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Magaudda e Neresini

GLI STUDI SOCIALI SULLA SCIENZA


E LA TECNOLOGIA

CAPITOLO 2
SCIENZIATI, LABORATORI E COMUNICAZIONE PUBBLICA
DELLA SCIENZA

Costruire fatti scientifici


La ricerca scientifica “dovrebbe essere vista come il prodotto di una costruzione anziché il
risultato di una descrizione”.
Un ruolo fondamentale è rappresentato dalle conoscenze tacite: ricerche e imprese
scientifiche hanno successo quando ci si pone in contatto diretto gli uni con gli altri, perché
questo è l’unico modo in cui si può trasmettere quella parte della propria conoscenza,
esperienza che non può essere codificata in dei resoconti formali. La riproducibilità degli
esperimenti è uno dei pilastri della versione idealizzata della ricerca scientifica, ma implica il
ricorso a dei saperi taciti accessibili solo attraverso l’interazione sociale.
La ricerca scientifica ha quindi un carattere controverso: non procede in modo lineare e
ordinato, anzi deve sempre affrontare dei margini di indeterminazione che si possono
colmare solo grazie a risorse sociali. In altre parole, ciò che avviene in un laboratorio è
connesso con quello che succede al suo esterno.

Ad esempio, per sapere se esistono le onde gravitazionali occorre uno strumento per
rilevarle; ma come posso sapere se lo strumento è affidabile, se sta misurando ciò che
intendo misurare, nel momento in cui mi sto ancora chiedendo se questa cosa esista? Per
uscire da questo circolo vizioso, si fa affidamento a dei criteri di valutazione extra-scientifici,
non riconducibili a dati sperimentali, come la reputazione scientifica dei ricercatori che hanno
costruito tale strumento di rilevazione.

Costruzionismo
L’atteggiamento agnostico degli studi sulle tecnologie e le scienze nei confronti della
conoscenza scientifica non significa indebolirne il valore, ma sospendere il giudizio su
questioni come verità, realtà, razionalità pur senza affermare che tutte le conoscenze si
equivalgano o che la realtà sia solo una costruzione della nostra mente.
Sostenere che le conoscenze scientifiche siano costruite, anzi, le irrobustisce: vengono
inserite in una rete di relazioni da cui derivano e per cui sono preziose, poiché
contribuiscono alla sua formazione e mantenimento. Il costruzionismo “non sostiene
l’assenza della realtà materiale dalle attività scientifiche; richiede solo che la realtà o la
natura siano considerate come entità continuamente ritrascritte all’interno di attività
scientifiche o di altre attività”.

Gli strumenti scientifici


Molti soggetti diversi dai ricercatori contribuiscono al processo di costruzione delle
conoscenze scientifiche. Si tratta in molti casi di attori non-umani, che però hanno un ruolo
non meno rilevante di scienziati e tecnici.
Uno strumento scientifico è “qualunque sistema, a prescindere dalle dimensioni, dal costo e
dalla sua natura, che ci offra una rappresentazione visiva, non importa di che tipo, in un
testo scientifico”. Perché una apparecchiatura costituisca uno strumento, deve quindi
produrre una qualche forma di rappresentazione considerata talmente fedele al fenomeno
studiato da poterla usare al posto del fenomeno stesso. Questa produzione e trasformazione
di rappresentazioni attraverso gli strumenti permette l’avanzamento della catena di passaggi
che conduce dall’artefatto (lo strumento) al fatto scientifico.

Gli strumenti orientano il lavoro degli scienziati: definiscono le loro possibilità di azione,
sollecitano la formulazione di determinati problemi e ne inibiscono altri. Gli strumenti fanno sì
che un problema scientifico si possa affrontare, che sia abbastanza definito da risultare
“maneggiabile”.
Ad esempio, alcuni ricercatori hanno iniziato a lavorare nella “data driven research” perchè
la disponibilità di grandi quantità di dati permette di dare meno importanza alle ipotesi di
ricerca, per concentrarsi sull’analisi dei dati già accumulati o di quelli che si possono
ottenere rapidamente attraverso gli strumenti a disposizione.
La crescente quantità di dati scientifici digitalizzati ha assegnato un ruolo importante ai
database, tecnologia che ha favorito ulteriori cambiamenti e sviluppato nuove problematiche
nell’ambito della ricerca scientifica. Gli scienziati hanno dovuto attrezzarsi per interagire con
enormi quantità di dati, cercando la collaborazione di nuove figure (statistici, informatici) e
dando vita a vere e proprie infrastrutture informatiche. Hanno anche riconfigurato il loro
modo di procedere, per usare i nuovi strumenti di cui dispongono e ottenere risultati
compatibili con le logiche e formati di archiviazione dei database.

La scienza oltre i laboratori


La ricerca scientifica può avvenire solo grazie a un continuo approvvigionamento di risorse,
e questa dipendenza dall’esterno condizione l’attività nei laboratori. Chi mette a disposizione
della scienza ciò che le serve per funzionare si aspetta qualcosa in cambio: contributi per
l’innovazione tecnologica, cura di malattie, coinvolgimento in decisioni e dibattiti pubblici etc.
Neanche la “ricerca pura” si può muovere del tutto liberamente: per accedere alle risorse
che le servono deve negoziare con i decisori politici e deve comunque rendere conto delle
sue attività alla collettività.
La conoscenza scientifica mantiene la propria solidità perché viene costantemente usata
nelle reti di relazioni che vanno oltre i confini di un laboratorio. “Ogni volta che un fatto
scientifico viene verificato e una macchina funziona, significa che le condizioni del
laboratorio o dell’officina sono state estese in qualche modo”.
La prospettiva di ricercare un futuro desiderabile ha un ruolo fondamentale e nei processi di
costruzione degli scenari sociotecnici le promesse della tecnoscienza possono essere
rappresentate come previsioni sufficientemente attendibili. Questi scenari suscitano
aspettative che, anche se non certamente soddisfatte in futuro, sono in grado di mobilitare
risorse nel presente, legittimando scelte politiche e orientando comportamenti a sostegno
della scienza oppure investimenti in specifici ambiti di ricerca.
Sono infatti sempre presenti diverse posizioni in campo, vari attori coinvolti, questioni
eterogenee da affrontare e il problema di stabilire quale sia la più rilevante. Ciò che accade
è la risultante di questo insieme di spinte, interessi e forze, a volte divergenti e altre volte
orientate nella stessa direzione. Ogni evento, cambiamento e trasformazione riconfigura la
geografia delle differenze, del potere e delle disuguaglianze sociali; alcuni ne traggono
vantaggio, altri ne vengono danneggiati.

La scienza nella sfera pubblica


Spesso le questioni su cui manca ancora un accordo fra scienziati occupano un ruolo di
rilievo nei media (es. clonazione, bioetica), ma anche fatti scientifici consolidati possono
diventare controversi quando si spostano nell’ambito della sfera pubblica (es. vaccini,
cambiamento climatico). Inoltre, la ricerca ha sempre bisogno di assicurarsi risorse per il
proprio funzionamento, spingendosi quindi al di fuori dei laboratori per attrarre l’attenzione e
alimentare la propria legittimazione agli occhi di interlocutori e possibili sostenitori.
Per questi motivi, gli scienziati devono confrontarsi con registri comunicativi diversi da quelli
che caratterizzano la ricerca stessa; il lavoro della scienza procede poi lentamente, ma sulla
scena pubblica le vengono richieste risposte immediate e certe; le conoscenze scientifiche
sono ricche di sfumature e condizioni, mentre la comunicazione pubblica si muove
attraverso semplificazioni, metafore e allusioni.

La scienza non può ritirarsi, chiudersi in una “torre d’avorio” ed evitare di compromettersi
con la società in nome di una presunta superiorità. Lo studio della comunicazione pubblica
della scienza rappresenta un ambito necessario per comprendere davvero come funziona la
ricerca scientifica e come contribuisca alla costruzione dell’ordine sociale.
CAPITOLO 7
INFRASTRUTTURE E STANDARD

Le infrastrutture sono assemblaggi che permettono una serie di attività ibride, sia umane che
tecnologiche, partendo da dei processi di classificazione. Questi processi svolgono un ruolo
cruciale nella costruzione degli standard, e quindi nei processi di standardizzazione.

Problematizzare le infrastrutture dell’informazione


Le infrastrutture dell’informazione sono il risultato di un incontro fra un artefatto informativo
(come un database o una piattaforma social) e una qualsiasi attività umana. L’approccio
ecologico sottolinea come nessuna infrastruttura o piattaforma possa esistere e mantenersi
in attività senza convergere con altre strutture sociali, tecniche o materiali.
Attraverso gli usi quotidiani, l’infrastruttura diventa poi invisibile, costituendo lo sfondo delle
nostre attività di scambio, comunicazione, lavoro e gestione del tempo. L’infrastruttura
raggiunge così il proprio fine: rendere possibili le attività senza dover considerare
consapevolmente i criteri, le scelte e le procedure che le fanno funzionare. L’invisibilità
dell’infrastruttura indica che c’è stato un momento in cui si è appreso il suo uso e uno in cui
questo uso è diventato automatico, si è naturalizzato.

Le infrastrutture hanno quantità e tipi di utilizzatori non predefiniti, perché possono


corrispondere a figure molto differenziate: vengono usate da persone che appartengono a
comunità, gruppi e ambienti diversificati e non è detto che il loro uso sia lo stesso in tutti
questi contesti, o che l’infrastruttura abbia lo stesso ruolo in ognuno di essi. La stessa
infrastruttura può essere marginale per l’attività svolta da un gruppo e centrale per un
gruppo diverso; può risolvere i problemi di un gruppo di utilizzatori e crearne ad altri (ad
esempio chi si occupa della manutenzione di tale infrastruttura).
Nella loro evoluzione, le infrastrutture si intrecciano con altri sistemi tecnologici ed elementi
materiali, devono dialogare con supporti diversi e potersi installare su di essi e trasformarsi
in continuazione, espandere le loro possibilità, integrare funzioni, sviluppare interfacce.

Per potersi installare su supporti già esistenti, per comunicare e far comunicare fra loro gli
elementi tecnici che le compongono, le infrastrutture hanno come principali elementi
costitutivi gli standard, che stabilizzano e regolano le attività intorno ad esse.

Caratteri delle infrastrutture


Il funzionamento delle infrastrutture rinvia al concetto di ecologia, che permette di descriverle
come ambienti che consentono lo svolgimento di attività e lo sviluppo di relazioni.

Relazioni ecologiche

Il termine “ecologia” evidenzia l’importanza di spazi e relazioni fra i dispositivi e le


infrastrutture, per sottolinearne il carattere relazionale. In una prospettiva ecologica, le
infrastrutture hanno queste caratteristiche
● incorporazione e modularità rispetto alle altre strutture sociali, materiali o tecniche
● invisibilità rispetto agli utilizzatori, che le danno per scontate
● l’esistenza di una finalità
● la presenza di categorie di utilizzatori
● l’estensione spazio-temporale diversificata
Con questo termine si rifiutano le dicotomie sociale/naturale e sociale/tecnico. Si
considerano tutti gli elementi infrastrutturali presenti, si guarda ai processi che li
coinvolgono, prendendo in esame tutto ciò che è presente fra le reti. Si osservano le
pratiche di lavoro sia nella progettazione sia nell’uso delle infrastrutture, senza soffermarsi
su un unico punto di vista o ricondurre i fenomeni ad un’unica causa o variabile, senza
distinguere tra prima e dopo, cause ed effetti.
Il pensiero ecologico richiede un’inversione del pensiero quotidiano: quest’ultimo è orientato
da ciò che è già stato, mentre il pensiero ecologico enfatizza usi e conseguenze.

Le infrastrutture come reti

Gli artefatti dell’informazione (database, software, sistemi operativi) facilitano, mediano,


condizionano e talvolta guidano i comportamenti. Intrecciandosi e dando forma a reti di
relazioni, attività cooperative o distribuite in tempi, luoghi e usi diversi diventano
infrastrutture: si possono quindi considerare come un fattore di organizzazione delle pratiche
e dei comportamenti sociali.

Le infrastrutture sono poco visibili nella loro architettura, tranne quando ci sono problemi o
guasti nel loro funzionamento. Gli studiosi hanno proposto un metodo per risalire al livello
dell’architettura dell’infrastruttura attraverso due tipi di analisi, a partire da
● l’interdipendenza strutturale fra reti tecniche e standard: studio dei processi di
standardizzazione che accompagnano lo sviluppo dell’infrastruttura, descrivendo una
mappa delle relazioni e l’innesto su altre infrastrutture o su dispositivi
● il legame con la produzione di conoscenza e potere: analisi dell’articolazione degli
aspetti regolativi e degli standard che accompagnano la diffusione dell’infrastruttura,
la mantengono in vita e possono cambiarla. Questo metodo viene chiamato
inversione infrastrutturale e mette in luce le costrizioni che le infrastrutture producono
in termini di classificazioni, standard, linguaggi ed esclusioni strutturali di oggetti e
persone (esempio: standardizzazione della ricerca genetica, che orienta il lavoro
degli scienziati). Si pone al centro ogni aspetto dello sviluppo di un’infrastruttura e
delle piattaforme, non limitando l’analisi al processo iniziale o ai discorsi
istituzionalizzati che la riguardano.

Rottura e (in)visibilità

Non ci accorgiamo che una infrastruttura esiste finchè questa funziona: la notiamo solo
quando qualcosa va storto o si rompe. Questa esperienza di rottura può assumere varie
forme: un malfunzionamento, un guasto temporaneo o addirittura delle proporzioni
catastrofiche (esempio: Chernobyl, Costa Concordia). Queste rotture, come le pratiche di
manutenzione e riparazione, sono un’occasione per fare ricerca su come una infrastruttura
funzioni, puntando l’attenzione su ciò che succede nel momento in cui smette di farlo.
Convergenza e “infrastructuring”

Le infrastrutture non sono solo artefatti tecnologici: esistono e hanno rilevanza sociale
perché assemblano tali artefatti con attori umani, pratiche sociali, organizzazioni e
conoscenze intorno ad un’attività. Questo intreccio di infrastrutture, piattaforme, individui e
gruppi che condividono convenzioni, linguaggi e tecniche viene chiamata “convergenza”.
La stabilità di questa condizione è garantita dall’esistenza di elementi standardizzati nei
dispositivi tecnici, a cui corrisponde un insieme di pratiche variabile. All’interno di queste
pratiche dominano pratiche costanti di apprendimento della parte tecnica (non-umana) da
parte dei partecipanti, che sono in continua evoluzione e quindi speculari rispetto alla
stabilità degli standard.
Le infrastrutture sono continuamente create, implementate, articolate e usate: queste attività
collettive rispondono alla necessità continua di risolvere le tensioni fra l’architettura
infrastrutturale e gli usi che se ne fanno, tra diffusione e manutenzione, usi e riparazione -
fenomeni sia ubiqui che personali, sia fragili che robusti.

Fragilità e robustezza

Le infrastrutture sono sia robuste sia flessibili, in quanto reti di relazioni ecologiche. Questa
flessibilità può trasformarsi in fragilità e rendere le infrastrutture vulnerabili. Da questa
fragilità, un aspetto della molteplicità che caratterizza le relazioni ecologiche, deriva il
continuo bisogno di “cura” delle infrastrutture e la centralità delle pratiche di manutenzione e
riparazione delle stesse.

Standard e standardizzazione
Gli oggetti liminari sono elementi materiali o immateriali caratterizzati da robustezza e
flessibilità, che si collocano al confine tra mondi sociali diversi. Vengono naturalizzati da
diversi mondi sociali o comunità di pratica, a partire da traduzioni multiple, senza che la loro
integrità o efficacia vengano meno. Un caso esemplare di oggetto liminare è lo “standard”.

Dati e strutture di dati

I dati si presentano come una relazione fra un oggetto e la sua rappresentazione numerica.
Hanno spesso origine e forme diverse, ma devono confluire nella stessa struttura
informativa in modo da costituire la trama di infrastrutture e piattaforme: vanno quindi
organizzati.
Lo strumento fondamentale per questa organizzazione sono le classificazioni, cioè il
raggruppamento in classi che ne interpretano le qualità e ne favoriscano l’integrazione in
database complessi. Questa classificazione si esprime in forme standard soprattutto nei
metadati, cioè classi di dati che contengono una descrizione delle loro caratteristiche
intrinseche (formato, data di creazione etc.) ed estrinseche (software e hardware previsti
etc.). Questi metadati sono forme di classificazione che si prestano ad essere
standardizzate, favorendo lo scambio e la circolazione di dati.
Standard e classificazioni

Fra standard e classificazioni c’è un rapporto diretto: gli standard sono classificazioni di dati
rese operative, cioè diventate norme o convenzioni di riferimento per consentire e
organizzare una certa attività di elaborazione e scambio di dati.
Le caratteristiche degli standard sono
● nidificazione: ogni standard è collegato o innestato su altri standard, secondo
protocolli espliciti oppure in modo implicito
● distribuzione in modo ineguale in diversi ambienti d’uso: possono adattarsi bene in
alcuni ambienti e costituire un problema in altri
● la codificazione e prescrizione di etiche e valori: questo può avere conseguenze
rilevanti per gli individui (come accade nei test universitari standardizzati)

Le diverse forme di classificazione organizzano i dati e gli interventi di regolazione rispetto


alle tecnologie, e in particolare alle infrastrutture. Permettono di stabilizzare forme di
scambio, di attività e di convergenza che costituiscono il flusso digitale delle infrastrutture,
rendendolo possibile e affidabile. L’esistenza di standard contribuisce alla stabilità di tutti i
dispositivi e delle infrastrutture in particolare, consentendo secondo regole precise
l’aggancio di altri dispositivi o di nuovi oggetti ad infrastrutture già esistenti.

Lo standard come dispositivo di cooperazione tra mondi sociali

Fra tutti gli oggetti liminari, lo standard è quello che rende più stabile la cooperazione fra i
diversi mondi sociali, consentendo ad un gruppo di persone di lavorare insieme anche senza
che vi sia consenso. Importante è la sua funzione di cooperazione e incontro nonostante la
diversità dei mondi sociali in cui viene usato: una volta stabilito, lo standard si impone per il
suo essere “superiore” ai singoli interessi di mondi sociali differenti e alle loro caratteristiche,
richieste ed esigenze.
L’autorità e forza di uno standard non viene calata dall’alto: è l’esito finale di conflitti e
negoziazioni tra i diversi gruppi sociali e i loro interessi, anche contrastanti. Pur
configurandosi come universale, lo standard viene però continuamente riappropriato nei
contesti del suo utilizzo, assumendo carattere locale (ad esempio, in ambito medico viene
adattato in diversi protocolli). Viene riletto e reinterpretato a partire dalle specificità locali:
l’universalità dello standard è sempre situata, locale e molteplice, senza perdere la propria
capacità di tenere assieme gli elementi di una ecologia infrastrutturale.

Lo standard come dispositivo di inclusione/esclusione

La spinta alla classificazione e standardizzazione riduce la complessità e la diversità: crea


categorie residuali sotto all’etichetta “altro”, nel “non standard”. Gli standard, e ancora prima
le classificazioni, sono dispositivi potenti non solo di cooperazione ma anche di esclusione.
L’esclusione crea terre di confine e gruppi marginali, che appartenendo a più comunità di
pratica non sono riconosciuti e naturalizzati da nessuna di esse, restando bloccati in una
forma di alterità che ne causa l’esclusione: la loro traiettoria finisce nella casella “altro”, in
una marginalità che è eccezione o persino devianza dalla norma e dallo standard.
Diventa cruciale riflettere su come preservare la molteplicità dell’ecologia e delle biografie
nei diversi mondi sociali nella progettazione e nell’uso delle infrastrutture, in modo che
queste non diventino eccessivamente escludenti e marginalizzanti.

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