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66 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

COMPETENZE SOCIO PSICO


PEDAGOGICHE

1.4 Scuola secondaria di secondo grado

37 Il/la candidato/a argomenti sul piano pedagogico-didattico i concetti di


com- petenze culturali (per lo sviluppo dei saperi fondamentali),
competenze professionali (per l’occupabilità) e competenze sociali (per la
cittadinanza) quali principali finalità dei curricoli della scuola
secondaria di secondo grado.

L’istruzione e la formazione che i giovani incontrano nel secondo


ciclo d’istruzione sono finalizzate al processo educativo della crescita e della
valo- rizzazione della persona, mediante l’interiorizzazione e l’elaborazione
critica delle conoscenze disciplinari e interdisciplinari — competenze
culturali, l’ac- quisizione delle abilità tecniche e professionali — competenze
professionali, e la valorizzazione dei comportamenti personali e sociali —
competenze sociali. Le competenze culturali trasformano il sapere
disciplinare in un processo finalizzato alla crescita e valorizzazione di
ciascun allievo, rivolto all’interio- rizzazione e all’elaborazione critica
delle conoscenze fondative di ciascuna disciplina.
Il docente ha il compito di favorire la significatività dei saperi, di
essere in grado di raccordare il sapere formale e quello non formale, e
soprattut- to stimolare la metacognizione nei suoi allievi. Per attuare
tali finalità e
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promuovere le abilità degli studenti l’insegnante può avvalersi di svariate


metodologie, tra cui le didattiche attive e riflessive.
Le competenze professionali sviluppano, a partire dai saperi, le abilità tecni- che
che conducono ogni allievo verso un fare consapevole e, quindi, verso quelle
richieste che ritroverà nel mondo del lavoro al termine del proprio indirizzo
di studi.
Uno degli obiettivi finali della scuola secondaria, ma non di poca importanza,
deve essere quello di far sviluppare la «competenza imprenditoriale» negli
studenti, e far raggiungere quindi una delle otto competenze chiave-europee.
Per raggiungere tale finalità il docente deve promuovere la capacità degli
allievi di tradurre le idee in azione, di assumersi rischi, pianificare obiettivi,
sviluppare creatività e innovazione. Tra le metodologie più indicate possiamo
far riferimento alla didattica laboratoriale e quella esperienziale.
Nelle competenze sociali rientrano tutte le competenze personali, interper-
sonali e interculturali; le competenze sociali si riferiscono, inoltre, a tutte le
forme di comportamento che consentono alle persone di partecipare
efficacemente e costruttivamente alla vita sociale e lavorativa.
Un altro obiettivo prioritario della scuola è proprio quello di sviluppare
alcune abilità quali: saper comunicare, saper distribuire la leadership, saper
gestire i conflitti, saper risolvere i problemi, saper prendere decisioni.
Le metodologie didattiche più indicate sono quelle simulative: il role playing,
l’impresa simulata, il cooperative learning.

38 Il/La candidato/a illustri come contribuire a rendere le studentesse e gli


studenti di una classe di istruzione secondaria di secondo grado consapevoli
delle proprie potenzialità e dei propri stili cognitivi, anche facendo
riferimento agli aspetti caratterizzanti la mediazione didattica.

Le difficoltà che gli studenti trovano nell’apprendimento delle discipline


nella secondaria si incontrano spesso anche nella distanza tra lo stile di ap-
prendimento degli studenti e quello di insegnamento proposto nelle singole
discipline dai docenti.
Lo stile di apprendimento riguarda la tendenza dello studente a preferire un
certo modo di apprendere e interessa la sua modalità di percepire e reagire a
compiti con comportamenti e strategie ricorrenti.
Ciascun allievo si differenzia per quanto riguarda la modalità preferenziale di
percezione, ragionamento e memoria, collocandosi in una delle seguenti
polarità opposte: sistematico-intuitivo, globale-analitico, impulsivo-riflessivo,
verbale-visuale, autonomo-dipendente dal campo.
Migliorare la consapevolezza negli allievi rispetto alle caratteristiche e dif-
ferenze dei propri stili cognitivi diventa di fondamentale importanza per
rendere efficace l’intero processo di insegnamento-apprendimento.
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Innanzitutto è necessario che il docente conosca il proprio stile di


insegna- mento e che promuova l’identificazione degli stili di
apprendimento anche negli allievi, per poi rendere flessibili le proprie
modalità di condurre la lezione adeguandole agli stili degli alunni.
Per raggiungere tale obiettivo il docente deve saper variare gli stimoli, le
opportunità e i linguaggi di apprendimento che presenta agli studenti
ma anche offrire un ampio repertorio di attività e situazioni di
apprendimento in relazione agli obiettivi e alle specificità di quel
segmento formativo.
Inoltre deve saper utilizzare una pluralità di mediatori didattici tra quelli
attivi, iconici, analogici e simbolici.
I mediatori attivi fanno ricorso all’esperienza diretta, al learning by
doing; i mediatori iconici utilizzano le rappresentazioni del linguaggio
grafico; i mediatori analogici si rifanno all’apprendimento non verbale e
per simu- lazione; i mediatori simbolici utilizzano i codici linguistici
convenzionali. La maggior parte dei docenti utilizza più frequentemente i
mediatori sim- bolici, a scapito degli altri mediatori, intercettando in
tal modo solo gli studenti con una specifica modalità di apprendimento,
come avviene nella lezione trasmissiva in cui è utilizzato prevalentemente il
linguaggio verbale. Variare l’utilizzo di differenti mediatori in classe
consentirebbe invece agli studenti di apprendere più efficacemente e
faciliterebbe anche l’apprendi- mento degli studenti con disabilità e altri
Bisogni Educativi Speciali.

39 Il/La candidato/a illustri quali strategie si possono utilizzare per


valorizzare le capacità dei singoli studenti e studentesse per favorire
l’affermazione di una lea- dership democratica.

L’affermazione di una leadership democratica a scuola si può attuare


attraverso l’utilizzo di strategie generali e l’applicazione di tecniche
didattiche strutturate. I docenti, dopo aver individuato le abilità e i talenti
degli studenti, possono assegnare a turno il ruolo di aiuto-docente in
attività di supporto alla didattica come, ad esempio, organizzare le
interrogazioni programmate, supportare nel controllo quotidiano di chi
ha svolto o meno i compiti assegnati.
Predisporre un registro di pianificazione delle attività può facilitare sia il
ruolo assegnato all’allievo sia il controllo che il docente poi esercita per
monitorare l’attività. Se in classe sono presenti studenti con Bisogni
Educativi Speciali i docenti possono, inoltre, assegnare a turno il ruolo di
tutor a un compagno esperto in una disciplina che, a seguito di adeguata
formazione del docente, può aiutare gli alunni con maggiore difficoltà.
Una delle tecniche più efficaci nell’affermazione di una leadership
democratica è il cooperative learning. Tale metodologia si basa sulla
formazione di piccoli gruppi in cui gli studenti lavorano assieme per
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migliorare reciprocamente il loro apprendimento.

I principi di questa tecnica, teorizzati da Jhonson e Jhonson, ovvero i pi-


lastri per la sua buona riuscita sono: interdipendenza positiva, interazione
costruttiva diretta faccia a faccia, responsabilità individuale e di gruppo,
insegnamento e uso di competenze sociali, revisione e controllo dell’attività e
valutazione individuale e di gruppo.
Il cooperative learning è una modalità di lavoro di gruppo in cui tutti gli
studenti diventano protagonisti perché sono coinvolti in attività che li inca-
stra in un gioco di interdipendenza e che non permette di sottrarsi al lavoro
comune: i ruoli che gli studenti assumono nel cooperative learning sono
infatti complementari.
L’affermazione di ciascun studente e di ciascun gruppo riesce solo se il docente
struttura l’attività, gli spazi, i materiali, in stretta relazione con i ruoli, che
devono essere ben definiti in modo da risultare interdipendenti uno dall’altro.
A seconda della specificità, ciascun allievo può diventare leader di un ruolo,
di un materiale, di un compito affidato dal docente, per cui è responsabile e
su cui verrà valutato.

40 La scuola dovrebbe promuovere negli alunni un modo autonomo di pensare


stimolando l’attitudine ad apprendere lungo tutto l’arco della vita. Il
candidato illustri le abilità e competenze da sviluppare nei contesti formativi
per potenziare e rinforzare la curiosità intellettuale, l’interesse e la
motivazione.

La curiosità, l’interesse e la motivazione ad apprendere nella scuola seconda- ria


di secondo grado sono strettamente connessi alla tipologia di curricolo
scolastico, al valore che viene dato da ciascuno studente all’apprendimento
scolastico, alle competenze didattiche possedute dal docente.
A seconda del curricolo scolastico le discipline hanno un maggior peso
teorico o pratico, promuovono l’apprendimento convergente o divergente,
passivo o esperienziale.
Il corretto orientamento tra la scuola secondaria di primo e quella di secondo
grado costituisce un punto di partenza importante per potenziare l’interesse
ad apprendere.
Ciascuno studente possiede inoltre una motivazione intrinseca, legata alla
concezione che riuscire a scuola sia una questione di impegno e padronanza
dei contenuti, connessa con il portare a termine un compito e al personale
successo formativo. Altri studenti possiedono una motivazione estrinseca, per cui
lo studio è sollecitato dal desiderio di ottenere giudizi e voti positivi o per
distinguersi tra i compagni.
I docenti dovrebbero promuovere tipologie didattiche che permettano non
solo di acquisire conoscenze ma soprattutto abilità trasversali, come
migliorare il proprio metodo di studio, saper fronteggiare e rispondere ai
problemi, utilizzare il pensiero strategico, l’autonomia di apprendimento.
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La secondaria di secondo grado dovrebbe, inoltre, incoraggiare


l’apprendi- mento lungo tutto l’arco della vita — lifelong learning,
definito come ogni istruzione generale, istruzione e formazioni
professionale, istruzione non formale e apprendimento informale
intrapresi nelle varie fasi della vita, che dia luogo a un miglioramento
delle conoscenze, delle capacità e delle competenze in una prospettiva
personale, civica, sociale e/o occupazionale. Per risultare maggiormente
attrattiva, la scuola dovrebbe guardare al di fuori essa, sapendo integrare e
collegare gli apprendimenti formali, con quelli non formali e informali.
Per questo la didattica nella scuola secondaria di secondo grado dovrebbe
essere centrata sullo sviluppo delle competenze, in particolare quelle
rintrac- ciabili nel mondo del lavoro: si tratta delle competenze organizzative,
gestionali, relazionali e direzionali, comuni a tutti gli ambiti lavorativi. La
significatività e autenticità dei saperi curricolari proposti, in tal modo,
riuscirebbero a svi- luppare anche la curiosità, l’interesse e la
motivazione degli studenti.

41 Flessibilità, innovazione e rinnovamento sono abilità che la scuola deve


pro- muovere e sostenere. Il candidato illustri come rendere possibile
l’apprendimento di fronte a situazioni nuove e difficili.

La società contemporanea è molto complessa e ha bisogno, pertanto, di


flessibilità e dinamismo, retroattività, dialogicità.
La scuola secondaria di secondo grado, in particolare, deve preparare allo
sviluppo di competenze che si ritrovano nel mercato del lavoro, che è
in continuo cambiamento e che ricerca profili professionali in grado di
rispon- dere adeguatamente alle sollecitazioni della società complessa.
Per raggiungere tale scopo i docenti dovrebbero discostarsi dalla didattica
trasmissiva, poco dialogica e che conduce l’allievo a cercare una risposta
unica e pre-determinata.
La flessibilità didattica si esplica infatti nell’acquisizione della capacità
di transfer, cioè nella capacità di apprendere in contesti nuovi che
comportano una rivisitazione critica delle conoscenze già acquisite e che
prevede il loro utilizzo in situazioni d’uso differenti da quelli solitamente
proposti a scuola. La flessibilità didattica è quindi la pre-condizione
che porta alla ricerca di soluzioni nuove ai problemi proposti, che crea
possibilità e alternative nuove, che sviluppa il pensiero flessibile, critico
e divergente negli allievi. Il docente in classe dovrebbe innanzitutto
estendere lo sguardo oltre la sua disciplina e promuovere la
multidisciplinarietà e interdisciplinarietà e pro- porre saperi che integrano
l’apprendimento formale con quello non formale e informale. Dovrebbe
quindi promuovere i saperi autentici, che fanno parte della realtà
conosciuta e significativa degli allievi e che sono in grado di attivarli
per cercare soluzioni nuove.
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La didattica per competenze consente di sviluppare queste abilità, pro-


muovendo al contempo l’apprendimento metacognitivo e in relazione. Per far
fronte alla complessità e produrre soluzioni innovative, il docente deve essere
in grado di creare le condizioni per promuovere la pluralità dei punti di vista
e lo scambio tra gli studenti, integrando le potenzialità e i talenti di
ciascuno.
Per quanto riguarda gli ambienti di apprendimento reali e virtuali, dovrebbe-
ro anch’essi essere strutturati e arricchiti per sollecitare gli allievi a produrre il
transfer e soluzioni creative.
In particolare lo spazio dell’aula va ripensato perché la conoscenza possa
essere prodotta in una grande varietà di modi e scopi differenti, anche
utilizzando le nuove tecnologie e gli ambienti virtuali di apprendimento.

42 Le competenze dei docenti nella scuola secondaria di secondo grado nel


nuovo millennio.

Le competenze dei docenti nella scuola secondaria di secondo grado nel


nuovo millennio sono legati alla sfida della complessità, alla necessità di in-
dividuare i saperi per l’educazione del futuro attraverso l’utilizzo delle nuove
tecnologie emergenti.
Attualmente i saperi a scuola sono separati all’interno delle discipline e ra-
ramente i docenti affrontano problemi multidisciplinari e interdisciplinari,
legati al vissuto degli allievi, aperti a differenti soluzioni.
Il docente del nuovo millennio dovrebbe promuovere innanzitutto il ca-
rattere multidisciplinare della conoscenza, favorendo negli studenti il pen-
siero complesso, un pensiero che è aperto, multidimensionale, costruttivo,
problematico, non concluso, in grado di fare i conti con l’incertezza e la
pluralità dell’esperienza, con il variare dei modelli simbolici culturali, in
modo creativo e innovativo.
Edgard Morin nei Sette saperi necessari per l’educazione del futuro invita,
inoltre, a potenziare nell’insegnamento: la cecità della conoscenza, i principi
di una conoscenza pertinente, la condizione umana, l’identità terrestre,
come affrontare le incertezze, la comprensione, l’etica del genere umano. I
saperi del terzo millennio vanno pertanto oltre l’epistemologia delle
attuali discipline, ma guardano al mondo del reale e ai bisogni dell’uomo
dell’umanità.
Per insegnare i nuovi saperi per l’educazione del futuro il docente del terzo
millennio dovrà affrontare la sfida della modernizzazione del sistema edu-
cativo, tanto nei curricoli quanto nell’utilizzo più funzionale delle nuove
tecnologie per l’apprendimento.
I docenti di oggi possiedono delle competenze tecnologiche di base, spesso
inferiori a quelle degli allievi e funzionali a pochi strumenti e applicativi.
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La Lavagna Interattiva Multimediale (LIM) e l’uso dei tablet hanno


consen- tito un ampliamento delle modalità di apprendimento per gli
allievi rispetto alla didattica tradizionale, ma raramente questa
strumentazione è utilizzata con continuità e sfruttando a pieno le sue
potenzialità.
Le scuole del futuro saranno sempre più simili a dei «fablab», cioè delle
aule-officine in cui il docente dovrà saper utilizzare simulatori della realtà
virtuale e applicazioni ispirate anche ai videogame.
Il docente del terzo millennio dovrà pertanto conoscere le nuove
tecnologie emergenti, saper colmare il divario con gli studenti presente
oggi nell’uti- lizzo delle stesse, e poter sviluppare nuovi modelli di
lezione che facilitino la condivisione delle competenze e dei saperi.

43 Il candidato elabori, con riferimento a una disciplina, un esempio di


progetta- zione didattica volta a favorire il contributo nei lavori di gruppo
in modo propositivo e funzionale alla consegna richiesta.

Nella disciplina dell’italiano, al quarto anno di un Liceo classico, si


affronta lo studio del Romanticismo.
Il docente, in una prima fase, dedica sei ore di lezioni espositive in cui
spiega i tratti generali del Romanticismo, dandone la definizione,
inquadrando il periodo storico, gli autori principali e alcune loro opere,
nonché le decli- nazioni specifiche per ciascuno Stato interessato da tale
periodo letterario. In una seconda fase decide di avviare alcuni incontri di
didattica laboratoriale, sempre in classe, ma con una disposizione dei
banchi a isole.
Nel primo incontro spiega alla classe le caratteristiche della didattica
labora- toriale: gli studenti saranno suddivisi in mini gruppi di 3-4 alunni,
ciascun gruppo avrà a disposizione del materiale di approfondimento
relativo a uno specifico tema del Romanticismo, oltre a cartoncini
colorati, un cartellone, forbici, colla.
A questo punto il docente dà la consegna: «A partire dalle lezioni
svolte in classe e con il materiale di approfondimento consegnatovi,
ciascun mini-gruppo deve produrre una mappa concettuale che
sintetizzi le parti più importanti dello specifico tema che vi è stato
assegnato. Servitevi dei cartoncini colorati per scrivere le parole-chiave e
incollateli sul cartellone per creare la vostra mappa concettuale».
Poi assegna a ciascun allievo uno dei tre ruoli: il «lettore», che leggerà i testi
consegnati, il «geometra», che sottolineerà le parti più importanti e
taglierà e incollerà i cartoncini sul cartellone, la «memoria», che si accerterà
che tutti abbiano compreso i contenuti assegnati.
Tutti i gruppi dovranno lavorare con la tecnica del cooperative learning e
affrontare, ciascuno con il suo compito, i seguenti processi: individuare
gli argomenti essenziali del tema sottolineandoli nel testo, assegnare
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opportu-
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ne parole-chiave, scriverle sui cartoncini colorati e ritagliarle, discuterne la


disposizione con i compagni e quindi incollarle sul cartellone.
Durante una terza fase, ciascun gruppo mostrerà il proprio cartellone alle
pareti ed esporrà le informazioni a tutta la classe.
La valutazione sommativa terrà conto del rispetto del proprio ruolo durante
l’attività laboratoriale, dell’esposizione dei contenuti, della qualità e comple-
tezza della mappa concettuale, di una verifica finale individuale. In questo
modo il docente utilizzerà una pluralità di modalità valutative: individuali e
di gruppo, di processo e di prodotto, orali, visive e scritte.

44 Elaborare un esempio, sintetico e schematico, di progettazione didattica


rivolta a sviluppare nello studente la seguente capacità facendo riferimento a
una disciplina: riconoscere le proprie attitudini spendibili in un futuro
contesto lavorativo o di studio superiore.

La scuola secondaria di secondo grado deve occuparsi dello sviluppo di


alcune competenze utili per il vicino inserimento nel mondo del lavoro o per
un contesto di studio superiore.
Si tratta delle soft skill, che riguardano lo sviluppo delle attitudini personali
tra cui: saper ascoltare, capacità di negoziazione, sviluppo della comunica-
zione non verbale, capacità di persuasione, abilità di presentazione, public
speaking, capacità di sintesi e focalizzazione di un problema.
Il docente, per promuovere queste competenze negli alunni, deve discostarsi
dalla didattica tradizionale e proporre una tecnica didattica attiva.
Nella secondaria di secondo grado si sta affermando una nuova tecnica,
quella del «debate», in cui gli allievi, suddivisi in due gruppi, sono chiamati
ad argomentare una tesi iniziale data dall’insegnante, ponendosi all’interno di
un gruppo «pro» o «contro» quella tesi.
Facendo riferimento alla disciplina diritto in una classe quinta, poniamo
che il docente, a seguito della trattazione della legislazione inerente la «pena di
morte», decida di utilizzare la tecnica del debate per chiudere questo
segmento didattico.
La classe è stata suddivisa in due gruppi, uno «pro pena di morte» e uno
«contro la pena di morte».
Il docente avvia la discussione aiutando gli studenti nella focalizzazione dei
punti di forza a sostegno della rispettiva argomentazione, attraverso alcune
domande guida.
Gli studenti suddivisi in due gruppi dovranno:
– ricercare le principali tesi e correnti di pensiero pro e contro la pena
di morte;
– stilare un testo della propria tesi;
– organizzare un power point a guida della propria tesi.
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Gli strumenti a disposizione saranno il computer, la stampante, alcuni


fogli; gli studenti utilizzeranno quattro ore in classe e altrettante a casa. Al
termine delle lezioni preparatorie del debate, avrà luogo la vera e propria
discussione: nello spazio dell’aula, o in altro ambiente predisposto per
l’occasione, le due squadre daranno voce alla propria tesi scorrendo le
immagini del power point e facendo parlare tutti i componenti di
ciascun gruppo.
Il docente valuterà in fieri le soft skill di cui sopra e, al termine delle
attività, la qualità della ricerca, l’esposizione in pubblico, l’accuratezza
del power point, la sintesi prodotta nel testo scritto.
Gli studenti potranno autovalutare le proprie attitudini raggiunte
attraverso un questionario o alcune domande metacognitive.

45 Definire il concetto di stereotipo e ipotizzare percorsi di interventi


educativi per il superamento di approcci stereotipici nella scuola
secondaria di secondo grado.

Si definisce stereotipo un’idea preconcetta, non basata sull’esperienza


diretta e difficilmente modificabile. Uno stereotipo, quindi, è una
scorciatoia men- tale usata per incasellare persone o cose in determinate
categorie stabilite, attraverso delle valutazioni rigide, inflessibili, che si
riferiscono a concetti mai appresi in maniera diretta, ma mediati dal
senso comune.
Lo stereotipo porta spesso a un pregiudizio, cioè ad atteggiamenti che si
creano all’interno di un gruppo o singolarmente, e che sono caratterizzati
dall’assumere posizioni di favore o sfavore in riferimento ad una
persona o a un certo tipo di pensiero basato sul senso comune, su stati
d’animo irrazionali. Spesso queste forme di giudizio sono condizionate
dall’origine culturale di un determinato Paese e dalle persone che ci
circondano.
Il docente, come primo intervento educativo, può iniziare sollecitando la
discussione in classe ad esempio sul tema «ci sono lavori per gli uomini e
altri per le donne». In un secondo momento suddivide la classe a
coppie e fornisce del materiale relativo all’occupazione in Italia, ai tipi di
lavori e alla loro distribuzione di genere, ma mostra anche video ed
esempi reali di donne manager o impiegate in politica. Ciascun mini
gruppo deve fare una sintesi del materiale fornito e scrivere una propria
idea su quanto emerso. Infine il docente chiede a tutto il gruppo classe
se la loro idea iniziale è cambiata a seguito degli studi affrontati e in
quali idee preconcette.
Altri interventi educativi possono essere rivolti per prevenire gli
stereotipi sui compagni con origini, lingue e culture differenti, con diverso
colore della pelle, con disabilità e altri bisogni educativi. Lo studente,
nell’affrontare la costituzione della propria identità, si trova a
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confrontarsi con il diverso e spesso questo incontro è proprio


condizionato da stereotipie e pregiudizi nei confronti di questo tipo di
compagni. Il docente deve prevenire allora il nascere di questi
comportamenti, innanzitutto promuovendo lo studio di

alcune culture, la conoscenza dei meccanismi di lettura di uno studente con


dislessia, di apprendimento e di comportamento di uno studente con disabilità.
Ulteriori interventi educativi possono riguardare la rotazione sistematica di
tutti i compagni di banco, nonché l’adozione di tecniche relazionali quali il
cooperative learning, il peer tutoring e la peer education.

46 Nella fase adolescenziale è fondamentale il riconoscimento di diversi stili di


apprendimento, ovvero quelle caratteristiche uniche che ogni alunno
privilegia in maniera personale quando si impegna nello studio e nella
soluzione di problemi cognitivi. Il candidato illustri quanto la connessione
emotività/cognizione diventi determinante per la scuola secondaria di
secondo grado.

Gli apprendimenti che la scuola secondaria di secondo grado propone agli


studenti sono spesso caratterizzati dalla novità e complessità rispetto agli
apprendimenti della secondaria di primo grado. Alcune discipline, infatti,
sono totalmente nuove, altre presentano un grado di complessità e arti-
colazione che richiedono allo studente un salto qualitativo e un impegno
scolastico costante e importante. Per questo nel processo di insegnamento-
apprendimento tanto gli studenti quanto i docenti devono affrontare il
tema del riconoscimento e dell’utilizzo strategico degli stili di apprendimento. Il
docente può servirsi di domande metacognitive per far riflettere lo studente se
appartiene maggiormente a una delle due polarità opposte fra gli stili:
sistematico-intuitivo, globale-analitico, impulsivo-riflessivo, verbale-visuale,
autonomo-dipendente dal campo.
L’autoconsapevolezza teorica generale sugli stili di apprendimento e sul
proprio stile di apprendimento produce spesso un primo risultato positivo sul
rapporto emotività/cognizione, perché permette allo studente di essere
maggiormente strategico e funzionale rispetto alle differenti richieste sco-
lastiche e, quindi, di ottenere risultati positivi.
Il docente, inoltre, deve conoscere gli stili di apprendimento dei suoi allievi,
perché, ove possibile, possa rendere la propria didattica flessibile e maggior-
mente efficace per quel gruppo classe.
È piuttosto diffuso che, ad esempio, il docente di lettere sia un verbalizza-
tore e trasmetta strategie quali riassunti e l’esposizione orale, che prevedono
quindi quasi esclusivamente l’utilizzo del canale orale.
Al contrario, il docente di scienze utilizza maggiormente il canale visivo,
tendendo a soffermarsi molto meno su quello verbale.
Nei due casi i docenti cattureranno più facilmente gli studenti che in classe
presentano, rispettivamente, uno stile di apprendimento verbale e visivo.
TRACCE SVOLTE 77

Molte difficoltà di apprendimento e conseguenze emotive possono avere


origine negli studenti proprio dalla discordanza tra il canale di insegnamento
proposto dal docente e quello del loro apprendimento.

Per questo è importante che il docente vari e incrementi il proprio


repertorio di metodi di insegnamento e fornisca una molteplicità di
situazioni stimolo che permettano allo studente di utilizzare sia il suo stile
di apprendimento sia di cimentarsi con stili e strategie diverse.

47 Il/La candidato/a metta in evidenza le principali competenze del docente


nella scuola secondaria di secondo grado.
Il ruolo del docente nel secondo ciclo di istruzione assume anche una
funzione di guida, in quanto funge da ponte nel delicato passaggio
dell’allievo tra il periodo dell’adolescenza e l’adultità, da quello di
studente a futuro lavoratore. Egli deve pertanto possedere specifiche
competenze psicopedagogiche e didat- tiche, differenti da quelle possedute
dai docenti degli altri ordini scolastici. Tra le competenze
piscopedagogiche l’insegnate deve: saper rapportarsi con gli allievi,
empatizzare con il gruppo classe per realizzare una positiva co-
municazione didattica, saper gestire le dinamiche e i conflitti che nascono
all’interno della classe o anche tra alunno e insegnante. Lo sviluppo di
questa competenza comporta che il docente abbia una buona conoscenza
dei processi cognitivi e psico-fisici dello sviluppo mentale, affettivo e
relazionale dell’età evolutiva e conoscenze di base relativamente alla
psicologia dello sviluppo e dell’apprendimento.
Le competenze didattiche del docente della secondaria riguardano:
– il saper sviluppare nell’allievo la curiosità, l’interesse e la motivazione
verso gli apprendimenti proposti nelle singole discipline;
– il saper proporre compiti di realtà correlati al vissuto degli allievi
(compiti autentici);
– il saper realizzare percorsi di didattiche attive, laboratoriali e per
competenze;
–il promuovere la metacognizione, il pensiero riflessivo e quello critico;
–lo sviluppare il problem solving e il pensiero complesso;
–il promuovere la creatività e il pensiero divergente;
–il promuovere abilità prosociali, inclusive e di cittadinanza.
Queste competenze devono essere applicate dal docente per gestire la
com- plessità delle classi attuali, attivando tutte le risorse presenti, dagli
studenti eccellenti a quelli con Bisogni Educativi Speciali; in particolare
per questi ultimi deve saper ideare e fare evolvere dispositivi di
differenziazione didattica. Al di fuori della classe, il docente deve possedere
competenze di tipo tecnico- organizzativo, quali partecipare alla gestione
della scuola, informare e coin- volgere i genitori, adempiere agli aspetti
burocratici, servirsi delle nuove tecnologie.
Per poter rispondere alle competenze appena descritte, il docente della
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secondaria di secondo grado dovrebbe curare particolarmente la


propria formazione continua.
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48 Il/La candidato/a illustri come la scuola secondaria di secondo grado


potrebbe formare il cittadino di domani.

Per formare il cittadino di domani la scuola secondaria di secondo grado


deve rifarsi alle competenze chiave di cittadinanza, introdotte nel sistema
italiano dal ministro Fioroni nel 2007, su ispirazione di quelle chiave della
Raccomandazione Europea del 2006. Si tratta di sviluppare negli allievi otto
competenze, tra cui: imparare ad imparare, progettare, comunicare, collabo-
rare e partecipare, agire in modo autonome e responsabile, risolvere problemi,
individuare collegamenti e relazioni, acquisire e interpretare l’informazione. Le
competenze di cittadinanza sono riconducibili a tre grandi aree: la
costruzione del sé, che si occupa dello sviluppo della persona, la relazione
con gli altri, che riguarda le relazioni interpersonali, il rapporto con la realtà
naturale e sociale, che si interessa delle relazioni con le cose e con l’ambiente.
Nella revisione delle competenze chiave del Consiglio Europeo del 2018, si
legge che per sviluppare la competenza in materia di cittadinanza è indi-
spensabile la capacità di impegnarsi efficacemente con gli altri per conseguire un
interesse comune o pubblico, e che ciò presuppone la capacità di pensiero
critico e abilità integrate di risoluzione dei problemi, e comprende il soste-
gno della diversità sociale e culturale, della parità di genere e della coesione
sociale, di stili di vita sostenibili, della promozione di una cultura di pace e
non violenta.
Queste normative suggeriscono alcune indicazioni didattiche per i docenti
della secondaria di secondo grado che, per la posizione particolare del seg-
mento formativo, dovrebbero avere uno sguardo oltre la scuola, e porre le
basi per costruire il cittadino di domani.
Per iniziare a sviluppare queste competenze il docente può proporre la lettura
di un quotidiano o di un testo normativo, promuovendo la discussione in
classe e chiedendo a ciascun allievo di motivare le proprie idee.
Il docente quindi dovrebbe sottoporre la risoluzione di problemi legati al
diritto, all’attualità, alla politica, all’economia, al sociale, attraverso metodo-
logie che promuovano la discussione, il confronto, lo sviluppo del pensiero
critico e riflessivo, l’analisi e il problem solving.
La didattica trasmissiva, se risulta efficace per introdurre queste tematiche,
difficilmente può promuovere le competenze di cittadinanza, per cui è ne-
cessario che il docente utilizzi alcune tecniche attive quali il brainstorming, il
cooperative learning, il debate, il problem solving.

49 Delineare un progetto didattico di educazione alla convivenza interculturale.

Nel comma 7 della Legge 107/2015 tra gli obiettivi formativi prioritari si
indicano: lo «sviluppo delle competenze in materia di cittadinanza attiva
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e democratica attraverso la valorizzazione dell’educazione interculturale


e alla pace, il rispetto delle differenze e il dialogo tra le culture, il
sostegno dell’assunzione di responsabilità nonché della solidarietà e della
cura dei beni comuni e della consapevolezza dei diritti e dei doveri».
L’educazione alla convivenza interculturale deve coinvolgere pertanto
tutti gli studenti, italiani e non, provenienti da diverse culture e deve
essere ri- condotta all’acquisizione di valori, conoscenze e competenze
necessari per la convivenza democratica.
Un progetto didattico di educazione alla convivenza interculturale si pone
pertanto gli obiettivi di:
–valorizzare la ricchezza e varietà delle differenti culture;
–attivare processi di socializzazione e promuovere la capacità di
intendere le ragioni degli altri nell’educazione alla convivenza
democratica;
–promuovere le lingue diffuse fra gli allievi;
–sviluppare un pensiero critico sui fenomeni relativi alla globalizzazione.
Nel progetto «La storia delle religioni» i docenti di religione, storia e
italia- no promuovono un laboratorio creativo in una classe prima di una
scuola secondaria di secondo grado.
I tempi del laboratorio riguardano un quadrimestre e due ore settimanali.
La consegna data agli allievi è la seguente: «Individuate le costanti, le so-
miglianze e le differenze culturali delle religioni proposte dal docente, in
particolare soffermatevi sulle caratteristiche storiche, linguistiche,
artistiche e simboliche delle religioni proposte».
I docenti forniranno a ciascun gruppo i materiali di studio e
approfondi- mento per consentire agli allievi di riportare le
informazioni testuali. Per produrre un elaborato creativo potranno
ricercare nel web anche disegni, immagini e altre informazioni
culturali.
Gli allievi saranno suddivisi in piccoli gruppi da due-tre studenti, con
lo scopo di individuare al meglio le informazioni richieste, favorire lo
scambio culturale e il pensiero critico.
Al termine del quadrimestre gli allievi spiegheranno al resto della
classe i risultati delle loro ricerche ed esporranno al docente le
somiglianze e le differenze culturali riscontrate.
I cartelloni potranno essere esposti nei corridoi dell’istituto e saranno
oggetto di approfondimento nel sito della scuola.

50 Elaborare un esempio, sintetico e schematico, di progettazione


didattica rivolta a promuovere l’apprendimento della seguente capacità
facendo riferimento a una disciplina: sviluppare l’attitudine all’ascolto,
allo scambio e alla cooperazione di fronte a posizioni e giudizi diversi
TRACCE SVOLTE 81

dai propri, nel riconoscimento del valore di ogni individuo come


persona.
82 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

Nella disciplina di scienze, in una classe quinta, il docente introduce il tema


dei danni della sigaretta elettronica. Inizialmente promuove un brainstor-
ming sul tema «sigaretta elettronica» per rilevare i saperi naturali attorno a
questa tematica. Le parole emerse riscontrano che gli allievi si dividono in
due parti: metà della classe non ritiene affatto dannosa la sigaretta elettro-
nica, mentre la rimanete metà la ritiene pericolosa per la salute, esattamente
quanto la sigaretta normale. Il docente prepara un’attività di apprendimento
introducendo documenti e letture per suffragare o confutare la posizione
emersa in questa fase, avvia un lavoro di cooperative learning che si svilupperà
per circa due settimane, in parte a scuola e in parte a casa.
In un primo incontro l’insegnante:
– ridisegna il setting di apprendimento nell’aula tradizionale, unisce i
banchi a isole, le dispone verso le pareti, sposta la cattedra nel centro
dell’aula e sopra vi colloca riviste scientifiche, articoli, brani scelti a sostegno
di entrambe le ipotesi;
– forma i mini gruppi composti da quattro studenti, due che reputano
la sigaretta elettronica dannosa quanto quella normale e due che non la
ritengono affatto dannosa;
– assegna i ruoli del cooperative learning, «il lettore» che legge il
materiale proposto, «il ricercatore» che individua ed evidenzia le tesi pro e
contro più importanti, «l’animatore» che anima la discussione nel gruppo e
«il notaio» che annota gli elementi emersi dalla ricerca e sintetizza le differenti
opinioni emerse.
Gli studenti devono ricercare nel materiale documentale fornito dal docente
le posizioni pro e contro l’utilizzo della sigaretta elettronica, annotarne gli
elementi significativi, animare una discussione in cui ciascun allievo, parlan-
do a turno, esprime il suo parere anche alla luce degli approfondimenti fatti.
Gli studenti devono ascoltare attivamente l’opinione di tutti, aspettare il
proprio turno senza accavallarsi, porre domande stimolo, mantenendo un
clima che rispetti ciascun individuo e la propria posizione.
Durante l’ascolto il notaio sintetizza le posizioni emerse che verranno
presentate a tutto il gruppo in occasione di un incontro restitutivo finale.
Il docente chiederà in particolare a ciascun allievo come si è svolta l’attività
di gruppo, se ciascuno ha rispettato il ruolo assegnato e l’opinione differente
dalla propria, se qualcuno ha modificato l’opinione originaria a seguito delle
informazioni acquisite e dell’ascolto con i compagni.

51 La progettazione didattica orientata all’inclusione comporta l’adozione di


strategie e metodologie favorenti. Il candidato descriva sinteticamente quali
delle predette strategie e metodologie possono essere declinate nelle attività
didattiche nella scuola secondaria di secondo grado.
TRACCE SVOLTE 83

All’interno di una buona progettazione didattica orientata


all’inclusione di tutte le ragazze e i ragazzi della scuola secondaria di
secondo grado sono previsti l’uso di strategie di lavoro cooperativo e di
tutoring, l’adattamento dei contenuti didattici in base ai diversi livelli
di abilità degli alunni, il potenziamento delle strategie logico-visive
attraverso schemi, video, map- pe, organizzatori anticipati, lo sviluppo
di strategie di autoregolazione e mediazione cognitivo-emotiva e
l’offerta da parte del docente di continui feedback formativi e
motivanti.
Una progettazione didattica universale, basata sui principi cardine dell’U-
niversal Design for Learning, cercherà di rappresentare
l’informazione in molteplici formati che consentano la massima
adattabilità al singolo studente: opzioni per personalizzare la
visualizzazione dell’informazione, opzioni che forniscono delle
alternative all’informazione uditiva, opzioni che forniscono delle
alternative all’informazione visiva, opzioni che chiari- scono la sintassi e
la struttura della lingua, opzioni che illustrano i concetti chiave non
linguisticamente, opzioni che evidenziano le caratteristiche fondamentali,
le grandi idee e le relazioni. Tenterà inoltre di garantire dei percorsi
multipli e differenti opportunità di espressione (opzioni per i mezzi di
accesso e le tecnologie di assistenza, opzioni nel sostegno alla pratica e
all’esecuzione, opzioni che guidano la scelta degli obiettivi, opzioni che
aumentano la capacità di monitorare i progressi) e di fornire modalità di-
versificate e molteplici mezzi di coinvolgimento (opzioni che aumentano
la scelta personale e l’autonomia, opzioni che variano i livelli di sfida e di
supporto, opzioni che sviluppano autovalutazione e riflessione).
Nella dimensione operativa quotidiana, il legame fra partecipazione e
inclusione è molto stretto: includere significa anche abbattere le barriere e
potenziare i facilitatori per favorire la crescita e la partecipazione attiva
di tutti. Una scuola aperta alle famiglie e al territorio e quanto più
inclusiva possibile deve dunque curare attentamente il fragile rapporto
tra genito- ri e familiari, alunni, operatori scolastici ed extrascolastici,
in un’ottica di costruzione di alleanze concrete e significative. Per
costruire contesti realmente partecipativi, dunque, nei quali ciascun
attore possa sentirsi coinvolto attivamente in un percorso comune e
condiviso, è necessario definire e programmare con chiarezza e
trasparenza i momenti di dialogo, confronto, collaborazione e
cooperazione in gruppo, ciascuno nel rispetto del proprio ruolo.

1.5 Quesiti trasversali ai vari gradi scolastici

52 Differenza tra motivazione intrinseca e motivazione estrinseca in


relazione all’apprendimento scolastico.
84 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

La motivazione può essere definita come un insieme di fattori che spin-


gono il comportamento di una persona verso una meta. La motivazione,
quindi, attiva (componente energetica) e orienta (componente direzionale)
comportamenti specifici.
La motivazione intrinseca fa riferimento al riconoscimento personale, da
parte dello studente, dell’importanza che riveste per lui quel tipo di
apprendimento, con conseguente investimento spontaneo di energie e
comportamenti diretti alla meta. Molto spesso gli studenti devono però
essere accompagnati nel comprendere realmente e immaginare l’utilità di
quello che viene proposto.
Molte situazioni di difficoltà nell’apprendimento (compresa la comparsa di
pensieri autosvalutanti), di dispersione e abbandono scolastico sono in parte
proprio legati a deficit di motivazione intrinseca. Per questo è importante
utilizzare materiali e contenuti vicini agli interessi presenti negli studenti o
che comunque permettano loro di sperimentare facilmente dei successi, allo
scopo di rendere l’impegno nell’apprendimento il più gratificante possibile.
Notevole importanza riveste anche il dialogo interno motivazionale dell’a-
lunno: le autogratificazioni che spontaneamente si dà, riconoscendo i
progressi compiuti.
L’ansia eccessiva per l’insuccesso oppure la tendenza a rispondere in modo
emotivo, reagendo con scoppi di collera quando qualcosa non va come
dovrebbe, sono altri fattori psicologici che influenzano in modo preciso la
motivazione e l’orientamento al compito. In questi casi, uno dei primi
obiettivi dell’insegnante diventa lo sviluppo di forme di autocontrollo
dell’eccessiva reattività emozionale.
La motivazione estrinseca si differenzia da quella intrinseca per il fatto che
viene sostenuta dall’esterno, attraverso l’uso sistematico di rinforzatori positi-
vi. Normalmente, l’insegnante cerca di motivare l’alunno rinforzando le sue
risposte che si orientano nella direzione voluta (prestare attenzione, portare il
materiale, tentare di risolvere i problemi, usare le strategie proposte, persistere
attivamente nello sforzo/impegno su un compito o attività, ecc.) attraverso
vari tipi di stimoli positivi gratificanti (rinforzi positivi) come la lode, l’ap-
provazione pubblica, varie forme di riconoscimento anche concrete, come
piccoli premi o sistemi complessi di gratificazioni simboliche (task analysis).

53 Mastery learning e tassonomia degli obiettivi educativi (area cognitiva) di


Bloom.

Il nome di Bloom è particolarmente noto in ambito educativo e psicope-


dagogico soprattutto per i suoi studi legati alla tassonomia degli obiettivi
educativi e alla metodologia di insegnamento mastery learning (apprendi-
mento della padronanza).
TRACCE SVOLTE 85

Le sue riflessioni partono dalla convinzione che il sistema tradizionale di


insegnamento è errorfull, cioè del tutto errato e inefficace, in quanto
basato su una didattica indifferenziata che non promuove i talenti.
L’insegnamento efficace e adeguato, invece, deve essere in grado di
promuovere questi talenti attraverso l’acquisizione della mastery
(padronanza), che avviene grazie alla perseveranza (strettamente legata alla
motivazione), all’attitudine, alla capa- cità di apprendere da parte
dell’alunno, ma anche alla qualità dell’istruzione (programmazione e
metodi di insegnamento adeguati, individualizzazione degli interventi
didattici, ecc.) e alle opportunità di apprendimento offerte dal contesto
scolastico. Anche le differenze nell’apprendimento sono infatti
considerate un qualcosa che è possibile prevedere, spiegare e modificare,
se ricondotte alle condizioni «ambientali», cioè al sistema di istruzione
scola- stica e alle sue variabili.
Nella strutturazione di percorsi di apprendimento e nella
formulazione delle singole unità didattiche, gli obiettivi devono essere
definiti in modo chiaro, esplicito e condiviso, facendo riferimento a
precisi indicatori che esprimono ciò che ci si attende che l’alunno sappia
fare al termine del per- corso di apprendimento.
In questo ci può aiutare la tassonomia degli obiettivi educativi messa a
punto da Bloom. Le categorie dell’area cognitiva sono:
1.conoscenza, ovvero la capacità di rievocare materiale memorizzato (fatti,
metodi, processi, modelli, strutture, ecc.);
2.comprensione, ovvero la capacità di afferrare il senso di
un’informazione e di saperla trasformare, interpretare, riorganizzare,
ecc.;
3. applicazione, ovvero la capacità di far uso di materiale conosciuto per
risolvere problemi nuovi e di utilizzare quindi rappresentazioni astratte
(idee, regole di procedimento, metodi, principi, teorie, ecc.) applicandole
a casi concreti;
4. analisi, ovvero la capacità di separare degli elementi di un complesso
evidenziandone i rapporti, rendendo così esplicita la gerarchia delle idee
e delle relazioni esistenti;
5. sintesi, ovvero la capacità di riunire i vari elementi al fine di formare
una nuova struttura organizzata e coerente (ad esempio elaborazione di
un piano d’azione, deduzione autonoma di regole, ecc.);
6. valutazione, ovvero la capacità di formulare autonomamente giudizi
critici di valore e di merito in base all’evidenza interna e a criteri
prestabiliti.

54 Come avviene l’apprendimento per intuizione secondo la teoria della Gestalt?

Köhler, uno dei componenti della scuola della Gestalt, si occupò in


partico- lare dello studio dell’apprendimento per insight (intuizione
86 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

improvvisa), ossia caratterizzato dalla soluzione a un problema che si


presenta improvvisamente Al soggetto, creando in lui la sensazione di
presa di coscienza di un qualcosa che prima rappresentava un vero e
proprio mistero, un problema irrisolvibile dal quale non si vedeva via di
uscita. In un linguaggio gestaltico potremmo quindi definire questa
situazione come una «ristrutturazione percettiva», una modificazione
repentina e unitaria del «campo» che porta a riconsiderare in modo
qualitativamente diverso gli elementi in gioco e ci fa vedere le cose da
una prospettiva fino ad allora sconosciuta o non considerata.
Questo tipo di apprendimento non è una prerogativa del genere umano;
sono infatti famosi gli esperimenti con gli scimpanzé, che erano in grado,
proprio grazie all’insight, di percepire improvvisamente la possibilità di
utilizzare un bastone presente nella gabbia dove si trovavano per avvicinare
delle banane che erano all’esterno e quindi fuori dalla loro portata. L’ap-
prendimento nella prospettiva della Gestalt si è quindi basato sulle varie
possibilità di soluzione di problemi, o meglio di «pensiero produttivo», in cui
è fondamentale riuscire a individuare una nuova struttura cognitiva at-
traverso un meccanismo di ristrutturazione dei vari elementi in una totalità
dotata di significato.

55 Quali sono le caratteristiche e i punti di forza della teoria dell’apprendimento


di Ausubel?

La teoria dell’apprendimento di Ausubel parte dalla distinzione tra:


– apprendimento significativo, ovvero il poter collegare la nuova informazio-
ne a concetti rilevanti già posseduti, preesistenti nella struttura cognitiva
della persona;
– apprendimento meccanico, per cui la nuova conoscenza può essere acquisita
attraverso la semplice memorizzazione e venire incorporata arbitrariamente
nella struttura cognitiva senza che ci sia interazione con ciò che essa già
contiene.
Ai poli opposti di un continuum troviamo quindi un tipo di apprendimento
ricettivo (ad esempio imparare le tabelline) e un tipo di apprendimento per
scoperta (forme creative di ricerca autonoma).
Ausubel fa suo il concetto di significatività nell’apprendimento, attraverso la
teoria dell’assimilazione: l’apprendimento consiste per la maggior parte nel
processo che conduce all’assimilazione, all’ancoraggio delle nuove espe- rienze
nella personale struttura cognitiva già esistente. La quantità delle
informazioni ricordate dipenderà quindi principalmente dalla significatività
del processo di apprendimento, dal grado in cui queste informazioni si sono
«arricchite» e perfezionate.
Ausubel ci parla anche di conciliazioni integrative: nuove e vecchie informa-
zioni si integrano e si conciliano, creando una modificazione di natura non
TRACCE SVOLTE 87

solo quantitativa ma anche, e soprattutto, qualitativa (nuove


connessioni trasversali).
Ne consegue che uno degli aspetti fondamentali di un buon metodo di
insegnamento è la capacità di presentare il nuovo materiale da apprendere
in modo tale da renderlo il più possibile assimilabile in maniera corretta e
agevole da parte dello studente. Tra le strategie utili a questo scopo,
Ausubel suggerisce l’uso degli organizzatori anticipati.
I principali vantaggi di un apprendimento significativo sono i seguenti:
– le conoscenze vengono ricordate più a lungo e si crea un forte
collegamento tra le nuove informazioni e quelle acquisite in precedenza,
rendendo più facile il successivo apprendimento di argomenti simili;
– l’informazione che viene ricordata dopo che è avvenuta la fase di
cancel- lazione lascia comunque un effetto residuale sul concetto
classificante e, di fatto, sull’intera struttura relativa dei concetti;
– l’informazione appresa in modo significativo può essere applicata a
un’am- pia varietà di nuovi problemi e contesti (generalizzazione delle
conoscenze).

56 Che cos’è lo stile di attribuzione e quali dimensioni lo


caratterizzano?

Lo stile di attribuzione fa riferimento agli atteggiamenti e alle


convinzioni che la persona possiede rispetto all’utilità del suo impegno
attivo e dell’uso di strategie e azioni.
Le attribuzioni possono quindi essere considerate come valutazioni che
l’indi- viduo mette in atto spontaneamente per capire chi o che cosa sia
responsabile degli eventi che gli accadono, ovvero gli atteggiamenti e le
convinzioni che l’alunno possiede rispetto all’utilità e all’efficacia del
suo impegno, del suo sforzo attivo e dell’uso sistematico delle strategie e
procedure di soluzione che gli sono state insegnate.
Ogni persona possiede un suo schema di attribuzioni composto da un
in- sieme di credenze e cognizioni che viene usato come modello per
spiegare la realtà e che costituisce il suo personale stile attributivo.
Questo schema ha come antecedenti le prestazioni attuali, quelle passate
e quelle degli altri, e influisce su quelle future.
Le attribuzioni si classificano in base a tre dimensioni.
La prima si basa sul locus of control interno o esterno, e distingue fra
eventi attribuiti a cause interne (come l’impegno o l’abilità innata) ed
eventi at- tribuiti a cause esterne (come la difficoltà di un compito o la
fortuna). Con questa espressione si indica infatti il «luogo» dove l’alunno
ritiene si trovino i «fattori responsabili» di quello che gli accade e, in
particolare, dove siano le cause dei suoi successi e insuccessi.
L’alunno con un locus of control eccessivamente e globalmente proiettato
su fattori esterni, con conseguente deresponsabilizzazione personale, in
88 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

genere assume un atteggiamento passivo. Egli ritiene infatti di non


potercela fare in alcun caso, perché gli eventi e i risultati «non dipendono
da lui». Questo alunno ha perso il senso di poter in qualche modo
controllare gli eventi, e questo senso di impotenza, se troppo esteso e
stabilizzato, può portare alla depressione e all’abbandono di ogni
sforzo e tentativo.
La seconda è la stabilità, che riguarda la durata nel tempo della causa: essa è
maggiore per gli eventi riferiti a cause ritenute immodificabili (ad esempio
l’abilità innata, la difficoltà del compito) e minore per quelli riferiti a cause
instabili (ad esempio la fortuna e l’impegno).
La terza è la controllabilità: esistono attribuzioni caratterizzate da un mag-
giore senso di controllo da parte del soggetto, come l’impegno, e altre
incontrollabili come la fortuna.

57 Intelligenze multiple di Gardner e strategie/materiali educativo-didattici utili


al loro sviluppo.

Gardner, nella teoria delle intelligenze multiple, individua nove modi diversi
di essere intelligenti in relazione ai diversi sistemi o messaggi culturali in cui
le persone sono immerse fin dalla nascita, al loro ambiente di vita, al tipo
di relazioni e modalità di comunicazione.
Di seguito si riportano le diverse tipologie di intelligenza e alcune strategie
didattiche e materiali utili allo sviluppo delle varie intelligenze.
1. Intelligenza logico-matematica (preferenza per sequenze razionali, schemi,
ordine, quantità, ecc.): esercizi o problemi logici; classificazioni/cate-
gorizzazioni; creare codici/simboli; calcoli e quantificazioni; pensiero
scientifico sperimentale; presentazioni logiche e sequenziali; domande
socratiche.
2. Intelligenza linguistica o verbale (preferenza per i significati nel linguag-
gio, la comunicazione orale e/o scritta): letture; discussioni/dibattiti in
piccolo/grande gruppo; conferenze/lezioni; giochi di parole; inventare/
raccontare storie; diari di bordo, poesie.
3. Intelligenza spaziale o grafico-pittorica (preferenza per la percezione, rap-
presentazione e modificazione della realtà): cartine, grafici, diagrammi,
schemi; visualizzazione; diapositive, video, film, PowerPoint, fotografie; puzzle
visivi, labirinti, costruzioni; pittura, collage; aiuti visivi; imma- ginazione
visiva.
4. Intelligenza corporea/cinestesica (preferenza per l’uso del corpo e di ogget-
ti): manipolazione, costruzioni, trasformazioni; giardinaggio, bricolage;
attività sportive; attività di consapevolezza motoria; mimo e linguaggio del
corpo; lingua dei segni.
5. Intelligenza interpersonale/relazionale/sociale (preferenza per il
com- prendere le persone e le relazioni): insegnamento reciproco,
tutoring,
TRACCE SVOLTE 89

apprendimento cooperativo; giochi da tavolo; mediazione di conflitti;


ruoli sociali nella gestione della classe; relazionare in pubblico.
6. Intelligenza musicale (sensibilità e capacità di creare suoni, melodie,
ritmi, ecc.): cantare, suonare; ritmi, rap; brani musicali legati alle
emozioni; colonne sonore.
7. Intelligenza intrapersonale (preferenza per il comprendere la propria
esistenza per sé e per gli altri, le proprie emozioni, intenzioni, desideri):
studio autonomo e autoprogettato; riflessione; diari personali; attività su
autostima/identità; attività emozionali.
8. Intelligenza naturalistica (sensibilità alla flora/fauna e alla biologia):
osser- vazione; ricostruzione di habitat; collegare e stabilire relazioni,
ecologie; prendersi cura di animali/piante.
9. Intelligenza esistenziale (o filosofica): consapevolezza di sé e degli altri;
senso di giustizia; comprendere la realtà in modo olistico; porsi domande
sul senso della vita e della morte; insegnare a usare i valori.

58 Che cosa si intende per «stili cognitivi di apprendimento»?

La ricerca psicologica ha portato alla definizione di alcuni stili cognitivi


fondamentali che contraddistinguono le persone nelle loro diverse
modalità di apprendere. Le coppie di polarità opposte di maggiore
importanza sono le seguenti.
– Sistematico-intuitivo: l’alunno con stile sistematico procede a piccoli
passi, considera accuratamente e sequenzialmente tutti gli elementi
concreti che ha a disposizione, mentre quello intuitivo formula e lavora
su ipotesi di cui ricerca velocemente una conferma.
–Globale-analitico: l’alunno globale privilegia in genere le visioni generali
di insieme, mentre quello analitico si sofferma sui singoli dettagli, anche
se minimi.
– Impulsivo-riflessivo: l’alunno impulsivo fornisce immediatamente la ri-
sposta, senza una sufficiente elaborazione dell’informazione; al contrario,
quello riflessivo valuta attentamente la situazione nei suoi vari aspetti, di
conseguenza ne potrà risentire la velocità della risposta.
– Verbale-visuale: l’alunno verbalizzatore preferisce e riesce meglio in
attività basate su un codice linguistico, mentre quello visualizzatore
preferisce l’uso di figure, schemi e altre forme di elaborazione visiva (ad
esempio creazione di immagini mentali per ricordare qualcosa).
–Autonomo/creativo-dipendente dal campo: nel primo caso l’alunno lavora
con modalità divergenti di pensiero, originando da sé e liberamente
nuove possibilità o soluzioni, mentre l’alunno maggiormente
dipendente dal campo subisce molto di più le pressioni e i
condizionamenti del contesto, anche interpersonale, in cui si trova a
operare.
90 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

Uno dei precursori nella definizione degli stili cognitivi fu Bruner, il quale
definì la dimensione focalizzazione-scanning.
Secondo questo studioso, i «focalizzatori» posti di fronte a un problema
tipicamente ritardano la presa di decisione fino a quando non hanno rac-
colto una quantità di prove ritenuta sufficiente ed esauriente per affrontare il
problema in questione; all’opposto chi propende per uno «stile scanner» si
limita a dare un’occhiata rapida al tutto, formulando subito un’ipotesi e
questo costringe a ricominciare da capo tutto il processo se l’ipotesi elaborata
si rivela inadeguata.

59 Promuovere un adeguato senso di autoefficacia rappresenta una premessa


essenziale per il benessere scolastico. Il candidato esponga il concetto di
autoefficacia e le sue ricadute sulla qualità della vita degli studenti.

L’autoefficacia è un concetto introdotto da Albert Bandura, in base al quale


la persona, a seconda delle esperienze avute nel corso della vita, può avere
una differente valutazione della propria possibilità di determinare gli eventi.
Coincidenze positive o premi imprevisti possono, ad esempio far aumen- tare
la motivazione a percepire e migliorare l’immagine di sé. Al contrario,
sperimentare frustrazioni sistematiche può generare nella persona un senso di
impotenza nei confronti di se stessa e dell’ambiente che la circonda.
L’autovalutazione di efficacia o di impotenza può diventare un meccanismo
regolatore della motivazione a intervenire sulla realtà esterna. Alcuni indi-
vidui diventeranno più tenaci e persistenti nel moltiplicare gli sforzi, altri più
arrendevoli poiché convinti di non poter contrastare il destino. Anche se
l’ambiente è rilevante per lo sviluppo dell’autoefficacia in età evolutiva,
Bandura sostiene che la persona ha un ruolo attivo nelle contingenze e può a
sua volta influenzare la qualità delle esperienze con il proprio comporta-
mento che è mosso da pensieri, credenze e valori appresi. Questa visione è
legata alla teoria sociale cognitiva di Bandura, e segna un punto di svolta
nella teoria dell’apprendimento sociale: diventano fondamentali la promo-
zione e il potenziamento di abilità personali nella persona affinché diventi
capace di agire positivamente nelle relazioni. La percezione di autoefficacia
ha un ruolo fondamentale nell’apprendimento scolastico, in quanto sostie- ne
e favorisce l’impegno cognitivo e la motivazione utili a sviluppare ogni tipo
di competenza. Alunni con un basso senso di autoefficacia potrebbero
impegnarsi di meno, scegliere obiettivi limitati ed essere più esposti a stress
riguardo le prestazioni. L’abbandono scolastico e il bullismo sono due feno-
meni di rischio collegati a una scarsa autoefficacia percepita. Diversi studi
dimostrano che il fallimento scolastico può avere conseguenze molto negative
in età adulta mentre esperienze di successo scolastico possono contrastare
percorsi di sviluppo a rischio di disadattamento. In un’ottica di prevenzione
TRACCE SVOLTE 91

dei rischi e promozione del benessere in termini di autoefficacia


percepita, è necessario che la scuola si orienti a strutturare attività di
apprendimento che permettano a tutti gli studenti di fare esperienze di
successo e di fallimento, di correggere e recuperare gli errori, di non
rimanere indietro rispettando i propri tempi, di avere un ruolo attivo e
diventare discenti autodiretti.

60 Didattica individualizzata e personalizzata.

Una proposta didattica inclusiva presuppone una molteplicità di


opportunità di apprendimento, finalizzate a rispondere ai bisogni
individuali di tutti gli alunni e, contemporaneamente, a favorire una
buona coesione nella comunità classe. L’obiettivo è quindi duplice:
individuale e collettivo. I due presupposti fondamentali alla
differenziazione didattica sono: un’attenzione a tutte le differenze
individuali, attraverso un approccio evolutivo focalizzato sul potenziale e
non sui limiti e una concezione della didattica dinamica, plurale e
centrata sullo studente.
Tutti gli alunni, compresi quelli con BES, risultati eccellenti o alto
potenziale, necessitano di uno sguardo attento all’individualità, essendo
essa composta da una miriade di differenze che rappresentano
informazioni fondamentali per l’insegnante, da osservare, individuare e
descrivere, al fine di compren- dere, progettare e agire in maniera
coerente ed efficace.
Una didattica individualizzata prevede una differenziazione dei percorsi
didattici e educativi che rappresenta una strategia per il raggiungimento
di traguardi formativi comuni per tutti gli alunni. Consiste nelle
attività di recupero individuale che lo studente può svolgere per
potenziare determinate abilità o acquisire particolari competenze.
Un’offerta didattica individua- lizzata tenta dunque di adattarsi ai bisogni
specifici di una singola persona, modificando le diverse strategie di
insegnamento-apprendimento per riu- scire a portare quell’alunno il più
vicino possibile agli obiettivi comuni al gruppo di appartenenza, alla sua
classe o al corso di studi. In questo modo si cerca di far raggiungere
all’alunno un traguardo comune anche con mezzi e percorsi molto
diversi o particolarmente individualizzati.
Una didattica personalizzata invece prevede la diversificazione delle
mete formative volte a favorire la promozione delle potenzialità
individuali e calibra l’offerta didattica sulle specificità dei bisogni
educativi del singolo alunno, al fine di favorire lo sviluppo dei talenti e
dei punti di forza di ciascuno. Rappresenta una strategia complementare
alla prima e ad essa subordinata: la può proficuamente integrare e
completare, ma non la può soppiantare, altrimenti si corre il serio
pericolo che le diversità tra gli alunni si trasformino in diseguaglianze.
92 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

Personalizzare significa anche modificare gli obiettivi dell’offerta


formativa, che possono divergere anche nettamente rispetto a quelli del
gruppo di appartenenza. L’obiettivo finale della personalizzazione è
quello di costruire un proprio percorso rispetto a propri fini, anche del
tutto diversi da quelli degli altri.
La Legge 170/2010 dispone, ad esempio, che la scuola garantisca agli
alunni con Disturbi Specifici di Apprendimento «l’utilizzo di una didattica
individualizzata e personalizzata, con forme efficaci e flessibili di lavoro
scolastico che tengano conto anche di caratteristiche peculiari del soggetto,
adottando una metodologia e una strategia educativa adeguata». Ciò al fine di
garantire allo studente una serie di metodologie didattiche, di strumenti
compensativi e misure dispensative, se necessarie, per il raggiungimento del
successo formativo. Anche la Circolare n. 8 del 6 marzo 2013, «Strumenti di
intervento per gli alunni con Bisogni Educativi Speciali», ribadisce che
«gli studenti in difficoltà hanno diritto alla personalizzazione degli appren-
dimenti», così come previsto anche dalla Legge 53/2013. È bene ricordare
che la Direttiva ministeriale del 27/12/2012 estende a tutti gli alunni in
difficoltà il diritto alla personalizzazione dell’apprendimento e ricorda che
«ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare
Bisogni Educativi Speciali».
Come è possibile evincere dalla citata Circolare ministeriale «La Direttiva
ridefinisce e completa il tradizionale approccio all’integrazione scolastica,
basato sulla certificazione della disabilità, estendendo il campo di intervento
e di responsabilità di tutta la comunità educante a tutti i BES».

61 Cosa si intende per didattica inclusiva?

La didattica inclusiva è una didattica di qualità capace di offrire risposte


efficaci ai bisogni educativi di tutti gli alunni, compresi quelli con disabilità e
bisogni educativi speciali. Il suo obiettivo principale è dunque quello di
creare delle condizioni di apprendimento che consentano a ciascun alunno di
scoprire ed esprimere al massimo il proprio potenziale individuale attra-
verso l’interazione con il gruppo.
Una didattica realmente inclusiva valorizza le diversità individuali ed elimina
le barriere all’apprendimento e alla piena partecipazione alla vita sociale
anche attraverso i principi fondamentali dell’Universal Design for Learning
(UDL) e dunque, operativamente, rappresentando l’informazione in diversi
formati che consentono la massima adattabilità all’utente, garantendo agli
studenti percorsi multipli e diverse possibilità di espressione, fornendo
modalità diversificate e molteplici mezzi di coinvolgimento per favorire la
motivazione ad apprendere e il collegamento delle nuove informazioni con le
conoscenze pregresse.
La didattica inclusiva rispetta e valorizza tutte le differenze individuali, attiva
primariamente la «risorsa compagni», utilizza strategie di lavoro coopera-
tivo e di tutoring, adattando i contenuti in base ai diversi livelli di abilità
TRACCE SVOLTE 93

degli alunni, potenziando le strategie logico-visive attraverso schemi, video,


mappe, organizzatori anticipati, sviluppando strategie di autoregolazione,
meta-cognizione e mediazione cognitivo-emotiva, utilizzando le nuove
tecnologie ai fini dell’inclusione scolastica e sociale ed offrendo agli
alunni continui feedback formativi e motivanti.
Secondo l’European Agency for Development in Special Needs
Education, il docente inclusivo deve saper gestire una classe e avere delle
competenze gestionali che facilitino un’efficace azione multiutente,
contribuire alla costituzione di partenariati scolastici con altre scuole,
deve essere in grado di favorire negli alunni la cooperazione e il lavoro in
rete e deve lavorare lui stesso in team con gli altri docenti, i professionisti
del settore psico-educativo, i genitori e tutte le figure che, a vario titolo, si
prendono cura degli alunni anche attraverso la codocenza e il lavoro in
gruppi aperti. Sarà poi in gra- do di creare un clima positivo nella classe,
grazie al quale nessuno si senta escluso o discriminato, di consentire agli
studenti lo sviluppo di competenze cognitivo-emotive, metacognitive,
relazionali e sociali che permettano la costruzione di percorsi partecipati,
individualizzati e personalizzati sulla base delle specifiche esigenze di
ciascun alunno.

62 Il candidato illustri le categorie comprese nei BES e quali sono gli


strumenti progettuali di cui può avvalersi la scuola nei diversi casi.

La macro-categoria dei Bisogni Educativi Speciali comprende al suo


interno tre sottocategorie principali: gli alunni con certificazione di
disabilità, gli alunni con Disturbi Specifici dell’Apprendimento
(DSA)/disturbi evolutivi specifici e gli alunni con svantaggio
socioeconomico, linguistico e cultura- le. Per «disturbi evolutivi
specifici» si intendono, oltre i Disturbi Specifici dell’Apprendimento,
anche i deficit del linguaggio, delle abilità non verbali, della
coordinazione motoria, dell’attenzione e dell’iperattività, mentre il
funzionamento intellettivo limite può essere considerato un caso di
confine fra la disabilità e il disturbo specifico. Rientrano nei BES anche
gli alunni ad alto potenziale intellettivo, noti anche in ambito
internazionale come gifted children (Nota n. 562 del 3 aprile 2019).
Appare fondamentale evidenziare che la Direttiva ministeriale del
27/12/2012 estende a tutti gli alunni in difficoltà il diritto alla personaliz-
zazione dell’apprendimento e ricorda che «ogni alunno, con continuità o
per determinati periodi, può manifestare Bisogni Educativi Speciali»
(CM
n. 8 del 6/03/2013). L’ottica è quindi quella della presa in carico
globale e inclusiva di tutti gli alunni in difficoltà che hanno diritto
quindi a una personalizzazione dell’apprendimento.
Lo strumento privilegiato per far fronte in modo efficace e inclusivo a
94 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

tutti i Bisogni Educativi Speciali che si presentano a scuola è il percorso


educativo e formativo individualizzato e personalizzato, redatto in un
Piano Educativo Individualizzato (PEI), nel caso degli alunni con
disabilità certificata, e di un Piano Didattico Personalizzato (PDP) per
tutti gli altri alunni con BES. Tali documenti hanno lo scopo di definire,
monitorare e documentare, secondo un’elaborazione collegiale,
corresponsabile e partecipata, le strategie di inter- vento più idonee, gli
eventuali strumenti compensativi o misure dispensative e i criteri di
valutazione degli apprendimenti. La Direttiva evidenzia infine
chiaramente come la presa in carico degli alunni con BES debba essere al
centro dell’attenzione e dello sforzo congiunto della scuola e della
famiglia. Permane infatti l’obbligo di presentazione delle certificazioni per
l’esercizio dei diritti situazioni di disabilità e di DSA, mentre i Consigli di
classe — o team dei docenti nelle scuole primarie — hanno il compito
di indicare in quali altri casi sia opportuna e necessaria l’adozione di una
personalizzazione della didattica ed eventualmente di misure
compensative o dispensative, nella prospettiva di una presa in carico
globale e inclusiva di tutti gli alunni. Una didattica inclusiva capace di
valorizzare le differenze, le potenzialità e i punti di forza del singolo alunno
può avvalersi di materiali operativi e propo- ste metodologiche che
presuppongono l’attivazione e la valorizzazione della risorsa compagni,
l’adattamento dello stile di comunicazione, delle forme di lezione, dei
materiali e degli spazi di apprendimento, l’utilizzo di strate- gie logico-
visive, mappe e aiuti visivi, lo sviluppo della consapevolezza sui processi
cognitivi, sugli stili di apprendimento, sui processi meta-cognitivi/
cognitivo-emotivi e sui metodi di studio, l’utilizzo di diversi supporti e di
molteplici forme di feedback, valutazione e verifica.

63 L’apprendimento cooperativo: organizzazione dei gruppi e delle attività.

L’organizzazione dei gruppi cooperativi e delle attività specifiche risulta


fondamentale per realizzare dei validi percorsi di cooperative learning che,
in primo luogo, riescano a favorire l’interdipendenza positiva tra alunni, la
responsabilità individuale e di gruppo, l’interazione costruttiva, lo sviluppo o
il consolidamento di abilità necessarie per instaurare rapporti interpersonali e
la valutazione di gruppo.
Il ruolo del docente risulta fondamentale nell’organizzazione del lavoro
dei gruppi cooperativi, nella promozione di positive relazioni sociali e nel
favorire l’equità della partecipazione: inizialmente sarà molto presente per
pianificare le azioni fondamentali ma progressivamente lascerà sempre più
spazio all’azione degli studenti, monitorando costantemente i processi, in-
tervenendo — se necessario — per fornire supporti diversi ai singoli ed al
gruppo, verificando le modalità operative e valutando gli obiettivi raggiunti.
L’insegnante dovrà dunque essere in grado di prendere delle fondamentali
decisioni preliminari per organizzare adeguatamente il lavoro, chiarire
TRACCE SVOLTE 95

le aspettative riguardo al lavoro dei singoli e dei gruppi, insegnare


agli alunni come reperire il materiale necessario, come svolgere
adeguatamente la consegna, come aiutare i compagni in difficoltà o
superare i conflitti quando emergono, evidenziando e valorizzando
costantemente i compor- tamenti positivi o orientando gli studenti verso
comportamenti alternativi e più adeguati quando necessario. Favorirà
in questo modo un contesto di fiducia, rispetto e sostegno reciproco di
interazione promozionale, una leadership distribuita e una valutazione
finale sia individuale che di gruppo. Per organizzare adeguatamente i
gruppi di lavoro cooperativo (formali, informali e di base), il docente
dovrà essere capace di individuare per tutti i membri dei compiti datti,
anche molto semplici in base alle abilità/ difficoltà individuali, necessari
al gruppo per l’ottenimento del risultato previsto. L’insegnante dovrà
dunque definire le dimensioni del gruppo in base alla tipologia di lavoro
svolta e all’esperienza pregressa degli alunni e assegnare loro i ruoli.
Secondo i fratelli Johnson, le funzioni e i ruoli possibili nei gruppi
cooperativi possono essere: controllare i toni di voce o l’alternanza dei
turni, spiegare idee e procedure, incoraggiare la parte- cipazione, fornire
sostegno, chiarire e illustrare, ricapitolare, verificare la comprensione,
approfondire, sintetizzare, verificare e valutare. In genere, i gruppi non
dovrebbero essere troppo ampi (massimo 4 alunni), altrimenti la loro
gestione potrebbe risultare difficoltosa.
Una volta composti i gruppi e assegnati i ruoli a ciascun membro, l’inse-
gnante si occuperà del setting (aula), in modo tale che risulti
funzionale per lo svolgimento del lavoro previsto, e dei materiali da
fornire ai gruppi cooperativi. Durante il lavoro, il docente interverrà per
favorire l’interazione costruttiva diretta e migliorare il lavoro/prodotto
del gruppo, monitorerà costantemente il comportamento degli studenti,
verificherà e valuterà con sistematicità i processi e gli apprendimenti
anche attraverso colloqui, test, questionari, schede o qualsiasi altro
strumento utile.

64 Il candidato illustri qual è il ruolo dell’insegnante di sostegno.

L’insegnante specializzato per le attività di sostegno è un mediatore e un


facilitatore dell’apprendimento che viene assegnato alla classe in cui è
presente un alunno con disabilità certificata. Come tutti gli altri docenti
deve posse- dere competenze disciplinari, psico-pedagogiche,
metodologico-didattiche, organizzativo-relazionali, di ricerca,
documentazione e valutazione.
È però anche un docente che ha effettuato un percorso formativo ad hoc e
che ha acquisito competenze pedagogico-didattiche e relazionali
specifiche, finalizzate a rilevare e analizzare i bisogni educativi specifici di
tutti gli alunni (compresi quelli con disabilità, disturbi evolutivi specifici o
96 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

altri bisogni educativi speciali), attivare le possibili risorse per


l’inclusione, progettare, realizzare, monitorare e valutare percorsi
formativi personalizzati o indivi- dualizzati, costruire alleanze e
collaborazioni con tutti gli altri docenti, le famiglie, i collaboratori
scolastici, gli operatori sanitari, educativi, sociali, sportivi o
extrascolastici. Tutto ciò attraverso una lettura attenta del fun-
zionamento globale di ciascuno sulla base dell’approccio bio-psico-
sociale ICF (International Classification of Functioning, Disability and
Health, OMS, 2002).
Il suo ruolo è dunque complesso e articolato poiché assume la contitolarità
delle classi e delle sezioni in cui opera, partecipando attivamente alla pro-
grammazione didattica-educativa della classe ed occupandosi, allo stesso
tempo, di fornire un supporto quanto più efficace e individualizzato possibile
ai singoli alunni. Il docente di sostegno, inoltre, contribuisce a adattare le
strategie e le metodologie didattiche sia alle caratteristiche o ai bisogni del
singolo alunno che alle peculiarità delle diverse discipline, elabora e verifica le
attività di competenza del Consiglio di classe/interclasse/Consiglio dei
docenti e si occupa — insieme agli altri docenti — di predisporre il Piano
Educativo Individualizzato per gli alunni con disabilità, o il PDP per gli
alunni con Disturbi Specifici di Apprendimento o altri Bisogni Educativi
Speciali, in collaborazione con i genitori, i rappresentanti dei servizi socio-
sanitari, sociali ed educativi del territorio. Il docente di sostegno non insegna
una disciplina ma assume un ruolo di «regista» nella predisposizione del PEI,
documento che dà avvio a un percorso formativo individualizzato ed
inclusivo in cui le sue competenze disciplinari, psicopedagogiche, organiz-
zativo-relazionali e valutative si intrecciano e si esplicano.
La sua preziosa mediazione è finalizzata anche a creare un clima positivo di
conoscenza, rispetto e valorizzazione di tutte le diversità individuali che
consenta a ciascun alunno di crescere come persona, studente e cittadino e
di raggiungere le competenze previste, anche in prospettiva di un inseri-
mento lavorativo quanto più gratificante possibile e di un progetto di vita
indipendente. Il docente di sostegno è infine un esperto nell’attivazione
delle diverse e variegate forme di sostegno che la comunità scolastica può
offrire al singolo e al gruppo. Come sostiene Canevaro, il docente specia-
lizzato per il sostegno deve essere «un insegnante competente che permetta al
contesto scolastico di essere competente, e non limiti e chiuda, quindi, la
competenza alla sua presenza ma la colleghi all’investimento strutturale
dell’ambiente scolastico».
TRACCE SVOLTE 97

65 Il candidato illustri il concetto di inclusione, differenziandolo da quello di


integrazione.

Con il termine inclusione (scolastica e sociale) si fa riferimento oggi a una


prospettiva ecosistema ampia, capace di garantire a ciascuna persona, con
disabilità/Bisogni Educativi Speciali o meno, il massimo sviluppo delle
potenzialità individuali e la partecipazione attiva alla vita comunitaria,
scolastica, lavorativa e sociale.
A livello internazionale il dibattito sull’inclusive education è ampio e vivace,
data l’importanza crescente riconosciuta ai processi inclusivi anche dalla
Comunità Europea e dalle Nazioni Unite nelle diverse Convenzioni e do-
cumenti. La Convenzione Internazionale dell’Onu sui diritti delle persone
con disabilità, ad esempio, ribadisce che i programmi di sviluppo devono
essere inclusivi e accessibili a tutte le persone, comprese quelle con disabilità.
Nell’art. 24 gli Stati Parti, al fine di realizzare il diritto all’istruzione delle
persone disabili contro qualsiasi discriminazione, garantiscono un sistema
di istruzione inclusivo ad ogni livello e un apprendimento continuo lungo
tutto l’arco di vita.
L’integrazione si rivolge agli alunni con disabilità, ovvero a una parte di
quelli con bisogni educativi speciali, mentre l’inclusione fa riferimento
alle varie prassi di risposta individualizzata e personalizzata realizzate su
tutti i vari bisogni educativi di tutti gli alunni con bisogni educativi
speciali. L’inclusione è dunque più ampia rispetto all’integrazione.
Garantire un processo di piena inclusione significa rispondere in modo
efficace alle diffe- renze di tutti gli alunni, compresi quelli con disabilità, e
favorire la ricerca, la conoscenza e la valorizzazione di tutte le diversità
individuali, leggere i Bisogni Educativi Speciali degli studenti in
prospettiva bio-psico-sociale, rendere disponibile a ciascun alunno
un’ampia gamma di opportunità di apprendimento secondo i principi
dell’Universal Design for Learning (UDL) e garantire ad alunni, famiglie e
a tutti gli stakeholder l’utilizzo di strategie didattiche ed educative basate
sull’evidenza. L’inclusione può essere con- siderata come un’estensione
del concetto di integrazione, che coinvolge non solo gli alunni con
disabilità ma tutti gli alunni con le loro diverse abilità, potenzialità,
difficoltà e differenze.
Nel 1977 la Legge n. 517, infatti, ha dato avvio al percorso di
integrazione scolastica degli alunni disabili nella scuola statale. Al contrario
delle dispo- sizioni precedenti, la Legge 517 non parlava più di «inserimento»
scolastico ma di «integrazione», in riferimento a tutte le condizioni di
disabilità che possono presentarsi nella scuola.
Da allora è iniziato un lungo cammino verso il riconoscimento e il ri-
spetto concreto del diritto a un’educazione e a un’istruzione di
qualità, orientata al raggiungimento del massimo grado di partecipazione
sociale, autonomia e indipendenza possibili da parte dell’alunno con
98 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

disabilità e di tutti gli altri alunni con differenti Bisogni Educativi


Speciali (alunni con DSA, alunni con ADHD, alunni stranieri, alunni
con difficoltà emotive, problemi comportamentali, discriminati o vittime
di violenza, bullismo, cyberbullismo).

66 Il/la candidato/a illustri in che modo le istituzioni scolastiche, nel rispetto


della libertà di insegnamento, della libertà di scelta educativa delle famiglie e
delle finalità generali del sistema, riconoscono e valorizzano le diversità.

ll concetto di scuola inclusiva si sta diffondendo sempre più negli ultimi anni.
Oggi la più grande sfida della scuola italiana è quella di garantire a tutti gli
alunni una didattica universale, plurale, accessibile, capace di valorizzare le
differenze e i punti di forza di ogni singolo componente del gruppo classe,
secondo i principi dell’Universal Design for Learning (UDL).
L’UDL invita tutti i docenti e gli educatori a rappresentare l’informazione in
diversi formati che consentano la massima adattabilità allo studente, a
garantire dei percorsi multipli e differenti possibilità di espressione, a fornire
modalità diversificate e molteplici mezzi di coinvolgimento (interattività,
collaborazione in gruppo, tutoring, auto-apprendimento) per favorire la
motivazione ad apprendere e il collegamento delle nuove informazioni con le
conoscenze pregresse.
Si avverte inoltre sempre più il bisogno di realizzare dei percorsi di educazione
alle emozioni e al lavoro cooperativo, di sensibilizzazione e formazione alla
conoscenza, al rispetto e alla valorizzazione di tutte le diversità individuali,
dedicati non solo agli alunni ma anche ai loro genitori, familiari e educatori.
La scuola pone dunque al centro della sua azione formativa e educativa tutte
le diversità concepite come afferma Canevaro, come «categorie storico-
esistenziali in positivo», che non riguardano esclusivamente gli alunni con
disabilità ma tutti gli alunni a rischio di esclusione o marginalità per infiniti
motivi (biologici, psicologici, sessuali, economici, culturali, religiosi, sociali)
secondo una prospettiva bio-psico-sociale basata sull’ICF.
Per garantire dunque a tutti gli studenti dei percorsi didattici capaci di
valorizzare la loro unicità, le intelligenze multiple e i diversi stili di ap-
prendimento, favorire l’apprendimento collaborativo e la consapevolezza del
proprio modo di apprendere, promuovere l’integrazione dei saperi e la
costruzione di relazioni fra saperi e discipline, la contestualizzazione delle
acquisizioni in contesti reali e in compiti significativi e autentici, in sintesi la
scuola deve:
– cogliere le potenzialità di ciascuno studente, gli stili comportamentali
e di apprendimento, le diverse intelligenze, valorizzando anche i profili
disomogenei;
– garantire una mediazione didattica inclusiva e lo scaffolding;
– garantire una valutazione dinamica dei processi;
– stabilire ulteriori e nuovi collegamenti col mondo del lavoro, con le
famiglie, con le molteplici realtà extrascolastiche in cui i propri allievi
TRACCE SVOLTE 99

compiono o potranno compiere esperienze significative (comunità locale,


associazioni sportive o culturali, sevizi socio-sanitari del territorio).
100 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

67 Il candidato descriva sinteticamente le differenze tra valutazione


sommativa e valutazione formativa.

Si parla di valutazione sommativa quando questa è finalizzata a offrire un


bilancio riassuntivo degli apprendimenti, a fornire informazioni sul rendi-
mento di un allievo in corso di trasferimento a un altro istituto o alla
certifi- cazione dei risultati finali. Si tratta di una valutazione usata per
certificare o per registrare il rendimento alla fine di un corso di studi
oppure per predire future probabilità di successo; il prodotto finale di
un’unità didattica, di un corso, il voto di un esame.
Si parla, invece, di valutazione formativa (o per l’apprendimento) quando
questa è finalizzata a facilitare l’apprendimento. Si tratta di un uso della
valu- tazione che contribuisce all’apprendimento dell’allievo; dà luogo a
interventi didattici che colmano lo scarto fra prestazioni effettive in un
momento dato e prestazioni attese. La valutazione formativa permette
anche lo sviluppo della conoscenza dello studente circa il proprio livello
di apprendimento e gli obiettivi che può porsi in modo realistico.
In realtà non è la valutazione di per sé ad essere sommativa o formativa,
ma come vengono trattate le informazioni raccolte.
È anche importante capire che perfino la più rigorosa modalità di
accer- tamento fornisce soltanto una visione parziale dell’allievo valutato
e che, qualunque inferenza si faccia o qualunque giudizio si dia, questo
deve restare provvisorio e suscettibile di modifica alla luce di dati
ulteriori. Tuttavia, se riteniamo che la valutazione debba avere carattere
prevalentemente forma- tivo, tutti i momenti si connotano come
formativi, ovvero utili per fornire informazioni che possano contribuire al
miglioramento dell’insegnamento e alla promozione e valorizzazione
delle potenzialità degli allievi, non a classificarli e sanzionarli.
La valutazione non può limitarsi ad apprezzare gli apprendimenti degli
al- lievi, ma dovrebbe portare anche a una riflessione sulle migliori
strategie di insegnamento, sull’organizzazione dei tempi, degli spazi,
degli ambienti di apprendimento, sulle relazioni che intercorrono tra
adulti, tra adulti e allievi, tra gli allievi. In pratica, la verifica
dell’andamento degli apprendimenti degli allievi deve contribuire
all’autovalutazione del lavoro del docente e di istituto.

68 Didattica cooperativa e didattica metacognitiva: caratteristiche e peculiarità.

La didattica metacognitiva è un modo di fare scuola che utilizza delibera-


tamente e sistematicamente i vari concetti e le metodologie derivati dagli
studi sulla metacognizione. L’insegnante che opera in modo
metacognitivo interviene a quattro livelli diversi, che rappresentano
altrettante dimensioni ben distinte della metacognizione.
TRACCE SVOLTE 101

Il primo livello riguarda le conoscenze sul funzionamento cognitivo in gene-


rale. Questo primo livello metacognitivo include una serie di conoscenze,
notizie e dati su come funziona la mente umana, per quanto è possibile
attualmente saperlo. L’insegnante fornisce all’alunno informazioni generali,
organizzate in una sorta di «teoria della mente», rispetto ai vari processi
cognitivi e risolutivi (come funziona la memoria, la soluzione di problemi, lo
scrivere, ecc.), sui meccanismi che li rendono possibili, sui limiti che ne-
cessariamente condizionano le prestazioni mentali e sui fenomeni tipici più
frequenti. Il secondo livello riguarda l’autoconsapevolezza del proprio funzio-
namento cognitivo. A questo secondo livello si deve parlare di introspezione,
autoanalisi e autoconsapevolezza di «cosa e come sto pensando, valutando,
ricordando», ecc. Dalle conoscenze teoriche generali si passa a quelle più
strettamente individuali, e cioè al conoscere da parte dell’alunno stesso il
funzionamento dei propri processi cognitivi e comportamentali, rendendosi
conto dei rispettivi punti di forza e deficit. Il terzo livello riguarda l’uso di
strategie di autoregolazione cognitiva. A questo livello metacognitivo l’alunno
dirige consapevolmente e attivamente se stesso, in particolare governa lo
svolgersi dei propri processi cognitivi. Il quarto livello riguarda le variabili
psicologiche di mediazione. L’allievo sviluppa, anche se forse in modo solo
parzialmente consapevole, una «immagine di sé come persona in grado (più o
meno) di imparare», immagine che entra in rapporto con le caratteristiche più
profonde della sua generale immagine e valutazione di sé.
L’apprendimento cooperativo (AC) è un metodo di insegnamento/appren-
dimento sviluppato negli anni Settanta del secolo scorso, di cui si sono in
seguito evolute varie forme. Si può definire l’AC come un metodo di in-
segnamento/ apprendimento che utilizza i piccoli gruppi, grazie ai quali è
possibile sia apprendere che migliorare le relazioni sociali. L’idea principale alla
base del metodo è che il gruppo è un insieme di risorse, intese sia come
conoscenze che come competenze, e gli allievi non sono considerati come
«contenitori da riempire» di nozioni o abilità, ma come risorse da attivare,
per cui l’insegnamento/apprendimento è un processo non di trasmissione
dall’insegnante agli alunni ma di partecipazione e scambio tra tutte le per-
sone coinvolte.

69 Il candidato indichi cosa si intende per strumenti compensativi e ne fornisca


qualche esempio.

La normativa riguardante i Disturbi Specifici dell’Apprendimento e i Biso-


gni Educativi Speciali definisce come sia importante prevedere, per questa
categoria di studenti, tra le altre cose, l’utilizzo di strumenti compensativi.
Con questo termine si intende strumenti che permettano il raggiungimento
degli obiettivi didattici della classe attraverso un supporto per quelle abilità
102 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

che sono rese deficitarie dal disturbo o dalla difficoltà presente. È anche
importante ricordare che la normativa vigente identifica una
differenza sostanziale tra le due categorie di difficoltà (DSA e BES):
diversamente da quanto accade con gli alunni con DSA o con altro
disturbo diagnosticato, l’utilizzo di strumenti compensativi e misure
dispensative con gli altri alunni con Bisogni Educativi Speciali deve
avere carattere temporaneo.
Non è sufficiente permettere l’utilizzo di uno strumento compensativo: la
scuola deve assicurarsi che questo possa avvenire con efficacia ed
efficienza. Il DM 5669/2011 e le Linee guida chiariscono che «le
Istituzioni scolastiche devono assicurare l’impiego degli opportuni
strumenti compensativi, cu- rando particolarmente l’acquisizione, da
parte dell’alunno e dello studente con DSA, delle competenze per un
efficiente utilizzo degli stessi».
Uno strumento compensativo molto conosciuto e utilizzato dai ragazzi
con disturbo specifico della lettura è la sintesi vocale.
La sintesi vocale permette la lettura di testi digitali come i libri scolastici e
le produzioni personali scritte con i tradizionali editor. I software di
gestione hanno in genere anche un loro ambiente di scrittura e delle
funzionalità aggiuntive alla gestione della sintesi (traduttore,
correttore ortografico, dizionario, calcolatrice parlante, ecc.); il riascolto
dei propri scritti con la sintesi vocale torna utile anche per rilevare errori
ortografici e di sintassi. Per utilizzare in modo proficuo la sintesi vocale
è importate, innanzitutto, che lo studente ne conosca le funzioni e sappia
individuare quelle più utili per lui (ad esempio la velocità di lettura).
Inoltre, è anche fondamentale che gli insegnanti sostengano lo studente
nello sviluppo di un processo di lettura che non è più autonomo, ma è «da
ascolto». Ascoltare un testo letto è molto diverso da leggerlo in
autonomia, per cui lo studente deve familiarizzare con questo nuovo
modo di lettura e trovare tutti quegli accorgimenti che gli permettano
di utilizzare questa lettura per i diversi fini scolastici e non.

70 Secondo Albert Bandura, la motivazione a realizzare le proprie


competenze può essere favorita dall’ambiente. Il candidato illustri
sinteticamente il concetto di motivazione, e in modo critico-riflessivo
tale affermazione.

La motivazione è una spinta che ci porta a cercare di raggiungere un


determi- nato obiettivo scolastico ed extra-scolastico. È un costrutto molto
complesso: sono infatti tanti gli elementi che concorrono a sostenere o
a ostacolare la nostra motivazione rispetto a uno scopo. Per citarne
alcuni, possiamo consi- derare l’importanza che ha per noi l’obiettivo, il
livello di difficoltà di quello che dovremmo fare, le nostre convinzioni
circa la nostra possibilità di riuscita e tanti altri elementi. Un aspetto
TRACCE SVOLTE 103

sicuramente da considerare è la percezione di l’autoefficacia. Il senso di


autoefficacia, che è stato ampiamente studiato da Albert Bandura, è una
variabile di importanza cruciale nell’influenzare, in senso positivo o
negativo, la capacità di autoregolare il proprio apprendimento e la propria
motivazione. Gli studenti con alto senso di efficacia personale
intraprendono volentieri compiti difficili e sviluppano uno spiccato
interesse nei riguardi delle attività scolastiche. Grazie al coinvolgimento e
all’investi- mento personale in ciò che fanno, una volta raggiunti gli
obiettivi prefissati, sperimentano una maggiore soddisfazione che rafforza
ulteriormente il loro senso di efficacia. A parità di abilità, gli studenti con
elevata autoefficacia adottano strategie più adeguate nella risoluzione dei
problemi, affrontano le difficoltà con minore esitazione, raggiungono
migliori risultati scolastici rispetto ai loro compagni con un grado di
efficacia più basso.
Il senso personale di autoefficacia è costituito dall’interazione di un’infinità di
fattori, ma risente molto dell’atteggiamento dell’insegnante. Un insegnante
che trasmette «fiducia» crede profondamente nelle risorse dell’alunno e le
valorizza, dando loro credito. Il senso di autoefficacia dipende anche dai vari
tentativi di persuasione operati da modelli adulti con vari gradi di cre-
dibilità, forza psicologica e capacità di attrazione rispetto alle tendenze di
identificazione operanti in quel momento nel bambino, e dalla percezione di
altri alunni con alti o bassi livelli di autoefficacia. È essenziale anche una
programmazione didattica «basata sul successo», che sia concretamente in
grado di garantire all’alunno esperienze vere di efficacia, su cui gli sia pos-
sibile rimodellare le proprie percezioni personali.

71 Definizione, utilità e ambiti di applicazione del problem solving.

La capacità di risolvere un problema matematico è un’attività che richiede


l’attivazione di diverse componenti cognitive e metacognitive. Uno dei
modelli che mette in evidenza quali sono le abilità che permettono lo
svolgimento di un compito di questo tipo è quello di Lucangeli, Tressoldi e
Cendron.
Questi ricercatori teorizzano che siano necessarie queste abilità cognitive per
risolvere un problema matematico:
– la comprensione del testo del problema sia da un punto di vista
linguistico sia da un punto di vista matematico;
– la rappresentazione dei dati, delle loro relazioni e della/e domanda/e;
– la categorizzazione di un problema matematico rispetto a problemi con
una struttura simile;
– la pianificazione delle azioni da eseguire per arrivare alla soluzione;
– le capacità di calcolo che permettono di risolvere le operazioni pianificate.
Sarebbe poi auspicabile fossero attivate almeno due abilità metacognitive: la
capacità di monitorare quanto si sta facendo e la capacità di autovalutare la
sensatezza del risultato a cui si è giunti.
104 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

Queste abilità non si susseguono in modo gerarchico, ma vengono


utilizzate in un flusso continuo, in cui un’abilità sostiene l’altra.
Quest’ambito dell’apprendimento permette anche di allenare il pensiero
più divergente, in quanto le strade per risolvere un problema matematico
sono solitamente varie. In questo modo il bambino può mettere in campo
un pensiero più produttivo, e meno riproduttivo, e dare quindi
maggiore spazio alla sua creatività. Perché questo avvenga, il problema
matematico dovrebbe venire presentato non come un mero esercizio, ma
come un’attività in cui si concede spazio ai diversi modi di ragionare, e in
cui si fa riflettere sull’utilità di provare strade diverse per giungere poi a
uno stesso risultato. Il dialogo con l’intera classe permette quindi di
venire in contatto con modi di ragionare differenti, in cui si può più
facilmente ampliare il bagaglio delle proprie strategie.

72 Il candidato indichi due strumenti compensativi utilizzabili nel caso di


di- scalculia.

La Legge 170/2010 prevede che studenti con un Disturbo Specifico di


Ap- prendimento, quale è anche la discalculia, possano usufruire di
strumenti compensativi per poter raggiungere gli obiettivi didattici della
classe di appartenenza.
Quando ci si trova di fronte alla scelta rispetto a quale strumento
compensa- tivo possa essere utile a uno studente, è bene tenere in
considerazione il suo profilo di punti di forza e di debolezza. Infatti, è
noto che c’è molta variabilità nell’espressività della discalculia evolutiva,
per cui gli studenti possono avere fragilità anche molto differenti gli uni
dagli altri. Partendo da quest’analisi del profilo, è bene capire quali abilità
abbiano maggior margine di sviluppo e come poterne sostenere il
miglioramento. Parallelamente, però, è importante individuare quali
fragilità invece andrebbero a ostacolare il raggiungimento di un obiettivo
didattico, se non fossero compensate attraverso uno strumento. È
all’interno di questo ragionamento che sarebbe bene avvenisse la scelta
degli strumenti compensativi per ogni singolo alunno.
Parlando di discalculia evolutiva, si possono prendere ad esempio due
stru- menti: la calcolatrice e la tavola pitagorica.
La calcolatrice è uno strumento che può compensare delle difficoltà
nel calcolo, con l’obiettivo di permettere all’alunno di poter eseguire
esercizi e acquisire nuove competenze senza essere bloccato dalle
difficoltà nell’ese- cuzione dei calcoli. In queste situazioni l’obiettivo
didattico, quindi, non è unicamente il calcolo, ma diventa l’acquisizione
di procedure, oppure la risoluzione di un problema, ecc.
Questo strumento, come gli altri, andrebbe debitamente
accompagnato, infatti è importante assicurarsi che il bambino sappia
digitare correttamen-
TRACCE SVOLTE 105

te i numeri nella tastiera e sappia anche capire se il risultato che ottiene è


verosimile o meno.
Un altro strumento compensativo spesso utilizzato è la tavola pitagorica.
Questo strumento permette di sostenere l’apprendimento di quegli alunni che
faticano ad automatizzare i fatti numerici e le tabelline. Qualora questi
studenti non potessero usufruire di questo strumento, si troverebbero in
grandi difficoltà nell’eseguire, ad esempio, divisioni e moltiplicazioni, perché
sarebbero costretti a utilizzare tutte le loro risorse cognitive per arrivare al
risultato corretto della tabellina, non avendo più grandi energie per ricordare
la procedura da eseguire e per ricordare i risultati parziali.
Gli strumenti compensativi, quindi, dovrebbero sostenere lo studente nel
raggiungere gli obiettivi didattici della classe, permettendogli di non essere
bloccato o troppo affaticato dal Disturbo Specifico di Apprendimento.

73 Caratteristiche del problem-solving e della scoperta guidata come strategie


didattiche.

Il problem solving può essere definito come un approccio educativo-didattico


volto allo sviluppo di strategie e abilità di soluzione di problemi su tre piani
diversi: psicologico, comportamentale e operativo.
Nel problem solving la persona si trova di fronte a una situazione che, in
molti aspetti e per varie caratteristiche, gli risulta nuova e non gestibile
secondo le consuete modalità apprese e conosciute. Ciò che viene richiesto in
queste situazioni, quindi, è di mettere in atto un vero e proprio «sforzo
creativo» volto a individuare nuove strategie per affrontare al meglio la sfida. Le
soluzioni possibili generalmente sono diverse in funzione di colui che risolve
il problema.
Da un punto di vista operativo, una modalità «tipo» di soluzione di un
problema si snoda in varie fasi che seguono una precisa sequenzialità «passo
dopo passo»; vediamole di seguito.
– Problem finding: ci si accorge che c’è un problema da risolvere che richiede
un’immediata soluzione.
– Problem setting: si definiscono il problema e l’obiettivo da raggiungere, ci
si chiede: «Dove sta l’ostacolo al mio modo di agire consueto e abituale?».
– Brainstorming: si definisce un’ampia gamma di possibili ipotesi di so-
luzione, anche quelle mai tentate in precedenza, cercando di attivare al
massimo la creatività e il pensiero divergente.
– Decision making: dopo un’attenta valutazione dei punti di forza e di de-
bolezza, della realizzabilità e delle possibilità di successo di ciascuna idea, si
sceglie l’ipotesi di soluzione che si ritiene più efficace.
– Decision taking: si applica concretamente e in maniera precisa l’ipotesi
di soluzione prescelta, verificando poi con attenzione e in maniera obiettiva
106 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

gli esiti. In caso positivo si continuerà ad applicare questa strategia di


soluzione, altrimenti si ricomincerà da capo tutto il processo.
Acquisire la capacità di individuare, posizionare e affrontare problemi di
varia natura e tipologia permette all’alunno di sviluppare abilità meta-
cognitive di controllo esecutivo del compito, quali l’automonitoraggio e
l’autoregolazione.
Una variante del problem solving «aperto» è il metodo della scoperta
gui- data, che pone gli allievi di fronte a una situazione problema che
prevede un’unica soluzione. Nella ricerca della soluzione, l’intervento
della guida può essere svolto sia dal docente che da compagni esperti,
e può essere variamente modulato: si possono selezionare, ad esempio,
solo determi- nati spazi problematici alleggerendo il carico su altri aspetti
che vengono invece esplicitati.

74 Definizione, utilità e ambiti di applicazione del brainstorming.

Il brainstorming è un tipo di intervista di gruppo a basso grado di struttu-


razione, che trae ispirazione dalla pratica di conduzione aziendale di una
riunione creativa proposta dal pubblicitario Alex Osborn negli anni
Cin- quanta. Il termine viene tradotto in italiano sia come «assalto
mentale» (dal verbo to storm = assaltare + brain = cervello) che, più
comunemente, come
«tempesta di cervelli» (dal sostantivo storm = tempesta + brain =
cervello). Il brainstorming prevede l’emergere delle idee del gruppo
rispetto a un dato argomento attraverso il gioco creativo dell’associazione
di idee, al fine di definire diverse possibili alternative per risolvere un
problema.
Oltre che in campo aziendale, tale metodo può trovare applicazione in
diversi ambiti educativi/formativi e può essere utilizzato sia con minori
che con adulti. Nel contesto scolastico, in particolare, il brainstorming si
caratterizza come attività collaborativa e inclusiva finalizzata ad attivare
le conoscenze pregresse degli allievi o a generare nuove idee, stimolando la
partecipazione, il coinvolgimento e la co-costruzione del processo di
conoscenza attraverso il contributo di tutti.
Operativamente il metodo si compone di due fasi:
– nella prima fase viene stimolato il pensiero divergente e si privilegia la
quantità; tutti i membri del gruppo esprimono liberamente le idee riferite al
tema indicato, accogliendo qualsiasi proposta senza avanzare critiche. Anche
idee apparentemente bizzarre o improduttive, infatti, possono stimolarne
di utili ed efficaci e questo aspetto contribuisce a ridurre l’ini- bizione e la
paura del giudizio dei partecipanti. L’ordine degli interventi non è
sequenziale o determinato a priori e ognuno può prendere la parola quando lo
TRACCE SVOLTE 107

ritiene opportuno. Può essere utile designare un segretario (es. l’insegnante


stesso o un alunno) che si occupi della raccolta delle propo- ste, riportandole man
mano su supporti quali cartelloni, post-it, lavagne a fogli mobili o LIM.
– nella seconda fase si attiva il pensiero convergente e si presta attenzione
alla qualità: le idee accumulate vengono analizzate criticamente, valutate e
selezionate per individuare quelle più interessanti, adeguate e/o efficaci per
rispondere al problema presentato.
Durante tutto il processo il conduttore (docente) riveste una funzione
fondamentale: egli, infatti, deve conoscere bene il problema da sottoporre,
spiegare ai partecipanti le regole inerenti questa tecnica, stimolarne l’interesse
e porsi con un atteggiamento incoraggiante di attesa fiduciosa.

75 Come realizzare una didattica per competenze.

Il costrutto di competenza impone alla scuola di ripensare il proprio modo di


procedere, suggerendo di utilizzare gli apprendimenti acquisiti nell’ambito
delle singole discipline all’interno di un più globale processo di crescita in-
dividuale degli alunni. A tal fine, si rende indispensabile una riformulazione
sostanziale dei tre momenti fondanti del processo di insegnamento.
1. Progettazione. Le competenze chiave europee (Raccomandazione del Par-
lamento Europeo del 18 dicembre 2006) rappresentano il fulcro attorno al
quale costruire un curricolo scolastico per competenze, compendio di una
progettazione e pianificazione organica, intenzionale e condivisa del percorso
formativo degli allievi. Il lavoro collegiale che la formulazione del curricolo
per competenze richiede dovrebbe condurre al superamento della logica
disciplinare, alla messa in relazione dei diversi saperi e all’in- dividuazione di
quei nuclei problematici comuni che possono diventare oggetto di macro
Unità di Apprendimento.
2. Didattica. La competenza si apprezza in situazione, come capacità di rea-
gire alle sollecitazioni offerte dall’esperienza attraverso la mobilitazione di tutte
le proprie risorse cognitive, pratiche, sociali, metodologiche e perso- nali,
come afferma LeBoterf. Per stimolare lo sviluppo delle competenze, gli
alunni vengono chiamati, dunque, ad agire, a collaborare con gli altri e ad
assumersi delle responsabilità nell’affrontare una situazione nuova. Ciò
chiaramente richiede la trasformazione del contesto di apprendimento (che si
avvicina sempre più al mondo «reale») e la predisposizione di situa- zioni sfidanti
che presuppongano «il fare» come veicolo di conoscenza (es. realizzazione di un
prodotto materiale o immateriale, risoluzione di un problema, costruzione di
un progetto). Compiti significativi e Unità di Apprendimento rappresentano
degli strumenti didattici particolarmente adatti a questo scopo.
108 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

3. Valutazione. La valutazione di una competenza richiede di


considerare la capacità dell’allievo di portare a termine un compito (e
quindi la «qua- lità» del prodotto finale), ma anche il processo
compiuto per arrivare al risultato. A tal fine, è necessaria
un’osservazione sistematica da parte dell’insegnante, che può essere
condotta con diversi strumenti quali, ad esempio, griglie e protocolli
strutturati o semistrutturati. È importante, inoltre, chiedere allo studente
di narrare il suo vissuto rispetto all’espe- rienza di apprendimento per far
sì che egli colga, in termini metacogni- tivi, il senso e il significato del
suo lavoro, riconosca le difficoltà che ha incontrato, le soluzioni che ha
adottato per superarle e le emozioni che ha provato nello svolgere
l’attività.

76 «Effetti dei fattori sociali sull’apprendimento: l’apprendimento è


influenzato dalle interazioni sociali, dalle relazioni interpersonali e
dalla comunicazione con gli altri» (American Psychological Association,
1997). Argomentare con modalità critico-rielaborative la citazione
facendo cenni anche a teorie e modelli socio-psico- pedagogici.

Se la psicologia cognitiva classica ha rivolto la sua attenzione esclusivamente


all’analisi dei processi mentali che influenzano l’apprendimento, i
modelli socio-psico-pedagogici di matrice costruttivista hanno, invece,
considerato il fenomeno apprenditivo come il risultato di una più
complessa dinamica di interazione e confronto tra l’attività individuale di
elaborazione-costruzione di informazioni e il contesto socio-culturale di
riferimento. In questa pro- spettiva, l’apprendimento si verifica in
funzione dell’attività, del contesto e della cultura in cui è situato ed è
profondamente connesso alla dimensione esperienziale e sociale, come
affermano Lave e Wenger.
Il principale riferimento teorico a questo proposito è rappresentato
dallo psicologo e pedagogista sovietico Vygotskij, secondo il quale lo
sviluppo mentale e l’apprendimento dipendono dall’interiorizzazione di
forme culturali. Il significato che ciascuno di noi attribuisce ai concetti, ai
fatti, alla realtà che lo circonda, dunque, è socialmente costruito
attraverso il linguaggio e si nutre della fitta rete di relazioni che
l’individuo intesse con l’ambiente.
Il ruolo giocato dall’interazione in seno ai processi apprenditivi viene
rimar- cato ulteriormente dal concetto vygotskijano di zona di sviluppo
prossimale (ZSP). La ZSP rappresenta la distanza tra il livello di sviluppo
effettivo e il livello di sviluppo potenziale, che può essere raggiunto con
l’aiuto di adulti o pari con un livello di competenza maggiore. Grazie
all’azione di scaffolding esercitata dalle altre persone, il bambino
acquisisce via via competenze che gli permettono di giungere
autonomamente alla soluzione di problemi e allo svolgimento di
TRACCE SVOLTE 109

compiti ben precisi. Per sintetizzare questo processo, Vygotskij afferma


che «ciò che i bambini sanno fare insieme oggi, domani sapranno farlo
da soli».
A livello didattico, «ciò porta a considerare la classe come una vera e propria
«comunità di apprendimento» all’interno della quale si realizza una costru-
zione «collaborativa» della conoscenza in base a una continua negoziazione
di significati e di idee. Le strategie che puntano sull’interazione tra pari
sono, in particolare, il peer tutoring e il cooperative learning.

77 Il docente è chiamato a ottemperare al delicato adempimento del potenzia-


mento della metacognizione che sopraggiunge, secondo la teoria di Piaget, al
IV stadio della teoria dello sviluppo cognitivo. Il candidato ne illustri le
motivazioni socio-psico-pedagogiche.

Nel IV stadio di sviluppo cognitivo, definito da Piaget stadio delle operazioni


formali (dai 12 anni in poi), il pensiero opera su ricordi, immagini mentali,
idee e concetti astratti impiegando capacità logiche e critiche, ragionamento
per ipotesi e procedimenti deduttivi. In questa fase, compito dell’insegnante è
quello di potenziare la capacità dell’alunno di compiere «operazioni su
operazioni», promuovendo la dimensione metacognitiva dell’apprendimen-
to, che è fondamentale sia per l’affinamento di competenze trasversali (es.
attenzione, memoria, metodo di studio), sia per l’apprendimento di abilità più
prettamente curricolari (es. lettura, comprensione del testo, matema- tica
e scrittura). A tal fine, è necessario impostare una didattica capace di offrire
agli allievi l’opportunità di ricostruire e riflettere sui propri processi cognitivi
per divenire sempre più capaci di gestirli autonomamente anche in situazioni
nuove.
È possibile delineare quattro livelli caratterizzanti la didattica metacognitiva
sui quali gli insegnanti possono operare:
1. conoscenze sul funzionamento cognitivo generale. L’allievo comprende
come funzionano la memoria, la percezione, l’attenzione, la soluzione di pro-
blemi, la lettura e quali strategie possono essere di aiuto per supportare
questi processi cognitivi;
2. autoconsapevolezza del proprio funzionamento cognitivo
(automonitoraggio). L’allievo capisce come funziona la sua mente, riconosce
quali sono i suoi punti di forza e debolezza e il suo stile di apprendimento;
3. uso di strategie di autoregolazione cognitiva (autodirezione). L’alunno im-
para a riconoscere il tipo di compito con le relative richieste in termini di
attività cognitive necessarie e dirige consapevolmente e attivamente se
stesso, mettendo in atto le strategie adeguate;
4. variabili psicologiche di mediazione. L’alunno comprende che dimensioni
psicologiche quali stili di attribuzione, senso di autoefficacia, autostima e
motivazione impattano fortemente sull’immagine che egli sviluppa di sé
110 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

come persona in grado di apprendere. A questo livello è importante che il


docente lavori affinché l’alunno sviluppi una forte motivazione intrin-
seca, acquisisca una visione incrementale dell’intelligenza, attribuisca i
suoi successi all’impegno personale e allo sforzo organizzativo investito
nel compito, non abbia paura dell’insuccesso perché consapevole che
l’errore è utile all’apprendimento.

78 Che cos’è il PEI – Piano Educativo Individualizzato?

Il Piano Educativo Individualizzato è il documento mediante il quale


viene descritto e organizzato l’intervento didattico educativo-didattico
multidimen- sionale sulla base del funzionamento dell’alunno con
disabilità certificata, per la realizzazione del suo diritto di istruzione e
apprendimento, previsto dalla Legge 104/92.
In esso vengono definite le modalità di intervento finalizzate a sostenere
e a rendere concreto il diritto all’educazione e all’istruzione, avendo ben
presente che, al centro della programmazione educativa e didattica, c’è
l’alunno con la sua situazione peculiare e le sue esigenze di sviluppo.
Nel Dlgs 66/17 si afferma che l’inclusione scolastica è attuata attraverso
la definizione e la condivisione del PEI come parte integrante del
progetto individuale.
Il modello bio-psico-sociale ICF-CY dell’OMS può esserci in questo
caso utile proprio per osservare il funzionamento della persona da una
prospet- tiva a 360°, nelle sue diverse componenti di funzioni e strutture
corporee, attività e partecipazione, fattori contestuali. Il Dlgs 66/2017 e il
successivo Decreto correttivo 96/2019 sottolineano infatti questa nuova
prospettiva nella definizione del Profilo di funzionamento dello studente,
documento propedeutico e necessario alla successiva stesura del PEI.
Il PEI è elaborato e approvato dal Gruppo di Lavoro Operativo per
l’inclu- sione, sulla base del Profilo di funzionamento, avendo particolare
riguardo all’indicazione dei facilitatori e alla riduzione delle barriere,
secondo la pro- spettiva bio-psico-sociale alla base della classificazione
ICF.
Nel PEI si individuano inoltre obiettivi educativi e didattici, strumenti,
strate- gie e modalità per realizzare un ambiente di apprendimento nelle
dimensioni della relazione, della socializzazione, della comunicazione,
dell’interazione, dell’orientamento e delle autonomie.
Vengono inoltre esplicitate le modalità di sostegno didattico (compresa la
proposta del numero di ore), le modalità di verifica, i criteri di valutazione
in relazione alla programmazione individualizzata, gli interventi di
inclusione. Va inoltre ricordato che la verifica dell’adeguatezza del PEI va
svolta in itinere, per permettere eventuali aggiustamenti necessari negli
obiettivi definiti e nelle attività individuate, apportando quindi le eventuali
modifiche e integrazioni.
TRACCE SVOLTE 111

Nel PEI si definiscono inoltre gli strumenti per l’effettivo svolgimento dei
percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento, assicurando la
piena partecipazione dei soggetti coinvolti nel progetto di inclusione,
guardando nell’ottica del Progetto di vita dell’alunno.

79 Che cos’è il modeling?

Il concetto di modeling, o apprendimento per imitazione, ha una lunga e


consolidata storia di ricerche e applicazioni, a partire dagli studi di Skinner
fino ad arrivare alle concettualizzazioni effettuate da Bandura finalizzati all’e-
laborazione della sua teoria dell’apprendimento sociale. Albert Bandura ha
introdotto il termine «modellamento» (modeling), come paradigma di appren-
dimento a sé stante con forte impatto sullo sviluppo dei bambini, in quanto
costituito da caratteristiche esclusive non riscontrate nei paradigmi classici
esistenti. Nello specifico, Bandura ha riscontrato che i bambini tendono ad
acquisire una vasta gamma di abilità non dalle proprie esperienze (secondo lo
schema «prove ed errori»), bensì attraverso esperienze indirette, sviluppate
tramite l’osservazione di altre persone che compiono quelle specifiche azioni. Il
presupposto del modellamento è l’apprendimento osservativo in cui è im-
plicata la presenza di un modello e di un osservatore, pertanto Bandura ha
utilizzato il termine modellamento (modelling) per identificare un processo
di apprendimento che si attiva quando il comportamento di un individuo
che osserva si modifica in funzione del comportamento di un altro individuo
che ha la funzione di modello. Su tali basi il comportamento è il risultato di
un processo di acquisizione delle informazioni provenienti da altri individui.

80 Le strategie di calcolo mentale nelle prime fasi dell’apprendimento sono state


oggetto di numerosi studi. Attualmente sappiamo che l’acquisizione di tali
strategie avviene attraverso una serie di fasi progressive. Quali sono le
principali per quanto riguarda l’addizione?

Ricerche recenti hanno avvalorato l’ipotesi di una successione nell’acqui-


sizione delle strategie di calcolo; nel caso dell’addizione, le fasi principali
sono le seguenti.
a) Contare tutto. Per fare 3 + 5, il bambino conta «uno, due, tre» e poi
«uno, due, tre, quattro, cinque» oggetti per stabilire la numerosità degli
insiemi da sommare, così da rendere visibili i due insiemi: ad esempio, tre
dita su una mano e cinque sull’altra. Il bambino conta poi tutti gli oggetti.
b) Contare in avanti a partire dal primo addendo. Alcuni bambini
scoprono che non è necessario contare il primo addendo: partono da 3 e
contano poi in avanti per altri 5, e arrivano così al risultato. Utilizzando il
conteg-
112 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

gio sulle dita, il bambino non conta più il primo insieme, ma parte dalla
parola «tre», e usa una mano per contare in avanti il secondo addendo:
«quattro, cinque, sei, sette, otto».
c) Contare in avanti a partire dall’addendo più grande. Quello di
contare il minore dei due addendi è un metodo più efficiente e meno
soggetto a errori. Il bambino sceglie in questo caso di partire dal numero
più grande:
«cinque» e poi va avanti «sei, sette, otto».

81 In molti casi, nella stesura del PEI, aver definito una buona serie di
obiettivi a breve termine non esaurisce questa fase di programmazione;
c’è infatti bisogno di semplificarli, ridurne la complessità e scomporli in
sotto-obiettivi che facilitino l’apprendimento. Vi sono diversi metodi per
costruire sequenze di sotto-obiettivi facilitanti; quali sono i più
utilizzati?

Nel caso di alunni con disabilità piuttosto gravi, anche gli obiettivi a
breve termine che sono stati definiti nel PEI possono risultare ancora
troppo com- plessi. In molti casi si deve quindi lavorare per ricavarne
sequenze facilitanti di obiettivi più accessibili, da presentare
immediatamente all’alunno. Alcuni dei metodi più utilizzati per
semplificare e ridurre la complessità attraverso la scomposizione in
sotto-obiettivi facilitanti sono i seguenti.
1. Ridurre le difficoltà dell’obiettivo semplificando le richieste di corretta
ese- cuzione. Un obiettivo può essere portato più vicino ai livelli
attuali di competenza dell’alunno se riusciamo a ridurne la difficoltà
attraverso una modifica dei criteri di corretta esecuzione, quali ad
esempio l’accuratez- za, la velocità di azione, l’intensità, la durata e la
frequenza ottimale di emissione di un determinato comportamento.
Questa semplificazione sta alla base della tecnica di insegnamento che va
sotto il nome di shaping (modellaggio).
2. Ridurre la difficoltà dell’obiettivo attraverso l’uso degli aiuti necessari e
suffi- cienti. Un obiettivo può essere reso più accessibile anche attraverso
l’uso accorto e pianificato di aiuti, di cui andranno forniti solo quelli
necessari e sufficienti, né di più né di meno, per non correre il rischio
di creare dipendenza e passività dandone troppi.
3. Ridurre la difficoltà dell’obiettivo attraverso l’analisi del compito (task
analysis). L’analisi del compito permette di scomporre un obiettivo sia in
senso sequenziale-descrittivo, elencando le serie di risposte singole che
compongono quel compito, sia in senso strutturale gerarchico, indivi-
duando le abilità più semplici e prerequisite che costituiscono la struttura
di base di quell’obiettivo e che vanno costruite per prime, appunto in
ordine gerarchico. Entrambe queste modalità ci consentono di costruire
sequenze di sotto-obiettivi più graduali in termini di difficoltà, e perciò
TRACCE SVOLTE 113

più facilitanti.
82 Che cosa sono le rubriche valutative? Quali caratteristiche assumono nel caso
di alunni con disabilità?

A partire dagli indicatori, si costruiscono specifiche rubriche valutative,


ovvero delle tabelle sinottiche che descrivono le varie dimensioni della
competenza traducendole in comportamenti osservabili, declinati secondo
una scala di qualità. Per stimolare la metacognizione e motivare gli studenti
al successo, le rubriche dovrebbero essere condivise con la classe contestual-
mente alla presentazione di ogni proposta didattica, in modo da esplicitare le
aspettative del docente e i parametri in base ai quali verrà condotta la
valutazione.
Le rubriche valutative possono riferirsi:
– al curricolo (competenze chiave), se interessano competenze chiave e
comportamenti osservabili dopo un arco di tempo abbastanza ampio
(annuale o pluriennale);
– alle specifiche competenze individuate dalle UdA, quando risultano più
circostanziate (specificano meglio i processi e i contesti dell’apprendere,
come strumenti, spazi, tempi, prestazioni, prodotti, ecc.);
– a compiti singoli (es. lavoro di gruppo, compito significativo, verifica,
prodotto), se sono ancora più dettagliate.
La struttura della rubrica valutativa dovrebbe esplicitare per ogni livello:
– contesto di apprendimento (situazioni note vs nuove);
– prestazione attesa;
– grado di autonomia ed eventuali facilitazioni necessarie;
– livello di responsabilità.
È importante costruire rubriche valutative rivolte alla classe in generale avendo
cura di formalizzare e strutturare i livelli in modo che chi è particolarmente in
difficoltà si possa ritrovare al livello iniziale, che corrisponde al profilo di un
alunno che va guidato per raggiungere gli obiettivi minimi.
Nei casi di alunni con disabilità — per i quali la valutazione delle competenze
è comunque prescrittiva — è possibile utilizzare il modello di certificazione
standard allegando delle rubriche di valutazione personalizzate che rapporti-
no il significato degli enunciati di competenza al Profilo di Funzionamento e
agli obiettivi stabiliti dal PEI. I livelli della rubrica valutativa, in questo caso,
corrisponderanno al potenziale miglioramento di performance dell’alunno
stimolato dall’introduzione di facilitatori ambientali (es. strumenti, sussidi,
arredi per rendere lo spazio accessibile, risorse umane, strategie didattiche) o
personali (es. aumento della fiducia e dell’autostima che l’alunno nutre verso
di sé).
Per quanto riguarda il PEI differenziato, è possibile accompagnare alle ru-
briche un altro documento, poiché la normativa vigente non pone limite
114 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

né alla quantità di allegati né alla tipologia. Il documento a cui si fa riferi-


mento certifica, cioè attesta, le sole competenze effettivamente sviluppate
dall’allievo. Questo è particolarmente importante nel caso di alunni
con disabilità grave, in cui spesso si fa riferimento alla partecipazione alla
cultura del compito, dove l’attenzione va posta a tutti gli elementi di
socializzazione e di partecipazione sociale attivabili nel gruppo classe.

83 Nel processo psicologico di un soggetto fondamentale è il ruolo


ricoperto dall’ambiente e il rapporto che ciascun individuo stabilisce con
esso. Illustri il can- didato le implicazioni socio-psico-pedagogiche di tale
affermazione alla luce dei nuovi modelli conoscitivi.

Bronfenbrenner, nei suoi studi, ha raccomandato l’importanza di


consi- derare il ruolo dell’ambiente nello sviluppo del bambino.
Bronfenbrenner fonda l’approccio ecologico allo sviluppo, rimarcando
così la complessità dell’ambiente in cui il bambino è inserito nel difficile
compito di crescita. Schematizza l’ambiente in una serie ordinata di
strutture, incluse le une nelle altre reciprocamente influenzabili. Il primo
livello prende il nome di mesosistema, che rappresenta il contesto in cui il
bambino si sviluppa e in- staura le prime relazioni significative come la
famiglia, la scuola e i coetanei; l’esosistema è il sistema di mezzo, e
riguarda le situazioni che influenzano gli attori che si interfacciano con il
bambino ma non coinvolge il bambino stesso, come ad esempio il lavoro
dei genitori o le famiglie degli insegnan- ti; l’ultimo livello è definito
macrosistema e riguarda le politiche sociali e dei servizi della comunità
socioculturale in cui il bambino e i soggetti che interagiscono con lui
sono inseriti.
Anche l’approccio comportamentista sottolinea l’importante legame del
bambino con l’ambiente. L’interazione bambino-ambiente è osservata in
termini quantitativi: lo sviluppo è definito dagli effetti delle esperienze e
dell’apprendimento. Il soggetto tenderebbe a riprodurre e fare propri
com- portamenti che, una volta emessi, permettono di ottenere rinforzi
positivi, comportamenti che invece non ottengono esiti desiderabili
tendono a non essere più agiti per effetto del rinforzo negativo. Tipico
esempio del com- portamentismo radicale è l’apprendimento classico e
operante di Skinner. Bandura propone invece uno stile di
apprendimento comportamentista meno radicale definito sociale,
secondo il quale il soggetto apprenderebbe perché influenzato dal
comportamento osservato. Il comportamento os- servato verrebbe
riprodotto come esito dei rinforzi intrinsechi interni del soggetto (meno
influenzati dall’ambiente).
L’approccio organismico, dove troviamo anche i modelli di Piaget e
Vygotskij, considera il bambino come un attivo e spontaneo costruttore
delle proprie abilità; nello sviluppo avrebbero più peso inclinazioni
TRACCE SVOLTE 115

interne del soggetto

piuttosto che esterne, nonostante si sottolinei l’importanza dell’interscambio


continuo.
Soprattutto Bowlby evidenzia, nella sua teoria sugli stili di attaccamento,
ancora oggi la teoria maggiormente riconosciuta come direttrice principale
per ogni studio sull’infanzia e sull’educazione, come fin dalla nascita il sog-
getto sia predisposto a connettersi alle figure di accudimento per ricevere
soddisfazione dei suoi bisogni fisici ed emotivi. Dalla mediazione delle
figure di attaccamento (mamma, papà o altre figure primarie nel caso in
cui i genitori biologici non fossero disponibili) il bambino sviluppa la sua
rappresentazione del mondo come un contesto sicuro o meno, e questa rap-
presentazione influenzerà gli scambi relazionali successivi. Bowlby sostiene
come l’impatto con l’ambiente derivi dalla qualità dalle prime relazioni
significative instaurate, ma sottolinea come, nel corso della vita, l’individuo
che sperimenta nuove relazioni positive possa modificare con sforzo il suo
rapporto con il mondo.
L’orientamento contestuale, oggi privilegiato, rappresenta l’evoluzione dei
precedenti assunti. Si sostiene l’influenza reciproca tra ambiente e perso- na,
viene analizzato il rapporto considerandoli aspetti interdipendenti di
un’unica unità, superando definitivamente quegli approcci che vedevano
individuo e ambiente come parti indipendenti nel processo evolutivo.
Gli studi evidenziano come ad oggi sia consolidata l’influenza reciproca tra
patrimonio genetico e ambiente sullo sviluppo psicologico e la crescita
intellettiva del soggetto. È stato studiato come ambienti accudenti, cultu-
ralmente ricchi e validanti abbiano effetti positivi per garantire benessere e
traiettorie di crescita adeguate per il bambino. Allo stesso tempo non si
trascurano aspetti come la resilienza, evidenziando la capacità del soggetto di
modificare e trasformare ciò che nel proprio percorso di crescita non è
funzionale. In altre parole, il soggetto è sempre protagonista nella possibilità
di riorganizzare la propria vita nella direzione dei valori personali e degli
obiettivi soggettivi da raggiungere.

84 Quali sono gli otto tipi di apprendimenti descritti da Gagné e quali strategie
può mettere in atto l’insegnante per favorirne lo sviluppo nei propri
studenti?

Gagné distingue otto tipi di apprendimenti organizzati in una struttura


gerarchica in base alle diverse componenti di conoscenza richieste, dove
l’acquisizione di uno è condizionata all’acquisizione di tutti i precedenti.
Solo quando si è raggiunta la padronanza di tutte le singole componenti si
può ottenere con successo il risultato finale.
Secondo Gagné, questi apprendimenti sono i seguenti.
1. Apprendimento di segnali: apprendimento di risposte di tipo
emotivo secondo il condizionamento classico.
116 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

2. Apprendimento stimolo-risposta: la risposta acquisita è un


comportamento preciso e circoscritto.
3. Concatenazione motoria: sequenza di connessioni stimolo-risposta
di movimenti semplici o complessi.
4. Concatenazione o associazione verbale: apprendimento di
associazioni verbali (ad esempio imparare il nome di un oggetto).
5. Apprendimento di discriminazioni: capacità di dare risposte diverse
ad elementi stimolo di uno stesso gruppo, discriminandone i tratti
distintivi.
6. Apprendimento di concetti: dare una stessa risposta a stimoli
appartenenti alla stessa classe.
7. Apprendimento di principi/regole: concetti appresi per definizione
(ad esempio in relazione alle varie discipline scolastiche).
8. Soluzione di problemi: applicare regole note per individuare poi
regole nuove di ordine superiore da far entrare nel repertorio individuale.
Va inoltre sottolineato che Gagné considera l’analisi dei compiti di
appren- dimento la «chiave di volta» dell’insegnamento e quindi, secondo
questo studioso, esiste un rapporto molto stretto, che va tenuto in
considerazione, tra teoria dell’apprendimento e teoria
dell’insegnamento.
In questa prospettiva, Gagné propone alcune indicazioni utili per far sì
che l’azione del docente sia orientata nella direzione di favorire lo
sviluppo di tali apprendimenti nei propri studenti. Le principali sono:
– stimolare l’attenzione per favorire la ricezione dello stimolo;
– informare gli studenti degli obiettivi stabiliti, in modo da creare
aspettative adeguate;
– stimolare la memoria delle conoscenze pregresse;
– fornire uno stimolo e assicurare una percezione selettiva;
– guidare l’apprendimento attraverso una codifica semantica appropriata;
– promuovere la pratica e la generazione di risposte;
– fornire feedback;
– valutare le prestazioni;
– far svolgere attività diversificate in modo da promuovere il transfer e
favorire futuri recuperi della conoscenza.

85 Il candidato descriva che cos’è l’Instructional Design e quali sono le sue


carat- teristiche fondamentali.

L’Instructional Design (ID) si configura come quel campo di indagine


che si occupa di definire le regole che presiedono alla scelta dei metodi
d’istru- zione più adeguati tenendo conto delle condizioni e delle diverse
tipologie di apprendimenti. Reigeluth, uno dei maggiori studiosi di ID, ha
prodotto un’attenta e articolata riflessione volta a chiarire quale sia
TRACCE SVOLTE 117

l’ambito specifico
118 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

dell’ID, soffermandosi in particolare sullo statuto epistemologico delle teorie


ID. Vediamo alcuni punti di questa riflessione.
1. L’ID si profila come un corpo di teorie accomunate dal tratto
caratteristico di offrire indicazioni, più o meno generali, su come facilitare
l’apprendi- mento e lo sviluppo cognitivo, emozionale, sociale e fisico delle
persone.
2. Una teoria ID è design-oriented, si focalizza cioè sui modi attraverso i
quali raggiungere certi risultati in termini di apprendimento. Ha dun- que
un carattere eminentemente prescrittivo, in quanto non si occupa di
descrivere le relazioni causa-effetto tra eventi, bensì di indicare come
conseguire certi risultati.
3. Una teoria ID non è vera o falsa, ma più o meno preferibile, implica
cioè una scelta, una decisione tra possibili modalità d’intervento,
soddisfacendo così non tanto criteri di validità, quanto criteri di
preferibilità.
4. Una teoria ID si occupa però di definire i metodi per facilitare l’ap-
prendimento e indicare quando (ossia, le situazioni in cui) è preferibile usarli
o non usarli. I metodi hanno dunque carattere situazionale e non
universale, cioè funzionano in certe situazioni e non in altre: la situazione (gli
aspetti del contesto) influenza la scelta del metodo e ne condiziona
l’applicabilità.
5. I metodi ID hanno carattere probabilistico, ossia non garantiscono
che l’applicazione di un adeguato metodo in una certa situazione conduca
automaticamente o deterministicamente al risultato auspicato, ma ci
indica che con un buon grado di probabilità. data una certa situazione. il
metodo funziona.
6. In qualsiasi situazione di istruzione, gli aspetti significativi sono ricon-
ducibili a due macrocategorie: le condizioni di istruzione (ad esempio la
natura di ciò che deve essere appreso, le caratteristiche dello studente come le
sue conoscenze pregresse, i suoi stili, le sue motivazioni e interessi, le
caratteristiche dell’ambiente, i vincoli organizzativi, ecc.) e i risultati
auspicati (livelli di efficacia, efficienza costi/tempo, attrazione per lo
studente).

86 Apprendimento situato e comunità di pratica: caratteristiche e principi fon-


damentali.

Il concetto di apprendimento situato, i cui studiosi di spicco sono Lave e


Wenger, fa parte dell’orientamento proprio del costruttivismo sociale. Esso
fa riferimento a un tipo di apprendimento che non si configura come una
pratica individuale e svincolata dalle dinamiche e dal contesto di apparte-
nenza, ma piuttosto risulta di fondamentale importanza, nella produzione di
significato, il coinvolgimento in attività, il rapporto e il confronto con il
contesto e le persone, e, quindi, con la dimensione esperienziale e sociale
TRACCE SVOLTE 119

dell’apprendimento, che viene così a configurarsi come un processo com-


plesso fatto di attori, azioni e situazioni.
L’apprendimento autentico è quindi sempre situato e non può esistere ap-
prendimento astratto da una situazione. Lo scopo degli studi di questo
filone di ricerca è quindi quello di costruire contesti e ambienti di
apprendimento in cui le persone siano messe nelle condizioni migliori per
apprendere, secondo le modalità più naturali e vicine quindi alla
quotidianità della vita reale.
Lave e Wenger individuano alcuni principi fondamentali
dell’apprendimento situato:
–si verifica in funzione dell’attività, del contesto e della cultura in cui
è situato;
–richiede interazione sociale, collaborazione e attivazione di contesti au-
tentici;
–è facilitato quando sono disponibili opportunità di scaffolding.
Per apprendere, quindi, è necessario appartenere a una comunità,
essere coinvolti e partecipare attivamente a una comunità di pratica
(scuola, lavoro, casa, ambiti degli interessi sociali e personali, ecc.), dove il
novizio interagisce con gli altri membri spostandosi dalla «periferia» verso il
«centro» di un cer- chio che raffigura simbolicamente il suo diventare
esperto. Si tratta di quella che gli autori hanno definito come
partecipazione periferica legittimata, ossia il novizio che si trova ancora
ai «margini» della comunità deve essere progressivamente coinvolto
nelle pratiche autentiche di apprendimento svolte dagli esperti; pur
mantenendo quindi un ruolo ancora «periferico», è comunque
«legittimato» come membro vero di quella comunità. La volontà di
imparare e il significato stesso di apprendimento autentico si sviluppano
quindi progressivamente attraverso il diventare un partecipante «a tempo
pieno» di una pratica socioculturale, di una comunità che è
continuamente definita e negoziata da tutti i suoi membri in un mutuo
coinvolgimento e condivisione di risorse/scopi comuni.

87 Che cos’è la task analysis (analisi del compito)?

La task analysis (analisi del compito) è un insieme di metodi che consente


di scomporre in sotto-obiettivi più semplici e accessibili un compito-
obiettivo inizialmente troppo complesso per essere proposto nella sua
totalità, anche con le opportune facilitazioni.
Una metodologia di task analysis, in genere la prima che si utilizza, va
sotto il nome di «descrizione del compito», come l’identificazione e la
descrizione sistematica di tutti i movimenti e le risposte che
compongono le sequen- ze ottimali dell’esecuzione efficace ed
efficiente di un compito. Questa elencazione dei singoli comportamenti
120 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

motori, verbali o cognitivi, deve rispettare esattamente la sequenza


temporale in cui devono essere inseriti. Con questa metodologia
descrittiva un compito può essere scomposto in unità di risposta
abbastanza ampie oppure in microunità, non ulteriormente riducibili in
modo semplice. Tale definizione molto dettagliata si esegue su obiettivi
particolarmente difficili, che hanno un grande rischio di errore, e che
perciò devono essere analizzati in modo molto accurato, al fine di trarne
indicazioni utili per la valutazione iniziale della performance dell’alunno
e per la successiva programmazione dell’insegnamento.
In questa descrizione vengono individuati i processi decisionali che il sog-
getto dovrebbe consapevolmente eseguire per scegliere fra l’esecuzione dei
diversi comportamenti possibili.
In questo modo, una descrizione completa del compito comprenderà le
risposte del soggetto, gli indizi percettivi discriminativi e i processi decisio-
nali: tale sequenza può servire come base per una valutazione specifica dei
livelli di abilità, come contenuto per una serie di auto-istruzioni o strategie
autoregolative metacognitive o per l’impiego di altre tecniche di aiuto
(prompting) verbale.
A questo punto è possibile introdurre una seconda metodologia di task
analysis, ovvero l’individuazione delle abilità componenti e prerequisite al
compito che, nel livello precedentemente illustrato, è stata descritta in senso
sequenziale. Si cerca cioè di identificare le varie abilità il cui possesso sia un
requisito indispensabile per l’esecuzione del compito (abilità componenti) e
per il suo apprendimento iniziale (abilità prerequisite).
Sia nel caso della descrizione che in quello della scomposizione di un com-
pito complesso nelle sue abilità componenti e prerequisite, l’insegnante
sta definendo una serie di sotto-obiettivi sequenziali, per facilitare con un
percorso molto graduale in termini di difficoltà l’apprendimento dell’alunno.

88 Quali sono le fasi e le principali strategie di autoregolazione cognitiva?

Autoregolare un proprio processo cognitivo significa attivare le seguenti fasi:


1. fissarsi un chiaro obiettivo di funzionalità ottimale del processo stesso,
in termini sia di risultati, sia di modalità di svolgimento;
2. darsi delle istruzioni, suggerimenti o aiuti per svolgere concretamente
le operazioni tipiche del processo stesso;
3. osservare l’andamento del processo stesso, raccogliere dati sui risultati
prodotti e renderli disponibili per una successiva valutazione;
4. confrontare questi dati prodotti con gli obiettivi e gli standard che
pre- cedentemente si erano fissati (fase 1);
5. valutare come positivo lo svolgimento delle varie operazioni richieste
se il confronto ha dato esiti positivi e, dunque, perseverare nelle operazioni
intraprese, oppure, nel caso contrario, valutare come negativo e insoddi-
TRACCE SVOLTE 121

sfacente il proprio operato e attivare correzioni appropriate e modifiche


alle strategie in corso.
L’alunno deve gestire attivamente una continua dialettica fra i processi di
auto-osservazione, autodirezione e autovalutazione. Questi processi di
au- tocontrollo non sono sempre evidenti e consapevoli all’alunno.
È quindi proprio importante cercare di far «uscire allo scoperto» i
processi di autoregolazione, rendendoli consapevoli nel loro svolgimento
e nella loro funzione rispetto alle prestazioni e nell’insegnare all’alunno
modalità sempre più attive ed efficaci di controllo consapevole dei
processi cognitivi. L’alunno dovrebbe quindi applicare le sue conoscenze,
sia teoriche generali che personali e introspettive, nell’autoregolarsi
efficacemente durante lo svolgimento di un compito concreto di
apprendimento, memorizzazione, problem solving o altro. Le conoscenze
più utili a questo proposito riguarda- no il riconoscimento del tipo di
compito con le relative richieste in termini di attività cognitive necessarie,
lo svolgimento tipico delle attività cognitive con i limiti loro propri e le
strategie che si possono utilizzare per regolare al meglio queste attività.

89 Che cosa si intende con l’espressione «clima di classe»?

Il clima di una classe può essere definito come l’insieme degli


atteggiamen- ti, dei comportamenti e delle relazioni che si instaurano
in quel contesto. Esso rappresenta, in pratica, il terreno di base sul quale
si muove e vive il sistema-classe, sia per quanto riguarda le componenti
emotive, relazionali e sociali, sia per ciò che concerne gli aspetti
cognitivi, didattici e disciplinari. Se ciascun alunno «non è solo in
classe», è pur vero che il fatto di trovarsi a stretto contatto e di
condividere lo spazio dell’aula con altri coetanei o con gli insegnanti non
rappresenta di per sé una garanzia di un clima efficace e funzionale
all’inclusione. È necessario che ciascuno studente si senta a pro- prio agio
in classe, che sia consapevole di trovarsi in un percorso condiviso nel
quale è messo nella condizione di esprimere al meglio le proprie abilità e di
potenziarle insieme ai propri compagni. Tali risultati sono il frutto di un
clima positivo e inclusivo che valorizza, piuttosto che mettere in evidenza
e rimarcare i punti critici, che concede fiducia a tutti e che rende ciascuno
partecipe dei processi progettuali, decisionali e operativi che
caratterizzano la vita stessa della classe.
Purtroppo non è sempre così. A volte sopravvivono ancora situazioni in
cui il clima di classe è prevalentemente individualistico e competitivo;
ciascun alunno è centrato sul proprio lavoro, che deve risultare
indipendente e migliore sia per ciò che riguarda i processi che i prodotti,
rispetto a quello degli altri.
122 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

Per attivare in maniera efficace la risorsa-altri, invece, è necessario un clima


completamente diverso, in cui si possa scegliere, decidere, comunicare libe-
ramente e collaborare. Un clima nel quale gli studenti non siano isolati in un
percorso che li vede lontani dagli altri o, peggio, messi contro di loro, ma
che li porti piuttosto a essere parte attiva di un cammino didattico ed
emotivo-affettivo comune. Il clima democratico e cooperativo è quello che
consente la migliore attivazione della risorsa rappresentata da ciascun attore
del contesto scolastico, perché stimola i processi comunicativi, le relazioni e gli
aiuti tra compagni di classe. Il lavoro viene progettato e svolto tenendo conto
delle proposte degli stessi studenti, che vengono messi nella condizione di
collaborare in vista di obiettivi cognitivi, didattici e sociali comuni. In tal
modo, il successo di uno studente è legato, in un contesto di interdipendenza
positiva, a quello degli altri e gli stessi criteri di valutazione sono espliciti e
molto spesso concordati con gli stessi alunni.
TRACCE SVOLTE 151

OBIETTIvo DI coMpETENzA: Riflettere sugli stati emotivi (metacognizione)


• Attività: «Cosa provoca le mie emozioni?». Attraverso l’utilizzo dell’analisi
funzionale ABC, si descrive una reazione emotiva, si contestualizza la
situazione e si approfondiscono i pensieri in quel momento.
• Frequenza: 1 volta a settimana.

2.4 Scuola secondaria di secondo grado

121 Il/la candidato/a spieghi perché è fondamentale che si sviluppi la capacità


empatica sia nell’insegnante che nello studente.

L’empatia è la capacità che l’uomo ha di capire lo stato d’animo delle persone


che lo circondano, il mezzo tramite il quale le persone riescono a percepire i
cambiamenti dell’umore altrui e mediante il quale possono «essere dalla
parte dell’altro» o con l’altro, prima osservando e ascoltando, poi cercando di
mettersi nei suoi panni.
È la capacità di riconoscere il reciproco «Io nel Tu» che sta alla base delle
relazioni costruttive e collaborative, che regola la significatività di ogni re-
lazione umana. Goleman la cita come una delle componenti che formano
l’intelligenza emotiva e come condizione per la connessione tra gli uomini.
Nella scuola secondaria di secondo grado gli studenti attraversano la delicata
fase dell’adolescenza per cui, all’interno di una grande variabilità di sentire e stati
d’animo, non sempre riescono ad attivare la capacità di stare nei panni
dell’altro e sentire quello che sente l’altro.
Gli allievi in adolescenza devono far fronte ai primi insuccessi scolastici, alle
prime delusioni sentimentali e all’inevitabile fase di rottura con i genitori che
li porterà a una migliore consapevolezza e definizione del Sé.
Talvolta questi stati d’animo sono così pervasivi che portano a momenti
più o meni lunghi in cui gli allievi in classe si chiudono o sembrano assenti,
rivolti verso un pensiero che li può deconcentrare fino a ottenere risultati
scolastici non sempre brillanti.
Per questo è fondamentale che anche il docente alleni questa capacità di
immedesimarsi negli studenti, che colga le sfumature degli stati d’animo e le
fragilità, per promuovere l’ascolto attivo e la vicinanza con gli allievi più
sensibili, a rischio di insuccesso scolastico o di particolari difficoltà relazionali. Il
docente può attivare quindi negli studenti la competenza empatica attra-
verso didattiche di tipo relazionale quali il peer tutoring, i lavori di gruppo e
il cooperative learning.
Con le modalità di apprendimento in relazione gli studenti imparano av-
vicinandosi al Sé degli altri e riuscendo a modificare le proprie percezioni
negative e a superare le eventuali diffidenze.
152 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

Sviluppare la competenza empatica negli studenti diventa di particolare


im- portanza quando in classe sono presenti studenti con disabilità, con
Disturbi Specifici di Apprendimento e, in genere, con Bisogni Educativi
Speciali, perché spesso questi allievi sono percepiti come diversi dai
compagni.

122 Riconoscere le emozioni proprie e altrui è il primo passo per una


gestione positiva delle relazioni educative e del conflitto. Il/la
candidato/a elenchi e motivi alcune strategie didattico-educative per
facilitare questo processo di gestione delle emozioni e dei conflitti negli
adolescenti oggi, facendo riferimento ai principali autori che ne hanno
parlato.

Nel contesto scolastico la relazione educativa è strettamente legata all’ap-


prendimento, l’insegnante gestisce una relazione asimmetrica, o per ruolo
o per conoscenza, con i propri alunni e il suo comportamento diventa uno
strumento di lavoro in termini cognitivi, emotivi e affettivi. Il suo
intervento si inserisce quindi anche nella gestione dei conflitti e nella
regolazione del significato che hanno le esperienze scolastiche per gli
alunni soprattutto dal punto di vista emotivo e relazionale. Thomas
Gordon illustra delle strate- gie di comunicazione efficace che
l’insegnante può non solo adottare con i propri alunni ma anche
insegnare in classe, con l’obiettivo di sviluppare competenze empatiche e
potenziare le abilità per risolvere problemi. Le tec- niche che propone il
metodo di Gordon sono: l’ascolto attivo, il messaggio Io anziché Tu, il
problem solving per la risoluzione dei conflitti. L’ascolto attivo si attua
attraverso domande aperte volte a mostrare attenzione e interesse per
favorire l’apertura dell’alunno, la restituzione dei sentimenti e delle
emozioni che esprime (rispecchiamento), la sospensione del giudizio
personale per evitare la chiusura. Il messaggio «Io» è utile quando
l’insegnante si trova a relazionarsi con un alunno che mostra un
comportamento indisciplinato e inadeguato, mettendo in primo piano i
propri sentimenti al cospetto di tale comportamento piuttosto che
giudicarlo. In questo modo si evitano la critica e il rimprovero e l’alunno
ha la possibilità di spostare la sua attenzione dal giudizio negativo su di
lui alle emozioni che determina negli altri il proprio agire. Il problem
solving è utile in quanto i conflitti vengono considerati come eventi
possibili e naturali problemi da risolvere e non si individua una persona
specifica come sbagliata o problematica. Viene individuata la diffi- coltà e si
prendono in esame possibili strategie valutando la loro utilità per la
risoluzione del problema. Altri autori che si sono occupati della gestione
dei conflitti in ambito scolastico sono David e Roger Johnson,
considerati i pionieri della tecnica del cooperative learning. Si tratta di
una modalità di lavoro che prevede che gli alunni si organizzino in
TRACCE SVOLTE 153

piccoli gruppi per colla- borare insieme al fine di raggiungere un


obiettivo comune di conoscenza. Nel cooperative learning sono coinvolte
abilità cognitive ed emotive come
strumento di apprendimento, e può essere utilizzato sia come alternativa
alla tradizionale lezione frontale sia per lavorare sulla risoluzione di conflitti fra
pari allenando la capacità di negoziare in modo cooperativo. Il ruolo
dell’insegnante è quello di fornire il tema su cui lavorare e stabilire delle
regole di comunicazione per favorire l’ascolto, la sospensione del giudizio e
l’accoglienza di tutti i membri del gruppo.

123 Il/la candidato/a spieghi in cosa consiste l’intelligenza emotiva e perché è im-
portante svilupparla negli adolescenti oggi, facendo riferimento ai principali
autori che se ne sono occupati.

L’intelligenza emotiva viene definita da Goleman come «la capacità di mo-


nitorare i propri sentimenti e quelli altrui al fine di raggiungere e sviluppare
obiettivi e desideri» ed è costituita dall’insieme di cinque componenti fonda-
mentali, che ogni individuo sviluppa e potenzia nel corso della vita stimolato
dall’ambiente in cui è inserito (la scuola, la famiglia gli amici, il lavoro):
1. consapevolezza di sé, la capacità di produrre risultati riconoscendo le
proprie emozioni;
2. dominio di sé, la capacità di utilizzare i propri sentimenti per un fine;
3. motivazione, la capacità di scoprire il vero e profondo motivo che
spinge all’azione;
4. empatia, la capacità di sentire gli altri entrando in un flusso si contatto;
5. abilità sociale, la capacità di stare insieme agli altri cercando di capire
le dinamiche che avvengono tra le persone.
Tali aspetti diventano importantissimi in età evolutiva, se nella fanciullezza è
necessario porre le basi per il loro sviluppo è durante la pre-adoloescenza e
l’adolescenza che possono essere stimolati in modo formale in più ambienti.
Il compito dell’adolescente, infatti, come sosteneva Erickson, è quello di
evolvere negli stadi di sviluppo nella direzione dell’autonomia e dell’ini-
ziativa. È evidente che l’adolescente è in continuo movimento tra bisogno di
indipendenza dai genitori e insicurezza rispetto a sé e al mondo che lo
circonda. Si osservano allo stesso tempo comportamenti di allontanamento
dal nucleo familiare e avvicinamento, che talvolta disorientano il ragazzo.
L’adolescenza è inoltre caratterizzata dal bisogno dell’individuo di creare
connessioni profonde e relazioni stabili con il gruppo dei pari, per costruire
così una base sicura di relazione che consenta loro di separarsi gradualmente
dal nucleo familiare e crescere nella direzione dell’età adulta. È risaputo che
grande peso per il benessere del soggetto riveste, in questo momento
evolutivo, la qualità delle relazioni sociali che egli crea. Dal punto di vista
neurale, si assiste inoltre a una precipitosa potatura e contemporanea crescita
di cellule cerebrali che determinano la crescita del cervello. Con l’espansio-
154 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

ne del cervello, l’amigdala è stimolata a produrre alti livelli di ormoni che


stimolano l’emotività del soggetto.
Questo periodo di fortissimi cambiamenti conduce inevitabilmente l’ado-
lescente a sperimentare difficoltà nella gestione emotiva. È proprio nelle
difficoltà di crisi emotiva che la scuola può trovare lo spazio per poter
agire in modo educativo. Le componenti dell’intelligenza emotiva sono
fonda- mentali per l’instaurarsi di buoni rapporti sociali; così, se si
potenziano le 5 componenti in questa fase d’età attraverso progetti
educativi scolastici, è possibile sostenere l’adolescente nella sua crescita
equilibrata e sana.
Sviluppare in contesti formali quella che Goleman definisce «competenza
emotiva», cioè l’insieme delle abilità pratiche necessarie per sviluppare
l’autoefficacia dell’individuo, permette di sostenere le transizioni sociali
che sollecitano le emozioni. La competenza emotiva riguarda sia l’abilità
di identificare le emozioni proprie e altrui ma anche di agire
comportamenti adeguati in relazione ai contesti. Secondo Goleman, la
competenza emotiva si struttura nell’interazione della competenza
personale e della competenza sociale, e quest’ultima si costituisce in
relazione a cosa è consentito o meno nell’ambiente in cui il soggetto è
inserito.
Educare all’intelligenza emotiva significa rendere esplicite abilità necessarie
per la costruzione di relazioni sociali appaganti.

124 Muovendo dall’analisi dei suoi principali elementi costitutivi, il


candidato illustri il modo in cui l’intelligenza emotiva gioca un ruolo nel
processo di insegna- mento-apprendimento della scuola secondaria di
secondo grado, elaborando anche proposte sul piano didattico.

Secondo Goleman, l’intelligenza emotiva è la capacità di esprimere


corretta- mente il proprio vissuto, riconoscere le proprie e altrui
emozioni, gestirle e indirizzarle in condotte funzionali, assumere condotte
sociali adeguate e un atteggiamento empatico.
L’intelligenza emotiva si articola in consapevolezza, autocontrollo,
motivazione, empatia e abilità sociali.
L’allievo che è consapevole delle proprie potenzialità e dei propri limiti sarà
portato a utilizzare le sue risorse migliori sia dal punto di vista
comunicativo- relazionale che da quello apprenditivo.
L’autocontrollo è la capacità di gestire le proprie emozioni, la sofferenza
che deriva da un possibile fallimento scolastico, la paura nell’affrontare
un compito complesso, l’impulsività.
La motivazione è il motore dell’apprendimento, assicura la
concentrazione e l’impegno di fronte alle richieste scolastiche. Lo
sviluppo della capacità empatica favorisce l’inclusione di tutti gli allievi,
previene il bullismo, evita l’autoisolamento e promuove la possibilità
TRACCE SVOLTE 155

di apprendere. Favorire le abilità sociali a scuola vuol dire favorire la


comunicazione e i comportamenti corretti da adottare nei diversi contesti,
dentro e fuori di essa. In classe, nella secondaria di secondo grado, è
comune trovare allievi che fanno fatica a gestire lo stress generato dalle
richieste scolastiche, l’ansia in preparazione di un compito o di
un’interrogazione, l’emotività per una relazione affettiva, l’insuccesso
per un risultato personale.
Per fare fronte a queste emozioni e riuscire ad autocontrollarle, il docente
può lavorare con l’intero gruppo classe o con ogni singolo studente.
In classe può utilizzare tecniche di tipo simulativo, quali il role playing e la
simulazione su copione.
La proposta didattica potrebbe basarsi sull’interpretazione di un vissuto in cui
l’intelligenza emotiva non è stata gestita in maniera efficace e su come le
emozioni modificano il nostro agire.
In concreto, il docente sottopone gli studenti a un’analisi e discussione di
gruppo sui comportamenti più ricorrenti nel vissuto quotidiano e sulle
emozioni scaturite in determinati contesti e situazioni.
Il fine è quello di promuovere una riflessione e un possibile corretto uti-
lizzo delle emozioni. Al termine possono essere proposte individualmente
domande aperte e questionari e assegnate delle letture da leggere a casa che
approfondiscono tematiche esperienziali ed emotive tipiche dell’adolescenza.

2.5 Quesiti trasversali ai vari gradi scolastici

125 Che cosa si intende per «intelligenza emotiva»?

Per capire il concetto di intelligenza emotiva dobbiamo analizzare i due


assunti di cui è composta, cioè intelligenza e emozioni. L’intelligenza ri-
guarda funzioni come la memoria, il ragionamento, il giudizio e il pensiero
astratto. Il termine «intelligenza» è tradizionalmente utilizzato in psicologia
per definire ciò che riguarda le funzioni esecutive. L’emotività è concepita
come la sfera affettiva, riguarda le emozioni, i sentimenti, il come ci si sente e
possibili valutazioni. Dalla fusione dei termini viene coniato da Goleman il
concetto di «intelligenza emotiva», che vede la presa in considerazione a pari
livello di due costrutti fino a quel tempo considerati in modo separato e non
di pari importanza. Goleman sostiene che grazie a una buona intel- ligenza
emotiva il soggetto sarà in grado valorizzare anche il suo potenziale
cognitivo, ottenendo così maggior successo negli ambiti di interesse.
I primi a esplorare tale concetto furono in realtà Salovey e Mayer nel 1990. I
due studiosi descrissero e analizzarono l’intelligenza emotiva come quella
specifica capacità degli esseri umani di monitorare le sensazioni proprie e
altrui, discriminando tra varie emozioni, usando poi questa informazione per
156 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

incanalare pensieri e azioni. È però con i lavori di Goleman che il


concetto di intelligenza emotiva trovò grande spazio e diffusione.
Goleman partì dal presupposto che le persone di maggiore successo
non erano necessariamente coloro i quali avevano anche un quoziente
intellet- tivo superiore. Convinto che non bastassero le conoscenze
accademiche per diventare uomini felici, ma fosse necessaria una vita di
relazione basata sull’interscambio e l’empatia, dedicò le sue ricerche a
esplorare la sfera emotiva. Goleman definisce l’empatia come «la
capacità di monitorare i propri sentimenti e quelli altrui al fine di
raggiungere e sviluppare obiettivi e desideri». Sostiene che l’intelligenza
emotiva «come accade nel caso della matematica o della letteratura, può
essere gestita con maggiore o minore abilità e richiede un insieme di
competenze esclusive. L’attitudine emozionale è paragonabile a una meta-
abilità attraverso la quale il soggetto è in grado di servirsi appieno delle
sue abilità».
Grazie agli studi di Goleman, possiamo allora definire l’intelligenza emo-
tiva come una somma di competenze emotive e sociali attraverso le quali
la persona si relaziona con se stessa e con gli altri, alle quali ricorre
per fronteggiare le pressioni e le richieste ambientali; una competenza
che può essere potenziata e rinforzata.
Goleman sosteneva l’educabilità dell’intelligenza emotiva, in modo
che il soggetto potesse sviluppare consapevolezza dei propri stati emotivi
e di quelli altrui e individuare possibili relazioni di connessione. L’età
evolutiva rappresenta secondo Goleman la fase più delicata per porre le
basi dell’in- telligenza emotiva, anche se durante tutto il ciclo di vita il
soggetto può dedicarvi attenzione e consapevolezza per diventarne
sempre più competente. Identificò 5 componenti fondamentali
dell’intelligenza emotiva:
1. consapevolezza di sé, la capacità di produrre risultati riconoscendo
le proprie emozioni;
2. dominio di sé, la capacità di utilizzare i propri sentimenti per un fine;
3. motivazione, la capacità di scoprire il vero e profondo motivo che
spinge all’azione;
4. empatia, la capacità di sentire gli altri entrando in un flusso si contatto;
5. abilità sociale, la capacità di stare insieme agli altri cercando di
capire le dinamiche che avvengono tra le persone.

126 Che cosa si intende per «empatia»?

L’empatia è definita come la capacità dell’essere umano di mettersi nei


panni dell’altro. Questa metafora, diffusa nel gergo comune, indica la
capacità del soggetto di decentrarsi dai propri bisogni e vissuti personali,
di abbandonare giudizi e valutazioni, per vivere e condividere le esperienze
emotive manife- state dal soggetto con il quale si trova in interazione.
TRACCE SVOLTE 157

L’ascolto attivo e non giudicante è il comportamento necessario per


favorire empatia. È importante sottolineare che il soggetto che ha
maturato una buona abilità empatica è allo stesso tempo un individuo che
ha chiari i confini tra Sé e l’altro; ciò che vive nella condivisione con
l’altro, seppur sollecitando emozioni simili, non è confuso con la propria
esperienza emotiva interna, è quindi sperimentato in termini di
compartecipazione.
Studi approfonditi sull’empatia hanno condotto nel panorama scientifico
internazionale a sviluppare molteplici visioni di tale fenomeno, mettendo in
rilievo numerosi autori e teorie che hanno osservato il fenomeno rilevandone
aspetti diversi. Focalizzeremo la nostra attenzione soprattutto sul modello
proposto da Hoffmann, che fu tra i primi studiosi sistematici dell’empatia, le
cui teorie sono attualmente tra le più condivisibili e riconosciute e i cui studi
sottolineano il carattere evolutivo del costrutto.
Secondo Hoffmann, l’empatia è un costrutto multidimensionale che fa-
vorisce nelle interazioni «una risposta affettiva più consona alla situazione di
un altro che non alla propria». L’autore sostiene che l’essere umano ha una
predisposizione biologica al riconoscimento dei bisogni emotivi. Tale
predisposizione biologica fu ipotizzata da Darwin nei primi studi sul ri-
conoscimento delle espressioni facciali e confermata dalla scoperta e dalle
ricerche di Rizzolatti sui neuroni specchio.
Il modello di Hoffmann dà peso all’aspetto biologico ed evolutivo, ma non
trascura di sottolineare l’influenza dello sviluppo cognitivo del soggetto nei
processi di maturazione dei comportamenti empatici e prosociali. L’empatia
sembrerebbe essere essenziale per favorire nel soggetto i comportamenti
prosociali, i comportamenti di rispetto delle regole e i comportamenti
altruistici, in definitiva uno sviluppo adeguato dell’empatia sembrerebbe
favorire nei soggetti buone competenze sociali e promuovere la percezione di
benessere sperimentata dal soggetto durante l’interazione.
È stato messo in evidenza come lo sviluppo dell’empatia non solo riguardi la
maturazione cognitiva del soggetto e la sua predisposizione biologica ma
possa anche dipendere della stimolazioni dell’ambiente in cui il soggetto è
inserito (un contesto dove sono rinforzati positivamente comportamenti
prosociali, dove si pone attenzione alla comunicazione emotiva e al rico-
noscimento dell’altro).

127 Relazione tra empatia e intelligenza emotiva.

I costrutti di intelligenza emotiva e di empatia hanno da sempre sollecitato il


panorama scientifico al fine di implementare le ricerche per approfondire sul
piano empirico la loro rilevanza e provando a elaborare una definizione
univoca. Attualmente sono diversi i contributi ritenuti validi, anche se tal-
volta contrastanti, ma che hanno in comune l’enfasi posta sullo sviluppo e
158 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

l’educabilità di intelligenza emotiva e dell’empatia. Si è concordi nel


definire che buoni livelli di empatia e sufficiente intelligenza emotiva
migliorino le relazioni sociali dell’individuo, favoriscano nel soggetto
comportamenti adattativi in situazioni di stress e aumentino il benessere
psicologico per- cepito dal soggetto.
L’empatia è stata descritta come il processo di comprensione dell’esperienza
soggettiva dell’altro caratterizzato da impegno, escludendo ogni
attitudine affettiva personale (simpatia, antipatia) e ogni giudizio morale.
Lo studio dell’empatia ha abbracciato diverse discipline, dalle ricerche di
Darwin sulle emozioni e sulla comunicazione mimica delle emozioni agli
studi recenti della neurologia sui neuroni specchio di Rizzolatti, che
confermano che l’empatia non nasce da uno sforzo intellettuale, ma è
parte del corredo genetico della specie.
L’intelligenza emotiva, così come definita da Goleman, è la capacità
dell’in- dividuo di comprendere i propri sentimenti, ascoltare e
comprendere gli altri ed esprimere emozioni in modo produttivo.
Comprende diverse abilità, come la capacità di controllare gli impulsi,
regolare l’umore e provare empatia. Analizzando le definizioni emerge
come empatia e intelligenza emotiva siano alla base di ogni rapporto
umano, e siano quindi fondamentali per garantire una vita relazionale
adeguata e soddisfacente. L’aspetto in comune di queste due abilità
fondamentali è che entrambe, così come evidenziato dai vari studiosi che
se ne sono occupati, possono essere educate e sviluppate con progetti mirati
in vari ambiti di vita. Se l’empatia è spesso il risultato di apprendimento
per modellamento, l’intelligenza emotiva, basandosi su 5 pilastri
(consapevolezza di sé, dominio di sé, motivazione, empatia, abilità
sociale), può essere soggetta ad apprendimento formale più mirato.
Interessante è valutare come l’attenzione allo sviluppo dell’empatia
abbia effetti positivi sul potenziamento dell’intelligenza emotiva e
viceversa: i due costrutti sono infatti intrinsecamente collegati.

128 Uno dei primi ad affrontare studi sull’empatia è stato lo psicologo


statunitense Carl Rogers, secondo il quale «un alto grado di empatia in
una relazione è proba- bilmente il fattore più potente nell’apportare
trasformazioni e apprendimento». Il candidato commenti brevemente
tale citazione.

Carl Rogers scrive questa affermazione nella sua opera del 1980 Un
modo di essere, dove considera l’empatia una qualità che il terapeuta
deve neces- sariamente avere per entrare in contatto con il proprio
cliente, aiutarlo nell’espressione del proprio essere e dei suoi contenuti
più profondi. Egli sostiene infatti che in un clima di ascolto e
comprensione si costruiscono le basi solide per un legame autentico, dove è
possibile l’affidamento neces- sario per attuare processi di cambiamento.
TRACCE SVOLTE 159

È importante, secondo Rogers, che il processo empatico sia


momentaneo, che il terapeuta abbia sempre presente se stesso e si orienti
verso il cliente «come se» fosse nei suoi panni, senza perdere di vista la sua
dimensione personale. L’empatia è intesa come il sentire l’altro, i suoi
piaceri e le sue sofferenze come se fosse lui stesso a provarle, evitando di
inserire i propri giudizi o turbamenti ma senza dimen- ticarsi del proprio
vissuto emozionale, altrimenti il processo diventa quello
dell’identificazione. All’interno di una dimensione empatica, l’altro ha la
possibilità di sentirsi profondamente compreso, in quanto viene validata
l’esperienza emotiva da una persona diversa da lui. Sente che il suo
sentire è possibile e ha un senso per il suo interlocutore. In questo
contesto dove il giudizio è sospeso, non ci si affanna per convincere
l’altro e non entrano in gioco processi difensivi. In un clima di
comprensione e ascolto sono favoriti attenzione e apprendimento, stessa
cosa se ci spostiamo dal campo terapeu- tico a quello del gruppo classe.
È ormai noto in letteratura il ruolo che ha il clima scolastico sui
processi di apprendimento, la percezione di benessere nel gruppo
influenza l’attenzione, la soddisfazione e il coinvolgimento degli alunni.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha inoltre delineato fra le
principali life skills da sviluppare in ambito scolastico l’empatia e la gestione
delle emozioni, considerandole abilità fondamentali per promuovere be-
nessere e prevenire condotte disfunzionali, fra cui l’abbandono scolastico.
L’insegnante ha un ruolo determinante in quanto, attraverso i suoi
giudizi e valutazioni, può influenzare i comportamenti dei propri alunni e
favorire o meno la sintonia nel gruppo dei pari. L’insegnante che
possiede abilità empatiche e le esercita con i suoi alunni lavorando con
loro sull’allenamento di tale competenza, è facilitato nel suo compito
educativo, offre la possibi- lità di creare un contesto più ricettivo
all’apprendimento e crea fattori di protezione contro il disagio
psicologico e sociale.

129 Il candidato illustri i fattori contestuali all’interno del tessuto scolastico che
determinano aumento o diminuzione della motivazione a empatizzare.

La scuola è considerata la seconda agenzia di apprendimento e socializzazione


più importante dopo la famiglia. La figura del docente può dare un contribu-
to determinante nel veicolare i significati e i valori educativi dei propri alunni,
riveste un ruolo determinante per lo sviluppo di un ambiente empatico e la
sua condotta può favorire o meno questa competenza nel gruppo classe. La
motivazione degli alunni a empatizzare fra loro può essere facilitata dall’in-
segnante attraverso due modalità complementari: 1) attraverso l’utilizzo di
attività strutturate in gruppo, dapprima finalizzate al riconoscimento delle
proprie e altrui emozioni e, successivamente, all’allenamento delle abilità
empatiche; 2) attraverso la propria modalità di relazionarsi con gli alunni.
L’utilizzo di tecniche o attività di educazione emotiva in classe acquisisce
160 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

valore educativo in relazione alla capacità di gestione dell’insegnante rispetto


alle attività stesse e, soprattutto, alla sua disponibilità a essere empatico.
Un adulto non giudicante, disponibile ad accogliere fragilità emotive e
difficoltà relazionali in aula può rappresentare un modello per i propri
alunni al quale far riferimento. Al contrario, l’insegnante focalizzato solo
sul programma didattico e sul’acquisizione di conoscenze, che non tiene
conto del vissuto emotivo dei propri alunni né lavora sul clima relazionale
della propria classe, può creare una distanza emotiva e diminuire la
motivazione a empatizzare. Possiamo considerare quindi la preparazione
professionale e quella personale come due fattori determinanti
dell’insegnante nel favorire la motivazione degli alunni ad apprendere
abilità empatiche.

130 Strategie dell’insegnante e attività proposte alla classe per contrastare il


feno- meno del bullismo.

La ricerca attuale nell’ambito del bullismo è orientata prevalentemente


verso interventi di prevenzione piuttosto che sull’emergenza. Lavorare
sulla preven- zione risulta fondamentale per creare un contesto scolastico
che protegga gli alunni dai rischi sia fisici che psicologici che possono
influenzare lo sviluppo in una fase delicata di crescita evolutiva. Esistono
tuttavia degli interventi possibili da attuare in classe nel caso emergano
problematiche evidenti o se- gnali di rischio legati a questo fenomeno.
Un’attività volta a far emergere un problema, qualora l’insegnante avverta
una tensione nel gruppo classe, può essere la Scatola delle emozioni, in
cuiviene chiesto agli alunni di inserire, in modalità anonima, un bigliettino
con scritto un problema che desidererebbero affrontare. La consegna può
essere anche quella di descrivere come si trovano con i loro compagni, cosa
gli piace della loro classe e cosa no. Viene chiesto poi a turno di pescare un
biglietto ciascuno e di leggerlo ad alta voce. Ad ogni alunno verrà
chiesto di mettersi nei panni di chi ha scritto il biglietto e descrivere come
potrebbe sentirsi. Questa attività, oltre alla possibilità di far emergere i
conflitti, mira ad allenare l’empatia fra gli alunni. Per contrastare il
bullismo risulta fondamentale lavorare sul potenziamento delle abilità
empatiche, in quanto la capacità di mettersi nei panni dell’altro
rappresenta un fattore di prevenzione contro il manifestarsi di
comportamenti aggres- sivi verso gli altri. Gli interventi volti alla
prevenzione del bullismo, infatti, dovrebbero prevedere attività da
svolgere in modo costante durante l’anno scolastico proprio
sull’allenamento delle competenze emotive. In genere le attività di
prevenzione si articolano per obiettivi di competenza: dal ricono-
scimento delle emozioni proprie e altrui, attraverso esercizi come
L’appello delle emozioni in classe (dove si chiede ogni giorno agli alunni
quale emozione li rappresenta in quel momento, con lo scopo di allenarli
TRACCE SVOLTE 161

al contatto con il proprio mondo interno), allo sviluppo dell’empatia


attraverso attività come
162 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

la Scatola delle emozioni, riportato in precedenza. Un’attività utile da fare con un


alunno bullo in classe è quella di coinvolgerlo in un compito di aiuto nei
confronti di un altro alunno che presenta difficoltà di vario genere: aiutarlo ad
esempio a svolgere un compito scolastico oppure in un’attività che non riesce
a svolgere per via di una disabilità fisica o cognitiva. Questo intervento aiuta a
spostare l’attenzione sul supporto e la protezione dell’altro promuovendo
comportamenti solidali ed empatici che contrastano il bullismo.

131 Che ruolo può svolgere il docente a sostegno dell’intelligenza emotiva?

Il docente ha un ruolo importante sullo sviluppo dell’intelligenza emotiva dei


propri alunni, in quanto rappresenta un modello adulto a cui possono far
riferimento e in un contesto diverso da quello familiare che è il gruppo
classe. Entro tale contesto emergono dinamiche relazionali, nuove sfide e
vissuti emotivi che inevitabilmente egli si trova a dover affrontare con i propri
alunni e che rappresentano per loro occasioni di crescita e apprendimento
continui. La sua responsabilità educativa è in relazione tanto alla sua com-
petenza professionale in termini di attività scolastiche quanto alle sue qualità
personali e interpersonali. Risulta quindi fondamentale che la formazione del
docente riguardi lo sviluppo di competenze volte a insegnare agli alunni
quelle abilità che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha chiamato life
skills nel documento rivolto a progetti di educazione formativa scolastica. Le
life skills si riferiscono a quelle competenze che permettono di assumere
comportamenti positivi e trattare efficacemente le richieste e le sfide della
vita quotidiana, e sono tutte legate allo sviluppo in generale dell’intelligenza
emotiva: capacità di leggere dentro se stessi (autocoscienza); capacità di ri-
conoscere le proprie emozioni e quelle degli altri (gestione delle emozioni);
capacità di governare le tensioni (gestione dello stress); capacità di analizzare e
valutare le situazioni; capacità di prendere decisioni; capacità di risolvere
problemi; capacità di affrontare in modo flessibile ogni genere di situazione;
capacità di esprimersi; capacità di comprendere gli altri (empatia); capacità di
interagire e relazionarsi con gli altri in modo positivo. Secondo l’OMS, il
contesto scolastico deve favorire l’acquisizione di tali abilità: a questo scopo, ha
delineato delle linee guida per attivare interventi educativi rivolti agli
insegnanti e, in generale, a chi si trova a operare in ogni ambito deputato
all’apprendimento. L’insegnante formato in questo ambito lavora anche sullo
sviluppo della propria intelligenza emotiva, considera e coinvolge nel proprio
compito educativo le sue abilità emotive e sociali e non solo quelle legate alla
didattica. Acquisisce inoltre tecniche e strumenti di lavoro da utilizzare con i
propri alunni che mirano sviluppare competenze emotive, contribuendo alla
promozione del benessere della persona e di prevenzione contro il disagio psi-
cologico (ansia, depressione, bullismo, aggressività, dipendenze patologiche).
TRACCE SVOLTE 163

132 Il candidato descriva le principali teorie dello sviluppo emotivo


evidenziando somiglianze e differenze.

Durante i primi anni di vita avvengono numerosi cambiamenti in tutta


la sfera emotiva, in interazione con lo sviluppo cognitivo, percettivo,
motorio, le relazioni sociali. Si amplia il repertorio di emozioni che i
bambini pos- siedono, migliorano le capacità di autoregolazione delle
emozioni, matura la capacità di comprendere le emozioni manifestate
da altre persone e la capacità di agire su di esse.
Ci sono molto teorie sulle emozioni e il loro sviluppo, che hanno
alcuni aspetti comuni e alcune differenze. Alcuni elementi comuni sono i
seguenti:
– le emozioni sono dei processi che hanno inizio con degli eventi che
faci- litano o ostacolano la realizzazione dei nostri obiettivi;
– le emozioni comprendono degli stati di attivazione fisiologica;
– le emozioni ci spingono a comportarci in un certo modo;
– le emozioni sono in relazione con i nostri processi cognitivi.
Rispetto allo sviluppo delle emozioni, invece, ci sono punti di vista
diversi. La teoria della differenziazione sostiene che i neonati provino
solamente una generica eccitazione. Successivamente c’è una progressiva
differenziazione dei diversi stati emotivi, man mano che lo sviluppo
cognitivo e sociale del bambino gli permette di valutare quello che sta
succedendo. Lo sviluppo emotivo è quindi subordinato a quello
cognitivo. La teoria differenziale, invece, ritiene che ci siano delle
emozioni fondamentali e delle emozioni complesse. Le emozioni
fondamentali sono presenti anche negli animali più vicini a noi, esistono
anche in noi già dalla nascita o, comunque, emergono molto
precocemente. Le emozioni complesse, che possediamo solo noi es- seri
umani, compaiono successivamente. Questa teoria dà alle emozioni un
ruolo molto rilevante. L’approccio funzionale o organizzazionale
potrebbe rappresentare una sintesi dei precedenti. Questo approccio
sostiene che l’or- ganizzazione generale delle emozioni è presente in
forma rudimentale poco dopo la nascita o nelle prime settimane di vita,
ma le diverse componenti si sviluppano, si differenziano, diventano più
complesse grazie a dei processi simili a quelli che presiedono allo
sviluppo cognitivo.

133 Comportamenti e atteggiamenti che denotano le capacità empatiche


dell’in- segnante.

Jerome Bruner sostiene che un buon rapporto di collaborazione tra


insegnanti e studenti si dovrebbe basare sulla capacità del docente di
mettersi nei panni dei propri alunni, di capire il loro pensiero (capacità di
164 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

empatia) e di instau- rare con loro dei rapporti che siano basati sullo
scambio e sull’arricchimento reciproco. In questo modo il docente
potrà riuscire a entrare in rapporto stretto con ciascun alunno, per capire
i suoi bisogni di socializzazione e per- sonalizzazione, i suoi disagi, le sue
paure, i suoi punti di forza e di criticità, i suoi talenti e il senso del suo
stare al mondo. L’insegnante diventa quindi non solo un dispensatore di
saperi, ma un facilitatore dell’apprendimento. Vista l’importanza
dell’empatia in una relazione insegnamento-apprendi- mento, definiamo
innanzitutto cosa significhi empatia. Laura Boella fornisce una visione
interessante dell’empatia, dicendo che l’equivoco più facile a proposito
dell’empatia è quello di intendere lo scambio di esperienze tra
soggetti, in cui essa consiste, come comunicazione sentimentale, sentire
la stessa cosa o sentire insieme, assorbire l’emozione altrui o investire
l’altro e riempirlo con la propria emozione. L’empatia non coincide con
la simpatia o con la compassione, ma con il gioire insieme, soffrire
insieme. L’empatia pone in contatto profondo con l’esperienza e i vissuti
dell’altro attraverso un’azione conoscitiva, cognitiva, fondata e orientata
da un impegno etico nei suoi confronti e operata da un’azione
linguistica per trovare le parole giuste e i significati condivisi.
Una relazione caratterizzata da empatia favorisce molti aspetti dello sviluppo
affettivo del bambino e dello stesso insegnante: l’espressione-produzione di
emozioni, la loro interpretazione, il sollievo dal disagio emotivo, il sostegno-
rafforzamento-legittimazione di alcune emozioni e la loro autoregolazione.
Un insegnante empatico riesce a comprendere l’emozione del bambino, gli
sta vicino mentre la esprime, gli consente di esprimerla, lo aiuta a nominarla-
classificarla, e forse a «controllarla» un po’ di più, in modo produttivo e non
repressivo. Con l’empatia l’insegnante diventa un aiuto nella regolazione
degli stati d’animo e delle emozioni.
Anche l’errore di un proprio studente viene trattato da un insegnante em-
patico in modo particolare. Non viene più giudicato come un incidente
nel percorso di apprendimento, ma diventa l’occasione per conoscere i
processi mentali del proprio studente e per accompagnarlo al meglio nel
suo percorso di crescita.

134 Il rapporto tra apprendimento ed emozione.

Diversi studi condotti nel campo delle neuroscienze e, in particolare, nel


nuovo filone di ricerca a cui è stato dato il nome di warm cognition
(letteralmente «cognizione calda») hanno evidenziato quanto sia rilevante la
dimensione emozionale nel processo di apprendimento. Come spiega
Lucangeli infatti, le evidenze scientifiche ci suggeriscono che non ha senso
interpretare le funzioni dell’emisfero sinistro e di quello destro come separate.
Nell’intero circuito del nostro cervello le funzioni si attivano in sincronia e
diacronia e a ogni attività cognitiva corrisponde un tracciato emozionale.
TRACCE SVOLTE 165

Gli stimoli che arrivano dall’esterno o dall’interno attivano il nostro


circu- ito emozionale provocando cambiamenti a livello fisiologico (es.
variazioni della respirazione, della pressione arteriosa, del battito
cardiaco o tensione muscolare), comportamentale (es. cambiamenti nella
postura, nel tono della voce, reazioni di chiusura, attacco o fuga) e
psicologico (es. alterazione del controllo di sé e delle proprie abilità
cognitive). Questo implica, ad esempio, che emozioni piacevoli (es. gioia,
eccitazione) aiutano a prestare attenzione, ricordare, risolvere i problemi,
prendere decisioni, pianificare un compito mentre emozioni spiacevoli
(es. paura o ansia) abbassano i livelli di atten- zione e memorizzazione,
peggiorano le performance e generano situazioni di evitamento e fuga.
Le emozioni influenzano l’apprendimento anche in modo qualitativo:
quelle positive favoriscono un approccio olistico, l’intuizione, la
creatività nella soluzione dei problemi e una disposizione ottimistica
verso l’impegno che si deve affrontare. Le emozioni negative, invece
come spiega Lucangeli, incoraggiano un apprendimento maggiormente
focalizzato sui dettagli e sull’applicazione di algoritmi.
Le emozioni direttamente correlate all’apprendimento influenzano e ven-
gono influenzate a loro volta anche da altre dimensioni psicologiche stret-
tamente interconnesse tra loro quali la motivazione, il senso di
autostima e di autoefficacia, lo stile di attribuzione e il locus of control.
Le emozioni positive provate in contesti di apprendimento motivato,
ad esempio, si concretizzano nella soddisfazione o orgoglio per la
riuscita, nella maggiore fiducia in sé e nelle proprie abilità, nella
percezione di autoefficacia e si estendono ai rapporti con i compagni e gli
insegnanti e al maggior interesse per le discipline. Al contrario, le
emozioni negative connesse alle esperienze di apprendimento innescano
una spirale di demotivazione e insuccessi, riducono l’autostima e il
senso di autoefficacia e incrinano i rapporti con gli altri e con il sapere.

135 Delineare il rapporto tra intelligenza ed emozione.

«Cogito ergo sum», decretò Cartesio nel Discorso sul metodo,


provocando un’abissale scissione tra mente (res cogitans) e corpo (res
extensa) e, dunque, tra pensiero ed emozione. L’influenza di Cartesio è
stata tale che, a distanza di secoli, la prima corrente della psicologia
cognitiva ha sostenuto l’analogia tra le operazioni della mente umana e
l’elaborazione dei dati eseguita dal computer, negando, di fatto, qualsiasi
interferenza del circuito emozionale sul processamento delle
informazioni.
Il dualismo cartesiano è stato messo in discussione solo negli ultimi
decenni grazie alle indagini sul cervello. L’errore di Cartesio, afferma
Antonio Da- masio, è stato non capire che l’apparato della razionalità non
è indipendente
166 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

da quello della regolazione biologica e che i sentimenti spesso sono in grado di


condizionare il nostro comportamento. Come ha dimostrato empirica- mente
il neurologo, infatti, la convinzione dell’esistenza di una razionalità pura
(logica, funzionale, volontaria), immune dal contagio delle emozioni, non
solo non ha alcun riscontro nella realtà ma sarebbe addirittura con-
troproducente. Le emozioni, infatti, svolgono un ruolo fondamentale nel
processo decisionale, espressione del comportamento intelligente, qualifi-
cando automaticamente (attraverso marcatori somatici) le diverse alternative a
disposizione. La preselezione operata dai circuiti emozionali (che si basa
anche sul bagaglio di esperienze proveniente dal passato) snellisce e velocizza il
meccanismo decisionale con notevoli vantaggi adattivi.
Come spiega Goleman, la comunicazione tra la nostra intelligenza razionale e
quella emotiva è garantita, a livello neurale, dalle connessioni fra l’amigdala (e le
strutture limbiche affini) e la neocorteccia. Questi circuiti spiegano come
mai l’emozione è tanto importante ai fini del pensiero, sia quando si devono
prendere decisioni sagge, sia quando si tratti di pensare lucidamente. Le
emozioni intervengono anche in molte altre situazioni e sono alla base, ad
esempio, della capacità di motivare se stessi e di persistere nel perseguire un
obiettivo nonostante le frustrazioni; di controllare gli impulsi e riman- dare la
gratificazione; di modulare i propri stati d’animo evitando che la
sofferenza ci impedisca di pensare; di essere empatici e di sperare. Alla scuola
spetta, quindi, l’importante compito di educare gli alunni a riconoscere le
proprie emozioni, a esprimerle e, soprattutto, ad ascoltarle prima ancora
che a gestirle e modularle.

136 Indicatori dell’intelligenza emotiva.

Il concetto di intelligenza emotiva venne formulato nel 1990 da due psicolo-


gi: Peter Salovey e Jonh Mayer. Questi due studiosi definiscono l’intelligenza
emotiva come un mix di autocontrollo, empatia e motivazione che consente
di sviluppare una grande capacità adattiva e di convogliare opportunamente
le proprie emozioni, in modo da valorizzare i lati positivi di ogni situazione.
L’intelligenza emotiva viene descritta in una serie di abilità che possono
essere raggruppate in 5 indicatori o ambiti principali.
1. Conoscenza delle proprie emozioni. L’autoconsapevolezza, la capacità
fonda- mentale di riconoscere un sentimento nel momento in cui esso si
presenta.
2. Controllo delle emozioni. La capacità di controllare e dominare gli stati
emotivi in modo da renderli appropriati alla situazione e saperli esprimere in
modo costruttivo.
3. Motivazione di se stessi. Capacità emotive che guidano o
facilitano il raggiungimento di obiettivi, consentendo di ritardare la
gratificazione, aumentare la tolleranza alla frustrazione e reprimere gli
impulsi negativi.
TRACCE SVOLTE 167

4. Riconoscimento delle emozioni altrui. L’empatia, la comprensione e


l’inte- resse nei confronti dei sentimenti, delle esigenze e delle prospettive
altrui.
5. Gestione delle relazioni. Capacità di indurre risposte desiderabili negli
altri, di negoziare positivamente situazioni di conflitto di gruppo
favorendo le possibili sinergie.
Il tema dell’intelligenza emotiva è stato successivamente trattato da
Daniel Goleman nel libro Intelligenza emotiva: che cos’è e perché può
renderci felici. Grazie a questo libro anche in Italia il tema
dell’intelligenza emotiva ha ini- ziato ad essere utilizzato e studiato sia in
ambito psicologico, sia in ambito organizzativo/aziendale.
Goleman definisce questo costrutto questo come «la capacità di motivare
se stessi e di persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le
frustrazio- ni; di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione;
di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci
impedisca di pensare; e, ancora, la capacità di essere empatici e di
sperare», riconoscendo i nostri sentimenti e quelli degli altri, gestendo
positivamente le nostre emozioni, tanto interiormente quanto nelle
relazioni sociali.
L’intelligenza emotiva sembra, quindi, un elemento molto importante per
l’equilibrio di una persona e il suo successo nella vita.

137 La relazione tra apprendimento ed emozioni è centrale per lo sviluppo


armo- nico della persona. Il candidato illustri sinteticamente una o più
teorie che prendono in esame tale relazione.

Daniela Lucangeli parla di warm cognition, in italiano «cognizione


calda». Con questa espressione fa riferimento al fatto che ogni atto della
vita psichica di un individuo è legato anche a delle emozioni. Quando
noi pensiamo, allo stesso tempo anche sentiamo.
Questo vale anche per l’apprendimento: ogni volta che impariamo
qualcosa contemporaneamente proviamo un’emozione e, nella nostra
memoria, si fissano tanto le nuove informazioni tanto le emozioni che
abbiamo provato nell’atto dell’apprendere. Risulta quindi molto
importante che lo studente si trovi a scuola in una condizione di benessere
e che sviluppi emozioni piacevoli nei confronti dell’apprendimento. Se,
invece, lo studente prova emozioni negative come quelle di paura in
relazione alle situazioni di apprendimento di una certa materia, ogni volta
che dovrà fare i compiti o dovrà ascoltare una lezione di questa disciplina
si attiveranno queste stesse emozioni di paura. Di fronte a delle
emozioni di paura quello che viene spontaneo ad ogni essere umano è
fuggire, che in ambito scolastico può concretizzarsi in un
disinvestimento nei confronti della materia.
Risulta quindi fondamentale prestare attenzione al fatto che gli
168 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

studenti sviluppino emozioni positive nei confronti della scuola e


dell’apprendimento. Ciò che permette lo sviluppo di emozioni piacevoli
in ambito scolastico è il senso di competenza, che gli alunni possono
provare quando si trovano a svolgere dei compiti che sono alla loro
portata e per cui, a seguito di uno sforzo, ottengono buoni risultati. È
quindi molto utile tenere in conside- razione ciò che Susan Harter
definisce «il livello ottimale di sfida». Questo vuol dire individuare il
livello di difficoltà corretto rispetto alle capacità dello studente: un livello
troppo alto potrebbe portare a paura di sbagliare, mentre un livello
troppo basso a noia.
Un insegnante che riesca a porsi come alleato dei propri studenti, inoltre,
riesce anche a infondere quella giusta dose di coraggio che può sostenere gli
studenti ad avventurarsi in una nuova conoscenza.
Nell’atto di insegnare sarebbe anche importante cercare sempre di stimolare
l’interesse dei propri studenti. Come esseri umani siamo naturalmente por-
tati ad essere curiosi rispetto al mondo circostante, e quindi è fondamentale
non spegnare questa naturale motivazione a conoscere.
Quelli appena illustrati solamente alcuni elementi da considerare nel rap-
porto tra cognizione ed emozioni, ma risultano comunque significativi delle
dinamiche in atto nel processo di insegnamento/apprendimento.

138 Il rapporto tra intelligenza e intelligenza emotiva.

Scardinando l’idea classica di un’unica intelligenza logica e verbale misurabile


attraverso il QI (Quoziente Intellettivo), Gardner definisce l’intelligenza
come la capacità di risolvere problemi o creare prodotti che possano essere
apprezzati all’interno di uno o più contesti culturali. In questa prospettiva,
dunque, hanno un ruolo sia le abilità di tipo più strettamente cognitivo che
altre competenze più manuali/strumentali e affettive.
Gardner riconduce tali abilità a sette diverse intelligenze (in un secondo
momento ne individua nove) e sostiene che tutte abbiano pari importanza e
dignità. Due di queste (l’intelligenza intrapersonale e quella interperso- nale)
sono riferibili al costrutto di intelligenza emotiva. La prima, infatti, viene
definita come la capacità di riconoscere, comprendere ed esprimere le
proprie emozioni e la propria interiorità. La seconda, invece, come la
capacità di riconoscere e comprendere le emozioni, i valori, i desideri e le
intenzioni degli altri.
Se con Gardner le emozioni assumono per la prima volta lo status di vere e
proprie espressioni dell’intelligenza, a decretare il ruolo cruciale svolto da
queste ultime come parte integrante del comportamento adattivo sono
Salovey e Mayer. I due autori, infatti, definiscono l’intelligenza emotiva
come «la capacità di controllare sentimenti ed emozioni proprie e altrui,
distinguere tra di essi e utilizzare queste informazioni per guidare i propri
pensieri e le proprie azioni».
TRACCE SVOLTE 169

Anche Goleman afferma la centralità dell’intelligenza emotiva


sostenendo che essa è separata, ma non in antitesi, rispetto all’intelligenza
razionale. Il nostro modo di comportarci, infatti, è determinato da
entrambe e ciascuna componente è essenziale per garantire il successo
delle nostre performance. Dalla prima definizione di Mayer e Salovey ad
oggi, sono diverse le posizioni teoriche emerse sull’IE, che l’hanno
inscritta ora all’interno di una certa area della psiche (socio-affettiva o
di personalità) ora di un’altra (cognitiva o metacognitiva), attribuendole
caratteristiche e proprietà differenti. An- che l’effettiva relazione tra il
costrutto di intelligenza classicamente intesa e quello di intelligenza
emotiva è molto dibattuto in quanto non esistono ancora strumenti
standardizzati per misurare quest’ultima. I diversi modelli concordano,
comunque, nel considerare i due costrutti almeno parzialmente
indipendenti tra loro e nel ritenere le emozioni mediatrici
fondamentali della relazione tra l’individuo e l’ambiente.
TRACCE SVOLTE 185

3.4 Scuola secondaria di secondo grado

156 Promuovere la creatività nella scuola secondaria di secondo grado.

Secondo Feldman, la creatività è una questione di sviluppo. Si tratta di un


cambiamento evolutivo per cui le persone riorganizzano le proprie conoscen-
ze, credenze, convinzioni e strutture cerebrali. È un processo irreversibile,
nel quale la persona sperimenta, anche a livello emotivo, una sequenza di
cambiamenti progressivi e si rende conto che ha modificato la propria
prospettiva, i propri giudizi e prende fiducia in una nuova interpretazione del
mondo che ha elaborato.
Risulta importante promuovere questo sviluppo in maniera trasversale agli
ambiti di apprendimento, inserendo elementi legati all’empowerment della
creatività sia all’interno dei percorsi formali che informali dell’apprendere. È
fondamentale individuare temi caldi alla casse per promuovere percorsi volti
a stimolare il pensiero creativo, modalità che possono essere poi estese in
tutti gli ambiti di apprendimento e relazionali.
Un tema centrale per l’alunno alla scuola secondaria di secondo grado è
quello relativo al gruppo e le relazioni tra pari. Sentirsi parte di un gruppo o
di un altro caratterizza le relazioni in questa fase d’età, ma proprio queste
divisioni rendono spesso il clima in classe complesso per quanto riguarda
l’accettazione delle diversità. La diversità è motivo di grande conflitto in-
teriore per quanto riguarda l’accettazione di ciò che non è conforme, sia
in se stessi che negli altri. Tale considerazione, ciò che è uguale o diverso, è
il risultato di valutazioni basate su pregiudizi personali; tentare di scar-
dinare queste assunzioni, spesso inflessibili e drastiche, risulta complesso. È
l’implicazione della componente affettiva di questo particolare tipo di
atteggiamento che rende l’individuo resistente al cambiamento del suo
punto di vista. In aggiunta, la componente cognitiva porta la persona ad
essere convinta dell’esattezza di tutte le informazioni che elabora. La crea-
tività sembra fornire buoni spunti operativi per promuovere cambiamento e
contatto, opponendosi alle rigidità sia affettive che cognitive che portano alla
formazione e al mantenimento degli stereotipi. La maggior parte delle
proposte operative ispirate da questo principio fa uso della narrazione e della
metafora, le quali riescono ad accostare elementi in maniera inconsueta, per
arrivare alla scoperta di nuovi significati e di nuove modalità di approcciare
il mondo e la realtà.
Un percorso basato su questi principi, che utilizza modalità creative (rappre-
sentazioni grafico/pittoriche, narrazioni ed elaborazioni testuali), è presentato
da Carmen Balsamo. Il percorso è composto da diverse attività: le prime
— usando il codice visivo, metaforico, narrativo e poetico — verificano e
promuovono la conoscenza reciproca e valorizzano le differenze di tutti, a
186 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

partire dalle proprie caratteristiche e dal proprio percorso all’interno della


scuola. Il secondo gruppo di attività permette di avvicinarsi,
attraverso rappresentazioni grafiche e manufatti, a conflitti e vissuti
complessi.
Dopo aver chiesto ai ragazzi, divisi per genere, di rappresentare — con
un manufatto, un disegno, un collage — il «proprio rospo» (qualcosa che
della propria vita «proprio non è andato giù» e che, al momento attuale,
ancora fa sentire a disagio) e spiegarlo con un breve testo, a cui sia
l’autore che i compagni cercheranno di attribuire un titolo creativo, si
cercherà di arrivare al riconoscimento del «proprio rospo», staccandosi
dai sentimenti più forti, con maggiore consapevolezza e leggerezza.
L’ultima parte del percorso si pone l’obiettivo di ritrovare e rendere
visibili delle parti di sé inaspettate e contraddittorie, utilizzando la
creatività anche corporea all’interno dell’in- terazione diadica tra
compagni di classe.
Questa esperienza ha lo scopo di aiutare il soggetto a vedere i propri
punti di forza e di debolezza, di accettare il punto di vista dell’altro senza
giudizio e di trovare nel confronto un’idea comune e nuova rispetto a
sé e rispetto alla classe.
In molte ricerche è stato messo in evidenza come la promozione della
creatività in classe attraverso questi modelli abbia ricadute positive anche
sull’apprendimento stimolando la partecipazione, la condivisione di
cono- scenze e lo scambio di idee.

157 Pensiero divergente e creatività nei ragazzi tra i 13 e i 18 anni di


età.

Per pensiero divergente si intende la capacità di creare diverse alternative


rispetto a una questione che non presenta una sola soluzione possibile. In
questo senso, il pensiero divergente si avvicina alla creatività in quanto
sti- mola l’ispirazione e la creazione di nuove idee. Lo sviluppo del
potenziale creativo negli alunni è uno dei temi principali che interessa la
pedagogia moderna.
Potenziare la creatività a scuola significa dare la possibilità di sviluppare
un nuovo modo di pensare, autonomo e indipendente dagli schemi
tra- dizionali e che può influenzare l’apprendimento durante l’arco della
vita. L’Organizzazione Mondiale della Sanità la considera fra le dieci
competenze fondamentali della vita di una persona (life skills) e stabilisce
l’importanza di attuare programmi scolastici tesi a potenziarla negli
alunni. Nella fascia adolescenziale è particolarmente importante
sviluppare delle specifiche com- petenze cognitive, emotive e relazionali
per far fronte ai nuovi cambiamenti che questa età attraversa e la creatività
si inserisce fra queste perché favorisce l’adattamento in diversi contesti
sociali. Potenziare il pensiero divergente significa educare alla flessibilità
TRACCE SVOLTE 187

di pensiero, allo spirito critico, alla com- prensione di diversi punti di


vista che favoriscono l’apprendimento della competenza sociale e della
resilienza. I ragazzi si trovano a dover affrontare novità e sfide proprie di
questa fase evolutiva e legate alla maturazione ses- suale, alla costruzione
della propria identità e concetto di sé, all’adattamento nel gruppo dei
pari, la ricerca dei propri interessi. Il superamento di tali sfide si lega a
sentimenti di soddisfazione e benessere. Interventi educativi scolastici
orientati allo sviluppo della creatività possono fornire un ottimo supporto
agli adolescenti per far fronte alle richieste dell’ambiente e svilup- pare
modalità funzionali utili anche in futuro.
È in questo periodo, infatti, che il cervello rilascia in quantità maggiori,
rispetto ad altre fasi evolutive, la dopamina, un neurotrasmettitore coinvolto
nei meccanismi di ricompensa che può indurre a concentrarsi su gratifica-
zioni positive prestando minore attenzione alle conseguenze e ai rischi. Per
questo il comportamento degli adolescenti può risultare spesso impulsivo e
necessita di un controllo cognitivo mediato dall’educazione dell’adulto. Ma
l’impulsività, se orientata in modo costruttivo, può rappresentare una risorsa
nel campo dell’apprendimento in quanto spinge all’esplorazione che può
essere utile nello sviluppo della creatività. Lavorare sulla creatività include
inoltre l’utilizzo di abilità cognitive ed emotive che favoriscono il controllo
delle proprie azioni e stimolano a riflettere sulle conseguenze delle proprie
scelte favorendo così l’apprendimento della regolazione emotiva e
comportamentale.

158 Il pensiero divergente può giovarsi di linguaggi che nella scuola secondaria
di secondo grado non sono molto utilizzati, come ad esempio quelli non
verbale, visivo e motorio. Il candidato illustri un intervento didattico
finalizzato a un chiaro obiettivo di apprendimento che utilizzi uno o più di
questi linguaggi.

Spesso le attività educative utilizzate nella scuola dell’infanzia e nella scuola


primaria privilegiano l’uso di materiali non verbali e visivi (come il disegno, la
manipolazione e la creazione di oggetti), mentre nella scuola secondaria
l’apprendimento include linguaggi verbali che coinvolgono maggiormente la
sfera cognitiva. Questa distinzione può avere un senso in termini di fase
evolutiva, dove l’insegnamento si orienta in relazione allo sviluppo di abilità
sempre più complesse. Se però pensiamo allo sviluppo della creatività e del
pensiero divergente, con questa distinzione si rischia di circoscrivere l’inter-
vento educativo e limitare così le possibilità di apprendimento degli alunni.
Utilizzare la sola sfera cognitiva può condizionare quella immaginativa e
ideativa che invece sono fondamentali per potenziare il pensiero divergen- te.
Facciamo di seguito l’esempio di un intervento didattico finalizzato a
sviluppare l’abilità di esprimersi liberamente per favorire l’emergere di idee
originali utilizzando il canale emotivo in relazione anche alle sensazioni
corporee.
188 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

• Fase 1. I ragazzi si dispongono in cerchio e l’insegnante sceglie un


brano musicale da ascoltare. La consegna è quella di chiudere gli occhi e
di stare in contatto con le emozioni e le sensazioni corporee che
emergono.
• Fase 2. Finito l’ascolto, si invitano gli alunni a riaprire gli occhi e
riportare solamente le emozioni e le sensazioni avvertite senza spiegare i
possibili motivi, ricordi e pensieri. Una regola fondamentale da parte
dell’insegnan- te è quella di astenersi dal commentare o esprimere giudizi
e invitare gli alunni a fare altrettanto fra loro. L’unica comunicazione
verbale, infatti, è finalizzata all’espressione e alla condivisione in gruppo
di emozioni e sensazioni.
• Fase 3. Si chiede di rappresentare su un foglio quello che hanno sentito
con le modalità che preferiscono (astratta o realistica) utilizzando la
matita, i colori, ritagli di giornale, acquerelli messi a disposizione
dall’insegnante.
• Fase 4. Viene infine chiesto ai ragazzi di prendersi 5 minuti per
osservare le loro produzioni grafiche e dargli un titolo originale. Questa
attività è un esempio di come i canali non verbali, visivi e corporei
possono essere utilizzati per allenare la creatività anche nei ragazzi delle
scuole seconda- rie. Il giudizio, la spiegazione e la valutazione, processi
propri della sfera cognitiva, vengono inibiti per non permettere alle
sovrastrutture degli schemi già esistenti di interferire con la
produzione creativa.

159 Definire il costrutto di pensiero divergente e ipotizzare percorsi di


intervento per la sua formazione nella scuola secondaria di secondo
grado.

Guilford definisce il pensiero divergente come la capacità di produrre una


gamma di possibili soluzioni per un dato problema, in particolare per
un problema che non prevede un’unica risposta corretta, ma più
risposte ugualmente valide.
Nella scuola secondaria di secondo grado il pensiero divergente
risulta difficile da essere applicato in classe a causa di aspetti legati al
curricolo di quello specifico indirizzo scolastico, all’epistemologia delle
discipline, alla tipologia delle classi e delle aule.
I curricoli e le discipline insegnate tendono a privilegiare metodologie in
cui viene chiesto agli allievi di cercare e considerare un solo percorso,
una modalità e risposta corretta.
Le classi, spesso molto numerose, rendono difficile la gestione dei vari
stili di apprendimento e delle intelligenze multiple, e inoltre il docente
non possiede delle competenze didattiche adeguate.
Egli dovrebbe innanzitutto sollecitare e valorizzare nella comunicazione
con gli allievi i singoli punti di vista e durante le esercitazioni o in
TRACCE SVOLTE 189

qualsiasi didattica attiva, dovrebbe proporre problemi che per loro natura
siano aperti a più soluzioni possibili.
190 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

Nell’aula scolastica, inoltre, mancano quegli arricchimenti strumentali che


consentirebbero al docente di proporre didattiche che sviluppano il pensiero
divergente e la creatività ad esso associata.
Per volgere l’intervento educativo e pedagogico in chiave creativa, è indi-
spensabile, quindi, che anche il processo di insegnamento-apprendimento si
avvalga delle specificità degli artefatti e degli strumenti da utilizzare per tale
scopo. Gli studenti dovrebbero avere a loro disposizione colori, cartoncini,
computer, materiale da cancelleria, che sollecitino l’approccio didattico alla
creatività e all’utilizzo del pensiero divergente. Questi materiali potrebbero
promuovere l’animazione, attività grafico-pittoriche, il canto e la musica
anche al di fuori di attività prettamente espressive.
Con l’adozione del pensiero divergente la valutazione degli apprendimenti
sarebbe quindi più focalizzata sui processi di apprendimento, piuttosto
che sul prodotto dell’apprendimento: valutare il «perché» e il «come» siano
state adottate certe soluzioni permetterebbe di sviluppare il pensiero critico e
l’autovalutazione, nonché la condivisione con tutto il gruppo classe di
pluralità di punti di vista e di differenti strategie adottate.

160 Il/La candidato/a descriva obiettivi, metodologie e attività da porre in essere


per progettare opportune strategie didattiche-educative e di socializzazione,
al fine di favorire lo sviluppo della creatività e del pensiero divergente in una
classe della scuola secondaria di secondo grado.

La creatività può essere definita come una risorsa innata dell’individuo che
permette di affrontare i problemi della vita utilizzando curiosità, fluidità di
idee, flessibilità e originalità intellettuale.
La creatività e il pensiero divergente possono essere stimolati in classe favo-
rendo lo stabilirsi di climi psicologici e di stili relazionali che incoraggino la
libera espressione, l’iniziativa personale, l’utilizzo di atteggiamenti e approcci
cognitivi non tradizionali.
Nel secondo ciclo di istruzione la didattica espositiva, il canale verbale e il
setting tradizionale a file parallele non consentono tuttavia di sviluppare
adeguatamente la creatività e il pensiero divergente degli alunni.
Pertanto è opportuno che il docente attui un cambiamento nella didattica
tradizionale, perseguendo i seguenti obiettivi:
– proporre una situazione problema;
– arricchire l’aula di materiali e strumenti stimolanti e creativi;
– cambiare il setting tradizionale a file parallele;
– lasciare gli studenti liberi di trovare la personale modalità di risoluzione
del problema;
– verificare e valutare la soluzione proposta da ciascun allievo o da un
gruppo di allievi.
TRACCE SVOLTE 191

Essere creativi, per De Bono, significa utilizzare nuove forme di ragiona-


mento e prassi operative nella risoluzione di un problema. Per favorire lo
sviluppo della creatività e del pensiero divergente, nonché per aiutare gli
studenti ad acquisire e sviluppare le diverse abilità di pensiero, possiamo
attuare la strategia ideata da De Bono con i «sei cappelli per pensare».
Il docente presenta il tema all’intero gruppo classe, ad esempio «la
corretta alimentazione», poi divide la classe in gruppi, possibilmente con
un numero massimo di sei alunni e spiega i ruoli dei sei cappelli. Lo studente
che avrà il ruolo di cappello bianco svilupperà il ragionamento analitico,
quello con il cappello rosso esprimerà di getto le proprie intuizioni, quello
con il cappello nero rivelerà gli aspetti negativi, quello con il cappello
giallo evidenzierà gli aspetti positivi, quello con il cappello verde le idee
creative, quello con il cappello blu farà rispettare le regole. All’interno di
ogni gruppo gli stu- denti, in base al colore del proprio cappello,
avvieranno una discussione proponendo una soluzione personale al
tema.
In una fase finale i gruppi riporteranno gli esiti delle loro riflessioni
davanti a tutto il gruppo classe.

161 Il pensiero divergente è un modo di valutare la realtà cercando di


adottare diversi punti di vista e di trovare soluzioni alternative ai
problemi. Il candidato illustri quali sono le possibilità che la scuola ha di
creare un ponte tra pensiero divergente e metodologie didattiche.

Le possibilità di creare un ponte tra pensiero divergente e metodologie di-


dattiche dipendono in gran parte dalla percezione dei docenti
sull’efficacia delle modalità didattiche che abitualmente utilizzano e,
conseguentemente, dal grado di cambiamento che potrebbero
introdurre nella loro pratica didattica quotidiana.
Si tratta pertanto di promuovere la partecipazione degli allievi e dei loro
punti di vista all’interno del processo di insegnamento-apprendimento,
facendo fare un passo indietro al docente che, abitualmente, utilizza la
lezione di tipo frontale ex cathedra.
La didattica espositiva può suscitare il pensiero divergente solo se diventa
interrogativa, compartecipata e se promuove la metacognizione.
Per promuovere il pensiero divergente e la pluralità dei punti di vista
a scuola i docenti devono tuttavia aprirsi a didattiche innovative
rispetto a quelle tradizionali, che attivino maggiormente le risorse
personali di ciascun allievo, i propri modi di pensare e di affrontare i
problemi.
La didattica laboratoriale e la didattica per competenze sono due
modalità attive di apprendimento che perseguono tale scopo.
In entrambe il soggetto agisce, inventa, ipotizza nuove strategie
risolutive, produce qualcosa ex novo.
192 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

L’attività laboratoriale consente di ripensare, a esperienze lontane ed etero-


genee e contemporaneamente costruire, su quel pensiero, nuove esperienze.
Nel laboratorio si costruisce il pensare per connessioni, il pensiero previ-
sionale, il problem solving, il decisional making e, non ultima, la creatività.
Nella didattica per competenze, da una situazione-problema iniziale gli
studenti sono chiamati a giustificare gli scopi e gli scenari possibili, le mo-
tivazioni che li hanno portati a adottare determinate scelte.
Nella secondaria di secondo grado, esclusi i laboratori disciplinari, viene
utilizzata pochissimo tanto la didattica laboratoriale quanto quella per
competenze.
Si tratta quindi di prevedere risorse molteplici, organizzare tempi e spazi per
poter provare tecniche e procedure, verificare ipotesi, sperimentare materiali e
strumenti, ma anche soluzioni innovative.
In questo clima ciascun alunno utilizzerebbe il proprio stile e modalità pre-
ferenziale di apprendimento, e tutti gli studenti riuscirebbero a esprimere le
proprie potenzialità e produrre soluzioni personalizzate ai problemi proposti.

162 Il candidato illustri le caratteristiche del pensiero divergente e del pensiero


convergente, e come favorire lo sviluppo del potenziale creativo degli alunni
della scuola secondaria di secondo grado attraverso l’apprendimento.

I primi studi sul pensiero creativo lo hanno definito nella relazione tra pen-
siero divergente e pensiero convergente. Il pensiero divergente è caratteriz-
zato da una vasta gamma di associazioni o dalla capacità di condurre molte
soluzioni di fronte a un problema andando oltre la situazione di partenza
superando i limiti dei dati oggettivi; il pensiero convergente al contrario
punta alla soluzione più rapida e sicura di fronte a un problema.
La creatività è stata tradizionalmente studiata da una prospettiva individuale,
con l’obiettivo di evidenziare le caratteristiche psicologiche che contraddi-
stinguono i grandi innovatori, che includono i tratti di personalità, le abilità
cognitive e la formazione intellettuale.
Più recentemente, tuttavia, si è osservato un progressivo spostamento di
attenzione dai fattori individuali ai fattori sociali e culturali che influenzano il
processo creativo. Le ragioni di questo ampliamento prospettico risiedono
nella consapevolezza che ciò che è usualmente definito come «creativo» è
raramente riducibile al contributo di un singolo individuo, ma è il risultato
della complessa interazione di fattori di natura psicologica, sociale e culturale.
Appare ormai opinione comune, comprovata da diverse ricerche sistematiche,
che la creatività possa essere sviluppata attraverso training specifici proposti in
vari contesti. Le ricerche mettono in evidenza come i training basati sullo
sviluppo del pensiero divergente possano essere applicati a scuola, in ogni
ordine e grado. Per il potenziamento della creatività esistono training che si
TRACCE SVOLTE 193

concentrano sullo sviluppo delle componenti cognitive e altri più creativi.


Nei primi sono maggiormente potenziate la fluidità e la flessibilità,
nei secondi, invece, la fluenza verbale e originalità.
Il training qui presentato mira a insegnare strategie cognitive di tipo asso-
ciativo puntando, però, sul coinvolgimento dei ragazzi attraverso un
setting ludico. Coinvolgere i preadolescenti in attività creative significa
motivarli, creando un clima informale, non valutativo e spesso diverso da
quello respi- rato all’interno della classe scolastica. Il training può avere
tematiche di varia natura, può essere pensato per un periodo di te mesi
proponendo l’attività una volta alla settimana. Gli incontri di training
possono essere ideati per potenziare i cinque fattori afferenti al pensiero
divergente attraverso, come afferma Guilford, attraverso tre processi:
1. produzione ideativa (fluidità) di tipo associativo (originalità e
flessibilità): i soggetti sono invitati a generare un gran numero di idee in
base a input di associazione di elementi tra loro lontani (Mednick,
1962) e quindi elaborando idee dotate di originalità e che attingano a
categorie differenti;
2. valutazione: ai soggetti è richiesto di selezionare le idee da utilizzare
nella fase conclusiva di realizzazione con l’obiettivo di esercitare un certo
senso critico;
3. realizzazione (elaborazione): i partecipanti elaborano ulteriormente
l’idea, a volte realizzando un prodotto concreto con l’obiettivo di
rendere il processo creativo più esperienziale e coinvolgente per i
soggetti preado- lescenti.

163 Si descriva brevemente un esempio di attività per stimolare lo sviluppo


del pensiero divergente in alunni della seconda classe della scuola secondaria
di secondo grado.

L’attività ipotizzata per lo sviluppo del pensiero ha come oggetto la


realiz- zazione di una «Campagna pubblicitaria».
• Finalità: con questa attività si vuole stimolare il pensiero divergente dei
ragazzi mettendoli in una situazione problematica che possa prevedere
più soluzioni possibili, tutte degne di essere valutate.
• Materiale occorrente: cartelloni, pennarelli, fotografie, immagini, ecc.
• Destinatari: studenti di scuola secondaria di secondo grado.
• Classe: seconda.
• Istruzioni: viene proposto il seguente problema. «La ditta Sirius decide
di mettere sul mercato una nuova bibita al gusto di arancio, caratterizzata
dal fatto di essere molto frizzante. Un gruppo di pubblicitari sta
studiando una nuova campagna pubblicitaria che punti a far consumare
questa bibita soprattutto ai giovani tra i 15 e i 30 anni. È necessario
inventare: un nome per la bibita, un manifesto pubblicitario, un filmato
per la pubblicità in
194 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

TV». La classe viene divisa in gruppi di 5/6 ragazzi. Ogni gruppo deve
immedesimarsi nei pubblicitari e cercare di rispondere alle domande poste,
trovando un nome, costruendo un manifesto e ipotizzando una campagna
pubblicitaria in TV. Al termine del lavoro il conduttore potrebbe avviare una
discussione sulle differenze tra le soluzioni emerse all’interno dei vari gruppi,
cercando di capire come si è giunti a questa o a quella proposta. Potrebbe
essere possibile, se il conduttore lo ritiene proponibile, realizzare non solo il
manifesto, ma il video vero e proprio, così come progettato da uno o da più
gruppi.

3.5 Quesiti trasversali ai vari gradi scolastici

164 Come può essere definito il pensiero creativo?

I primi studi formali sul pensiero creativo si fanno risalire attorno ai primi
anni Venti, ma è evidente che l’interesse risale a moto tempo prima, dove il
termine creatività era sostituito da altri concetti affini, che ancora oggi
creano dibattito nel tentativo di dare una definizione univoca al costrutto. La
creatività emerge dalla combinazione di distinti circuiti neurali, che
governano le emozioni da un lato e i processi cognitivi dall’altro.
Le prime ricerche sistematiche sulla creatività apparse nello scenario statuni-
tense con non poco scalpore sembrano essere quelle di Guilford. Guilford, in
alcuni dei suoi esperimenti, aveva notato una correlazione positiva tra buoni
livelli di creatività e alte prestazioni scolastiche, decidendo così di
approfondire questo tema inesplorato. Guilford sosteneva che la persona
creativa fosse una persona capace di produrre idee nuove che potevano essere
testate in termini di frequenza di risposte non comuni, ma accettabili; ha
sottolineato l’originalità dei comportamenti non comuni come espressione
della creatività.
Più tardi Dewey definirà la creatività come l’incontro dialettico tra contrasto
e armonia.
Fondamentale fu anche il contributo delle idee di Stein alla definizione di
creatività, che ancora oggi vengono riprese. Stein sosteneva che il lavoro
creativo tendesse ad essere utile per alcuni gruppi, e quindi nella valutazio-
ne fosse coinvolto il giudizio sociale; l’idea creativa consisterebbe in una
reintegrazione di materiali già esistenti o conoscenze pregresse con nuovi
elementi. Quindi la definizione di creatività di Stein contempla l’idea di
creatività come abilità che produce qualcosa di nuovo e utile.
I primi studi sul pensiero creativo lo hanno definito nella relazione tra
pensiero divergente e pensiero convergente. Il pensiero divergente è carat-
terizzato da una vasta gamma di associazioni o dalla capacità di condurre
TRACCE SVOLTE 195

molte soluzioni di fronte a un problema, andando oltre la situazione di


partenza e superando i limiti dei dati oggettivi; il pensiero convergente, al
contrario, punta alla soluzione più rapida e sicura di fronte a un problema.
Diversamente dagli orientamenti menzionati sopra, l’indagine dei
processi creativi ha spesso portato altri indirizzi di ricerca a postulare una
specificità del pensiero creativo a confronto con altre forme di attività
mentale. A tal proposito, la teoria della Gestalt ha classicamente distinto
fra il pensiero riproduttivo, che opera applicando «meccanicamente»
procedure e associa- zioni precedentemente acquisite, e quello produttivo,
capace di inventare soluzioni originali e di realizzare nuove strutture
mentali grazie alla ricombi- nazione creativa degli elementi su cui opera.
Tale paradigmatica distinzione sembra, in effetti, trovare conferma in
alcune ricerche neuroscientifiche, da cui si evince come gli stati cerebrali
che accompagnano la produzione di idee notevolmente originali siano
diversi da quelli osservati durante la produzione di idee più
convenzionali.
Da un diverso punto di vista, la creatività è stata ricondotta, più che al
pensiero come tale, soprattutto alla personalità e alle differenze
individuali, anche se è emerso come non esista un tratto specifico della
personalità che definisca la persona creativa, ma piuttosto si evidenziano
più aspetti carate- rizzanti come l’autonomia, l’anticonformismo,
l’introversione, la curiosità e, infine, l’intelligenza globale del soggetto,
benché non vi siano ricerche che lo confermino.
La creatività in relazione a nuove ricerche può essere identificata,
secondo Williams e Tuffanelli, in 8 fattori. In ambito cognitivo-
intellettivo: pensiero fluido, pensiero flessibile, pensiero originale,
pensiero elaborativo; in ambito emozionale: disponibilità ad assumersi dei
rischi, complessità, curiosità, immaginazione.

165 Quali sono i fattori che influenzano creatività e pensiero


divergente?

Per favorire lo sviluppo della creatività e del pensiero divergente è necessario


che le proposte didattiche lascino lo spazio agli alunni di poter fare
scelte e azioni originali in base alle proprie spinte creative e in ogni
ambito di studio è importante che l’insegnante incoraggi lo sviluppo di
idee non con- venzionali attraverso la ricerca di risposte alternative o
l’utilizzo di tecniche che favoriscano la libera esposizione, come il
brainstorming, le domande a risposta aperta («Cosa faresti se…») o
attività «a finale aperto». Si può essere creativi sia nelle materie artistiche
che in quelle scientifiche, per cui è importante che l’alunno abbia la
possibilità di sviluppare la creatività in ogni disciplina secondo i propri
tempi e modalità. La creatività non è una caratteristica innata né esiste
un’inclinazione a produrre o meno scelte diver- genti e originali. Lo
196 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

sviluppo di questa abilità è favorita da un contesto non giudicante, aperto


allo scambio di idee che stimoli gli alunni a fare domande e confrontarsi
su diversi interessi e attitudini. Se gli alunni capiscono o percepiscono
che verranno valorizzati e premiati solo nella misura in cui si
uniformeranno alle risposte dettate dall’istituzione scolastica, le loro
scelte personali saranno condizionate e, molto probabilmente, si
orienteranno verso una modalità di tipo convergente. L’abilità di produrre
risposte originali, assumersi i rischi di fare scelte non convenzionali, la
possibilità di accedere a una dimensione immaginativa sono condizioni
che possono verificarsi solo in un ambiente che incoraggia
continuamente tali sforzi creativi. È importante sottolineare che per
«dare spazio» agli alunni non si intende un contesto non strutturato dove
ogni idea e azione è permessa e funzionale. Ogni processo creativo
presenta delle fasi che prevedono la verifica delle proprie scelte e la loro
fattibilità ed efficacia.

166 Il candidato illustri le principali caratteristiche del pensiero convergente e del


pensiero divergente.

Il pensiero divergente è la capacità di produrre una serie di possibili soluzioni


alternative a una data questione. Esso è strettamente correlato al pensiero
creativo.
Guilford ha studiato approfonditamente questo tipo di pensiero. Lo studioso
riteneva che il pensiero divergente potesse essere misurato da quattro indici:
– fluidità: parametro quantitativo che valuta la numerosità delle idee pro-
dotte;
– flessibilità: rappresenta la capacità di adottare strategie diverse e l’elasticità
nel passare da un compito a un altro che richieda un approccio differente;
– originalità: attitudine a formulare idee uniche e personali, differenti da
quelle prodotte dalla maggioranza.
– elaborazione: ovvero l’abilità di dare concretezza alle proprie idee.
Guilford ha scritto anche di ciò che lui chiamava «pensiero convergente».
Nel pensiero convergente si dice che gli individui convergono, invece che
discostarsene, sull’unica risposta accettabile a un problema e producono
efficacemente la soluzione.
Il pensiero convergente è logico-analitico, indispensabile per applicare
procedure precise. Quello divergente è creativo e multidirezionale, ci serve
per guardare le cose da nuovi punti di vista e trovare nuove soluzioni. Sono
molto importanti entrambi. Infatti, se uno, quello convergente, ci aiuta a
concatenare logicamente gli elementi per applicare una strategia appresa di
soluzione, l’altro ci permette di trovare nuove soluzioni e nuove idee che
altrimenti non avremmo neanche preso in considerazione.
In ambito educativo, Jerome Bruner ci invita a fare attenzione perché tendia-
mo a ricompensare solo le risposte «giuste» e a penalizzare quelle «sbagliate».
TRACCE SVOLTE 197

Questo rende i bambini riluttanti ad azzardare soluzioni nuove o originali


nella risoluzione di un problema, dato che le probabilità di sbagliare
in questo caso diventano inevitabilmente maggiori. L’insegnante
dovrebbe privilegiare un clima in cui venga sostenuto anche il pensiero
divergente e la creatività piuttosto che uno dove sia valida solamente la
risposta corretta.

167 La creatività viene considerata importante in molti ambiti. Il candidato


illustri come l’uso del pensiero divergente può configurarsi come
attitudine che può essere appresa a scuola.

L’approccio costruttivista ritiene che un vero e proprio


apprendimento nasca dall’unione consapevole tra nuove informazioni in
entrata e concetti già posseduti dal soggetto. La conoscenza è quindi
costruita e non sempli- cemente registrata, per questo è interessante
stimolare il pensiero creativo degli studenti che possono esprimersi e
diventare protagonisti attivi del processo di apprendimento. Questo
significa accettare e saper discutere le proposte creative degli alunni,
che non arriveranno solo durante le ore di arte, ma anche durante un
esperimento di scienze, di fronte a un quesito di storia o davanti
all’elaborazione di un tema di italiano. Il creativo è colui che possiede la
capacità di produrre modalità fluide e per sé insolite di affrontare i
problemi e di organizzare i materiali. Il pensiero creativo, che ogni
soggetto è in grado di elaborare, deve rispettare le tempistiche individuali
ed è quindi compito dell’insegnante pensare a una didattica che preveda
tali spazi.
Le fasi dell’atto creativo, secondo Fontana, sono cinque:
1. la preparazione, nella quale viene identificato il problema o il tema,
ven- gono esplorate le diverse possibilità ad esso collegate, arrivando in
molti casi a un punto di arresto;
2. l’incubazione, in cui viene, per un periodo più o meno lungo,
accanto- nato il problema e in cui il processo mentale rispetto alla sua
soluzione continua a livello inconscio. In tale fase, la mente vaga
liberamente nel bagaglio di esperienze e conoscenze che ciascuno ha
accumulato, libera dai vincoli dettati dal pensiero logico e coerente;
3. l’ispirazione, in cui la possibile soluzione oppure un flusso di idee
arriva improvvisamente alla coscienza;
4. la verifica, nella quale la soluzione viene messa alla prova e passata
al vaglio critico;
5. l’implementazione, in cui l’atto creativo viene eseguito
materialmente e praticamente.
L’espressione di creatività del soggetto è favorita dai tempi della
didattica, dalla predisposizione personale ma, allo stesso tempo, è influenzata
198 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

dall’ap- prendimento formale di tale abilità. È fondamentale ricordare che


un clima di classe sereno e accogliente favorisce, anche nell’alunno
più timido e introverso, la condivisione delle proprie idee divergenti, che
saranno poi successivamente valutate più o meno utili. Il materiale
didattico, se pensato in modo troppo rigido e univoco, non potrà
stimolare la produzione di idee diverse ce osì gli alunni si limiteranno
a eseguire le istruzioni. Sarà l’insegnante a dover incoraggiare la
produzione di una risposta diversa da quella convenzionale, il salto legato
all’immaginazione e anche la disponi- bilità ad assumersi i rischi insiti
in scelte particolari.
Tra le fasi fondamentali del processo creativo ci sono la verifica e l’imple-
mentazione, grazie alle quali gli stessi studenti, valutando «sul campo» la
bontà e l’efficacia delle loro idee, ricevono importanti informazioni di
ritorno, utili anche per altre scelte creative future. Non si tratta, quindi, di
lasciare semplicemente «briglia sciolta» per stimolare le scelte creati- ve, ma
è necessario costruire una organizzazione della classe nella quale gli alunni
siano «responsabili» di gran parte del proprio lavoro. Attività come il
brainstorming o il «il finale aperto», strategie che incoraggino
l’esposizione possono stimolare il pensiero divergente. Sarà fondamentale
però condividere in modo esplicito con la classe la modalità di lavoro e
l’approccio, così che tutti si sentano sicuri di percorrere strade insolite. In
questo modo i percorsi didattici sul pensiero divergente potranno risultare
anche molto divertenti.

buone prassi di lavoro, la ricerca in ambito valutativo e


autovalutativo, l’individuazione delle conoscenze ritenute
irrinunciabili.
L’autonomia è un mezzo per attuare sistematici percorsi di
miglioramento dell’offerta formativa, sulla base delle esigenze e delle
istanze espresse da ogni realtà scolastica nel curricolo d’istituto, il
documento nel quale «si sviluppano e si organizzano la ricerca e
l’innovazione didattica»(Indicazioni nazionali 2012).
Il documento invece in cui si declinano le caratteristiche dell’autonomia
sco- lastica è il Piano dell’Offerta Formativa (POF) che, dopo la Legge
107/2015, ha valenza triennale (PTOF). In esso viene delineata l’identità
culturale di ciascuna istituzione scolastica, sul piano della progettazione
curricolare ed extracurricolare. Il PTOF è elaborato dal Collegio dei
docenti, sulla base degli indirizzi definiti dal dirigente scolastico e
approvato dal Consiglio di istituto (art. 1, comma 14 della Legge
107/2015).

4.4 Scuola secondaria di secondo grado

179 L’autonomia organizzativa e didattica nella scuola secondaria di secondo grado.


TRACCE SVOLTE 199

L’autonomia viene attribuita a tutte le istituzioni scolastiche nell’art. 21


della Legge 59/1997, nella quale si esplicitano due forme: didattica e
organizzativa, a cui si è aggiunta poi quella di ricerca, sperimentazione e
sviluppo (DPR 275/1999).
La Legge 59/1997 e il DPR 275/1999 sottolineano il passaggio da una
scuola apparato a una scuola servizio, incentrata sulla partecipazione e
sulla collaborazione tra la comunità scolastica e la più ampia comunità
sociale e civile. Nell’art. 1 del DPR 275/1999 si sottolinea il principio di
autonomia funzionale, in quanto gli ambiti di discrezionalità attribuiti alle
scuole sono in funzione della progettazione di un servizio volto a
garantire il diritto all’apprendimento e assicurare il successo formativo di
tutti gli studenti. Lo strumento finalizzato a declinare le caratteristiche
dell’autonomia di ogni istituto è il Piano dell’Offerta Formativa (POF)
che, dopo la Legge 107/2015, ha valenza triennale (PTOF). Tale
documento delinea l’identità culturale e progettuale di ciascuna
istituzione scolastica ed esplicita le linee della pro- gettazione curricolare
ed extracurricolare sul piano educativo, organizzativo e didattico. Il
PTOF è elaborato dal Collegio dei docenti, sulla base degli indirizzi
definiti dal dirigente scolastico e approvato dal Consiglio di istituto. Nella
scuola secondaria di secondo grado, il Dlgs 61/2017, attuativo della
Legge 107/2015, ha previsto una profonda revisione dell’istruzione
pro- fessionale, recepita nel DM 92/2018 che ha ridefinito i profili in
uscita e modificato l’articolazione dei quadri orari dei vari indirizzi.

Le tre forme dell’autonomia sono state rafforzate nelle Linee guida de-
gli Istituti tecnici (DPR 88/2010) e nel Regolamento attuativo del Dlgs
61/2017, relativo all’istruzione professionale, DM 92/2018. In quest’ultimo
dispositivo viene accentuata la possibilità di estendere l’autonomia didattica e
organizzativa del 20% dell’orario complessivo del biennio che nel triennio
può raggiungere spazi di flessibilità del 40%.
Negli Istituti tecnici le Linee guida del 2010 consentono spazi di flessibilità
nelle aree di indirizzo del 30% nel secondo biennio e del 35% nell’ultimo
anno. Per quanto concerne l’autonomia didattica, le istituzioni scolastiche
possono articolare diversamente il monte ore annuale di ciascuna disciplina,
definire le unità di apprendimento in moduli inferiori ai 60 minuti e,
soprattutto negli Istituti professionali, personalizzare il percorso formativo
mediante la formulazione del Patto formativo individuale.
Relativamente all’autonomia organizzativa le scuole possono organizzare
l’insegnamento sulla base di una programmazione plurisettimanale e adattare
il calendario scolastico.
L’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo è curata in particolare dai
dipartimenti e dal comitato tecnico scientifico (CTS).
Più limitati risultano invece gli spazi di autonomia e di flessibilità del curricolo
nei Licei, incentrati, come si sottolinea nelle Indicazioni del 2010, «sull’espli-
citazione dei nuclei fondanti e dei contenuti imprescindibili».
200 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

4.5 Quesiti trasversali ai vari gradi scolastici

180 La corresponsabilità scuola-famiglia nella condivisione di uno stile educativo e


nella prospettiva del sistema formativo integrato con particolare riferimento
al DPR
n. 235 del 2007, e successivamente ripreso anche dalla Legge 107/2015.

Negli ultimi decenni sono avvenuti numerosi cambiamenti a favore di


un’interazione sempre più ampia tra comunità scolastica e comunità socia- le,
famiglia in primis. L’aumento di episodi di bullismo ha sollecitato nel 2007 il
Ministro della Pubblica Istruzione ad aggiornare il DPR 249/1999,
introducendo il Patto educativo di corresponsabilità, un documento che
sancisce il principio dell’alleanza educativa tra scuola e famiglia e l’incontro
delle esigenze e delle aspettative di entrambi. Questa nuova prospettiva fa
leva sul principio di responsabilità delle parti, con lo scopo di perseguire
risultati migliori per e con gli alunni (DPR 235/2007). Infatti, nell’art. 3
del Decreto, si sottolinea che, al momento dell’iscrizione, ai genitori e agli
studenti viene richiesta la sottoscrizione di un Patto educativo di corre-
sponsabilità, finalizzato a definire in maniera dettagliata e condivisa diritti e
doveri tra istituzione scolastica, studenti e famiglie.

Sul piano pedagogico-educativo, la sottoscrizione di un patto tra


genitori e insegnanti sancisce il fatto che l’educazione dei giovani non
avviene più per linea gerarchica, come nella società patriarcale, ma per
linea negozia- le, mediante la condivisione «tra le parti» degli aspetti
formativi ritenuti irrinunciabili. Questa istanza è esplicitata con estrema
chiarezza nelle In- dicazioni per il curricolo del 2012, dove si sottolinea
da parte degli adulti un’evidente attenuazione della capacità di dare
regole e di educare al senso del limite. Pertanto è necessario costruire
un’interazione tra le famiglie e la scuola, «ciascuno con il proprio ruolo,
esplicitare e condividere i comuni intenti educativi».
Uno dei cardini dell’alleanza educativa tra scuola e famiglia è quello di
sen- sibilizzare gli alunni all’esercizio di una cittadinanza responsabile. La
società avverte la necessità di avere dei giovani capaci di esercitare una
cittadinanza attiva declinabile su un duplice piano: la dimensione
culturale-conoscitiva e quella della coerenza e consapevolezza dei propri
comportamenti.
Sono state lasciate all’autonomia delle singole scuole, attraverso i
regolamenti di istituto, la discrezionalità delle procedure di sottoscrizione,
l’elaborazione e la revisione del patto medesimo. Sul piano giuridico, si è
via via configu- rato un legame stringente che, attraverso tale patto,
scuola e famiglia sono tenute a realizzare. Nella realtà, le forme di tale
contratto sono abbastanza diversificate. Nella Legge 107/2015, si
TRACCE SVOLTE 201

richiama il valore della scuola come comunità attiva, in grado di


«sviluppare e aumentare l’interazione con le famiglie e con la
comunità locale».
Si rammenta, infine, che la recente Legge 92/2019, che ha previsto
l’in- troduzione dell’educazione civica nella scuola, all’art. 7 ha
provveduto a estendere il Patto educativo di corresponsabilità anche alla
scuola primaria.
Tratto e adattato da Avvertenze generali, 2018, p. 702 Tratto e adattato da Inclusione
scolastica: domande e risposte, 2018, p. 106
Tratto e adattato da Insegnare Domani nella scuola primaria (aggiornamenti), 2019, p.
135

181 Il candidato indichi che cos’è il GLIR e quali compiti svolge.

Con la Legge quadro del 5 febbraio 1992, n. 104, relativa


all’assistenza, all’integrazione sociale e ai diritti delle persone
handicappate, veniva istituito il Gruppo di Lavoro Interistituzionale
Provinciale (GLIP), con il compito di sostenere il Provveditore nelle
decisioni che riguardavano l’integrazione scolastica.
La chiusura dei Provveditorati (Riforma del Ministero della Pubblica
istruzione nel 2000), con la conseguente istituzione degli Uffici Scolastici
regionali, è coincisa anche con una graduale trasformazione dei compiti
affidati al GLIP, anticipata da alcuni provvedimenti ministeriali come
da Direttiva del 27 dicembre 2012 e la CM 8 del 2013. Nei due
provvedimenti richiamati è stata prevista anche l’istituzione del GLIR a
livello regionale. Nell’art. 9 del Dlgs 66/2017 sono stati riordinati tutti i
Gruppi per l’inclu- sione scolastica sia a livello d’istituto che in ambito
territoriale, e presso ogni Direzione Generale è stato istituito il Gruppo di
Lavoro Interistituzionale Regionale (GLIR), che svolge compiti di:
a) consulenza e proposta all’USR per la definizione, l’attuazione e la verifica
degli Accordi di Programma con particolare riferimento alla continuità delle
azioni sul territorio, all’orientamento e ai percorsi integrati scuola- territorio-
lavoro;
b) supporto ai Gruppi per l’Inclusione Territoriale (GIT);
c) supporto alle reti di scuole per la progettazione e la realizzazione dei Piani
di formazione in servizio del personale della scuola.
Inoltre, uno dei compiti più significativi del GLIR è quello di monitorare
l’attuazione degli Accordi di programma, che devono essere sottoscritti in
ogni ambito provinciale da tutti i soggetti istituzionali (istituzioni scolastiche,
enti locali, ASL, ecc.) in collaborazione con le associazioni delle famiglie.
L’inclusione è una responsabilità che presuppone l’integrazione di tutti i
decisori politici di una comunità e non può essere delegata esclusivamente
alla scuola.
Il Decreto ministeriale del 24 aprile 2018, n. 338, ha confermato le funzioni
202 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

sopra richiamate e stabilito che la composizione del GLIR sia la seguente:


– il dirigente preposto all’USR o da un suo delegato che presiede il
Gruppo;
– dirigenti tecnici e amministrativi in servizio presso l’USR;
– dirigenti scolastici di differenti ordini e gradi scolastici;
– coordinatori o gestori delle scuole paritarie;
– docenti esperti in materia di inclusione;
– rappresentanti della Regione;
– rappresentanti degli enti locali;
– rappresentanti delle associazioni delle famiglie.
Va ricordato, infine, che il Decreto legislativo 66/2017 è stato integrato dal
Dlgs 96/2019 che, per quanto concerne il GLIR, non ha introdotto nessuna
modifica rispetto al provvedimento precedente.
Tratto e adattato da La nuova legge sull’inclusione, 2020, pp. 75-76

182 Il candidato indichi che cos’è il GLO e quali compiti svolge.

La Legge quadro 104/1992, all’art. 15, definiva la composizione del gruppo


responsabile della redazione del PEI, rubricato come «gruppo di studio e di
lavoro», composto da insegnanti, operatori dei servizi, genitori, studenti. Nel
corso degli anni questo gruppo ha assunto informalmente vari nomi, come
GLH e GLHO, indicati in Direttive e circolari ministeriali e recentemente
ridefiniti nell’art. 9 del Decreto legislativo 66/2017, a sua volta integrato dal
Dlgs 96/2019, art. 8.
Nel «vecchio» Decreto del Presidente della Repubblica del 24 febbraio
1994 (Atto di indirizzo relativo ai compiti delle ASL in materia di alunni
portatori di handicap), si affermava che il PEI doveva essere redatto
congiuntamente dagli operatori sanitari individuati dalla USL e/o USSL
e dal personale insegnante curricolare e di sostegno della scuola, in
collaborazione con i genitori.
Con il Dlgs 66/2017, artt. 7 e 9, rimangono confermati i tradizionali
compiti di questo gruppo e si prevede presso ciascuna istituzione
scolastica l’istituzione del Gruppo di Lavoro per l’inclusione (GLI),
con il compito di supportare il collegio dei docenti nella
predisposizione del Piano per l’inclusione di istituto.
Il principio cardine che deve orientare le attività del Gruppi di lavoro
delle singole istituzioni scolastiche è quello di autodeterminazione della
persona con disabilità. Nella Convenzione dell’ONU del 2006, esso viene
definito come l’insieme dei diritti di ogni individuo di decidere del
proprio futuro, facendo le scelte ritenute coerenti con il proprio
progetto di vita.
Il Gruppo di lavoro operativo (GLO) (art. 8 del Dlgs 96/2019) svolge
il precipuo compito di definire la struttura dei PEI dei singoli alunni
con disabilità.
Ogni GLO è composto dal team dei docenti della scuola dell’infanzia e
TRACCE SVOLTE 203

pri- maria e dal Consiglio di classe della secondaria di primo e di secondo


grado. Fanno inoltre parte del Gruppo operativo i genitori
dell’alunna/o con disabilità, specifiche figure professionali, interne ed
esterne all’istituzione scolastica, che interagiscono con la classe.
Nella scuola secondaria di secondo grado è prevista la partecipazione
anche della studentessa e dello studente con disabilità, nel rispetto del
principio di autodeterminazione.
Infine il GLO è supportato dall’unità di valutazione multidisciplinare, che
ha il compito di redigere il Profilo di funzionamento, il quale sostituisce
la diagnosi funzionale e il profilo dinamico funzionale.
Nella redazione del PEI sono, pertanto, coinvolti tutti gli insegnanti della
classe, senza nessuna differenza tra quelli assegnati alle attività di
sostegno e quelli curricolari.
Una delle novità più rilevanti nel funzionamento del GLO riguarda il
nuo- vo ruolo dell’ASL; in particolare, l’Unità di Valutazione
Multidisciplinare (UVM) è chiamata a fornire un supporto al Gruppo,
anche se formalmente non ne fa parte.
Tratto e adattato da La nuova legge sull’inclusione, 2020, pp. 77-79

183 Il candidato indichi che cos’è il GLI e quali compiti svolge.

Nella Legge quadro 104/1992, all’art. 15 si prevedeva l’istituzione, presso


ogni scuola, di un gruppo con il compito di contribuire alla redazione del
PEI, rubricato come «gruppo di studio e di lavoro» (denominato succes-
sivamente GLH d’istituto), composto da insegnanti, operatori dei servizi,
genitori, studenti.
La Circolare ministeriale n. 8 del 2013 ha assegnato al GLH il nome di
GLI, Gruppo di Lavoro per l’Inclusività, dichiarando che le sue compe-
tenze non riguardavano solo la disabilità, ma che si dovevano estendere
anche alle problematiche relative a tutti gli alunni con Bisogni Educativi
Speciali (BES).
Con il Dlgs 66/2017 (articoli 2, 9 e 10, integrato nel Dlgs 96/2019), anche se
viene conservata la stessa denominazione (GLI), cambiano profondamente i
compiti, la composizione e l’ambito di applicazione del gruppo stesso e il
PAI diventa Piano per l’inclusione, con valenza triennale, rientrando nella
definizione del PTOF.
Durante la predisposizione del Piano per l’inclusione, presieduti dal diri-
gente scolastico, oltre ai docenti curricolari e di sostegno, agli specialisti
dell’ASL, al personale ATA, partecipano anche gli studenti, i genitori e i
rappresentanti delle associazioni delle persone con disabilità. Quando si
rapporta al Collegio dei Docenti o ai Consigli di Classe, il GLI è composto
solo da personale della scuola che è tenuto alla riservatezza professionale. Di
fatto, il «nuovo» GLI ha sostanzialmente il compito di definire e attuare il
Piano per l’Inclusione, supportando il Collegio dei Docenti nella sua
definizione e realizzazione.
204 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

Rientra nel PAI anche la definizione delle modalità per l’utilizzo complessivo
delle misure di sostegno sulla base dei singoli PEI, per cui il GLI ha un ruolo
anche nella richiesta e assegnazione delle risorse di sostegno e di assistenza,
attraverso il supporto dei docenti contitolari (scuola dell’infanzia e primaria)
e dei consigli di classe (scuola secondaria di primo e di secondo grado). Può
essere questa una novità molto importante sulla strada della condivisione
all’interno di un istituto che, se applicata bene, dovrebbe portare a valorizzare
le competenze professionali proprie per sostenere tutti gli insegnanti che per
vari motivi possono incontrare difficoltà di particolare rilievo.
Per effetto dell’art. 2, comma 1 del Dlgs 66/2017, il GLI, come tutti gli
organismi e gli atti previsti dal decreto, si occupa esclusivamente degli alunni con
disabilità certificata, capovolgendo completamente l’impostazione della CM 8
del 2013, nella quale a questo Gruppo veniva assegnato il compito di rilevare
gli alunni con bisogni educativi speciali, non soltanto degli studenti con
disabilità.
Tratto e adattato da La nuova legge sull’inclusione, 2020, pp. 81-84

184 Il candidato indichi che cos’è il GIT e quali compiti svolge.

Il tema delle reti di scuole è strettamente collegato all’attribuzione


dell’au- tonomia.
Infatti, nell’art. 7 del DPR 275/1999 si auspica che le istituzioni
scolastiche promuovano «accordi di rete» per svolgere attività didattiche
o di ricerca in comune, anche mediante «lo scambio temporaneo di
docenti».
La DM del 27 dicembre 2012 riservava un ruolo di particolare
importanza ai Centri Territoriali di Supporto (CTS), di ambito
prevalentemente pro- vinciale, ma dava riconoscimento formale anche ai
Centri Territoriali per l’Integrazione (CTI) che già funzionavano,
seppure con nomi diversi, in alcune Regioni d’Italia.
Mentre i CTS sono stati supportati dal MIUR con la destinazione di
risorse mirate, i CTI, pur formalmente riconosciuti, hanno continuato a
funzionare a seconda delle specifiche realtà regionali.
I Gruppi per l’Inclusione Territoriale (GIT) sono stati introdotti dal
Decreto legislativo 66/2017 (art. 9) in ciascuno dei 319 ambiti territoriali,
istituiti nel nostro Paese a seguito dell’art. 1, comma 66 della Legge
107/2015, con lo scopo di sostenere nel territorio l’inclusione scolastica
degli alunni con disabilità. Il Decreto legislativo 96/2019 ha però
modificato sensibilmente quanto previsto del precedente Decreto 66.
Il GIT è composto da personale esperto nell’ambito dell’inclusione; è no-
minato dal direttore generale dell’USR e coordinato da un dirigente
tecnico o da un dirigente scolastico che lo presiede. Il GIT raccoglie le
richieste di sostegno delle singole istituzioni scolastiche dell’ambito e
provvede ad inviarle al Direttore Generale dell’USR. Può esprimere sulle
richieste delle scuole anche un parere difforme.
I compiti dei GIT rientrano generalmente nei seguenti ambiti:
TRACCE SVOLTE 205

– definizione dei PEI secondo la prospettiva bio-psico-sociale alla base


della classificazione ICF;
– uso ottimale dei molteplici sostegni disponibili;
– potenziamento della corresponsabilità educativa e delle attività di
didattica inclusiva.
Come già sottolineato, il GIT svolge anche un ruolo consultivo nelle
asse- gnazioni delle risorse di sostegno a ciascuna scuola. Le modalità di
funziona- mento del GIT, la sua composizione, le modalità per la
selezione nazionale dei componenti, le forme di monitoraggio, la
durata, e la definizione di ulteriori compiti sono demandate a un
apposito Decreto del Ministero dell’istruzione di prossima
approvazione.
Per il momento la norma risulta ancora inapplicabile.
Tratto e adattato da La nuova legge sull’inclusione, 2020, pp. 86-88

185 Il candidato indichi, sulla base della normativa vigente (DM del 27 dicembre
2012, Strumenti d’intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e
organiz- zazione territoriale per l’inclusione scolastica; CM n. 8 del 6 marzo
2013, prot. n. 561, Indicazioni operative; Nota del 27 giugno 2013, prot. n.
1551), quali sono le proposte operative che, nel rispetto dell’esercizio
dell’autonomia scolastica, promuo- vono una scuola inclusiva di qualità.

Dopo la divulgazione della Direttiva del 27 dicembre 2012 e la successiva


Circolare del 6 marzo, n. 8 e, in parallelo, le note del 27 giugno, n. 1551
e del 22 novembre 2013, n. 2563, si possono avanzare alcune considera-
zioni su quali siano le aree strategiche per avvicinare la scuola italiana a un
modello realmente inclusivo.
Il primo elemento riguarda la maggiore equità nella lettura dei bisogni degli
alunni. Gli alunni con BES sono una macro-categoria che comprende gli
allievi con disabilità, con DSA e altre forme di difficoltà di vario genere,
legate anche a condizioni di deprivazioni culturali, familiari e socioeco-
nomiche.
Dopo la Legge 104 del 1992, e, nel 2010, la Legge 170, relativa agli alunni
con DSA, solo con le più recenti disposizioni sui BES, si amplia la gamma di
alunni che hanno diritto a forme di personalizzazione, comprendendo
anche situazioni non diagnosticate o certificate. La lettura del bisogno
diventa quindi meno clinicamente orientata e più equa, con specifici
strumenti compensativi o misure dispensative.
In secondo luogo al Consiglio di classe e agli insegnanti viene attribuito
un compito pedagogico-didattico fondamentale: individuare i soggetti
con situazioni di BES non clinicamente rilevate. Tale responsabilità, con il
consenso dei genitori, può costituire il requisito per la formulazione di un
apposito PDP. Infatti, le disposizioni ministeriali sostengono che, anche in
assenza di documenti specifici, il Consiglio di classe o team docenti si
206 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

esprime in merito al funzionamento problematico dell’alunno e alla


personalizzazione necessaria per il suo percorso formativo, basandosi sul
modello ICF-CY.
Il terzo punto riguarda una maggiore corresponsabilizzazione degli inse-
gnanti curricolari e di sostegno nel progettare e realizzare una didattica ge-
neralmente più inclusiva e forme specifiche di personalizzazione (PDP). Le
disposizioni ministeriali sottolineano l’importanza di una didattica inclusiva e
ordinaria per tutta la classe, che sia, quindi, «strutturalmente» inclusiva. La
Direttiva del 27 dicembre 2012 ha inteso fornire tutela a tutte le si-
tuazioni che ostacolano l’apprendimento degli alunni, non ricadenti né
nella Legge 104/1992 né nella Legge 170/2010. Gli alunni con BES in
senso stretto non sono tutelati da una norma di fonte primaria e questo
rappresenta un’evidente difficoltà per le scuole. Lo stesso Piano per l’in-

clusione si occupa solo delle persone con disabilità. Da un lato, si afferma


che l’inclusione riguarda tutti, dall’altro però la norma sembra andare
in tutt’altra direzione.
Tratto e adattato da Insegnare domani - Sostegno nella scuola secondaria, 2018, pp 116-120

186 Obiettivi, organizzazione e criteri elaborativi del RAV (Rapporto di


Auto- valutazione).

Il tema della valutazione degli apprendimenti (Legge 170/2015) è stretta-


mente correlato all’offerta formativa delle istituzioni scolastiche,
esplicitata nel PTOF. Il successo formativo di ogni alunno dipende in
parte dalla qualità del servizio educativo erogato dalle singole scuole:
questa è la finalità del Sistema Nazionale di Valutazione (SNV), istituito
dal DPR 80/2013, dove la valutazione è finalizzata a migliorare «la
qualità dell›offerta formativa e degli apprendimenti»(art. 2).
Nel DPR si prevede che ogni scuola approvi il Rapporto di
Autovalutazione (RAV) articolato in quattro priorità:
1. l’autovalutazione delle istituzioni scolastiche;
2. la valutazione esterna;
3. le azioni di miglioramento da parte delle istituzioni;
4. la rendicontazione sociale.
L’elaborazione del Rapporto di autovalutazione (RAV) è stato il
primo impegno richiesto nell’a.s. 2014-2015 a tutte le istituzioni
scolastiche da parte del MIUR e, nello specifico, dall’INVALSI, che
coordina tutte le azioni di tale processo.
Il RAV è riconducibile a quattro passaggi di natura:
– descrittiva, relativa alla raccolta dei dati e delle informazioni ritenuti
più pertinenti all’elaborazione del piano di miglioramento;
– valutativa, relativa all’esame e a ipotesi interpretative sugli esiti
conseguiti dagli alunni;
TRACCE SVOLTE 207

– metodologica, relativa all’attivazione del processo di miglioramento,


attra- verso gruppi di lavoro, commissioni di studio (chi fa che cosa);
– proattiva, relativa all’individuazione di alcune priorità sulle quali le
scuole decidono di innestare il processo di miglioramento.
Le priorità di intervento esplicitate da ogni istituzione scolastica nel
proprio Rapporto sono confluite nel Piano Triennale dell’Offerta
Formativa (PTOF). Il modello del RAV, predisposto dall’INVALSI, si
compone di cinque sezioni: contesto, esiti, processi, processo di
autovalutazione e individuazione delle priorità. Ognuna delle cinque
sezioni è descritta in apposite aree. Gli aspetti definiti in ogni ambito
sono ulteriormente articolati in indicatori,

domande guida, opportunità e vincoli, rubriche di valutazione. L’analisi degli


aspetti contenuti nelle varie aree ha permesso a ogni realtà scolastica di
passare dal «check-up» d’istituto all’individuazione delle priorità sulle quali
elaborare il progetto di miglioramento, condizione determinante di
un’efficace progettualità.
L’azione valutativa e le attività ad essa collegate costituiscono una compo-
nente strategica del processo decisionale che le singole scuole mettono in
atto. In tale progettualità sono coinvolti tutti gli attori che si prendono
cura della qualità educativa dell’istituto in cui operano il dirigente, gli in-
segnanti, lo staff di gestione, il nucleo interno di valutazione, gli studenti e,
indirettamente, anche i genitori.
Tratto e adattato da Avvertenze generali, 2018, pp. 453-456

187 Il candidato descriva il Piano Annuale per l’Inclusione e ne illustri scopi e


finalità, indicando la principale normativa di riferimento.

Tra le «azioni strategiche» per realizzare una «politica dell’inclusione» nelle


singole scuole vi è l’introduzione del Piano Annuale per l’Inclusione, de-
lineato nella Direttiva del 27 dicembre 2012, riguardante gli alunni con
Bisogni Educativi Speciali (BES). Con riferimento al modello ICF (OMS,
2001), l’accento viene posto non tanto su un approccio di tipo clinico,
quanto su un modello educativo centrato sul «funzionamento» del soggetto in
condizione di fragilità nei diversi contesti di vita, di studio e di lavoro. Il 6
marzo 2013 il Ministero dell’Istruzione ha emanato la Circolare n. 8, che
illustra le indicazioni operative per l’attuazione della DM del 27 dicembre
2012, nel quale si afferma la necessità di attivare percorsi individualizzati e
personalizzati anche per gli alunni con BES, individuati autonomamente
dal Consiglio di classe, in collaborazione con i genitori.
Nel Decreto legislativo 66/2017 si modifica la dizione «annuale» in «trien-
nale», sottolineando che: «ciascuna istituzione scolastica, nell’ambito della
definizione del Piano triennale dell’offerta formativa, predispone il Piano per
l’inclusione» (art.8).
Nel Dlgs 96/2019 che corregge e integra il 66/2017, si sottolinea l’utilizzo
delle misure di sostegno deve avvenire «nel rispetto del principio dell’acco-
208 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

modamento ragionevole», espressione ripetuta più volte nella Convenzione


delle Nazioni Unite sui Diritti delle persone con disabilità (2007) e che indica gli
adattamenti necessari finalizzati a non ostacolare l’esercizio dei diritti
fondamentali delle persone con disabilità, compreso quello dell’istruzione. Il
PAI è il dichiarato, nel quale ogni scuola esplicita le condizioni irrinun-
ciabili del miglioramento continuo della qualità formativa dell’istituto. Il
documento è elaborato, dopo un’attenta lettura dei bisogni della scuola,
dal Gruppo di lavoro per l’inclusione (GLI), con l’intento di evidenziare i
punti di forza e di criticità che hanno accompagnato le azioni di
inclusione realizzate nel corso dell’anno scolastico. L’attenzione è posta
sui bisogni educativi dei singoli alunni, sugli interventi pedagogico-
didattici effettuati nelle classi nell’anno scolastico corrente e sugli
obiettivi programmati per l’anno successivo.
Al dichiarato deve seguire l’agito, cioè i concreti interventi dei
docenti coerenti con gli obiettivi esplicitati nel piano per l’inclusione,
espressione delle scelte delle scuole sul piano istituzionale ed è
strettamente collegato al livello didattico, finalizzati a promuovere una
classe realmente inclusiva.
Tratto e adattato da Alunni con BES, 2013, pp. 183-187

188 Le Raccomandazioni del Consiglio Europeo del settembre 2006 e il


Quadro Europeo delle Qualifiche propongono la definizione di
conoscenze e competenze. Il candidato illustri la differenza tra i due
concetti.

Il 18 dicembre 2006 viene diffusa la Raccomandazione del Parlamento e


del Consiglio dell’Unione Europea relativa all’individuazione di otto
competenze chiave per l’apprendimento permanente, finalizzate a
garantire ai giovani dell’Unione le padronanze irrinunciabili in vista del
loro ingresso nel mondo del lavoro e il diritto all’apprendimento lungo
tutto l’arco della loro vita. Nella Raccomandazione, alla base
dell’acquisizione delle competenze, viene posto il possesso di solide
conoscenze, senza le quali non è immaginabile maturare abilità e
padronanze sia disciplinari che trasversali.
Secondo il Quadro Europeo delle Qualifiche (EQF, 2008), le conoscenze
sono il «risultato dell’assimilazione di informazioni attraverso l’apprendi-
mento». Possono essere ricondotte a un insieme di fatti, principi,
teorie e pratiche relative a un settore di lavoro o di studio. Le abilità
indicano la capacità di applicare conoscenze sia a livello cognitivo che
pratico. Le competenze invece sono la «comprovata capacità di utilizzare
conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in
situazioni di lavoro o di studio».
Nel contesto del Quadro Europeo delle Qualifiche le competenze
sono descritte in termini di responsabilità (prevedere e valutare le
conseguenze delle proprie azioni) e autonomia (prendere decisioni e
agire in modo in- dipendente).
TRACCE SVOLTE 209

Il Quadro di Riferimento Europeo viene ripreso nel DM 139/2007,


dove vengono declinate otto competenze chiave di cittadinanza che
sono alla base del modello di certificazione nazionale delle competenze
al termine dell’obbligo formativo.
Lo stretto rapporto tra conoscenze e competenze viene richiamato nelle
In- dicazioni nazionali della scuola dell’infanzia e del I ciclo d’istruzione, ma
anche nelle Indicazioni nazionali dei Licei (DPR 89/2010), nelle Linee
guida degli Istituti tecnici (DPR 88/2010) e nel Regolamento di revisione
dell’istruzione professionale (DM 92/2018).
La Raccomandazione del 2006 è stata aggiornata dal Consiglio europeo il 22
maggio 2018, modificando sensibilmente le otto competenze chiave.
L’aggiornamento è stato necessario in seguito a vari cambiamenti: l’utilizzo
crescente delle tecnologie, l’urgenza di rafforzare le competenze di base che
risultano insufficienti (lettura, matematica e scienze), e la necessità di
accrescere la capacità di problem solving, di cooperazione, di pensiero critico,
computazionale e creativo.
La Nota del Miur del 4 aprile 2019, n. 5772 sottolinea, coerentemente al
nuovo quadro europeo, che nell’a.s. 2019-2020 verrà aggiornato l’attuale
Profilo dello studente al termine del primo ciclo d’istruzione.
Tratto e adattato da Avvertenze generali, 2018, pp. 43-45

189 L’identità professionale dei docenti.

Il ruolo del docente è atipico rispetto a quello di altre professioni e difficil-


mente circoscrivibile a un’identità delimitata.
All’interno di questa complessità possiamo però individuare alcune dimen-
sioni irrinunciabili del ruolo docente. In tutte le organizzazioni di lavoro
le persone devono esprimere una funzione formale (formazione scolastica,
universitaria, qualità personali, codice deontologico, ecc.) e un ruolo agìto,
espressione dinamica del «fare» quotidiano e delle prassi lavorative che ogni
docente sa realizzare.
Nel testo delle Indicazioni nazionali del 2012, nella parte relativa al curri-
colo della scuola dell’infanzia c’è un paragrafo dal titolo I docenti. In esso si
delinea il profilo dell’insegnante di qualità che vale non solo per quell’or-
dine scolastico, ma anche per il primo e il secondo ciclo d’istruzione. Dalle
affermazioni contenute in questo paragrafo è possibile ricavare le seguenti
priorità della funzione docente.
Innanzitutto, il possesso di solide competenze culturali e disciplinari. Questa
dimensione interessa la conoscenza aggiornata e approfondita dei campi di
esperienza (scuola dell’infanzia) e delle discipline oggetto d’insegnamento
negli altri ordini scolastici. In particolare, i docenti sono tenuti a valorizzare
la valenza formativa dei saperi e le relazioni esistenti tra i diversi sistemi
culturali (Indicazioni nazionali del 2012).
Una seconda priorità è rappresentata dalle competenze relazionali, relativa
alla conoscenza dei problemi tipici dell’età dei bambini e degli adolescenti,
alle dinamiche relazionali presenti nei contesti familiari e di vicinato, ma
210 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

soprattutto alla capacità di dialogo educativo tra docenti e studenti. Questa


dimensione è strettamente correlata alla capacità organizzativa inerente la
funzione sociale del docente, il suo ruolo come componente essenziale di
TRACCE SVOLTE 211

una comunità professionale organizzata in molteplici livelli, che lui stesso


contribuisce a promuovere e a innovare e con i quali si relaziona
quotidia- namente.
Il contesto di insegnamento (terza priorità) infatti ha una forte
influenza sulla costruzione del proprio Sé professionale. In tutte le
organizzazioni la qualità dell’ambiente ricade positivamente sulla crescita
del capitale umano. La comunità scolastica costituisce di fatto il
principale fattore di sviluppo della professione e di un’identità che è un
«agìto» espresso con autorevolezza, competenza e capacità di dialogo.
Tratto e adattato da Avvertenze generali, 2018, pp. 311-314

190 Le competenze dei docenti nella scuola del nuovo millennio.

Il MIUR nell’aprile 2018 ha diffuso un Documento dal titolo


«Sviluppo professionale e qualità della formazione in servizio», dove
vengono esplicitati obiettivi, compiti e competenze del profilo
professionale degli insegnanti, articolati in tre ambiti: standard professionali,
dossier del docente e governance della formazione. I Gruppi di lavoro che
hanno elaborato il documento han- no individuato cinque macro-aree
ritenute irrinunciabili: cultura, didattica, organizzazione,
istituzione/comunità e cura della professione.
La dimensione culturale coincide con la figura di un insegnante «colto»,
impegnato ad aggiornare il proprio patrimonio di conoscenze e capace di
tradurle nelle prassi didattiche.
L’area didattica interessa in particolare la cura relativa all’organizzazione
dell’insegnamento e la capacità di sostenere l’apprendimento di tutti
gli studenti.
L’ambito organizzativo viene ricondotto al Documento di lavoro alla
com- petenza gestionale della classe, attraverso strategie di lavoro
collaborativo finalizzato a promuovere la partecipazione degli
studenti.
La dimensione istituzionale è indicativa del senso di appartenenza a una
comunità professionale e della capacità di instaurare rapporti positivi
con i colleghi e con la dirigenza scolastica.
Infine, la cura della professione riguarda l’importanza che ogni
docente attribuisce al proprio sviluppo professionale mediante la
partecipazione a percorsi formativi e attività di autoaggiornamento. Il
portfolio del docente è lo strumento che documenta la crescita di questo
importante ambito della professione.
Queste cinque fondamentali dimensioni non costituiscono una novità
in assoluto; ci sono, infatti, riferimenti significativi anche in altri progetti
e rapporti europei. Ne sono un esempio: il progetto TALIS (Teachers
And Learning Survey, 2018), dove si evidenziano irrinunciabili punti
della professione (il possesso di conoscenze disciplinari; la qualità della
212 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

relazione
TRACCE SVOLTE 213

educativa con gli studenti; la capacità di gestione della classe; le compe-


tenze metodologico-didattiche; le modalità con le quali gli insegnanti si
rapportano con i colleghi e con il capo d’istituto); il Contratto di lavoro
nazionale (2016-2018); le Indicazioni nazionali per il curricolo del 2012 nel
paragrafo «I docenti», relativo alla scuola dell’infanzia ma estendibile a tutti i
gradi e ordini di scuola, nel quale si definiscono i tratti peculiari del profilo
dell’insegnante (la preparazione culturale, la motivazione alla pro- fessione,
l’attenzione agli alunni, la cura di un ambiente di apprendimento accogliente
e ben organizzato), arricchito attraverso «il lavoro collaborativo, la formazione
continua in servizio, la riflessione sulla pratica didattica».
Tratto e adattato da Il manuale dell’Expert Teacher, 2019, pp. 13-18

191 Certificazione delle competenze in base alle Indicazioni nazionali per il cur-
ricolo (DM 254/2012) e al Decreto legislativo 62/2017.

Le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo


ciclo d’istruzione (DM 254/2012) prevedono che ogni istituzione scolastica
predisponga il curricolo d’istituto all’interno del Piano Triennale dell’Offerta
formativa con riferimento:
– al profilo dello studente al termine del primo ciclo di istruzione;
– agli obiettivi di apprendimento specifici per ciascuna disciplina;
– ai traguardi per lo sviluppo delle competenze.
Questi tre vincoli sono esplicitati nel testo ministeriale in cui, per quanto
concerne il tema delle competenze, si afferma che solo a seguito di una
regolare osservazione, documentazione e valutazione «è possibile la loro
certificazione».
Il Dlgs 62/2017, attuativo della Legge 107/2015, all’art. 9 ha stabilito che la
certificazione delle competenze debba essere ancorata:
a) al profilo dello studente al termine della scuola secondaria di primo
grado;
b) alle competenze chiave individuate dall’Unione Europea (Raccoman-
dazione del 2006, oggi sostituita con analoga Raccomandazione del 22
maggio 2018);
c) alla definizione, mediante enunciati descrittivi, dei diversi livelli di ac-
quisizione delle competenze stesse.
Il Miur, dopo un progetto nazionale sperimentale (Circolare del 13 febbra- io
2015, n. 3), ha approvato un modello nazionale di certificazione delle
competenze al termine della scuola primaria e della scuola secondaria di
primo grado.
La versione finale di tale modello è stata adottata dal Miur nel DM n. 742
dell’ottobre 2017.
214 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

Infine, la Nota del Miur del 9 gennaio 2018, n. 312, ha diffuso le


Linee guida in vista della concreta compilazione del modulo da
consegnare alle famiglie. La sua struttura è composta da:
– le competenze europee del 2006, che dovranno essere aggiornate da
quelle descritte nella Raccomandazione 22 maggio 2018;
– le competenze del Profilo dello studente;
– i livelli da attribuire a ciascuna competenza.
Nelle Linee guida, allegate alla Circolare 312/2018, viene fornito un
quadro culturale in cui inserire il tema della valutazione e della
certificazione delle competenze, che non rappresenta solo un
adempimento amministrativo di ampliamento dell’informazione per i
genitori, ma è uno strumento che arricchisce il profilo valutativo degli
alunni. La certificazione delle compe- tenze accompagna il documento di
valutazione degli apprendimenti e del comportamento degli allievi e
svolge una funzione formativa, orientativa e di sostegno alle scelte degli
alunni.

192 Promozione della consapevolezza del proprio modo di apprendere


secondo le Indicazioni nazionali per il curricolo (DM 254/2012).

Le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del


primo ciclo di istruzione del novembre 2012 sottolineano che un’efficace
azione formativa prevede alcuni principi metodologici tesi a favorire
l’apprendi- mento e il successo formativo di tutti gli alunni. Uno di questi
consiste nel promuovere nell’allievo e nello studente la consapevolezza
del proprio modo di apprendere. Questa padronanza è ricorsivamente
richiamata anche nei documenti europei.
A questo proposito, tra le otto competenze-chiave per l’apprendimento
per- manente definite dal Consiglio dell’Unione Europea
(Raccomandazione del 22 maggio 2018), viene riconfermata, come nel
precedente Documento del 2006, la centralità della competenza personale,
sociale e capacità di imparare a imparare. Essa consiste innanzi tutto nella
capacità di riflettere su se stessi e di mantenersi resilienti nei momenti di
difficoltà. Nelle Indicazioni nazionali, la padronanza relativa all’imparare
a imparare viene descritta nel Profilo dello studente come capacità di
ricercare in modo efficace le informazioni e di impegnarsi nella ricerca di
nuove conoscenze in modo autonomo, e richiede la capacità di
organizzare e gestire i tempi dello studio per ottimizzare le condizioni
dell’applicazione individuale. Questa competenza deve essere insegnata a
partire dai primi anni di scuola in maniera trasversale da parte di tutti i
docenti.
La scuola deve quindi supportare lo studente nello sviluppare consapevo-
lezza e responsabilità rispetto alle proprie modalità di gestione mentale,
TRACCE SVOLTE 215

ai
216 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

propri stili di pensiero e punti di forza e di criticità, accrescendo la fiducia


nei mezzi e nei personali potenziali di apprendimento.
Inoltre nelle Indicazioni del 2012, nel paragrafo «Il senso dell’esperienza
educativa», viene sottolineata l’esigenza di educare i ragazzi a un profondo
senso di responsabilità, che si traduce nel «fare bene il proprio lavoro, nel
portarlo a temine e nell’avere cura di sé».
Per fare questo l’alunno va messo nelle condizioni di comprendere i compiti
che gli vengono assegnati e i traguardi che può raggiungere, di leggere le
proprie emozioni, dimostrando di saper raggiungere nuovi equilibri attra-
verso la risoluzione dei conflitti che inevitabilmente caratterizzano la sua
vita, come quella dei coetanei.
La consapevolezza del proprio modo di imparare presuppone anche capacità
di natura metacognitiva, che investe alcuni processi chiave dell’apprendi-
mento, quali la riflessione e il controllo. La riflessione accentua il valore e
l’importanza di saper comprendere dentro di sé il significato profondo di
un’attività didattica, di un lavoro di gruppo, di una relazione amicale. Il
controllo coincide con la capacità di verificare, accertare, attuare dei riscon-
tri in modo da favorire un’intelligenza critica e creativa. Stati intenzionali e
stati emozionali sono infatti alla base di una pedagogia meta cognitiva.

193 Come realizzare una didattica per competenze secondo il Decreto 254/2012.

Nelle Indicazioni nazionali per il curricolo del 2012, si sottolinea che una
didattica per competenze presuppone una significativa innovazione delle
strategie di insegnamento-apprendimento. Infatti, un primo aspetto rilevante
dell’approccio per competenze è la centralità dell’alunno che impara, con
«l’originalità del suo percorso individuale».
Per questa ragione, le attività didattiche orientate a far sì che lo studente
maturi solide conoscenze e competenze presuppongono la progettazione di
compiti di realtà, gestione della classe in chiave collaborativa, forme di
valutazione autentica e la certificazione dei livelli raggiunti.
Il docente assume una nuova responsabilità educativa, poiché l’insegna-
mento persegue la finalità della formazione della persona e dell’autonomia
del cittadino (soft skills).
Il tema delle competenze in ambito scolastico presuppone una concezione
dell’apprendimento diversa da quella tradizionale, dove le conoscenze sono il
risultato di un processo costruttivo e partecipato. La competenza, infatti,
evidenzia l’attitudine del soggetto a relazionarsi con la realtà, a impegnarsi in
compiti complessi, a rielaborare il proprio sapere in funzione della soluzione
di problemi e progetti inerenti alla vita delle persone.
La didattica per competenze rappresenta un significativo presupposto an- che
per promuovere una reale inclusione, perché si propone di strutturare
TRACCE SVOLTE 217

percorsi in cui tutti gli alunni possano trovare il loro posto e la possibilità
di esprimere le proprie potenzialità. Per questo, è improntata alla
massima diversificazione, con l’utilizzo di mediatori diversi (attivi,
iconici, analo- gici, simbolici), in grado di venire incontro alle
diversità individuali e ai differenti stili di apprendimento. Inoltre,
privilegia strategie di ricerca e di studio a mediazione sociale: lavoro di
gruppo, di coppia, di peer tutoring, di aiuto reciproco. La sfida della
diversità trova il suo massimo ancoraggio nella gestione cooperativa del
gruppo-classe, dove «le situazioni individuali vanno riconosciute e
valorizzate».
Pertanto, nella prospettiva della competenza, i compiti diventano
autentici, così come la valutazione che viene esercitata prevalentemente
con strumenti nuovi, quali le rubriche, la valutazione tra pari, il
portfolio.
L’alunno competente sa coniugare in modo stabile le conoscenze
possedute utilizzandole in compiti inediti e in una molteplicità di
contesti.
Tratto e adattato da Insegnare domani nella scuola primaria, 2019, pp. 363-368

194 Il candidato illustri finalità e aspetti salienti del Piano Triennale


dell’Offerta Formativa (PTOF), fornendo di esso un quadro essenziale.

Il PTOF costituisce l’identità stessa della scuola, configurandosi come


una vera e propria pianificazione della vita scolastica, definita in un
quadro di coerenza in riferimento agli obiettivi generali e educativi dei
vari tipi e indirizzi di studi, alle esigenze del contesto culturale, sociale ed
economico nel quale la scuola opera in armonia con la più generale
programmazione territoriale dell’offerta formativa.
Riporta le scelte per la gestione delle risorse disponibili, i processi che si
intende attivare, le finalità che si vuole conseguire, i possibili esiti degli
ap- prendimenti, ma anche gli elementi per consentire un’efficace
governance e il collegamento tra scuola e comunità territoriali di
competenza. In questo senso, il documento deve essere costruito
conservando due piani di coeren- za: quello interno, relativo soprattutto
alla scuola, che riguarda le finalità educative, le prospettive e le scelte
pedagogiche, organizzative, didattiche, finanziarie, di ciascuna scuola;
quello esterno, che si caratterizza per la di- chiarazione della mission
educativa che la scuola intende perseguire e che rende esplicita
all’utenza e alla più ampia comunità territoriale.
Il PTOF esplicita, in altri termini, gli impegni e le responsabilità che
dirigen- ti, docenti, alunni, genitori, personale ausiliario e amministrativo,
decisori politici intendono concretamente assumere; esso definisce
l’intero impianto delle attività della scuola, comprese quelle per il
218 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

potenziamento dell’offerta formativa. Il principio di organizzazione e


gestione delle risorse è quello della flessibilità; in questo senso, la
realizzazione del PTOF è strettamente collegata a un’altra innovazione
che è stata introdotta dalla Legge 107/2015, quella dell’organico
funzionale di istituto.
Nel Piano vanno inoltre collocate tutte quelle iniziative che riguardano la
formazione per studenti e alunni in materia di sicurezza e primo soccorso, di
educazione alla parità dei sessi, di prevenzione alla violenza di genere, del
bullismo, e di tutte le forme di discriminazione; le attività di continuità e
orientamento, anche in base alle opportunità offerte dal mondo del lavoro.
Viene richiamato, in questo senso, anche il Piano annuale per l’inclusione,
Direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012.
Certamente la costruzione di un Piano Triennale costituisce un’operazione
complessa e delicata, nella quale occorre l’impegno di tutti gli attori coin-
volti sulla scena educativa. La sua definizione è determinante anche per la
fase dell’autovalutazione e della rendicontazione delle scuole, come previsto dal
RAV del 2013.
Tratto e adattato da Avvertenze generali, 2018, pp. 524-525

195 Il candidato descriva l’itinerario di elaborazione del Piano Triennale


dell’Offerta Formativa (PTOF), accennando anche alla normativa di
riferimento, ai contenuti ed agli elementi di innovazione rispetto ai
precedenti documenti.

Con la pubblicazione della Legge 107/2015, finalizzata alla piena realizza-


zione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, un nuovo strumento di
progettazione viene messo a disposizione delle scuole, in modo da consentire
di sviluppare piani di più ampio respiro rispetto alle tradizionali annualità; si
tratta del Piano triennale delle istituzioni scolastiche che, di fatto, viene ad
abrogare il Piano dell’Offerta Formativa istituito con il Regolamento per
l’autonomia, art. 3, DPR n. 275/1999.
In realtà, tale scelta non si pone in antinomia con quelle precedenti, anzi ne è
l’evoluzione. L’idea di formulare un documento che definisse la capacità
progettuale di ciascuna istituzione scolastica risale alla Circolare ministe-
riale n. 362/1992 sull’educazione alla salute, con la proposta di definire il
Progetto Educativo di Istituto (PEI) come documento che distinguesse e
qualificasse ciascuna scuola. Va sottolineato che, in seguito, la sigla PEI
sarebbe stata utilizzata per indicare il Piano Educativo Individualizzato, che
riguarda l’integrazione scolastica.
Il passaggio successivo avviene con il riconoscimento dell’autonomia alle
istituzioni scolastiche, art. 21, Legge n. 59/1997, e con l’adozione del
Regolamento per la sua attuazione, DPR n. 275/1999. Il disposto di
quest’ultimo, combinato con quello della Legge n. 440/1997 per l’arric-
chimento e l’ampliamento dell’offerta formativa, porta all’adozione del
Piano dell’Offerta Formativa, il POF, che, nell’art. 3 del Regolamento,
TRACCE SVOLTE 219

oggi profondamente modificato dalla Legge 107/2015, viene definito


come dichiarazione scritta dell’identità delle scuole.
Oggi il PTOF consente di proiettare le scelte della progettualità scolastica
non su un arco temporale annuale, ma triennale.
In continuità con le precedenti scelte, il Piano Triennale dell’Offerta For-
mativa diventa il documento che definisce l’identità culturale e
progettuale delle istituzioni scolastiche; esso rende esplicite le scelte di
progettazione curricolare, extracurricolare, educativa e organizzativa
delle singole scuole nell’ambito della loro autonomia. Esso è, infine,
l’elemento di base per tutto il processo di autovalutazione delle scuole
introdotto dal RAV.
Pur se il PTOF consente alle scuole di muoversi con una
progettazione pluriennale, rimane irrisolta la questione degli aspetti
finanziari carat- terizzanti l’autonomia scolastica in quanto, essendo
definito il bilancio dello Stato su base annuale, anche le attività
economiche e finanziarie delle istituzioni scolastiche conservano la loro
caratteristica di annualità, sia per quanto concerne il Programma annuale,
sia per la rendicontazione finale. Tale scelta è stata ribadita nel nuovo
Regolamento amministrativo- contabile delle istituzioni scolastiche,
Decreto interministeriale n. 129 del 28 agosto 2018.
Tratto e adattato da Avvertenze generali, 2018, pp. 519-521

196 Il candidato espliciti che cosa sono le Reti di scuole e che cosa
prevede in proposito l’art. 7 del DPR 8 marzo n. 275/99.

Le reti di scuole, promosse dagli Uffici scolastici regionali, sono degli


accordi tra istituti finalizzati a valorizzare le risorse professionali per
l’integrazione, non solo dell’organico per l’autonomia aggiuntivo rispetto
all’organico di istituto, ma anche per realizzare specifici progetti e
iniziative di interesse territoriale.
Va infatti chiarito che se in passato le reti di scuole hanno avuto un
carattere volontaristico, riconducibile alle scelte effettuate da singole
scuole, con la Legge 107/2015 tale modello ha assunto invece un
carattere istituzionale e consente, per questo, alle scuole di poter
richiedere maggiori risorse di organico per la rete e finanziamenti
aggiuntivi per la realizzazione di specifici progetti.
Auspicate nell’Atto di Indirizzo 2009, confermate nelle Indicazioni del
2012 e nel Decreto legge n. 5/2012 per la semplificazione per potenziare
l’autonomia delle istituzioni scolastiche e incrementare la lotta alla di-
spersione e all’insuccesso scolastico, esse erano state previste già in sede
di Regolamento per l’autonomia (art. 7 del DPR dell’8 marzo 1999, n.
275), dove erano stati indicati gli ambiti di interesse degli accordi che
avrebbero potuto riguardare le attività didattiche, di ricerca,
sperimentazione e svi-
220 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

luppo, di formazione e aggiornamento, amministrazione, contabilità, di


acquisto di beni e servizi, ecc. Nello specifico, gli accordi si concretizzavano in
scambi di personale docente, nella creazione di laboratori, in attività di
ricerca didattica e di sperimentazione, di documentazione, formazione,
orientamento.
La Legge 107/2015 ha definitivamente istituzionalizzato tale opportunità che
va realizzata attraverso la sottoscrizione di accordi di rete con altre
scuole, con università statali e private, enti associazioni, agenzie del ter-
ritorio, consorzi pubblici e privati, utili al raggiungimento degli obiettivi
definiti all’interno del PTOF. Tali accordi, finalizzati alla valorizzazione del
personale della scuola, possono riguardare:
– la gestione di funzioni e attività amministrative;
– la realizzazione di progetti o iniziative didattiche, educative, sportive o
culturali di interesse territoriale;
– l’assistenza e l’integrazione sociale delle persone con disabilità;
– la realizzazione di insegnamenti opzionali e specialistici;
– il coordinamento nella progettazione funzionale di Piani Triennali
dell’Offerta Formativa;
– i piani di formazione del personale scolastico;
– l’utilizzo delle risorse da destinare alla rete per il perseguimento delle
proprie finalità;
– i processi di trasferibilità delle buone pratiche.
Negli accordi vanno stabiliti con chiarezza i criteri e le modalità di utilizzo
delle risorse economiche e professionali e le forme di trasparenza e rendi-
contazione delle attività.
Tratto e adattato da Avvertenze generali, 2018, pp. 307, 523

197 Il candidato espliciti in che cosa consiste l’autonomia di ricerca, sperimen-


tazione e sviluppo delle istituzioni scolastiche secondo i dettami del DPR
dell’8 marzo n. 275/99.

L’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo, definita nell’art. 6,


riguarda vari aspetti delle attività delle istituzioni scolastiche, dalla pro-
gettazione alla valutazione, dalla formazione e aggiornamento culturale e
professionale del personale scolastico all’innovazione metodologica e
disciplinare. La ricerca spazia anche in ambito didattico, soprattutto in
riferimento alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e sulla
loro integrazione nei processi formativi. Essa può riguardare anche la docu-
mentazione educativa, la diffusione di buone prassi nella scuola, lo scambio e
il confronto di informazioni, esperienze, utilizzo di materiali didattici. Infine,
può riguardare l’interazione fra le varie componenti del sistema scolastico
TRACCE SVOLTE 221

con soggetti istituzionali competenti ed enti di ricerca. Gli strumenti


di formazione, osservazione e valutazione che accompagnano gli
insegnanti nella loro attività educativo-didattica presuppongono la
capacita di lasciare tracce e produrre memoria delle buone cose fatte. In
questa prospettiva la documentazione viene strettamente correlata alla
competenza riflessiva da parte degli insegnanti, con la valorizzazione
della loro azione di riflessione sulle pratiche professionali che
quotidianamente realizzano e sulla possi- bilità di diffondere e
condividere con i colleghi, con le famiglie, con altre strutture educative
e con la società i risultati raggiunti.
Quando si parla di ricerca a scuola, il rigore deve riguardare la
definizione esatta dell’oggetto della ricerca, con delimitazione del campo,
ipotesi di studio, utilizzo di un metodo efficace, declinato in parametri
chiari e pre- cisi di osservazione e di valutazione, avendo cura e
precisione nell’analisi dei dati raccolti.
Anche se il vero lavoro di ricerca va riportato alla quotidianità dell’inse-
gnamento, a volte le proposte di sperimentazione e ricerca giungono agli
insegnanti durante i corsi di formazione, attraverso specifici decreti, op-
pure viene stimolato dalla loro stessa partecipazione a convegni o
seminari inerenti ai temi che inducono interesse e spingono a mettere
in pratica le cose ascoltate/viste in quell’occasione, ad esempio con
ricerche proposte direttamente da università o enti di ricerca con i quali la
scuola collabora. Nascono cosi progetti di ricerca che coinvolgono gli
insegnanti facendoli uscire dalla routine del loro ruolo e compito
quotidiano, ricavando un tem- po speciale da dedicare alla formazione, alla
formulazione e discussione dei contenuti del progetto e delle metodologie
da utilizzare nell’attività e nella valutazione, senza mai perdere di vista
che tutto il lavoro deve riguardare finalità formative per quel determinato
gruppo di bambini ad essi affidati.
Tratto e adattato da Insegnare Domani nella scuola dell’infanzia, 2019, pp. 440-441

198 La Legge sull’autonomia scolastica prevede la costituzione di un


organico dell’autonomia per l’attuazione e gestione di progetti educativi
di qualità. Il candi- dato esponga le linee e i principi di tale
provvedimento.

Il Piano Triennale dell’Offerta Formativa, all’interno delle innovazioni


apportate dalla Legge 107/2015, afferma con convinzione la scelta del
principio della flessibilità, intesa come strategia di approccio per qualifi-
care l’azione formativa della scuola e ribadisce l’importanza di promuovere
forme di flessibilità didattica e organizzativa.
A confermare tale orientamento è la nota del MIUR dell’11 dicembre
2015. Si vuole così sottolineare e ribadire come la piena realizzazione del
curricolo di scuola e il raggiungimento degli obiettivi della legge non
222 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

possano pre- scindere da forme organizzative flessibili. La legge, pur non


intervenendo sugli ordinamenti attuali della scuola né modificando
alcun elemento di tipo strutturale, introduce, per garantire il principio
della flessibilità, un’ulteriore innovazione che cambia profondamente
l’organizzazione della didattica: l’organico dell’autonomia. Essa riprende
l’idea di assegnare alle scuole un organico più ampio rispetto a quello
destinato a coprire cattedre, insegnamenti e orari di lezione, idea che era
stata formulata già alla metà degli anni Novanta, quando era stato
introdotto nella scuola elementare l’organico funzionale di circolo e
ripresa nei commi 5-7 dell’art. 1 della Legge 107/2015.
Tale organico, determinato con cadenza triennale e su base regionale,
comprenderà l’organico di diritto, quello per il potenziamento e quello
per il sostegno, comprensivo anche dei posti in deroga per i casi più gravi di
alunni con disabilità. Esso consente realmente alle scuole di realizzare forme
di flessibilità che, semplificando, potrebbero riguardare gli studenti (per
esempio con diverse modalità operative) e le attività (per esempio con
articolazione del monte ore).
Nel PTOF le scuole potranno prevedere il potenziamento dell’organico
indicando, oltre al tipo di attività, il contingente di risorse professionali
che occorreranno per tale realizzazione. Novità sono sopraggiunte con la
sottoscrizione, il 31 dicembre 2018, del Contratto Collettivo Nazionale
Integrativo sulla mobilità del personale docente, educativo e ATA, per gli
anni scolastici del triennio 2019/20, 2020/21, 2021/22: è stata reintrodotta la
possibilità di esprimere preferenze per la scuola, il comune, il distretto, la
provincia e sono stati riconfermati i meccanismi tradizionali delle fasi co-
munale, provinciale, interprovinciale, in pratica superando l’organico degli
ambiti territoriali e reintroducendo, di fatto, una dimensione provinciale ai
ruoli dei docenti. Inoltre, i docenti che otterranno il trasferimento saranno
titolari su scuola, sia coloro già hanno una sede di scuola, sia coloro che
hanno per questo anno scolastico un incarico triennale e la titolarità su
ambito, che avranno anche automaticamente la sede su scuola.
Tratto e adattato da Avvertenze generali, 2018, pp. 530-532

199 Definizione e attribuzioni del Consiglio di istituto previste dal Decreto legi-
slativo 297 del 16 aprile 1994.

Il Consiglio di istituto è un organo collegiale presente in istituti scolastici di


ogni ordine e grado.
Ne fanno parte il personale docente, il personale ATA, i genitori e, nella
scuola secondaria di secondo grado, gli studenti. Collegio docenti, personale
ATA in servizio e non, gruppo genitori e, quando necessario, gli studenti
dell’istituto, eleggono i loro rappresentanti. Ne fa parte di diritto il capo
di istituto.
TRACCE SVOLTE 223

Il Consiglio di istituto ha una composizione variabile in base alle


dimensioni di ciascun istituto scolastico: nelle scuole fino a 500 alunni è
composto da 14 membri, con 6 docenti, 6 genitori (nelle scuole
secondarie di secondo grado questi posti sono divisi equamente tra
rappresentanti degli studenti e dei genitori), 1 rappresentante del
personale ATA e il dirigente della scuola. Nelle scuole con più di 500
alunni, i componenti diventano 19: 8 insegnanti, 8 genitori (nelle scuole
secondarie di secondo grado questi posti sono divisi equamente tra
rappresentanti degli studenti e dei genitori), 2 rappresentanti del
personale non docente e il capo d’istituto. Alle riunioni del Consiglio di
istituto possono partecipare, semplicemente a titolo consultivo, gli spe-
cialisti che sono impegnati in modo continuativo nella scuola con compiti
medico, psico-pedagogici e di orientamento (Dlgs del 16 aprile 1994,
n. 297, art. 8, comma 5).
Il Consiglio è presieduto da un rappresentante dei genitori, eletto a
maggio- ranza assoluta. Viene inoltre eletta tra i componenti dell’organo
collegiale la giunta esecutiva che, sotto la presidenza del capo d’istituto e
il coordina- mento del direttore SGA che ne è membro di diritto,
predispone i lavori del consiglio.
Il Consiglio ha potere deliberante su una molteplicità di ambiti, come
definito nell’art. 10 del Dlgs 297/94, tra cui:
– elabora indirizzi generali e determina le forme di autofinanziamento;
– adotta il regolamento d’istituto e il Piano Triennale dell’Offerta
Formativa;
– indica i criteri generali circa la formazione delle classi;
– definisce le modalità di svolgimento dell’orario delle attività
didattiche (per il tempo scuola settimanale, da articolare in orario
antimeridiano e pomeridiano in 6 o 5 giorni settimanali);
– delibera il programma annuale delle attività di recupero,
extrascolastiche e dei viaggi di istruzione;
– esprime un parere circa l’indicazione della lingua straniera che
dovrebbe essere introdotta nelle classi;
– la giunta esecutiva predispone il bilancio preventivo e il conto
consuntivo.
Dopo che il Regolamento DPR 233/1998 ha definitivamente confermato
la legittimità istituzionale degli istituti comprensivi, sono state diffuse
ulteriori indicazioni dal Ministero per il funzionamento amministrativo e
didattico per gli istituti scolastici.
Tratto e adattato da Avvertenze generali, 2018, pp. 216-222

200 Gli organi collegiali sono organi di autogoverno ai quali spetta il compito
di garantire «l’efficacia dell’autonomia delle istituzioni scolastiche» (art.
16, comma l, DPR n. 275/1999). Il candidato indichi la composizione e le
224 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

funzioni del Collegio dei docenti e del Comitato per la valutazione del
servizio dei docenti.
TRACCE SVOLTE 225

Il Collegio dei docenti è composto dal personale docente e presieduto dal


dirigente scolastico. Esso delibera sul funzionamento didattico; cura la pro-
grammazione dell’azione educativa; adegua i programmi di insegnamento
alle specifiche esigenze ambientali e favorisce il coordinamento interdisci-
plinare; rispetta la libertà di insegnamento, per ciascun docente; formula
proposte per la formazione, composizione delle classi e assegnazione dei
docenti, per l’orario delle lezioni e per lo svolgimento delle altre attività;
valuta periodicamente l’andamento dell’azione didattica per verificarne
l’efficacia in rapporto agli orientamenti e agli obiettivi programmati, pro-
ponendo opportune misure per il miglioramento dell’attività scolastica;
provvede all’adozione dei libri di testo; adotta o promuove iniziative di
sperimentazione; promuove iniziative di aggiornamento; elegge i docenti
incaricati di collaborare col dirigente scolastico; elegge i suoi rappresentanti nel
Consiglio di circolo o di istituto; elegge i docenti che fanno parte del
Comitato per la valutazione del servizio del personale docente; programma e
attua le iniziative per il sostegno degli alunni con disabilità; esamina, per
ogni possibile recupero, i casi di scarso profitto o di irregolare comporta-
mento degli alunni; esprime parere in ordine alla sospensione dal servizio e
alla sospensione cautelare del personale docente.
Dopo che il Regolamento DPR 233/1998 ha definitivamente confermato la
legittimità istituzionale degli istituti comprensivi, sono state diffuse
ulteriori indicazioni dal Ministero per il funzionamento amministrativo e
didattico per gli istituti scolastici.
Con la Legge 107/2015, il Comitato per la valutazione dei docenti è cam-
biato nella sua durata, composizione, funzione. La durata della nomina
dei componenti è triennale, in relazione al PTOF. Pur conservando la
presidenza al dirigente scolastico, il Comitato è costituito da tre docenti, due
scelti dal Collegio dei docenti e uno da Consiglio istituto; due rap-
presentanti dei genitori, rispettivamente espressi per la scuola dell’infanzia e
per il primo ciclo di istruzione, mentre nel secondo ciclo vi sono un
rappresentante degli studenti e uno dei genitori, tutti designati dal Con-
siglio di istituto; vi è infine un componente esterno designato dall’Ufficio
scolastico regionale, individuato tra docenti, dirigenti scolastici e dirigenti
tecnici. Anche le funzioni del Comitato sono state ampliate. Un primo
compito riguarda il parere sul superamento del periodo di formazione e
prova del personale docente e educativo; in questo caso, la sua composizione
prevede il dirigente che lo presiede, i tre docenti insieme al docente che
ha seguito l’insegnante in prova con funzioni di tutor. Il Comitato può
valutare, su richiesta del docente interessato, anche il servizio dell’ultimo
triennio, previa relazione del dirigente scolastico, anche riabilitandolo da una
sanzione disciplinare. Un secondo compito, con il Comitato in assetto
completo, riguarda l’individuazione dei criteri per la valorizzazione e la
246 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

premialità dei docenti in base alla qualità dell’insegnamento, al contribu- to al


miglioramento dell’istituzione scolastica e al successo formativo, ai risultati
conseguiti, alle responsabilità assunte.
Tratto e adattato da Insegnare Domani nella scuola primaria (aggiornamenti), 2019, pp. 97-99
242 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

SECONDA PARTE

TRACCE SU CUI ESERCITARSI


1.4 Scuola secondaria di secondo grado

67 Il candidato descriva sinteticamente le metodologie per promuovere creatività e


pensiero divergente alla scuola secondaria di secondo grado.

68 Il candidato descriva sinteticamente la relazione che intercorre tra apprendi-


mento ed emozioni, con particolare riferimento alla scuola secondaria di secondo
grado.

69 Con l’inizio del prossimo anno scolastico comincia per lei un nuovo ciclo e avrà
una classe prima del biennio di una scuola secondaria di II grado. Nelle riunioni
preliminari, ha provveduto a prendere visione della composizione della classe per
poter predisporre adeguatamente il percorso. Il gruppo si presenta, come
consuetu- dine, con caratteristiche variegate. Le informazioni certe di cui dispone
si riferiscono alla presenza di un allievo con deficit cognitivo (certificato L.
104/92), con cadute soprattutto nell’area logico-matematica e con abilità
comunicative relativamente preservate. In classe è presente anche un allievo
con diagnosi di DSA.
Con riferimento a questo quadro generale, il candidato predisponga le linee di un
progetto didattico inclusivo, non rivolto specificamente all’allievo certificato
L. 104/92 ma all’intero gruppo-classe, ponendosi nella prospettiva
dell’insegnante curricolare, volendo dell’ottica della disciplina per la quale si è
abilitati. Vanno messe in evidenza:
a) le modalità e le procedure di interazione tra i docenti e con altre figure
(specialisti, genitori, ecc.);
b) le scelte programmatiche e le azioni didattiche per creare un buon clima di
classe e per favorire l’apprendimento di tutti gli allievi;
c) le modalità per riconoscere e comprendere le emozioni e i sentimenti degli
allievi e per favorire una adeguata espressione e regolazione dei loro stati
affettivi.

70 Delineare un progetto didattico di educazione ambientale.

71 Il candidato illustri come l’apprendimento collaborativo può favorire l’inclu-


sione alla scuola secondaria di secondo grado.

72 Gli insights costituiscono un passaggio nodale nel processo di problem solving, ma


anche se possono sembrare improvvisi, sono spesso il risultato di un duro lavoro
precedente, senza il quale le intuizioni non avrebbero mai avuto luogo. Il
246 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

candidato illustri le strategie didattico-educative in grado di promuovere la


creatività e il pen- siero divergente nella scuola secondaria di secondo grado.

73 Finalità, tecniche e strumenti per la valutazione diagnostica.

2.4 Scuola secondaria di secondo grado

100 Il candidato illustri sinteticamente la relazione tra empatia e intelligenza


emotiva (con particolare riferimento alla scuola secondaria di secondo grado),
con riferimenti a teorie e modelli socio-psico-pedagogici.

101 La capacità di riconoscere, rispettare e mettere in parola il mondo soggetti- vo dei


sentimenti e delle emozioni è un aspetto fondamentale dell’intelligenza. Il
candidato illustri come è possibile sviluppare tale forma di intelligenza nella
scuola secondaria di secondo grado.

102 Promuovere l’empatia nella scuola secondaria di secondo grado. Il

103 costrutto di intelligenza emotiva in adolescenza.

104 Empatia, intelligenza emotiva e processi di adattamento nella scuola secon- daria
di secondo grado.

116 Creatività, pensiero divergente e processi di adattamento nella scuola secon-


daria di primo grado.

117 Un esempio di pensiero divergente applicato alla lettura delle attuali configura-
zioni familiari con riferimento alla fascia d’età della scuola secondaria di primo
grado.

118 Il candidato illustri come la creatività, nell’idea di educabilità umana, può


favorire i processi inclusivi nella scuola secondaria di primo grado.

3.4 Scuola secondaria di secondo grado

119 Come può essere sviluppato il pensiero creativo con gli adolescenti? Creatività,

120 pensiero divergente e processi di adattamento nella scuola secon-


daria di secondo grado.

121 Muovendo dall’analisi dei loro principali elementi costitutivi, il candidato illustri
come incoraggiare la creatività e il pensiero divergente nella scuola secondaria di
secondo grado, elaborando anche proposte sul piano didattico.
242 TFA – SOSTEGNO – PROVA SCRITTA

Il candidato illustri con un esempio concreto un’attività capace di promuovere


122 l’utilizzo di modalità di pensiero divergente in relazione a un concreto
obiettivo conoscitivo del proprio ambito di insegnamento (sceglierne uno) nella
scuola se- condaria di secondo grado.

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