria
gaffe, appellandosi a Catone in nome di Marzia, la moglie, che egli conosce bene, essendo anche

407
Purgatorio • Canto I

di Marzia tua, che ’n vista ancor ti priega,


o santo petto, che per tua la tegni:
81 per lo suo amore adunque a noi ti piega.
Lasciane andar per li tuoi sette regni;
grazie riporterò di te a lei,
84 se d’esser mentovato là giù degni».
«Marzïa piacque tanto a li occhi miei ☛ Prescrizioni di Catone
mentre ch’i’ fu’ di là», diss’ elli allora,
87 «che quante grazie volse da me, fei.
Or che di là dal mal fiume dimora,
più muover non mi può, per quella legge
90 che fatta fu quando me n’usci’ fora.
Ma se donna del ciel ti move e regge,
come tu di’, non c’è mestier lusinghe:
93 bastisi ben che per lei mi richegge.
Va dunque, e fa che tu costui ricinghe
d’un giunco schietto e che li lavi ’l viso,
96 sì ch’ogne sucidume quindi stinghe;
ché non si converria, l’occhio sorpriso
d’alcuna nebbia, andar dinanzi al primo
99 ministro, ch’è di quei di paradiso.
Questa isoletta intorno ad imo ad imo,
là giù colà dove la batte l’onda,
102 porta di giunchi sovra ’l molle limo:
null’ altra pianta che facesse fronda
o indurasse, vi puote aver vita,
105 però ch’a le percosse non seconda.
Poscia non sia di qua vostra reddita;
lo sol vi mosterrà, che surge omai,
108 prendere il monte a più lieve salita».

riprende qui un passo della Farsaglia di tutti i favori, cioè esaurii tutti i desideri che Dante deve lavarsi la faccia, perché non
Lucano (II, v. 341 e vv. ss.) in cui Marzia, Marzia volle soddisfatti da me». starebbe bene (non si converria) presentarsi
prima sposa di Catone, poi divorziata mal fiume: l’Acheronte, che divide di fronte al primo guardiano del Purgatorio,
e passata a Ortensio e infine, dopo la inesorabilmente il destino degli spiriti che è un angelo (di quei di paradiso), con le
morte di quest’ultimo, di nuovo tornata infernali e di quelli destinati alla gloria eterna. cispe agli occhi (l’occhio sorpriso d’alcuna
al primo marito, prega appunto Catone di - per quella legge… fora: Marzia nebbia).
riprenderla con sé. Dante aveva interpre- non può esercitare più alcun potere su ad imo ad imo: «nelle sue rive più
tato allegoricamente tutta questa vicenda Catone in grazia della legge che entrò in basse».
nel Convivio (IV, xxviii), leggendo nel vigore al momento in cui Catone stesso porta di giunchi… limo: «produce dei
ritorno di Marzia al primo sposo il ritorno uscì dal Limbo; cioè al momento della giunchi che crescono sulla spiaggia molle
dell’anima a Dio nell’ultima età della vita; discesa di Cristo agli inferi, quando i giusti (molle limo, “fango”, propriamente)».
queste le parole che egli attribuiva a Marzia, vissuti prima di Gesù vennero strappati - null’ altra pianta… seconda:
perché Catone la riprendesse con sé: a Satana. Dopo di che, coloro che erano «nessuna altra pianta che ramificasse o
«Dammi li patti delli antichi letti, dammi lo rimasti nel Limbo non poterono più avere producesse radici consistenti (indurasse) vi
nome solo del maritaggio … Dammi, signor alcun contatto, o influenza, su chi ne era potrebbe avere vita, perché non assecon-
mio, omai lo riposo di te; dammi almeno che stato invece liberato. derebbe, come invece i giunchi, lo sbattere
io in questa tanta vita (nel tanto di vita che non c’è mestier lusinghe: «non c’è delle onde (percosse)».
mi resta) sia chiamata tua». bisogno di lusingare, di ingraziarsi il Poscia… reddita: poi, dopo che Dante
Lasciane: lasciaci; sette regni: le sette prossimo con tante smancerie». si sarà lavato in riva al mare, non dovrà
cornici del Purgatorio. per lei: in suo nome. fare ritorno (reddita) dalla parte dove lui e
grazie riporterò… lei: «provvederò a - ricinghe d’un giunco schietto: Virgilio si trovano adesso.
ringraziare lei, Marzia, del favore che tu ci Virgilio deve ricingere Dante di un giunco mosterrà: mostrerà.
fai». liscio (schietto), simbolo di docilità e umiltà. prendere… salita: «come e dove
mentovato: rammentato per nome. stinghe: stinga, pulisca via. affrontare la montagna, dalla parte dove si
che quante grazie… fei: «che io feci - ché non si converria… paradiso: sale più agevolmente».

408
Purgatorio • Canto I

lei collocata fra le anime del Limbo. Insomma, il nostro Virgilio cerca di far leva sull’amor proprio di
Catone (persino sulla sua vanità, si direbbe) e sul suo supposto amore coniugale, ovvero sulla su-
perstite suggestione degli occhi casti di Marzia.
Non è casuale che qui Virgilio sbagli tono. Infatti la sua situazione, in Purgatorio, è e sarà sempre
scomoda, e il suo atteggiamento più esitante di quanto abbiamo visto all’Inferno. Innanzitutto, il
mondo dei dannati Virgilio lo conosceva bene, anche topograficamente, a causa della famosa disce-
sa nel basso Inferno a cui era stato costretto dalla maga Erittòne, più e più volte rammentata nella
prima cantica: quante volte lo abbiamo visto rassicurare Dante, e asserire la sua piena padronanza
del luogo! Naturalmente, ciò era necessario perché il viaggio era carico di angoscia, di terrori, a volte
persino di pericoli: basterà ricordare i momenti cruciali della città di Dite e della bolgia dei barattieri,
in cui la sicurezza e la fermezza d’animo dello stesso Virgilio erano state messe a dura prova. Il Pur-
gatorio, invece, è un luogo che Virgilio non conosce, che non ha mai visitato: qui, da questo punto
di vista, egli è sullo stesso piano del suo pupillo. È ben vero che il Purgatorio non è e non sarà luogo
di orrore e di spaventi come l’Inferno, ma ciò significa soltanto che di Virgilio qui c’è meno bisogno,
e che Dante non dovrà essere continuamente rassicurato, rinfrancato, aiutato e anche fisicamente
difeso come nella prima cantica. Da guida vera e propria, insomma, Virgilio si sta trasformando in
accompagnatore, e questa mutazione rappresenta – è bene avvertirlo fin d’ora – uno dei fili narrativi
più delicati e psicologicamente raffinati di questa seconda cantica.
Disorientato al pari di Dante nel nuovo e incognito paesaggio, Virgilio sembra meno sicuro di sé,
meno assertivo e determinato, anche in senso morale, e perfino nei suoi minuti comportamenti. Il
tono eccessivamente cerimonioso del suo appello a Catone è una prima lampante manifestazione
di questo suo sottile disagio. Virgilio doveva sapere, o indovinare, che per un temperamento severo
come Catone non servivano tante belle e lusinghiere parole: sarebbe bastato appellarsi al volere
dell’autorità superiore e il divino guardacoste, uomo d’ordine, non avrebbe battuto ciglio. Così, inve-
ce, a Virgilio tocca una replica alquanto dura, che suona quasi come un rimprovero.

☛ vv. 85-111 Prescrizioni di Catone


«Che cosa c’entra Marzia? Marzia mi piacque tanto, finché fui in vita, che io cercai di compiacerla in
ogni modo; ma ora che ci divide l’Acheronte e che lei è rimasta di là nel Limbo dei dannati, e che io
invece sono stato trasferito di qua, tra coloro che sono destinati al Paradiso, fra di noi è tutto finito,
e i suoi desideri e i suoi piaceri non mi commuovono più. Però, se non Marzia, ma una donna del
Paradiso è la tua mandataria, non c’è bisogno di tanti complimenti; basta che tu mi rivolga le tue
richieste in nome suo». La prima parte della replica di Catone è particolarmente dura. In sostanza,
Catone osserva che: la menzione di Marzia è fuori luogo; gli affetti terreni non toccano più gli spiriti
dell’oltretomba, almeno questi del Purgatorio, che vivono nella luce di ben altro amore; che tra lui e i
limbicoli c’è di mezzo il mal fiume, l’Acheronte, che ne divide inesorabilmente le sorti; che nelle parole
di Virgilio c’erano troppe lusinghe (insomma, c’era un sentore di ruffianesimo inopportuno). Pove-
ro Virgilio! Rassicurando Catone che le leggi d’abisso non erano state infrante, egli si era in qualche
modo tirato fuori dall’Inferno dei dannati, rimarcando che Minòs me non lega; adesso il suo inflessibile
interlocutore rimette i puntini sulle “i”, rimarcando a sua volta che non il tribunale di Minosse ma
l’Acheronte divide dannati e salvati; e che, in poche parole, i limbicoli possono anche essere gratificati
di un regime speciale, ma fanno comunque parte degli inferi. E quanto alle lusinghe, chissà se Virgilio
si è ricordato, e con che cuore, della bolgia di Taide, in cui erano puniti, appunto, i lusingatori (o nelle
parole più brutali di Dante: ruffian, baratti e simile lordura (Inf. XI, 60)
Rimesse le cose a posto, Catone passa a prescrivere i riti di purificazione preliminari per accedere
al sacro monte: un lavacro che deterga dal volto di Dante il sudiciume infernale e lo renda presenta-
bile agli angeli che presiedono a ciascuna cornice, e la raccolta di un giunco con cui Virgilio intreccerà
una cintura per il suo pupillo. Per via di queste indicazioni, il paesaggio dell’isoletta si dilata ancora
intorno ai due nuovi pellegrini: Catone evoca la spiaggia, il respiro del mare tutto intorno alla riva, il
molle limo in cui crescono, docili al battito delle onde, i giunchi rivieraschi… Ancora una volta, tutto è
realtà, ma tutto è anche, con naturalezza, allegoria. Questi giunchi che costituiscono l’unica vege-
tazione possibile in riva al mare – ogni altra pianta più robusta, o bisognosa di radici più consistenti,
non resisterebbe – sono sì chiaro simbolo dell’attitudine spirituale richiesta per accedere alla sacra
montagna (docilità interiore, appunto, sottomissione all’urto delle penitenze, “flessibilità” d’animo),
ma schiudono anche ai nostri occhi lo scenario di una splendida e consolante alba sul mare, in cui
gli elementi della nostra vita sul pianeta – l’aria, l’acqua, la terra e la verzura – vengono di nuovo
incontro a Dante in tutta la loro commovente, ritrovata freschezza.

409
Purgatorio • Canto I

Così sparì; e io sù mi levai


sanza parlare, e tutto mi ritrassi
111 al duca mio, e li occhi a lui drizzai.
El cominciò: «Figliuol, segui i miei passi: ☛ L’acqua, il giunco:
volgianci in dietro, ché di qua dichina riti di purificazione

114 questa pianura a’ suoi termini bassi».


L’alba vinceva l’ora mattutina
che fuggia innanzi, sì che di lontano
117 conobbi il tremolar de la marina.
Noi andavam per lo solingo piano
com’ om che torna a la perduta strada,
120 che ’nfino ad essa li pare ire in vano.
Quando noi fummo là ’ve la rugiada
pugna col sole, per essere in parte
123 dove, ad orezza, poco si dirada,
ambo le mani in su l’erbetta sparte
soavemente ’l mio maestro pose:
126 ond’ io, che fui accorto di sua arte, ☛ Le parole di Dante, p. 411
porsi ver’ lui le guance lagrimose;
ivi mi fece tutto discoverto
129 quel color che l’inferno mi nascose.
Venimmo poi in sul lito diserto,
che mai non vide navicar sue acque
132 omo, che di tornar sia poscia esperto.
Quivi mi cinse sì com’ altrui piacque:
oh maraviglia! ché qual elli scelse
135 l’umile pianta, cotal si rinacque
Esercitati
136 subitamente là onde l’avelse. su zte.zanichelli.it

sù mi levai: ricordiamo che Dante la retta attitudine spirituale, per predi- ritorno. Ovvia allusione a Ulisse, che
si era inginocchiato di fronte a Catone sporsi docilmente a un nuovo cammino di secondo il racconto dantesco era sì riuscito
(vv. 49-51). penitenza. ad avvistare la montagna del Purgatorio,
mi ritrassi: mi accostai. - là ’ve la rugiada… sole: «là dove ma, inabissatosi sotto la violenza del turbo
volgianci: voltiamoci. la rugiada resiste ancora al calore dei primi inviato da Dio, non era potuto tornare
a’ suoi termini bassi: «verso il raggi del sole»; ad orezza, come dice subito, indietro.
suo confine più basso», ovvero la riva del cioè “al rezzo”, in un luogo riparato, Quivi… com’ altrui piacque: Virgilio
mare. ombroso, dove essa rugiada si dirada, cioè cinge alla vita Dante col giunco divelto
l’ora mattutina: l’ora del mattutino, “evapora”, più lentamente. dalla spiaggia, in segno di docile umiltà.
l’ultima delle ore canoniche, ovvero, di sua arte: «del suo accorgimento». Da notare com’ altrui piacque: la stessa
secondo le preghiere della liturgia cristiana, Dante intuisce che Virgilio, raccogliendo espressione che era stata usata da Ulisse
l’ultima ora della notte. L’alba vince il a mani tese la fresca rugiada del mattino, per indicare la volontà di Dio di mandarlo
mattutino, nel senso che la prima ora del intende poi lavargli la faccia. in perdizione, lui e i suoi compagni. Qui
nuovo giorno subentra all’ultima del giorno lagrimose: rigate dalle tante lacrime invece essa viene usata per sancire la
precedente. versate da Dante all’Inferno, in tante necessità e la sacralità dei riti preliminari
conobbi… marina: «riconobbi la occasioni. Ma adesso quelle rigature sul d’ingresso al Purgatorio. La contrappo-
distesa marina, dal tremolare in superficie volto sporco e annerito di Dante apparten- sizione fra il viaggio di Ulisse, frutto di
dei primi raggi del sole». gono decisamente al passato. una hybris di conoscenza, e il viaggio di
- com’ om… in vano: «come uno - mi fece… mi nascose: riscoprì, Dante, comandato e garantito da Dio, non
(om impersonale, come on in francese) fece riaffiorare il colore naturale della potrebbe essere più chiara.
che torni sulla strada smarrita, che finché carnagione di Dante, che l’Inferno aveva - qual elli scelse… l’avelse:
non la ritrova gli sembra di perdere i offuscato. «come Virgilio colse (scelse) un giunco
suoi passi». Qui si svela esplicitamente il - che mai non vide… esperto: le (per cingerne Dante), così subito ne
sovrasenso allegorico sotteso a tutta questa rive del Purgatorio non hanno mai visto spuntò un altro in sostituzione, proprio
sequenza: i riti di purificazione di Dante nessuno navigare le loro acque; o meglio, nel punto in cui egli l’aveva strappato
significano infatti la necessità di assumere nessuno, che poi abbia sperimentato il (avelse)».

410
Purgatorio • Canto I

☛ vv. 112-136 L’acqua, il giunco: riti di purificazione


Catone sparisce. Virgilio e Dante rimangono soli; Dante, senza parlare, guarda il suo maestro. Non c’è
bisogno di commenti; anche l’eventuale puntura di rimorso di Virgilio, per il suo discorso non proprio
felicissimo, viene sottaciuta. Niente disturba il silenzio e il raccoglimento di quest’ora. Virgilio si limita a
ripetere le indicazioni di Catone, avviando il discepolo verso la riva del mare. L’alba ha ormai schiarito
l’orizzonte: sì che di lontano – dice Dante – conobbi il tremolar de la marina. D’Annunzio, nei Pastori, non
si lascerà sfuggire questo verso stupendo («O voce di colui che primamente / conosce il tremolar della
marina!», vv. 14-15), che riprendendo l’arpeggio dell’esordio narrativo di questo canto ne prolunga,
come in una sorta di motivo conduttore, l’incanto musicale. I riti che seguono riecheggiano certa-
mente modi e cerimonie della liturgia cristiana: il lavacro del volto annerito di Dante è come un nuovo
battesimo; la cintura di giunco è come un cilicio penitenziale. Ma l’acqua che Virgilio usa non è acqua
benedetta: è la rugiada notturna che, nelle zone ancora non toccate dal sole mattutino, non è ancora
evaporata e indugia in su l’erbetta. Il giunco di cui Virgilio cinge Dante non è un cordone di frate o di
flagellante: è una pianta appena divelta dalla spiaggia. Il rito riacquista così una naturalità spontanea, e
la liturgia ritrova la semplicità evidente di gesti elementari. Perché la natura del Purgatorio non è quella
che conosciamo noi, contaminata dal peccato: è la natura originaria, in cui tutto è, di per sé, sacro.
Quivi mi cinse sì com’ altrui piacque… Che fatale, eloquente ripetizione. Ricordate: Tre volte il
fé girar con tutte l’acque; / a la quarta levar la poppa in suso / e la prora ire in giù, com’ altrui piacque
(Inf. XXVI, 139-141). Di fronte allo stesso mare che aveva inghiottito Ulisse, Dante, ripetendo le stes-
se parole, si sottomette docile alla sua iniziazione purgatoriale. Niente potrebbe marcare in modo
più radicale, attraverso non un commento esplicito, ma attraverso le risorse della forma poetica,
la distanza che intercorre fra i due viaggi e i due destini: dell’eroe antico e del pellegrino moderno.

LE PAROLE DI DANTE ☛ v. 126


Arte
Nell’ambito di un’estensione semantica del termine molto vasta, Commedia si designa come arte divina l’ingegnoso meccanismo
è da notare che qui il termine arte viene impiegato nel senso di del contrappasso: così riguardo al sabbione infocato dei violenti:
“accorgimento”: uso minoritario, ma che si ritrova anche, sempre Indi venimmo al fine ove si parte / lo secondo giron dal terzo, e dove
nel Purgatorio, quando Virgilio avverte che bisognerà un po’ / si vede di giustizia orribil arte (Inf. XIV, 4-6); ai fori in cui sono
destreggiarsi per salire il sentiero a zigzag che porta alla prima conficcati i simoniaci nella terza bolgia: O somma sapïenza, quanta
cornice dei superbi: Qui si conviene usare un poco d’arte / … in è l’arte / che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo (Inf. XIX, 10-11);
accostarsi / or quinci, or quindi al lato che si parte (Purg. X, 10-12). al misterioso bollire della pece nella bolgia dei barattieri: non per
Per il resto, arte – come il latino ars – denota ogni attività che foco ma per divin’ arte, / bollia là giuso una pegola spessa, / che
sia capace di tradurre in prodotto reale, tangibile, un’intenzione ’nviscava la ripa d’ogne parte (Inf. XXI, 16-18).
o progetto mentale. Non a caso nella Commedia si trova arte Infine, Dante usa arte nel senso, comune ai tempi suoi, di “mestiere”
in accostamento o contrapposizione con termini quali natura, (“Arti” erano dette le corporazioni fiorentine): arte è quella del
esperienza, ingegno: perché arte implica nell’uomo sempre un’appli- fabbro (Inf. IX, 120; Par. II, 128, in cui si parla di arte del martello) o
cazione concreta dell’intelligenza, diversa quindi dai doni di natura, quella dei cosmografi (Purg. IV, 80); arte è la miniatura di Oderisi
diversa da ciò che può insegnare la semplice pratica del mondo, e da Gubbio (Purg. XI, 80). Arte, in particolare, è quella dei poeti: di
diversa anche dalle pure risorse astratte della mente. Virgilio, che onora scïenzïa e arte (Inf. IV, 73), ma soprattutto di
Così Beatrice rivendica di fronte a Dante il primato della sua Dante stesso, che più di una volta si descrive alle prese con le risorse
bellezza terrena, superiore a qualsiasi bellezza naturale o creata del suo mestiere poetico. Entrando nel vero e proprio Purgatorio,
dall’uomo: Mai non t’appresentò natura o arte / piacer, quanto le Dante avverte che dovrà innalzare il tono della sua poesia: Lettor,
belle membra in ch’io / rinchiusa fui (Purg. XXXI 49-51); così, usando tu vedi ben com’ io innalzo / la mia matera, e però con più arte / non
come paragone il fenomeno fisico del raggio rifratto, Dante ti maravigliar s’io la rincalzo (Purg. IX, 70-72); alla fine della seconda
commenta come mostra esperïenza e arte, “come dimostrano sia cantica, invoca il fren de l’arte che gli impedisce di andare oltre perché
l’osservazione empirica, sia la riprova scientifica” (Purg. XV, 21); piene son tutte le carte / ordite a questa cantica seconda (Purg. XXXIII,
così la gente accosta gli scuri di una finestra per difendersi dal sole 139-141); in Paradiso, entrando nel cielo del Sole, Dante si arrende
con ingegno e arte (Par. XIV, 117), cioè escogitando qualche artificio all’insufficienza dei suoi mezzi espressivi: Perch’ io lo ’ngegno e l’arte
e poi mettendolo in pratica. In questo senso di “artificio”, “abilità”, e l’uso chiami, / sì nol direi che mai s’imaginasse, cioè “Per quanto
arte rimbalza nel celebre scambio di battute fra Dante e Farinata: io chiami in mio soccorso le risorse della mia intelligenza, del mio
S’ei fur cacciati, ei tornar d’ogne parte…; / ma i vostri non appreser mestiere, della mia esperienza, non potrei mai narrare ciò che vidi in
ben quell’arte… / S’elli han quell’ arte… male appresa, / ciò mi tormenta modo che lo si possa immaginare” (Par. X, 43-44).
più che questo letto (Inf. X, 49-51, 77-78). Di fronte a questa magnifica gamma di significati, la lingua
In senso assai specifico, Dante usa arte per designare l’attività corrente è ridotta essenzialmente all’uso di arte nel senso di
creatrice di Dio: Virgilio afferma che natura lo suo corso prende / dal “mestiere artistico”. Tuttavia l’antico significato di “mestiere” si
divino ’ntelletto e da sua arte (Inf. XI, 99-100), e più d’una volta nella conserva nel popolare modo di dire “Senza arte né parte”.

411
Purgatorio • Canto I

Per approfondire

Libertà di, libertà da


Libertà va cercando, ch’è sì cara, / come sa chi per lei vita rifiuta. cenno; / libero, dritto e sano è tuo arbitrio, / e fallo fora non fare
Così Virgilio introduce Dante a Catone, sulla spiaggia del primo a suo senno: / per ch’io te sovra te corono e mitrio (Purg. XXVII,
canto del Purgatorio. Sono versi così noti da essere diventati pro- 139-142). E in Paradiso, congedandosi da Beatrice, Dante dirà:
verbio. Ma siamo sicuri che noi moderni siamo in grado di com- Tu m’hai di servo tratto a libertate/ per tutte quelle vie, per tutt’ i
prendere il senso della libertà nel pensiero e nell’opera di Dante? modi / che di ciò fare avei la potestate (Par. XXXI, 85-87).
Prima di tutto, questo passo del Purgatorio è meno piano di La Commedia va letta tutta, dunque, come un progressivo,
quanto possa sembrare. Può sembrare singolare, infatti, o al- faticoso processo di affrancamento, di uscita da una condi-
meno non così ovvio, che Virgilio indichi proprio la libertà come zione di schiavitù. Per Dante, solo dopo che si è conquistata una
supremo valore cercato dal suo discepolo. Non sarebbe stato più “libertà da” può cominciare una “libertà di”, cioè l’esercizio in po-
appropriato dire che Dante stava cercando Dio, il sommo bene, sitivo di una volontà, a quel punto, umanamente infallibile.
Beatrice, la salvezza…? Adattato da Riccardo Bruscagli,
Viene il sospetto che la citazione della libertà come fine ultimo La libertà, in Leggere Dante. Voci per il poeta,
del viaggio dantesco sia strumentale: un modo per ingraziarsi il rassegna a cura della Società Dantesca Italiana, 2007
severo custode della montagna, il veglio già citato nel De monarchia
(II, 15) come «severissimo fautore della vera libertà», che aveva Riflettere e discutere
preferito «morire da libero che privo di libertà restare in vita». E, La legge a garanzia delle libertà individuali
infatti, il richiamo alla sete di libertà di Dante trapassa subito, nelle
Quali sono le libertà individuali garantite dalla nostra Costi-
parole di Virgilio, in aperto omaggio al gesto suicida di Catone: Tu
tuzione e dal nostro sistema giuridico? Nella Costituzione,
’l sai, ché non ti fu per lei amara / in Utica la morte, ove lasciasti / la
la parola “libertà” (o l’aggettivo “libero”) ricorre in rapporto,
vesta ch’al gran dì sarà sì chiara. Ma non si tratta soltanto di lusin-
per esempio, alla libertà religiosa (art. 8: «Tutte le confessioni
ghe, come ribatte un po’ ruvidamente Catone, cioè di complimenti
religiose sono egualmente libere davanti alla legge»), alla
fuori posto: la libertà è veramente il valore che fa da spartiacque
libertà personale (art. 13: «La libertà personale è inviolabile»),
tra la dannazione e la salvezza, ma è una libertà probabilmente
alla libertà di insegnamento (art. 33: «L’arte e la scienza sono
molto diversa da quella che noi moderni intendiamo come tale.
libere e libero ne è l’insegnamento»), alla libertà di associazione
Erede della liberté rivoluzionaria, della freedom from fear dei
(art. 18: «I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente,
coloni americani, delle utopie di liberazione del Novecento, la
senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli
nostra è una libertà di voto, libertà di coscienza, libertà di opinio-
dalla legge penale»), di sindacato (art. 39: «L’organizzazione
ne. Ma la libertà di Dante non è una libertà di; è una libertà da. La
sindacale è libera»), di iniziativa economica (art. 41: «L’iniziativa
libertà di Dante è la metà di un dittico concettuale e morale, di
economica privata è libera»).
cui i moderni hanno offuscato l’altra faccia. La libertà di Dante è
Naturalmente, garanzie di libertà si possono riconoscere in
il rovescio di una servitù; e conserva in sé la potenza semanti-
molte altre norme non costituzionali, e sono state la conse-
ca di un contrario, di un’opposizione, di un rovesciamento.
guenza di aspre lotte in favore dei cosiddetti diritti civili: per
Come dice Dante esiliato nell’Epistola VI, rivolta ai suoi
esempio la libertà di divorzio (legge 1o dicembre 1970, n. 898,
«scelleratissimi» concittadini, ostinati nel respingere l’autorità
Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), la libertà di
dell’imperatore Arrigo VII: «Non vi accorgete … che è la cupidigia
interruzione della gravidanza (legge 22 maggio 1978, n. 194,
che vi domina, … che vi tiene costretti con minacce fallaci e vi
Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione
imprigiona nella legge del peccato e vi proibisce di ubbidire alle
volontaria della gravidanza), la libertà di unione fra persone dello
santissime leggi … l’osservanza delle quali … non solo è dimo-
stesso sesso eccetera.
strato che non è servitù, ma anzi, a chi guardi con perspicacia,
appare chiaro che è la stessa suprema libertà». Esistono anche movimenti – i cosiddetti libertarians negli Stati
“Dominare”, “costringere”, “imprigionare”, “proibire”: i verbi di Uniti, per esempio – che combattono contro ogni forma di
coazione delimitano con esattezza il campo semantico opposto norma regolatrice del comportamento dei singoli.
a quello della libertà; non a caso Dante stesso va cercando la ▶ Secondo te, qual è il limite delle
libertà in un processo di faticosa uscita da una condizione di libertà che possono essere
schiavitù. E d’altronde, che cosa cantano le anime dei beati, sul consentite dagli ordinamenti
vascello che li guida alle prode del Purgatorio? In exitu Isräel de giuridici di un paese?
Aegypto: il salmo che celebra la vittoria degli Ebrei sul faraone,
Per approfondire

la traversata del Mar Rosso, la fuga spettacolare dalla servitù,


l’inizio di un itinerario defatigante in cerca della Terra Promessa.
E la sua Terra Promessa Dante la raggiunge sulla cima della
e canterò di quel secondo regno
montagna del Purgatorio, dove egli colloca il suo congedo da dove l’umano spirito si purga
Virgilio, che lo incorona padrone di se stesso, e sancisce la rag- e di salire al ciel diventa degno.
giunta maturità del suo pupillo: Non aspettar mio dir più né mio (vv. 4-6)

412
Purgatorio • Canto I

Lavorare sul testo


Comprendere e analizzare il testo 19. v. 66 balìa: cerca sul vocabolario il significato del termine.
Esordio In che modo è usato nel verso dantesco?

1. Con quale metafora si apre il canto I del Purgatorio? 20. v. 80 o santo petto: che cosa significa? Che tipo di figura
Spiegane il significato. retorica è?
21. v. 97 l’occhio sorpriso: che cosa significa sorpriso?
2. argomentare Spiega qual è il significato allegorico della
nuova costellazione che appare al Poeta.
Scrivere per analizzare
Catone ESAME DI STATO – TIPOLOGIA A
3. Che descrizione offre Dante di Catone? Dopo aver letto i vv. 28-111, elabora un testo sintetico rispon-
dendo alle seguenti domande. Puoi rispondere punto per punto
4. Chi era storicamente il personaggio in questione? Che
oppure costruire un discorso coeso e coerente che comprenda
valore ha per Dante il suo gesto estremo? (Ti consigliamo
le risposte alle domande.
di leggere il commento al canto.)
Comprensione e analisi del testo
5. Catone fa riferimento alle leggi dell’Inferno: perché?
Che cosa dice? ▶ Riassumi il contenuto dei versi.
▶ A quale personaggio si riferisce la descrizione in questi
Virgilio introduce Dante versi?
6. argomentare Spiega la reazione di Virgilio alle parole ▶ Che caratterizzazione fisica e morale ne viene data?
di Catone e la sua risposta. (Ti consigliamo di rileggere ▶ Come ti sembrano le parole che rivolge a Dante? Contra-
l’analisi del canto.) stano col fatto che sono dette da oneste piume?
7. argomentare Per quale motivo Virgilio dice a Catone Interpretazione e approfondimenti
libertà va cercando, ch’è sì cara, / come sa chi per lei
Contestualizza il personaggio in chiave storica indicando
vita rifiuta? (Ti consigliamo di leggere anche la scheda
brevemente l’epoca in cui visse, il ruolo che ricoprì e le sue
Libertà di, libertà da a p. 412.)
azioni principali. Rifletti quindi sul tema della libertà da ogni
8. argomentare Qual è il valore etico della “libertà”? (Ti con- forma di tirannia o oppressione alla luce delle tue letture,
sigliamo di rileggere le note introduttive al canto.) conoscenze ed eventuali esperienze personali.

Prescrizioni di Catone
Scrivere per riflettere
9. argomentare Chiarisci perché il ricordo di Marzia non
ESAME DI STATO – TIPOLOGIA C
può più incidere sulle azioni di Catone.
10. Descrivi il rito di purificazione prescritto da Catone. Un mondo di migranti, 70 milioni di persone in fuga
11. In quale momento del giorno si trovano Dante e Virgilio? da guerre, violenze e persecuzioni
Che valore allegorico ha questo tempo? Dal cielo cadono nuove bombe. Mentre il presidente
turco Recep Tayyip Erdogan ha dato il via all’oc-
Riflettere sulla lingua cupazione del nord della Siria, un’Europa disunita,
davanti all’intervento militare, teme ora che l’accordo
12. v. 7 morta poesì: che figura retorica è?
sui migranti concluso con Ankara nel 2016 non le si
13. v. 18 gli occhi e ’l petto: questa espressione è una ritorca contro. Sono quasi quattro milioni i profughi
a metonimia “bloccati” alle porte dell’Europa. […] Prima ancora
b sineddoche che iniziassero i primi bombardamenti, secondo le orga-
c metafora nizzazioni umanitarie, circa un milione di persone erano
pronte a lasciare il Paese. Secondo l’Alto Commissariato
14. vv. 26-27: che tipo di periodo noti in questi versi?
per i Rifugiati (Unhcr), nel 2019 il numero dei profughi
15. vv. 34-36: fai la parafrasi ricostruendo l’ordine logico delle
siriani, il più alto al mondo, ha superato i 12 milioni. […]
proposizioni.
A gennaio 2019, sempre l’Unhcr ha stimato oltre 70
16. vv. 51 reverenti mi fé le gambe e ’l ciglio: anche questa è una milioni di persone in fuga da persecuzioni etniche e
figura retorica: quale? religiose, violenze – quali conseguenza di una siste-
17. vv. 55 da ch’è tuo voler : è un periodo matica violazione dei diritti umani – conflitti civili e
Lavorare sul testo

a  finale guerre. […]


b  causale Sia che i flussi migratori provengano dal Mar Medi-
terraneo – per lo più dalla Libia “zona calda” del nord
c temporale
Africa – o dalla rotta balcanica, dove il muro di filo
d  consecutivo
spinato eretto da Vicktor Orban è riuscito a porre un
18. vv. 55-63: individua le frasi consecutive presenti nelle argine ai migranti, sia che l’Europa guardi a Oriente,
terzine date.

413
Purgatorio • Canto I

alla guerra civile siriana, continua a prevalere l’idea che Laboratorio


le persone in fuga si riversino in misura maggiore verso La rappresentazione del tempo
il Vecchio Continente. Nel 2019, 41,3 milioni di persone
Nel Purgatorio assistiamo al passare del tempo con immagini
sono state costrette a lasciare la propria casa, il proprio
realistiche del suo trascorrere nei diversi momenti del giorno
villaggio o la propria città per cercare rifugio nello Stato
e della notte. Particolarmente significativa è la sua rappresen-
di origine, meno della metà, 29,4 milioni, si sono dirette
tazione nei primi otto canti, in cui si narra il viaggio di Dante
verso altri Paesi.
nell’Antipurgatorio, viaggio che inizia la mattina di Pasqua.
Chiara Colangelo, linkiesta.it, 16 ottobre 2019
Proponiamo come attività laboratoriale una ricerca da svolgere
a piccoli gruppi, in forma collaborativa, che analizzi i modi in
▶ Purgatorio, canto I, vv. 49-75
cui Dante rappresenta i diversi momenti della giornata nei
Catone fugge con la morte dalla tirannia di Cesare. Oggi i seguenti canti.
migranti che cercano scampo sulle nostre coste sfidando la ▶ Alba (Purgatorio, canto I, vv. 13-30; canto II, vv. 1-15)
morte in mare fuggono da altre tirannie, guerre, violenze. ▶ Piena mattina (Purgatorio, canto III, vv. 16-18)
A partire dall’articolo e dai versi danteschi dati, traendo spunto ▶ Tramonto (Purgatorio, canto VIII, vv. 1-18; 85-93)
dalle tue conoscenze, letture o esperienze, rifletti sul tema ▶ Notte (Purgatorio, canto XXVII, vv. 61-90)
dato. Puoi articolare il tuo elaborato in paragrafi opportuna- Ogni gruppo produrrà una sintetica relazione sul tema dato da
mente titolati e presentarlo con un titolo complessivo che ne esporre ai compagni (anche utilizzando la LIM o un computer
esprima sinteticamente il contenuto. on/offline).

Forum critico
Il nuovo stile del Purgatorio: diminuzione di tensione
o diversa forma di tensione?
Parlando del Purgatorio si tende spesso a evidenziare il suo tono lirico, idilliaco, profondamente
diverso dalla drammaticità dei versi dell’Inferno. Ma questa è veramente una cantica priva di
tensione oppure vi troviamo uno stile nuovo proprio per le diverse forme di tensione che esprime?

A Secondo Mario Sansone


La tensione del canto è tutta nell’attesa del divino
Mario Sansone rileva la distensione del canto, «l’esilità e la placidezza narrativa» in cui «i simboli
non fanno stacco e peso come altrove»: in esso è notata una ricchezza «di echi umani e paesistici
di straordinaria purezza melodica». La sostanza lirica è la trepidante attesa del divino.

Tesi:
lo stile lirico
del canto, una
L a sostanza lirica propria di questo canto mi pare che sia l’attesa e il pre-
sagio del divino: un senso d’attesa colmo di trepida fiducia e mantenuto
in un’arcana sospensione, in opposizione alle terribili visioni ed esperienze
particolare forma
di tensione fatta di dell’Inferno. Una sospensione da cui non nasce angoscia o timore, ma una
stupore e umiltà particolarissima ansia e tensione, fatta insieme di silenzio, di stupore, di con-
fidente umiltà e mite sommissione. Personaggi, vicenda, paesaggi, tempo,
cadenze ritmiche e accenti, tutto va visto e collocato entro questo generale
sfondo lirico: e vi resta con una proporzione, una euritmia ed una delicatez-
za che fanno di questo canto una delle parti più belle di tutto il poema.
I argomentazione: La stessa proposizione ha un accento riposato e fidente, piuttosto che
l’incipit è squillante: né inganni la lieve impennata, piuttosto verbale ed apparente che
asseverativo
reale, dell’«alzar le vele», giacché essa sta come espressione asseverativa e
e non ortativo
non ortativa o iussiva […] [vv. 1-6].
Lavorare sul testo

Non dice: tu, o ingegno, alza le vele, ma semplicemente: la navicella (il


diminutivo dà già luogo a quell’addolcimento di ogni particolare che sarà
proprio di questo canto) del mio ingegno alza le vele per correre ora acque
più pacate e tranquille, quella «navicella», che lascia dietro di sé il mare cru-
dele dell’Inferno. Era «mare», ed ora son solo «acque», era vasto pelago, ed
ora è navigazione per acque più chiuse e quiete. Tuttavia, anche il ricordo

414
Paradiso
Paradiso • Introduzione

Paradiso

Introduzione
Un teatro virtuale della beatitudine
I l Paradiso, come Dante lo vede – e lo racconta –, non esi-
ste. L’Inferno è un luogo reale, destinato a permanere, nella
forma in cui Dante lo visita, oltre il giudizio finale. La montagna
sua urgenza informativa, e diviene più “espressiva”; un atto non
funzionale, ma di espansione verbale e fisica dell’affettività.
Il fatto è che di per sé l’esperienza del Paradiso è inesprimibile.
del Purgatorio è pure un luogo tangibile, sia pure destinato a Come si potrebbe infatti descrivere l’esperienza della visione di
sparire, come luogo di purgazione, al momento in cui l’ultima Dio, faccia a faccia, oltre il tempo e lo spazio? Come si potrebbe
anima avrà spiccato il volo verso il cielo, alla fine dei tempi. Ma raccontare, entro le costrizioni necessarie del linguaggio umano,
il Paradiso è soltanto uno spettacolo, una sorta di straordina- il contatto con l’eternità? È ovvio, di conseguenza, che il Paradiso
rio show allestito da Dio stesso per un solo spettatore: Dante. rappresenta per Dante una sfida perduta in partenza. Già quello
Anche qui c’è una topografia particolare, costituita dai cieli che egli ha veduto è una sorta di approssimazione puramente
così come li rappresenta la cosmologia tolemaica; e anche qui didattica rispetto alla vera e propria esperienza del Paradiso; ma
Dante viaggia, di cielo in cielo, pur se l’unico segnale di sposta- anche quella approssimazione è infinitamente superiore a ciò che
mento è costituito dal progressivo intensificarsi dell’abbaglian- il Poeta può esprimere adesso, tornato sulla Terra.
te luce che emana dagli occhi di Beatrice; Dante non sente fisi- Di qui la qualità “lirica” del Paradiso dantesco: nel senso che la
camente il volo, ma ne percepisce le conseguenze. Ma tutto ciò narrazione si sposta dalla rappresentazione di una realtà ester-
che appare a Dante di cielo in cielo non esiste veramente lì, in na alla descrizione delle impressioni soggettive che quella real-
quella forma: le anime dei beati scendono dal loro luogo, l’Em- tà ha lasciato nell’animo del Poeta, e, via via, alle insormontabili
pireo, il vero Paradiso, per consentire al divino pellegrino di im- difficoltà espressive che quella descrizione suscita, avvicinandosi
parare via via i misteri della fede cristiana e di penetrare come sempre di più, in un crescendo spasmodico, alla visione finale di
egli può, per gradi successivi, nel mistero di Dio. Questo muta Dio. La quale, beninteso, non viene descritta mai: la Commedia
radicalmente anche le modalità di comunicazione fra Dante e si chiude proprio nel momento in cui Dante, folgorato un’ulti-
le anime che egli incontra. All’Inferno e in Purgatorio Dante ma volta dalla grazia divina, penetra nell’indicibile mistero della
era un visitatore, a volte un intruso male accolto, e talvolta, divinità. Così, tutta la terza cantica si presenta anche come una
anche in Purgatorio, liquidato con impazienza: egli entrava in continua tensione del desiderio verso l’oggetto ultimo dell’amo-
situazioni preesistenti, e che avrebbero continuato a svolgersi re: ma questo oggetto rimarrà impossibile a descriversi.
nello stesso modo dopo il suo passaggio. Di conseguenza, il suo L’esperienza del Paradiso è dunque, per Dante, un’esperien-
dialogo con le anime aveva tutti i caratteri dell’accidentalità e za di approssimazioni successive; di apparizioni, luci, musiche,
dell’improvvisazione; doveva ritagliarsi il suo spazio nella vita che non sono il vero Paradiso, ma una sorta di sua rappresen-
di interlocutori ben altrimenti affaccendati. Qui invece, in Pa- tazione teatrale, virtuale; già così mirabile, tuttavia, da rendere
radiso, i santi scendono dall’Empireo apposta per parlare con spesso il Poeta pellegrino incapace di rappresentare la bellezza
Dante: il dialogato paradisiaco diventa una specie di copione contemplata e la beatitudine sentita. Donde il continuo effetto
celeste dettato dalla carità. Per di più, un copione per metà inu- di immaginazione indotto nel lettore: se tutto questo non è che
tile. Le anime, infatti, sanno sempre in anticipo ciò che Dante un’“ombra” di ciò che Dante ha visto, come sarà stata la visione?
pensa o vorrebbe dire, perché tutto leggono già riflesso nella E se la visione non era a sua volta che una “rappresentazione” del
mente di Dio. La comunicazione, in Paradiso, perde dunque la Paradiso, come potrà mai essere il Paradiso vero?

771
Mappa interattiva
Paradiso • Schema Paradiso

Canti Beati Visioni Luoghi

XXX-XXXIII beati dell’Antico Dio EMPIREO


e del Nuovo Testamento

candida rosa

IX CIELO - P
XXVII-XXIX cori angelici rimo
mob
ile
VIII CIELO d oC
XXII-XXVII spiriti trionfanti elle s ris
telle tal
fiss li n
VII CIELO d e o
XXI, XXII spiriti contemplativi i Sat
urn
o
VI CIELO d
XVIII-XX spiriti giusti i Gio
ve
V CIELO d
XIV-XVIII spiriti militanti i Ma
rte
IV CIELO
X-XIV spiriti sapienti del
Sol
e
III CIELO
VIII, IX spiriti amanti di V
en
ere
II CIELO
V-VII spiriti attivi di M
erc
I CIELO ur
II-V spiriti mancanti ai voti del i
la
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Lu
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I el f
na

u
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o

772
Paradiso Introduzione:
traccia 135

Canto I Canto:
traccia 136
Audio e video
sull’app GUARDA!

Luogo
Paradiso Terrestre, sfera del fuoco

I l primo canto del Paradiso comincia con un proemio che pro- sguardo della donna amata, che è ancora rapito verso l’alto;
spetta la materia della nuova cantica e invoca l’aiuto del dio fissato lo sguardo nello sguardo di lei, il Poeta si sente cambia-
della poesia, Apollo. È una variazione, e un evidente supera- re tutto dentro: Trasumanar, per usare il suo splendido neolo-
mento, dei proemi delle altre due cantiche. Dante stesso preci- gismo, ovvero, si sente trascinare oltre i confini dell’umano.
sa che fino a quel momento gli era bastata la protezione e l’i- Tanto da chiedersi se egli sia ancora lì col corpo o con l’anima
spirazione delle Muse (invocate infatti all’inizio dell’Inferno e, più solamente, tanto oltre la comune percezione sensibile è quello
enfaticamente, del Purgatorio): ma adesso gli occorre il patroci- che sta provando. Musica e luce, ancora luce: intorno a Dante
nio del dio stesso della poesia – e capo risuona l’armonia delle sfere celesti, e
delle Muse –, Apollo in persona. Non è, intanto lo splendore del sole si fa anco-
questo ricorso ad Apollo, un semplice ra più abbacinante, quasi un’alluvione
ornamento retorico: esso è funzionale, luminosa che invade tutto il cielo.
invece, allo stacco radicale che questa Il fatto è, come spiega Beatrice,
nuova cantica e questa nuova materia che Dante non è più sulla Terra, ma sta
rappresentano rispetto alle due canti- schizzando verso l’alto, verso le sfere
che precedenti. Dante infatti definisce celesti, a una velocità fulminea; anzi,
subito l’argomento della terza parte del assai superiore alla velocità di qualsiasi
suo poema citando l’approdo finale del folgore.
suo viaggio: l’Empireo, il cielo sovran- Compresa l’autentica realtà della
naturale e immateriale, tutto luce, in fantasmagoria che lo circonda, Dante
cui si compirà la sua ultima visione. In però non può fare a meno di chieder-
quel cielo infatti la luce di Dio, presen- sene la ragione: come può essere che
te a manifestare la sua gloria in tutto egli voli più in su dell’atmosfera terre-
l’universo, ma variamente distribuita stre, più in su della sfera del fuoco?
in una parte più e meno altrove, risplen- Beatrice risponde e spiega: una rispo-
de del suo massimo fulgore: un fulgore sta e spiegazione non fisica, ma me-
così intenso da superare ogni possibili- tafisica; non corporea, ma spirituale.
tà di essere non solo espresso a paro- La prende alla larga: ogni cosa crea-
le, ma anche soltanto ricordato. Infatti, ta tende al suo fine, e non soltanto le
non saranno soltanto le risorse di Dante cose inanimate, ma anche le creatu-
La gloria di colui che tutto move
poeta a essere inferiori al racconto del per l’universo penetra, e risplende
re dotate di ragione. Tutto si muove,
Paradiso; è la sua stessa memoria di in una parte più e meno altrove. nell’universo, orientato a una propria
viaggiatore che, viene chiarito subito, (vv. 1-3) destinazione specifica, seguendo un
non sarà in grado di riattingere la visio- istinto che si incarna in una legge na-
ne svanita. Essa è stata resa possibile, infatti, da una grazia spe- turale. Come il fuoco, per natura, si slancia verso l’alto; come la
ciale, che Dante, tornato sulla Terra, nel momento in cui scrive il Terra, per legge di gravità, si condensa compatta intorno al suo
poema, non possiede più. centro; così anche l’uomo ha un suo fine, segue un movimento
La terza cantica si apre dunque su una preliminare con- che lo guida alla sua meta. Questa meta è l’Empireo, cioè Dio
fessione di inadeguatezza: quest’ultima parte del viaggio non stesso: ed è proprio lì che Dante sta andando, salendo, senza
sarà narrata se non approssimativamente, inseguendo la labile accorgersene, verso il primo cielo, quello della Luna.
traccia che un’esperienza di per sé al di fuori dell’umano – la Risposta metafisica a un quesito fisico, si è detto, e tipica
visione di Dio – ha lasciato nell’umana memoria del Poeta. Pre- della mentalità medievale, che non separa il visibile dall’invisibi-
messa scoraggiante? In realtà essa si risolve nella sfida a una le, l’anima dal corpo, la fisica, appunto, dalla metafisica. Dante
“missione impossibile”, che vedrà impegnate allo stremo, lo si vuole sapere come fa a volare; Beatrice gli risponde che ciò è
capisce, tutte le risorse della poesia dantesca. adesso la sua condizione naturale perché, purificato da ogni
Il racconto del viaggio paradisiaco può adesso cominciare. impulso indegno e da ogni passione terrena, egli non può non
Beatrice volge gli occhi nel sole; Dante la imita e fissa lo sguar- ricongiungersi al suo fine, cioè a Dio. “Ritornare a Dio” non è
do nel sole lui stesso. La luce dilaga e sembra che il sole abbia dunque solo un moto morale, una metafora: diventa esperienza
raddoppiato il suo splendore; Dante cerca, istintivamente, lo fisica, cammino, volo, avventura, viaggio e racconto.

773
Paradiso • Canto I

L
3
a gloria di colui che tutto move
per l’universo penetra, e risplende
in una parte più e meno altrove.
☛ Proemio: memoria
e poesia del Paradiso

Nel ciel che più de la sua luce prende


fu’ io, e vidi cose che ridire
6 né sa né può chi di là sù discende;
perché appressando sé al suo disire,
nostro intelletto si profonda tanto,
9 che dietro la memoria non può ire.
Veramente quant’ io del regno santo
ne la mia mente potei far tesoro,
12 sarà ora materia del mio canto.
O buono Appollo, a l’ultimo lavoro ☛ Invocazione ad Apollo
fammi del tuo valor sì fatto vaso,
15 come dimandi a dar l’amato alloro.
Infino a qui l’un giogo di Parnaso
assai mi fu; ma or con amendue
18 m’è uopo intrar ne l’aringo rimaso.

1 colui che tutto move: Dio, “motore” di di registrare, e poter esprimere adeguata- misura richiesta (come) dal dio per concedere
ogni palpito di vita nel cosmo. Dante qui mente, quello sforzo supremo. ai suoi seguaci la corona d’alloro (amato,
pensa certo alla definizione di Dio secondo 10-12 Veramente: «Comunque, con perché in alloro fu trasformata Dafne, la
Aristotele (poi ripresa dalla filosofia di tutto ciò»; ovvero, tenendo conto della ninfa inutilmente vagheggiata da Apollo).
san Tommaso): “motore immobile”. Dio, premessa limitativa appena enunciata: che 16-18 Infino a qui… aringo rimaso: per
secondo tale concezione, è principio e comunque sarà impossibile essere all’al- affrontare l’ultima gara che gli è rimasta
origine di ogni movimento, ma immobile tezza del compito; quant’ io… del mio (aringo rimaso) – cioè, dopo l’Inferno e
egli stesso, dato che la mobilità dell’universo canto: «sarà materia della mia poesia il Purgatorio, la sfida “impossibile” del
dipende dalla tensione di tutte le cose verso quel tanto del Paradiso che io ho potuto Paradiso – Dante sa di avere bisogno
il loro fine, ovvero verso il compimento e accumulare, come un tesoro prezioso, nella dell’assistenza non soltanto delle Muse
perfezionamento della loro natura; mentre mia memoria (mente)». (che, secondo la tradizione, abitavano
Dio, perfetto in sé, non tende a nulla e non 13 O buono Appollo: Dante invoca il dio una delle due cime, o gioghi, di Parnaso,
necessita di alcuna alterazione del suo essere. stesso della poesia (buono, “eccellente”, detta Nisa), ma anche di Apollo stesso
2-3 per l’universo… altrove: Dante stesso, insuperabile nella sua arte) perché lo assista (che invece aveva residenza sull’altra
commentando questi versi in un’epistola in questa sua ultima fatica. cima, Cirra). Va ricordato che sia all’inizio
a Cangrande della Scala, spiega «penetrat, 14-15 fammi… l’amato alloro: il Poeta dell’Inferno (II, 7) sia del Purgatorio (I, 8),
quantum ad essentiam; resplendet, quantum si augura di divenire come un vaso, un Dante aveva invocato le Muse: ora la loro
ad esse» (XIII, 64): la gloria di Dio penetra recipiente o contenitore in cui si riversi la protezione non gli basta più, ed egli deve
nell’universo, cioè si diffonde, determinando virtù poetica (valor) di Apollo; insomma, di ricorrere a quella del dio stesso della poesia,
l’essenza, la specificità individuale di ogni essere ricolmato della sua eccellenza, nella Apollo, guida delle Muse.
singola cosa; allo stesso tempo, risplende,
cioè si manifesta, nel suo «esse», nel suo
esistere, perché ogni creatura è vivo riflesso, e
quasi celebrazione, dell’esistenza di Dio.
4-6 Nel ciel… fu’ io: l’Empireo, il cielo
più vicino a Dio, e quindi quello che più
abbondantemente riceve la luce divina.
Dante si riferisce alla conclusione della sua
ascesa paradisiaca, che lo porterà, di cielo
in cielo, sino alla visione finale; vidi cose…
discende: comincia qui il motivo dell’indi-
cibilità delle cose viste nell’Empireo o, più
in generale, in Paradiso.
7-9 perché… non può ire: «perché il nostro
intelletto, cercando di avvicinarsi il più
possibile all’oggetto del suo desiderio (suo
disire), cioè a Dio stesso, affonda tanto nell’a-
bisso dell’infinità divina, che la memoria non
può andargli dietro». Dante vuol dire che è
impossibile ripetere nella memoria l’espe-
rienza della visione di Dio: l’intelligenza
cerca di riavvicinarsi il più possibile a quell’o-
biettivo, ma non c’è memoria umana capace

774
Paradiso • Canto I

☛ vv. 1-12 Proemio: memoria e poesia del Paradiso


Il Paradiso inizia, di colpo, con una drammatica contrapposizione: da una parte, lo sfolgorio abbacinante
della luce di Dio; dall’altra, i poveri mezzi che Dante avrà a disposizione per tentare di ridire, di raccontare lo
sfolgorio di quella luce. Si imposta così, fino dai primi versi, il presupposto basilare del racconto paradisiaco,
che condiziona tutta la poesia di questa terza cantica, e che la rende così diversa dalle prime due. Dante è
stato nel cielo, l’Empireo, che è il luogo del cosmo invaso in più alto grado dalla luce gloriosa di Dio. Lì ha
visto cose che non possono essere ripetute da nessuno che abbia avuto il privilegio di tornare sulla Terra
dopo quella visione: perché l’intelletto si è inabissato così profondamente nel mistero divino, che la me-
moria non può stargli dietro; essendo la memoria cosa del corpo e dei sensi, mentre l’intelletto appartiene
all’anima razionale, che può spingersi, con la grazia di Dio, fino all’altezza della mente divina. Dante inizia
la nuova cantica, dunque, mettendo subito le mani avanti: la sua è una “missione impossibile”, frustrata
in partenza dalla sproporzione irreparabile fra l’altezza suprema dei contenuti e le risorse della memoria
umana. Della memoria, si badi. Infatti, che un poeta si dichiari impari al proprio compito, schiacciato dalla
nobiltà del proprio soggetto, inferiore insomma al contenuto della propria poesia, non è certo una novità:
anzi, è una sorta di scusa tradizionale, invocata proprio per esaltare, a contrasto, la propria bravura e il
proprio coraggio. Ma Dante qui non dice, per l’esattezza, che le sue risorse espressive siano scarse rispetto
all’argomento del suo canto (lo ha già detto all’Inferno, del resto, e lo dirà spesso anche qui, nel seguito del
Paradiso). Dante qui dice che la sua memoria non sarà all’altezza di ciò che ha visto. Ci attende quindi il reso-
conto di un viaggio in cui il narratore si troverà a combattere non soltanto con la propria lingua e il proprio
stile, impotenti a rappresentare il Paradiso, ma con la propria memoria, che non riuscirà a serbare se non
una minima parte della visione. Essa è avvenuta, infatti, in condizioni speciali e ormai non più riproducibili:
l’intervento della grazia divina che gli ha consentito l’accesso ai misteri di Dio non è più attivo, e il Paradiso
ha lasciato soltanto una labile traccia nella mente del Poeta. Superfluo sottolineare come siamo distanti
dai presupposti narrativi delle altre due cantiche. La discesa all’Inferno e l’ascesa al Purgatorio erano state
certo esperienze fuori dall’ordinario: ma sia l’Inferno che il Purgatorio erano stati viaggi affrontati con i
sensi (udito, tatto, olfatto, vista…), percepiti e vissuti facendo ricorso alle normali risorse della nostra vita
fisica, del nostro corpo. Non così il Paradiso. Vissuto travalicando i limiti dei sensi umani, il Paradiso non può
essere né raccontato né, prima ancora, ricordato da chi sia poi rientrato nella normalità dell’esistenza. Ci
si prospetta dunque un resoconto non più che approssimativo dell’esperienza vissuta. Il Paradiso di Dante
si apre su una professione di umiltà che suona quasi, fin da ora, come una fitta lancinante di nostalgia.
Va anche osservato che queste prime terzine impostano uno dei motivi figurativi, poetici e teologici
più importanti del Paradiso: quello della luce. Già quel primo vocabolo che, quasi con un clamoroso colpo
di gong, dà inizio al poema (La gloria di colui che tutto move…) va inteso come una sorta di sinonimo della
luce divina. Di quella gloria si dice infatti che penetra e risplende, diffondendosi e manifestandosi per tutto
l’universo, e subito dopo si specifica che Dante è stato proprio nel cielo che, all’interno della creazione, riceve
di più di quella gloria-luce: di quella gloria che si esprime attraverso la luce (potenza vitale per eccellenza)
e di quella luce che manifesta la gloria (ovvero, la potenza creatrice) di Dio. Il tema della luce come ema-
nazione e manifestazione della divinità deriva dalla filosofia platonica e neoplatonica: la quale pensava che
la creazione, partendo da Dio – luce assoluta –, non potesse che perdere a poco a poco splendore, dando
vita a forme di esistenza via via meno nobili e sempre più lontane dalla divinità. Tale concezione era stata
incorporata nella teologia cristiana, e viene qui riecheggiata da Dante, anche se in senso gioioso e positivo:
la luce, e quindi la presenza di Dio, è dappertutto nell’universo, anche se variamente distribuita in una parte
più e meno altrove. Il picco di luce divina si registra nel ciel che più de la sua luce prende: l’Empireo, destina-
zione ultima del viaggio paradisiaco di Dante, qui anticipato come la tappa finale, quella che lo ha portato
più vicino a Dio (e che costituisce fin da ora, infatti, l’esperienza più ardua, anzi impossibile, da ricordare).
In effetti, l’Empireo, a cui pure Dante si riferisce come loco e ampio loco (Inf. II, 71 e 84), è un luogo assai
peculiare. È un “decimo cielo”, che include in sé il Primo mobile (nono cielo), il cielo delle stelle fisse (ottavo
cielo) e i sette cieli, o sfere, dei vari pianeti: dunque l’intero universo fisico. Ma l’Empireo è pura luce: un
luogo immateriale, del tutto soprannaturale; è lo stato di beatitudine celeste goduto dalle anime, al di là
dei cieli materiali. Quando Dante ci entrerà, vedremo di capirlo un po’ meglio, sempre che sia possibile…
Ma nonostante tutto, quel poco che Dante riuscirà a ricordare sarà comunque materia del suo
canto. Certo, gli occorreranno protezioni e aiuti veramente d’eccezione.

☛ vv. 13-36 Invocazione ad Apollo


Nel canto II dell’Inferno (il primo della cantica, in effetti: il canto I serviva a prologo di tutta l’opera),
Dante aveva invocato, piuttosto fuggevolmente, le muse. Nel canto I del Purgatorio aveva fatto appello
ancora alle sante Muse e, in particolare, alla più nobile di esse, Calliope, e aveva rammentato la sfida delle

775
Paradiso • Canto I

Entra nel petto mio, e spira tue


sì come quando Marsïa traesti
21 de la vagina de le membra sue.
O divina virtù, se mi ti presti
tanto che l’ombra del beato regno
24 segnata nel mio capo io manifesti,
vedra’mi al piè del tuo diletto legno
venire, e coronarmi de le foglie
27 che la materia e tu mi farai degno.
Sì rade volte, padre, se ne coglie
per trïunfare o cesare o poeta,
30 colpa e vergogna de l’umane voglie,
che parturir letizia in su la lieta
delfica deïtà dovria la fronda
33 peneia, quando alcun di sé asseta.
Poca favilla gran fiamma seconda:
forse di retro a me con miglior voci
36 si pregherà perché Cirra risponda.
Surge ai mortali per diverse foci ☛ Mezzogiorno: lo sguardo
la lucerna del mondo; ma da quella di Beatrice…

39 che quattro cerchi giugne con tre croci,


con miglior corso e con migliore stella
esce congiunta, e la mondana cera
42 più a suo modo tempera e suggella. ☛ Le parole di Dante, p. 777
Fatto avea di là mane e di qua sera
tal foce, e quasi tutto era là bianco
45 quello emisperio, e l’altra parte nera,

19 spira tue: «ispirami tu, canta tu cogliere del tuo alloro per adornare il luce agli uomini da diversi punti dell’oriz-
stesso al mio posto»; tue: tu, con l’epitesi trionfo di un capitano vittorioso o di un zonte (foci) a seconda delle stagioni; ma da
fiorentina, qui anche per ragioni di rima. poeta – per colpa delle basse aspirazioni quel punto dove si incrociano quattro cerchi,
20-21 sì come quando… membra sue: degli uomini d’oggi, i quali non ambiscono congiungendosi con tre croci, il sole viene
il satiro Marsia aveva osato sfidare Apollo più a tali onori, e se ne dovrebbero fuori con corso più felice e in congiunzione
a una gara di canto; vinta la gara, il dio vergognare – che la fronda dell’albero con una costellazione più fausta (quella
si era vendicato estraendolo dalla guaina in cui fu trasformata Dafne, la figlia di dell’Ariete, a cui il sole è congiunto all’inizio
(vagina) delle sue membra, ovvero della sua Peneo, quando invoglia qualcuno al suo della primavera); e quando sorge da quel
pelle, cioè scorticandolo. Nel Purgatorio, possesso (di sé asseta), dovrebbe avere punto dell’orizzonte il sole plasma (tempera)
invocando le muse, Dante aveva ricordato l’effetto di generare letizia nella già lieta e imprime il suo suggello sulla realtà del
la loro gara di canto con le Piche, le quali, divinità di Delfi» (Apollo stesso, che a Delfi mondo, quasi fosse malleabile cera». I
sconfitte, erano state trasformate in gazze; aveva il suo più celebre tempio e oracolo). quattro cerchi sono l’equatore, l’eclittica, il
qui, a proposito di Apollo, ricorda la com- Insomma, Apollo dovrebbe essere ben coluro equinoziale (cioè il meridiano che
petizione con Marsia: nell’uno e nell’altro contento se qualcuno (ormai, purtroppo, passa dal punto in cui sorge il sole all’equino-
caso al fine di esaltare l’eccellenza inegua- sempre più raramente) aspira alla corona zio) e l’orizzonte; incrociandosi, essi formano
gliabile delle sue protezioni. d’alloro dell’eccellenza poetica. tre croci. Il quattro e il tre hanno valore
22-27 O divina virtù… mi farai degno: 34 Poca favilla… seconda: «Talvolta simbolico, rappresentando rispettivamente
«O virtù divina, se ti concedi a me (ovvero, basta anche solo una favilla per suscitare le quattro virtù cardinali già simboleggiate
se mi assisterai con la tua potenza) tanto che un grande incendio». dalla nuova costellazione australe comparsa
io sia in grado di esprimere anche soltanto 35 di retro a me: «dopo di me»; nel cielo del Purgatorio (I, 22-24) e le tre virtù
la pallida immagine (ombra) del Paradiso con miglior voci: «con voci più dotate»; teologali (a loro volta simboleggiate dalle tre
che è rimasta impressa nella mia memoria, cioè, di poeti più bravi di me. stelle della valletta dei principi (Purg. VIII,
vedrai che io potrò accostarmi degnamente 36 Cirra: come si è visto, era la cima del 88-93).
all’albero che tu hai tanto caro (diletto legno: Parnaso dove risiedeva Apollo. 43-45 Fatto avea… nera: il sole, sorgendo
l’alloro) ed essere meritatamente coronato 37-42 Surge ai mortali… suggella: è il da tal foce, cioè dal punto dell’orizzonte
di quelle foglie di cui mi faranno degno mezzogiorno dell’equinozio di primavera: in appena descritto, aveva fatto mattina
l’altezza della materia e tu stesso, la tua questo momento particolarmente propizio (mane) di là, nell’emisfero australe dove si
assistenza e ispirazione poetica». del giorno e dell’anno Dante inizia la sua trovavano Dante e Beatrice, e sera di qua,
28-33 Sì rade volte… asseta: «O padre ascesa ai cieli del Paradiso. «Il sole (la nell’emisfero boreale, dove si trova adesso il
Apollo, così di rado si dà l’occasione di lucerna del mondo) sorge portando la sua Poeta; bianco: interamente luminoso.

776
Paradiso • Canto I

nove sorelle con le Piche: le quali, sconfitte, erano state punite con la trasformazione in gazze. Adesso,
sulla soglia del Paradiso, Dante mette in chiaro che invocare le muse non gli basta più. Seguendo alcune
fonti antiche, egli crede che il Parnaso, il monte della poesia, si presenti con due cime, Nisa e Cirra: la
prima abitata dalle muse, la seconda da Apollo stesso, il dio della poesia. Finora, egli dichiara, gli è ba-
stata una sola di queste cime; adesso dovrà fare ricorso a tutt’e due, per affrontare la sua ultima fatica.
Questa invocazione è evidentemente concepita come un esplicito superamento di quelle delle due can-
tiche precedenti: se nel Purgatorio si era ricordata la sfida delle muse con le Piche, adesso si cita quella di
Apollo con Marsia, finita anch’essa con la sconfitta dello sfidante e con una punizione ancora più atroce
(Marsia viene scorticato vivo dal dio). Lo scatto dalla protezione delle muse a quella di Apollo ha anche
la funzione di introdurre in questo proemio il motivo, nuovo nella Commedia, dell’alloro poetico. Per la
prima volta Dante manifesta l’ambizione di accostarsi all’albero sacro del dio per coglierne le fronde e
farsene corona, come gli imperatori o i poeti antichi: un motivo classicistico che avrà grande fortuna
nell’imminente Umanesimo, e che si pone qui come un fregio prestigioso, sulle soglie di una nuova età.
Ma Dante, più avanti nel poema, rivelerà il sogno di essere incoronato poeta nel suo bel San Giovanni
(Inf. XIX, 17), cioè nel Battistero di Firenze (non in Campidoglio a Roma, come accadrà a Petrarca…).
Il suo sogno classicista è radicato nella realtà comunale della sua città, e la sua corona d’alloro, pur di
flagrante derivazione “romana”, egli spera di conseguirla con un grande poema in volgare, scritto nella
lingua del suo popolo. È la prima volta che la corona d’alloro di Apollo è orgogliosamente ambita da un
poeta che non scrive più nella lingua di Roma, ma nell’idioma di una nuova moderna civiltà.

☛ vv. 37-48 Mezzogiorno: lo sguardo di Beatrice…


Il vero e proprio racconto del viaggio inizia con una precisazione oraria: il tempo del giorno e dell’an-
no in cui tale inizio ha luogo, indicato attraverso (al solito) una complessa quanto enigmatica rete di
riferimenti cosmologico-astronomici. Se ne ricava (con qualche fatica e qualche incertezza di lettura)
che siamo al mezzogiorno dell’equinozio di primavera, quando le coordinate costituite dall’orizzonte,
dall’eclittica, dal meridiano equinoziale e dall’equatore si congiungono nel punto in cui sorge il sole,
dando luogo a tre croci, anche se alquanto imperfette, ovvero non proprio ad angolo retto. Quattro
cerchi, come le virtù cardinali; tre croci, come le virtù teologali; quattro più tre uguale sette, numero
sacro, il numero dei sacramenti, nonché dei peccati capitali (e quindi dei gironi dell’Inferno, delle ter-
razze del Purgatorio, dei pianeti e delle sfere celesti del Paradiso). Come sempre in Dante, l’esistenza
dell’individuo è al centro di una vicenda cosmica, segnata da indizi e da coordinate spazio-temporali di
alto valore simbolico: tanto più qui nella Commedia, dove Dante rappresenta l’intera umanità, purificata
e redenta, pronta a conoscere Dio faccia a faccia. La complicazione solenne e astrusa della precisazione
astronomica non è quindi fine a se stessa, non è uno sfoggio di dottrina o un indovinello: nel suo valore
simbolico, essa accompagna la ripresa del racconto conferendole un tono di sospeso, arcano mistero.

LE PAROLE DI DANTE ☛ v. 42
Tempera
Qui nel senso di “plasmare”, “modellare”, “improntare di sé”. È un con cui Pisistrato risponde alla moglie sdegnata (Purg. XV, 103), e
significato che Dante attribuisce a questo verbo soprattutto quando temperate, ma in senso sarcastico, sono definite all’Inferno le spese
è, come qui, relativo a realtà o fenomeni cosmico-astronomici, o dello Stricca, celebre scialacquatore senese (Inf. XXIX, 126).
anche semplicemente di natura: così ’l sole i crin sotto l’Acqua- Nella lingua moderna rimangono attivi soprattutto i significati
rio tempra, cioè il sole modera il suo calore in congiunzione con la di “moderare”, “attenuare”, “bilanciare”: si pensi alle espressioni
costellazione dell’Acquario (Inf. XXIV, 2); nel giardino dell’Eden la geografiche “clima temperato”, “zona temperata”, e simili. Nei
divina foresta spessa e viva /…temperava il novo giorno, cioè filtrava la testi letterari, un esempio per tutti, dai Promessi sposi di Manzoni
luce del sole nascente (Purg. XXVIII, 2-3); Giove è definito temprata (cap. XVII): «Raccolse poi [Renzo] tutta la paglia che rimaneva
stella per via del suo temperato calore, a metà fra la vampa affocata all’intorno, e se l’accomodò addosso, facendosene, alla meglio, una
di Marte e il gelido cristallo di Saturno (Par. XVIII, 68); parimenti specie di coperta, per temperare il freddo, che anche là dentro si
si parla del temperar di Giove (Par. XXII, 145); la stessa bellezza di faceva sentire molto bene».
Beatrice, che accresce il suo splendore di cielo in cielo, in armonia con Superfluo sottolineare, infine, l’uso comunissimo di temperare nel
quello dei vari pianeti, nel passaggio a Saturno dovrà essere “tempe- senso di “appuntire” o “aguzzare” una penna o una matita: uso, si
rata”, quasi come quella di un astro: la bellezza mia… / se non si tem- badi, ben antico, visto che si temperavano anche le penne d’oca di
perasse, splende così tanto, afferma Beatrice stessa, che fulminerebbe una volta. Così per esempio nelle lettere di Giovanni Della Casa:
Dante (Par. XXI, 7-10). È un’accezione caratteristicamente dantesca, «La penna che io temperai ha renduto assai cattivamente, come
non così comune nella lingua antica. Altrimenti temperare anche l’opera fa testimonianza», detto evidentemente di una penna che
nella Commedia significa normalmente “moderare”: è temperato il viso aveva reso poco leggibile la grafia dello scrivente.

777
Paradiso • Canto I

quando Beatrice in sul sinistro fianco


vidi rivolta e riguardar nel sole:
48 aguglia sì non li s’affisse unquanco.
E sì come secondo raggio suole ☛ … e di Dante
uscir del primo e risalire in suso,
51 pur come pelegrin che tornar vuole,
così de l’atto suo, per li occhi infuso
ne l’imagine mia, il mio si fece,
54 e fissi li occhi al sole oltre nostr’ uso.
Molto è licito là, che qui non lece
a le nostre virtù, mercé del loco
57 fatto per proprio de l’umana spece.
Io nol soffersi molto, né sì poco,
ch’io nol vedessi sfavillar dintorno,
60 com’ ferro che bogliente esce del foco;
e di sùbito parve giorno a giorno
essere aggiunto, come quei che puote
63 avesse il ciel d’un altro sole addorno.
Beatrice tutta ne l’etterne rote
fissa con li occhi stava; e io in lei
66 le luci fissi, di là sù rimote.
Nel suo aspetto tal dentro mi fei, ☛ Dante «trasumanato»:
qual si fé Glauco nel gustar de l’erba una nuova armonia,
un nuovo lume
69 che ’l fé consorto in mar de li altri dèi.

46 in sul sinistro fianco: è mezzogiorno, l’alto. Ma secondo molti interpreti pelegrin 65-66 e io in lei… rimote: «e io fissai le
e per guardare nel sole, Beatrice (orientata potrebbe essere anche un vero e proprio luci in lei, in Beatrice, dopo averle distolte
verso levante, come tutta la proces- pellegrino, ansioso di tornare in patria (rimote) di là, dal sole».
sione appena vista negli ultimi canti del dopo aver compiuto il suo pellegrinaggio; 67-69 Nel suo aspetto… li altri dèi: nel
Purgatorio) si deve voltare verso sinistra; in questo caso, tuttavia, il parallelismo col fissare lo sguardo (aspetto) in Beatrice,
al contrario di quanto succede nel nostro doppio movimento del raggio, incidente Dante si sente trasformare dentro di sé
emisfero, dove se qualcuno è girato verso e riflesso, verrebbe a cadere. L’imagine è, come si sentì trasformare Glauco, quando
oriente, si trova il sole di mezzogiorno a tecnicamente, la funzione immaginativa, o assaggiò l’erba che lo rese un dio marino,
destra. fantasia, in cui si accolgono le percezioni compagno delle altre divinità acquatiche.
48 aguglia… unquanco: «mai aquila fornite dai nostri sensi. Racconta infatti Ovidio (Metamorfosi XIII,
affisse il suo sguardo tanto intensamente 55 là: nel Paradiso Terrestre, dove ancora vv. 898-968) che Glauco, povero pescatore
nella luce del sole». Dante raccoglie si trova Dante; lece: è lecito, possibile. della Beozia, aveva osservato come i pesci
l’opinione comune secondo cui l’aquila, 56-57 a le nostre virtù: alle nostre facoltà da lui pescati, a contatto con una certa erba
unico fra gli animali, potesse fissare il sole umane; alle capacità dei nostri sensi; del litorale, tornavano vivi e guizzanti, e
sostenendone lo splendore; e che anzi mercé… spece: «in grazia della natura di saltavano di nuovo nell’acqua; assaggiatala,
vi avvezzasse i suoi piccoli (così Lucano, quel luogo (il Paradiso Terrestre) che fu egli si trovò metamorfosato all’istante in un
Farsaglia IX, vv. 902-905). creato apposta come dimora originaria dio del mare. Il mito antico è usato come
49-54 E sì come… nostr’ uso: «E così dell’uomo, prima del peccato originale». termine di paragone per il trasumanar (v. 70)
come un secondo raggio suole generarsi Dante dunque torna, per grazia divina, a di Dante.
per rifrazione dal primo (che abbia colpito sperimentare le facoltà originarie dell’uma-
una superficie riflettente) e ritornare in nità: tra cui la straordinaria potenza della
su, proprio come un falcone pellegrino visione, che lo rende capace di fissare il sole
che vuole tornare in alto (dopo essersi senza esserne abbagliato.
avventato sulla preda), così dall’atto di 58-60 Io nol soffersi… del foco: Dante
Beatrice, percepito attraverso gli occhi nella non riesce a tollerare lo splendore del sole
mia immaginazione, si generò il mio, e fui troppo a lungo, ma neanche così poco, da
capace di fissare il mio sguardo nel sole al non discernere chiaramente la sua forma,
di là di quanto noi uomini siamo abituati contornata di faville, come un ferro arro-
a fare». Dante vuol dire che egli ripete il ventato che esce incandescente dal fuoco.
gesto che vede fare a Beatrice, usando due 61-63 di sùbito… addorno: sembra che
similitudini: la riflessione di un raggio di la luce del giorno si sia raddoppiata, come
luce; il movimento di un falcone da caccia, se l’Onnipotente (quei che puote) avesse
che dall’alto scende sulla preda e (presumi- adornato il cielo di un secondo sole.
bilmente, dopo averla mancata) risale verso 64 ne l’etterne rote: «nelle sfere celesti».

778
Paradiso • Canto I

L’effetto narrativo è tanto più spiccato se pensiamo per contrasto a come cominciavano l’ Inferno e il
Purgatorio. L’Inferno, nel buio di mezzanotte di una selva oscura; il Purgatorio, all’albeggiare trasparente
di un nuovo giorno; qui, il Paradiso, nel fulgore meridiano della più bella stagione dell’anno, la primavera,
stagione di rinascita e di nuovo rampollare della vita della natura. E in questo scenario invaso di luce,
così diverso rispetto a quello delle altre due cantiche, ora che l’emisfero boreale, il nostro, è inghiottito
dal nero della notte e l’altro, l’australe dove si trova Dante, è tutto… bianco, quasi calcinato dal fulgore
del mezzogiorno, Beatrice compie il primo gesto del poema: si gira sul fianco, a sinistra, e guarda alto
nel sole. È già, questo, un gesto che forza oltre i suoi limiti le risorse dell’umano: nessuno può fissare gli
occhi nel sole, normalmente, senza rimanerne abbagliato. Tant’è vero che Dante deve ricorrere alle di-
scutibili credenze del suo tempo, ereditate peraltro dal mondo classico, secondo cui solo l’aquila, fra tutti
i viventi, poteva guardare diritto nel sole: e Beatrice, infatti, contempla il disco solare con un’intensità
che mai aquila, afferma Dante, ne dimostrò l’eguale. Questa Beatrice-aquila ci dice dunque che siamo
alle soglie di un mondo, e di un’esperienza, dove nulla ormai funzionerà più come siamo abituati noi a
vedere sulla Terra; e come, più o meno, siamo stati abituati a vedere anche all’Inferno e in Purgatorio.

☛ vv. 49-66 … e di Dante


La mossa di Beatrice, nel suo misterioso silenzio, viene percepita da Dante come un tacito invito a imitarla.
Ed ecco che anche il Poeta osa fissare gli occhi nel sole, oltre nostr’ uso: al di là (e d’ora in avanti non ci sarà
bisogno di sottolinearlo ogni volta) delle normali consuetudini umane. Così un raggio di luce, rimbalzando
su una superficie riflettente, ne genera un altro, rifratto; così un falcone pellegrino, durante una battuta di
caccia, dopo essersi avventato giù, in picchiata, torna verso l’alto: come se questo suo secondo volo nasces-
se “per rifrazione” dal primo (questa almeno ci sembra l’interpretazione più giusta di questa similitudine,
l’unica che si presti a una perfetta simmetria con quella del raggio di luce). L’ardire di Dante viene premiato:
egli constata che effettivamente è in grado di sostenere l’abbacinante luce solare; non molto a lungo, ma
neanche così poco, che non faccia in tempo a distinguerne nettamente la sagoma, con la sua corona di
fiamme sfavillanti: come quando si vede uscire un ferro incandescente dalla fornace. Ma i sensi del Poeta
vanno adesso incontro a un’altra sorpresa: adesso sembra che il sole in cielo si sia raddoppiato… Al che
Dante distoglie lo sguardo da quel cielo dove la luce sta dilagando, e lo fissa negli occhi stessi di Beatrice, la
quale, intanto, non ha cessato di contemplare intensamente verso l’alto, ne l’etterne rote, cioè verso le sfere
celesti dei pianeti, oltre i confini della Terra. Perché in effetti ciò che sta avvenendo non è ciò che Dante
vede o crede di vedere. Questa prima azione del Paradiso, questi primi gesti di Beatrice e di Dante non sono
quello che sembrano. Dante descrive il puro fenomeno: quello che vede, quello che gli appare, quello che
sente. Ma in realtà non è in grado di decifrare il vero significato delle sue percezioni. Tanto che i vv. 55-66
potrebbero essere letti anche come un vero errore – o almeno un equivoco – da parte di Dante. Infatti,
per spiegare il suo accresciuto potere visivo (adesso, come si è visto, egli è capace di fissare gli occhi nella
luce solare) Dante spiega che là, nel loco / fatto per proprio de l’umana spece, cioè nel Paradiso Terrestre, le
facoltà umane sono ben superiori a quelle che possiamo esercitare noi nel nostro mondo. Ora, è ben vero
che all’inizio del Paradiso è ragionevole supporre che Dante e Beatrice siano ancora dove li abbiamo lasciati,
sulla sommità della sacra montagna del Purgatorio; e si può pensare che Dante abbia ragione: cioè che,
quando egli imita il gesto di Beatrice che guarda nel sole, egli sia ancora sulla Terra. Ma dal seguito del rac-
conto si può capire che, invece, il suo volo verso la luna è già cominciato: solo che Dante non se ne accorge.

☛ vv. 67-84 Dante trasumanato: una nuova armonia, un nuovo lume


Dunque Dante ha distolto gli occhi dal cielo e li ha fissati in quelli di Beatrice. Se già guardando verso
il sole si era accorto che il suo potere visivo si era accresciuto, adesso prova la travolgente sensazione
che, dentro di lui, si stia effettuando una vera e propria metamorfosi: qualcosa di simile a ciò che i miti
antichi raccontavano a proposito di Glauco, il pescatore che, assaggiata per curiosità un’erba marina,
si era trovato trasformato in dio del mare, passando così dalla natura umana a quella divina. Questo
passaggio, questa metamorfosi che Dante sente misteriosamente compiersi in sé, nelle sue capacità
di percezione e di sensazione, in tutto il suo essere, egli lo definisce con un vocabolo di sua invenzione:
Trasumanar, ovvero, “andare al di là dei confini dell’umano”. È questo soltanto il primo dei neologismi
che Dante s’inventa nel Paradiso, arricchendo il suo toscano di tante parole che prima non esistevano, e
che egli conia attingendo, spesso, al latino (come qui) o piegando e sforzando la lingua comune. Il fatto
è che, per descrivere un’esperienza così oltre l’umano, oltre la normalità, come quella del Paradiso, la
lingua umana, la lingua normale, non basta più. I neologismi danteschi sono il segno linguisticamente
più vistoso della tensione a cui sono sottoposte le risorse espressive di Dante, nello sforzo impari di es-
sere all’altezza dei contenuti di quest’ultima cantica.

779
Paradiso • Canto I

Trasumanar significar per verba ☛ Le parole di Dante, p. 780


non si poria; però l’essemplo basti
72 a cui esperïenza grazia serba.
S’i’ era sol di me quel che creasti
novellamente, amor che ’l ciel governi,
75 tu ’l sai, che col tuo lume mi levasti.
Quando la rota che tu sempiterni
desiderato, a sé mi fece atteso
78 con l’armonia che temperi e discerni,
parvemi tanto allor del cielo acceso
de la fiamma del sol, che pioggia o fiume
81 lago non fece alcun tanto disteso.
La novità del suono e ’l grande lume
di lor cagion m’accesero un disio
84 mai non sentito di cotanto acume. ☛ Le parole di Dante, p. 781

70-71 Trasumanar… non si poria: «l’e- sottolineare soltanto il fatto che Dante non lago tanto ampio». Salendo verso il cielo
sperienza di superare i confini dell’umano si accorge, in questo momento, dei confini della Luna, e quindi avvicinandosi alle
non si potrebbe (poria) esprimere a fra il corpo e lo spirito; in particolare, non sfere celesti, Dante ne ascolta per la prima
parole». Trasumanar è neologismo ha la percezione di stare volando in alto volta l’armonia; allo stesso tempo, vede che
dantesco: il primo dei tanti che il Poeta verso il cielo della Luna. È Beatrice, infatti, il cielo si “allaga” di luce: o perché il sole
inventerà in questa cantica, sollecitato che gli dovrà spiegare ciò che sta accadendo stesso (che secondo il sistema tolemaico
dall’esigenza di forzare i limiti della lingua (vv. 91-93). gira anch’esso, in quarta posizione, intorno
“normale”, per descrivere un’esperienza 76-81 Quando la rota… tanto disteso: alla Terra) si fa più vicino; o perché Dante
assolutamente fuori della normalità, «Quando il moto rotante delle sfere diventa qui capace di “vedere” la straor-
come l’ascesa al Paradiso; però: perciò; celesti, che tu rendi eterno (sempiterni) dinaria luminosità delle sfere celesti,
l’essemplo: il mito antico di Glauco, usato proprio attraverso il desiderio di te (ovvero, composte di materia lucidissima e traspa-
qui come “esempio”, come termine di infondendo in esse l’impulso a ricongiun- rente; o perché – secondo altri interpreti,
paragone. gersi con te: donde il loro movimento), mi ed è forse la lettura più giusta – egli sta
72 a cui… serba: «per coloro ai quali la attirò (fece atteso) con quella musica che attraversando la sfera del fuoco, che gli
grazia di Dio tiene in serbo l’esperienza tu stesso accordi (temperi) e dirigi nota per antichi immaginavano si interponesse fra
vera e concreta del trasumanar». Coloro, in nota (discerni), mi parve allora che tanta il mondo sublunare e la prima sfera della
altre parole, che per grazia di Dio andranno parte del cielo si accendesse della fiamma luna.
in Paradiso, potranno sperimentare per- solare, che mai alluvione, per eccesso di 84 di cotanto acume: «così acuto»;
sonalmente ciò che significa oltrepassare i pioggia o straripare di fiumi, formò un riferito al disio del v. 83.
confini dell’umano; per il momento, però, si
devono accontentare del paragone istituito
da Dante col mito antico, onde avere
un’idea di quello che li aspetta.
LE PAROLE DI DANTE ☛ v. 70
73-75 S’i’ era… mi levasti: Dante si Trasumanar
rivolge a Dio (apostrofato amor che ’l Bellissimo neologismo dantesco, formato conferma in modo volutamente esibito il
ciel governi) dicendo che solo lui sa se il
con la preposizione “tra” – nel senso di “dantismo” dell’autore: un dantismo però
Poeta, nel momento in cui iniziò l’ascesa al
Paradiso, fosse solo anima o anche corpo; trans latino, cioè “oltre” – e un verbo deno- trasformato in un termine di contrasto,
lui, che lo sollevò al cielo per forza della minativo da “umano”. Significa, come visto dal momento che i due verbi sono addi-
sua luce, riflessa in Dante dallo sguardo nel commento, “andare oltre la dimensione rittura ossimorici. “Trasumanar” è parola
di Beatrice. L’anima è qui espressa dalla umana’”: una condizione indicibile dell’alto stile paradisiaco; “organizzar” (in
perifrasi di me quel che creasti novella- (Trasumanar significar per verba / non si forma tronca, a ironica imitazione dello
mente: «quello che di me, della mia persona, poria, scrive Dante) e che quindi richiede stile aulico tradizionale, e per di più in
era stato creato novellamente, da ultimo».
una parola inaudita. rima) è termine burocratico, ammini-
(Si credeva infatti che l’anima razionale non
venisse infusa al momento del concepi- È notevole che il verbo trasumanar sia strativo, politico. Con questo ossimoro
mento, ma durante la gravidanza, quando stato adottato modernamente da Pier Pasolini afferma, nello stesso tempo, il suo
l’organismo era già sviluppato.) L’incertezza Paolo Pasolini nel titolo della sua ultima legame con la tradizione e la sua volontà
di Dante riecheggia quella di san Paolo, raccolta di versi: Trasumanar e organizzar di immergersi nel banale della contem-
quando descrive il suo rapimento al terzo (1971). La passione per l’opera di Dante poraneità; la sua doppia faccia di poeta e
cielo: «sive in corpore nescio, sive extra
attraversa tutta la carriera di Pasolini, che di ideologo militante, che non arretra di
corpus nescio, Deus scit» (“se col corpo
non lo so, se fuori dal corpo pure non lo in Divina Mimesis (1975) raccolse i tentativi, fronte alle problematiche di una modernità
so: Dio lo sa”, Seconda lettera ai Corinzi più volte affrontati, di una riscrittura con- non bella, ma nella quale sente la necessità
12, 3). Tuttavia, non c’è dubbio che Dante temporanea della Commedia dantesca. di intervenire, di prendere posizione, even-
compia questo suo ultimo tratto di viaggio Trasumanar e organizzar è titolo che tualmente di proporre soluzioni.
anche col corpo; l’incertezza vuole qui

780
Paradiso • Canto I

La metamorfosi interiore è così sconvolgente, che in Dante affiora un dubbio: ma egli è salito in
cielo col corpo o con l’anima solamente? Non sarà che questa metamorfosi è l’esperienza di una vita
puramente spirituale, liberata dalla prigionia della carne e dai limiti dei sensi? «Tu solo lo sai», si risponde
Dante, rivolgendosi a Dio (e ripetendo le parole con cui san Paolo, rapito al terzo cielo, si era chiesto se
ciò era avvenuto «sive in corpore … sive extra corpus»). Ma in realtà, per noi lettori della Commedia, e del
seguito del Paradiso, non sussistono dubbi. Dante compie anche l’ultimo tratto del suo pellegrinaggio
nell’interezza della sua persona, anima e corpo; certo, con un corpo divinamente manipolato, e reso
capace, di cielo in cielo, di vedere, di sentire, di capire cose che al corpo puramente terrestre non sa-
rebbero consentite.
Così interiormente mutato, Dante va incontro ad altre due esperienze
per lui sconosciute, e che lo lasciano sbalordito: una acustica,
e l’altra visiva. La prima è la percezione di un’armonia
divina: è la musica delle sfere celesti, accordata
e regolata da quel supremo direttore d’or-
chestra che è Dio stesso. La seconda
è la sensazione che il sole dilaghi
improvvisamente per tutta
l’estensione del cielo, come

LE PAROLE DI DANTE ☛ v. 84
Acume
Dal latino acumen, “punta”, è vocabolo che, significativa- dell’occhio mortale nel segreto della divina mente
mente, si trova solo nel Paradiso, a significare vari aspetti trapassare in alcun modo, avvien forse talvolta che,
dell’esperienza finale, estrema, del viaggio dantesco. da oppinione ingannati, tale dinanzi alla sua maestà
Qui si accompagna a disio ed esprime l’acutezza del facciamo procuratore che da quella con eterno essilio
desiderio; nello stesso senso astratto designa, in Par. è iscacciato»; Boccaccio fa riferimento a ser Ciappel-
XXXII, 75, l’intervento originario della grazia divina, il letto, uomo di infame vita, venerato tuttavia come
primiero acume. In altri due luoghi, invece, acume si santo, dal momento che i fedeli non posseggono vista
riferisce all’acutezza della luce paradisiaca, una “punta” tanto sottile, o acuta, da poter sapere chi sia in Paradiso
che ogni volta sbaraglia le capacità visive di Dante: così o chi no. Ma, più vicina a noi, si legga nei Promessi
in Par. XXVIII, 16-18: un punto vidi che raggiava lume / sposi la preghiera di Renzo nel lazzaretto (cap. XXXVI):
acuto sì, che ’l viso ch’elli affoca / chiuder conviensi per lo «quivi fece a Dio una preghiera, o, per dir meglio un
forte acume; e, ormai in prossimità dell’ultima visione: Io viluppo di parole scompigliate, di frasi interrotte, di
credo, per l’acume ch’io soffersi / del vivo raggio, ch’i’ sarei esclamazioni, d’istanze, di querele, di promesse: uno di
smarrito, / se li occhi miei da lui fossero aversi (Par. XXXIII, quei discorsi che non si fanno agli uomini, perché non
76-78). Questi significati sono piuttosto caratteristici hanno abbastanza acume per intenderli, né sofferenza
della Commedia e in particolare, come già detto, del [“pazienza”] per ascoltarli». Così nell’edizione del 1827;
Paradiso; nella lingua antica acume vale piuttosto, gene- in quella definitiva del 1840, acume, forse sentito di stile
ricamente, “cima”, “vetta”, e simili. troppo elevato, viene sostituito col più piano «penetra-
Però già nell’antichità si trova il significato che è passato zione».
nell’italiano moderno, ovvero acume come “perspica- Oggi acume è d’uso diffuso anche nella lingua parlata
cia”, “capacità di penetrazione dell’intelligenza”. Scrive e giornalistica: «politico di grande acume», «discorso di
Boccaccio, nel Decameron (I, 1): «non potendo l’acume sottile acume», e così via.

781
Paradiso • Canto I

Ond’ ella, che vedea me sì com’ io, ☛ Beatrice spiega: stanno


a quïetarmi l’animo commosso, volando verso la luna

87 pria ch’io a dimandar, la bocca aprio


e cominciò: «Tu stesso ti fai grosso ☛ Le parole di Dante, p. 783
col falso imaginar, sì che non vedi
90 ciò che vedresti se l’avessi scosso.
Tu non se’ in terra, sì come tu credi;
ma folgore, fuggendo il proprio sito,
93 non corse come tu ch’ad esso riedi».
S’io fui del primo dubbio disvestito
per le sorrise parolette brevi,
96 dentro ad un nuovo più fu’ inretito
e dissi: «Già contento requïevi
di grande ammirazion; ma ora ammiro
99 com’ io trascenda questi corpi levi».
Ond’ ella, appresso d’un pïo sospiro, ☛ Le ragioni del volo:
li occhi drizzò ver’ me con quel sembiante l’ordine dell’universo…

102 che madre fa sovra figlio deliro,


e cominciò: «Le cose tutte quante
hanno ordine tra loro, e questo è forma
105 che l’universo a Dio fa simigliante.
Qui veggion l’alte creature l’orma
de l’etterno valore, il qual è fine
108 al quale è fatta la toccata norma.
Ne l’ordine ch’io dico sono accline
tutte nature, per diverse sorti,
111 più al principio loro e men vicine;
onde si muovono a diversi porti
per lo gran mar de l’essere, e ciascuna
114 con istinto a lei dato che la porti.
Questi ne porta il foco inver’ la luna;
questi ne’ cor mortali è permotore;
117 questi la terra in sé stringe e aduna;

85 ella… com’ io: Beatrice vede nell’in- parole di Beatrice sono accompagnate da principio informatore che rende l’universo
timo di Dante come Dante stesso si vede e un sorriso. Da notare l’uso eccezionale simile a Dio, creatore e ordinatore del
si rende subito conto del desiderio che lo di “sorridere” come passivo (e dunque cosmo».
agita. transitivo): una nuova licenza linguistica, 106-108 Qui veggion… la toccata norma:
86 commosso: eccitato e agitato dalla qui efficacemente sintetica. «Qui, in questa ordinata forma del cosmo,
novità di ciò che vede e ode, e dalla voglia 97-99 «Già contento… questi corpi le creature più nobili (l’alte creature, quelle
di conoscerne le ragioni. levi»: «Già sono rimasto quieto (requïevi, dotate di intelletto: gli angeli e gli uomini)
88-89 ti fai grosso… imaginar: «ti rendi pretto latinismo) e soddisfatto per quanto riconoscono l’orma della potenza di Dio,
ottuso con le tue false supposizioni». riguarda la mia grande meraviglia di che è il fine per il quale è stata creata quella
90 se l’avessi scosso: riferito al falso prima (ammirazion, causata dall’armo- norma, cioè l’ordine armonioso sopra citato».
imaginar: se Dante avesse rimosso dal nia delle sfere e dal dilagare della luce); ma 109 accline: inclinate.
suo animo il falso presupposto della sua ora mi meraviglio di come io possa salire 111 più… men vicine: «tutte le creature,
meraviglia (ovvero, la convinzione di essere attraverso questi corpi levi (l’atmosfera secondo la loro diversa natura, sono più o
ancora sulla Terra), tutto gli sarebbe chiaro. terrestre e la sfera del fuoco)». meno vicine al principio loro, a Dio».
92-93 ma folgore… ch’ad esso riedi: 100 appresso… sospiro: «dopo avere 112-114 onde si muovono… la porti: «le
nessun fulmine, scaricandosi sulla terra, sospirato pietosamente». varie creature si muovono verso differenti
e quindi allontanandosi dalla sua dimora 101-102 con quel sembiante… deliro: destinazioni, attraverso il grande mare
naturale, che è la sfera del fuoco, corse mai «con l’atteggiamento di una madre che dell’esistenza, ciascuna guidata da un
tanto veloce come Dante in questo momento si china sopra un figliolo delirante per la istinto che le è stato infuso in modo da
in cui sta tornando al suo proprio sito, il cielo, febbre», con affetto e apprensione insieme. guidarla al suo compimento».
meta ultima del destino dell’uomo. 104-105 questo… simigliante: «questo 115-117 Questi ne porta… aduna: il
95 sorrise parolette brevi: le brevi ordine armonioso delle cose è la forma, il pronome questi è singolare, e si riferisce

782
Paradiso • Canto I

un’alluvione di luce. Ancora una volta, Dante non è capace di decifrare ciò che sta in effetti accadendo;
agitato da un’acuta curiosità, si rivolge a Beatrice per spiegazioni.

☛ vv. 85-99 Beatrice spiega: stanno volando verso la luna


E Beatrice spiega. Povero Dante: basterebbe che egli non facesse torto a se stesso col falso imaginar,
cioè con troppo ingenue supposizioni, e il vero lo vedrebbe facilmente da sé. Il fatto è che, anche se
non sembra, Dante e Beatrice non sono più sulla Terra, ma stanno schizzando verso l’alto, verso il cielo,
alla velocità di una folgore; anzi, nessun fulmine si abbatté mai sulla Terra con la velocità con cui essi
si stanno avvicinando alle sfere celesti. La musica che Dante sente significa che essi sono ormai fuori
dal mondo sublunare, entro il quale la musica delle sfere non è udibile; il fiume di luce che allaga il cielo
è la sfera del fuoco, che essi stanno attraversando. Il movimento ormai non è più percepibile come
sulla Terra, e nel corso del Paradiso non lo sarà mai, come tale. D’ora in avanti, Dante si accorgerà di
“muoversi” – cioè, di volare di cielo in cielo – solo attraverso il mutamento dell’intensità della luce e
della qualità della musica.
Dante rimane soddisfatto della spiegazione di Beatrice, ma a questo punto sorge un nuovo dubbio: se
è vero che egli – anche se non se ne accorge – sta salendo verso i cieli, com’è possibile che, col suo pesante
corpo umano, possa superare questi corpi levi, ovvero le sfere dell’aria e del fuoco che circondano la Terra?

☛ vv. 100-126 Le ragioni del volo: l’ordine dell’universo…


E Beatrice rispiega. Bisognerà abituarsi a questo ritmo un po’ scolastico (l’allievo chiede, la professo-
ressa risponde). Anche se Dante cercherà sempre di variare i toni e le inflessioni delle domande e delle
risposte, la modalità si presenta inevitabilmente ripetitiva: qui, le due spiegazioni di Beatrice cominciano
proprio nello stesso modo: Ond’ ella, che vedea me sì com’ io / Ond’ ella, appresso d’un pïo sospiro…
Comincia qui la prima lezione teologica di Beatrice: ce ne saranno parecchie, nel corso del Paradiso.
Non sono le occasioni che godono di maggiore favore presso i lettori, e spesso si tratta, in effetti, di
passi di ardua spiegazione. Né, d’altra parte, sono passi che si possono ignorare o mentalmente tagliare
via dal testo. Primo, perché non si può amputare Dante della sua cultura e della sua dottrina; secondo,
perché Dante possiede il dono di rappresentare anche le verità filosofiche e teologiche più ostiche per
visioni, immagini, metafore, riuscendo a trasmetterle per via di raffigurazione fantastica; terzo, perché il
rapporto fra Dante e Beatrice, sostituendosi a quello fra Dante e Virgilio, mette in scena un nuovo dialo-
go pedagogico, e drammatizza un rapporto discepolo-maestro non privo di fascino e di pathos affettivo.
La lezione di Beatrice si può riassumere come segue. «Il cosmo è ordinato secondo leggi armoniche,
che rispecchiano la perfetta armonia del suo creatore. Anzi, è proprio qui, in quest’ordine universale, che
è dato alle creature provviste d’intelletto, gli angeli e gli uomini, di riconoscere l’orma de l’etterno valore,
ovvero l’impronta stessa della potenza divina. Entro questo ordine cosmico, ogni cosa creata è orientata
a una sua specifica finalità, che costituisce il compimento della sua natura: ognuna attraversa lo gran

LE PAROLE DI DANTE ☛ v. 88
Grosso
Qui fa riferimento a una caratteristica della mente, e sta a signi- argini del girone dei sodomiti (Inf. XV, 11), grosso e scuro è l’aere
ficare “ottuso”, “grossolano”. Tipico questo uso: anche più avanti, attraverso cui nuota Gerione (Inf. XVI, 130), grosse sono le cappe di
in Par. XIX, 85: Oh terreni animali! oh menti grosse!; ma anche in piombo dorato degli ipocriti (Inf. XXIII, 101), e così via.
Inferno si parla di gente grossa (Inf. XXXIV, 92), a proposito degli Infine, grosso viene usato nella Commedia anche come sostantivo,
ignorantoni che in quel punto del testo non si saranno resi conto nel senso della zona centrale, più robusta e consistente, di un corpo,
di come Dante, aggrappandosi al corpo di Lucifero, abbia oltrepas- intorno ai lombi: così i simoniaci stanno conficcati nelle loro buche
sato il centro della Terra. tonde infino al grosso (Inf. XIX, 24), e la discesa lungo il corpo di
È un uso ben attestato nella lingua antica: si veda per esempio Lucifero, già menzionata, vede Virgilio catapultarsi, con fatica e con
Boccaccio, che nel Decameron (III, 1) scrive: «sono ancora di quegli angoscia, proprio in sul grosso de l’anche del diavolo (Inf. XXXIV, 77).
assai che credono troppo bene che la zappa e la vanga … rendan La lingua moderna, invece, non ha ereditato, in genere, il senso
loro [i lavoratori della terra] d’intelletto e d’avvedimento gros- antico di grosso come “mentalmente ottuso”, anche se talvolta
sissimi», e Leonardo da Vinci, nel Trattato della pittura: «non è sì riaffiora, quasi come un arcaismo. Lo usano per esempio Antonio
grosso ingegno che, voltatosi ad una cosa sola e quella sempre Baldini, in Beato fra le donne: «il ragazzo … composto di materia
messa in opera, non la faccia bene». così grossa che lontano dalla madre non saprebbe campar quattro
Per il resto, Dante usa grosso nel senso di “spesso”, “fitto”, giorni»; e Riccardo Bacchelli, nei Tre schiavi di Giulio Cesare: «Il
insomma come il nostro grosso del linguaggio italiano corrente: portinaio era di ingegno grosso ma di prestante e pomposa
grossa è la pioggia del cerchio dei golosi (Inf. VI, 10), grossi sono gli presenza».

783
Paradiso • Canto I

né pur le creature che son fore


d’intelligenza quest’ arco saetta,
120 ma quelle c’hanno intelletto e amore.
La provedenza, che cotanto assetta,
del suo lume fa ’l ciel sempre quïeto
123 nel qual si volge quel c’ha maggior fretta;
e ora lì, come a sito decreto,
cen porta la virtù di quella corda
126 che ciò che scocca drizza in segno lieto.
Vero è che, come forma non s’accorda ☛ … e la libertà dell’uomo
molte f ïate a l’intenzion de l’arte,
129 perch’ a risponder la materia è sorda,
così da questo corso si diparte
talor la creatura, c’ha podere
132 di piegar, così pinta, in altra parte;
e sì come veder si può cadere
foco di nube, sì l’impeto primo
135 l’atterra torto da falso piacere.
Non dei più ammirar, se bene stimo,
lo tuo salir, se non come d’un rivo
138 se d’alto monte scende giuso ad imo.
Maraviglia sarebbe in te se, privo
d’impedimento, giù ti fossi assiso,
141 com’ a terra quïete in foco vivo».
Esercitati
142 Quinci rivolse inver’ lo cielo il viso. su zte.zanichelli.it

all’istinto (v. 114), che «porta il fuoco a l’impulso al movimento, che poi trasmette concessivo; si tratta dell’uomo, che unico
salire verso l’alto, per ricongiungersi alla alle sfere sottostanti, dove stanno le stelle nel creato possiede il libero arbitrio), devia
sua sfera, presso il cielo della Luna; muove e i pianeti. da questo corso».
(è permotore) i sentimenti e le emozioni nel 124-126 e ora lì… in segno lieto: «e in 133-135 sì come veder… da falso piacere:
cuore degli uomini; sotto la forma di forza questo momento là, verso l’Empireo, come «l’impulso originario (impeto primo)
di gravità, tiene stretta in un corpo solo la a luogo stabilito (decreto), ci sta portando dell’uomo può abbattersi verso terra,
Terra». la potenza di quella corda che indirizza pervertito dall’attrazione di falsi piaceri
118-120 né pur… intelletto e amore: a un bersaglio felice (segno lieto) ciò che (invece di alzarsi al cielo, seguendo la sua
«questa norma universale determina l’esi- fa scoccare dall’arco». Dante sta dunque più vera natura), come anche il fuoco può
stenza non soltanto delle creature irrazio- ascendendo verso la finale destinazione del cadere verso il basso (a dispetto della sua
nali, ma anche di quelle capaci d’intelletto e suo viaggio, obbedendo alla legge universale inclinazione naturale), quando il fulmine si
di amore (gli angeli e gli uomini)». La forza che, come abbiamo visto, guida ogni scarica dalle nubi».
di questa norma universale è qui espressa creatura verso il fine a cui è ordinata, all’in- 136-138 Non dei… giuso ad imo: «Non
dalla metafora della saetta che colpisce, terno dell’armonia cosmica regolata dalla devi meravigliarti della tua ascesa verso i
scoccando dall’arco, ogni creatura dell’uni- provvidenza divina. La metafora della corda cieli, se giudico bene, se non come ti mera-
verso, animata e inanimata, dotata o meno e dello scoccare continua quella dell’arco, viglieresti di un corso d’acqua, se scende
di ragione. già usata ai vv. 118-119. giù a valle dall’alto di un monte». Ovvero,
121 che cotanto assetta: «che provvede a 127-132 Vero è… in altra parte: Beatrice non c’è niente da meravigliarsi, nell’uno
questo grandioso ordine universale». spiega che l’orientamento di ogni creatura e nell’altro caso: si tratta di fenomeni
122-123 del suo lume… maggior fretta: verso il proprio fine non è deterministico. ugualmente naturali.
«la provvidenza divina acquieta, con la In particolare, l’uomo conserva il potere di 139-141 Maraviglia… in foco vivo: ci
pienezza della sua luce, il cielo (l’Empireo) indirizzarsi altrove, contraddicendo talvolta sarebbe da meravigliarsi se Dante fosse
entro il quale si muove la più veloce delle il suo destino attraverso un uso perverso rimasto giù… assiso, cioè fermo sulla Terra,
sfere celesti (il Primo mobile)». In altre del libero arbitrio: «È vero che però, come adesso che è libero da ogni impedimento,
parole, l’Empireo è un cielo spirituale, non la forma di un’opera d’arte molte volte allo stesso modo che ci sarebbe da meravi-
fisico: sede della luce divina: per questo è non si accorda con l’intenzione dell’arti- gliarsi se, sulla Terra, una fiamma viva stesse
quieto, perché non aspira, come il resto sta, perché la materia è sorda a rispondere, ferma, senza slanciarsi verso l’alto, secondo
del cosmo, a muoversi verso Dio, che lì cioè oppone resistenza agli sforzi espressivi la sua natura. La raggiunta perfezione
ha la sua dimora. Invece l’ultima delle di chi cerca di plasmarla; così talvolta la morale di Dante si traduce in liberazione
sfere celesti, il Primo mobile, che gira creatura che ha il potere di piegare in altre fisica dai pesi della condizione umana.
a contatto dell’Empireo, da esso riceve direzioni, pur così indirizzata (così pinta: 142 il viso: la vista, lo sguardo.

784
Paradiso • Canto I

mar de l’essere guidata da un istinto, da una forza interna che la guida verso il suo porto, la sua debita
destinazione. Questa spinta interna di ogni cosa fa sì che la fiamma, per esempio, si slanci verso l’alto,
verso la sfera del fuoco; che gli animali sprovvisti di ragione seguano l’impulso delle loro funzioni vitali;
che la Terra se ne stia stretta e compatta, obbedendo alla legge di gravità; né gli esseri razionali, dotati
di intelletto e di amore, vanno esenti da questa legge universale. È la provvidenza divina, che ordina e
governa questo assetto del cosmo; in particolare, essa riempie di sé e della sua luce l’Empireo, tanto
che questo cielo, a differenza del resto del creato, non si muove: ogni movimento è sintomo infatti di
una tensione, di un bisogno, e l’Empireo è così pieno di Dio da non desiderare di più (si muove invece,
alla massima velocità, il cielo detto Primo mobile, a contatto dell’Empireo, trasmettendo il suo moto ai
cieli inferiori). E lì, verso l’Empireo, come a sito decreto, cioè alla destinazione fatale del nostro viaggio,
stiamo salendo in questo momento; spinti dal potere intrinseco che porta ogni cosa verso la sua meta
naturale.»
La lezione di Beatrice ci presenta una concezione del mondo certo molto lontana dalla nostra cul-
tura e dalle nostre conoscenze scientifiche. Tuttavia, ciò che rende più remota la lezione di Beatrice non
sono i singoli elementi, ovviamente obsoleti, di una visione antica del cosmo. È, più di ogni altra cosa, la
relazione qui interposta tra fisica e metafisica, tra natura e teologia. Il cosmo che Beatrice ci presenta,
infatti, funziona secondo un regime misto, per così dire, di leggi fisiche, empiricamente verificate, e di
presupposti ideologici. La legge di gravità, o la tendenza del fuoco a salire verso l’alto, può corrisponde-
re, infatti, a un’osservazione sperimentale; il moto stesso degli astri, anche per un uomo del Medioevo,
poteva essere osservato, misurato ed espresso da formule matematiche. Nello stesso tempo, però,
Beatrice trova normale, anzi naturale, che il corpo di Dante, liberato dal peso del peccato, schizzi verso
la sfera lunare, superando alla velocità del fulmine l’atmosfera terrestre: una condizione morale si tra-
duce automaticamente in moto fisico. È la stessa mentalità per cui gli antichi leggevano il cielo in modo
anche genialmente sperimentale, ma allo stesso tempo facendo discendere alcune leggi e fenomeni da
presupposti metafisici: per esempio, il fatto che dovesse esistere un Primo mobile, non osservabile, che
doveva fare da tramite fra l’immobilità dell’Empireo (tale per ragione teologica, essendo invaso dalla
luce di Dio) e il movimento delle sfere e dei loro pianeti. Questa interferenza delle credenze filosofiche,
teologiche, metafisiche, nel mondo fisico e nelle sue leggi ci rende sicuramente il mondo di Dante dif-
ficile da capire. Ma per leggere il Paradiso bisognerà accettare di entrare proprio in questa mentalità.

☛ vv. 127-142 … e la libertà dell’uomo


Naturalmente, la legge universale che orienta ogni cosa verso il suo fine non è una legge assolutamen-
te deterministica. Bisogna fare i conti con la creatura che, così pinta, cioè pur sottoposta anch’essa alla
forza di quella legge, ha podere / di piegar… in altra parte: ovvero con l’uomo che, dotato di libero arbitrio,
può anche scegliere di sottrarsi al suo stesso impulso naturale, che lo spingerebbe verso il bene, verso
il cielo, verso Dio. Insomma, il resto del cosmo non ha scelta: deve muoversi verso la sua destinazione.
L’uomo no: come il risultato finale di un’opera d’arte talvolta non corrisponde alle intenzioni dell’artista,
così talvolta l’uomo, usufruendo malamente della sua libertà, viene fuori diverso da quello che dovrebbe
essere; si allontana da quello che sarebbe il suo corso naturale. Ciò avviene quando l’uomo, refrattario
all’intenzione divina come una materia refrattaria al genio dell’artista, invece di volgersi verso l’alto,
verso il cielo, si abbatte verso terra, attratto e deviato da falsi piaceri mondani. Un po’ come succede
quando il fulmine si scarica in basso, mentre la sua natura lo porterebbe, come ogni fuoco, verso l’alto,
verso la sua sfera. Di conseguenza – conclude Beatrice – nessuna meraviglia che Dante stia adesso
ascendendo verso le sfere celesti: ora che egli è privo / d’impedimento, è questo il suo moto naturale;
esattamente come è naturale il moto di un corso d’acqua, che dall’alto di un monte scenda a valle. Ci
sarebbe da meravigliarsi, invece, se Dante fosse rimasto sulla Terra: come, tanto per continuare con i
paragoni naturali, ci sarebbe da meravigliarsi se una fiamma se ne stesse acquattata rasoterra, invece
di slanciarsi verso l’alto.
Questa chiosa finale di Beatrice conferma dunque il rapporto particolare che lega, nel mondo di
Dante, fisica e metafisica, corpo e anima. La destinazione di Dante, come di ogni creatura umana, è
l’Empireo, ovvero Dio stesso? Allora il fatto che ora Dante sia in ascesa verso quella destinazione non è
né strano né eccezionale. Egli sta eseguendo il programma, per così dire, intrinseco alla sua natura; sta
navigando verso il suo “porto”. Semmai “innaturale” è stata la sua vita di prima: quando i falsi piaceri lo
piegavano a terra, contro la sua più vera vocazione.
Dopo di che, conclusa la sua lezione, chiarito ciò che sta avvenendo, e perché, la donna della salvez-
za torna a rivolgere il viso – e lo sguardo – verso il cielo. E dato che quello sguardo è la forza motrice di
Dante, per tutto questo Paradiso, si può credere che anche il Poeta faccia lo stesso.

785
Paradiso • Canto I

Per approfondire

La musica delle sfere celesti


Mentre Dante, in questo primo canto, ascende dal Paradiso Ter- Ma è così potente il suono per il rapidissimo movimento di
restre verso il primo cielo, quello della Luna, non solo la sua vi- rotazione di tutto l’universo, che le orecchie degli uomini
sione viene invasa de la fiamma del sol, che sembra quasi allagare non sono in grado di percepirlo, come non potete tenere lo
il suo campo visivo, ma anche il suo udito viene catturato da un sguardo fisso al sole […].
suono mai prima ascoltato, sì che luce e suono eccitano all’e- Cicerone, La Repubblica, a cura di Francesca Nenci,
stremo il suo desiderio di sapere (vv. 82-84): BUR, Milano 2008
La novità del suono e ’l grande lume
La musica delle sfere ci riporta ai rapporti che nella cultura
di lor cagion m’accesero un disio
antica legano suono e numero. È una concezione che risale ad-
mai non sentito di cotanto acume.
dirittura a Pitagora, al quale si attribuiva l’osservazione che l’al-
Beatrice risponde spiegando che Dante non si sta rendendo tezza di una nota musicale è proporzionale alla lunghezza della
conto di volare verso le sfere celesti, ma in realtà non spiega che corda che la produce. Il cristianesimo cristallizzò questo legame
cosa siano né il suono né il lume; e se quest’ultimo va con tutta tra la musica e i moti celesti, matematicamente misurati, as-
probabilità riferito all’attraversamento della sfera del fuoco, in- segnando a ogni sfera planetaria una gerarchia di angeli – e di
terposta fra la Terra e la luna, il suono è senz’altro la musica cre- angeli musicanti, incaricati essi stessi di regolare il suono della
ata dal movimento delle sfere celesti. sfera loro assegnata. Questo spiega fra l’altro perché l’angelo
Che l’universo “canti”, cioè produca nei suoi moti astrali una è spesso raffigurato con uno strumento musicale fra le mani:
musica che noi sulla Terra non possiamo udire, è un vero e pro- esso non va inteso come un menestrello qualunque, ma come
prio pilastro della cosmografia e filosofia antica. La spiegazione un “agente” della musica universale.
più famosa si legge nel Somnium Scipionis, un passo del De re Il legame intrinseco tra musica e numeri trova conferma
publica di Cicerone, in cui Scipione Emiliano sogna di vedere il nell’ordinamento disciplinare che dalla tarda antichità si conso-
suo antenato, Scipione Africano, che, oltre a predirgli ciò che lo lidò nel Medioevo, fino all’epoca di Dante, fondato sullo studio
aspetta nella sua vita futura, gli mostra le meraviglie del creato; delle sette arti liberali, all’interno delle quali si distinguevano
un creato molto simile, dal punto di vista cosmologico, a quello quelle del Trivio e del Quadrivio. Le arti, o discipline, del Trivio
che Dante attraversa nel suo Paradiso. Come Dante, anche Sci- erano la grammatica, la retorica e la dialettica; quelle del Qua-
pione non può fare a meno di notare la musica che si sprigiona drivio erano l’aritmetica, la geometria, la musica, l’astronomia.
dalle sfere celesti: Come si vede, si tratta di un paradigma intellettuale molto
E stupefatto a guardare tali meraviglie, appena mi ripresi diverso dal nostro: noi oggi associamo la musica alle materie
‘Che cosa è’, dissi, ‘questo suono così profondo e dolce che cosiddette “umanistiche”, ma per secoli, invece, essa rimase a
riempie le mie orecchie?’ ‘È, rispose, ‘quel suono che legato far parte integrante di quelle che oggi chiameremmo discipline
a intervalli di durata diversa, ma tuttavia distinti in propor- “scientifiche”. D’altronde, ciò è confermato dall’interesse che
zione secondo un principio razionale, è prodotto dalla spinta matematici e astronomi, anche in tempi moderni, riservaro-
e dal movimento delle orbite stesse, e che, temperando le no alla questione della musica celeste: lo stesso Keplero, che
note acute con le gravi, genera melodie armoniosamente nel suo Harmonices Mundi (“Le armonie del mondo”, 1619) di-
varie; e d’altra parte movimenti così grandi non potrebbero mostra la cosiddetta “terza legge” sui moti dei pianeti, dedica
prodursi tanto velocemente in silenzio, e la natura comporta seria attenzione al problema, fondendo il concetto metafisico
che le sfere situate alle estremità producano da una parte di armonia delle sfere con le leggi dei moti planetari. Nella
suoni gravi dall’altra invece suoni acuti. Perciò il supremo sua trattazione, in particolare, Keplero supera il modello statico
giro che porta le stelle fisse, la cui rivoluzione è più rapida, delle sfere di concezione tolemaica (e dantesca), attribuendo a
si muove con un suono acuto ed elevato, invece quello della ogni pianeta non un singolo suono ma un intervallo di suoni, nel
Luna, che è il più basso, con il suono più grave […]. quale la nota più grave corrisponde alla velocità minima che il
La domanda che sorge spontanea, a questo punto, è perché tale pianeta ha durante la rivoluzione e quella più acuta alla velocità
musica non sia udibile qui sulla Terra. La risposta è semplice: massima.
perché l’udito degli uomini, che ascoltano quella musica da sem- Oggi si può dire perduta questa antica sensibilità, legata
pre, ne è rimasto assordato: a un modello cosmologico ormai lontano dal nostro. Tutta-
Le orecchie degli uomini riempite di questo suono divennero via, chiunque si occupi di musica sa perfettamente quanto essa
sorde; e non esiste in voi alcun senso più debole, come il sia legata ai numeri e al concetto di misura del tempo. Anche
Per approfondire

popolo che abita in quella località che si chiama Catadupa, senza credere più al suono dell’universo nel senso antico del ter-
dove il Nilo precipita da monti altissimi, è rimasta priva mine, la musica rimane una disciplina matematica più di quan-
del senso dell’udito a causa dell’intensità del rimbombo. to comunemente si tenda a credere.

786
Paradiso • Canto I

Lavorare sul testo


Comprendere e analizzare il testo 18. vv. 73-75: ricostruisci l’ordine logico-sintattico di questi
versi.
Proemio
19. v. 78: che figura retorica noti?
1. argomentare Spiega in che senso il proemio del Paradiso
“supera” i proemi delle precedenti due cantiche. 20. v. 84 mai non sentito: che valore ha il mai ?
a Rafforzativo
2. argomentare Perché si può dire che il Paradiso «si apre
su una professione di umiltà»? Spiega la tua tesi dopo aver b Negativo
letto il commento al canto. c  Tautologico

3. Che cosa chiede Dante ad Apollo? E perché è certo che il 21. v. 111 principio loro: che figura retorica è? Che cosa
dio accoglierà la sua richiesta? Racconta. significa?

4. Descrivi lo scenario con cui si apre la terza cantica e le 22. v. 139: il se introduce
sensazioni che prova il Poeta. a  la protasi di un periodo ipotetico
b una subordinata eccettuativa
Mezzogiorno…
c  l’apodosi di un periodo ipotetico
5. argomentare Spiega in che modo Dante delinea la
d la proposizione reggente.
cronologia della sua ascesa al Paradiso.
6. argomentare In che luogo si trovano, forse, Dante e Scrivere per argomentare
Beatrice all’inizio di questa terza cantica? (Ti consigliamo ESAME DI STATO – TIPOLOGIA B
di leggere il commento al canto.) Fai riferimento al testo di Giovanni Getto, a p. 790, e alle
7. argomentare Spiega il neologismo dantesco trasumanar. attività che lo accompagnano.
(Ti consigliamo di leggere anche la scheda a p. 780.)

Beatrice spiega
Laboratorio
8. Che cosa dice Beatrice al Poeta riguardo alla luce e alla La poesia dell’“ineffabile”
musica dei cieli? (Ti consigliamo di leggere anche la scheda Nel Paradiso Dante si trova davanti a una sfida linguistica ecce-
La musica delle sfere celesti a p. 786.) zionale, descrivere ciò che razionalmente non è descrivibile,
9. Parla del secondo dubbio di Dante. ed è sopraffatto dall’altezza del contenuto che si accinge a
narrare, difficile anche da tenere a mente.
10. argomentare Analizza il nuovo ruolo di Beatrice in
Paradiso, in confronto alla figura di Beatrice nella Vita Dal primo all’ultimo canto della terza cantica troviamo versi
nuova. che evidenziano questa impossibilità, questa consapevolezza
di inadeguatezza espressiva. Ecco i più significativi.
L’ordine dell’universo e la libertà dell’uomo
▶ canto I, vv. 1-12; 70-71
11. argomentare Spiega qual è la legge che regola tutto
▶ canto X, vv. 74-75
l’universo.
▶ canto XXIII, v. 49 e ss.
12. Elenca gli esempi dell’ordine del cosmo che porta Beatrice.
▶ canto XXX, vv. 22-24; 31-33
13. argomentare Spiega il rapporto che intercorre tra la
“teoria dell’istinto” e quella del “libero arbitrio”.
▶ canto XXXI, vv. 136-138
▶ canto XXXIII, vv. 106-108; 121-123

Riflettere sulla lingua Proponiamo come attività laboratoriale una ricerca da svolgere
a piccoli gruppi, in forma collaborativa, che analizzi il tema
14. vv. 1-9: Sin dai primi versi (1-9) della cantica, Dante
dell’ineffabilità in questi versi.
esplicita le difficoltà retoriche che lo attendono. In che
modo? Che cosa si contrappone drammaticamente alla Ogni gruppo produrrà una sintetica relazione sul tema dato da
luce della gloria di colui che tutto move? esporre ai compagni (anche utilizzando la LIM o un computer
on/offline).
15. vv. 22-25: individua e spiega le figure retoriche presenti in
questi versi.
16. v. 29 per trïunfare o cesare o poeta: fai l’analisi logica del
verso.
17. v. 48: aguglia: aiutandoti con il vocabolario, stabilisci se
Lavorare sul testo

questo termine è:
a  arcaico c dantesco
b traslato d  metaforico

787
Paradiso • Canto I

Forum critico
Perché la poesia del Paradiso risulta di così difficile
comprensione?
Approdare alla lettura della terza cantica, dopo la lettura dell’Inferno e del Purgatorio, porta
spesso a sentirsi inadeguati davanti a un linguaggio e a un contenuto tesi a mostrare l’ultima
fase del cammino dell’uomo verso la sua meta eterna. Ci si stacca sempre più da ciò che è terreno,
tangibile, razionalmente conoscibile, per inoltrarsi nell’Empireo, cosmo a noi sconosciuto.
La difficoltà del lettore a “entrare” nei diversi canti da che cosa deriva? Inadeguatezza culturale,
scarsa competenza teologica e mistica?

A Secondo Giovanni Fallani


La poesia del Paradiso è poesia teologale
La difficoltà che incontra il lettore nella comprensione del Paradiso nasce dal fatto che Dante, nella
terza cantica, è tutto teso al fine ultimo di intuire il mistero della Trinità di Dio e sente la necessità di
una poesia all’altezza del contenuto. La poesia si nutre pertanto di teologia mistica.

Premessa:
definizione di
poesia teologale
A l fine di avere una indicazione concreta della poesia teologale di Dante
sarà utile tentar di determinare in che cosa consiste, sotto l’aspetto for-
male e nella sua essenza, il carattere di tale poesia. Confluiscono in essa vari
motivi di origine diversa, che si trasformano in motivi tipicamente cristiani
per essere stati assunti a nuova funzione. […]
I argomentazione È noto come si trasfiguri la storia in una lezione di teologia della storia,
della I tesi: allor che Dante ascolta da Giustiniano imperatore le vicende dell’Aquila ro-
esempi di poesia
mana, le cui imprese sono lo svolgimento di un disegno di Dio per giungere
teologale
nella Commedia al tempo dell’Incarnazione. La storia di Roma diviene storia sacra, assunta
(teologia della storia, ad altri significati. Il poeta teologo cerca l’essenza cristiana dell’avvenimento.
predicazione) […]
Un altro carattere della poesia teologale è l’accoglienza dei modi della
predicazione, che Dante usa secondo le finalità del poema. Posto al vertice
dell’impegno umano con Dio, il voto investe la responsabilità morale del cre-
dente, obbliga, prima di emetterlo, consiglio e ponderazione:
«Siate cristiani a muovervi più gravi:
non siate come penna ad ogni vento,
e non crediate ch’ogni acqua vi lavi».
Di queste apostrofi religiose d’ispirazione liturgica e biblica, con fondamento
anche nella letteratura classica, è cosparso il Paradiso. […]
I tesi: La celebrazione della teologia stessa comprende, in particolare, la terza
il Paradiso come cantica. Alcuni hanno voluto spiegarla come tessuto connettivo tra le figure
celebrazione della
rappresentative della santità, altri come momenti d’indugio e di riposo allo
teologia
sforzo poetico, altri ancora come zone morte e opache, con le quali Dante ha
pagato il tributo al suo tempo, mentre invece la struttura dei trattati teologi-
ci, a nostro avviso, sostanzia ed equilibra i rapporti tra la cultura, la religione,
la storia, la poesia. […]
II argomentazione L’apertura più vasta della poesia teologale la ritroviamo nelle due grandi
della I tesi: linee della provvidenza divina e della sete di giustizia. La presenza divina è
la provvidenza
operante negli ambienti, ove si concepisce l’azione, e nei personaggi che par-
Forum critico

divina e la sete
di giustizia sono lano e agiscono in conformità al volere di Dio. Dante ha saputo stare al tema
aspetti centrali della e nei gradi dell’ascesa ha collocato, secondo l’ordine gerarchico dei meriti, le
poesia teologale nel anime dei beati. C’è da chiedersi piuttosto, dove non sia Dio in questo edifi-
Paradiso

788
Paradiso • Canto I

cio del Paradiso, che ha le sue fondazioni nella Bibbia, nella dottrina agosti-
niana, nella Summa theologica di S. Tommaso, nella liturgia e nel rito, nella
tradizione della Chiesa e nell’iconografia cristiana. La giustizia, ch’è la virtù
più conculcata, arma di sdegno l’Alighieri, che affretta il tempo della lettura
del libro divino, dove si potranno leggere «i dispregi» e il disonore dei prin-
cipi cristiani, che nel giorno del giudizio sederanno più lontani degli stessi
infedeli:
«e tai Cristiani dannerà l’Etiope
quando si partiranno i due collegi,
l’uno in eterno ricco, e l’altro inope». […]
III argomentazione La lingua di Dante ha nel Paradiso una giustificazione religiosa, sotto
della I tesi: l’influenza del latino cristiano. I neologismi, le forme sintattiche, le costru-
la lingua del
zioni verbali, denunciano tale influsso e sono espressioni vive di un pensiero
Paradiso e la sua
giustificazione che prende forma da una tradizione di cultura, che ha le sue origini nella
cristiana Bibbia, nella liturgia, nei Padri, nella Scolastica. La «gravitas romana», nota-
ta nella terza cantica, si avverte nella capacità di assimilazione dello spirito
della lingua di Roma; il lessico volgare, memore della terminologia classica,
accoglie le accezioni nuove del messaggio evangelico: Salute per salvezza
spirituale (Parad., XII, 63; XXXII, 77); prefazio (umbriferi prefazi, Parad.,
XXX, 78, immagini in anticipo sulla realtà); magnificenza, per proclamare
grande (Parad., XXXIII, 20). […]
Il poeta, specialmente nel Paradiso, sentì l’alta responsabilità che la sua
lingua assumeva, trattando l’argomento sacro per eccellenza e i misteri della
fede. Il vocabolario cristiano, con il ricco fondo semita, si era formato sulla
Scrittura, giunta al nostro occidente con idee e parole di evidente influsso
greco: la terminologia classica portò con sé e individuò nuovi significati. […]
Nell’uso della terminologia latina in Dante poeta si rivela il gusto dell’e-
lezione della parola, la clausola o cadenza in cui essa è posta, la tecnica
di uno stile che alla sapienza della retorica classica unisce un colorito che
proviene dal vernacolo e dalla situazione toscana. Alcuni vocaboli nasceva-
no allora dal campo speculativo e teorico, altri erano nel gusto e nei modi
della scuola ecclesiastica, altri provenivano dalle raccolte elaborate dai les-
sicografi, […].
II tesi: Tutto questo mirava a porre la poesia del Paradiso e il lettore in rapporto
tensione morale intimo con un fatto nuovo: la vita contemplativa; un potere, questo, confor-
verso la vita
me all’impegno morale del cristiano che, in quanto battezzato, ha il dovere
contemplativa
che si attua nella non solo di uniformare la volontà a quella divina e di amare Dio sopra ogni
preghiera cosa, ma di disporsi alla sua unione, per opera della Grazia. Questa forma di
contemplazione, detta contemplazione attiva, prepara l’anima alla contem-
plazione mistica, o infusa: per mezzo dei doni dello Spirito Santo, Dio le
dona di sperimentare e percepire la gioia del suo possesso. Questo riposo in
Dio, questa unione misteriosa che avviene nella preghiera mistica illumina a
tratti il Paradiso dantesco, di una luce continuativa più intensa gli ultimi
canti, in cui le immagini astrali prevalgono, e la luce acquista il senso più
puro della trascendente bellezza della grazia, e l’azione con il frequente ri-
cordo dell’inesprimibile tende all’estasi, fino all’Empireo, splendore dell’idea
divina.
I argomentazione […] La poesia può essere un avvio alla preghiera, e può anche fondersi
della II tesi: con essa pur essendone distinta, per la sua essenziale forza di intuire nell’og-
rapporto tra poesia
getto e nella realtà ciò che trascende i sensi e le emozioni, e per l’amore in-
Forum critico

e preghiera
tuitivo alla perfezione delle cose, sommerse in un ordine infinito, specchio
della divinità. Dante, per giungere all’esperienza mistica, ha seguito la via
possibile all’uomo; con il retto uso della ragione vede nell’universo la presen-

789
Paradiso • Canto I

za del Creatore, con lo studio della teologia intende l’immensità dei problemi
e del mistero, con l’ardore della mistica approda alla salvezza. […]
II argomentazione Il Paradiso offre spesso l’esperienza concreta di una poesia formatasi al
della II tesi: centro del misticismo della visione. Chi s’inoltra nella rischiosa via di sepa-
legame inscindibile
rare in determinati casi poesia e mistica distrugge l’unità del poema, essendo
tra poesia e mistica
viva nella coscienza del poeta sia l’una che l’altra componente del grandioso
lavoro.
Conclusione: La rappresentazione del Paradiso non è, dunque, astratta, solo è di più
la difficoltà del difficile comprensione, giacché la ricerca del particolare nei momenti più alti
Paradiso sta nella
si traduce in un clima poetico nuovo, che aspira a superare lo sforzo dialet-
tensione lirico-
religiosa verso tico per i valori universali della rivelazione. […] Si potenzia in Dante il fasci-
l’intuizione del no unico dell’animazione lirico-religiosa, che, dopo aver toccato l’estremo
divino limite dell’intuizione del divino nella città empirea, vien meno avanti all’inef-
fabile, conforme al canone e all’esperienza mistica. Questa poesia teologale
diviene il dramma della mente, che si comunica al sentimento del poeta: la
teologia offre il tema, la fantasia dell’artista elabora situazioni, crea immagi-
ni, genera il canto.
Giovanni Fallani, Poesia e teologia nella Divina Commedia,
vol. III, Marzorati, Milano 1959

B Secondo Giovanni Getto


Nel Paradiso il dramma della vita della Grazia
La poesia del Paradiso «si manifesta in un sentimento», «in un clima affettivo» unitario e non
va cercata in immagini isolate: Dante intuisce una vita dell’anima tutta tesa a raggiungere Dio.
I motivi teologici, di una teologia della Grazia, sono alla base di questa umanissima poesia.

Tesi:
la poesia del
Paradiso come épos
S e si volesse racchiudere in una formula provvisoria, didascalicamente
orientativa, il contenuto poetico del Paradiso, si dovrebbe parlare, con
una certa approssimazione, di epos della vita interiore, di dramma della vita
della vita interiore
della grazia, di poesia dell’esperienza mistica, e forse anche di lirica dell’ado-
razione. Un enunciato suscettibile di controllo e di ulteriore approfondimen-
to, ma che subito si può avanzare con la precisa convinzione di non dire nulla
di astratto e di remoto dal sentimento umano, o comunque di troppo vago e
generico.
I argomentazione: Si tratta certo di un incontro molto complesso, come è tutta complessa
complessità poetica la poesia di Dante, che si nutre di un’immensa cultura e di una potenzialità
per una cultura
di vita sentimentale davvero senza limiti. Ma non per questo riuscirà im-
teologica vissuta
in prospettiva possibile tracciare alcune linee di orientamento critico, tali da permettere
personale di storicizzare quel tema teologico che crediamo costituisca il nucleo dell’i-
spirazione dell’intera cantica. Un soccorso di estrema importanza, per il
nostro caso, ci viene intanto offerto dalla notizia facilmente documentabile
che sullo spirito del poeta opera il fascino di un’imponente tradizione teo-
logica, che va dalla Scrittura e dai Padri alla scolastica e alla mistica. […]
Come ogni teologo, pur aderendo alla dottrina dogmaticamente definita e
pur accettando nel suo insieme tutto il complesso di articoli di fede che la
Chiesa propone, si presenta sempre con una personale teologia, nel senso
che egli sarà tratto spontaneamente ad insistere nella sua meditazione su
un dogma piuttosto che su di un altro e ad istituire fra di essi nuovi rappor-
ti e a dedurre da essi conseguenze prima lasciate in ombra, così, a maggior
Forum critico

ragione, per il più libero e incontrollato intervento di una partecipazione


sentimentale, ogni anima religiosa è destinata a fondare la sua prassi (sce-
gliendo nell’ampia zona del credo ufficialmente proposto e globalmente ac-
cettato) su questo o quel motivo teologico, che finisce perciò coll’ottenere

790
Paradiso • Canto I

di necessità un essenziale rilievo e un valore esponenziale nel suo interiore


paesaggio. Allo stesso modo, un identico tema dogmatico dovrà pur sempre
essere suscettibile di intuizioni diverse, a seconda del clima di personalità
in cui si inserisce. […]
II argomentazione: Comunque, si tratta di una teologia che in certo modo si storicizza, e che
al centro di questa è in facoltà dell’uomo di intuire in forma quasi sperimentale. Se altri motivi
teologia l’uomo e il
teologici, invero, rimangono in una zona di assoluta trascendenza rispetto
suo operare
all’uomo (come gli enunciati relativi alla natura divina), questa realtà teolo-
gica, al contrario, impegna come suo soggetto l’uomo, e lo coinvolge nel suo
essere ed operare.
III argomentazione: Così, mentre il dogma trinitario è destinato evidentemente a rimanere,
la teoria della rispetto all’esperienza umana, un complesso di proposizioni teologiche, un
Grazia nelle reazioni
contenuto essenzialmente intellettuale, la teoria della grazia potrà invece ri-
psicologiche delle
anime flettersi in un insieme di relazioni psicologiche e sentimentali. […] Questo
sentimento della grazia come gioia profonda che fa trasalire l’anima, come
interiore pace che inonda il cuore, fatto ricco di un improvviso dono e di
un’ignota ricchezza, è per l’appunto il sentimento teologico, e nello stesso
tempo umanissimo, su cui Dante imposta la sua massima espressione poe-
tica. Affetto umanissimo, possiamo tranquillamente affermare. […]
L’ansia e il sospiro della mente alla verità, e la delizia del vero che si fa in Espansione
noi e lo smarrimento di fronte a quel che trascende il pensiero (e poi ancora, del discorso:
il mistico itinerario
in una zona meno alta, il gusto dell’insegnare e dell’imparare, e l’amore e
della mente che
l’ammirazione per il maestro e per chi sa, e la memoria dei primi entusiasmi anela alla verità
dell’intelligenza) ripetono in qualche maniera i modi dell’anima nel percorso
del mistico itinerario cristiano. E, ancora, ma con più remota analogia, l’e-
sultare e l’aumentare del nostro spirito di fronte alla cosmica vastità dei pae-
saggi celesti e la vertigine che lo sorprende davanti alla perduta distesa di
lontani orizzonti, richiamano l’eterna condizione dell’anima che si inoltra e
si smarrisce nei cieli senza confine della vita della grazia. […]
A tener presente questo, cadranno facilmente i dubbi sulla astrattezza del Antitesi
Paradiso, sulla sua assurdità poetica in quanto rappresentazione del trascen- e confutazioni:
nessuna «assurdità
dente, di quello cioè di cui l’uomo non può avere, nella sua umana condizio-
poetica» nel voler
ne, esperienza. E si eviterà di cercare la redenzione del Paradiso, in quanto rappresentare
poesia, in quella curiosa soluzione proposta dal De Sanctis, che vedeva nelle il trascendente;
immagini e nei sentimenti terreni (di una particolare terrestrità, tutta laica non solo immagini
terrene
e romantica) che penetrano nel Paradiso, l’unica autentica poesia della terza
cantica, la quale si affermerebbe, dunque, nonostante e contro ogni elemen-
to di carattere teologico. […]
Conclusione: La poesia del Paradiso è sì terrena, ma dei vertici della terrestrità, di quei
poesia momenti in cui l’anima trema ed esulta nella parentela nuova che con Dio
«umanissima»:
istituisce. Sulla scorta delle indicazioni che abbiamo suggerito, del resto, si
lirica della vita
interiore tesa a Dio potrà evitare anche l’altro opposto pericolo, di riporre in un astratto motivo
teologico la sorgente di questa umanissima poesia. Tutta la terza cantica ri-
sulta pervasa da un sentimento unico, da un clima affettivo uguale e preciso.
Ed è cotesta lirica della vita interiore come ebbrezza e pace dell’anima eleva-
ta verso le cime vertiginose della partecipazione al Dio della gloria e dell’e-
terno, il motivo musicale che stringe in unità tutti gli episodi, colorando di
sé e dando una risonanza speciale alle stesse pagine che sembrano nascere
da un’ispirazione diversa. Poiché il Paradiso è fondamentalmente un tono
sentimentale, un tema sinfonico. […] la poesia della divinità, come tutta la
poesia della cantica, si manifesta in un sentimento e non in una visione, in
Forum critico

un clima affettivo piuttosto che in un concluso profilo di immagini.


Giovanni Getto, Poesia e teologia nel Paradiso di Dante,
in Aspetti della poesia di Dante, Sansoni, Firenze 1966

791
Paradiso • Canto I

Scrivere per argomentare


ESAME DI STATO – TIPOLOGIA B
1. Comprensione e analisi
— Quale definizione dà Giovanni Getto della poesia del Paradiso?
— Quali sono le principali fonti di ispirazione culturale, per Dante?
— Si tratta di fonti seguite in modo puntuale?
— A che cosa tende la mente di Dante, nel suo complesso itinerario mistico?
2. Produzione
Condividi con Giovanni Getto l’idea che la mente di Dante segua un percorso unitario nella sua
tensione mistica? Pensi che gli uomini oggi abbiano una vita interiore che tende a un “Qualcosa”
di superiore al contingente, che anelino alla Verità?
Esprimi la tua idea al riguardo basandoti sulle tue conoscenze, letture o esperienze personali.
Argomenta le tue affermazioni in un testo coeso in cui tesi e argomentazioni siano organizzate
in modo coerente.

C Secondo Carlo Ossola


La poesia del Paradiso è poesia del desiderio mistico
insoddisfatto
Il critico sottolinea come Dante affermi i limiti della parola a esprimere il percorso della mente a
Dio, «itinerarium mentis in Deum». Ciò non vuol però dire che se viene meno la parola viene meno la
possibilità di conoscenza in quanto la «grazia divina illuminante», discendendo, completa l’aporia
umana. Siamo davanti a una parte dell’esperienza mistica che si definisce “teopatia”, “accogliere e
patire di Dio”. A Dante mancano la memoria e i segni vocali per esprimere questa conoscenza e il
Poeta soffre di questa inadeguatezza.

Premessa:
il problema della
teologia mistica del
N el ciel che più de la sua luce prende
fu’ io, e vidi cose che ridire
né sa né può chi di là sù discende.
Paradiso
Questo inizio del Paradiso pone immediatamente il problema della possi-
bilità di una lettura in chiave di esperienza mistica o di accesso alla teologia
mistica rispetto alla terza Cantica […].
I argomentazione Diversi canti del Paradiso hanno l’involucro, il duro guscio di un esame.
della I tesi: Bisogna ritornare a questa voce potente, il Paradiso è un testo duro, ma un
necessità
testo teologicamente serrato, che si serra intorno al bisogno autoritativo di
di un costante
fondamento verità. Autoritativo e pieno di verità nel senso in cui Dante dice «luce intel-
di verità lettüal, piena d’amore».
I tesi: Non è assolutamente da pensare, né può essere letto in nessuna parte,
al centro di tutto come un’esperienza mistica soggettiva, è sempre l’«adaequatio rei et intel-
la luce intellettüal,
lectus»; l’intelletto di Dante tiene fermo fino alla fine, ma è una luce intellet-
piena d’amore e non
l’esperienza mistica tuale che è stata riempita d’amore, ma non cessa per questo di essere luce
soggettiva intellettuale, come dice la dossologia, che vige dai primi tempi fino ad oggi
e vigeva ancor più al tempo di Dante, che il finale di tutta la storia giovannea
della lettura degli Evangeli è che ci consegna un corpo «plenum gratiae et
veritatis»; «luce intellettüal, piena d’amore» è lo stesso che dire «plenum
gratiae et veritatis». La grazia a cosa serve se non autorizza la verità? Non c’è
in Dante niente di esperienzialmente romantico, nessuna parte è data al sog-
getto per godere, ma per mostrare un «intellectum plenum gratiae et verita-
tis». […]
II tesi: A me sembra, […] che il poema di Dante è un poema di intercessione
Forum critico

la Commedia come del desiderio e non di appagamento della plenitudine, perché qui «è defet-
poema del desiderio
tivo», citando sempre Dante, «ciò ch’è lì perfetto». Se noi non partiamo da
di ciò che è perfetto;
consapevolezza questo verso capitale della Commedia, perché «è defettivo ciò ch’è lì perfet-
del limite umano to», non credo che possiamo arrivare a comprendere la straordinaria inte-

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Paradiso • Canto I

laiatura senza appagamento della Commedia, perché l’appagamento sareb-


be così piccolo in un soggetto limitato, sarebbe ridurre l’infinita grandezza
del Paradiso, come hanno osservato i più fini teologi commentando la parte
finale del Paradiso. Dio tace; non c’è una parola di Dio in tutta la parte fi-
nale del Paradiso. E il «veder voleva come si convenne / l’imago al cerchio
e come vi s’indova», è un problema del «disiro» di Dante, ma anche qui non
c’è nessun “gustate”, anzi è la rappresentazione meno gustativa di tutta la
possibilità di lettura del Paradiso, precisamente perché qui «è defettivo ciò
ch’è lì perfetto».
I argomentazione E subito dopo:
della II tesi:
Ormai sarà più corta mia favella,
limiti dell’esperienza
terrena, pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante
impossibilitata che bagni ancor la lingua a la mammella.
a esprimere la
Ecco che l’ultimo occorrere di quella immagine ripetuta, dalla fine del Pur-
perfezione divina
gatorio, dall’andarsene di Virgilio, sino alla visione di Dio nel Canto finale
del Paradiso, è sotto il segno di una immedicabile difettività della esperien-
za terrena.
Dovendo salvare o la propria esperienza, o l’irraggiungibilità di Dio,
Dante compie questo salto radicale che nessun mistico ha mai fatto, quello
di dannare la propria esperienza lasciandola sotto il segno della radicale di-
fettività pur di salvare la sigillata melodia del divino. […]
In questo senso allora a me pare che l’ultima visione del Paradiso, l’ultima
immagine, quella celeberrima della nave d’Argo,
Un punto solo m’è maggior letargo
che venticinque secoli a la ’mpresa
che fé Nettuno ammirar l’ombra d’Argo,
debba essere prima che richiamata da altre colte immagini, intertestualmen-
te riportata a un’altra vista dal fondo degli abissi, che è quella con cui Dante
rappresenta la disparizione di Beatrice:
Da quella regïon che più sù tona
occhio mortale alcun tanto non dista,
qualunque in mare più giù s’abbandona,
quanto lì da Beatrice la mia vista.
La vista di Dante rispetto a Beatrice è come quella di colui che più s’abban-
dona al fondo del mare e riguardi in alto l’altezza del cielo. Questa insop-
primibile distanza da cui Dante vede ormai allontanarsi Beatrice, come dal
fondo del mare, e l’immagine della nave d’Argo sono assolutamente sullo
stesso paradigma.
II argomentazione È questa insopprimibile distanza, come una visione dal fondo del mare
della II tesi: – qui agostiniana, «abyssus abyssum invoca» –, è proprio la lettura lettera-
il poema di Dante
le di quel salmo agostiniano, della lacuna d’abisso, che impedisce a Dante di
non è un poema
mistico ma un fare del poema un poema mistico. Esso rimane un poema di infinito desi-
poema del desiderio derio […]; l’esperienza stessa di Dante è “in futurum”, è consegnata per que-
sta radicale difettività a una perfezione a venire, ma che non sarà mai pos-
sibile esprimere […]. A me sembra che l’intera esperienza del Paradiso
debba essere letta così, in questa specie di rinvio ad unico poiché nessuna
figura, né vocale né impronta stigmatica, men che mai esperienza, può ri-
condurre.
Conclusione: Allora, avendo tutto bruciato, di Dante forse, dell’esperienza mistica in
in Dante il
Forum critico

Dante, rimane soltanto quel primo impulso, e cioè la impossibilità di soddi-


misticismo è
sfare il desiderio e il rinvio a quell’unico poi.
solo nell’impulso
insoddisfatto del Carlo Ossola, La poesia mistica della terza Cantica,
desiderio di ciò che in Dante poeta cristiano, Polistampa, Firenze 2001
è perfetto

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Paradiso • Canto I

L’immagine e il testo

Beatrice in Paradiso
Abbiamo lasciato Beatrice in Purgatorio, vestita di rosso (sim- Le altre due figure ci mostrano la progressiva “angeliz-
boleggiante la Carità), velata di bianco (la Fede), ammantata di zazione” della figura di Beatrice nell’arte dell’Ottocento. Ary
verde (la Speranza). Come dobbiamo immaginarcela in Paradi- Scheffer ci mostra una Beatrice ancora vestita come in Purga-
so? Dante non dà alcuna indicazione in proposito: attraversando torio, anche se l’abito è diventato più rosa che rosso, sfumando
le sfere celesti, la «gentilissima» è sempre più bella, i suoi occhi l’acceso cromatismo originale – si noti tuttavia come si intra-
sempre più splendenti, ma non ci viene fornita alcuna indica- vedano ancora il manto verde, il velo bianco, la corona d’ulivo.
zione più precisa sul suo aspetto. Gli artisti che qui presentiamo È una Beatrice che non guarda Dante, ma volge misticamente
hanno lavorato, di conseguenza, di fantasia, restituendoci della gli occhi in alto; tipicamente, Dante è in basso rispetto a lei, il
guida celeste di Dante interpretazioni figurative diversamente che rispecchia la gerarchia fra il Poeta e la sua guida in tutto il
orientate. Paradiso.
Il miniatore della figura 1 ci mostra Beatrice ancora sul prato Questo processo di spiritualizzazione culmina nell’illustra-
fiorito del Paradiso Terrestre, mentre addita a Dante la strada zione di Gustave Doré: qui Dante è ancora più in basso rispetto a
verso le sfere celesti. È una Beatrice bionda, tratto convenziona- Beatrice, in atteggiamento adorante della donna-guida. Beatri-
le della bellezza dell’epoca che non trova però conferma nei testi ce, distaccata da lui, guarda in alto: i lunghi capelli sciolti, la veste
danteschi; indossa un abito di foggia medievale, con una vistosa come una tunica senza tempo, l’aureola, la qualificano come una
croce-gioiello a dichiarare la sua funzione religiosa. santa, non molto diversa dagli angeli che le fanno corona.

▲ [1] Divina Commedia, miniatura, sec. XIV. ▲ [2] Ary Scheffer, Dante e Beatrice, ▲ [3] Gustave Doré, illustrazione
Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana. 1851. Boston Museum of Fine Arts. per la Divina Commedia, 1861.
L’immagine e il testo

Osservare e riflettere
1. Quale ti sembra la rappresentazione di Beatrice più 3. A quale idea di Paradiso corrispondono gli elementi inseriti
coerente col testo della Commedia? Argomenta prendendo da Doré nella rappresentazione? Secondo te, perché
in esame tutt’e tre le illustrazioni. l’artista li ha aggiunti?
2. Rispetto al testo dantesco, in quale di queste illustrazioni il
rapporto Dante-Beatrice ti sembra meglio rappresentato?

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