Sei sulla pagina 1di 46

DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO – definizione DSM 5

I disturbi del neurosviluppo sono in gruppo di condizioni con esordio nel periodo dello sviluppo. I
disturbi si manifestano tipicamente nelle prime fasi dello sviluppo, spesso prima che il bambino
inizi la scuola elementare, e sono caratterizzati da deficit nello sviluppo che causa una
compromissione del funzionamento personale, sociale, scolastico o lavorativo. Il range dei deficit
dello sviluppo varia da limitazioni molto specifiche dell’apprendimento o del controllo delle
funzioni evolutive fino a compromissione globale delle abilità sociali o dell’intelligenza. I disturbi
del neurosviluppo si presentano frequentemente in concomitanza… In alcuni disturbi il quadro
clinico comprende sintomi di eccesso (es. iperattività), ma anche deficit e ritardi nel raggiungimento
delle tappe attese (es. DSA).
- Disturbi dell’apprendimento
- ADHD
- Disturbi del movimento
- Disturbi della comunicazione
- Disturbo dello spettro autistico
- Disabilità intellettiva
Modelli multipatogenetici dei DNS
L’interpretazione dei disturbi di sviluppo come causati da fattori singoli, ed il tentativo di
individuare dei sottogruppi omogenei sono destinati al fallimento.
La presenza di ciascun disturbo può essere letta come la conseguenza di una costellazione specifica
di più deficit cognitivi.
I singoli deficit sono presenti anche nella popolazione generale e quindi singolarmente non sono né
necessari né sufficienti per determinare la presenza del disturbo.
Alcuni deficit sembrano avere un ruolo in più disturbi, altri appaiono appannaggio esclusivo di un
solo disturbo.
PRATICA DI ENTRATA I: IL BAMBINO G. DA UN PENSIERO CLASSIFICATORIO AD
UN PENSIERO DIAGNOSTICO CAUSALE. ATTENZIONE AI PENSIERI E AI
PROCESSI DELLA VOSTRA MENTE.

Programmazione a ritroso: parte dal risultato che vuole ottenere, per poi andare a definire gli
obiettivi e i contenuti da presentare all’interno del corso.

INFORMAZIONI DEL QUADRO CLINICO:

Caso: 8 anni, frequenta la III primaria. I genitori si rivolgono ad un servizio per i disturbi del
neurosviluppo perché preoccupati per lo scarso rendimento della lettura. Il bambino oltre ad essere
molto lento deve rileggere molte volte un testo per poterlo ricordare e sintetizzare. I genitori
riferiscono anche errori nella scrittura per esempio: “ristrio” al posto di “rischio”, “maggione” al
posto di “maglione”. In matematica i risultati sono invece ottimi. La madre dice che è molto lento
nel leggere, legge facendo una sorta di analisi mentale, cioè legge a mente e poi ripete, non è fluido.
Inizialmente hanno pensato che fosse una situazione di (sovrapposizione del padre). Il padre dice
completando il pensiero della madre: “esercizio”. La madre dice “sì perché non gli piace leggere,
quindi lo abbiamo spinto a leggere”. Padre: “naturalmente leggendo in questo modo ha difficoltà a
ricordare le cose che legge, è troppo concentrato a leggere e non riesce a costruire le parole dentro
la mente”.
Dal primo colloquio con i genitori (anamnesi) è emerso che G. è stato in trattamento logopedico in
età prescolare. Il padre riferisce: attualmente c’è anche una lentezza nello sviluppo del discorso, ha
povertà lessicale, utilizza vocaboli poco appropriati. Osservano che a volte il bambino ha difficoltà
a “trovare le parole”. Ad esempio pur conoscendo la parola “cinturino” fatica a recuperarla e alla
fine dice “ciondolo dell’orologio”. Entrambi i genitori riferiscono che G. è molto curioso, dal punto
di vista sociale viene descritto come bambino che manifesta una iniziale timidezza nella relazione
con gli altri. La madre dice che è come se avesse paura delle sue potenzialità. È come se avesse
bisogno di essere spinto. Dopo le iniziali titubanze G. sembra in grado di socializzare anche con
bambini che conoscono la sua lingua.

Riflettiamo sui processi che sono scattati nella mente mentre leggevamo queste informazioni:
- i genitori cercano di dare una spiegazione di quello che vive il figlio, analizzano il processo
- sono due genitori adeguati, c’è sintonia tra loro
- difficoltà di accesso e recupero al lessico, sul piano della sintomatologia determina delle latenze
anomiche (ci pensa molto nel costruire un discorso, probabilmente quel pensare molto è un tentativo
di recuperare le etichette lessicali). Questa difficoltà può essere recuperata con delle circonlocuzioni.
- Nell’età prescolare ha avuto un disturbo fonologico-espressivo. Intorno ai 5 anni i bambini con
questo disturbo tendono a recuperare. Due pediatri statunitensi hanno scoperto il fenomeno del
recupero illusorio, quindi non è falso che il bambino abbia recuperato (prima parlava male,
semplificava, ora non più). Quando si confrontano le traiettorie di sviluppo c’è una sovrapposizione
delle due traiettorie, però poi andando avanti sparisce. Non bisogna disinvestire dal bambino, anche
se nelle fasi iniziali sembra parlare bene (problemi meta-fonologici a livello di accesso lessicale). I
genitori descrivono il processo senza sapere i processi dei modelli.
- Pensiero di tipo classificatorio, associazione del bozzetto clinico alla parola “dislessia”. Ci porta
subito a pensare ad un’ipotesi.
Pensiero causale-dinamico/diagnostico: Vygotskij.
Quali “consigli” per aiutare G.?
Se avete cercato di spiegare:
o Avete interpretato le difficoltà di G. come sintomi di un disagio emotivo?
o Avete pensato che il disagio emotivo possa essere l’unico fattore scatenante?
o Avete pensato a una concausa?
o Avete pensato di dover compiere come primo passo una “misurazione” dei sintomi?
Dobbiamo capire quali sono le pratiche che ci consentono di misurare i sintomi di G.

Valutazione psicodiagnostica: dentro questa valutazione abbiamo lo specifico della valutazione


neuropsicologica che non deve essere confusa con la mera somministrazione dei test. Si basa su una
logica psicometrica ma non soltanto.

Misurazione dei sintomi: si inserisce in un insieme di pratiche piuttosto complesse in cui ha un


ruolo importante la considerazione per le emozioni del bambino e dei genitori. Qui non esiste la
dicotomia tra cognizione ed emozione. Stiamo attenti alle emozioni, se non lo fossimo i risultati
stessi (per esempio dei test) potrebbero non essere attendibili.
Che cosa fa la misurazione dei sintomi?
o Stabilire l’entità della difficoltà: i genitori ci dicono cosa osservano, noi dobbiamo stabilirne
l’entità, per capire se ci troviamo di fronte ad uno sviluppo tipico con una differenza
individuale, oppure se G. ha una traiettoria di sviluppo atipico.
o Stabilire il tipo di difficoltà: la lentezza da cosa dipende?
o Identificare eventuali deficit specifici delle FC (funzioni cognitive) che possono contribuire
a spiegare: compito della scienza è spiegare, e quindi non soltanto registrare dei
comportamenti esterni osservabili, alla luce dei modelli elaborati.

In che modo le informazioni a disposizione possono orientare l nostre prime ipotesi per la
valutazione?
Aspetti problematici Fattori di rischio Fattori di protezione
dell’apprendimento
Scarsa fluenza nella lettura Lieve disturbo fonologico in Genitori che cercano una
età prescolare spiegazione delle difficoltà del
figlio
Errori nella scrittura Insicurezza emotiva Buone relazioni con le
nell’affrontare situazioni insegnanti di classe
nuove
Difficoltà a memorizzare le Scarsa stima di sé Ambiente familiare che
informazioni di un testo propone esperienze sociali e
cognitive
Lentezza nel costruire un Atteggiamento genitori?
discorso
(difficoltà di tipo cognitivo)
Occasionali difficoltà lessicali
(difficoltà di tipo cognitivo)

Ritorniamo alle parole di G e dei genitori


o Madre: “è molto lento nel leggere… legge ancora, non a sillabe, però comunque fa una sorta
di analisi mentale, cioè, legge a mente e poi ripete. Non è così fluido. Inizialmente abbiamo
pensato che fosse una questione di…”
o Padre: “esercizio.”
o Madre: “sì perché comunque non gli piace leggere tantissimo, quindi l’abbiamo spinto un
po’ a leggere. È migliorato un po’ ma ha ancora queste difficoltà”
o Padre: “naturalmente leggendo in questo modo ha difficoltà a ricordare cose che legge. È
troppo concentrato a leggere e non riesce a costruire le parole dentro la mente.”

Quali sono i passi verso la costruzione di una spiegazione?


o Passo 1: valutare le prestazioni nella lettura con strumenti standardizzati.
Prove che può utilizzare la scuola (prima erano utilizzate nella clinica). C’è un testo, che
viene letto ad alta voce dal bambino. E vengono valutati: correttezza e rapidità. Un’altra
dimensione da valutare c’è la comprensione del testo. Nello specifico in queste prove
vengono presentati dei testi con in conclusione delle domande (modalità delle prove con test
a scelta multipla). Bisogna confrontare il risultato di questi test con l’ALCE test. Quando c’è
una performance positiva bisogna chiedersi quali sono i fattori che hanno permesso l’esito
positivo.
Per la velocità di lettura: si contano le sillabe lette per un’unità di tempo. Quindi quante
sillabe legge al secondo. Se sono al disotto di quelle attese vuol dire che la lettura non è
automatizzata.
Per l’accuratezza: si contano gli errori della lettura di un testo.
Poi si ragiona sui punti Z. Abbiamo così oggettivato il problema.
Test Che cosa valuta? Punteggio Livello di
prestazione di G.
PROVA MT Correttezza Errori: 5 Z -1,75
Rapidità Sillabe/secondo: 1.39 Z – 2,40
La difficoltà Oltre la soglia
presentata dai critica: 2 deviazioni
genitori è oggettiva. standard.
PROVA MT comprensione Risposte corrette: 10 Prestazione ottima

o Passo 2: verificare, sulla base di un modello teorico, l’efficienza dei processi implicati
nella lettura e il loro livello di sviluppo. Andiamo a vedere i processi, perché la lettura è
lenta? Modello di lettura a 2 vie. Quando leggiamo non utilizziamo un unico processo ma 2.
Il primo è la lettura sublessicale: di fronbte ad una parola segmento la parola in grafemi,
associo ad ogni grafema il fonema e poi faccio l’assemblaggio fonemico. Sono tre
operazioni cognitive: segmento la parola in grafemi, faccio corrispondere ad ogni lettera il
fonema corrispondete e poi faccio la sintesi ovvero: assemblaggio fonemico. Questa
condizione, ovvero la possibilità di leggere senza comprendere, è: iperlessia. Il secondo
processo è la lettura lessicale. Le due vie lavorano in parallelo, quando non conosciamo una
parola entra in gioco la lettura sublessicale.

DDE Lettura di parole Errori: 9 Z: 0,92


isolate Tempo: 249 sec. Z: 2.06
Lettura di non parole Errori: 5
Tempo: 134 secondi Z: 0.14
Z: 1.04

Il modello presentato è però dell’adulto, per quanto riguarda lo sviluppo del bambino dobbiamo
capire quali sono le tappe delle due vie.

SVILUPPO MODELLO A DUE VIE

Strategie Caratteristiche salienti Esempio


Indovinare da indizi fonetici Strategia pre-alfabetica: il SPADA  SOLE
suono associato ad alcune
lettere della stringa è utilizzato
per ipotizzare una parola.
Conversione G-F né
sistematica né sequenziale
Lettura fonologica iniziale Conversione grafema-fonema SPADA  s/p/a/d a
sistematica e sequenziale, ma
difficoltà con l’assemblaggio Non sa cosa significa
fonemico e/o con il
riconoscimento lessicale
Lettura fonologica Conversione per gruppi di SPADA  spa/da  spada
frammentata grafemi, efficiente Sillabazione totale
assemblaggio e
riconoscimento lessicale. SPADA  spa  spada
sillabazione parziale o totale Sillabazione parziale
ad alta voce.
Lettura fonologica avanzata Processo interno di TAVOLO  ?
conversione e pronuncia a
voce alta della parola.
Segnali (indicatori):
a) la decifrazione è
proceduta da
sillabazione
sottovoce
b) la prima
decifrazione
avviene in modo
non fluente (con
esitazioni
percettibili:
allungamenti tra
una sillaba e
l’altra).
c) la decifrazione è
preceduta da una
lunga pausa (più di
3-4 secondi)
d) d. la prima
decifrazione è con
prosodia
regolarizzata, poi
autocorrezione.
Lettura lessicale Pronuncia fluida subito dopo TAVOLO  tavolo
l’esposizione alla stringa

Fine II primaria, G è in III.


- la lettura fonologica frammentata o avanzata al 90° P (percentile)
- la lettura lessicale al 10° P (difficoltà), al 5° P (prestazione deficitaria).
Quindi è proprio la lettura lessicale il suo problema. Ricordiamo che questi sono gli indicatori per la
seconda che dovrebbe essere superata.

TPL Lettura di parole piane Parole riconosciute


e sdrucciole con lettura lessicale:
29%
Parole riconosciute
con lettura fonologica:
74%

o Passo 3: verificare i fattori che hanno ostacolato lo sviluppo tipico della lettura di G.
VNP (valutazione neuropsicologica) delle funzioni cognitive.
A 5-6 anni il linguaggio si “normalizza”  recupero illusorio.
(Scarborough y Dobrich, 1990).
- typically developing
- late developing
CV  CVCV  CVCVCV (fino a qui replicazione sillaba piana variata) CVCCV
(barca), ci sono due consonanti.
Sillaba: unità motoria minima del linguaggio.
Processi fonologici alterati:
- Difficoltà di programmazione fonologia (più la parola è lunga e complessa, più richiede
pianificazione e controllo: programmazione fonologica). Es: GLOBALISMO:
CCV+CV+CV+CCV.

Un bambino di 3 e un come G. G dice:


GLOBALISMO: GLOBAMISMO
GLOBALE: goblare
GLOBO: ok!

Sposta in 1° posizione la sillaba piena e in 2° posizione la sillaba complessa (Metatesi).


(GLOBALISMO  GOSBAVISMO).

- Difficoltà nei processi metafonologici.


Fino a 5 anni: il bambino segmenta in sillabe. Per imparare la segmentazione fonemica deve
avere una padronanza di tutti i fonemi da almeno 2 anni. I bambini che parlano
correttamente a 3 anni, a 5 possono fare questo compito.

Somministriamo dei compiti di consapevolezza metafonologica.


Una scarsa efficienza nei compiti che richiedono di operare mentalmente i fonemi delle
parole.

Somministriamo il CMF
I punteggi bassi risultano in: sintesi fonemica e segmentazione fonemica.
Quindi la memoria BTF e di lavoro.

RipNP: ripetizione di non parole (test).


Valuta il raffreddamento del sistema fonologico. Richiede capacità di magazzino fonologico.
presuppone capacità di discriminazione uditiva. Il bambino ascolta la non parola e deve ripeterla. G.
in questa prova ha un punteggio grezzo di 21 (media: 31.1; ds: 2.9). Punto z: -3.4
Ci chiediamo, è un deficit di memoria o di attenzione?

Faccio quindi la prova di attenzione uditiva (selettiva e sostenuta).


Il bambino ogni volta che sente rosso deve toccare rosso. Poi diventa sempre più difficile.
A questa prova G. presenta questi risultati: corretto e rapido. Escludo così l’ipotesi di deficit
dell’attenzione.

Denominazione rapida automatizzata (RAN): capacità implicata nei compiti che richiedono al
bambino di dire il nome di stimoli presentati visivamente. Nelle fasi avanzata: il RAN è legato al
recupero veloce delle rappresentazioni fonologiche di parole intere (recuperare etichette).
Ciò che predice non è la velocità, ma il tempo che intercorre tra la denominazione di uno stimolo e
l’altro. Perché? Pause più lunghe potrebbero indicare un più lento accesso lessicale.
G. ha una difficoltà ad automatizzare l’uso ripetuto di etichette morfologiche: prestazione
deficitaria.
Il RAN diventa un predittore in III primaria, verso la fine della II. Quando c’è il passaggio dalla
lettura sublessicale alla lettura lessicale, quest’ultima consente al bambino di fare un’analisi delle
lettere che compongono la parola, non più in serie ma in parallelo (affinché si velocizzi la lettura).
Modello a due vie: modello della lettura esperta.

VERSO UNA SPIEGAZIONE DELLE DIFFICOLTÀ DI G.


- Il deficit di MBTF – memoria breve termine fonologica (come mostra il test RpNp- prova
di ripetizione delle parole) sembra alimentare sia la difficoltà nella sintesi fonemica, sia la
difficoltà nella segmentazione fonemica. Attenzione all’ortografia opaca degli altri paesi:
alcuni modelli non si adattano ai bambini italiani. La nostra è una lingua ad ortografia
trasparente.
- A loro volta questi due deficit (sintesi e segmentazione) incidono negativamente sui
processi di lettura e scrittura.
- La rapidità della lettura fonologica dipende infatti dalla facilità di assemblare fonemi e
sillabe; la scrittura richiede sia una capacità di tenere in memoria la forma fonologica della
parola che si intende scrivere, sia una capacità di analizzare i fonemi che la compongono per
poi applicare le regole di conversione fonema-grafema.
- Nel caso di G. ambedue questi processi di assemblaggio fonemico e di segmentazione sono
poco efficienti come abbiamo visto nel test CMF.
- La prestazione alla prova di RAN indica che c’è anche un ostacolo nel formarsi di
memoria ortografico-lessicali: lo stabilirsi di associazioni stimolo visivo-etichetta
fonologica non si automatizza facilmente, o per una lentezza dell’accesso all’etichetta
fonologica o perché la risposta che utilizza quest’associazione continua a richiedere risorse
attentive centrali (piuttosto che svolgersi in modo automatico). Forse dislessia: dislessia
lieve. Così si può provare a dare un’etichetta.

COSA ABBIAMO FATTO: SINTESI TAPPE – pratica di valutazione


- Misurazione dei sintomi
- oggettivare la difficoltà
- sulla base del modello e del modello evolutivo della lettura abbiamo capito perché c’è stato
un deficit (la natura dell’essenza della difficoltà)
- capire fattori che hanno impedito a questo bambino uno sviluppo tipico della lettura
(difficoltà di segmentazione, analisi e sintesi fonemica…)
La pratica di valutazione è diversa da bambino a bambino  valutazione orientata in senso
neuropsicologico (cerca di eliminare le ipotesi con i test, attraverso un metodo ipotetico-deduttivo
trova una conclusione che sia basata su dei modelli teorici fondati).
Disturbo di G.: pregresso disturbo fonologico espressivo.

G. racconta alla psicologa (P) che lui non sa leggere bene e aggiunge
G: non capisco bene quello che leggo.
P: forse perché quando leggi tutta l’attenzione la metti nel riconoscere le parole e così alla fine
ricordi poco quello che hai letto.
G: però quello che mi dispiace di più è che i compagni mi prendono in giro, perché leggo come un
bambino piccolo.
P: e tu cosa pensi?
G: penso che abbiano ragione
Modelli teorici che orientano lo psicologo nella valutazione dello sviluppo cognitivo.
Dalla Neuropsicologia dell’adulto alla Neuropsicologia cognitiva dello sviluppo. Il
Neocostruttivismo. La riconciliazione tra il costruttivismo piagetiano e l’approccio innatista-
modulare. Il contributo delle Neuroscienze cognitive dello sviluppo.

Domanda: Il cervello (a livello di struttura biologica) di un individuo alfabetizzato è uguale al


cervello di un individuo analfabeta? No, non sono uguali. Cosa li differenzia: quando si implementa
la via lessicale (che consente di recuperare dalla mente da un magazzino che si chiama lessico
fonologico degli imput), entra in gioco un’area del cervello dell’emisfero sinistro (tra il lobo
temporale e occipitale). I neuroni di quell’area non sono deputati al riconoscimento in parallelo
delle lettere, ma al riconoscimento di oggetti (case, uffici, volti).
Si chiama area visiva delle parole: il riconoscimento dei volti si sposta, dopo gli stimoli delle scritte,
nell’emisfero destro. Dimostrazione del fatto che l’ambiente influisce a livello di struttura
funzionale, sulla struttura cerebrale. L’interazione tra la genetica e l’ambiente poggia su delle
evidenze empiriche. Un tempo la direzione era uni-direzionale, la concezione alla base degli studi
delle neuroscienze cognitive e al neurocostruttivismo, ad oggi, è che vi sia un rapporto bi-
direzionale (tra genetica e ambiente) ed una concezione non predeterminata ma probabilistica.

EMOZIONI
Processi innescati da S (trigger) interni o esterni
- Percepite come positive o negative o neutre
- Differenziabili su una scala: valenza
- Durata temporale limitata (non confondiamo le emozioni con gli stati d’animo o con i
sentimenti)
- Innesco veloce
- Difficoltà a modificare il decorso una volta innescate

Modello modale – Modal Model of Emotion


Le due “vie” della produzione di emozioni (Le Doux):
Stimolo trigger  attenzione  appraisal: valutazione  risposta
(l’adulto chiede a G di fare un esercizio di lettura  scatta una reazione automatica: lettura =
vergogna e rabbia. Fonte: Gross e Thompson (2007) modificata.

Quali obiettivi per l’intervento?


Trattamento neuropsicologico: è soltanto un aspetto della presa in carico. Quando parlo di
trattamento parlo di uno psicologo che fa trattamenti riabilitativi (per esempio).

Priorità per l’intervento


Obiettivi Obiettivi specifici /attività
Velocizzare la lettura - rendere rapido il processo di fusione
fonemica: ascoltare una sequenza di
fonemi e decidere se la stringa scritta cl
computer è corretta o no
- favorire la costruzione di memorie
ortografico-lessicali con una
presentazione tachistoscopica di parole
(software) per aiutare G. a elaborare
velocemente e in parallelo le
caratteristiche visive delle lettere
usando così una procedura lessicale
piuttosto che fonologica (sublessicale)
di lettura.
Migliorare la correttezza in scrittura - potenziando la segmentazione
fonemica e il monitoraggio dell’errore
(metacognizione)
- potenziare la MBTF (memoria a breve
termine fonologica) e di lavoro (nello
specifico quella verbale e non quella
visuo-spaziale).
Rafforzare il gusto di esplorare e di fare ipotesi - raccontare, condividere (anche
senza paura di essere valutato emozioni negative) per contribuire a
una maggiore sicurezza emotiva
- lavorare per creare una relazione
sicura tra bambino e adulto (capacità di
mentalizzare le emozioni di G. e di
mitigarle).
- Valorizzare i punti di forza con attività
che permettono a G. di utilizzarli
- Fare “circolare” pensieri che possono
operare per l’accettazione di sé stesso:
sentire di saper ristabilire un equilibrio
come fonte di sicurezza e di
integrazione di sé.

Tachistoscopio: strumento che permette la presentazione rapida e temporizzata di sillabe, parole e


brani.
Attraverso l’impostazione dei parametri si possono predisporre tempi di esposizione sempre più
brevi allenando la procedura di lettura lessicale. si basa sull’idea che tempi più lunghi di
esposizione permettono la lettura mediante la procedura sublessicale mentre al di sotto di
determinate soglie è possibile solo l’utilizzo della procedura lessicale.

LETTURA
La difficoltà con la lettura può creare una reazione di allontanamento dalla lettura. Per G. è
importante prendersi cura del suo rapporto con il leggere (ricostruire una motivazione,
l’automatizzazione è raggiungibile con la lettura, tutta via questa non è sempre possibile in ogni
caso di dislessia). Per alcuni bambini infatti questo rapporto può deteriorarsi, si viene a perdere il
piacere di leggere, piacere che deve essere ridato e stimolato dai professionisti.

Una persona capace di regolare le emozioni sa:


- modulare l’insorgenza delle emozioni (creare condizioni per provare emozioni +, quindi
positive)
- modulare la qualità delle emozioni (negativa in neutra)
- modulare l’intensità delle emozioni (- dolore mentale)
- modulare la durata delle emozioni negative (+ circoscritte nel tempo)
Lavori sul versante emotivo. Questo intervento non è scisso dall’intervento cognitivo: mentre faccio
il trattamento neuropsicologico, devo avere cura di questo.

REGOLAZIONE DELLE EMOZIONI


Azioni regolatorie:
o focalizzate sull’antecedente:
- selezione della situazione (stimolo trigger)
- cambiamento della situazione (stimolo trigger)
- allocazione dislocazione dell’attenzione (attenzione)
- rivalutazione cognitiva (appraisal)
o focalizzate sulla risposta
- Modulazione della risposta (risposta)

Regolazioni anticipatorie (prime due) e regolazioni contestuali.

Emergono vergogna e rabbia. Pensieri come “ce la faccio” inducono una mitigazione di vergogna e
rabbia e quindi in risposta: un maggior controllo sulle risposte emotive.

Nella valutazione neuropsicologica:


Non spezzettare il bambino in tante funzioni. Un bambino “intero”. L’importanza di creare una
relazione fiducia. La fiducia si crea dall’esperienza che il bambino fa di venire compreso
dall’adulto: se abbiamo saputo mitigare le emozioni negative che il bambino può provare facendo
un test, se abbiamo saputo infondere coraggio, se abbiamo apprezzato lo sforzo, se abbiamo
rispettato un bisogno di pausa o di riposo, se si è creato uno spazio per lo scherzo, se abbiamo
tenuto in considerazione il diritto del bambino di capire perché gli stiamo chiedendo di fare un certo
compito, allora è molto probabile che si crei una relazione di fiducia.

Nella riabilitazione cognitiva e neuropsicologia


Immaginiamo una madre che tiene in braccio un bambino piccolo: “Se voi avete la testa e il corpo
di un bambino nelle vostre mani senza pensare in termini di unità, e prendete un fazzoletto o
qualsiasi altra cosa, allora la testa del bambino cade all’indietro, e il bambino si trova scisso in
due parti, la testa e il corpo” (Winnicott)
- Nel progettare e realizzare interventi di riabilitazione: pensiamo al bambino nella sua
unità (come nella valutazione)
- L’ambiente che creiamo per lui dovrebbe aiutarlo nel fare e nell’apprendere, ma anche
nel sentirsi intero e vivo come essere umano
- Quando l’intervento è efficace, la mente del bambino non rimane penzoloni sul vuoto. Si
è creato spazio per il pensiero. Questo fa pensare al bambino di esistere e di essere al
mondo con tutto sé stesso.

Che cosa ci ha insegnato G?


- evitare un modo di pensare riduttivo
- “se ci sono difficoltà emotive, sono quelle che spiegano le difficoltà con gli
apprendimenti”
Un modo di concettualizzare lo sviluppo umano come un’interazione tra diverse componenti
(cognitive ed emotive) suggerisce che processi cognitivi ed emotivi si possono armonizzare
e rafforzare a vicenda. Se un bambino ha sintomi di dislessia non basta lavorare sulle
emozioni, ma non si può non lavorare anche su queste.

In un’ottica evolutiva
- un bambino di 8 anni e 10 mesi con scarsa fluidità nella lettura, senza problemi di natura
intellettiva (QI nella forma).
- con questo quadro sintomatologico è molto probabile che al bambino che venga
diagnosticato un disturbo dell’apprendimento (DA).
- La valutazione neuropsicologica ricerca ritardi/atipie (nel linguaggio e in altre funzioni
cognitive con la MTBF e di lavoro) in una fase più precoce;
- Ricerca la “deviazione” dal percorso tipico in un momento precedente (nel quale
sarebbe stato possibile fornire dei supporti per ri-orientare il decorso atipico).
- In un’ottica evolutiva, l’approccio NP esplora come si è formato quel disturbo (profilo,
fattori di protezione di rischio) e come evolverà con una sinergia di interventi).

Ma come parlare della diagnosi?


- Qual è il linguaggio appropriato per comunicare ad una persona, alla sua famiglia, una
diagnosi?
G. è prima di tutto G.
- La categoria diagnostica, come ad esempio Dislessia, è il linguaggio tecnico con cui
comunicare nella comunità di operatori (neuropsichiatri infantili, psicologi). Anche i
genitori devono esserne a conoscenza.
- Subito dopo, il linguaggio con cui comunicare alla persona in difficoltà e alla sua famiglia
dovrebbe facilitare una piena comprensione dei punti di fragilità, dei punti di forza, e delle
potenzialità evolutive.
- Dunque dovrebbe essere una descrizione.
- Nessuna persona può sentirsi bene quando il proprio essere viene identificato e racchiuso in
un’etichetta.

CARATTERISTICA
Usare il termine di Caratteristica (Difference) del funzionamento cognitivo:
G. è un bambino aperto, nonostante alcune iniziali titubanze, nello stabilire nuove relazioni sociali e
consapevole di avere alcune difficoltà linguistiche., ha una forte sofferenza ogni volta che
percepisce di non eseguire bene un compito. Nel dominio visuo-spaziale il ragionamento e la
memoria sono punti di forza. Le difficoltà nella lettura compromettono invece una buona
comprensione di testi scritti, alcune difficoltà nelle funzioni esecutive e nella memoria di lavoro non
supportano efficacemente la decodifica…

NPS ad orientamento cognitivo dispone di modelli che spiegano il funzionamento della mente e le capacità
mentali (es. un modello che spiega il processo di lettura è il modello a 2 vie). Le capacità mentali sono
studiate attraverso i processi utilizzati per elaborare l’informazione. Essa dispone di modelli che possono
essere verificati (scientificamente) /falsificati attraverso procedure sperimentali (processo di ricerca,
sottoporre al vaglio critico le ipotesi).
Le ricerche consentono di verificare l’effettiva utilità pratica/clinica/diagnostica/riabilitativa, del modello
cognitivo alla base del disturbo (es. disturbo spettro autismo, ci sono vari modelli, come quello della teoria
della mente, o funzioni esecutive, o coerenza centrale debole ecc.; le ricerche consentono di verificare
l’effettiva utilità pratica di tali modelli lavorare con bambino con disturbo spettro autismo senza disabilità
intellettiva, con importante caduta cognizione sociale, applico protocollo basato su evidenza per potenziare
capacità/abilità, per cui le ricerche consentono di identificare l’utilità pratica, in genere sono le meta-analisi
che ci permettono di individuare la strategia migliore e più efficacia).
La valutazione permette di verificare le componenti del modello adottato (es modello a 2 vie, verificare
procedure lettura sub lessicale e lessicale) in rapporto allo sviluppo del bambino (modello evolutivo della
lettura).
Fin dalla sua nascita la neuropsicologia dello sviluppo è stata fortemente influenzata dalla neuropsicologia
cognitiva adulta. Gli studiosi hanno iniziato a osservare i bambini con disturbi e difficoltà cognitive di varia
natura ed eziologia più o meno nota, utilizzando la prospettiva teorica e i metodi già adottati nel campo dello
studio degli adulti. Ma i ricercatori interessati allo studio dei disturbi evolutivi si trovavano davanti a una
serie di fatti empirici, per la spiegazione dei quali i modelli adulti apparivano inappropriati. (modelli
utilizzati trasferiti da adulti a sviluppo erano inappropriati) esistono difficoltà nell’applicare l’approccio della
neuropsicologia ad un sistema cognitivo in via di sviluppo (per la neuroplasticità e la formazione del
cervello, adulti danni alla corteccia ed emisferi intreccio tra corticali e sottocorticali…)

NEUROPSICOLOGIA COGNITIVA DELL’ADULTO


Studia sistemi cognitivi semplificati che, a causa della lesione, presentano delle alterazioni selettive:
spiega i pattern di prestazione alterate e preservate di una o più componenti del funzionamento
cognitivo, conseguente a lesioni/ disfunzioni cerebrali.
Ad esempio dopo un ictus si somministra una prova di lettura di parole e di non parole, per
verificare l’efficienza della procedura sublessicale di lettura. Danno funzionale al sistema di lettura.
Primo paziente Secondo paziente
Legge accuratamente Legge con errori le
le parole parole
Legge con errori le Legge accuratamente
non parole le non parole

Le parole e le non parole si utilizzano due metodi diversi sublessicale segmentazione dei grafemi
e la via lessicale riconoscere la forma ortografica delle parole e accedere al suono delle parole.
Un paziente ha alterata la procedura sublessicale e ha preservato la lettura, l’altro ha alterata la
procedura lessicale.
Doppia dissociazione Due pazienti (p1 e p2) e abbiamo due compiti (A e B) lettura di parole e di
non parole. P1 la capacità alla base del compito A è funzionale mentre nel compito B è deficitaria, il
contrario per il P2.
La doppia dissociazione è importanti in quanto indica l’indice genuino di modularità, quando trovo
una doppia dissociazione posso dire che i compiti A e B sono due diverse capacità.
La neuropsicologia cognitiva, parte da una lesione e tra inferenze sui processi cognitivi normali,
arriva a definire l’architettura di una funzione. Per fare questo opera su alcuni assunti:
1. Modularità: i processi mentali sono articolati in componenti distinti o moduli (NPS classica,
Approccio HIP)
2. Corrispondenza: esiste una relazione tra l’organizzazione funzionale della mente e quella
neurologia del cervello
3. Costanza: dopo una lesione cerebrale la struttura anatomo-funzionale dei processi mentali
non si riorganizza in modo da risultare qualitativamente diversa da quella esistente prima
della lesione la lesione non determina una completa alterazione o riorganizzazione dei
processi cognitivi ma sottrae cioè rende non più funzionale alcuni componenti (moduli) del
sistema.

Presupposti teorico-metodologici della valutazione Neuropsicologia (VNP)


Si basa sull’assunto della funzionalità delle funzioni: le funzioni cognitive sono isolabili, ma non
isolate. Nella valutazione tali funzioni vengono scomposte sulla base di modelli teorici nelle loro
componenti e analizzate.
La VNP si basa su due coordinate la coordinata strutturale (architettura, le componenti e
sottocomponenti, della funzione x. Es. la memoria di lavoro, ci consente di mantenere in memoria
per un tempo breve un’informazione, verbale o visuo-spaziale, per tutto il tempo che è necessario
ad elaborarla. dal modello tripartito al modello quadripartito, il ciclo fonologico è formato da due
sottocomponenti strutturali: magazzino fonologico e reiterazione. Hanno due funzioni diverse, la
prima passiva, mantiene per un breve periodo di tempo l’info, 2-3 sec, poi se non viene ripassato
dalla reiterazione che è il meccanismo funzionale attivo, l’info va incontro all’oblio e viene persa.
La seconda sottocomponente è il taccuino visuo-spaziale, la terza sono gli episodi Buffer, infine
l’esecutivo centrale, controlla il lavoro dei tre servosistemi.)
La seconda coordinata coordinata evolutiva (i cambiamenti cioè lo sviluppo delle funzioni x ES.
nella memoria di lavoro le varie componenti e sottocomponenti si sviluppano insieme?)
Per valutarla:
 Span: da 3 item, a 4 anni, da 6 item, a 10-12 anni.
 Décalag: il magazzino è presente più precocemente (2-3 anni), mentre la ripetizione sub-
vocalica emergerebbe soltanto più tardi, verso i 7 anni.
Valutazione neuropsicologica è un processo simile ad una ricerca che si snoda in base a due
coordinate: strutturale e formativa. Formula ipotesi sul funzionamento del bambino e le verifica (le
falsifica) attraverso strumenti di misurazione. nella mente di un individuo adulto un componente è
danneggiato mentre gli altri sono preservati perché si tratta di competenze distinte dipendenti da
vari moduli. Diverso è in una mente che si sta sviluppando per cui questo modello di funzionamento
è problematico.
Quando si valuta un bambino bisogna porci delle domande:
 Il bambino presente un ritardo significativo nella funzione x?
 Qual è il profilo interno?
 Quali sono i punti di forza e i punti di debolezza?
 Quali strategie ha messo in atto il bambino per compensare il problema?
 Quali ripercussioni e conseguenze ha il deficit su altre funzioni?
 Quali conseguenze sull’acquisizione di altre competenze?
MODELLO DEL PERCORSO DIAGNOSTICO DEI DISTURBI EVOLUTIVI
Percorso di identificazione diagnostica

1. Raccolta delle informazioni anamnestiche per un primo orientamento diagnostico


È uno spazio psicologico che si definisce dal momento in cui arriva la richiesta fino alla fase di
raccolta delle informazioni anamnestiche. Gli obiettivi principali  chiarire i motivi della
consulenza richiesta così da comprendere in che direzione iniziare a orientare l’apprendimento
anamnestico.
2. Ipotesi diagnostiche
Durante la conduzione del colloquio clinico, con le relative domande, e la raccolta delle principali
fasi evolutive del bambino allo stato attuale iniziano a prendere forma le ipotesi diagnostiche.
Queste possono essere approfondite attraverso delle specifiche domande. Per ogni disturbo, quindi,
si dovrebbe prevedere una parte iniziale comune di domande e una parte specifica orientata delle
ipotesi. Inoltre, le domande che verranno poste dovranno essere mutualmente escludenti ovvero
una specifica domanda clinica dovrebbe escludere un tipo di disturbo e aprire le porte ad un altro. Si
tratta quindi di adottare la logica del modus tollens (se A allora B; se B è falso allora anche A sarà
falso).
3. Dal colloquio clinico ai test
3.1 Il colloquio e l’osservazione clinica
Il colloquio clinico viene inteso come una tecnica utilizzata per raccogliere informazioni a fini
diagnostici. È utile rintracciare, dati oggettivi e informazioni utili a definire lo stato del soggetto.
L’osservazione clinica ci permette di ricavare informazioni cliniche attraverso altri canali. Possiamo
raccogliere tali informazioni sia tramite l’osservazione diretta, sia attraverso l’uso di questionari,
schede di osservazione o self-report.
3.2 I test diagnostici
È la fase di misurazione oggettiva di specifiche ipotesi. I test hanno lo scopo di verificare o
falsificare ipotesi precedentemente pensate. È fondamentale che il clinico conosca i limiti e i pregi e
soprattutto non cerchi di utilizzar più test per valutare lo stesso quesito.
L’obiettivo principale è quello di ottenere il migliore inquadramento del disturbo e comprendere il
funzionamento nei vari contesti di vita.
È possibile praticare l’induzione eliminativa  rivedere sul piano pratico tutte le ipotesi e scegliere
quelle coerenti con i dati anamnestici, osservazione, colloquio clinico e risultati delle prove
strumentali.
4. Riduzione delle ipotesi diagnostiche
A partire dalle ipotesi diagnostiche iniziali e attraverso l’induzione eliminativa, la riduzione delle
ipotesi ci permette di avvalorare una sola ipotesi, così da confermarla. In questo modo sarà possibile
individuare la presenza di eventuali problemi di natura secondaria, identificando quelli che
determinano il disturbo. Questo ci permette di avere una diagnosi di primo livello  diagnosi
categoriale (riferimento ai manuali diagnostici).
5. Sintesi diagnostica
Prima di tutto è bene indicare la categoria nosografica (studio descrittivo) a cui appartiene il
disturbo (diagnosi di 1° livello), successivamente bisogna porre l’attenzione sul livello del
funzionamento neuropsicologico e/o psicologico del disturbo, allo scopo di indentificare le ricadute
sul piano del funzionamento adattivo (diagnosi di 2°livello), individuare quindi il locus funzionale
del deficit.
IL MODELLO DEL PERCORSO DIAGNOSTICO APPLICATI AL SINGOLO CASO
Nello studio del caso singolo è necessario tenere presenti sia i modelli di funzionamento
normotipico sia quelli che aiutano a interpretare il disturbo. In questo modo sarà possibile verificare
le prestazioni del soggetto. L’obiettivo è infatti quello di identificare il locus del danno funzionale.
La richiesta di consulenza
La richiesta solitamente arriva dalla famiglia e, a volte, su esplicita indicazione della scuola.
Rappresenta il momento iniziale che indirizza alla raccolta dei dati di rilievo per la definizione del
percorso diagnostico. In tale fase è importante raccogliere anche la percezione che i genitori hanno
del problema.
Durante il primo approccio con il genitore, che può avvenire anche al telefono, è bene raccogliere le
seguenti info:
 In quale area il figlio mostra difficoltà?
 Qual è il problema principale?
Percorso diagnostico
1. Identificazione del problema
Questa prima fase consiste nel capire il problema attuale dal punto di vista dell’osservazione del
genitore, dell’alunno e degli insegnanti e, soprattutto, capire attraverso la raccolta di dati
anamnestici, se durante il superamento delle principali fasi di sviluppo è possibile rintracciare
ritardi/difficoltà/ problematiche nell’acquisizione della competenza, che abbiano una relazione con
il problema attuale.
Raccolta delle informazioni anamnestiche al fine di un primo orientamento diagnostico.
1.1 La raccolta delle informazioni anamnestiche: trend evolutivi nel percorso diagnostico
La storia dello sviluppo di particolari comportamenti o reazioni attuali e/o pregresse hanno un ruolo
fondamentale nel percorso diagnostico dei disturbi evolutivi. La diagnosi dei disturbi evolutivi deve
tener presente che di fronte si ha un soggetto che, può evidenziare dei rallentamenti
nell’acquisizione di alcune abilità che invece troviamo acquisite, anche se in ritardo, in epoca
successiva. Si può evidenziare il rischio di limitare il processo diagnostico all’individuazione di
circoscritte etichette diagnostiche, può indurre il clinico all’errore. Ragionare per domini di
competenze come dimensioni dello sviluppo (aree generali: linguaggio, memoria, abilità
cognitive..) può risultare più efficace.
1.2 Intervista clinico/anamnestica: raccolta degli indici di sviluppo
La raccolta degli indici clinici proposti nella diagnosi si base su alcune precise premesse:
 L’osservazione dello sviluppo ruolo fondamentale della raccolta anamnestica di tutti gli
indici relativi alle tappe di sviluppo o alla comparsa di articolari sintomi, che costituiscono
la storia evolutiva del soggetto. Il colloquio clinico/anamnestico assume un ruolo importante
nell’elaborazione delle ipotesi circa le problematiche rilevanti.
 Indici di sviluppo estratti sulla base delle evidenze scientifiche identificare tutte le
informazioni sui fattori di rischio e sull’acquisizione delle principali tappe evolutive. Questa
operazione dovrebbe contribuire a ridurre le discrepanze diagnostiche tra i diversi
professionisti.
 Correlazione tra indici clinici e ipotesi diagnostiche i percorsi diagnostici si sviluppano
attraverso un albero decisionale, partendo dalla presenza di determinati segni clinici raccolti
in anamnesi, si arriva a delle ipotesi circa la presenza di uno o più disturbi dello sviluppo.
Per ogni ipotesi diagnostica troviamo gli indici clinici, la cui presenza suggerisce un chiaro
approfondimento in fase valutativa.
 Scelta ragionata dei test strumentali scegliere in modo accurato le prove da somministrare
alla luce delle ipotesi formulate.
 Carattere dimensionale della diagnosi la raccolta dei dati clinico/anamnestici,
l’osservazione, il colloquio clinico e le prove strumentali dovrebbero aiutare a definire il
profilo diagnostico funzionale. Attraverso questi è possibile comprendere se l’evoluzione
dell’abilità presenta un andamento normotipico, rallentato o deficitario e di comprendere
meglio, all’interno della dimensione dello sviluppo, dove si colloca il soggetto.
 Interventi personalizzati indicare quali interventi sono più appropriati, la loro intensità e
per quanto tempo dovrebbero essere perseguiti. L’obiettivo di tale operazione è quello di
potenziare le abilità che non si sviluppano come atteso e supportare lo sviluppo del soggetto
in tutti quei settori che solo secondariamente rientrano nei deficit accertati.
Le interviste per la raccolta degli indici clinici in anamnesi hanno lo scopo di :
 Orientare il professionista nella raccolta delle informazioni
 Individuare precisi indici clinici all’interno di varie ipotesi diagnostiche
 Accompagnare il giudizio clinico verso la scelta delle ipotesi diagnostiche da verificare
 Guidare il ragionamento diagnostico

1.3 La struttura delle interviste


Alcune domande possono essere comuni a più disturbi dello sviluppo. L’uso delle domande
anamnestiche deve essere flessibile e deve prevedere il passaggio da un’ipotesi a un’altra.
L’intervista per la raccolta dei dati clinico/anamnestici sono articolate in domande in base ad ogni
disturbo. Per quanto riguarda l’approfondimento clinico di eventuali altri disturbi in comorbidità vi
sono domande finalizzate ad indagare i disturbi internalizzati e quelli esternalizzati.

1.4 Come utilizzare le interviste


L’incontro nel quale si propone l’intervista clinica va condotto con sensibilità, esplicitando che la
ricerca ha lo scopo di verificare la presenza di fattori di rischio nella storia del bambino. A questo
scopo è importante costruire un clima di fiducia e di collaborazione con le persone che
accompagnano il bambino in consulenza. In questa fase sono presenti i genitori e a volte anche il
bambino.
Tutte le domande hanno risposta dicotomica: si/no. Le risposte affermative corrispondono alla
presenza di un campanello d’allarme. In tutte le domande vi è comunque la possibilità di rispondere
aggiungendo anche delle proprie osservazioni.
2. Formulazione di ipotesi
La seconda fase sta nel formulare le ipotesi in grado di individuare una prima interpretazione del
problema segnalato. I dati raccolti nella prima fase vanno ora massi a confronto con la conoscenza
disponibile degli esiti che quel determinato problema potrebbe esercitare nello sviluppo. Vanno
individuati i domini dello sviluppo da approfondire attraverso specifici strumenti di indagine. Si
tratta di avvicinarsi all’individuazione del locus funzionale del danno. È importante saper
controllare due tipi di errori che si possono commettere nella conduzione dello studio:
 Interpretare a posteriori le prove impiegate nell’approfondimento, senza tener conto degli
indici di affidabilità e validità dei test. Questi indici denotano un certo margine d’errore che
è sempre presente (ESM= errore standard di misura).
 Confermare ciò che crediamo sia vero e tralasciare dati e osservazioni che non confermano
le ipotesi iniziali
Spazio per la formulazione di ipotesiLa formulazione diagnostica dovrebbe esprimersi alla
conclusione del percorso di primo livello. Quindi le ipotesi diagnostiche riguardano la riflessione
necessaria per l’individuazione del percorso più opportuno per comprendere le problematiche del
soggetto e il suo livello di adattamento all’ambiente.
È successivamente necessario recuperare un modello di riferimento in grado di interpretare il
disturbo. Dunque in questa fase ci occupiamo di capire cose includiamo e perché, cosa escludiamo e
perché, dal percorso diagnostico.
3. Valutazione delle ipotesi
È il momento più delicato che può condizionare l’esito della consultazione. In questa fase è
opportuno abituarsi a formulare in modo esplicito delle domande attraverso le quali esprimere i
passaggi che vorremmo cercare di approfondire. Bisogna indagare la presenza di una relazione tra i
dati anamnestici e il problema attuale. Successivamente dovranno essere indicati gli strumenti da
utilizzare nel percorso diagnostico. Se dovessero emergere anche altre difficoltà è opportuno
renderle esplicite ai diretti interessati (genitori/bambino).
Nella scelta delle prove strumentali è opportuno:
 Somministrare una serie di test senza seguire un percorso bene preciso
 Scegliere i test con riferimento a un chiaro modello teorico
 Adoperare prove che sia attendibili e valide
 Utilizzare il principio di economicità nell’uso dei test: utilizzare solo i test che conosciamo
come rilevanti per quella specifica problematica, così da evitare di sovraccaricare il
soggetto.
Tale fase ha un duplice scopo:
- Verificare la reale presenza del disturbo
- Darci tutte le informazioni in merito alla strutturazione di un adeguato progetto d’intervento.

3.1 Il colloquio clinico


Il colloquio e la valutazione clinica del bambino devo essere sempre preparati con i genitori. È
importante che al bambino si comunichino in maniera esplicita, in base all’età, il motivo per il quale
i genitori hanno accettato di condurlo da uno specialista.
Con un bambino in età scolare è importante spiegare ai genitori come avviene la visita, illustrando
ciò che sarà richiesto al bambino. Nel caso di un pre-adolescente/adolescente, sarà il clinico stesso
ad illustrare al ragazzo gli scopi della visita e la sua procedura.
Il colloquio e l’osservazione clinica rappresentano un momento delicato perché si basano quasi
esclusivamente sulla sensibilità e sulla preparazione del professionista. Le domande si devono
modellare sulle risposte date dal bambino. Il professionista deve registrare il comportamento con
tutta la ricchezza e la variabilità con cui si manifesta spontaneamente.
Indicazione su come condurre questa fase di consulenza:
 Stabilire un contatto con il bambino, anche attraverso precise domande (es. sai perché i tuoi
genitori ti hanno accompagnato qui?). Si deve porre l’attenzione sul modo con cui il
bambino espone il problema, quindi raccogliere informazioni sulla conoscenza e percezione
che il soggetto ha del proprio problema.
 Prestare attenzione all’orientamento dello sguardo del bambino, alla capacità di adattamento
al nuovo contesto, alle modalità di comportamento
 Registrare i contenuti del colloquio (sono tipici dell’età?)
 Registrare l’organizzazione e struttura delle frasi
 Offrire al bambino informazioni circa il percorso diagnostico e i possibili aiuti che possono
derivare dalla consulenza.
Per quanto riguarda l’osservazione clinica prestare attenzione a:
 Aspetto e caratteristiche fisiche del bambino
 Mimica facciale
 Movimenti del corpo e postura durante la visita
 Tono di voce

3.2 L’osservazione del bambino


L’osservazione inizia quando il bambino giunge in consulenza e termina quando esce dallo studio
del professionista. In questa fase è necessario considerare variabili di tipo affettivo, relazionale e
cognitivo al fine di discriminare se i comportamenti disfunzionali manifestati dal soggetto rientrano
effettivamente in un disturbo oppure sono l’espressione della variabilità evolutiva presente nella
maturazione psicologia del bambino.
L’osservazione clinica presenta le seguenti caratteristiche:
 Precisa nei particolari
 Completa nell’analisi delle variabili
 Ripetibile in differenti setting
 Descritta accuratamente
Durante l’osservazione è possibile commettere degli errori. Come orientare l’attenzione su specifici
comportamenti o errori determinati da interpretazioni che non lasciano spazio alla formulazione di
più ipotesi diagnostiche.
Bisogna tener presente che questa osservazione avviene in un contesto nuovo per il soggetto e i suoi
accompagnatori, per questo può essere utile distinguere le prime osservazioni da quelle successive,
ovvero dopo una familiarizzazione sia con l’ambiente che con il clinico.
3.3. Prove strumentali
Comprendono tutte le batterie per valutare le abilità cognitive e dell’apprendimento, ma anche
prove in grado di rilevare difficoltà emotivo-affettive, sociali ecc.
È bene indicare sia le prove utilizzate in relazione a un processo da valutare, sia a quale modello di
funzionamento cognitivo fanno riferimento.
Il clinico esperto è colui che somministra una determinata prova perché, in base alle sue ipotesi
diagnostiche, dovrebbe indicare la presenza o l’assenza di una cerca competenza. In tal senso le
prove strumentali diventano uno strumento per verificare o falsificare le ipotesi.
La verifica delle ipotesi avviene durante tutto il percorso dalla raccolta della scheda clinico
anamnestica, colloquio clinico, osservazione e test e termina con la riduzione delle ipotesi
considerate.
4. Riduzione delle ipotesi diagnostiche

4.1 Elaborazione dei risultati


È il momento in cui si traggono le conclusioni diagnostiche. Si tratta di effettuare una sintesi
coerente del lavoro svolto: raccolta anamnestica, colloquio, osservazione e attribuzione del
punteggio dei test. Grazie a questa è possibile produrre un report chiaro, coerente e puntuale di tutto
il percorso svolto sino a ora.
4.2 Evidenze da spiegare
Le evidenze da spiegare hanno lo scopo di mettere in relazione il fenomeno osservato con i modelli
teorici, i quali consentirebbero di inserire i sintomi clinici all’interno di un disturbo riconosciuti.
Questo è utile sia per dare un nome al fenomeno osservato, sia per capire la qualificazione
funzionale del problema, ovvero quali sono le abilità specifiche coinvolte nel disturbo e come si
manifestano le problematiche nel contesto di vita.
Una buona teoria dovrebbe, oltre a indicare i sintomi del disturbo, individuarne le cause. Per questo
con un chiaro modello teorico è possibile:
 Formulare e verificare le ipotesi
 Interpretare il disturbo alla luce del modello
 Prevedere una sua evoluzione
Questi tre punti sono essenziali nella pratica clinica perché ci permettono di ridurre al minimo gli
errori nel percorso diagnostico e perché ci forniscono la possibilità di ottimizzare i dati raccolti
(indicare con precisione l’intervento da attuare).
5. Sintesi diagnostica
L’ ultima fase della ricerca ci permetti di arrivare a identificare “di che cosa si tratta”, ovvero quali
sono le conclusioni diagnostiche cui siamo arrivati. Si tratta di conclusioni cui si è pervenuti
attraverso un percorso d’analisi e verifica delle evidenze osservate e che devono trovare conferma
anche nel contesto di vita quotidiana. Le conclusioni dovrebbero infatti trovare riscontro anche in
quanto riferito dai genitori.
5.1 La diagnosi
Nella sintesi diagnostica indichiamo con chiarezza e precisione la categoria nosografica a cui
appartiene il disturbo (diagnosi 1°livello). Si potrebbe riscontrare anche un quadro assimilabile in
termini di difficoltà, quindi non disturbo. Sia la diagnosi categoriale, sia l’evidenza di una difficoltà,
vanno indicate attraverso il ragionamento condotto all’interno del percorso diagnostico.
In fine per rispondere a due domande fondamentali “cosa ha il bambino?” e “come posso aiutarlo?”
è fondamentale costruire la diagnosi funzionale (diagnosi di 2°livello) e quindi individuare il locus
funzionale deficitario del soggetto, ovvero la componente specifica rispetto alla quale risulta poi
necessario scegliere le procedure necessarie al suo potenziamento e alla riabilitazione, stabilire
quindi in che direzione strutturare l’intervento.
5.2 Indicazioni per l’intervento
Bisogna indicare: tempi, strumenti e modalità d’intervento consigliati per ogni singola
problematica, in riferimento alla diagnosi funzionale. I trattamenti vanno sempre impostati in
relazione alla problematica specifica riscontrata.
Bisogna anche indicare, attraverso esempi, gli aiuti da dare al bambino nei sui tre spazi speciali:
casa, specialista, scuola.
DISTURBO DELLA COMUNICAZIONE O DEL LINGUAGGIO (DSL)
La diagnosi di Disturbo specifico del linguaggio interessa quei bambini che incontrano persistenti
difficoltà nell’acquisizione e nell’uso del linguaggio, mentre le capacità cognitive non verbali sono
conservate. Si tratta di disturbi la cui insorgenza si colloca nella prima o nella seconda infanzia.
Come primo indicatore viene segnalata la presenza di poche parole tra i 18-30 mesi e un
significativo ritardo nella combinazione di parole.
Lo sviluppo tipico del linguaggio e le sue componenti
Il linguaggio viene acquisito spontaneamente attraverso l’esposizione del bambino alla lingua
materna, per questo ci si dimentica che in realtà si tratta dell’acquisizione di diverse abilità tra loro
distinte in sottosistemi specializzati.
Il linguaggio è un sistema multicomponenziale che richiede uno sviluppo distinto da altre abilità
cognitive.
Il clinico deve tenere presente sia le singole componenti del linguaggio, sia l’uso che ne viene fatto.

I diversi sottosistemi del linguaggio:


 Sottosistema sonoro la capacità del bambino di acquisire un controllo “oro-motorio” per
pronunciare i suoni dalla lingua. Consiste nella componente fonetica della produzione
verbale e riguarda la capacità di percepire e produrre i suoni della lingua. Strettamente
connessa ed essa troviamo le abilità fonologiche, il bambino cioè deve imparare ad usare i
suoni a partire dalla loro funzione (comprendere che lana e rana contengono due suoni
distinti l/r). La componente fonologica si distingue in:
o Sottosistema segmentale: attribuire un significato diverso alle parole distinguendo un
particolare suono (lana-rana)
o Sottosistema soprasegmentale: tono utilizzato per produrre una parola
 Componente grammaticale della frase sistema di regole che consentono di costruire una
frase in modo coerente:
o Sintassi: diversi modi che si possono utilizzare per collegare le parole nella frase
o Morfologia: appartenenza delle parole a determinate categorie (verbo, nome…)
 Sottosistema semantico consente di comprendere il significato delle parole: definisce,
quindi, il vocabolario, il lessico e il modo in cui una parola viene categorizzata. Inoltre tale
sottosistema permette di acquisire la costruzione del significato di una frase, questo richiede
le conoscenze semantiche e quelle grammaticali.
 Componente pragmatica modo in cui si usa la comunicazione nel contesto (approfondita
dopo)
Tappe evolutive del linguaggio
Una volta escluso il problema neurosensoriale (percezione uditiva della parola), le problematiche di
altra natura non sembrano avere una relazione con i disturbi di linguaggio.
Il periodo critico per imparare la lingua materna si estende tra i 2 ai 13-14 anni, Durante questo
periodo la variabilità nell’acquisire la capacità di comprendere e produrre parole e frasi è molto
ampia. Il clinico dello sviluppo dovrebbe tenere presente che le abilità fonologiche hanno un
momento significativo si sviluppo verso i 9-10 mesi.
La componente lessicale- semantic del linguaggio si sviluppa dopo il compimento del primo anno di
vita e si estende fino ai 2 anni: il bambino può arrivare a comprendere fino a 60 parole. Verso i 18-
24 mesi il bambino comincia a combinare le parole in brevi frasi.
DSL e comorbidità
La comorbidità tra DSL e altri disturbi è elevata. Tra la dislessia (deficit fonologico) e la
comprensione è presenta una doppia dissociazione (Doppia dissociazioneindica l’indice genuino
di modularità: i compiti A e B sono due diverse capacità), ma età evolutiva tale dissociazione è
raro. Tuttavia è presente un modello triangolare formato dalla componente semantica, fonologica e
ortografica, dove due di questi sottosistemi provengono dall’acquisizione del linguaggio e uno dalla
lettura.
La presenza di DSL accanto a fattori di rischio familiari richiede un monitoraggio costante degli
apprendimenti del bambino.
È presenta anche una relazione tra DSL e problemi di comportamento generale, ad esempio con
disturbi internalizzanti ed esternalizzanti.
Il clinico dello sviluppo, quindi, deve essere consapevole della possibilità che il DSL si manifesti in
comorbidità con altre problematiche e che la prognosi sia meno favorevole per quei soggetti il cui
QI non verbale è basso.
Criteri diagnostici
Sono principalmente tre i criteri diagnostici di inclusione del disturbo espressi nel DSM-5:
 Persistente difficoltà nell’acquisizione e nell’uso del linguaggio che determina deficit nella
comprensione o produzione verbale
 Abilità di linguaggio non completamente acquisite, al di sotto ti quanto atteso per età
 Comparsa precoce di sintomi di ritardo dalle prime fasi di sviluppo
Per il sottotipo fonetico-fonologico viene indicata la presenza di difficoltà nella produzione del
suono delle parole, che impedisce la comunicazione di un messaggio verbale, questo causerebbe
limitazioni nella comunicazione che a loro volta limiterebbero la partecipazione sociale.
Tra i criteri di esclusione vi sono:
 Deficit uditivo
 Danno al sistema nervoso centrale
 Disabilità intellettiva
 Presenza del disturbo dello spettro autistico
Il DSL viene caratterizzato in modo più preciso da 3 sottogruppi: recettivo-espressivo, fonologico e
pragmatico. In base a questi ci sono tre fattori che caratterizzano i profili dei bambini con il disturbo
del linguaggio in modo distino:
1. Deficit delle competenze fonologiche e di articolazione della parola
2. Deficit in ambito semantico/sintattico
3. Deficit pragmatico
Quello che emerge è quindi che il DSL è un disturbo disomogeneo e che il profilo cognitivo-
linguistico del bambino può modificarsi nel tempo.
Descrizione delle caratteristiche del DSL proposta da Bishop per valutare:
 Il linguaggio nelle sue componenti lessicali, semantiche e sintattiche in entrata e in uscita.
 Il QI non verbale e le abilità non linguistiche di sviluppo che dovrebbero rientrare all’interno
di prestazioni normali.
 Le problematiche di linguaggio che non possono essere spiegate attraverso una perdita
uditiva
Alcune caratteristiche comuni nel DSL:
 Ritardo nell’iniziare a parlare
 Immaturità o distorsioni importanti nella produzione della parola
 Uso semplificato della morfosintassi
 Vocabolario ristretto
 Debole memoria a breve termine verbale
 Difficoltà nella comprensione quando chi parla pronuncia rapidamente le parole.

Valutazione del linguaggio:


- Esame strumentale dell’udito (che non facciamo noi)
- 1° livello raccolta campioni di linguaggio prime ipotesi sulle dissociazioni che
ci possono essere tra linguaggio e comunicazione (disturbo spettro autistico) e tra
linguaggio e pensiero (ritardo e disabilità). Assesment standardizzato: utile perché ci
permette di confrontare le prestazioni di un bambino con un campione di riferimento,
ma in parallelo è utile proporre attività di lettura. Se la prestazione è -2 deviazione
standard, bisogna passare ad un secondo livello e approfondire
- 2° livello dissociazione intra-linguistiche (pensare ai vari sottosistemi di
linguaggio Sotto-sistema fonologico, Sotto sistema morofosinattico, Sottosistema
semantico-lessicale) sotto a – 1,5 bisogna stabilire la natura del deficit del linguaggio
ormami accurata. Bisogna sperimentare tutti i sottosistemi linguistici, sia in
produzione che in comprensione. Non bisogna basarsi solo su 1 o 2 prove, perché il
problema può risiedere in altri sottosistemi.
Ritardo e atipia: sono delle anomalie che non si osservano nei bambini a sviluppo
tipico. Fanno parte delle atipie le anomie e le strategie conseguenti (latenze,
perifrasi).
Non vi sono misure in grado di isolare del tutto un sottosistema linguistico.
Strumento utile è l’albero decisionale di Bishop che valuta le competenze: fonologia, morfosintassi,
lessico e competenza pragmatica. E permette di comprendere il livello di comprensione verbale.
Il disordine pragmatico della comunicazione (DPC)
Disordine definito semantico-pragmatico per indicare un problema di comprensione del discorso, in
assenza di difficoltà nella produzione della parola, nella fluenza verbale, nel lessico (anche se il
vocabolario sempre atipico). Il bambino viene definito loquace, ma con deficit nella comprensione
delle connessioni verbali delle frasi e problemi nell’utilizzo delle regole della conversazione.
La pragmatica si riferisce alla capacità di utilizzare il linguaggio in modo pratico durante la
conversazione. Capacità di individuare l’idea centrale di una frase, di saper interpretare
correttamente l’informazione ascoltata e riconoscere cosa è opportuno dire in una determinata
situazione.
Il DSM-5 prevede i seguenti criteri:
A. Difficoltà nell’uso sociale della comunicazione verbale e non verbale
B. Deficit causano limitazioni all’efficacia della comunicazione
C. L’esordio dei sintomi avviene nel periodo precoce della comunicazione
L’aspetto più delicato è la distinzione tra il DPC e lo spettro autistico (il secondo presenza anche
pattern comportamentali ripetitivi)
Due dubbi: il DPC è una forma lieve dello spettro autistico? Il DPC è un disturbo che si caratterizza
per un disordine di natura diversa dall’autismo e può essere assimilato ad un sottotipo di DSL?
Secondo il DSM-5 l’ipotesi corretti è la seconda.
I bambini con disturbi pragmatico spesso possono mostrare anche:
 Lento sviluppo del linguaggio
 Discorso afasico
 Ripetizioni di parole
 Inversione nell’uso di pronomi
 Difficoltà nel seguire le conversazioni o i racconti
 Difficoltà ad estrarre i punti chiave di una conversazione
 Difficoltà nell’uso dei tempi verbali
 Difficoltà a spiegare o esprimere un tipo di evento
 Difficoltà nella comprensione della lettura
 Difficoltà nelle capacità organizzative
 Difficoltà nel mantenere rapporti di amicizia

DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO (DA)


Il DSM-5 sostituisce l’espressione disturbi pervasivi dello sviluppo con il termine Disturbo dello
spettro autistico eliminando la presenza dei differenti sottotipi della patologia. Con il termine
spettro si intende che la distribuzione della frequenza di un dato comportamento problematica varia
nel tempo nell’intensità della sua manifestazione. Questo comporta che all’interno delle dimensioni
del disturbo si racchiudono soggetti con caratteristiche cliniche eterogenee nella compromissione
sociale e nella presenza di comportamenti ripetitivi e di interessi ristretti. Il DSM-5 riconosce la
possibilità di rilevare i sintomi dai 12 mesi, nelle forme più severe, ai 2 anni.
Modelli di funzionamento
Teoria della mente: avere la capacità di attribuire a se stesse e gli altri stati mentali differenti per
spiegare e predire il comportamento e quindi di dare un’interpretazione coerente a ciò che accade.
Nel paziente autistico la teoria della mente è deficitaria quindi: non riesce in alcun modo a
riconoscere gli stati mentali, di rendersi conto del pensiero altrui e a capacitarsi di ciò che succede
attorno a lei. Le abilità che ci permettono di capire che ci sono interferenze nella teoria della mente
sono l’assenza un’attenzione condivisa, comunicazione intenzionale e la capacità di imitare.
Ricerca falsa credenza bambole Sally e Ann quest’ultima nasconde la biglia a Sally dopo che
Sally l’aveva messa in un determinato posto (permanenza dell’oggetto)
Deficit di coerenza centrale: fa riferimento a problematiche generali, ovvero insieme di abilità che
consentirebbero di cogliere la struttura complessiva di uno stimolo e le reazioni con il conteso.
L’attenzione selettiva e quella condivisa hanno un ruolo fondamentale. Questa teoria sembra trovare
una spiegazione per i comportamenti ripetitivi e le “isole di abilità”.
Deficit nelle funzioni esecutive: difficoltà nei sistemi responsabili del controllo e della
pianificazione del comportamento. Le funzioni esecutive consentono, quindi, di pianificare le azioni
volte l raggiungimento di uno scopo, tenendo presente il contesto (es. inibire una risposta o
posticiparla a un momento più appropriato, rappresentarsi un compito…). La comparsa delle prime
competenze delle funzioni esecutive avviene intorno ai 3 anni.
Neuroni specchio: i bambini con autismo riscontrano problemi a livello di comportamento
imitativo. Nel sistema dei neuroni specchio vi sarebbe un’anomala modulazione delle vie necessarie
alla comprensione di come comportarsi in un determinato conteso, una sorta di deficit nella
coerenza centrale.
Criteri diagnostici
DSM-5 identifica due ambiti dove ricercare i segni e i sintomi del disturbo (devono essere presenti
entrambi):
1. Deficit della comunicazione e interazione sociale
2. Presenza di attività stereotipate e interessi ristretti
Vengono descritti quattro sintomi, è richiesta la presenza di almeno due:
- Presenza di movimenti stereotipati o ripetitivi
- Aderenza inflessibile a routine non funzionali
- Interessi ristretti e fissi
- Iper o iporeattività a stimoli sensoriali o inusuali interessi ad aspetti sensoriali
dell’ambiente
Ogni dimensione deve essere poi specificata in relazione alla gravità. Sono presenti tre livelli:
1. Richiesta di assistenza problema sociale caratterizzato solo da un inizio difficile di
interazione. Il soggetto è capace di esprimersi e di rispondere, ma non riesce a sostenere una
conversazione
2. Richiesta di assistenza sostanziale deficit verbale e non verbale mercato, interazione
sociale limitata ad alcuni interessi, comportamenti ripetitivi/fissi interferiscono con i contesti
di vita
3. Richiesta di assistenza molto essenziale per i soggetti i cui deficit descritti sopra sono
molto severe.
Infine il percorso diagnostico deve precisare se il disturbo dello spettro autistico si accompagna a
disabilità intellettiva, disturbo del linguaggio, oppure altri disturbi del neurosviluppo.
Fare diagnosi di ASD con i criteri DSM-5 è complicato in quanto non ci sono sintomi
patognomonici un comportamento (da solo); assenza di comportamento (da solo); anomali nel
comportamento (da solo).
I comportamenti-target possono variare con l’età e il livello di funzionamento, le condizioni
ambientali e l’educazione.

Diagnosi di secondo livello (funzionale)


Formulazione e messa in partica di un preciso e finalizzato piano di intervento. Per fare questo
bisogna osservare delle specifiche aree:
Area delle reazioni comportamentali presenza di comportamenti particolari è uno degli elementi
da osservare. Si tratta di manifestazioni che possono essere penalizzanti non solo per la persona con
l’autismo, ma anche per i suoi familiari. Prima di definirlo comportamento problema però bisogna
definire se il comportamento anomalo danneggia, se è di ostacolo alla persona e se limita di molto
la sua immagine all’interno del contesto. Solo in questo caso possiamo definirlo comportamento
problema. Le stereotipie sono ripetitive e ossessive nei confronti di oggetti o parti del corpo con
funzione soprattutto di autostimolazione. È necessario osservare in modo sistematico la frequenza e,
soprattutto, ciò che precede la sua comparsa e le conseguenze che determina nell’ambiente.
Area dell’autonomia l’autonomia è la capacità dell’individuo di acquisire quelle competenze che
consentono di condurre una vita dignitosa e indipendente. Per valutare tale area bisogna suddividere
il concetto di autonomia in due sotto categorie: autonomi personale e autonomia sociale. La prima
intende la capacità di soddisfare i propri bisogni primari, mentre la seconda riguarda le abilità che
rendono l’individuo indipendente nel contesto in cui vive.
Area sensoriale l’informazione proveniente dagli organi sensoriali non viene identificata
correttamente o elaborata dalle persone autistiche. Per valutare ciò bisogna osservare se il è presente
un eccessivo fastidio allo stimolo oppure un eccessivo interesse e attaccamento alle attività che
producono quella particolare stimolazione. In entrambi i casi si può osservare la difficoltà di
distogliere l persona da quell’interesse anomalo.
Area della motricità può essere utile raccogliere informazioni sulla motricità in generale. Le
persone con autismo possono essere impacciate in attività come correre, saltare…Mentre sono
presenti le competenze di motricità fine come infilare le perline, costruire o smontare oggetti.
Area interpersonale difficoltà a gestire i rapporti interpersonali: restano passivi o fanno resistenza
agli abbracci, difficilmente mostrano interesse per gli altri. Il gioco simbolico è spesso assente.
Mancano tutti quei comportamenti sociali che solitamente si sviluppano in modo naturale nei
bambini. Il bambino con autismo non ha la capacità di porre attenzione condivisa, ovvero non
indica e non usa il contatto visivo per condividere qualcosa con un’altra persona, fatica a cogliere
emozioni e sentimenti piacevoli rispetto a un’attività e a un gioco. Difficoltà a interpretare e
comprendere le intenzioni altrui.
Comunicazione alcuni bambini autistici non parleranno mai, altri saranno i gradi di emettere
suoni e lallazioni in età precoce, ma potranno perdere tale abilità. Altri ancora potranno sviluppare
il linguaggio in forte ritardo rispetto allo sviluppo normale e sarà caratterizzato da ecolalie
(ripetizione stesse parole in una frase). Quasi sempre è presente anche un deficit di comprensione.
Anche la comunicazione non verbale presenta delle anomalie: non c’è la capacità di indicare, una
mimica facciale adeguata e un’adatta postura.
L’osservazione con l’ADOS 2
Test che si somministra quando si vuole indagare sull’autismo
Pattern di comportamento sociale nell’autismo:
 Distaccati
 Passivi
 Attivi ma strani
Sono nate delle domande da questi tre pattern:
 I confini tra i gruppi sono bene delineati?
 Gli individui appartenenti ad un pattern vi rimangono durante lo sviluppo o possono
migrare?
 Uno stesso individuo può essere descritto in base ai tre pattern in situazioni diversi?
 È ipotizzabile una prognosi differente? E rispetto agli interventi?
La diagnosi di disturbo dello spettro dell’autismo è una diagnosi clinica:
- Esame retrospettivo (anamnesi con l’ADI-R autism diagnostic interview)
- Osservazione diretta
Consiste nel rilevare un determinato numero di segni comportamentali che devono essere superiori
ad un valore minimo stabilito (DSM-5)
Fenotipo comportamentale: comportamenti direttamente osservabili
Endofenotipo funzionale: funzioni atipiche che sottendono quei comportamenti osservabili (del
fenotipo comportamentale)
Endofenotipo strutturale: strutture neurobiologiche che determinano la tipicità delle funzioni che
sottendono i comportamenti osservabili
Nell’ADOS2, si da vita ad un mondo sociale in cui osservare il bambino. È uno strumento
standardizzato e semi-strutturato per individui disturbo dello spettro autistico: comportamenti legati
a interazione/comunicazione, gioco/immaginazione, comportamenti ristretti e ripetitivi.
La somministrazione richiede:
 la conoscenza dello sviluppo autistico (in relazione ad altri disturbi neuroevolutivi);
 conoscenza dello sviluppo tipico, conoscenza delle traiettorie evolutive dei bambini
neurotipici
Con l’ADOS 2 è stato introdotto il Modulo Toddler per i bambini dai 12 ai 30 mesi, con bambini
così piccoli andiamo ad osservare l’assenza dei comportamenti e le stereotipie motorie. Tale
bambino deve avere un’età mentale non verbale di almeno 12 mesi. Elementi per capire l’età
mentale:
 l’uso dell’oggetto sa far finta di bere da una tazza; saper muovere una macchinina;
 schemi di relazione con gli oggetti lanciare una palla;
 rapporto tra mezzi e finisi sposta per prendere un oggetto che desidera;
 causalità operazionale quando si ferma un gioco meccanico, il bambino tocca il gioco e/o
la mano dell’adulto e si ferma, a 12 mesi dopo porta l’oggetto direttamente all’adulto;
 la costanza dell’oggetto Piaget l’adulto nasconde la biglia sotto una scatola, il b la ritrova;
 le relazioni spaziali sposta un oggetto per prenderne un altro.
Parti dell’ADOS2
Bloccare l’accesso al gioco come risponde il bambino alla situazione socialmente ambigua
(mentre gioco con il bambino, metto la mano sul gioco per bloccarlo).
Bambino sviluppo tipico: cerca di spostare la mano, o guarda l’adulto per capire l’intenzione
contatto oculare, utilizza la vocalizzazione, mostra un’espressione facciale diretta.
Bagnetto “Ignorare” come risponde il bambino quando viene ignorato dall’esaminatore e dal
genitore? Mentre l’esaminatore gioca con il bambino, inizia ad ignorarlo completamente per 60
secondi.
Sviluppo tipico: richiesta di attenzione con sguardo o vocalizzazione integrati.
Criterio di scelta del modulo
Modulo 1: individui non verbali o con singole parole incluse brevi frasi da 31 mesi
Modulo 2: individuo che usano frasi semplici, ma non verbalmente fluenti
Modulo 3: bambini e adolescenti verbalmente fluenti
Modulo 4: bambini e adulti verbalmente fluenti

Modulo 1
Prima di entrare, si dice ai genitori che vogliamo vedere come il bambino fa le cose da sole e se il
bambino chiama i genitori di aiutalo come farebbero a casa. E si decide prima di entrare chi dei due
genitori parlerà con lo psicologo quando gli farà una domanda.
Quando il bambino entra si trova dei giochi, che in parte sono sul tavolo e in parte sul tappeto per
terra.

1. Gioco libero
Sul tavolo: giochi pop-up, telefono giocattolo, libro cartonato, quattro pezzi di filo, blocco di legno
ruvido
Sul pavimento: scatola musicale, pupazzo nella scatola, camion, bambolotto (con occhi che si
aprono e chiudono), 8 cubetti con le lettere, palla di media grandezza, 2 macchinine piccole, 4
piccole posate, 4 piattini
Gioco senso-motorio di esplorazione dell’oggetto, in questo caso bisogna prestare attenzione alla
tipologia dell’oggetto e se il bambino compie delle azioni singole o delle sequenze di azioni. Vedere
se inizia come un gioco senso-materio e poi ricade nella stereotipia. Schema motorio semplice:
battere l’oggetto sul tavolo. Schema motorio complesso: lasciar cadere l’oggetto a terra, o mettere
un oggetto dentro l’altro, o lanciare l’oggetto. Se sono generici possono essere di tipo analitico a
specifico.
Gioco di costruzione Dai 18 masi. 6 cubetti, uno sopra l’altro, un bambino con sviluppo tipico lo
sa fare a due anni. Fare un ponte 2 anni e 6 mesi
Uso funzionale dell’oggetto bere dalla tazzina
Gioco di finzione un’oggetto diventa nella realtà della finzione un’altra cosa. 1. Livello Prendere
un cubetto e lo usa come telefono. 2. Livello un’oggetto diventa una realtà fittizia. 3 livello
un’oggetto assenza lo invento con la fantasia (usa la mano per far bere il peluche di cane)
Obiettivo: osservare come il bambino si adatta alla stanza, come e se usa gli oggetti.
Dopo 3 minuti di gioco unirsi al suo gioco per consentire una fase di gioco condiviso.
Se passati 2 minuti il bambino non gioca proviamo a farlo giocare con il genitore.
- Il bambino cerca l’interazione con il genitore?
- Condivide gli oggetti?
- Ricerca solo affetto o aiuto?
- Quanto porta avanti un’attività? Passa da un oggetto all’altro?
Mostrare ≠ Dare
2. Risposta al nome
Mentre il bambino è impegnato in un’azione, lo psicologo a distanza di un metro lo chiama per
nome e valuta:
 Distoglie l’attenzione dall’oggetto
 Se ruota il capo verso il mio
 Se aggancia il mio sguardo
Se non sono riuscito ad elicitare la risposta al nome chiedo al genitore di chiamarlo per nome per 2
volte, se il bambino non si volta neanche con i genitori, chiedo al genitore di produrre un suono
familiare o di attivare un’azione che implica il tocco, ma senza toccarlo. Se non si gira neanche così
chiediamo al genitore di toccarlo.
3. Sorriso sociale di risposta
Sorride in risposta al sorriso dell’altro. Ad esempio si possono fare dei complimenti al bambino,
sorridergli, fare una vocina. Per dare punteggio zero (quindi funzionale) deve sorridere
immediatamente e vi deve essere un sorriso pieno.
4. Risposta all’attenzione
Attenzione condivisa: attenzione all’oggetto, attenzione all’altro e attenzione all’altro e all’oggetto.
Materiali: coniglio o macchinina. Prima richiesta: Edo guarda. Se non guarda si dice Edo guarda
quello se non guarda Edo guarda quello + indicazione, se non guarda si attiva la macchinina.
5. Gioco delle bolle
Il bambino deve essere distratto o impegnato in una attività ci si pone di lato a 1m e mezzo, si
avverte il genitore di non far notale le bolle. L’esaminatore spara le bolle per 5 secondi e incoraggia
uno scambio affettivo e li costituirsi di una routine. (es. esplodere le bolle). Questo ci permette di
vedere come il bambino richiedere per continuare il gioco, quando mettiamo le bolle di sapone non
a portata del bambino. Per valutare l’inizio dell’attenzione condivisa.
6. Anticipazione di una routine con gli oggetti
Tenere un palloncino, portarlo alla bocca, lo gonfiamo, lo mettiamo sopra la testa del bambino e
dire: pronti partenza e via. E si lascia andare il palloncino. Valutare in che modo far ripetere questa
sequenza. Se spaventato cambiare oggetti. Si da un punteggio zero quando: non annusa, non lecca,
non tocca ripetutamente, non osserva la situazione in maniera particolarmente intensa.
Oppure cucù settete o il solletico
7. Imitazione funzionale simbolica
8. Festa di compleanno
Materiali: bambola con occhi che si aprono e chiudono, piatto, coltello, forchetta piatto.
Bisogna fare insieme al bambino la torta per il compleanno. Si mettono le candeline, l’esaminatore
fa finta di accendere le candeline e di bruciarsi. Si canta la canzone si vede se il bambino prova a
spengere le candeline e si chiede passo passo cosa bisognerebbe fare dopo. Si mangia la torta, si dà
alla bambola. Poi l’osservatore fa cadere (per finta) il succo e si vede come reagisce.
9. Snack
Si mettono diverse scelte diverse al bambino e vediamo come sceglie. Poi mettiamo le diverse
merende in scatole trasparenti diverse e vediamo se indica la scatola con la merenda che aveva
scelto.
Dopo 40 min. Alla fine si chiede ai genitori: mi sono fatto un’idea giusta?
- Si, quello che ha in mente è proprio nostro figlio
- No, a casa è completamente diverso

DISTURBO DA DEFICIT DI ATTENZIONE/IPERATTIVITÀ (ADHD)


Disattenzione: difficoltà a rimanere attenti o a lavorare su un medesimo compito per un periodo
adeguatamente prolungato, in relazione all’età e alle richieste del contesto.
Iperattività: eccessivi livelli di attività motoria e verbale, sempre in relazione all’età del bambino.
Impulsività: incapacità di posticipare la soddisfazione di un desiderio, oppure di inibire un
comportamento inappropriato in un determinato contesto.
Modelli di funzionamento
Ancora oggi non sono state identificate le cause dell’insorgenza dell’ADHD. L’ambito di ricerca
con risultati più solidi è la genetica, dove riscontriamo un ruolo fondamentale nella dopamina.
Due modelli di funzionamento cognitivo:
1. Il deficit delle funzioni esecutive abilità che consentono di pianificare, organizzare e
monitorare un’azione.
Un tipo di funzione esecutiva è la a flessibilità cognitiva, questa supporta la mente in un
cambiamento di prospettiva o di schemi concettuali. Se la soluzione ipotizzata per risolvere
un problema non sta funzionando, è possibile concentrarsi su un altro aspetto per
immaginare un’altra soluzione
La funzione esecutiva basilare è il controllo inibitorio. Ci sono diverse forme di controllo
inibitorio quali: inibire l’attenzione verso stimoli irrilevanti, controllare l’interferenza di
pensieri o immagini mentali non appropriate alla situazione, frenare un’azione che sta per
essere iniziata. Una persona con ADHD non riesce ad inibire gli stimoli interni ed esterni e
ciò causa caoticità esecutiva, difficoltà a portare a termine un compito e la tendenza ad
intraprendere più aioni contemporaneamente finalizzate ad obiettivi diversi, senza riuscire a
conseguirli.
Nel deficit di inibizione comportamentale rientrano:
- Deficit nella memoria di lavoro: i bambini con ADHD mostra difficoltà nel
conservare attive le informazioni importanti per un compito. Ciò è dovuto dalla
presenza di quegli stimoli interferenti che non riuscirebbe ad inibire autonomamente.
La memoria di lavoro si troverebbe per tanto ad essere caricata di informazioni non
utili per l’esecuzione del lavoro.
- Limiti nella capacità di pianificazione: la ridotta capacità di scomporre un’azione
complessa in una serie di passi elementare da eseguire in successione, ha come
conseguenza la rigidità comportamentale che spesso è presente nei bambini iperattivi
che commettono ripetutamente gli stessi errori, nonostante i richiami dell’adulto
- Difficoltà ad acquisire controllo motorio: movimenti in ecco possono essere causati
dal fallimento dei meccanismi di inibizioni.
- Assenza di linguaggio interno: l’utilizzo del linguaggio interno, abilità che consente
al soggetto di ripetere sub-vocalmente (mentalmente) le istruzioni per lo svolgimento
di un compito, così da inibire nel contempo pensieri o stimoli interferenti, questo è
fondamentale nel pianificare e controllare.
Quindi deficit delle funzioni esecutive implica:
1. Incapacità di inibire risposte automatiche e inadeguate
2. Difficoltà a pianificare i compiti
3. Deficit nella memoria di lavoro con ricadute nella abilità attentive.
- Controllo componenti attentive
L’attenzione: processo cognitivo che permette di selezionare determinati stimoli ambientali,
ignorandone altri. Si possono tre componenti attentive:
1. Attenzione sostenuta: mantenere uno stato di allerta durante le attività mentali
prolungate (ADHD deficit in questa)
2. Attenzione divisa: orientare l’attenzione a stimoli di natura diversa per servirsene a
seconda del loro significato
3. Attenzione focale: insieme di informazioni selezionate all’interno di un ambito spazio-
temporale.
4. Attenzione selettiva: permette di selezionare in modo coerente e funzionale gli stimoli
provenienti dall’esterno.
Attraverso l’orientamento l’attenzione si focalizza su una regione dello spazio (direzione da cui
proviene un rumore). La rapidità con cui si orienta l’attenzione è soggettiva e aumenta con l’età in
relazione con la rapidità dei movimenti oculari. Nonostante questo rapporto tra movimenti oculari e
spostamenti dell’attenzione, un cambiamento di orientamento attentivo può essere realizzato anche
girando la testa, spostando il corpo o anche se il nostro sguardo è diretto in un’altra direzione.
-Deficit dei modelli motivazionali:
Il deficit nei meccanismi di risposta alla ricompensa: detto anche delay aversion, avversione
all’attesa. I soggetti con ADHD mostrano una forte intolleranza al saper aspettare per la
soddisfazione di un desiderio. Da ciò ne deriva uno stile motivazionale caratterizzato dalla scelta di
gratificazione o ricompense immediate anche se di minore entità. In mancanza di gratificazioni
immediate, questa avversione per l’attesa, si manifesterebbe con iperattività e/o inattenzione.
Criteri diagnostici
I sintomi dell’ADHD sono il deficit di attenzione, l’iperattività e l’impulsività. Tali sintomi devono
essere:
- Più gravi rispetto ai comportamenti rilevabili nei pari
- Inadeguati al livello di sviluppo
- Presenti in quasi tutti i contesti di vita
- Interferenti nel funzionamento adattivo
Si caratterizza per un’eterogeneità clinica. Infatti oltre ai tre diversi sottotipi (disattento, iperattivo e
impulsivo) è spesso presente una comorbidità con i disturbi internalizzanti (ansia, disturbo
dell’umore…) ed esternalizzanti (DOP e DC).
I 18 SINTOMI PRESENTI NEL DSM-5 sono gli stessi contenuti nell’ICD-10, l’unica differenza si
trova nell’item (F) della categoria iperattività-impulsività dove, “parla eccessivamente” è una
manifestazione di impulsività e non di iperattività.
I criteri diagnostici sono divisi in due domini di sintomi (disattenzione e iperattività/impulsività), di
cui almeno sei sintomi di un dominio devono essere presenti per la diagnosi.
Il DSM-5 indica tre livelli di gravità:
1. Lieve: pochi sintomi presenti in più a quelli minimi richiesti per la diagnosi
2. Medio: modesto impatto negativo sul funzionamento sociale e lavorativo
3. Severo: molti sintomi in più a quelli minimi richiesti per la diagnosi e particolare
compromissione del funzionamento sociale e lavorativo.
Questionari per diagnosticare ADHD: CBCL (Child behavior checklist) permette di definire
e misurare un fattore generale relativo ai disturbi esternalizzanti del comportamento al fine di
costruire un profilo comportamentale generale. È formato da 113 items ed è rivolto a soggetti tra i 4
e i 16 anni.
Test per diagnosticare ADHD:
- Test delle campanelle: 350 stimoli raffigurati oggetti animati e inanimati di
dimensioni simili e con lo stesso orientamento, distribuiti in quattro fogli contenenti
ciascuno 35 campanelle. Il bambino dovrà barrare le campanelle presenti in ogni
foglio in 120 sec. Valuta attenzione focale (rapidità) e attenzione mantenuta
(accuratezza).
- TOL (test della torre di Londra)
- BIA (batteria italiana per ADHD)

DISABILITÀ INTELLETTIVA (DI)


Disordine evolutivo intellettivo: caratterizzato da deficit nelle abilità cognitive e scolastiche, come
il ragionamento, il problem solving, la pianificazione, l’acquisizione del pensiero astratto, la
capacità di giudizio, difficoltà nel riuscire ad apprendere dall’esperienza. Si tratta di un problema
dello sviluppo generale delle abilità cognitive che compromette il funzionamento adattivo della
persona, la qualità di vita relazionale e la possibilità di essere autonomi.
Modelli di riferimento
Basso, Capitani et all. (1981) sostengono che siano da scartare le due teorie precedenti
sull’intelligenza secondo le quali:
1. È presente una localizzazione di un centro per l’intelligenza, la quale è un sistema
gerarchico composto da un fattore generali (fattore g)
2. Vi è un’equipotenzialità del cervello per tutte le funzioni intellettive. L’intelligenza
consiste in un gran numero di abilità primarie distinte, senza nessuna capacità
generale gerarchicamente sovraordinata.
Stenberg e Kaufman (1999): l’intelligenza, può essere contenuta dalle seguenti capacità
apprendere, adattarsi all’ambiente, e saper controllare i propri processi cognitivi.
Cattel e Horn (1978), propongono un modello gerarchico di intelligenza, composto da tre strati:
- Il primo comprendere abilità specifiche (es. velocità di ragionamento,
consapevolezza fonemica)
- Il secondo è composto da abilità più generali (es. intelligenza fluida e intelligenza
cristallizzata: processi di apprendimento e memoria)
- Il terzo fattore è simile al fattore g
Cornoldi (2007), con il modello a cono rovesciato della memoria di lavoro. Secondo questo modello
le attività cognitive, costituite da differenti livelli gerarchici, si dispongono lungo una dimensione
verticale. Il continuum verticale pone le proprie radici su un piano orizzontale costituito dai
contenuti dell’informazione (es. codice verbale, visivo, spaziale). Tale modello potrebbe spiegare
come una persona con disabilità intellettiva è in grado di leggere un testo, ma non di comprenderne
il significato.
Criteri diagnostici
Le caratteristiche fondamentali della (DI) includono sia il funzionamento intellettivo, sia il
funzionamento adattivo.
Funzionamento intellettivo è definito dal quoziente di intelligenza (QI) ottenuto tramite la
valutazione di test di intelligenza standardizzati somministrati individualmente. Un funzionamento
intellettivo significativamente sotto la media è definito da un QI di circa 70 o inferiore. Nella
valutazione del QI esiste un errore di misurazione (ESM) di circa 5 punti. Quindi è possibile
diagnosticare la disabilità intellettiva in soggetti con un QI tra i 70 e 75 che mostrano deficit anche
nel comportamento adattivo, al contrario un soggetto con un QI appena inferiore a 70, se non
presenta deficit nel funzionamento adattivo, non dovrebbe ricevere diagnosi di DI.
Funzionamento adattivo si riferisce all’efficacia con cui i soggetti fanno fronte alle esigenze più
comuni della vita quotidiana e al grado di adattamento agli standard di autonomia personale.
Il DSM-5, criterio B, richiede che sia riscontrato nel soggetto un deficit nel funzionamento adattivo
in relazione allo sviluppo e alle attese socioculturali in uno o più seguenti ambiti:
- svolgere attività di vita quotidiana
- saper comunicare
- essere in grado di partecipare alla vita sociale
- essere in grado di vivere in modo indipendente
Il funzionamento adattivo andrà verificato in base all’età, al contesto familiare, scolastico,
lavorativo e comunitario.
Livelli di gravità per la DI
Disabilità intellettivo di grado lieve costituisce la parte più ampia dei soggetti affetti da questo
disturbo. I soggetti sviluppano capacità sociali e comunicative negli anni prescolari, hanno una
compromissione minima nelle aree senso-motorie e spesso non sono distinguibili dai bambini senza
disabilità fino all’ingresso della scuola primaria. Al termine del percorso scolastico (14-16 anni)
possono raggiungere un’età mentale tra gli 8 e gli 11 anni e delle competenze cognitive tipiche della
fase dell’intelligenza operativa concreta. In età adulta possono acquisire capacità sociali e
occupazionali adeguate per un livello minimo di autosostenimento, ma possono aver bisogno di
assistenza. Possono vivere con successo nella comunità, o da soli o in ambienti protetti.
Disabilità intellettiva di grado moderato la maggior parte dei soggetti con queto livello di
disabilità acquisisce il linguaggio e le abilità prescolastiche molto lentamente. Traggono beneficio
dall’addestramento professionale e, possono provvedere alla cura della propria persona.
Difficilmente progrediscono oltre il livello della seconda classe primaria nelle materie scolastiche.
Nell’età adulta, la maggior parte riesce a svolgere lavori non specializzati, sotto supervisione, in
ambienti protetti.
Disabilità intellettiva di grado grave Acquisiscono un livello minimo di linguaggio
comunicativo, la produzione verbale è costituita prevalentemente da singole parole o frasi semplici.
Nel periodo scolastico possono imparare a parlare e possono essere addestrati alle attività
elementari di cura della propria persona. Nell’età adulta possono essere in grado di svolgere compiti
semplici in ambienti altamente protetti. Possono essere presenti comportamenti autolesivi e di
disadattamento.
Disabilità intellettiva di grado profondo o estremo Nella prima infanzia mostrano una
compromissione del funzionamento senso-motorio. Lo sviluppo motorio e le capacità di cura della
propria persona e di comunicazione possono migliorare se viene fornito adeguato addestramento.
Il DSM-5 descrive i livelli di gravità all’interno di 3 domini:
1. Dominio concettuale: comprende competenze linguistiche, abilità di lettura, scrittura,
matematica, ragionamento e memoria.
2. Dominio sociale: riguarda la capacità empatica, il giudizio sociale e interpersonale, la
capacità di fare e mantenere amicizie
3. Dominio pratico: concerne la gestione in ambiti personali come sapersi prendere cura di se
stessi, la responsabilità sul lavoro, la gestione del denaro. Si include anche l’aspetto
organizzativo della scuola.

DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIEMTNO (DSA)


DISTRURBO  alterazione del processo deputato all’esecuzione di un determinato compito
SPECIFICO riguarda abilità e non il funzionamento intellettivo globale
APPRENDIMENTO si riferisce a aree dell’apprendimento scolastico (lettura, scrittura, calcolo)

Non è una malattia, ma una condizione neuroevolutiva caratterizzata da un funzionamento


differente del cervello nell’apprendimento di alcune abilità (neurodiversità), quali la lettura. Questa
condizione ostacola l’automatizzazione.

DSA: questo termine si riferisce a un gruppo eterogeneo di disturbi che si manifestano con molte
difficoltà nell’acquisizione e nell’uso delle abilità di ascolto, espressione orale, lettura,
ragionamento e matematica, queste presumibilmente dovute a una disfunzione del sistema nervoso
centrale. Possono coesistere con i DSA problemi nell’autoregolazione comportamentale, nella
percezione sociale e nell’interazione sociale.

Un concetto fondamentale è che le abilità che sottendono all’apprendimento scolastico sono


“dominio specifiche” quindi il bambino dovrebbe acquisire delle abilità che concorrono
all’apprendimento, necessarie per affrontare un determinato compito (calcolo, lettura ad alta voce
ecc). La non acquisizione di una particolare abilità all’interno di un dominio di apprendimento si
manifesterebbe con difficoltà anche in altri ambiti cognitivi. Ciononostante, i DSA sono disturbi
distinti, ognuno con una propria fisionomia.

Tre aspetti critici del percorso diagnostico


Primo aspetto: escludere che si tratti di DSA. È necessario verificare tutti quei fattori che
potrebbero causare difficoltà negli apprendimenti, come: un QI significativamente al di sotto della
madia, problemi sensoriali, influenza di ambienti socio-culturali svantaggiati.
Secondo aspetto: rappresentato dal carattere evolutivo dei DSA, bisogna tener presente il livello di
gravità che può variare da soggetto a soggetto
Terzo aspetto: il contesto nel quale bisogna interagire. Una diagnosi di DSA viene illustrata prima
alla famiglia e successivamente alla scuola che deve “tradurre” la diagnosi in prassi didattiche.

Criteri diagnostici

I manuali diagnostici internazionali (DSM-5 e ICD-10) si riferiscono ai disturbi di apprendimento


prevalentemente con un approccio più generali, mentre le Consensus Conference riprendono e
approfondiscono i criteri indicati a livello internazionale, ma cercano anche di essere molto più
dettagliati e precisi sia nella diagnosi sia nell’interpretazione dei criteri stessi.
Le consensus conference si sono riunite 10 associazioni che si occupano dei DSA e hanno
elaborato un documento che ha posto delle solide basi per la diagnosi e il trattamento dei DSA.
ICD-10: redatto dall’OMS, la diagnosi dei DSA si trova nei codici F81.0-F81.1-F81.2-F81.3 e
F81.8

I criteri diagnostici sono suddivisi in:


- Criteri di inclusione
- Criteri di esclusione
- Criteri diagnostici specifici per ogni singolo DSA
Criteri di inclusione
Al fine di ricercare nel percorso diagnostico tutti quegli indici della presenza di un disturbo
specifico dell’apprendimento, possiamo tener presente i seguenti criteri di inclusione (CI)
CI.1 Disturbo che coinvolge uno o più specifici domini di abilità di apprendimento
CI.2 Interferenza del disturbo con adattamento scolastico e attività quotidiane
CI.3 Trend evolutivo caratterizzato da una diversa espressività del disturbo. È utile avere due
misurazioni nel tempo della stessa variabile
CI. 4 Considerare la comorbidità tra i diversi DSA
CI.5 Uso di batterie e di test standardizzati
CI.6 Compromissione statisticamente significativa: -2 ds per la misura della velocità e rapidità. Si
invita a considerare l’errore standard di misura, quando si ragiona sul punteggio ottenuto alla prova.
Per i soggetti che non risultano soddisfare i criteri di inclusione ma si osservano delle difficoltà tali
da condizionare in modo negativo il normale apprendimento e non abbiamo individuato altri fattori
che possono avere una relazione con un problema, bisognerebbe:
- Non forza la diagnosi di DSA, ma studiare l’andamento delle prestazioni nel tempo
- Procedere con un intervento che vede coinvolto il miglioramento delle abilità problematiche
- Prevedere il recupero dell’automatizzazione nella lettura entro uno o due cicli d’intervento.
Criteri di esclusione
Al fine di escludere quelle condizioni che possono causare difficoltà negli apprendimenti ma non ne
rappresentano né una causa specifica né quella neurobiologica, possiamo tenere in considerazione i
seguenti criteri di esclusione (CE)
CE.1 Disabilità intellettiva
CE.2 Disturbi neurologici, traumatici o malattia
CE.3Disturbi sensoriali, visivi o uditivi
CE.4 Condizioni di svantaggio psicosociale
CE.5 Inadeguato ambiente educativo
CE.6 Non adeguata conoscenza della lingua d’insegnamento
Il percorso diagnostico nei DSA
La richiesta di consulenza
Le motivazioni che possono spingere genitori e insegnanti a richiedere un approfondimento
specialistico per DSA possono essere molteplici, vediamoli:
1. Inadeguato apprendimento rispetto al livello della classe
2. Descrizione delle difficoltà scolastiche
3. Aspetti emotivo-motivazionali
La raccolta delle informazioni anamnestiche
Una volta definito il quadro iniziale della problematica presentata, è importante indagare i dati
riportati nella scheda clinico/anamnestica.
Le ipotesi diagnostiche nei DSA
Ipotesi 1: se durante il colloquio clinico/anamnestico emerge un quadro caratterizzato da uno stato
emotivo-motivazionale problematico, risulta necessario porre sotto verifica l’ipotesi di disturbo di
tipo emotivo-motivazionale.
Ipotesi 2: se durante il colloquio clinico/anamnestico non emerge un quadro caratterizzato da uno
stato emotivo-motivazionale deficitario, possiamo ipotizzare, che le problematiche comportamentali
emerse con la frequenza scolastica siano causate dalla modalità individuale del soggetto di
affrontare una difficoltà in ambito scolastico.
Ipotesi 3: Possibile DSA e se confermata dal percorso diagnostico, possibile comorbidità tra i due
disturbi.
Il disturbo specifico della lettura: Dislessia evolutiva
Per fare diagnosi è fondamentale:
 Conoscere lo sviluppo tipico della lettura
 Conoscere gli indicatori di sviluppo atipico
 Utilizzare strumenti standardizzati per valutare correttezza e rapidità nella lettura

Fine 1 classe: pochissimi errori nella decifrazione fonemi e alta percentuale di parole riconosciute.
È riconoscibile una lettura lessicale, ma prevale la lettura fonologica
Fine 2 classe: aumenta ulteriormente la percentuale di parole riconosciute correttamente. Prevale la
lettura lessicale
3-4 anno: la lettura dei bambini diviene sempre più veloce ad automatizzata. Entro il 4-5 anno la
lettura si stabilizza. Alla fine del 3 anno è di tipo adulto esperto.

Il percorso diagnostico deve tenere in considerazione i seguenti criteri:


CDL.1 Porre diagnosi solo alla fine del secondo anno della scuola primaria (prima non si può)
CDL.2 ricercare la presenza di evidenti segni clinici (difficoltà nello sviluppo del linguaggio,
fatica nella lettura caratterizzata da lentezza e/o errori)
CDL.3uso di prove a tre diversi livelli di abilità:
- Lettura di parole
- Lettura di non parole
- Lettura di brano (osservando comprensione del testo)
CDL.4Considerare i parametri di rapidità (velocità) e di accuratezza (errori). La componente di
comprensione del testo va considerata in modo autonomo
CDL.5 Indicazione del profilo funzionale. Caratterizzata da carenza nella:
- Velocità
- Correttezza
Il disturbo specifico della scrittura: Disortografia
Modello di sviluppo di apprendimento della scrittura (ortografia) la scrittura nella fa alfabetica
(fase2) aiuta lo sviluppo della lettura, mentre la fase ortografica della lettura (fase3) aiuterebbe lo
sviluppo della fase ortografica della scrittura o viceversa.
Questa osservazione è fondamentale per decidere come procedere nella fase di intervento: lavorare
prima nella lettura e successivamente nella scrittura
Criteri diagnostici
CDO.1 Porre diagnosi solo alla fine del 2°anno della scuola primaria
CDO.2 Uso di prove a tre diversi livelli:
- Dettato di parole
- Dettato di non parole
- Prove di produzione del test scritto
CDO.3 Considerare il parametro di accuratezza o errori nelle prove ortografiche
CDO.4 indicazioni profilo funzionale, caratterizzato da errori di tipo:
- Fonologico
- Lessicale
- Rispetto delle regole ortografiche
Il disturbo specifico del calcolo: Discalculia
Nonostante i contributi della ricerca in ambito delle abilità matematiche siano aumentate negli
ultimi 10 anni, sono ancora molto pochi. Uno dei problemi che probabilmente rende difficile la
ricerca in questo ambito può essere l’eterogeneità delle persone con discalculia.
La novità introdotta nel DSM-5 è quella di indicare nei criteri di gravitò gli ambiti accademici nei
quali impatta il disturbo, propone cioè una diagnosi multidimensionale, che richiede la valutazione
di tutti gli ambiti dell’apprendimento.
Il clinico deve ricordare che nelle prime fasi dello sviluppo un deficit dominio-generale può
provocare deficit dominio-specifici in fasi successive all’apprendimento, così come il contrario.
Kaufmann e Mazzocco (2013) propongono delle raccomandazioni per fare diagnosi di discalculia:
- Le abilità numeriche di base devono essere alterate
- Il disturbo deve essere identificato attraverso il riconoscimento della presenza di deficit nelle
rappresentazioni numeriche e nei processi aritmetici sia nella velocità della risposta che
nella precisione
- Deficit specifici in sottodomini numerici sono possibili
- Le prestazioni dei bambini con ipotesi di discalculia possono essere instabili nel corso dello
sviluppo
- Attualmente non ci sono prove che migliorino l’accuratezza diagnostica, la valutazione
clinica quindi deve essere orientata alla valutazione delle singole abilità numeriche e di
calcolo.
Criteri diagnostici
CDC.1 Porre diagnosi solo alla fine del 3°anno della scuola primaria
CDC.2 Presenza di evidenti segni clinici, come: errori sintattici o visuo-spaziali
CDC.3 Carattere di persistenza: problematiche presenti nell’arco della storia scolastica
CDC.4 Uso di prove per competenze e abilità specifiche
- Cognizione numerica
- Calcolo mentale e scritto
- Lettura e scrittura dei numeri
- Abilità visuo-spaziali (es. incolonnamento)
CDC.5 Punteggi critici in prove di valutazioni specifiche. 50% di prove con punteggi critici, se
non si raggiunge il 50%, vi devono essere punteggi severi in prove significative come accuratezza e
velocità nel calcolo
CDC.6 indicazioni del profilo funzionale, deficit a carico del:
- Senso del numero e della rappresentazione della quantità
- Formazione e recupero di fatti numerici
- Procedure di calcolo
Il disturbo specifico della scrittura: Disgrafia
Modello sviluppato da diversi autori, secondo il quale:
parola udita: se è una parola conosciuta già presente nel repertorio lessicale, allora il lessico grafico
permette di recuperare l’ortografia necessaria (via lessicale-semantica). Se invece si ascolta una
parola sconosciuta, si utilizza un meccanismo di conversione fonema-grafema in cui si richiama il
relativo segno scritto (via fonologica), questo traduce uno per uno i suoni del buffer fonemico
ordinandoli nel tempo e nello spazio con una precisa sequenza.
Il buffer grafemico aiuta nel mantenere attive le tracce mnestiche sino a che queste non siano
codificate dai processi del pattern grafo-motorio, questi processi consentirebbero l’esecuzione
scritta dal punto di vista motorio, concludendo il ciclo con la realizzazione di un prodotto grafico
visibile.
Criteri diagnostici
CDG.1 Porre diagnosi preferibilmente al completamento del 2°anno della scuola primaria
CDG.2Presenza di evidenti segni clinici:
- Difficoltà a decodificare correttamente e senza sforzo l’elaborato da parte dello stesso
scrivente
- Compromissione della grafia in tutti i caratteri utilizzati
- Disadattamento con il processo di apprendimento
CDG.3Uso di prove in almeno due diversi aspetti:
- Aspetto motorio
- Aspetto neurocognitivo
CDG.4 Considerare i parametri di fluenza e resa formale del testo scritto
CDG.5Indicazione del profilo funzionale, caratterizzato da un tipo di:
- Disturbo puro
- Disturbo in associazione a:
-disturbo della coordinazione motoria
-ADHD
-Disortografia
-Dislessia

MEMORIA DI LAVORO
La memoria di lavoro permette di mantenere temporaneamente attive nella mente informazioni
provenienti da input esterni o dalla memoria a lungo termine MTL e, simultaneamente, di
aggiornarle e di elaborarle. Ha alcuni limiti: capacità limitata delle informazioni che riesce a
mantenere attive, la breve duratura in cui sono trattenute, la velocità con cui sono elaborate, la
sensibilità alle interferenze e il rischio di carico eccessivo che può essere determinato sia dalla
quantità di informazioni sia dal livello di complessità dei processi elaborativi da svolgere.
La memoria di lavoro è coinvolta nell’apprendimento ogni volta che impariamo qualcosa di nuovo:
quando dobbiamo elaborare i collegamenti logici e semantici tra differenti concetti, quando
dobbiamo elaborare il significato di una parola nuova.
Apprendere significa prima di tutto elaborare. Ma l’elaborazione non può avvenire senza un
meccanismo che, da una parte mantenga attivi e disponibili i dati da elaborare, dall’altra utilizzi le
risorse attentive per le operazioni di elaborazione richieste.

Il modello standard della memoria di lavoro di Baddeley


Tale modello descrive una sistema formato da quattro componenti, ciascuna con funzioni
specifiche:

L’esecutivo centrale attua operazioni cognitive di tipo intenzionale e coordina il lavoro dei tre
servosistemi. Ci sono tre meccanismi funzionali specifici propri dell’esecutivo centrale:
- L’inibizione: capacità di focalizzare, cioè di essere attenti in maniera selettiva solo alle
informazioni rilevanti per il compito in corso. E comprende anche la capacità di controllare
le interferenze.
- L’aggiornamento: sostituzione di informazioni non più rilevanti per il compito, che
decadono nello spazio mentale, per lasciare il posto a nuove informazioni in entrate
- Lo switching: spostamento rapido da un’informazione o da una strategia a un’altra ossia alla
flessibilità cognitiva.
Il ciclo fonologicospecializzato nella codifica verbale dell’informazione, è suddiviso in due
sotto-componenti:
- Il magazzino: ha una funzione passiva di deposito dell’informazione
- Il meccanismo di ripasso articolatorio o ripetizione subvocalica: rinfresca l’informazione al
fine di mantenerla attiva, altrimenti decade rapidamente
Il taccuino visuo-spaziale conserva ed elabora informazioni visive e spaziali ed è anche preposto
alla generazione e alla manipolazione di immagine mentali (es. immagina le lettere J e D, e falle
ruotare: fontana, ombrello.. immagine temporaneamente attivata nel nostro taccuino visuo-
spaziale). Anche le rappresentazioni visuo-spaziali, come quelli verbali, svaniscono se non vengono
ripassate.
Il buffer episodico (o magazzino episodico) mette in relazione l memoria di lavoro con la MLT.
Attraverso l’utilizzo di un codice multimodale, integra informazioni della MLT e degli altri
servosistemi, mantenendole per un tempo limitato ma di più lunga durata rispetto a quest’ultimi.
(ess. Immagine un elefante che gioca a tennis). Permette di integrare e manipolare il materiale
contenuto negli altri servosistemi con il materiale recuperato dalla MLT. La possibilità di elaborare
un nuovo episodio esige di resistere alle distrazioni interne o esterne che durante l’elaborazione
potrebbero portare la nostra mente a vagare.

Il modello dei continua di Cornoldi e Vecchi


Tale modello postula due dimensioni nel sistema della memoria di lavoro:
- Continuum orizzontale: determinato dal tipo di materiale e di contenuto verbale, visivo o
spaziale di un’attività
- Continuum verticale: determinato dal tipo di elaborazione che è richiesta nello svolgimento
dell’attività e che può essere più o meno attiva, ovvero richiede gradi differenti di
manipolazione delle informazioni

Memoria di lavoro e bambini con BES


Nei bambini con disturbi del neurosviluppo i deficit nella memoria di lavoro possono situarsi in uno
o più servosistemi e coinvolgere l’esecutivo centrale, nonché investire i rapporti con altre funzioni
tra cui la MLT.
DSA e memoria di lavoro deficit nella memoria di lavoro nei bambini con DSA sono riportati in
molti studi. Secondo un’interpretazione, nella dislessia, le compromissioni toccherebbero tanto il
magazzino, che non riuscirebbe a mantenere una quantità sufficiente di informazioni, sia il
meccanismo di reiterazione che in quanto carente non riuscirebbe a mantenerle attive per un tempo
sufficiente a effettuare operazioni come l’assemblaggio fonetico. Anche la discalculia è stata
associata a deficit di memoria di lavoro, le prestazioni di alcuni compiti dipenderebbero da deficit a
carico di componenti diverse. I rapporti tra memoria di lavoro e apprendimento matematico
sembrano comunque modificarsi nel corso dello sviluppo e in relazione ai compiti di elaborazione
del numero o di calcolo.
DISTURBO DELLA COORDINAZIONE MOTORIA (DCM)
Il DCM include disturbi della grossa motricità, dal camminare l muoversi con agilità e destrezza,
sino all’equilibrio, ma anche disordini della motricità fine come la scrittura e le altre azioni manuali.
Dunque è una valutazione molto ampia dell’ambito motorio e dei movimenti, che tiene presente
diverse componenti motorie e delle componenti ti tipo cognitivo sottostanti all’esecuzione e
l’organizzazione del movimento. (Nel ICD-10 viene indicato come disordine evolutivo specifico
della funzione motoria).
Le caratteristiche del DCM in un bambino possono, quindi, manifestarsi in maniera molto diversa.
Ad esempi, un disturbo nel gesto volontario per servirsi di un oggetto, viene indicato come la
disprassia motoria ovvero un deficit a livello di pianificazione e recupero di un piano motorio
d’azione. Diversamente un deficit a carico delle competenze grafo-motorie potrebbe determinare la
disgrafia, (come incapacità di produrre dei grafemi), in questo caso apparrebbe compromessa la
component die memoria senso-motoria.

Fattori di rischio:
- nascita pre-termine
- basso peso alla nascita
- lento e/o irregolare sviluppo delle abilità psicomotorie.
Tappe motorie e modelli cognitivi del movimento
12 mesi deambulazione autonoma. Può variare, bambini precoci introno ai 9 mesi.
4 anni in grado di camminare su tutte le superfici (in salita, in discesa, salire le scale), camminata
esperta. La coordinazione motoria nel cammino migliora fino ai 5anni
Tra i 4 e i 6 anni compare la corsa per scopi ludici
3 anni e mezzo riuscire a vestirsi da solo, e a mettersi le scarpe
6-7 anni allacciarsi le scarpe e sono presenti abilità fondamentali come: correre, saltare, lanciare,
afferrare, lavarsi, vestirsi, scrivere e disegnare.
Il funzionamento del sistema motorio è influenzato dai circuiti corticali e sottocorticali, responsabili
della pianificazione ed esecuzione del movimento.
Hulme e Snowling (2009), ritengono che nei bambini con DCM l’informazione visiva relativa alla
localizzazione nello spazio di un oggetto sia degradata: questo deficit determinerebbe delle
difficoltà nella creazione della rappresentazione della mappa senso-motoria, di conseguenza il
bambino non riuscirebbe a integrare l’azione attraverso le informazioni percettivo-spaziali.
Un deficit, a livello cognitivo, della memoria senso-motoria o nella percezione visuo-spaziale,
porterebbe a livello comportamentale un deficit nelle abilità fino-motorie (disegnare, scrivere, usare
le forbici ecc.). Mentre a livello cognitivo, un deficit dell’equilibrio posturale, porterebbe ad un
deficit nelle abilità grosso-motorie come correre, saltare, andare in bici.
Criteri diagnostici
DSM-5, criteri di inclusione:
- l’acquisizione e l’esecuzione delle abilità di coordinazione motoria sono al di sotto dei
livelli attesi per l’età cronologica e per le opportunità ricevute.
- Il deficit nelle abilità motorie deve interferire con lo svolgimento delle attività di vita
quotidiana attese per l’età. L’impatto del disordine ricade anche in ambito scolastico e
lavorativo.
Il disturbo non deve essere spiegato dalla presente di disabilità intellettiva, deficit visivo o altre
condizioni neurologiche.
Prove di valutazione
La prova che permette di valutare la presenza di un DCM è il MABC-2 (Movement Assesment
Battery for Children -2). Questo è utilizzato per identificare e quantificare difficoltà del movimento
che potrebbero influenzare l’integrazione sociale e scolastica. Offre la possibilità di valutare la
presenza di difficoltà motorie, individuando i bambini a rischio.
Il MABC-2 è composto da due parti:
- Test standardizzato: va somministrato individualmente e si chiede al bambino di eseguire
dei compiti motori divertenti. È composto da 24 prove organizzate in gruppi da 8 compiti. Il
punteggio totale esprime il livello di abilità motoria del bambino, è possibile ottenere anche
un punteggio per le tre aree: destrezza manuale, mira e afferramento, equilibrio.
- Checklist di osservazione: deve essere compilata da un adulto che abbia familiarità con
l’attività motoria quotidiana del bambino. È comporto da 43 items relativi al comportamento
del bambino, divisi in tre aree: le prime due, considerano la performance del bambino in
situazioni progressivamente più complesse. La terza, valuta quanto alcuni atteggiamenti
(distrazione, timidezza eccc) possono influenzare la performance motoria.

IL PROGRAMMA APISMELA
Il training Apismela è costituito da attività e giochi che, in maniera diretta, stimolano:
- L’attenzione
- Il controllo motorio
- Lo switching
- La memoria di lavoro nel dominio verbale
Le attività e i giochi formano una sequenza caratterizzata da crescente complessità: si inizia
stimolando l’orientamento attentivo e l’attenzione esecutivasi procede con esercizi che
coinvolgono il controllo inibitorio attività che implicano il dividersi dell’attenzione sulla doppia
richiesta di categorizzare stimoli e di selezionare quelli da memorizzaresi rende più complessa la
richiesta di elaborazione infine compiti che coinvolgono maggiormente la memoria di lavoro
nella sua componente di magazzino episodico (episodic buffer).
I materiali dei compiti e dei giochi del training stimolano la categorizzazione semantica e una
capacità di integrare significati attraverso legami narrativi o inferenziali.
La stessa funzione (es. memoria di lavoro) viene stimolata con compiti molti vari piuttosto che con
lo stesso tipo.
L’Apismela include anche una componente di strategy-based, insegnando ai partecipanti a
focalizzarsi sullo scopo dell’attività, a controllare di averlo compreso, a esplicitare le procedure d
mettere in atto. Nel training il linguaggio ha un ruolo cruciale: i partecipanti vengono stimolati a
utilizzare il discorso come strumento di regolazione dell’attenzione e di elaborazione cognitiva. Il
linguaggio è lo strumento che permette l’insegnamento di strategie da parte dell’adulto e lo
strumento che accompagna i partecipanti l’uso di strategie.
Il ruolo del conduttore nelle attività e nei giochi
Co-costruzione
Una parte del training Apismela non è costituita da esercizi o giochi, ma dalle abilità dell’esperto
che sa adottare le difficoltà al livello del singolo bambino e che attraverso una co-costruzione
promuove esperienze metacognitive (attenzione consapevole sulla propria esperienza cognitiva) e
insegna strategie. Seguendo Vygostkij nell’apprendimento un’acquisizione di procedure e strategie
viene promossa dalle interazioni sociali, partendo dalla co-costruzione con qualcuno più esperto,
passando attraverso una progressiva interiorizzazione della nuova strategia, fino al controllo interno
e autonomo della strategia. Nelle attività l’adulto insegna nuove strategie e promuove una
riflessione sull’esperienza di usarle e sulla percezione di efficacia da parte del partecipante. Il
conduttore interagisce nella attività in modo da stimolare la consapevolezza in diversi ambiti.
Gradualmente cercherà di portare il bambino a darsi da solo autoistruzioni e a poter così
autoregolare il proprio comportamento attraverso l’uso del linguaggio.
Guidare l’aiuto
L’obiettivo degli interventi del conduttore è lasciare al bambino il massimo dell’iniziativa possibile
garantendo al tempo stesso la sua possibilità di riuscita. Se l’adulto aiuta troppo può limitare
eccessivamente l’esercizio che il bambino fa e l’intervento risulterà così poco efficacie. D’altra
parte, lasciare il bambino troppo solo nell’affrontare la complessità può far emergere un sentimento
di frustrazione che non aiuta l’attivazione di processi di pensiero e di controllo che vorremmo
perseguire. Saper guidare l’aiuto in funzione di ciò che osserviamo nel bambino è la competenza
che l’adulto costruisce gradualmente.
Nei giochi l’adulto partecipa svolgendo in minor misura una funzione esplicativa di guida. Il
conduttore è un partecipante esperto nel gioco, orienta il bambino mostrandogli in maniera diretta
come fare. Quando è il conduttore a giocare, descrive ad alta voce ciò che vede, si chiede quale
regola convenga applicare, spiega ad alta voce le proprie scelte. Mentre gioca, l’adulta parla sempre
ad alta voce, per mostrare al bambino come pensa.
Facilitare la fiducia e la regolazione emotiva
Le attività vengono presentate come “allenamenti” che permettono di potenziare alcune risorse che
ogni essere umano possiede. Questo termine permette ai partecipanti di impegnarsi con maggiore
serenità, rispetto al termine compito o esercizio.
Il coinvolgimento emotivo e la motivazione vengono curati attraverso la costruzione di una
relazione sicura tra il conduttore e partecipante/i.
I BES tendono ad avere paura di fronte ai comiti complessi, sono timorosi di venire a contatto con
un’immagine di sé interpretata come incompetente. L’adulto saprà restare calmo e scegliere le
parole giuste per sostenere il bambino, e potrà mentalizzare le emozioni del bambino (es. vedo che
ti senti un po’ spento, quando leggevamo che cosa dobbiamo fare in questo allenamento, forse hai
pensato che il compito è molto difficile). Il conduttore si porrà quindi come base sicura.
L’uso del “noi” nel linguaggio dell’adulto, crea una condivisione degli obiettivi e facilita nel
bambino la consapevolezza di non essere solo nel lavoro che si sta svolgendo.
Il fine principale che sta dietro la funzione di sostegno emotivo e di facilitatore della
consapevolezza emotiva è quello di favorire nel bambino una nuova immagine si sé.
Gestire gli errori
Quando un errore si verifica, l’adulto opera in modo da favorire un’autocorrezione. Questa ha
diverse finalità:
- Permette al partecipante di mantenere un alto senso di agentività
- Attenua la frustrazione
- Continua a lavorare sul controllo e sull’autoregolazione
Ogni volta che si verifica un errore partiamo da ciò che il bambino ha detto o fatto e ne chiederemo
una spiegazione. Chiederemo poi di verificare ri-costruendo l’elemento del compito che non è stato
ben interpretato e daremo un suggerimento parziale. Se anche questo suggerimento non avesse
successo nello stimolare un’autocorrezione, allora produrremo una correzione, stando attenti ad
esprimerla in modo mitigato.
Secondo te, secondo voi
Scopo alla base di tutto l’intervento: aiutare il bambino ad appropriarsi del proprio pensare.
Contribuire a rendere il pensiero più efficace, capace di tener conto delle informazioni disponibili,
consapevole di dover monitorare il proprio procedere, flessibile nel passare da una situazione
all’altra.
Un riconoscimento dell’intelligenza richiede all’adulto di saper riconoscere il valore del pensiero
formulato dal bambino. Non è necessario manifestare accordo, ma mostrare di pensare e dare valore
alle parole del bambino. Ci sono alcune espressione con cui l’adulto può veicolare questo
riconoscimento di intelligenza come ad esempio “secondo te”. Questa espressione fa sentire il
bambino autorizzato a mostrare il proprio personale modo di sapere le cose.
Un altro scopo è aiutare il bambino a sentirsi più autonomo di fronte a compiti di una certa
complessità. Questo richiede all’adulto una buona capacità di dosare l’aiuto e diminuire i
suggerimenti. Lavorare per l’autonomia richiedere coraggio, sia al bambino che si deve sentire in
grado di…, sia all’adulto che non deve considerare gli orrori dei bambini come un semplice non
sapere.
La sequenza delle attività in ogni incontro
Il training Apismela, se svolto con due incontri settimanali di circa 100 minuti ognuno, si articola in
10-12 settimane. In ogni incontro c’è un’articolazione simile delle attività.
Raccontarsi per costruire una certa intimità (15-20 min) il conduttore esprime piacere di
incontrarsi e chiede di raccontare. Con questa richiesta l’adulto intende stimolare un piacere di
raccontare e di condividere. Anche l’adulto dice qualcosa di sé. Man mano che aumenta la
conoscenza reciproca l’adulto può raccontare di sé qualcosa che da ragazzino ha creato un po’ di
dispiacere, aspetta che il bambino prenda la parola lasciando massima libertà di contiinuare sulla
stesa tematica o di cambiarla.
Alleniamoci con un’attività si propone un’attività con PowerPoint (30 min). L’adulto segue le
istruzioni riportate nelle schede, ma è presente nella situazione: ascolta ciò che il partecipante dice,
lo guarda e sorride spesso, osserva se ci sono segni di tensione. È utile dire qualcosa che può
allentare la tensione. Nel corso delle attività bisognerebbe evitare i commenti tipo “bravo!”, sono
più utili commenti specifici del tipo: “ho notato che sei stato molto attento”
Riposiamoci un po’ al termine dell’attività segue una breve pausa in cui l’adulto propone di
scrivere i punti che la partecipazione ad ogni attività comporta e chiede al partecipante se conosce
un gioco e ha piacere ad insegnarglielo. In alternativa, si può disegnare insieme.
Alleniamoci con un gioco Si riprende il lavoro scegliendo un gioco di Apismela che allena la
stessa funzione controllata nell’attività precedente (30 min). Alla fine del gioco si fa una riflessione
metacognitiva sulle strategie utilizzate, su ciò che è risultato facile o difficile. Se si notano
espressioni di noia durante questo tipo di dialogo si può commentare: lo so che è più divertente
giocare che fare queste riflessioni, però lo sai che questi discorsi sono importanti, ci aiutano a
imparare.

Potrebbero piacerti anche