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MASARYKOVA UNIVERZITA

Filozofická fakulta

Ústav románských jazyků a literatur

BAKALÁŘSKÁ DIPLOMOVÁ PRÁCE

Brno 2014 Martina Hauerová


Masarykova univerzita

Filozofická fakulta

Ústav románských jazyků a literatur

Italský jazyk a literatura

Martina Hauerová

Il tema della provvidenza in Manzoni

Bakalářská diplomová práce

Vedoucí práce: Mgr. Zuzana Šebelová, Ph.D.

2014
Prohlašuji, že jsem bakalářskou diplomovou práci vypracovala samostatně a že jsem uvedla
všechny prameny, které jsem použila. Dále prohlašuji, že elektronická verze je totožná s verzí
tištěnou.

V Brně dne ............................... Podpis ........................................................


Zde bych chtěla poděkovat vedoucí práce Mgr. Zuzaně Šebelové, Ph.D. za trpělivost, užitečné
rady a připomínky, kterými přispěla k vypracování této diplomové práce.
INDICE
Introduzione................................................................................................................................6

1 La provvidenza.........................................................................................................................7

1.1 La giustizia........................................................................................................................9

2 L’ambiente vitale in cui matura la personalità di Manzoni...................................................10

2.1 Manzoni e il rapporto Dio-storia.....................................................................................12

2.2 Manzoni e la storia..........................................................................................................13

3 L’evoluzione del concetto della provvidenza........................................................................15

3.1 La provvidenza nelle poesie e nelle tragedie..................................................................16

3.2 Dal Fermo e Lucia ai Promessi sposi.............................................................................22

4 I promessi sposi......................................................................................................................23

4.1 Dati generali sul libro......................................................................................................23

4.2 La provvidenza nei Promessi sposi.................................................................................24

5 La supremazia del vero nella storia.......................................................................................27

5.1 Storia della colonna infame............................................................................................29

6 Il ruolo dell’uomo nella storia................................................................................................31

6.1 Personaggi manzoniani...................................................................................................32

7 Conclusione............................................................................................................................36

Bibliografia...............................................................................................................................38
INTRODUZIONE
Alessandro Manzoni è noto come poeta della provvidenza che cerca di trovare e
interpretare il disegno provvidenziale nella storia e nelle vite umane. La provvidenza è un
protagonista importante di tutte le sue opere. Un altro è la storia. Lo scopo della presente tesi
è di scoprire il rapporto del Manzoni con la provvidenza e con la storia e qual è, secondo
Manzoni, il ruolo della provvidenza nella storia. Osserverò come si è evoluto ideologicamente
l’autore nel corso della sua vita e in che modo si rispecchia tale sviluppo nelle sue opere, in
particolare nella sua opera più importante, nei Promessi Sposi. Cercherò di capire se la
provvidenza, così insistentemente annunciata, corrisponde ad una intima convinzione
dell’autore oppure l’autore ha un altro intento e se l’autore considera la storia un’opera di Dio
creata secondo un piano divino, oppure, come forse vedremo alla fine, dà più importanza alle
azioni dell’uomo.
Nei primi capitoli riassumerò brevemente nozioni sull’ambiente vitale e ideologico in
cui era cresciuto Alessandro Manzoni e cercherò di dare una definizione del concetto
manzoniano della provvidenza, della storia e del ruolo di Dio nella storia umana.
Nei capitoli successivi analizzerò l’evoluzione ideologica del nostro autore, dalle
prime opere scritte dopo la sua conversione al cattolicesimo, in cui celebra con fervore il
piano provvidenziale, alle tragedie, dove inizia a capire che la provvidenza non aiuta sempre
chi se lo meriterebbe e ha una funzione piuttosto purificatrice e consolatrice, per arrivare fino
ai Promessi sposi, in cui ha maturato la sua nuova visione della storia, della provvidenza e del
ruolo dell’uomo nella storia. Descriverò brevemente anche i personaggi manzoniani, per
capire qual è il loro rapporto con la provvidenza e che ruolo hanno nel romanzo.
Leggerò i testi di Manzoni, in particolare il suo romanzo storico I Promessi sposi,
cercherò di descrivere come viene raffigurata e coinvolta la provvidenza, in che modo agisce
nella storia e nelle vite delle persone e come la percepiscono le persone stesse. Proverò a
comprendere l’atteggiamento del nostro autore verso la provvidenza e la fede in Dio, così
come le sue opinioni sul bene e male, e qual è la connessione tra queste due forze e le azioni
dell’uomo.

6
1 LA PROVVIDENZA
Prima di affrontare il tema della provvidenza nel Manzoni è utile dare uno sguardo alla
visione storica e all’atteggiamento della teologia cristiana di fronte a questo fenomeno. La
visione e il concetto della provvidenza varia nei secoli e non è facile trovare una definizione
concreta. La parola stessa deriva dal termine latino “providentia” che significa premura e
previdenza. La provvidenza può essere capita come la sovranità di Dio oppure gli interventi di
Dio nelle vicende umane. Le tracce del concetto della provvidenza si trovano già nella
filosofia antica, quando corrispondeva piuttosto al concetto del destino invece che a una forza
che deve aiutare l’uomo. Altrettanto nella religione ebrea esiste l’idea della provvidenza: Dio
protegge, dirige ma anche punisce il suo popolo, conducendolo verso un futuro migliore.
“Secondo il concetto provvidenziale cristiano Dio usa le abilità, capacità intellettuali e il
libero arbitrio di tutti gli esseri, così come le loro azioni, per portare la creazione del mondo
alla perfezione.”1
Nella storia cristiana Dio è concepito come un essere infinito, che si prende cura del
mondo, è dotato d’intelletto e volontà e pur vivendo nel suo regno inaccessibile, è presente nel
mondo con la sua onnipotenza e provvidenza. Non resta indifferente di fronte a quello che
accade sulla terra ma agisce affinché vinca il bene e il male venga sconfitto. In questa visione
del mondo l’universo è visto come un insieme, sostenuto da leggi che conducono alla mente
divina. Vedendo il mondo e la vita in rapporto di dipendenza da una mente divina, è facile
affidare a Dio le azioni e gli eventi, che non si riescono a comprendere e dominare.
Secondo Immanuel Kant, uno dei più importanti filosofi dell’illuminismo, il cui idee
avranno influenzato Manzoni, l’universo ha in se stesso le spiegazioni e le cause dei propri
fenomeni, non rimanda a una spiegazione divina e in questo contesto anche la storia acquista
la sua autonomia. Il processo temporale cessa di essere un mistero che richiede una
spiegazione teologica: è l’uomo che realizza se stesso e la storia. Questo processo storico
illumina la centralità e il potere creativo dell’uomo. Si tende così a percepire la trascendenza
sempre più nella dimensione interiore dell’essere umano.2

1
Cfr. Judaismus, křesťanství, islám. Vyd. 2., podstatně přeprac. a rozš., (v nakl. Olomouc vyd. 1.).
Editor Helena Pavlincová, Břetislav Horyna. Olomouc: Nakladatelství Olomouc, 2003, 661 s., p. 427.
2
PANIZ, Giuseppe, Riflessioni sul concetto manzoniano della provvidenza.
Messina; Firenze: G. D'Anna, 1972, p. 10.
7
Il nostro contemporaneo, Luciano Parisi, professore di lingue e letterature romanze,
definisce la provvidenza così:

Il sentimento o l’idea di provvidenza è collegato all’intuizione di realtà ordinata e


piena di senso che risolve armonicamente in sé errori, dolori e mali. Alcuni credono di
cogliere nella storia i segni di tale realtà - un’intenzione divina, una progettualità che
misteriosamente connette gli eventi e dà loro significato-insistendo più sull’influenza
che sull’interferenza di Dio nel mondo. 3

A Manzoni erano vicine le idee del teologo seicentesco Jacques-Bènigne Bossuet, il


quale: “[…] distingue il miracolo, che forza la natura a uscire dalle sue leggi, dalla
provvidenza che si serve degli eventi terreni per i suoi fini senza forzare la volontà umana o la
natura, ma asseconda le loro tendenze in una direzione piuttosto che in un’altra.” 4 Secondo
Bossuet, le vite umane non sono dominate dal caso ma tutto quello che accade è opera di Dio.
Qual è allora la spiegazione del disordine, delle ingiustizie e sofferenze che esistono nel
mondo? Per Bossuet, come descrive Parisi nel suo libro, il dolore ha una funzione
purificatrice:

Le malattie sono generalmente considerate un male ma, se trasformano una persona


offrendole un’occasione per esercitare la propria pazienza e santificarsi, sono causa di
bene e bene esse stesse; la salute del corpo è analogamente un bene apparente che
diventa fonte di male, e male esso stesso, quando contribuisce alla deprivazione dello
spirito. Bene e male sono tali in relazione alla salute dell’anima; e questa salute (non
l’immediata remunerazione della virtù e punizione dei vizi) costituisce il criterio con
cui Dio provvede alla preordinazione degli eventi terreni. 5

Altrettanto i mali collettivi svolgono una funzione moralizzatrice e educativa.


Riscontriamo tali effetti “positivi” del male soprattutto nelle tragedie manzoniane: la sventura
è considerata provvidenziale dato che ci avvicina a coloro che soffrono, insegna la pazienza e
l’amore, quindi “libera” le persone dai privilegi profani e gli fa guadagnare la salvezza
dell’anima.

3
PARISI, Luciano, Il tema della Provvidenza in Manzoni. In: MLN [online]. 2009[cit. 2014-09-26].
Accessibile al http://www.jstor.org/action/showPublication?journalCode=mln, p. 84.
4
Ibidem.
5
Ivi, p. 90.

8
Bossuet comunque si rende conto della debolezza delle sue teorie e precisa quindi che
esistono un bene assoluto (la felicità eterna promessa ai giusti) e anche un male assoluto (la
dannazione), entrambi risultati della giustizia divina, i cui fini sono sconosciuti all’uomo.

1.1 LA GIUSTIZIA
Insieme alla provvidenza, che può essere considerata giustizia divina, nei romanzi di
Manzoni viene affrontato il concetto della giustizia terrena. La giustizia, a livello personale, è
una virtù morale secondo la quale ognuno si dovrebbe comportare nei confronti degli altri in
modo onesto e corretto. A livello pubblico, sotto il nome giustizia s’intende un ordine che
dovrebbe garantire a tutti gli stessi diritti. Tutti sperano nella giustizia ma nei tempi di cui
narra il nostro autore, per i poveri la giustizia civile era quasi irraggiungibile. Lo esprime
Agnese, quando insieme a Renzo e Lucia discutono di don Rodrigo: “Contro i poveri c’è
sempre giustizia.”6 I poveri quindi erano consapevoli che la giustizia, invece di aiutarli, gli si
poteva mettere contro. Non restava che avere fiducia nella provvidenza che rappresentava “un
tribunale ben altrimenti giusto e riparatore di quello mondano, dove tutti gli uomini, grandi o
infimi essi siano, hanno lo stesso trattamento”.7 Per Manzoni “la giustizia è uno stato reale
dell’anima umana, l’aspirazione suprema dell’uomo civile.”8 Nelle sue opere esprime
l’opinione che i governatori spesso non siano in grado di poter governare un paese e decidere
delle sorti di altre persone e che dovrebbero avere delle qualità morali superiori e più
responsabilità. Non è comunque difficile accorgersi che l’autore usa il termine “giustizia” in
senso negativo o per lo meno ironico:

Nel terzo capitolo Renzo aveva affermato che a questo mondo c’è giustizia,
finalmente! sottintendendo che, invece, non ve ne era alcuna e che l’unico mezzo
perché i poveri l’abbiano è quello di farsela da sé; […] nel capitolo terzo la visita di
Renzo al dottor Azzecca-garbugli costituisce una riprova di come la giustizia sia
soltanto un nome vano; […] a proposito dei fornai costretti a produrre pane ad un
prezzo antieconomico, l’autore afferma che le giustizie del popolo sono delle peggio
che si facciano in questo mondo. ”9

6
MANZONI, Alessandro, I promessi sposi. Milano: Garzanti, 2000, p. 87.
7
Cfr. TOSCANI, Claudio, Come leggere I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, Milano: U. Mursia
editore, 1994, p. 78.
8
Cfr. DERLA, Luigi, Il realismo storico di Alessandro Manzoni, Varese: Istituto editoriale cisalpino,
1965, p. 219.
9
MICCINESI, Mario, Invito alla lettura di Alessandro Manzoni. 2. ed. Milano: Mursia, 1990, p. 216- 217.

9
Queste citazioni dimostrano che per Manzoni la giustizia è solo una parola e che la
giustizia umana, secondo lui, non funziona come dovrebbe. Un esempio clamoroso di tale
giustizia civile, meglio dire ingiustizia, è riportato nel saggio storico Storia della colonna
infame, in cui “la giustizia umana”, ignorando la mancanza delle prove, il buon senso e la
morale ha condannato a una morte crudele due persone innocenti.
Nello stesso tempo, come si scoprirà nei capitoli successivi, il nostro autore non perde
la speranza in un futuro migliore, crede nella forza creatrice dell’uomo e perciò vuole educare
gli uomini e motivarli a un comportamento conforme allo spirito del cristianesimo. Nel suo
romanzo più celebre, I promessi sposi, incorpora quindi l’idea che facendo del bene, l’uomo
con le sue gesta rappresenta la provvidenza divina.

2 L’AMBIENTE VITALE IN CUI MATURA LA PERSONALITÀ DI


MANZONI
Per poter comprendere meglio il senso religioso dell’opera di Manzoni è necessario
guardare l’ambiente in cui era cresciuto e vissuto. Alessandro Manzoni nacque alla fine del
‘700. Secondo i costumi di allora fu affidato a una balia e i suoi genitori s’interessavano poco
di lui. C’è da immaginarsi che la sua infanzia non sia stata molto felice, basta ricordare il noto
episodio quando la madre lo abbandonò nel collegio senza nemmeno salutarlo. Ristabilì il
rapporto con lei solo in età adulta. Alessandro rimase per diversi anni nei collegi di vari ordini
religiosi, dove compì anche gli studi.

La mancanza d’amore da parte dei genitori e la solitudine erano probabilmente una


delle cause dei disturbi psichici di cui Manzoni soffriva anche da adulto. E secondo gli
psicoanalisti possono aver contribuito alla sua conversione alla fede cattolica perché essa
offriva alla sua anima il sostegno che gli mancava. Sicuramente la conversione rappresentò
per lui l’acquisto di certezze perché la fede offre a ogni persona una norma di condotta morale
e le risposte alle domande sul senso della vita umana.
Il soggiorno nell’ambiente colto in cui visse con sua madre, dopo essersi unito a lei a
Parigi, insieme ai ricordi amari della vita nei collegi religiosi, lo portarono alle opinioni
democratiche, razionaliste e illuministe. Gli illuministi credevano che grazie alla ragione fosse
possibile liberare la gente dell’ignoranza, portando l’umanità a un progresso morale,
economico e politico.
10
Ma l’illuminismo era ormai al suo tramonto e inoltre non tutti i problemi parevano
risolvibili con la ragione, le esigenze profonde dello spirito non potevano essere sodisfatte per
mezzo della ragione e in Manzoni, così come in tutti gli uomini, rimaneva l’aspirazione di
avere le risposte alle domande sul senso dell’universo e della vita umana. Dalle opere
giovanili di Manzoni si può ricostruire l’itinerario interiore di un pensatore deluso dalla realtà,
tanto diversa da quella che promettevano ottenere gli illuministi tramite la ragione. Si
aggiunge la delusione della rivoluzione francese, l’involuzione politica di Napoleone e il
trionfo della Restaurazione. E come se non bastasse, anche la religione sembra di non dargli
delle risposte convincenti. Tutto ciò porta Manzoni a riflettere sulla funzione della storia.
Manzoni, persa la speranza di trovare il senso della vita e della storia tramite la
ragione, inizialmente cercò le spiegazioni nella religione cattolica. Credette di poter scoprire
nella religione e nelle sue dottrine un principio, un piano divino che soddisfacesse il suo
bisogno di risposte. Fu convinto che la religione potesse illuminare il mistero del mondo e
della vita. Essendo però educato dall’illuminismo, fu critico anche verso la religione e volle
sottoporre la verità presentata dalla chiesa cattolica alla prova della ragione e spiegare
razionalmente le affermazioni della tradizione cristiana. Inoltre si rese conto che la
provvidenza non agiva sempre come sarebbe logico se ci fosse un piano provvidenziale a
regolare l’andamento del mondo. Quindi cominciò a dedicare più attenzione alla storia, con la
speranza di trovarvi le risposte alle domande che cercava.
Ci fu una persona che sicuramente ispirò più di chiunque altro il giovane Manzoni nel
cercare nella storia un piano ultraterreno - Vincenzo Cuoco, uno scrittore, saggista, politico ed
economista. Probabilmente fu il primo a parlare al Manzoni del concetto della provvidenza.
Nel suo libro La provvidenzialità della storia Cuoco scrive:

Qualunque sia la credenza interna di un uomo su quelle cose che impossibile è il


conoscere, pericolosissimo il disputarne, è certo però che esiste un ordine universale,
dipendente da una forza superiore che noi potremo pur chiamare con diversi nomi, ma
che dobbiamo tutti convenire in dir che sia unica. 10

Parlando della vita di Alessandro Manzoni non si può tralasciare il suo ruolo
nell’unificazione della lingua italiana. Manzoni fu nominato dal ministro della pubblica
istruzione a presidente della commissione il cui compito era l’unificazione della lingua
italiana e la sua diffusione tra il popolo. Nel 1868 scrisse la relazione Dell’unità della lingua e
dei mezzi di diffonderla in cui indicò il fiorentino come lingua adatta per tutta l’Italia e si
10
MICCINESI, Mario, Invito alla lettura di Alessandro Manzoni. 2. op. cit., p. 28.
11
impegnava affinché il fiorentino venisse insegnato sulle università di tutta l’Italia. A tale fine
rielaborò anche il linguaggio del suo romanzo I promessi sposi sostituendo il dialetto milanese
con il linguaggio vivo dei fiorentini colti.

2.1 MANZONI E IL RAPPORTO DIO-STORIA


Cercare di scoprire nella storia umana la mano di Dio non è certo un compito facile:
“Da un punto di vista strettamente dogmatico, l’intervento di Dio nella storia è limitato: Dio
per mezzo del Verbo causa, con la creazione e la fine del mondo, l’inizio e la fine del tempo
storico.”11 Inoltre, secondo la teologia cristiana, Dio ha dato all’uomo il libero arbitrio, forse
con l’intento che l’uomo creasse il mondo con le proprie forze.
Tornando al Manzoni, si può citare una frase dell’introduzione della Storia della
colonna infame che sembra rivelare il suo interrogativo:

Ci par di vedere la natura umana spinta invincibilmente al male da cagioni indipendenti


dal suo arbitrio, e come legato a un sogno perverso e affannoso, da cui non ha mezzo di
riscuotersi, di cui non può nemmeno accorgersi […]. Il pensiero si trova con
raccapriccio condotto a esitare tra due bestemmie, che son due deliri, negar la
provvidenza, o accusarla.12

Questi lati oscuri dell’anima umana e della storia che hanno rovinato i tentativi degli
illuministi di sottoporre l’andamento della storia a un ordine armonioso, emergono di fronte
alla coscienza di Manzoni in cerca di una ragione, magari ultraterrena, che potrebbe
interpretare i problemi dell’esistenza umana.
Manzoni però non credeva di trovare in una ragione soprannaturale la spiegazione
dello sviluppo della storia o del comportamento umano. Sapeva che di Dio e del suo disegno
ne sappiamo troppo poco per poterlo comprendere.
Questo pessimismo cristiano portò Manzoni alla conclusione che la vita è una guerra
contro il male. Il male e il bene sono gli elementi che formano la realtà umana: il male è una
forza oscura che spaventa l’uomo, mentre il bene gli dà la speranza perché manifesta il divino.
“La storia è lo specchio di tale lotta in un lento progredire del bene, del prevalere della
giustizia, nella prospettiva di una vittoria finale.” 13 Manzoni sapeva che l’uomo non potrà mai
raggiungere la vittoria definitiva sul male in nessun momento della storia, e d’altra parte
11
Cfr. MARIANI, Umberto, Il solito Manzoni e il Manzoni vero. Pesaro: Metauro, 2006, p. 22-23.
12
MANZONI, Alessandro, Storia della colonna infame, in Prose minori, Firenze, Sansoni, 1967, p. 44,
cit. da PANIZ, Giuseppe, Riflessioni sul concetto manzoniano della provvidenza. Op. cit., p. 21.
13

MANZONI, Alessandro, Storia della colonna infame, in Prose minori, Firenze, Sansoni, 1967, p. 44,
cit. da PANIZ, Giuseppe, Riflessioni sul concetto manzoniano della provvidenza. Op. cit., p. 28
12
sentiva il bisogno di comunicare ai suoi lettori che non dovevano mai rinunciare a questo loro
impegno umano, anche se a volte sembra impari e assurdo di fronte alle ingiustizie che
appaiono nel mondo. In questi momenti la fede cristiana, pur non potendo dare una
giustificazione razionale delle sventure che porta la vita, offre all’uomo una consolazione e lo
guida per superare gli ostacoli della vita, apparentemente invincibili. Nell’opera di Manzoni si
trovano tracce dell’accettazione delle contraddizioni di questo mondo: come esempio si può
indicare il personaggio di Lucia, che si affida a Dio nei momenti difficili; ma cisi trova anche
l’esempio di un atteggiamento attivo verso la propria sorte, pur rispettando interamente Dio,
cioè il personaggio di Renzo, che cerca sempre di risolvere i problemi con le proprie forze.

2.2 MANZONI E LA STORIA


Che cosa è la storia? La risposta a questa domanda non è facile e varia secondo
l’epoca e la civiltà. Ha scritto Amiel: “A prima vista, la storia non è che disordine e caso; a
seconda vista, sembra logica e necessaria; a terza vista, sembra una mescolanza di necessità e
libertà; al quarto esame non si sa più che cosa pensarne... poi torniamo alla prima spiegazione,
ma con l’allegria in meno.”14
L’ebraismo aspettava il Messia, che terminasse la storia e portasse l’umanità all’inizio
della creazione, alla purezza primordiale. Il cristianesimo permette all’uomo di guardare verso
il futuro, tramite Cristo offre la salvezza e una vita migliore. L’uomo comincia a concepire la
storia come un elemento lineare, che ha un inizio e una fine, tutto ciò diretto da Dio. Tuttavia,
l’umanità comincia a sviluppare la propria conoscenza storica solo dopo il medioevo. Che
cosa è stata la conoscenza storica e la storia per Manzoni? Il nostro autore credeva che i
grandi vettori della storia fossero il pensiero e la passione e voleva capire la storia e i suoi
percorsi per trovarci risposte alle domande esistenziali, voleva rappresentare e interpretare la
storia per spiegarla ai lettori. Per questi motivi decise di scrivere un romanzo storico che gli
avrebbe dato spazio e possibilità per sviluppare le sue idee e spiegare la storia alla gente.
Prima di iniziare a scrivere studiava attentamente i fatti storici per poter dare
un’interpretazione più precisa possibile dell’avvenuto. La sua preoccupazione principale era
quella di scoprire lo stato generale dell’umanità nelle varie epoche, perciò si dedicò alla
storiografia. Ecco che cosa significava per Manzoni la scienza storica: “ De’fatti reali, dello
14
TILGHER, Pensieri sulla storia, cit. da DERLA, Luigi, Il realismo storico di Alessandro Manzoni.
Op. cit., p. 81
13
stato dell’umanità in certi tempi, in certi luoghi, è possibile acquistare e trasmettere una
cognizione, non perfetta, ma effettiva: ed è ciò che si propone la storia: intendo sempre la
storia in buone mani...”15 E le mani di Manzoni erano quelle giuste? Secondo alcuni critici,
“Manzoni osservava la storia dal di fuori, dall’alto, dal punto che gli rendeva possibile di
contemplare il corso e il fine della storia e intonare inni alla provvidenza o sfilare facezie
sullo spettacolo solenne o ridevole del vivere umano” 16 Ma Manzoni stesso credeva di aver
raggiunto la verità storica, almeno per quanto gli competeva. Era convinto che: “[…] la storia
dovesse contenere la testimonianza oggettiva della presenza operante dei principi e del piano
divini, attraverso i quali si potesse spiegare il mistero degli eventi umani, dei loro trionfi e
delle loro tragedie.”17 Nella presente tesi cercherò di capire se Manzoni riuscì veramente a
trovare tali testimonianze.

3 L’EVOLUZIONE DEL CONCETTO DELLA PROVVIDENZA


Nelle prime opere scritte dopo la conversione Manzoni celebra il cristianesimo,
esprime la propria fede in Dio, lo chiama in aiuto e crede in un piano divino che opera nella
storia a favore dell’umanità. Il tema della provvidenza non vi appare ancora.
Nelle tragedie il concetto manzoniano della provvidenza è vicino a quello del teologo
Bossuet, che ho menzionato nel secondo capitolo, cioè la sofferenza e il male hanno una
funzione purificatrice ed educatrice. Non ci sono interventi provvidenziali che aiutino gli eroi
delle tragedie nelle loro imprese, oppure li salvino dall’ingiustizia subita, anzi, gli eroi devono
affrontare i colpi del destino e i propri conflitti interiori perché essi li aiutano a purificare
l’anima e a raggiungere la salvezza eterna.
Invece nei Promessi sposi appare la parola “provvidenza” quasi in ogni capitolo. Ma
non vi si trova mai un intervento provvidenziale diretto, espresso con chiarezza. Sono le
persone, soprattutto quelle semplici e povere, che ringraziano o invocano la provvidenza per
spiegare gli avvenimenti, per dare loro un senso o per esprimere la loro fiducia in Dio. Renzo,
mentre scappa da Milano perché per un paio di sfortunate coincidenze è diventato sospettato
di un complotto, di notte si dispera della propria sorte ma si consola: “Quel che Dio vuole,
rispondeva ai pensieri che gli davan più noia: quel che Dio vuole. Lui sa quel che fa: c’è
15
DERLA, Luigi, Il realismo storico di Alessandro Manzoni. Op. cit., p. 45.
16
Cfr. Ivi, p. 49.

17
MARIANI, Umberto, Il solito Manzoni e il Manzoni vero. Op. cit., p. 67.
14
anche per noi. Vada tutto in isconto de’miei peccati. Lucia è tanto buona! non vorrà poi farla
patire un pezzo, un pezzo, un pezzo!”18
Nei capitoli successivi cercherò di descrivere più dettagliatamente l’evoluzione
ideologica e la visione della provvidenza di Manzoni, basandomi sulle sue opere principali.
Mi concentrerò soprattutto sui Promessi sposi e cercherò di spiegare che quando Manzoni
scriveva questo romanzo, nel suo intimo non credeva più negli interventi provvidenziali,
rinunciò alla ricerca del piano divino nella storia e arrivò a una visione della provvidenza più
personale e intuitiva.

3.1 LA PROVVIDENZA NELLE POESIE E NELLE TRAGEDIE


Alessandro Manzoni cominciò a scrivere le poesie già a 16 anni. Negli Inni sacri,
scritti poco dopo la conversione al cristianesimo tra il 1812 e 1822, Manzoni vuole soprattutto
celebrare gli eventi più importati del cristianesimo e sottolineare il loro significato e
l’importanza: “ L’ispirazione fondamentale degli Inni è la verifica della presenza operante dei
principi e dei misteri del Cristianesimo nella storia della funzione provvidenziale,
civilizzatrice, salvifica di tale presenza.”19
Manzoni aveva l’intenzione di scrivere dodici inni, uno per ogni mese, ma alla fine ne
terminò solo cinque: La Resurrezione, Il nome di Maria, Il Natale, La Passione, La
Pentecoste e ne lasciò incompleto il sesto Ognissanti, forse perché la pubblicazione non ebbe
grande successo.
In queste poesie, ispirate dai componimenti dell'antica innografia cristiana, Dio viene
chiamato ad intervenire per ristabilire la giustizia sulla terra, per porre fine alle sofferenze dei
buoni e punire i malvagi. Questo motivo si riscontra ne La Passione:

Gli uccisori esultanti sul monte


Di Dio l’ira già grande minaccia;
Già dall’ardue vedette s’affaccia,
Quasi accenni: tra poco verrò.
(La Passione, PT, p. 11, vv. 77-80) 20

18
MANZONI, Alessandro, I promessi sposi. Op. cit., p. 239.
19
MARIANI, Umberto, Il solito Manzoni e il Manzoni vero. Op. cit., p. 38.
20
MANZONI, Alessandro, La Passione, cit. da PARISI, Luciano, Il tema della Provvidenza in Manzoni.
Op. cit., p. 84.
15
Altrettanto ne La Pentecoste, l’ultimo degli Inni, considerato dai critici quello
migliore, viene invocato lo Spirito Santo perché “ […] continui a scendere sulla terra, compia
la sua opera di rinnovamento spirituale e consoli i sofferenti.”21
Manzoni s’interessava anche della vita pubblica e politica. Nel periodo dopo
l’abdicazione del re Vittorio Emanuele I fu concessa la costituzione e i liberali piemontesi
credettero che i Savoia avrebbero fatto guerra all’Austria, Manzoni si lasciò prendere
dall’entusiasmo e scrisse in soli tre giorni l’ode civile Marzo 1821. In questa poesia esprime
la convinzione che i popoli devono lottare per la propria indipendenza e che Dio li aiuterà in
tale lotta perché è giusto e vuole che tutte le nazioni siano libere. Si può dire che il motivo è
simile a quello delle poesie religiose:

Chi v’ha detto che sterile, eterno


Saria il lutto dell’tale genti?
Chi vi ha detto che ai nostri lamenti
Saria sordo quel Dio che v’udì?
Sì quel Dio che nell’onda vermiglia
Chiuse il rio che inseguiva Israele,
Quel che in pugno alla maschia Giaele
Pose il maglio, ed il colpo guidò.
(Marzo 1821, PT, p. 117, vv. 61-68) 22

Nelle poesie, sia le religiose sia quelle politiche, Manzoni ha una visione panoramica
del disegno provvidenziale ed esprime la propria fiducia in Dio e nei suoi interventi nella
storia. L’autore si riferisce agli eventi storici, i quali, essendo visti a distanza per periodi
lunghi e con gli occhi di chi li vuole vedere in quel modo, sembrano fatti da Dio, a favore
dell’umanità. Manzoni crede quindi negli effetti positivi della provvidenza nella storia e inizia
a studiarla, sperando di trovare nei dati storiografici i segni del piano divino. Come forma
letteraria sceglie la tragedia perché essa esprime il travaglio interiore di una persona e la sua
lotta contro il destino. Invece gli cominciano a sorgere dei dubbi sugli effetti positivi della
provvidenza perché nelle tragedie il suo sguardo si sposta dagli eventi d’interi millenni a un
21
Cfr. MICCINESI, Mario, Invito alla lettura di Alessandro Manzoni. Op. cit., p. 124.

22
MANZONI, Alessandro, Marzo 1821, cit. da PARISI, Luciano, Il tema della Provvidenza in Manzoni.
Op. cit., p. 85.

16
concreto momento storico, alla vita delle singole persone. In questo periodo Manzoni
comincia a dubitare sulla presenza e sull’efficacia di un piano divino nella storia.
Non cessa di credere nella forza liberatrice del cristianesimo ma non riesce a cogliere e a
verificare un piano divino operante nella storia.23
La prima tragedia di Manzoni, basata sui fatti veri, è Il Conte di Carmagnola. È un
dramma storico in cinque atti, scritto da Manzoni tra gli anni 1816-1819, pubblicato nel 1820,
con la prima rappresentazione nel 1828 al Teatro Goldoni di Firenze. Il protagonista della
tragedia è il conte di Carmagnola, condottiero, secondo Manzoni una persona magnanima con
una fine immeritata. Tramite quest’opera, ispirata dalle guerre tra il Ducato di Milano e la
Repubblica di Venezia nel ‘400, Manzoni critica le discordie dei suoi tempi tra gli italiani, che
impedivano l’unificazione dell’Italia. Manzoni era deluso dal comportamento dei suoi
contemporanei e spaventato dalle guerre fratricide del ‘400: “I fratelli hanno ucciso i fratelli,/
Questa orrenda notizia vi do.”24 È difficile decidere, quale delle parti fosse nel giusto,
tantomeno trovarci un piano divino. Piuttosto sembra che prendano sopravento le forze del
male.
Il conte di Carmagnola, d’origine un uomo povero, inizialmente è dalla parte dei
Milanesi, dopo però passa dai Veneziani e vince per loro la battaglia di Maclodio.
Successivamente i Veneziani lo sospettano di tradimento, lo arrestano e condannano a morte.
Il conte di Carmagnola, come un eroe di una tragedia classica, generoso, sincero, sicuro di
essere nel giusto, invece di fuggire quando sa di essere sospettato di tradimento, affronta le
accuse a fronte alta ma viene condannato a morte. Nessuna forza maggiore interviene per
aiutarlo, nessuna presenza divina è visibile nella sua azione tragica. Soltanto la sua morte
immeritata viene illuminata dalla consolazione di un paterno abbraccio di Dio:

“Pei diserti in cielo / c’è un Padre”; dal fatto che tutte le gioie della vita sono “un don
del cielo”; dal fatto che la morte stessa non è stata inventata dagli uomini: “ella saria /
Rabbiosa, insopportabile: dal cielo / Essa ci viene; e l’accompagna il cielo/Con tal
conforto, che né dar né torre / Gli uomini ponno”.25

In quest’opera troviamo già gli accenni della possibilità che la provvidenza non
intervenga sempre subito e che le sue finalità siano diverse dalle aspettative umane.

23
Tratto da MARIANI, Umberto, Il solito Manzoni e il Manzoni vero. Op. cit.
24
Cfr. MARIANI, Umberto, Il solito Manzoni e il Manzoni vero. Op. cit., p. 69.
25
Cfr. Ivi, p. 72.
17
Il conte di Carmagnola, mentre parla ai suoi compagni d’armi, definisce le modalità
della giustizia divina così:

Solo al vinto non toccano i guai;


Torna in pianto dell’empio il gioir.
Ben talor nel superbo viaggio
Non l’abbatte l’eterna vendetta;
Ma lo segue, ma veglia ed aspetta;
Ma lo coglie all’estremo sospir. 26

Quando Manzoni decide di scrivere la seconda tragedia, sceglie un protagonista del


tutto diverso. Si rende conto che un capitano di ventura, un guerriero che uccide, non ha le
qualità morali che deve avere un vero eroe. Inizia a scrivere Adelchi, un dramma storico in
cinque atti, con il quadro storico più ampio, riferito agli avvenimenti che hanno preceduto la
caduta del regno longobardico in Italia. L’opera fu scritta tra 1820 e 1822, pubblicata nel 1822
e la prima si svolse nel 1843 al Teatro Carignano di Torino.
I personaggi principali di Adelchi sono il re Desiderio, suo figlio Adelchi, la figlia
Ermengarda e il re franco Carlo. In quest’opera troviamo gli elementi della provvidenza come
la vedeva Bossuet, il quale, come abbiamo descritto nel terzo capitolo, credeva nella sua
funzione purificatrice. Manzoni però ci “aggiunge dei dubbi e negazioni e la tragedia
riafferma l’instabilità, l’ingiustizia e il disordine del mondo: Ermengarda sposa l’uomo che
ama, ma viene ripudiata; Desiderio vede i franchi ritirarsi dalle sue terre ma è attaccato alle
spalle e catturato dai nemici; Carlo Magno sconfigge gli avversari quando si ritiene vinto e sta
per rientrare in Francia.”27 In questa tragedia Manzoni approfondisce anche il travaglio
interiore dei suoi personaggi e noi lo sentiamo nelle parole di Adelchi, quando vuole agire
secondo la propria morale ma è ostacolato dalla sorte, quindi la provvidenza non solo non lo
aiuta ma gli rende difficile la decisione di come agire:

Il mio cor m’ange, Anfrido: e mi comanda


Alte e nobili cose; e la fortuna
Mi condanna ad inique, e strascinato

26
MANZONI, Alessandro. Conte di Carmagnola [online]. Letteratura italiana Einaudi.
[cit. 2014-11-09].Accessibile al: http://www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_8/t339.pdf, p. 56
27
PARISI, Luciano, Il tema della Provvidenza in Manzoni. Op. cit., p. 92.
18
Vo per la via ch’io non mi scelsi, oscura,
Senza scopo; e il mio cor s’inaridisce,
Come il germe caduto in rio terreno,
E balzato dal vento.28

In un’altra situazione, quando Ermengarda si lamenta del suo destino, Adelchi le


risponde che solo Dio può fare la giustizia, quindi crede nell’azione punitrice di Dio:

Così la vita de’migliori il cielo


All’arbitrio de’rei: non è in lor mano
Ogni speranza inaridir, dal mondo
Torre ogni gioia.29

Anche in quest’opera, come nel Conte di Carmagnola, sembra non esserci nessun
intervento positivo della provvidenza, nessun rimedio temporale ed umano alla sventura, Dio
solo può darle un senso e un valore, nei modi che a noi non sono chiari e comprensibili.
Adelchi dice al suo padre di dare al re franco il seguente messaggio:

Il Dio che i giuri ascolta


Che al debole son fatti, e ne malleva
L’adempimento o la vendetta, il Dio,
Di cui talvolta più si vanta amico
Chi più gli è in ira, in cor del reo sovente
Mette una smania, che alla pena incontro
Correr lo fa. 30

La protagonista femminile, Ermengarda, sorella di Adelchi, rappresenta un


cristianesimo più maturo di quello di Carmagnola: mentre il condottiero perdona i propri
nemici, Ermengarda prega per loro: “ Io pregherò, per quell’amato Adelchi, / Per te, per quei
che soffrono, per quelli/ Che fan soffrir, per tutti.” 31Manzoni riassume nella figura di
Ermengarda le affermazioni di Bossuet sull’effetto purificante del dolore. Ermengarda viene
28
MANZONI, Alessandro. Adelchi [online]. Letteratura italiana Einaudi [cit. 2014-11-05].
Accessibile al: http://www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_8/t341.pdf, p. 49.
29
MANZONI, Alessandro. Adelchi [online]. Op. cit., p. 22.
30
Ivi, p. 86
31
MANZONI, Alessandro. Adelchi [online]. Op. cit., p. 69.
19
ripudiata dal suo marito, Carlo Magno, si rifugia in un convento e si affida al Dio. L’autore
spiega le sue sofferenze come un’esperienza che purificherà la sua anima: il dolore ammenda
il male commesso e rende possibile l’eterna salvezza spirituale:

Te collocò la provvida
Sventura in fra gli oppressi:
Muori compianta e placida;
Scendi a dormir con essi:
Alle incolpate ceneri
Nessuno insulterà. 32

Quindi quello che inizialmente sembra una disgrazia, in realtà è un’espiazione che
assolve e cancella il male fatto in vita da Ermengarda e le fa guadagnare il paradiso; la
provvidenza interviene causando le sventure e il dolore, aprendo a Ermengarda le porte della
vita eterna che altrimenti resterebbero per lei chiuse.
In base a quanto ho documentato sopra posso constatare, che nelle prime opere di
Manzoni il tema della provvidenza non appare ancora molto chiaramente anche se è evidente
che Manzoni crede nel piano divino perché invoca spesso Dio. La provvidenza esiste ma
agisce lentamente, attraverso i secoli, e spesso in modo contradittorio. Viene usato il termine
“la provvida sventura”, cioè la provvidenza, che tramite il dolore aiuta le persone di
raggiungere la salvezza finale dell’anima ma non le aiuta nel corso della loro vita. Con la voce
di Adelchi l’autore dice addirittura che “sulla terra non resta che far torto o patirlo”. La
provvidenza ha soprattutto la funzione consolatrice e purificatrice: la sofferenza è un dono di
Dio perché prova che non si è fatto il male.

3.2 DAL FERMO E LUCIA AI PROMESSI SPOSI


Come si è visto nel capitolo precedente, le poesie e le tragedie non soddisfecero
l’aspirazione di Manzoni di trovare nelle vicende umane gli interventi della provvidenza che
aiutassero le persone. Nel corso degli anni, Manzoni prestava sempre più attenzione alla storia
e alla natura umana e decise di scrivere un romanzo storico sperando che la sua trama ampia
gli offrisse più possibilità di decifrare nella storia umana un ordine e interventi della mano
divina. Nel 1821 Manzoni iniziò a scrivere un abbozzo, che dopo diversi anni divenne il suo
capolavoro. I personaggi e la trama di entrambi testi rimasero sostanzialmente uguali ma

32
Ivi, p. 79.
20
cambiò il concetto della provvidenza, come si può leggere nelle Riflessioni sul concetto
manzoniano della provvidenza:
“A giudizio dei critici, sembra che si sia verificata una notevole evoluzione nel
concetto di provvidenza tra il primo abbozzo, Fermo e Lucia, e il romanzo I promessi sposi.
Una maturazione che interessa non solo la concezione religiosa della storia ma le stesse
tecniche narrative, strettamente legate al piano ideologico.”33 Mentre nel Fermo e Lucia
Manzoni era continuamente presente come narratore, nei Promessi sposi distingue
chiaramente le sue impressioni personali con un tono scherzoso: quando durante i tumulti
popolari per la mancanza del pane la gente distrugge le botteghe dei fornai, l’autore lo
commenta: “Veramente, la distruzione de’frulloni e delle madie, la devastazione de’forni, e lo
scompiglio de’fornai, non sono i mezzi più spicci per far vivere il pane; ma questa è una di
quelle sottigliezze metafisiche, che una moltitudine non ci arriva.” 34 Inoltre, l’autore mira
sempre a farci osservare la realtà attraverso gli occhi dei personaggi, non come raccontata da
lui. Nell’undicesimo capitolo, Renzo, quando va a Milano, descrive il paesaggio come gli
appare in quel momento: ricorda che l’immagine del duomo corrisponde esattamente a come
gliela avevano descritta quando era bambino.
Nel capitolo successivo, concentrato sull’opera principale di Manzoni, proverò a
dimostrare che l’autore, in base ai fatti storici, comincia a pensare che le cause del bene e del
male non sono soprannaturali, cioè che non sono interventi della provvidenza divina, ma che
il bene e il male sono le conseguenze delle azioni umane e che il creatore della storia non è
Dio ma l’uomo.

4 I PROMESSI SPOSI

4.1 DATI GENERALI SUL LIBRO


Dopo studi dettagliati dei dati storici Manzoni inizia a scrivere un abbozzo, intitolato
Fermo e Lucia. Ci impiega, con delle interruzioni per altri lavori, un paio d’anni e lo porta a
termine nel 1823. Il lavoro comporta tante difficoltà perché l’autore consulta numerosi
documenti storici per poter ricostruire il meglio possibile la realtà storica. Dopo circa quattro
anni, nel 1827, tra tante modifiche e riduzioni, pubblica la seconda stesura dell’opera,

33
Cfr. PANIZ, Giuseppe, Riflessioni sul concetto manzoniano della provvidenza. Op. cit., p. 37.
34
MANZONI, Alessandro, I promessi sposi. Op. cit., p. 178.
21
chiamata “La Ventisettana”, il cui titolo era probabilmente Gli sposi promessi ma è stato
sostituito con il titolo definitivo I promessi sposi. Manzoni non era ancora sodisfatto della sua
opera, in particolare del linguaggio del romanzo, che era il dialetto milanese. L’autore lo
voleva sostituire con il dialetto fiorentino, che considerava lingua unificatrice. Dopo le
revisioni linguistiche, nel 1840, viene pubblicata la terza e ultima redazione dei Promessi
sposi, chiamata “La Quarantana”.
La trama del romanzo è ambientata all’inizio del ‘600 in Lombardia, durante il
dominio spagnolo. I protagonisti sono due giovani, Renzo e Lucia, due giovani poveri e
semplici di campagna, che si amano e vogliono sposarsi. Prima devono affrontare numerose
difficoltà, intrighi da parte di un uomo potente, e ostacoli del destino. Sono costretti a
separarsi per un tempo lunghissimo ma alla fine, grazie alla loro pazienza, amore, aiuto di
altre persone e forse anche quello della provvidenza, si ritrovano, si sposano e comprano un
piccolo filatoio, hanno bambini e vivono felici. Manzoni stesso spiega, dove ha trovato
l’ispirazione e i dati storici per il suo romanzo:

Ma trovai nel Ripamonti quegli strani personaggi della Signora di Monza,


dell’Innominato, del Cardinal Federigo, e la descrizione della carestia e della rivolta di
Milano, del passaggio dei lanzichenecchi e della peste; e viste le grida dei governatori
di Milano, ho pensato: Non si potrebbe inventare un fatto a cui prendessero parte tutti
questi personaggi ed in cui entrassero tutti questi avvenimenti?” 35

Ma non bisogna dimenticare che la storia privata dei due protagonisti doveva servire
per rappresentare un’epoca storica, nella quale Manzoni voleva scoprire il disegno
provvidenziale alla cui ricerca aveva abbandonato la tragedia per il romanzo storico.
Studiando con attenzione i materiali storiografici, Manzoni comincia a pensare che le cause
del male non siano metafisiche ma che sono le conseguenze della cattiveria, l’ignoranza e
l’egoismo della gente, in particolare dei governanti e potenti.

4.2 LA PROVVIDENZA NEI PROMESSI SPOSI


Leggendo I promessi sposi, nessuno può dubitare che la provvidenza sia uno dei temi
principali del romanzo. Si trova in ogni capitolo, i personaggi la chiamano in aiuto o la
ringraziano, viene citata anche dal narratore, e di seguito indicherò alcuni esempi, scelti dal
libro di Miccinesi:

35
TOSCANI, Claudio, Come leggere I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. Op. cit., p. 24.

22
Nel sesto capitolo, la provvidenza mette un filo nelle mani di padre Cristoforo;
nell’ottavo fa sì che Menico incontri Renzo, Lucia e Agnese che fuggono dalla
abitazione di don Abbondio e li avvisi del pericolo che stanno correndo tornando a casa
di Agnese. Nel quattordicesimo ancora la provvidenza ha pensato a procurare a Renzo
il pane che lo stesso mangerà poi all’osteria della Luna piena. Nel diciassettesimo,
Renzo va verso l’Adda a “guida della Provvidenza”; nello stesso capitolo il
protagonista, giunto in riva all’Adda ringrazia in cuor suo la Provvidenza; poco dopo
soccorre una famiglia di bisognosi, in nome della Provvidenza; Lucia, in casa del sarto,
in cui è stata accolta dopo la sua liberazione dal castello dell’Innominato, pensa che
l’allontanamento di Renzo sia stato voluto dalla Provvidenza e si abbandona al
pensiero che, sempre la Provvidenza, faccia in modo che Renzo non pensi più a lei. Nel
capitolo ventottesimo don Gonzalo spera nell’aiuto della Provvidenza quando i
lanzichenecchi stanno per scendere nel territorio milanese. Nel trentesimo è don
Abbondio ad invocare la Provvidenza quando accetta di rifugiarsi nel castello
dell’Innominato per cercar scampo all’invasione dei lanzichenecchi. Nel
trentaquattresimo, quando Renzo salta sul carro dei monatti per sfuggire al linciaggio,
dopo che è stato scambiato per un untore, ringrazia la Provvidenza di averlo salvato.
Nel trentaseiesimo la Provvidenza fa capitare Renzo proprio dalle parti del lazzaretto
dove deve recarsi Lucia, ed è la stessa provvidenza che fa trovare a Lucia, nel
momento del bisogno, la buona vedova che si occuperà di lei prendendola sotto la sua
protezione.” 36

Il richiamo della provvidenza in qualsiasi situazione e sotto ogni pretesto percorre


tutto il romanzo. Si nota che la provvidenza viene invocata e ringraziata soprattutto dalla
gente povera e semplice, che in questo modo esprime la propria fiducia in un senso divino
della storia e in una giustizia superiore a quella terrena. In particolare Lucia rappresenta un
esempio della fede pura e cristallina. Per lei la provvidenza coincide con la volontà di Dio e si
affida a questa volontà nei momenti difficili. Lucia dice a Renzo quando lui vuole agire in
modo non conforme al cristianesimo, per dissuaderlo: “Il signore c’è anche per i poveri; e
come volete che ci aiuti, se facciam del male.”37
Non ci sono quindi dubbi che la provvidenza sia un elemento importantissimo del
romanzo. Ma il lettore si può chiedere se la provvidenza annunciata ripetutamente corrisponda
veramente alla convinzione intima dell’autore. L’autore coinvolge la provvidenza anche nelle
situazioni, in cui è evidente che non si sia trattato di un intervento provvidenziale. Renzo, in
osteria, dice scherzando che al pane ci ha pensato la provvidenza, quando invece lo aveva
trovato in terra: “Al pane, disse Renzo ad alta voce e ridendo, ci ha pensato la provvidenza. E
tirato fuori il terzo e ultimo di que’pani raccolti sotto la croce di san Dionigi, l’alzò per aria,

36
MICCINESI, Mario. Invito alla lettura di Alessandro Manzoni. Op. cit., p. 215.
37
MANZONI, Alessandro, I promessi sposi. Op. cit., p. 35.
23
gridando: ecco il pane della provvidenza!”38 L’uso così frequente della parola “provvidenza”,
anche dove non ce n’è bisogno, fa pensare che Manzoni voglia fare capire al lettore che cerca
solo d’interpretare il modo di pensare dei personaggi seicenteschi, per far vedere la realtà con
gli occhi loro. L’autore stesso però era piuttosto pessimista, sia riguardo alla provvidenza, che
si può chiamare giustizia divina, sia riguardo alla giustizia umana. Di questo argomento ho
già parlato nel capitolo 1.1 e lo approfondirò anche nel capitolo 5.1 sulla Storia della colonna
infame. I personaggi seicenteschi, grazie alla loro fede e devozione, ma forse un po’ in
conseguenza alla loro ignoranza, superstizioni e pregiudizi, vedevano la provvidenza
dappertutto, anche dove non c’era.
Manzoni, infatti, parla anche dell’ignoranza e della malafede umana: don Abbondio,
che sembra piuttosto un insulto alla fiducia nella provvidenza, dato che lui stesso non mostra
mai nemmeno un minimo di fede e pensa solo agli affari suoi, invoca la provvidenza in aiuto
del proprio egoismo oppure la ringrazia per la morte di don Rodrigo: “Vedete figliuoli, se la
provvidenza arriva alla fine certa gente. Sapete che l’è una gran cosa… Ha spazzato via certi
soggetti, che, figliuoli miei, non ce ne liberavamo più.”39
L’autore crede, come ho già detto prima, che la cattiveria e l’ignoranza della gente
sono una delle cause del male sulla terra. Ne parla nel tredicesimo capitolo, quando descrive il
comportamento della massa durante i tumulti popolari. La gente è arrabbiata perché manca il
pane, allora prende d’attacco le botteghe dei fornai e le distrugge, senza tener conto delle
cause di tale comportamento. La massa considera colpevole per la mancanza del pane il
vicario di provvisione e non capisce le vere cause del problema e non si rende conto
dell’assurdità e dell’ingiustizia del proprio comportamento. Manzoni spiega che la gente
agisce in quel modo “per un riscaldamento di passione, per una persuasione fanatica, o per un
disegno scellerato, o per un maledetto gusto del soqquadro, fanno di tutto per ispinger le cose
al peggio.”40 Aggiunge che fortunatamente ci sono anche le persone buone che fanno da
contrappeso alla cattiveria degli altri. In tale descrizione del comportamento della massa,
secondo l’opinione di Miccinesi, “[…] sarebbe difficile trovarvi anche una sola
argomentazione della quale si potesse indurre che il suo autore è un convinto sostenitore della
provvidenza divina come forza attiva nel mondo.”41
38
Ivi, p. 198.
39
MARIANI, Umberto, Il solito Manzoni e il Manzoni vero. Op. cit., p. 20.
40
MANZONI, Alessandro, I promessi sposi. Op. cit., p. 184.
41
MICCINESI, Mario. Invito alla lettura di Alessandro Manzoni. Op. cit., p. 218.
24
In base a quanto ho documentato sopra credo di poter constatare che Manzoni, nel
periodo in cui scrive il romanzo, non cerca più una forza soprannaturale che intervenga nelle
vicende umane ma capisce che sono gli stessi uomini a creare la storia, che la provvidenza è
una forza che viene messa in moto dalle azioni degli uomini. Mentre nell’abbozzo Fermo e
Lucia si trovano ancora diversi interventi provvidenziali, nei Promessi sposi l’autore spiega
gli eventi che potrebbero apparire come intervento di Dio, come atti di fede individuale e non
li fa apparire come un miracolo. Nel sesto capitolo, quando padre Cristoforo pensa che il cielo
gli abbia dato un segno, che la provvidenza abbia messo il filo nelle sue mani, il lettore sa che
in realtà si tratta dell’aiuto di un uomo, che agisce secondo la sua coscienza e vuole aiutare il
suo prossimo. “La pressione provvidenziale si attenua o scompare, e si ha un intervento sulle
coscienze umane ai fini di una trasformazione come nel caso dell’Innominato, il Dio
interviene solo sul cuore umano e la determinazione divina viene a fondersi col subconscio”. 42
L’uomo, credendo in Dio e nella provvidenza e agendo conformemente alla propria fede,
realizza la provvidenza sulla terra.
La fede in Dio e la provvidenza aiutano le persone a sopportare meglio i dolori che la
vita porta, di accettarli con rassegnazione e a volte dare a loro una spiegazione. Alla fine del
libro lo dice Renzo, quando parlano con Lucia delle sventure che hanno dovuto superare:
“[…] i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma la condotta più cauta non
basta a tenerli lontani e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li
raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore.“ 43 Il tema delle azioni umane e delle loro
conseguenze verrà approfondito nel sesto capitolo, dedicato al ruolo dell’uomo nella storia.

5 LA SUPREMAZIA DEL VERO NELLA STORIA


Nei capitoli precedenti si è visto che Manzoni, dopo le prime opere, nelle quali celebra
Dio e dichiara la fiducia in un piano provvidenziale agente nella storia, prova a scrivere le
tragedie. Capisce però che i protagonisti non vengono aiutati da nessun intervento
provvidenziale e probabilmente a questo punto comincia a dubitare che esistano tali interventi
a favore dell’uomo. Decide di scrivere un romanzo storico, sperando che quest’ultimo gli
offra maggiori possibilità di cogliere e descrivere gli interventi di Dio nelle vite umane e nella
4242
Cfr. ULIVI, Ferruccio, Manzoni - storia e provvidenza. Op. cit., p. 178.
43
MANZONI, Alessandro, I promessi sposi. Op. cit., p. 541.

25
storia. Ragionando sopra i documenti storici invece comincia a capire che la storia è creata
dagli uomini per mezzo delle loro azioni. Vuole rappresentare la storia più fedelmente
possibile per raggiungere l’oggettività storica assoluta.
Studia attentamente i documenti storici dell’epoca che intende descrivere nella sua
opera, di cui ho parlato nel capitolo precedente e alla quale voglio brevemente ritornare per
evidenziare quanto ci teneva Manzoni a descrivere ogni particolare storico: nei Promessi
sposi, infatti, si trova una descrizione dettagliata dei luoghi in cui si svolge il racconto, incluso
i nomi geografici, date delle ordinanze e decreti rilasciati nel periodo di cui l’autore narra,
incluso la descrizione e la spiegazione dei loro contenuti. Per maggior comprensione l’autore
spiega le usanze e i problemi di quei tempi, sconosciuti al lettore del ’800: per esempio,
Manzoni spiega quante complicazioni comportava nel ‘600 inviare una lettera. Soprattutto il
periodo, in cui Milano è colpita dalla peste, viene descritto dal Manzoni con molta attenzione:
l’autore descrive come si era diffusa l’epidemia, indica i nomi delle persone che
probabilmente, secondo gli archivi di allora, portarono la malattia in città; descrive le misure
che furono adottate dalle autorità per lottare contro la diffusione dell’infezione, indicando i
nomi delle persone che erano impegnate in queste attività, tutto ciò documenta con le citazioni
dai documenti e dalle cronache dell’epoca. In particolare fa riferimento allo storico Giuseppe
Ripamonti, il cui opere l'Historia Ecclesiae mediolanensis e De peste Mediolani quae fuit
anno 1630 erano le fonti principali per tutto il romanzo. In oltre, per dare al suo romanzo
l’immagine di una storia vera e per sottolineare la veridicità e dei fatti riportati, l’autore
sostiene di aver scritto il romanzo in base ad un manoscritto che trovò.
Oltre ai fatti storici, l’autore cerca di capire e interpretare il comportamento e il modo
di pensare della gente coinvolta in questi eventi drammatici: descrive come la gente
inizialmente sottovalutava la possibilità che la peste si diffondesse e non rispettava le misure
disposte dalle autorità. Quando invece la peste era scoppiata, la gente, presa dal panico, iniziò
a sospettare soprattutto gli estranei dalla diffusione dell’infezione. Da qui nacquero le
persecuzioni degli untori. La gente, superstiziosa, ignorante e impaurita, vedeva avvelenatori
dappertutto. L’autore descrive, basando si sui fatti veri raccontati dallo storico Ripamonti,
come bastava un minimo pretesto per accusare e aggredire un uomo innocente:

Nella chiesa di sant’Antonio, un giorno di non so quale solennità, un vecchio più che
ottuagenario, dopo aver pregato alquanto inginocchioni, volle mettersi a sedere; e
prima, con la cappa, spolverò la panca. “Quel vecchio unge le panche!” gridarono a
una voce alcune donne che vider l’atto. La gente che si trovava in chiesa (in chiesa!),

26
fu addosso al vecchio; lo prendon per i capelli, bianchi come’erano; lo carican di pugni
e di calci; parte lo tirano, parte lo spingon fuori; se non lo finirono, fu per istrascinarlo,
così semivivo, alla prigione; ai giudici, alle torture. “Io lo vidi mentre lo strascinavan
così,” dice il Ripamonti: “ e non ne seppi più altro: credo bene che non abbia potuto
sopravvivere più di qualche momento.”44

Credo che Alessandro Manzoni sia rimasto colpito dalle brutalità, commesse in
conseguenza all’ignoranza, di cui trovò testimonianze nella documentazione storica, perché
dedicò a questo tema diversi capitoli e prestò molta attenzione ai particolari. A romanzo finito
si rese conto che i capitoli sulla peste erano troppo estesi e che sarebbe stata una digressione
troppo lunga dalla trama del romanzo e decise di sviluppare l’argomento sugli untori in un
testo indipendente. Pubblicò il saggio la Storia della colonna infame.

5.1 STORIA DELLA COLONNA INFAME


La Storia della colonna infame è una narrazione strettamente aderente ai documenti
del processo contro gli untori durante la peste a Milano. Nell’introduzione alla Storia della
colonna infame, scritta da Sandro Veronesi, collaboratore dell’Unità, si legge: “La storia della
colonna infame era stata riesumata, prima del Manzoni, da Pietro Verri nelle Osservazioni
sulla tortura nel 1804 allo scopo giuridico-civile, per far abolire la tortura.”45 Da precisare che
le Osservazioni sono state pubblicate solo dopo la morte di Verri: lui stesso rinunciò a farlo
per rispetto verso il suo padre, che era il presidente dello stesso senato che ebbe condannato
due persone innocenti. Manzoni stesso fece pubblicare il saggio come libro indipendente solo
nel 1840.
Il saggio narra del processo contro i presunti untori, cioè persone accusate di aver
propagato la peste con le unzioni, in realtà si trattò di due uomini innocenti, che furono
processati in base a un’accusa infondata, presentata da una donna superstiziosa e ignorante, e
condannati ingiustamente, senza le prove, solo in base alle dichiarazioni ottenute con la
tortura. Manzoni stesso spiega nell’introduzione al libro, che i giudici decretarono un
pubblico monumento per commemorare la loro sentenza, in quel momento considerata
vittoria della giustizia. Il monumento fu chiamato colonna infame e rimase in piedi cento
quaranta anni. Quando i fatti furono chiariti, la colonna diventò al contrario un simbolo
d’ingiustizia, una dimostrazione di fino a dove potesse arrivare un uomo in conseguenza della
propria ignoranza, pregiudizi e superstiziosità e la colonna fu abbattuta. Manzoni inoltre

44
MANZONI, Alessandro, I promessi sposi. Op. cit., p. 442.
45
Cfr. MANZONI, Alessandro, Storia della colonna infame, Editrice l´Unità s. p. a., p. VIII.
27
spiega che il suo racconto si basa sullo scritto di un uomo, che grazie alla sua posizione
sociale riuscì a salvarsi e pubblicò le proprie difese. Quindi si tratta di una storia vera, l’autore
indica i nomi di tutte le persone coinvolte e cita anche dai verbali del tribunale.
Manzoni descrive tutti i particolari della faccenda: come iniziò il processo (per un
assurdo pretesto) che l’accusato sotto la tortura “confessò” e indicò un altro colpevole (per
evitare altra tortura, a costo di doversi inventare qualcosa). Manzoni ne dice:

Fanno orrore e compassione le strette, il bistento, i trovati di quel povero inventore, e


ancor più orrore, e una più penosa compassione fa la gran contentatura di quei
magistrati, i quali notavano seriamente le più assurde risposte, e domandavano nuovi
schiarimenti d’una storia improvvisata con una incoerenza che dovrebbe scandalezzare
la credulità d’un fanciullo. 46

Manzoni racconta passo per passo come procedeva l’interrogatorio e tutto il processo:
erano i magistrati a suggerire le risposte agli accusati per far tornare l’interrogatorio a loro
comodo e gli interrogati confermavano tutto quello che gli veniva chiesto e accusavano pure
altre persone, per evitare altre torture. In corso del processo morirono tante persone in
conseguenza alle torture, si salvò solo un nobile, uno spagnolo, grazie alla sua posizione
sociale e alle difese dei suoi avvocati. Nell’introduzione alla Storia della colonna infame
scritta da Sandro Veronesi si legge:

Sta di fatto che fu Manzoni a rendere definitivamente giustizia a Guglielmo Piazza,


Giangiacomo Mora e tutte le altre vittime di questa spaventosa macchinazione
giudiziaria, e che la Storia della Colonna Infame, in entrambe le versioni, e
commentata a sostegno di qualunque tesi, resta una delle opere più straordinarie
sull’inaffidabilità degli uomini che la cultura occidentale abbia conosciuto. 47

Manzoni, leggendo i fatti storici del processo, era impressionato dagli orrori che era in
grado di commettere un uomo all’altro uomo, e questi eventi, realmente accaduti, hanno
sicuramente contribuito alla perdita della fiducia negli effetti positivi della provvidenza divina
del nostro autore. Lo confermano le parole di Miccinesi:

Non è possibile dare la rappresentazione di un mondo dominato dal male (una


rappresentazione realistica, addirittura crudele) e pretendere, nello stesso tempo, che
quello stesso mondo sia regolato da una provvidenza divina. I fatti scelti come
materiali per la costruzione del romanzo smentiscono totalmente quella pretesa. 48

46
MANZONI, Alessandro, Storia della colonna infame. Op. cit., p. 9-10.
47
Ivi, p. X.
48
MICCINESI, Mario. Invito alla lettura di Alessandro Manzoni. Op. cit., p. 219.
28
In quel momento Alessandro Manzoni nel suo intimo non avrà perso la fede in Dio ma
non credeva più nella provvidenza come forza attiva che interviene nel mondo. Nella Storia
della colonna infame non si trova nessun intervento della provvidenza e la provvidenza non
viene nemmeno nominata. L’autore si limita a raccontare i fatti storici. Sapeva già che sono
gli uomini con i loro pensieri e le loro gesta a creare la propria storia, non Dio. Con questa
conclusione si passa al capitolo successivo che parlerà del ruolo dell’uomo nella storia.

6 IL RUOLO DELL’UOMO NELLA STORIA


Nel capitolo precedente ho espresso l´opinione che Manzoni, a un certo punto della
sua vita, capì che l´uomo ha un ruolo importante nella storia. Lo confermano le parole di
Derla: “Manzoni del romanzo non vedeva la storia come un mistero divino, bensì umano
perché il suo senso storico gli impediva di confinarsi nel determinismo provvidenzialistico,
che necessariamente porta al fatalismo religioso.” 49 Nel mondo il bene e il male sono connessi
alle azioni dell’uomo, l’uomo manifesta il suo libero arbitrio e crea la realtà con le sue scelte.
Altrettanto secondo Mariani Manzoni attribuiva tanta importanza alle azione dell’uomo:

Manzoni del romanzo vede ormai la storia come una grande tela composta di
innumerevoli azioni individuali e irrevocabili che […] sono motivate individualmente.
L’uomo è creatore della storia ed in essa agisce per lo più con coscienza del valore e
delle conseguenze delle sue azioni, e lo scrittore interessato all’esperienza umana nella
storia si concentra soprattutto sul tema delle responsabilità individuali.” 50

Manzoni del romanzo, invece di cercare il piano divino, si concentra allo studio della
psicologia umana per capire meglio i motivi del comportamento umano e dà una grande
importanza alla responsabilità dell’uomo per le sue azioni. L’uomo è il protagonista della
storia e la crea a propria immagine. Nel capitolo successivo descriverò come, secondo
Manzoni, gli interventi della provvidenza vengono realizzati dagli uomini: quando essi
agiscono conformemente alla morale cristiana e compiono il bene, le loro gesta possono
essere interpretate come interventi della provvidenza.

6.1 PERSONAGGI MANZONIANI


Riguardo ai personaggi manzoniani spiega Toscani: “Tutti i protagonisti dei Promessi
sposi hanno un ruolo preciso: l’iter del personaggio singolo è quello che va dalla sofferenza
49
Cfr. DERLA, Luigi, Il realismo storico di Alessandro Manzoni. Op. cit., p. 98.
50
MARIANI, Umberto, Il solito Manzoni e il Manzoni vero. Op. cit., p. 21.
29
alla purificazione, mentre il personaggio plurale (come la calamità, guerra, peste) è strumento
storico-esistenziale, la così detta “provvida sventura.”51 Ogni personaggio manzoniano è
l’artefice del proprio destino, sia terreno sia ultraterreno, perché nella vita ha la possibilità
della scelta morale. Nei Promessi sposi l’autore esprime l’idea che chi agisce secondo le
proprie convinzioni cristiane, crea un intervento provvidenziale, l’intervento divino si fonde
con la coscienza dell’uomo.
Lucia, una ragazza semplice, è la figura centrale del romanzo. È molto religiosa,
devota a Dio, e la sua umiltà, dolcezza e purezza fanno di lei un’esemplare rappresentazione
della fede cristiana. La sua purezza e bellezza interiore esercita un effetto positivo anche su
altre persone, per esempio a Renzo, che in un momento di rabbia, pieno di pensieri negativi,
appena pensa a Lucia, cambia il suo stato d’animo: “E Lucia? Appena questa parola si fu
gettata a traverso quelle bieche fantasie, i migliori pensieri a cui era avvezza la mente di
Renzo, v’erano in folla. Si rammentò degli ultimi riccordi de’suoi parenti, si rammentò di
Dio, della Madonna e de’santi, pensò alla consolazione che aveva tante volte provata di
trovarsi senza delitti […]”52 È una donna modesta e come tale si realizza in modo
disinteressato e spirituale. Il suo amore nei confronti di Renzo è puro, non si esaurisce nel
periodo della loro separazione ed è una dimostrazione delle sue qualità interiori. “Il suo
grande e vivo senso della onnipresenza di Dio la fa unica, moralmente insuperabile, quasi
santa, ma della santità concreta che si conquista con una instancabile pratica morale della
vita.”53 Lucia crede nella provvidenza, e lei stessa, la sua purezza e devozione hanno
un’influenza positiva anche su altri personaggi.
Renzo è un ragazzo semplice e tranquillo, un onesto lavoratore. La sua fede è genuina,
sincera e ferma e anche in mezzo ai problemi non si lascia sopraffare dagli eventi: spera
sempre in Dio e in provvidenza. Manzoni fa di lui un credibile esempio di un uomo del
popolo, simbolo di molti ideali morali e sociali. Renzo crede nella provvidenza ed è un
esempio dell’affermazione che la provvidenza c’è solo se l’uomo stesso la crea agendo
secondo la propria fede: così dà gli ultimi soldi a una povera famiglia perché crede che “c’è la
provvidenza.” Il personaggio di Renzo dimostra anche che Manzoni crede che l’uomo è
responsabile per le sue azioni e non può solo sperare in un intervento provvidenziale. Durante
le proteste popolari per la mancanza del pane, a modo suo di una persona semplice, Renzo
51
Cfr. TOSCANI, Claudio, Come leggere I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. Op. cit., p. 94.
52
MANZONI, Alessandro, I promessi sposi. Op. cit., p. 30.
53
Cfr. MANZONI, Alessandro, I promessi sposi. Op. cit., p. 96-97.
30
rimprovera la gente per come si comporta: “Come volete che Dio ci dia del pane se facciamo
di queste atrocità? Ci manderà de’fulmini, non del pane!”54
Il padre Cristoforo viene descritto dall’autore come una persona solenne e maestosa
nella sua umiltà. Dopo la sua conversione rappresenta un esempio di cristianesimo attivo.
Rinuncia alla vita mondana e dedica la propria vita all’aiuto di chi ne ha bisogno e così
incarna la provvidenza sulla terra.
Don Rodrigo e Gertrude sono due personaggi, in cui non si trova nessuna traccia di
fede in Dio o provvidenza. “Don Rodrigo, nobile di nascita ma ignobile nelle azioni, è
l’incarnazione del male più vicina all’impossibilità della salvezza. Ma nel momento della sua
morte il padre Cristoforo e Renzo, due dei suoi perseguitati, sono a implorare la sua salvezza
eterna.”55 Quindi si scopre che Manoni, nel suo intento di dare alla gente buon esempio e
speranza, lascia una speranza di salvezza persino per un uomo che in conseguenza delle sue
azioni non se la merita. Gertrude è una ragazza di origini nobili, piena di passione e sensualità
che rimane vittima delle regole sociali di quei tempi. Il padre la costringe a entrare in un
convento, nonostante che tale vita sia assolutamente inadatta per lei. Gertrude è infelice, cede
alle tentazioni di un uomo e rimane coinvolta nel rapimento di Lucia. Dopo però si pente e
quindi c’è una speranza anche per lei.
Il Cardinale Federico è senz’altro un esempio di come dovrebbe essere un uomo della
chiesa: quest’uomo, una persona veramente esistita, è colto, umano, ha compassione con gli
altri, in sostanza è “ un severo esecutore della missione sacerdotale e vescovile.” 56 Quando
incontra l’Innominato, prima della sua conversione, non gli fa discorsi teologici e morali
astratti ma gli parla in modo adatto al suo stato d’animo turbato e sconvolto, e lo aiuta e
incoraggia nella sua decisione. Anche quando convoca don Abbondio per rimproveralo per
come si era comportato, più che rimproverarlo, cerca di far appello alla sua coscienza
cristiana. Si vede dunque che il cardinale Federico, nonostante la sua carica sociale alta, ha
tanta empatia e spontaneità e impegna tutte le sue forze, qualità morali e quando ce n’è
bisogno, anche le possibilità economiche, nell’aiuto dei bisognosi. Da quello che ho appena
detto è chiaro che il cardinale Federico è un’altra rappresentazione manzoniana
dell’incarnazione della provvidenza.

54
Ivi, p. 183.
55
Cfr. TOSCANI, Claudio, Come leggere I promessi Sposi di Alessandro Manzoni. Op. cit., p. 98.
56
Cfr. ULIVI, Ferruccio, Manzoni - storia e provvidenza. Op. cit., p. 148.
31
Don Abbondio è un prete ma questa funzione è per lui solo una formalità, non una
missione. È un uomo debole, privo di coraggio, sempre preoccupato e impaurito anche
quando non ce n’è alcun motivo. Se ne rende conto già da giovane e decide di diventare prete
con la speranza che tale funzione lo protegga dai problemi della vita. Considera gli
ecclesiastici una classe privilegiata e vuole far parte di loro per poter condurre una vita
tranquilla. Don Abbondio quindi non è un esempio di un buon cristiano, né di un prete, in lui
non c’è nessun segno di fede in Dio o nella provvidenza, se non quando gli serve ai fini
propri. Crea un’immagine negativa della chiesa ma dato che agisce solo per difendersi, non
per usufruire della sua posizione, è umanamente comprensibile.
Il personaggio dell’Innominato forse rappresenta l’esempio più esplicito del fatto che
l’uomo è responsabile della sua vita e delle azioni che compie. È un uomo nobile e ricco che
conduce una vita spensierata e fa del male a tanta gente. A un certo punto della sua vita, forse
in conseguenza all’età, comincia a pensare alla morte, al senso della vita e capisce che la sua
vita fino ad ora era stata piena di crudeltà e priva di senso. Si converte al cristianesimo e cerca
di rimediare a tutti i mali e ingiustizie che aveva commesse nella sua vita precedente, dando
aiuto a tutti coloro che ne hanno bisogno. Da un uomo senza scrupoli diventa uno che fa di
tutto per rendersi utile agli altri. La determinazione, con cui prima commetteva il male, ora
l’impiega per fare del bene. La gente lo stima per com’è riuscito a cambiare se stesso: “ Era
quell’uomo che nessuno aveva potuto umiliare, e che s’era umiliato da sé. […] In quel
abbassamento volontario, la sua presenza e il suo contegno avevano acquistato, senza che lui
lo sapesse, un non so che di più alto e di più nobile…” 57 La sua conversione non è causata
dalle parole di Lucia, è risultato di una riflessione sulla propria vita e maturazione spirituale.
Lucia è stata solo un movente. Lo dice il cardinale Federigo a Lucia: “ Dio si è servito di voi
per una grande opera, per fare una grande misericordia a uno, e per sollevar molti nello stesso
tempo.” 58 All’Innominato invece, il cardinale Federico dice: “Ma quando voi stesso sorgerete
a condannare la vostra vita, ad accusar voi stesso, allora! allora Dio sarà glorificato!” 59

L’Innominato personifica l’alternativa tra il bene e il male, tra Dio e suo nemico. Chi sa
guardare bene dentro se stesso, capisce che tutto consiste in questa scelta. È evidente che
l’autore vuole insegnare ai lettori che ognuno si deve impegnare per migliorare la propria
personalità e che cambiare se stesso in meglio è possibile, basta trovare la forza di farlo.
57
MANZONI, Alessandro, I promessi sposi. Op. cit., p. 409.
58
Cfr. Ivi, p. 335.
59
Ivi, p. 309.
32
In base a quello che ho descritto nell’ultimo capitolo della mia tesi si può riassumere
che secondo Manzoni l’unico intervento della provvidenza che si possa ragionevolmente
leggere nella storia sono le gesta compiute dalle persone che agiscono secondo lo spirito delle
loro convinzioni di buoni cristiani. Il nostro autore ne dice: “ […] la vera disgrazia non è
soffrire o essere poveri ma fare del male.”60

7 CONCLUSIONE
Nelle pagine precedenti ho descritto come si evolse ideologicamente Manzoni nel
corso della sua vita: da giovane, in particolare dopo il riavvicinamento alla chiesa cattolica,
cercava per mezzo della fede le risposte alle domande esistenziali e riguardo all’ordine nel
mondo per mezzo della fede. La fede però non gli dette le risposte che cercava e inoltre,
studiando con attenzione la storia, arrivò alla conclusione che non c’è nessun piano divino e
nessuna provvidenza che intervenga direttamente nelle vite umane.
Nel corso della sua vita, Manzoni si convinse che sono gli uomini a creare la storia
tramite le loro azioni. Dio ha dato loro il libero arbitrio perché partecipassero alla creazione
della storia, e gli uomini stessi decidono tra il bene e il male con le loro azioni. Tutto ciò non
significa che il nostro autore abbia perso la fede in Dio: al contrario la considera importante
perché aiuta l’uomo a sopportare le difficoltà che porta la vita e la condotta conforme alla
fede fa diventare l’uomo, e di conseguenza tutto il mondo, migliore.
Nella mia tesi ho documentato che mentre nelle prime opere di Manzoni il tema della
provvidenza non appare molto chiaro, nei Promessi sposi si trova in ogni capitolo, il che
potrebbe sembrare in contrasto con quanto abbiamo appena detto, così come con il
pessimismo manzoniano riguardo al concetto di giustizia che ho descritto. Se ci si chiede,
perché Manzoni coinvolge la provvidenza se non crede nella sua esistenza, e perché mette in
evidenza le buone azioni della gente, anche se nello stesso tempo dimostra lo scetticismo
verso la giustizia umana, posso ipotizzare che Manzoni volesse dare esempio di buona
condotta, conforme alle idee del cristianesimo, per educare la gente, per far vedere che le
60
Cfr. Ivi, p. 330.

33
buone azioni portano del bene e possono migliorare il mondo. L’autore vuole altrettanto
sottolineare che ognuno è responsabile delle sue decisioni e deve agire secondo la sua
coscienza di buon cristiano perché sono le gesta umane a creare la storia, non la provvidenza
divina:

Dal cielo di Manzoni non scendono arcangeli ad intimare agli uomini le vie da tenere,
come dall’inferno non escono i demoni a tentare i cuori: il cielo e l’inferno sono questa
vita, un eterno conflitto tra il bene e il male che Manzoni intende rappresentare come la
nostra dimensione esistenziale e morale più autentica. 61

Per concludere penso di poter riassumere che Manzoni adopera il tema della
provvidenza con l’intento di educare la gente ad un comportamento migliore, ma anche
perché nel suo intimo sperava che il mondo fosse veramente governato da una forza maggiore
che garantisse ordine e giustizia.

61
Cfr. DERLA, Luigi, Il realismo storico di Alessandro Manzoni. Op. cit., p. 98

34
BIBLIOGRAFIA
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 MANZONI, Alessandro, Storia della colonna infame. Editrice l’Unità s. p. a.,
Supplemento al n. 39 dell’Unità dell’11-10-93.
 MARIANI, Umberto, Il solito Manzoni e il Manzoni vero. Pesaro: Metauro, 2006.
 ULIVI, Ferruccio, Manzoni - storia e provvidenza, Roma: Bonnaci editore. 1974.
 DERLA, Luigi, Il realismo storico di Alessandro Manzoni. Varese: Istituto editoriale
cisalpino, 1965.

 MICCINESI, Mario. Invito alla lettura di Alessandro Manzoni. 2. ed. Milano: Mursia,
1990.

 TOSCANI, Claudio, Come leggere I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. Milano:


U. Mursia editore, 1994.
 PARISI, Luciano, Il tema della Provvidenza in Manzoni. In: MLN [online]. 2009[cit.
2014-09-26]. ISBN 0026-7910. Accessibile al:
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05]. Accessibile al: http://www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_8/t341.pdf.
 MANZONI, Alessandro. Conte di Carmagnola [online]. Letteratura italiana Einaudi.
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Messina; Firenze: G. D’Anna, 1972.

 Judaismus, křesťanství, islám. Vyd. 2., podstatně přeprac. a rozš., (v nakl. Olomouc
vyd. 1.). Editor Helena Pavlincová, Břetislav Horyna. Olomouc: Nakladatelství
Olomouc, 2003, 661 s. ISBN 80-718-2165-9.

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