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GIULIO RUSSO KRAUSS

Prof. ordinario presso la Facoltà di Ingegneria


Università degli Studi “Federico II” di Napoli

GEOMETRIA DEI GALLEGGIANTI E


PRIME NOZIONI DI STATICA DELLA
NAVE

LIVORNO 2007
A mio padre, a mia madre,
non ombre, ma luce nei ricordi
PREMESSA

La parola “geometria” deriva dal greco γεωµετρια, composto da γη (terra) e


µετρον (misurazione), pertanto ha il significato di “misurazione della terra”. La
Geometria, in senso ampio e generico, è una parte della matematica che studia lo
spazio e le figure spaziali.

La parola “galleggiante” è sostantivazione del participio presente di


“galleggiare” che deriva dall’antico “gallare”, verbo che ha il significato
propriamente di “mantenersi a mo’ di galla sulla superficie dell’acqua o di altro
liquido”. Molto noto è il verso 127° del canto X del Purgatorio della Divina
Commedia di Dante Alighieri: “Di che l’animo vostro in alto galla?” “Gallare”, a
sua volta, deriva dal latino “galla” che indica una particolare leggerissima
escrescenza che si forma sulla superficie delle piante ghiandifere. Ancora oggi
“galla” ha in botanica il significato di escrescenza tumorale che si forma su alcune
piante come reazione patologica all’azione di insetti, parassiti, ecc. Tali escrescenze,
specie se presenti su cortecce spesse e leggere (quali quella della quercia da
sughero), danno luogo a tessuti vegetali caratterizzati da bassissimo valore del peso
specifico e, quindi, con elevata attitudine, se posti in acqua, a mantenersi sulla
superficie. La locuzione “restare a galla” è rimasta nella nostra lingua.

La Geometria dei Galleggianti è la disciplina che studia gli elementi


geometrici (punti, linee, superfici, volumi) fondamentali dei corpi, in generale, che
hanno la caratteristica di restare a galla ed in particolare delle navi che sono i
galleggianti per antonomasia.

La “Statica” è una parte della Meccanica che studia l’equilibrio dei corpi
sotto l’azione di determinati sistemi di forze. La “Statica della Nave” studia
l’equilibrio della nave, considerata come corpo rigido e fermo, sotto l’azione di
forze interne (carichi fissi, carichi scorrevoli, carichi sospesi, ecc.) e/o esterne
(pressione idrostatica, vento, moto ondoso, ecc.), nelle molte condizioni in cui può
trovarsi (in diverse situazioni di carico, integra, con falla, incagliata, durante il varo,
ecc.).

Per comprendere la “Geometria dei Galleggianti” e la “Statica della Nave” è


indispensabile la conoscenza: delle leggi fondamentali dell’Idrostatica, della
Geometria delle Masse e dei Metodi di Quadratura Approssimata. A richiami di tali
materie sono dedicati i primi tre capitoli.
CAPITOLO I
DEFINIZIONI E PROPRIETÀ FISICHE DEI FLUIDI; UNITÀ
DI MISURA; ALCUNE LEGGI DELL’IDROSTATICA
1 - I solidi ed i fluidi

La materia può reagire in modo diverso all’azione delle forze che la


cimentano; pertanto applicando un sistema di forze ad un corpo materiale si possono
distinguere i seguenti comportamenti:
∗ la forma originaria si modifica, anche se in misura limitata, ma si ripristina
quando il sistema di forze viene rimosso; in tale caso il comportamento è
elastico e la materia costituisce un corpo solido;
∗ la forma originaria si modifica, in misura più o meno vistosa e non si ripristina
quando il sistema di forze viene rimosso; in tale caso il comportamento è
plastico e la materia costituisce un corpo plastico;
∗ la forma originaria si modifica, in misura vistosa anche per forze esigue; il
comportamento è come quello di un solido solo se il sistema di forze è di pura
compressione (comportamento elastico); si hanno scorrimenti se il sistema di
forze non è di compressione; in tal caso il comportamento è scorrevole e la
materia costituisce un corpo fluido.

Il corpo rigido è una astrazione che considera il corpo solido indeformabile ai


fini pratici. Nel presente lavoro il corpo solido galleggiante può essere considerato
rigido.

Il diverso comportamento tra i solidi ed i fluidi è dovuto alle diverse


caratteristiche del loro stato di aggregazione molecolare.
Nei solidi la disposizione delle molecole è praticamente invariabile e pertanto
i solidi sono caratterizzati da una forma e da un volume invariabili.
Nei fluidi la struttura molecolare è disordinata e variabile sotto l’azione di
forze anche piccole, pertanto essi sono scorrevoli.
I fluidi si dividono in due categorie: i liquidi ed i gas.
I liquidi, pur consentendo il movimento delle molecole, mantengono
invariata la distanza tra esse, ciò comporta che un liquido cambia di forma al
cambiare del recipiente che lo contiene, ma conserva il valore del volume.
I gas hanno legami molecolari molto labili per cui tendono ad occupare il
massimo volume disponibile, ciò comporta che un gas cambia forma al cambiare del
recipiente che lo contiene e ne occupa tutto il volume.

Un corpo solido può galleggiare in un fluido. Poiché le navi sono realizzate


per galleggiare in acqua (di mare, di fiume o di lago) si espongono qui alcune
1
definizioni e proprietà fisiche generali dei fluidi e si forniscono i valori relativi al
fluido acqua.

2 - L’acqua

Il composto chimico avente formula H2O si chiama acqua. L’acqua allo stato
puro è ricavabile solo per distillazione. Correntemente si indicano con il nome di
acqua tutti quei miscugli o soluzioni naturali che hanno come componente principale
e preponderante il composto chimico H2O; pertanto si parla di acqua sorgiva, acqua
di fiume, di lago, di mare, ecc. L’acqua è presente in natura in grandissima quantità,
ma non è mai allo stato puro in quanto contiene sali disciolti, solidi in sospensione,
gas liberi o disciolti, ecc.

3 - L’acqua di mare, la salinità.

La più grande riserva naturale di acqua è rappresentata dal mare che ricopre
circa il 73% della superficie terrestre per un volume stimato in circa 1.8 miliardi di
chilometri cubi. Gli elementi presenti nell’acqua di mare vengono suddivisi in:
• costituenti maggiori; sono il Sodio, il Cloro, il Magnesio, il Calcio ed il
Potassio; essi sono presenti sotto forma di sali e rappresentano circa il 99,95%
del peso totale degli elementi presenti;
• costituenti intermedi, sono l’Ossigeno, lo Stronzio, il Silicio, il Fluoro,
l’Argo, l’Azoto, il Litio, il Fosforo e lo Iodio; essi sono presenti in percentuale
inferiore a 0.05%;
• microcostituenti, sono tutti gli altri elementi presenti, ma in percentuali
infinitesime.

La salinità dell’acqua di mare è costituita dai soli costituenti maggiori e si


esprime in grammi di sale per chilogrammo di acqua (quindi in per mille). Escluse le
zone costiere, il rapporto tra i diversi costituenti maggiori è costante per cui nota la
concentrazione di un costituente è determinabile quella degli altri. Il sale più
presente è il cloruro di sodio (NaCl) che rappresenta l’85.7% del totale dei sali,
seguono i cloruri di potassio, magnesio e calcio.
La salinità varia da mare a mare ed ha i valori medi riportati in tabella.

2
Salinità s
g di sali in un kg di acqua
mare Rosso 38.80
mare del Golfo Persico 36.70
mare dei Caraibi 35.95
mare della California 35.50
oceano Atlantico 35.37
mare convenzionale 35.00
oceano Pacifico 34.91
mare Mediterraneo 34.85
oceano Indiano 34.81
mare del Nord 34.20
mare del Giappone 34.10
mare dell’Australia 33.87
mare della Cina 32.10
mare di Bering 30.30
mare Artico 25.50

In ingegneria navale si assume per la salinità il valore convenzionale


s=35.00 per cui si considera che in un chilogrammo di acqua di mare vi siano 30
grammi (85.7 %) di cloruro di sodio e 5 grammi (14.3 %) di tutti gli altri sali dei
costituenti maggiori.

4 - sistemi ed unità di misura

Il Sistema Internazionale (S.I.) di misura che ha sostituito il Sistema Pratico


o Sistema Tecnico che assumeva come grandezze ed unità fondamentali
la forza F con unità di misura il kgp (chilogrammo peso),
la lunghezza L con unità di misura il m (metro),
il tempo T con unità di misura il s (secondo).

Il Sistema Internazionale adotta come grandezze ed unità fondamentali


la massa M con unità di misura il kg (chilogrammo massa),
la lunghezza L con unità di misura il m (metro),
il tempo T con unità di misura il s (secondo).

3
pertanto la forza è una grandezza derivata, con unità di misura chiamata newton (N),
definita come la forza che imprime ad un corpo con massa di 1 kg l’accelerazione di
1 m/s2. Pertanto si ha che

1 N = 1 kg m/s2.

Se si accetta per l’accelerazione di gravità il valore medio g=9.8066 m/s2 si ha:

1 kgp = 1 kg 9.8066 m/s2 = 9.8066 N

I vantaggi del sistema tecnico si conservano in quello internazionale


introducendo l’unità di forza accanto alle tre fondamentali e cioè:
la massa M con unità di misura il kg (chilogrammo massa),
la lunghezza L con unità di misura il m (metro),
il tempo T con unità di misura il s (secondo).
la forza F con unità di misura il kgp (chilogrammo peso),

Nell’ingegneria navale la tradizione è così consolidata e forte che è consentito


misurare la forza peso totale di una nave, detto dislocamento, in tonnellate e la
velocità in nodi, cioè in miglia nautiche all’ora.

Tra le grandezze derivate, hanno particolare importanza nel presente lavoro la


pressione, il peso specifico, la densità e la comprimibilità.

5 – Pressione

E’ detta pressione la grandezza fisica che esprime l’intensità della forza


normale applicata uniformemente su una superficie unitaria. Pertanto:

F
nel sistema tecnico: [ p] = in kgP/m2
L2

M L T −2
nel sistema internazionale: [ p] = in N/m2.
L2

Alla grandezza di 1 N/m2 si dà il nome di pascal per cui è:


1 Pa=1N/m2,
unità da questa derivata è il bar:
1 bar = 100000 N/m2 = 100000 Pa.

4
Come unità di misura della pressione è ammessa anche la atmosfera normale
(atm) 1 così definita:
1 atm = 10332.3 kgP/m2 = 101325.0 Pa

Si ricorda, infine, che la pressione di una colonna di acqua di mare (a 15°C e


con salinità standard) alta 10 m è pari a circa 1 atm.

6 - Densità e peso specifico

Nella meccanica la materia viene concepita come mezzo continuo, pertanto le


sue proprietà sono funzioni continue nello spazio.
Si consideri un volume elementare d∇ che racchiude il punto Q di massa
fluida; siano dm e dP la massa ed il peso di detto volume. Detta g l’accelerazione di
gravità si definiscono le seguenti caratteristiche fisiche del fluido nel punto Q:

dm
densità ρ = lim (1)
d∇→ 0 d∇

dP
peso specifico γ = lim = gρ (2)
d∇→ 0 d∇

Nella massa fluida, quindi, in generale, si avrà una distribuzione continua in


funzione del punto considerato della densità e del peso specifico.
In particolare il peso specifico dipende dall’accelerazione di gravità g che alla
latitudine di 45° ed al livello del mare è pari a 9.8066 m/s2.

Nel sistema pratico il valore del peso specifico dell’acqua distillata (s=0) a
temperatura di 4°C e per g=9.8066 m/s2 è fissato come segue:

kg P
γ = 1000
(0 −4 )
o
m3

per cui resta fissato anche il valore della densità:

γ
(0 − 4 )
°
kg P s2
ρ 0 − 4° = = 10197
.
( ) g m4

1
L’atmosfera normale (atm) non è da confondersi con l’atmosfera tecnica (at) che è una unità di misura ora
destinata a scomparire, essa è data da 1 at=104 kgP/m2.

5
mentre nel Sistema Internazionale si ha:

N
γ = 9806.6
( 0 − 4o ) m3

kg
ρ 0 − 4 ° = 1000
( ) m3

dove il pedice (0-4°) indica che la salinità è zero (acqua distillata) e la temperatura è
4°C.

Di seguito si riportano
 nella tabella 1, i valori della densità e del peso specifico dell’acqua distillata a
diversa temperatura;
 nella tabella 2, i valori della densità e del peso specifico dell’acqua di mare
con salinità standard (s=35) a diversa temperatura;
 nella tabella 3, i valori della densità e del peso specifico dell’acqua di mare a
diversa salinità ed a temperatura di 0°C.

TABELLA N° 1 - DENSITÀ E PESO SPECIFICO DELL’ACQUA


DISTILLATA A DIVERSA TEMPERATURA
TEMP. DENSITÀ DENSITÀ PESO SPECIFICO PESO SPECIFICO
0°C sistema tecnico sistema sistema tecnico sistema
internazionale internazionale
0°C kgP s2 / m4 kg / m3 kgP / m3 N / m3
0 101.959 999.87 999.87 9805.32
2 101.969 999.97 999.97 9806.31
4 101.972 1000.00 1000.00 9806.60
6 101.969 999.97 999.97 9806.31
8 101.960 999.88 999.88 9805.42
10 101.945 999.73 999.73 9803.95
12 101.923 999.52 999.52 9801.89
14 101.898 999.27 999.27 9799.44
15 101.883 999.13 999.13 9798.07
16 101.867 998.97 998.97 9796.50
18 101.831 998.62 998.62 9793.07
20 101.792 998.23 998.23 9789.24
22 101.747 997.79 997.79 9784.93
24 101.699 997.32 997.32 9780.32
26 101.647 996.81 996.81 9775.32
28 101.591 996.26 996.26 9769.92

6
TABELLA N° 2 - DENSITÀ E PESO SPECIFICO DELL’ACQUA DI MARE
CON SALINITÀ STANDARD A DIVERSA TEMPERATURA
TEMP. DENSITÀ DENSITÀ PESO SPECIFICO PESO SPECIFICO
0°C sistema tecnico sistema sistema tecnico sistema
internazionale internazionale
0°C kgP s2 / m4 kg / m3 kgP / m3 N / m3
2 104.814 1027.87 1027.87 10079.91
4 104.795 1027.68 1027.68 10078.05
6 104.771 1027.45 1027.45 10075.79
8 104.743 1027.17 1027.17 10073.04
10 104.710 1026.85 1026.85 10069.91
12 104.674 1026.49 1026.49 10066.38
14 104.632 1026.08 1026.08 10062.36
15 104.610 1025.87 1025.87 10060.30
16 104.588 1025.65 1025.65 10058.14
18 104.539 1025.17 1025.17 10053.43
20 104.487 1024.66 1024.66 10048.43
22 104.432 1024.12 1024.12 10043.14
24 104.373 1023.54 1023.54 10037.45

TABELLA N° 3 - DENSITÀ E PESO SPECIFICO DELL’ACQUA DI MARE


A DIVERSA SALINITÀ ED A TEMPERATURA DI 0°C
SALINITÀ DENSITÀ DENSITÀ PESO SPECIFICO PESO
SPECIFICO
sistema tecnico sistema sistema tecnico sistema
internazionale internazionale
grammi/kgP kgP s2 / m4 kg / m3 kgP / m3 N / m3
4 102.303 1003.24 1003.24 9838.37
6 102.472 1004.90 1004.90 9854.65
8 102.639 1006.54 1006.54 9870.74
10 102.803 1008.15 1008.15 9886.52
12 102.966 1009.75 1009.75 9902.21
14 103.130 1011.35 1011.35 9917.90
16 103.290 1012.92 1012.92 9933.30
18 103.449 1014.48 1014.48 9948.60
20 103.611 1016.07 1016.07 9964.19
22 103.775 1017.68 1017.68 9973.31
24 103.943 1019.33 1019.33 9996.16
26 104.102 1020.89 1020.89 10011.46
28 104.266 1022.50 1022.50 10027.25
30 104.431 1024.11 1024.11 10043.04
32 104.595 1025.72 1025.72 10058.92
34 104.758 1027.32 1027.32 10074.52
36 104.922 1028.93 1028.93 10090.30
38 105.087 1030.55 1030.55 10106.19

7
Si ritiene utile infine fornire anche alcuni valori espressi in unità usate nei
paesi anglosassoni:
 densità acqua di mare con salinità standard ed alla temperatura di 59°F
(15°C): 1.9905 slugs/piedi cubi,
 densità acqua di mare con salinità standard ed alla temperatura di 59°F
(15°C): 104.610 slugs/metri cubi,
 peso specifico acqua di mare con salinità standard ed alla temperatura di 59°F
(15°C): 64.043 libbre/piedi cubi,
 densità acqua distillata alla temperatura di 59°F (15°C): 1.9384 slugs/piedi
cubi,
 densità acqua distillata alla temperatura di 59°F (15°C): 101.870 slugs/metri
cubi,
 peso specifico acqua distillata alla temperatura di 59°F (15°C): 62.366
libbre/piedi cubi,
 accelerazione di gravità al livello del mare ed alla latitudine di 45°: 32.174
piedi/s2.

Nell’ingegneria navale il peso specifico dell’acqua di mare si misura in


tonnellate su metro cubo e, quando non specificato diversamente, si assume nei
calcoli il valore 1.025 t/mc.

7 - Comprimibilità

Si è già detto che i liquidi sono caratterizzati da una disposizione delle


molecole assai poco variabile per cui una data massa di liquido assume la forma del
contenitore, ma il volume occupato resta praticamente invariato.
La variazione di volume è data dalla comprimibilità. Vale la legge di Hooke:
d∇ 1
= − dp (3)
∇ E
che esprime la variazione d∇ del volume ∇ in funzione della variazione di pressione
dp. Il coefficiente di proporzionalità 1/E (detto coefficiente di elasticità) misura
l’attitudine del fluido ad essere compresso. Il suo inverso E è detto modulo di
comprimibilità (o di elasticità). Poiché la massa del fluido deve mantenersi costante,
ad una variazione del volume deve corrispondere una variazione della densità
(m=ρ∇) per cui si ha:
d∇ dρ
=− (4)
∇ ρ
Confrontando le (3) e (4) si ha:
dρ dp
= (5)
ρ E

8
che esprime la legge di Hooke in termini di densità in luogo di volumi.

Alla temperatura di 20°C si ha:


per l’acqua E = 2.16 108 kgP/m2
per l’aria E = 1.03 104 kgP/m2
per cui si osserva che l’aria è circa 20000 volte più comprimibile dell’acqua e che
per ridurre di un solo cm3 un volume iniziale di un m3 di acqua occorre una
pressione di 2.16 102 kgP/m2 per cui è lecito ritenere l’acqua incomprimibile.
Nelle tabelle riportate i valori forniti sono relativi all’acqua ritenuta
incomprimibile.
Si può ritenere che la variazione di volume - e, quindi, di densità e di peso
specifico - sia pari a 0.005% per una variazione della pressione di una atmosfera
(pari ad 1 kgP/cm2) 2.
8 - Alcune leggi della idrostatica.

L’Idrostatica è quella parte della Meccanica che studia i liquidi in riposo.


I primi studi sulla statica dei liquidi risalgono ad ARCHIMEDE che, nel 3°
secolo avanti Cristo, enunciò la legge che può essere così sintetizzata:

2
I seguenti esempi chiariscono l’errore che si commette nel considerare l’acqua incomprimibile. Gli esempi
sono svolti considerando l’acqua di mare con salinità standard ed alla temperatura di 15°C per la quale è (vedi
tabella 2):
γ = 1025.870 kgP/m3 ρ = 104.610 kgP s/m4
- Primo esempio: nave di superficie.
Una nave abbia volume immerso ∇=35000 mc ed immersione T=10 m. Tale nave sposta un volume d’acqua
che ha un peso, a seconda del valore assunto per il peso specifico dell’acqua di mare, pari a:
∆= γ0 ∇= 1.02587 ⋅ 35000 = 35905.45 t (assumendo il valore di γ0 relativo alla profondità 0, cioè in
superficie),
γ + γ1 1.02587 + 102592
35000 = 35906.32 t [assumendo il valore di γ medio tra quello in superficie γ0 e
.
∆= 0 ∇=
2 2
quello γ1 relativo alla profondità di 10 m, essendo γ1=1025.87 (1+0.005/100)=1025.92 kgP/mc].
Pertanto l’errore sul dislocamento ∆ che si commette considerando l’acqua incomprimibile è, in
questo caso, molto piccolo (pari a circa lo 0.0025 %), accettabile nei calcoli di ingegneria.
- Secondo esempio: sottomarino.
Un sottomarino avente volume ∇=1640 mc che si trovi ad una profondità T=200 m sposta un volume d’acqua
che ha un peso, a seconda del valore assunto per il peso specifico dell’acqua di mare, pari a:
∆= γ0 ∇= 1.02587 x⋅ 1640 = 1682.43 t (assumendo il valore di γ0 quello relativo alla profondità 0, cioè in
superficie), ∆= γ2 ∇= 1.026896 x⋅ 1640 = 1684.1 t [assumendo il valore di γ2 relativo alla profondità di 200 m
dato da γ2=1025.87 (1+0.10/100)=1026.896 kgP/mc]. Pertanto l’errore che si commette considerando l’acqua
incomprimibile è, in questo caso, piccolo (pari a circa lo 0.1 %), più che accettabile nei calcoli di ingegneria.
- Terzo esempio: batiscafo.
Un batiscafo avente volume ∇=3 mc che si trovi ad una profondità T=10000 m sposta un volume d’acqua che
ha un peso, a seconda del valore assunto per il peso specifico dell’acqua di mare, pari a: ∆= γ0 ∇= 1.02587 x 3
= 3.078 t (assumendo il valore di γ0 quello relativo alla profondità 0, cioè in superficie), ∆= γ3 ∇= 1.07716 x 3
= 3.232 t [assumendo il valore di γ3 relativo alla profondità di 10000 m dato da γ3=1025.87
(1+5/100)=1077.16 kgP/mc]. Pertanto l’errore che si commette considerando l’acqua incomprimibile è, in
questo caso, non piccolo (pari a circa il 5.0 %), non accettabile nei calcoli di ingegneria e, infatti, nei problemi
relativi ai batiscafi operanti a grandi profondità l’acqua viene considerata comprimibile.

9
un corpo immerso in un liquido in quiete riceve una forza verticale (spinta)
diretta dal basso verso l’alto ed uguale al peso del liquido spostato dal
corpo.

La genialità di Archimede fu veramente grande, infatti dovettero trascorrere


molti secoli prima che con Simon STEVIN (1548-1620) e con Blaise PASCAL
(1623-1662) l’idrostatica ricevesse decisivi contributi. Ma ciò che più sorprende è
che Archimede aveva già intuito sia il concetto di peso specifico sia quanto molto
più tardi le leggi di STEVIN e PASCAL stabilirono.

La legge di STEVIN può essere così sintetizzata:


in un liquido pesante ogni strato orizzontale è sottoposto ad una pressione il
cui valore è dato dal prodotto del peso specifico per il dislivello tra lo strato
considerato e la superficie libera del liquido.

La legge di PASCAL può essere enunciata in uno dei seguenti modi:


• in un fluido incomprimibile e in equilibrio le pressioni si trasmettono
inalterate in tutte le direzioni,
• in un fluido incomprimibile e in equilibrio la pressione su tutti gli elementi
superficiali che passano per un medesimo punto è la stessa, qualunque sia la
giacitura di tali elementi superficiali,
• in un fluido incomprimibile in equilibrio in un campo di forze conservativo
(ad es. il campo della gravità), un aumento di pressione ∆p in un punto della
massa fluida, restando inalterato il campo di forze e supposte inalterate le
condizioni di equilibrio, provoca un uguale aumento di pressione ∆p in tutti
gli altri punti.

In questo paragrafo si tratterà solo delle leggi di Stevin e di Pascal, mentre la


legge di Archimede verrà trattata nel capitolo sesto.
Torna comodo dimostrare prima la legge di Pascal e poi quella di Stevin.
Si consideri (figura 1) un punto generico A di un fluido incomprimibile (ad
esempio acqua) ed in quiete. Si assuma una terna di assi cartesiani con origine in un
punto O generico e con asse z diretto secondo la verticale ascendente. Si consideri il
tetraedro rigido avente gli spigoli uscenti da A infinitesimi e pari a dx, dy e dz e la
faccia BCD genericamente inclinata e, ovviamente, molto vicina al punto A.

10
L’elemento infinitesimo di fluido racchiuso dal tetraedro è sottoposto al
proprio peso ed alle forze di pressione agenti sulle quattro facce. Poiché il tetraedro
è in equilibrio dovrà essere nulla la sommatoria delle forze applicate. Siano dFx, dFy
e dFz le forze agenti sulle tre facce del tetraedro parallele, rispettivamente, ai piani
coordinati YZ, XZ e XY e sia dF la forza agente sulla faccia BCD. Essendo forze di
pressione ed essendo le singole facce di area infinitesima, è:

dFx = px dAx = px dy dz/2 dFy = py dAy = py dx dz/2


dFz = pz dAz = pz dx dy/2 dF = p dA

ed ogni forza è normale alla rispettiva superficie. La forza di massa, in generale,


avrà componenti dFm ≡ (ρ X d∇, ρ Y d∇, ρ Z d∇), quando si convenga di indicare
con X, Y e Z le componenti della forza unitaria di massa.

Nel campo della gravità e stante l’orientamento dato all’asse Z (verticale e


diretto verso l’alto) si ha X=Y=0 e Z=-g per cui è:

dm
dFm = − dm g = − d∇ g = − ρ g d∇ = − γ d ∇
d∇

agente parallelamente all’asse Z.

Considerando le componenti secondo i tre assi, essendo α, β e δ gli angoli


che la normale n alla faccia BCD fa, rispettivamente, con gli assi X, Y e Z (figura 2)
l’equilibrio impone:
dFx - dF cos α = 0
11
dFy - dF cos β = 0
dFz - dF cos δ - γ d∇ = 0

e, ricordando che è dF=p dA, dAx=dA cosα, dAy=dA cosβ e dAz=dA cosδ, si ha:

px dAx - p dAx = 0
py dAy - p dAy = 0
pz dAz - p dAz - γ d∇ = 0
cioè:
px = p
py = p
pz dAz - p dAz - γ dz dAz = 0

Fig. 2

i primi due termini della terza equazione sono infinitesimi del 2° ordine (dAz=dx
dy/2) mentre il terzo è un infinitesimo del 3° ordine e, quindi, può essere trascurato,
pertanto si ha px=py=pz=p; resta quindi dimostrata la legge di Pascal.

Sia dato un recipiente, che per semplicità supponiamo un cilindro retto di


sezione S, contenente un liquido a superficie libera.
Innanzi tutto va osservato che, stante la scorrevolezza delle molecole del
liquido pesante, la superficie libera non può essere che piana ed orizzontale.
Consideriamo ora uno strato a-a distante h dalla superficie libera. Tale strato
sopporta il peso della colonna di liquido sovrastante che, essendo il volume ∇=S h, è
dato da P=γ ∇=γ S h. La pressione che si esercita sull’unità di superficie è quindi
data da p=γ h.
12
Resta quindi dimostrato, in questo caso particolare, che in un liquido pesante,
posto in un recipiente cilindrico, ogni strato orizzontale è sottoposto ad una
pressione il cui valore è dato dal prodotto del peso specifico del liquido per l’altezza
della colonna liquida sovrastante.

La trattazione può essere estesa anche a recipienti di forma qualsiasi. Si


considerino allora tre recipienti (figura 3) aventi, per semplicità, asse z verticale di
rotazione e con pareti verticale (recipiente a), inclinata all’esterno (recipiente b) e
inclinata all’interno (recipiente c). I tre recipienti abbiano la stessa superficie del
fondo S e siano riempiti di liquido, in quiete, fino alla stessa quota h.
Per effetto della pressione del liquido, sulle pareti dei recipienti si esercitano
forze perpendicolari e rivolte dal liquido verso le pareti; per il principio di azione e
reazione le pareti eserciteranno sul liquido reazioni uguali ed opposte a queste.

Fig. 3
Siano:
13
• R la risultante delle reazioni esercitate dal fondo,
• R’ la risultante delle reazioni che la parte sinistra della parete laterale esercita sul
liquido,
• R” la risultante delle reazioni che la parte destra della parete laterale esercita sul
liquido.
Poiché il liquido è in equilibrio la risultante delle forze deve essere uguale ed
opposta alla forza peso P del liquido.

Nel caso “a” le forze R’ ed R” sono orizzontali perché la parete è verticale; la


forza R è verticale perché il fondo è orizzontale. Per l’equilibrio dovrà essere R’=R”
e R=P. In questo caso, dunque, tutto il peso del liquido è sorretto dal fondo del
recipiente e la forza che si esercita sul fondo è uguale al peso della colonna liquida
di sezione πR2 (area di base del recipiente) e di altezza h.

Nel caso “b” le forze R’ ed R” possono essere scomposte nelle componenti


orizzontali R’O ed R”O e verticali R’V ed R”V rivolte verso l’alto. La forza R è
verticale perché il fondo è orizzontale. Per l’equilibrio dovrà essere R’O = R”O e
P=R-R’V - R”V. Ricordando il caso precedente si può asserire che il peso P della
colonna liquida di sezione πR2 e di altezza h è equilibrata dalla forza R mentre la
risultante delle forze R’V ed R”V equilibra il peso del liquido della parte restante
che occupa lo spazio che, nella sezione (figura 3b), è rappresentato dalle aree ACC’
e BDD’.

Nel caso “c” le forze R’ ed R” possono essere scomposte nelle componenti


orizzontali R’O ed R”O e verticali R’V ed R”V rivolte verso il basso. La forza R è
verticale perché il fondo è orizzontale. Per l’equilibrio dovrà essere R’O = R”O e
P=R-R’V - R”V. Quindi la forza R esercitata dalla base del recipiente deve equilibrare
non solo la forza peso P del liquido, ma anche le due forze verticali R’V ed R”V le
quali sono uguali al peso che avrebbero i volumi di liquido rappresentati, nella
sezione (figura 3c), dalle aree ACC’ e BDD’ che si dovrebbero aggiungere al
recipiente per portarlo alla situazione descritta nel caso “a”. Anche in questo caso,
quindi, il peso sorretto dal fondo del recipiente è uguale a quello di una colonna
liquida cilindrica avente altezza h e base pari a quella del recipiente.

L’enunciato precedente va quindi così generalizzato:


in un liquido pesante, posto in un recipiente di qualsiasi forma, ogni strato
orizzontale è sottoposto ad una pressione il cui valore è dato dal prodotto
del peso specifico del liquido per l’altezza della colonna liquida sovrastante.

Tale enunciato è perfettamente equivalente a quello già dato all’inizio del


presente paragrafo, come legge di Stevin 3.
3
E’ classica l’esperienza eseguita con una botte piena d’acqua sulla cui superficie superiore è innestato, a
tenuta, un tubo di piccolo diametro ma molto lungo. Versando nel tubo una piccola quantità di acqua (quindi
un peso trascurabile rispetto a quello relativo all’acqua già contenuta nella botte), ma in grado di riempire il
14
In un fluido omogeneo incomprimibile ed in quiete, in ogni punto si ha

p + γ h = cos t (6)

La relazione (6), che costituisce la equazione fondamentale della statica dei


fluidi incomprimibili, sancisce che la pressione varia linearmente con la quota
altimetrica h e dipende dal peso specifico del fluido. Pertanto ogni superficie
orizzontale (a quota h costante) è una superficie isobarica. La relazione (6) è
comunemente detta equazione fondamentale dell’idrostatica in quanto l’acqua (in
greco υδρωs) è il fluido incomprimibile più diffuso in natura.

Se il fluido è un liquido (ad es. acqua) con superficie libera (a contatto con
l’atmosfera), si assume come piano di riferimento per le quote quello coincidente
con la superficie libera che è a pressione nota (pressione atmosferica). Si consideri
un parallelepipedo di liquido riferito ad una terna cartesiana avente assi X ed Y
giacenti sulla superficie libera ed asse Z verticale e diretto verso il basso, figura 4;
l’origine O è generica.

Fig. 4

La forza elementare agente sulla faccia del parallelepipedo giacente sulla


superficie libera è:
Fa = pa dx dy

tubo fino ad un certo livello (dell’ordine di alcuni metri), si vede scoppiare la botte stante la notevole
pressione (p=γh) alla quale le pareti della botte risultano sottoposte.

15
essendo pa la pressione atmosferica.
La forza elementare giacente sulla faccia opposta, a profondità z è data da:

F = p dx dy

La forza dovuta al peso del parallelepipedo di liquido è data da:

P = γ z dx dy

L’equilibrio alla traslazione verticale da imporre, stante la condizione di


quiete, porta a scrivere:
pa dx dy - p dx dy + γ z dx dy = 0
per cui è:
p = pa + γ z (7a)

Se si considera un recipiente contenente del liquido (figura 5) e si indica con


h0 la distanza tra fondo e superficie libera e con h la distanza tra il fondo e la
superficie generica prima considerata (quella distante z dalla superficie libera), la
relazione (7a) diventa:

p = pa + γ (h0 - h) (7b)

Fig. 5

Il diagramma delle pressioni lungo una generica verticale è di forma


trapezoidale avente per altezza h0, per base superiore pa e per base inferiore pa+γh0.
Se si prescinde dalla pressione atmosferica il diagramma diventa triangolare e la
16
pressione p=γz è detta pressione idrostatica (anche se il fluido incomprimibile non è
acqua).
In un recipiente (figura 6) che presenti più superfici libere, il liquido si
dispone nei diversi vani, comunicanti, alla stessa quota in quanto su ciascuna
superficie libera grava la stessa pressione (quella atmosferica). Tale enunciato
costituisce il principio dei vasi comunicanti.

Fig. 6

Da quanto fino ad ora esposto è facile tracciare il diagramma delle pressioni


esercitate dal liquido sulle pareti di un recipiente. Con riferimento alle figure 7 ed 8,
sulle pareti laterali il diagramma delle pressioni ha forma triangolare, la pressione
idrostatica è 0 in corrispondenza della superficie libera mentre ha il valore γh0 in
corrispondenza del fondo; sulla parete di fondo il diagramma delle pressioni ha
forma rettangolare, la pressione idrostatica è in ogni punto pari γh0.

Fig. 7

Fig. 8
17
Se un contenitore “a” è immerso per un’altezza h0 nel liquido contenuto nel
recipiente “b”, il diagramma delle pressioni idrostatiche che si esercitano sulle pareti
del contenitore “a” è quello rappresentato in figura 9. Se il liquido contenuto,
l’altezza h0 e l’area A del fondo del contenitore “a” sono gli stessi di quelli del caso
precedente (figura 7), allora i due casi (figure 7 e 9) presentano uguale, ma di segno
opposto, diagramma delle pressioni idrostatiche ed anche la forza risultante F sui
due fondi sono uguali in intensità, ma di segno opposto. Tale situazione prescinde
dalla forma e dimensioni del contenitore “b” e dalla distanza tra le pareti dei due
contenitori.

Fig. 9

Per una nave a fondo piatto, quindi, il fasciame dei fianchi della carena è
sottoposto ad una distribuzione triangolare delle pressioni idrostatiche, mentre il
fondo è sottoposto ad una distribuzione rettangolare delle stesse pressioni.
Un sottomarino a sezioni circolari e, a profondità di z metri, è sottoposto a
pressioni idrostatiche (radiali) variabili linearmente dal valore γz al valore γ(z+d),
essendo d il diametro del sottomarino.

Le paratie di un compartimento (stiva) contenente liquido sono sottoposte ad


una distribuzione triangolare delle pressioni idrostatiche, mentre il fondo è
sottoposto ad una distribuzione rettangolare delle stesse pressioni.

18
CAPITOLO II

GEOMETRIA DELLE MASSE

1 - Premessa.

La geometria delle masse è quella particolare geometria che tratta di enti


lunghezza e massa.
In questo caso la massa è definita dalla grandezza, dalla forma e dal luogo
geometrico occupato nello spazio.
La determinazione del punto di applicazione dell’ente massa e la ricerca delle
relazioni che passano tra le distanze del punto di applicazione di esso da forme
geometriche stabilite, sono lo scopo principale della geometria delle masse.
La geometria delle masse è trattata nei testi e nei corsi di Meccanica
Razionale.
In questo capitolo si richiamano alcune nozioni di geometria delle masse che
trovano applicazione nello studio della Geometria dei Galleggianti e della Statica
della Nave, rimandando il lettore, per quanto qui non detto, ai testi di Meccanica
Razionale.

2 - Centro geometrico.

Nell’ambito della Geometria (elementare, analitica, proiettiva, ecc.) si dà il


nome di centro ad un punto che ha un ruolo speciale e/o gode di particolare
proprietà. L’esempio più immediato è il centro del cerchio, unico punto che ha la
proprietà di essere equidistante da qualsiasi punto della circonferenza. Tale
riferimento è classico (esemplare) in quanto la parola centro deriva dal greco
xεντρον vocabolo indicante l’aculeo, la punta del compasso. Per ragioni analoghe si
parla di centro di una sfera e, più in generale, di centro di una conica o di una
quadrica. In alcune trasformazioni geometriche uno o più punti hanno un ruolo
speciale; è il caso del centro di prospettiva, del centro di omotetia, ecc.

19
3 - Sistemi discreti e sistemi continui di masse.

Sia dato un insieme; se le sue parti costituenti sono oggetto di una medesima
considerazione, allora si è in presenza di un sistema.
Un sistema di masse si dice discreto se è costituito da un numero finito n di
punti materiali e se ognuno di essi ha un intorno - di dimensioni sia pure
piccolissime, purché finite - nel quale non vi siano altri punti dell’insieme. In
generale le diverse masse puntiformi non sono uguali.
Un sistema di masse si dice continuo se le sue masse sono tutte all’interno di
un campo limitato, occupano il campo completamente e se è assegnata la densità di
esse. Un corpo continuo è, quindi, un sistema continuo. Se la densità è costante in
ogni punto si ha un sistema continuo omogeneo.
In questo lavoro si considerano solo sistemi rigidi, cioè sistemi non
deformabili sotto l’azione di forze esterne.
In questo capitolo le parti che si considerano sono masse [concentrate in
punti (sistema discreto) o elementari (sistema continuo)]. Poiché le masse se
soggette alla accelerazione di gravità (ritenuta costante) danno luogo a pesi (forze
verticali) in tal caso le parti sono forze peso. Supponendo nei sistemi continui ed
omogenei la densità unitaria, allora le parti costituiscono una figura.
In definitiva in questo capitolo faremo riferimento a sistemi di masse, a
sistemi di forze peso e - solo per i sistemi continui - a figure.

4 - Centro di massa.

Sia dato un sistema rigido costituito da n (numero finito) di punti Qi di masse


mi; si definisce centro di massa del sistema S il punto G (può essere indicato con
una qualsiasi lettera maiuscola) univocamente determinato dall’equazione vettoriale

∑ m (Q
i i − O) n
G − O= 1
n
⇒ ( G − O) m = ∑ m i ( Q i − O) (1)
∑m i
1

1
n
dove O è un punto generico (quindi indipendente da G) ed m = ∑ m i è la massa
1

risultante del sistema discreto di masse. Pertanto il sistema dei punti Qi di massa mi
è equivalente al sistema costituito dalla massa risultante m supposta concentrata nel
centro di massa G.
Il centro di massa è unico e indipendente dal punto prescelto; infatti, assunti
due punti generici O1 e O2, si ha:
20
n n

∑ m i ( Q i − O1 ) ∑ m (Q i i −O2 )
G 1 − O1 = 1
n
e G 2 − O2 = 1
n

∑ mi ∑m i
1 1

per cui è
n

∑ m [( Qi i − O 1 ) − (Q i − O 2 ) ]
G 1 − G 2 = (O1 − O 2 ) + 1
n

∑m i
1
n

∑ m (O i 2 − O1 )
⇒ G 1 − G 2 = (O1 − O 2 ) + 1
n
= (O 1 − O 2 ) + (O 2 − O 1 ) = 0
∑m i
1

per cui è G1≡G2 e, quindi, il centro di massa è indipendente dal punto O scelto.
I punti Qi possono essere riferiti ad una terna di assi cartesiani ortogonali X,
Y e Z con origine nel punto O, pertanto le coordinate del generico punto Qi sono xi,
yi e zi. Indicando con xG, yG e zG le coordinate del centro di massa G del sistema, la
(1) fornisce le (2):

n

∑m x i i
xG = 1 n 

∑1 mi 

n

∑1 mi yi 
yG = n  (2)
∑1 mi 
n 
∑1 mi zi 
zG = n 
∑1 i 
m
i 

che rappresentano le coordinate del centro di massa G rispetto alla terna detta.
Se dal sistema rigido S di masse discrete si passa ad un sistema rigido
continuo nel campo C, la relazione (1) si modifica nella seguente:

∫ (Q − O) dm
G − O= C (1’)
m
21
nella quale m = ∫ dm è la massa totale. Proiettando la relazione vettoriale (1’) sugli
C

assi di una terna ortogonale con origine nel punto O si hanno le equazioni scalari
(2’) analoghe alle (2) e che rappresentano le coordinate del centro di massa del
sistema rigido continuo.


∫ xdm 
xG = C 
∫C dm 

∫C ydm 
yG =  (2’)
∫C dm 


∫C z dm 
zG = 
∫ 
C
dm

Indicando con ρ la densità - in generale variabile da punto a punto nel campo


C - la relazione (1’) diventa:

∫ ρ ( Q − O) dc
G − O= C (3)
∫ ρ dc
C

per cui se il sistema è omogeneo, cioè ρ=cost in tutto il campo (distribuzione di


massa uniforme nel campo C), si ha:

∫ ( Q − O) dc
G − O= C (4)
∫ dc
C

E’ evidente quindi che solo se il sistema è omogeneo, il centro di massa è


determinato dalla sola configurazione geometrica del campo C.
E’ chiaro, quindi, che per un campo generico C (sia esso spaziale o piano)
non esiste un centro nell’accezione geometrica; esiste invece un centro di massa in
quanto il sistema di masse del campo C è equivalente alla massa totale supposta
concentrata nel punto G. L’espressione corrente centro di un volume è la
semplificazione della espressione centro di massa di un sistema continuo omogeneo
contenuto in un campo spaziale; analogamente per centro di una figura piana, centro
di una curva, ecc.
22
Il centro di massa gode di alcune proprietà che qui vengono riportate
relativamente ai sistemi discreti, ma che sono estensibili ai sistemi continui (tranne,
ovviamente, quella riportata al n° 2):

il centro di massa resta invariato se le masse mi dei punti Qi vengono moltiplicate


per uno stesso fattore k, cioè se le singole masse variano conservando inalterati i
reciproci rapporti;
il centro di massa di due punti è interno al segmento che li congiunge e lo divide in
parti inversamente proporzionali alle masse dei punti;
se tutti i punti di massa giacciono su una stessa retta o su un piano anche il centro di
massa giace sulla retta o sul piano, rispettivamente;
se il sistema ammette un piano di simmetria materiale il centro di massa si troverà su
tale piano; se i piani di simmetria sono due il centro di massa si troverà sulla loro
retta di intersezione; se i piani di simmetria sono tre il centro di massa si troverà sul
punto comune ai tre piani;
se il sistema S si considera come somma di due sistemi materiali di massa rispettiva
m1 e m2 con centri di massa G1 e G2, il centro di massa G del sistema S coincide con
quello delle masse m1 e m2 concentrate rispettivamente in G1 e G2.

La prima proprietà consente di scrivere la (1) come segue:


n

∑ k m (Q
i i − O) n
k ( G − O) = 1
⇒ k m ( G − O ) = ∑ k mi ( Q i − O )
m 1

Se la costante k vale g, accelerazione di gravità, la relazione diventa:


n
P ( G − O) = ∑ Pi ( Q i − O) (5)
1

essendo Pi la forza peso associata alla massa mi e P la forza peso risultante P=ΣPi.
In questo caso il centro di massa G assume il nome di centro di gravità (che
di preferenza viene indicato con G). Il centro di gravità è chiamato anche baricentro
(dal greco βαρυs = grave, peso + centro) ed è il centro di un sistema di vettori peso.
Pertanto il centro di massa ed il centro di gravità (o baricentro) coincidono solo nel
campo della gravità. Correntemente, spesso, il termine baricentro viene usato
impropriamente in luogo di centro di massa.

La proprietà indicata al punto n° 5 consente di scomporre un sistema


complesso continuo in un sistema discreto; considerando a due a due gli elementi
componenti ed utilizzando più volte la proprietà indicata al punto n°2, si perviene
alla determinazione delle coordinate del centro di massa del sistema iniziale.

23
La proprietà indicata al punto n° 4 consente, in molti casi, di determinare
rapidamente una o più delle coordinate del centro di massa senza utilizzare le
relative relazioni.

5 - Momento statico.

Si chiama momento statico (o momento del primo ordine) di un punto


materiale Q di massa m rispetto ad un piano generico α la quantità

M=mr (6)

essendo r la distanza (orientata, cioè con segno) del punto Q dal piano α.
Se i punti sono n, si chiama momento statico di un sistema di punti materiali
Qi di massa mi rispetto ad un piano generico α la quantità:
n
M= ∑m
1
i ri (7)

quindi il momento statico di un sistema di masse mi è dato dalla somma dei momenti
statici delle singole masse. Quello ora definito è il momento statico planare.
Se la distanza ri è tra la massa mi ed una retta a, resta definito, in modo
analogo, il momento statico assiale. Se la distanza ri è tra la massa mi ed un punto
A, resta definito, in modo analogo, il momento statico polare. Quindi, il momento
di 1° ordine o momento statico può essere planare, assiale o polare.

Se il sistema è piano, cioè se tutti i punti Qi di massa mi giacciono su uno


stesso piano β, il momento statico del sistema rispetto ad un piano α che intersechi
ortogonalmente il piano β secondo una retta a si chiama anche momento statico del
sistema materiale rispetto alla retta a (vedi figura 1).

La prima delle (2), scritta come segue

XG ∑m =∑mi i xi

asserisce che il momento statico di un sistema materiale rispetto al piano coordinato


YZ (secondo membro) è uguale al momento statico della massa totale supposta
concentrata nel centro di massa G rispetto allo stesso piano coordinato (primo
membro); si veda la figura 2. La relazione può quindi scriversi

XG m = MYZ
24
essendo: m = ∑ mi e M YZ = ∑ m i x i

Fig. 1

Fig. 2

Ripetendo il ragionamento, le (2) diventano:


25
n

∑m x i i
M YZ 
xG = 1
n
= 
m 
∑m i 
i

n

∑m y i i
M XZ 
yG = 1
n
=  (8)
m
∑m 1
i


n 

∑m z i i
M XY 
G = 1
n
= 
m
∑m 1
i



Si tenga presente che il piano coordinato di volta in volta assunto in realtà è


un piano qualsiasi in quanto l’origine della terna è nel punto generico O e la coppia
di assi che caratterizza il piano è a libera scelta. Si può osservare, ad esempio, che
XG = 0 (G giace sul piano YZ) solo se MYZ = 0. Quindi il momento statico di un
sistema materiale rispetto ad un piano qualsiasi - e quindi rispetto anche ad un piano
coordinato - è uguale al momento statico del baricentro G nel quale si supponga
concentrata la massa totale del sistema. Ne scaturisce che condizione necessaria e
sufficiente perché il momento statico di un sistema rigido di punti materiali
rispetto ad un piano sia nullo è che il suo baricentro appartenga al piano. Ne
segue anche che:
se due sistemi materiali hanno momenti statici uguali rispetto a piani arbitrari, hanno
anche lo stesso baricentro;
determinati tre piani ortogonali rispetto ai quali i tre momenti statici sono nulli, il
centro di massa del sistema coinciderà con il punto intersezione dei tre piani
coordinati cioè con il punto O origine della terna.

In un sistema materiale continuo la relazione (7) diventa:

M = ∫ r dm = ∫ r ρ dc
C C

che dà luogo alle seguenti equazioni scalari:

M YZ = ∫ x dm = ∫ x ρ dc
C C

M XZ = ∫ y dm = ∫ y ρ dc
C C

M XY = ∫ z dm = ∫ z ρ dc
C C

per cui le coordinate del centro di massa del sistema continuo sono:
26

M YZ M YZ M YZ 
XG = = = 
∫C dm C∫ ρ dc m 

M XZ M XZ M XZ 
YG = = =  (9)
∫C dm ∫C ρ dc m 

M XY M XY M XY 
ZG = = = 
∫ C∫
C
dm ρ dc m 


Le relazioni (9) sono analoghe alle (8). Ovviamente le proprietà di cui gode il
centro di massa, riportate a valle delle (8), si estendono ai sistemi continui.

6 - Momenti d’inerzia del 2° ordine.

La somma dei prodotti di masse mi (sistema discreto) o di elementi


infinitesimi di masse dm (sistema continuo) per la loro distanza da due forme
geometriche di eguale tipo (piani, rette, punti) si chiama momento d’inerzia del 2°
ordine. Più precisamente si distinguono due casi:
se le due forme geometriche non sono coincidenti (due piani distinti, due rette
distinte, due punti distinti) il momento d’inerzia del 2° ordine è detto momento
centrifugo o prodotto d’inerzia, a seconda del caso, planare o assiale o polare;
se le due forme geometriche sono coincidenti (due piani coincidenti, due rette
coincidenti, due punti coincidenti) il momento d’inerzia del 2° ordine è detto
momento d’inerzia, a seconda del caso, planare o assiale o polare.

Nel primo caso, ad esempio, Iα,β indica appunto che il momento d’inerzia del
2° ordine è relativo a due piani distinti α e β e, di conseguenza, nella sua espressione
interverranno le distanze del generico punto mi dal piano α (distanza riα) e dal piano
β (distanza riβ ).
Nel secondo caso, analogamente, poiché α≡β il simbolo che indica il
momento d’inerzia del 2° ordine è Iα o Iβ (in quanto Iα≡Iβ ) e, di conseguenza, nella
sua espressione interverrà la distanza al quadrato del generico punto mi dal piano α
coincidente con il piano β per cui essendo rα ≡ rβ = r è
rα rβ = rα2 = rβ 2 = r2.
Si chiama momento d’inerzia (o momento del secondo ordine) di un punto
materiale Q di massa m rispetto ad un punto A la quantità:
27
I = m r2 (10)

essendo r la distanza orientata del punto Q dal punto A. Analogamente viene


definito il momento d’inerzia di un punto materiale Q di massa m rispetto ad una
retta a o ad un piano α.

Se i punti sono n, si chiama momento d’inerzia di un sistema di punti


materiali Qi di massa mi rispetto ad un punto A o ad una retta a o ad un piano α, la
quantità:
n
I = ∑ m i ri2 (11)
1

che rappresenta la somma dei momenti d’inerzia delle singole masse. Nella (11) ri
sono le singole distanze orientate tra ciascun punto Qi ed il punto A o la retta a o il
piano α (momenti d’inerzia polare, assiale o planare).

Nel caso in cui il sistema materiale sia un corpo continuo di massa m che
occupa completamente il campo limitato C ed è assegnata la densità ρ in ciascun
punto di C, la definizione (11) di momento d’inerzia si esprime con la quantità:

I = ∫ r 2 dm = ∫ ρ r 2 dc (12)
C C

nella quale r rappresenta la distanza dell’elemento dc rispettivamente dal punto A,


dalla retta a o dal piano α.
Se la densità ρ è costante ed unitaria il momento d’inerzia è:

I = ∫ r 2 dc (13)
C

e dipende solo dalla configurazione del sistema continuo; in questo caso invece di
parlare di momento d’inerzia di massa si parla di momento d’inerzia del campo C
(ad esempio di una data figura piana) rispetto al punto A o alla retta a o al piano α.

I momenti d’inerzia, ovviamente, non possono essere mai numeri negativi e


sono nulli solo se tutte le masse sono concentrate nel punto A, sono distribuite sulla
retta a o sul piano α; solo in tale caso, infatti, è r=0 e, quindi, I=0.
Se le distanze ri hanno tutte lo stesso valore ρ si ha, per i sistemi discreti:

I = ∑ mi ρ2 = ρ2 ∑m i

dalla quale si ricava:


28
I
ρ= n
(14)
∑m 1
i

la quantità ρ è detta raggio d’inerzia (o raggio di girazione) e rappresenta la distanza


dal punto A, dalla retta a o dal piano α, alla quale si potrebbero ubicare le stesse
masse senza che vari il corrispondente momento d’inerzia I.

Nel caso in cui il sistema materiale sia un corpo continuo di massa m


occupante il campo C, il raggio d’inerzia è dato da:

I
ρ= (15)
∫ dm
C

Il momento d’inerzia di un sistema materiale rispetto ad una retta a è


uguale alla somma dei momenti d’inerzia del sistema rispetto a due piani
arbitrari ortogonali che si intersecano lungo la retta a.
Infatti se indichiamo con YZ e XZ i due piani ortogonali di una terna
cartesiana, allora la retta a coincide con l’asse Z e si può scrivere:
n n n n

1 1
( )
I a = I Z = ∑ m i ri2 = ∑ m i x 2i + y 2i = ∑ m i x 2i + ∑ m i y 2i = I YZ + I XZ
1 1
c.v.d.

Il momento d’inerzia di un sistema materiale rispetto ad un punto A è


uguale alla somma dei momenti d’inerzia del sistema rispetto a tre piani
arbitrari ortogonali aventi in comune il punto A.
Infatti se indichiamo con YZ, XY e XZ i tre piani ortogonali di una terna
cartesiana, allora il punto A coincide con il punto O origine della terna; allora si può
scrivere:
n n n n n

1
( )
I A = I O = ∑ m i ri2 = ∑ m i x i2 + y i2 + z i2 = ∑ m i x i2 + ∑ m i y 2i + ∑ m i z i2 = I YZ + I XZ + I XY
1 1 1 1

Nelle relazioni trovate IYZ, IXZ e IXY sono i momenti d’inerzia del sistema
rispetto ai corrispondenti piani coordinati. Ovviamente le relazioni trovate per i
sistemi discreti:
Ia = IYZ + IXZ (16)
IA = IYZ + IXZ + IXY (17)

valgono anche se il sistema materiale è continuo. E’ appena il caso di ricordare che


la (16) si trasforma nelle due seguenti:

Ia = IYX + IXZ (16’)

29
Ia = IXY + IYZ (16’’)

se si chiamano diversamente i due piani coordinati ortogonali.

Si chiama prodotto di inerzia (o momento centrifugo d’inerzia) di un punto


Q di massa m rispetto a due piani ortogonali α e β la quantità 4
Iαβ = m rα rβ (18)
nella quale rα e rβ sono, rispettivamente, le distanze orientate del punto Q dai piani α
e β.
Se i punti materiali sono n, si chiama prodotto di inerzia ( o momento
centrifugo d’inerzia) di un sistema di punti materiali Qi di massa mi rispetto a due
piani α e β la quantità:
n
Iαβ = ∑ mi riα riβ (19)
1

che rappresenta la somma dei prodotti d’inerzia delle singole masse.


Se i punti materiali appartengono tutti ad un piano γ ortogonale ai piani
generici α e β (tra loro ortogonali) si parla di prodotto d’inerzia del sistema
materiale rispetto alle due rette intersezione di γ con i piani α e β (figura 3).
Se i piani α, β e γ coincidono con i piani coordinati di una terna ortogonale -
ad esempio α≡XY, β≡XZ e γ≡YZ - le rette intersezione di γ con α e β sono,
rispettivamente gli assi Y e Z e, pertanto il prodotto d’inerzia viene indicato anche -
in questo caso - con IYZ (analogamente si può pervenire a IXZ e IXY). Il prodotto
d’inerzia - a differenza del momento d’inerzia che è sempre positivo - può essere
negativo, nullo o positivo.

Fig. 3
Siano assegnati due piani ortogonali α e β (figura 4); si supponga che il
sistema di punti materiali abbia per centro di massa il punto G; si traccino i piani α‘

4
La trattazione può essere fatta anche se i due piani α e β sono obliqui.
30
e β‘ paralleli rispettivamente ad α e β e passanti per il centro di massa G; siano rGα
rGβ le relative distanze minime di G dai piani α e β; sia infine Qi un generico punto
del sistema materiale e siano riα‘ e riβ‘ le minime distanze di esso dai piani α‘ e β‘;
allora le minime distanze del punto Qi dai piani α e β sono date dalle relazioni:

Fig. 4

riα = rGα + riα‘

riβ = rGβ + riβ‘

Allora si ha:

(
I αβ = ∑ m i riα riβ = ∑ m i ( rGα + riα ' ) rGβ + riβ ' = )
(
= ∑ m i rGα rGβ + rGα riβ ' + riα ' rGβ + riα ' riβ ' = ) (20)
= rGα rGβ ∑m i + rGα ∑m i riβ ' + rGβ ∑ m i riα ' + ∑ m i riα ' riβ '

Le somme Σmi riα‘ e Σmi riβ‘ sono nulle in quanto sono i momenti statici del
sistema rispetto ai piani baricentrici α‘ e β‘; inoltre la somma Σmi riα‘ riβ‘ è il
prodotto d’inerzia del sistema rispetto ai due piani baricentrici α‘ e β‘ che
indichiamo con
IG = Σmi riα‘ riβ‘ (21)
per cui la (20) diventa:
Iαβ = IG + rGα rGβ Σmi (22)

La (22) dimostra che nel calcolo del prodotto d’inerzia di un sistema


materiale rispetto ai due piani arbitrari α e β non è lecito supporre la massa del
31
sistema (come avviene per il momento statico) concentrata nel centro di massa G;
infatti il prodotto d’inerzia è dato dalla (22) e non dal solo secondo addendo del
secondo membro della (22).

Quanto detto per il prodotto d’inerzia relativamente ai sistemi discreti può


essere esteso ai sistemi continui (cosa che del resto vale per tutto quanto esposto in
questo capitolo). In particolare la (19) diventa:

I αβ = ∫ rα rβ dm = ∫ rα rβ ρ dc
C C

e, se il sistema è omogeneo e con densità unitaria, è:

I αβ = ∫ rα rβ dm = ∫ rα rβ dc (23)
C C

e la (21) diventa:
I G = ∫ rα ' rβ ' dc (24)
C

mentre la (22) diventa:


I αβ = I G + rGα rGβ ∫ dc (25)
C

7 - Momenti d’inerzia rispetto a piani o a rette parallele.

Se i piani orientati α e β considerati nel paragrafo precedente coincidono, la


relazione (22), posto rG = rGα = rGβ , diventa:

Iα = IG + rG2 Σmi (26)

ed anche IG = Iα- rG2 Σmi (26’)

in quanto, per la coincidenza dei piani α e β, i prodotti d’inerzia sono diventati


momenti d’inerzia (figura 5).
Nella (26) Iα è il momento d’inerzia rispetto al piano arbitrario α≡β, IG è il
momento d’inerzia rispetto al piano passante per il centro di massa e parallelo al
piano precedente e rG è la distanza tra i due piani paralleli detti. La (26) sintetizza il
teorema del trasporto 5. Pertanto se è noto il momento d’inerzia rispetto ad un
piano passante per il centro di massa del sistema è possibile determinare il momento

5
In alcuni testi attribuito all’olandese Christiaan HUYGENS (1629-1695), in altri allo svizzero Jakob
STEINER (1796-1863).
32
d’inerzia del sistema rispetto a qualunque piano parallelo al precedente essendo rG la
distanza tra i due piani.

Fig. 5

Consideriamo ora (figura 6) due rette parallele a e a’ e sia β il piano sul quale
giacciono. La retta a’ sia quella passante per il centro di massa G del sistema.
Consideriamo poi i due piani paralleli γ e γ‘ normali al piano β e passanti
rispettivamente per a e a’.

Fig. 6

La relazione 26, applicata ai due piani paralleli γ e γ‘, consente di scrivere:

Iγ =Iγ‘ + rG2 Σmi (27)


ma per la (16) si ha:
33
Ia = Iβ + Iγ e IG = Iβ + Iγ‘

nella prima si può sostituire il valore di Iγ dato dalla (27), avendo:

Ia = Iβ + Iγ‘ + rG2 Σmi

e, sostituendo il valore di Iβ ricavato dalla seconda delle due relazioni prima


ricordate, si ha:
Ia = IG + rG2 Σmi (26)

che è uguale a quella già ottenuta per altra via.

Ripetiamo ora la figura 6 inserendovi il piano α che è normale al piano β


lungo la retta sulla quale giace il segmento GA=rG ed è normale anche ai piani γ e
γ‘; ottenendo così la figura 7.

Poiché rG=GA è la distanza tra i piani γ e γ‘, vale ancora la relazione (27); per
la (17) si ha:
IA = Iα + Iβ + Iγ

nella quale ad Iγ può essere sostituito il valore dato dalla (27), fornendo:

Fig. 7

IA = Iα + Iβ + Iγ‘ + rG2Σmi
ma per la (17) è:
IG = Iα + Iβ + Iγ‘
per cui si ha:
IA = IG + rG2Σmi (26)
34
che è indicata con (26) in quanto perfettamente analoga a quella già scritta.

In definitiva il teorema del trasporto può così enunciarsi:


il momento d’inerzia di un sistema S rispetto ad un piano α, ad una retta a o ad
un punto A è uguale al momento d’inerzia IG del sistema S - rispetto al piano
parallelo passante per il centro di massa G del sistema S, alla retta parallela
passante per il centro di massa G del sistema S o rispetto al centro di massa G del
sistema - aumentato del prodotto della massa totale m del sistema moltiplicata per
il quadrato della distanza rG tra i due piani paralleli, tra le due rette parallele o tra
i punti A e G.

Pertanto le relazioni indicate con (26) possono compendiarsi nella seguente


I = IG + rG2Σmi (26)

nella quale I può assumere uno dei seguenti significati:


momento d’inerzia del sistema S rispetto al piano α,
momento d’inerzia del sistema S rispetto alla retta a,
momento d’inerzia del sistema S rispetto al punto A;
mentre IG, coerentemente, può assumere uno dei seguenti significati:
momento d’inerzia del sistema S rispetto al piano parallelo ad α e passante per il
centro di massa G,
momento d’inerzia del sistema S rispetto alla retta parallela ad a e passante per il
centro di massa G,
momento d’inerzia del sistema S rispetto al centro di massa G;
e, coerentemente, rG assume il significato di:
distanza tra i due piani paralleli,
distanza tra le due rette parallele,
distanza tra i punti A e G.

Dividendo la (26) per Σmi si ha:

I I
= G + rG2
Σ m i Σm i
che, ricordando la (14), fornisce:

ρ2 = ρ2G + rG2 (28)

Dalla (26) e dalla (27) risulta che:


il momento d’inerzia I ed il raggio d’inerzia ρ di un sistema materiale rispetto ad
un piano α, ad una retta a o ad un punto A, crescono via via che gli elementi
(piano, retta o punto) si allontanano dal centro di massa G. Il valore minimo si ha
quando il piano α o la retta a passano per il centro di massa o quando il punto A
35
coincide con il centro di massa. Risulta, infine, che ρ > rG in generale, solo in casi
particolari ρ = rG ,mentre non risulta mai ρ < rG.

I momenti d’inerzia più usati sono quelli rispetto a rette. Tutto quanto detto
nel presente paragrafo può, ovviamente, essere esteso ai sistemi continui.

8 - Momenti d’inerzia rispetto ad assi concorrenti.

Al paragrafo precedente si è esaminato come varia il momento d’inerzia


quando la retta a rispetto alla quale viene calcolato cambia di posizione senza
variare di direzione. Si vuole ora esaminare come varia il momento d’inerzia quando
la retta a ruota attorno ad un punto fisso O.
Sia data (figura 8) la retta a rispetto alla quale si vuole determinare il
momento d’inerzia Ia di un sistema di punti materiali Qi di massa mi. Preso in modo
arbitrario un punto fisso O della retta a, si assumono arbitrariamente tre assi
ortogonali X, Y e Z aventi per origine il detto punto O. La retta orientata e generica
a, concorrente in O, è caratterizzata, nel riferimento scelto, dai suoi tre coseni
direttori λ, µ e ν. Indichiamo con u il versore della retta a. Il punto generico Qi del
sistema S di masse ha coordinate xi, yi e zi ed ha distanza ri dalla retta a. La distanza
ri è il modulo del prodotto vettoriale
(Qi - O) Λ u

Fig. 8
le cui componenti sono date dai minori della matrice

xi yi zi
λ µ ν

la distanza generica ri è fornita, quindi, dalla relazione:


36
r12 = ( y i υ − z i µ ) + ( z i λ − x i υ) + ( x i µ − y i λ )
2 2 2
(28)

nella quale le tre quantità in parentesi sono appunto i minori ricavati dalla matrice e,
quindi, le tre componenti di (Qi - O) Λ u . Sviluppando la (28) si ha:

( ) ( ) ( )
ri2 = y 2i + z 2i λ2 + z 2i + x 2i µ 2 + x 2i + y i2 υ 2 − 2 y i z i µ υ − 2 x i z i λ υ − 2 x i y i λ µ

Il momento d’inerzia del sistema materiale di masse mi rispetto alla retta a è dato
dalla (11) per cui si ha:

( ) ( ) ( )
I a = Σm i ri2 = Σm i y 2i + z 2i λ2 + Σm i x 2i + z 2i µ 2 + Σm i x 2i + y 2i ν 2 − 2 Σm i y i z i µν +
− 2 Σm i x i z i λν − 2 Σm i x i y i λµ
Si ponga allora:
(
A = Σm i y 2i + z 2i ) D = Σm i y i z i
(
B = Σmi x i2 + zi2 ) E = Σmi xi z i (29)
C = Σm ( x i
2
i +y )2
i F = Σmi xi yi
per cui si ha:
I a = Aλ2 + B µ 2 + C ν 2 − 2 D µ ν − 2 E ν λ − 2 F λ µ (30)

La (30) consente di determinare il momento d’inerzia di un sistema S di


masse mi rispetto ad una retta a in funzione dei momenti d’inerzia A, B e C del
sistema S rispetto a tre rette ortogonali concorrenti con a nel punto O ed in funzione
dei prodotti d’inerzia D, E ed F del sistema S rispetto alle tre coppie di piani che
quelle tre rette ortogonali a due a due determinano.

9 - Ellissoide d’inerzia

la relazione (30) fornisce la legge di variazione dei momenti d’inerzia rispetto


ad assi concorrenti in uno stesso generico punto O (stella di rette). Tale relazione è
suscettibile di una comoda interpretazione geometrica.
Consideriamo per ogni retta a uscente da O i due punti P, simmetrici, distanti
da O della quantità:
1
OP = (31)
Ia
Continuando ad indicare con λ, µ e ν i coseni direttori della generica
semiretta appartenente ad a, le coordinate dei punti P - quindi le componenti dei
vettori OP - sono date da:
37
λ µ ν
x= ; y= ; z= (32)
± Ia ± Ia ± Ia

dove i radicali sono da prendere per un punto con il segno positivo e per l’altro con
il segno negativo. Dalle (32) si ricava:

λ = ± x Ia µ = ± y Ia ν = ± z Ia

che sostituite nella (30) rendono:

1 = Ax 2 + B y 2 + C z 2 − 2 D y z − 2 E z x − 2 F x y (33)

che è l’equazione cartesiana della superficie descritta dal punto P al variare della
retta a nella stella di rette.
La (33) è l’equazione di una quadrica avente per centro O e, poiché i punti P
sono tutti a distanza finita da O, tale quadrica è un ellissoide. La (33) è detta
equazione dell’ellissoide d’inerzia del sistema materiale S relativo al punto O.
Quando è assegnata la quadrica (33), si ha immediatamente il momento
d’inerzia rispetto ad una qualunque retta a passante per O. Infatti, detto P uno dei
due punti in cui la retta a incontra l’ellissoide, si ha dalla (31)

1
Ia = 2
(34)
OP

Esaminando la (34) si deduce immediatamente che tra tutti gli assi condotti
per O, quello che dà il più piccolo valore del momento d’inerzia è l’asse maggiore
dell’ellissoide, mentre il più grande valore del momento d’inerzia si ha rispetto
all’asse minore dell’ellissoide.
Se per punto O si assume proprio il centro di massa G del sistema S, la
quadrica (33) assume il nome di ellissoide centrale d’inerzia.
Quando si vuole caratterizzare in modo preciso e completo la distribuzione
dei momenti d’inerzia di un dato sistema S di masse, si assegna la massa totale
m=Σmi e l’ellissoide centrale d’inerzia. In tal modo restano individuati i momenti
d’inerzia relativi ad un qualsiasi asse centrale (passante per G), mentre i momenti
d’inerzia relativi ad assi non centrali si possono ricavare mediante l’applicazione
della relazione (26).

38
10 - Assi principali ed assi centrali d’ inerzia.

Sia dato un ellissoide d’inerzia di un sistema materiale S di masse mi relativo


ad un generico punto O. Gli assi ed i piani principali dell’ellissoide si chiamano,
rispettivamente, assi principali e piani principali d’inerzia. I momenti d’inerzia I ed i
raggi d’inerzia ρ calcolati rispetto agli assi principali d’inerzia si chiamano
rispettivamente momenti principali d’inerzia e raggi principali d’inerzia del
sistema materiale S relativi al punto O generico. In un ellissoide gli assi principali
sono tre; solo quando l’ellissoide degenera in una sfera tutti gli assi sono principali.
Sono uguali a zero i prodotti d’inerzia rispetto alle tre coppie di piani coordinati se
la terna fondamentale assunta ha assi coincidenti con gli assi principali d’inerzia.
Se l’ ellissoide è centrale d’inerzia (il centro dell’ellissoide coinciderà con il
centro di massa del sistema S), allora i piani principali, gli assi, i momenti d’inerzia
ed i raggi d’inerzia si dicono centrali d’inerzia. Da quanto esposto risulta che:
gli assi centrali d’inerzia sono le sole rette che godono della proprietà di essere assi
principali d’inerzia rispetto a qualunque punto O appartenente alla retta stessa.
se un asse è principale d’inerzia rispetto a più di un punto, tale asse è sicuramente
centrale d’inerzia.

11 - Determinazione degli assi principali d’inerzia passanti per un punto


di una figura piana, noti i momenti d’inerzia rispetto a due assi uscenti
dallo stesso punto. Momenti principali d’inerzia

Supponiamo che siano noti (vedi figura 9) i momenti d’inerzia

I X = ∫ y 2 dA (37)
A

I Y = ∫ x2 dA (38)
A

ed il prodotto d’inerzia
I XY = ∫ x y dA (39)
A

rispetto ad una coppia di assi ortogonali X e Y uscenti da O.

Si vuole determinare la coppia di assi ortogonali X1 ed Y1 che siano


principali d’inerzia.

39
Fig. 9

Si assuma, quindi, una coppia di assi ortogonali X1 e Y1 uscenti da O e


formanti con gli omologhi assi X e Y un angolo ϕ generico. L’elemento infinitesimo
di area dA avente centro P ha coordinate x ed y rispetto alla coppia di assi X e Y. Le
coordinate del punto P rispetto alla coppia di assi X1 e Y1 sono date dalle relazioni:

x1 = x cos ϕ + y sen ϕ (38)


y1 = y cos ϕ − x sen ϕ (39)
Si ha allora:

I X1 = ∫ y 12 dA = ∫ ( y cos ϕ − x sen ϕ ) = ∫ y 2 cos 2 ϕ dA + ∫ x 2 sen 2 ϕ dA − ∫ 2 x y sen ϕ cos ϕ dA


2

A A A A A

che per le (35), (36) e (37) diventa

I X1 = I X cos 2 ϕ + I Y sen 2 ϕ − I XY sen 2ϕ (40)


analogamente
I Y1 = I X sen 2 ϕ + I Y cos 2 ϕ + I XY sen 2ϕ (41)

sommando e sottraendo le (40) e (41) si ha:

I X1 + I Y1 = I X + I Y (42)

I X1 − I Y1 = (I X − I Y ) cos 2ϕ − 2 I XY sen 2ϕ (43)

Noti, quindi, i momenti d’inerzia ed il prodotto d’inerzia rispetto ad una


coppia di assi uscenti da O è possibile calcolare i momenti d’inerzia rispetto ad
un’altra coppia di assi qualsiasi pure uscente da O purché sia noto l’angolo ϕ
che caratterizza la seconda coppia di assi rispetto alla prima.

40
Si ha anche che

I X1 Y1 = ∫ x 1 y 1 dA = ∫ ( y cos ϕ − x sen ϕ )( x cos ϕ + y sen ϕ ) dA =


A A

(
= ∫ y sen ϕ cos ϕ dA − ∫ x 2 sen ϕ cos ϕ dA + ∫ x y cos 2 ϕ − sen 2 ϕ dA
2
)
A A A

e, ricordando le (35), (36) e (37), si ha:

sen 2ϕ
I X1 Y1 = (I X − I Y ) + I XY cos 2ϕ (44)
2

Noti, quindi, i momenti d’inerzia ed il prodotto d’inerzia rispetto ad una


coppia di assi uscenti da O è possibile calcolare il prodotto d’inerzia rispetto ad
un’altra coppia di assi qualsiasi pure uscente da O purché sia noto l’angolo ϕ
che caratterizza la seconda coppia di assi rispetto alla prima.

In definitiva, grazie alla (43) e (44), noti i momenti d’inerzia ed il prodotto


d’inerzia rispetto ad una coppia di assi uscenti da O è possibile calcolare i momenti
d’inerzia ed il prodotto d’inerzia rispetto ad un’altra coppia di assi qualsiasi pure
uscente da O purché sia noto l’angolo ϕ che caratterizza la seconda coppia di assi
rispetto alla prima.
Gli assi principali d’inerzia sono quei due assi perpendicolari per i quali il
prodotto d’inerzia è nullo. Gli assi X1 e Y1 diventano assi principali d’inerzia se il
secondo membro della (44) è nullo.
Posto, allora:
sen 2ϕ
I X1 Y1 = (I X − I Y ) + I XY cos 2ϕ = 0
2
si ha:
2 I XY
tg 2ϕ = (45)
IY −IX
che definisce il particolare valore ϕ* dell’angolo ϕ che rende gli assi X1 e Y1
principali d’inerzia.

Sostituendo il valore ϕ* nelle (40) e (41) si ricavano i momenti principali


d’inerzia IX1 e IY1. Si può, in alternativa, sostituire il valore ϕ* nella (43) e, poi,
utilizzando la (42) ricavare egualmente i momenti principali d’inerzia.

Ovviamente, sostituendo il valore di ϕ* nella (44) si avrà IX1 Y1=0 a verifica


che gli assi X1 e Y1 , caratterizzati dal valore ϕ* dell’angolo ϕ, sono principali
d’inerzia.

41
12 - Studio relativo ad un corpo omogeneo di forma rettangolare

Sia dato un rettangolo omogeneo e di densità unitaria (in questo caso la massa
diventa l’area del rettangolo) aventi lati (figura 10 a) a=OC giacente sull’asse X e
b=OA giacente sull’asse Y, essendo O l’origine della coppia di assi ortogonali. Si
consideri una striscia elementare parallela all’asse X ed alta dy il cui centro disti y
dall’asse X.

Il momento statico di tale rettangolo rispetto all’asse X è dato da:


b
b b
y2  a b2
M X = ∫ y a dy = a ∫ y dy = a   =
0 0  2 0 2

Si consideri ora una striscia elementare parallela all’asse Y ed alta dx il cui


centro disti x dall’asse Y, figura 10 b. Il momento statico di tale rettangolo rispetto
all’asse Y è dato da:
a
a a
x2  b a2
M Y = ∫ x b dx = b ∫ x dx = b   =
0 0  2 0 2

Le coordinate del centro di figura (coincidente con il centro di massa) sono


date da:

MY b a2 a
xG = = =
m 2a b 2

M X a b2 b
yG = = =
m 2a b 2

Tali coordinate potevano essere determinate immediatamente considerando (figura


10 c) che il rettangolo ha due assi di simmetria: uno di equazione x=a/2 e l’altro di
equazione y=b/2; pertanto il centro di massa (coincidente con il centro di figura,
essendo il sistema continuo ed omogeneo), dovendo essere nel punto di intersezione
dei due assi, ha coordinate xG =a/2 e yG = b/2.

42
Fig 10

Il momento d’inerzia rispetto all’asse X è dato (figura 10 a) da:


b
b b
y3  a b3
I X = ∫ y a dy = a ∫ y dy = a   =
2 2

0 0  3 0 3
mentre il momento d’inerzia rispetto all’asse Y è dato (figura 10 b) da:
a
a a
x3  b a3
I Y = ∫ x b dx = b ∫ x dx = b   =
2 2

0 0  3 0 3

I raggi d’inerzia sono dati da:

43
a b3
IX 3 = a b3 b2 b
ρX = = = =
m ab 3a b 3 3

b a3
IY 3 = b a3 a2 a
ρY = = = =
m ab 3a b 3 3

Il prodotto d’inerzia è dato (figura 10 d) dall’area elementare a dy supposta


concentrata nel suo centro di massa per la distanza di questo dall’asse Y (a/2) e per
la distanza dall’asse X; si ha quindi:
b
a y2 
b b
a a2 a2 b2
I XY = ∫ a dy y = ∫0 y dy = =
0
2 2 2  2  0 4

L’ellissoide d’inerzia relativo al punto O diventa ellisse d’inerzia;


l’equazione (33) diventa:
1 = Ax 2 + B y 2 − 2 F x y
essendo:
A= IX=a b3/3 B= IY=b a3/3 F= IXY=a2 b2/4 D=E=C=0 (z=0)

si ha quindi:
a b3 2 b a 3 2 a2 b2
x + y − x y =1 ⇒
3 3 2
b2 2 a2 2 a b 1
⇒ x + y − xy= (46)
3 3 2 ab

Il valore ϕ* dell’angolo ϕ (figura 10 e) che consente di determinare gli assi


principali d’inerzia rispetto al punto O è dato dalla (45) che fornisce:

a2 b2
2
4 3a b
tg2ϕ ∗ = =
ba 3

ab 3
2 a 2 − b2( )
3 3

Gli assi centrali principali d’inerzia, assumendo come centro il baricentro


G, coincidono con i due assi di simmetria indicati in figura 10f con X* e Y*.
I momenti statici rispetto agli assi principali centrali d’inerzia sono nulli, per
definizione di centro di massa.
Rispetto agli assi centrali principali d’inerzia X* e Y*, i momenti d’inerzia
assumono, rispettivamente, i valori massimo e minimo (nel caso della figura); i
44
momenti d’inerzia, quindi, rispetto a qualsiasi asse passante per G (centrali
d’inerzia), ma non principali d’inerzia, assumeranno valori compresi tra quelli
assunti da momenti d’inerzia rispetto agli assi centrali principali d’inerzia X* e Y*.
I momenti centrali principali d’inerzia si possono ricavare utilizzando il
teorema del trasporto (26), si ha allora:
∗ a b3 b2 1 ∗ b a3 a2 1
I =
X − a b = a b3 I =
Y − a b = ba3
3 4 12 3 4 12
L’ellisse centrale d’inerzia (46) diventa:
1 1
a b 3 X2 + b a 3 Y2 = 1 ⇒
12 12
12
⇒ b 2 X2 + a 2 Y 2 =
ab
Ovviamente i raggi principali centrali d’inerzia sono

a b3
I 12 = a b3 b2 b
ρX = X = = =
m ab 12 a b 12 12
b a3
IY 12 = b a3 a2 a
ρY = = = =
m ab 12 a b 12 12
Nella tabella seguente si riportano i valori calcolati per le diverse grandezze
per rettangoli aventi: lato a=1 e lato b variabile da 1 a 5 con passo 1.

Grandezza a=1 a=1 a=1 a=1 a=1 dimensioni


b=1 b=2 b=3 b=4 b=5
A 1 2 3 4 5 L2
MX 0.5 2.0 4.5 8.0 12.5 L3
MY 0.5 1.0 1.5 2.0 2.5 L3
XG 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 L
YG 0.5 1.0 1.5 2.0 2.5 L
IX 0.333 2.667 9.000 21.333 1.667 L4
IY 0.333 0.667 1.000 1.333 1.667 L4
IXY 0.25 1.00 2.25 4.00 6.25 L4
ρX1 0.577 1.155 1.732 2.309 2.887 L
ρY1 0.577 0.577 0.577 0.577 0.577 L
tg2ϕ ϕ ∞ 1.0000 0.5621 0.4000 0.3125 -
ϕ* 45.000 22.500 14.679 10.901 8.677 °
IX *
0.0835 1.667 7.383 19.133 38.893 L4
IY* 0.5835 1.667 2.617 3.534 4.441 L4
ρX *
0.289 0.577 0.866 1.155 1.443 L
ρY *
0.289 0.289 0.289 0.289 0.289 L
45
CAPITOLO III

METODI DI QUADRATURA APPROSSIMATA

1 - Premessa

Si supponga che si voglia determinare la grandezza I così definita:


b

I = ∫ f ( x) dx (1)
a

nella quale la funzione f(x) non è definita analiticamente. In tale caso è possibile
determinare la grandezza I utilizzando delle formule che vengono dette di
quadratura approssimata e che corrispondono alla formula generale:

b b n
I = ∫ f ( x) dx ≅ ∫ g( x) dx = ∑ w i f ( x i ) (2)
a a i =0

dove:
 g(x) è una funzione che approssima la funzione f(x),
 wi sono coefficienti, detti pesi della formula di quadratura,
 f(xi) sono i valori locali assunti dalla funzione f(x) e sono detti nodi della
formula di quadratura.

Per potere, quindi, utilizzare la (2), cioè per procedere all’integrazione,


occorrerà avere a disposizione un certo numero di valori della funzione integranda
nell’intervallo desiderato; tali valori possono essere presi ad intervalli uguali o
diversi tra loro; anche ciò differenzia un metodo di quadratura da un altro.
Tra i diversi metodi di quadratura approssimata si ricordano:
1. metodo di Cotes,
2. metodo di Bezout,
3. primo metodo di Simpson,
4. secondo metodo di Simpson,
5. metodo del 5-8-1,
tra i quali i più usati sono quelli di Bezout ed il 1° di Simpson. Nei successivi
paragrafi verranno illustrati i due metodi di Simpson e quello di Bezout.

47
2 - Metodo di Bezout o dei trapezi.

Si voglia calcolare l’integrale di una curva tra gli estremi A e B, cioè si voglia
calcolare:
b

I = ∫ f ( x) dx (1)
a

nella quale la funzione integranda y=f(x) non è nota analiticamente, ma


graficamente (figura 1). Si divida l’intervallo b-a (figura 2) in n intervalli uguali
aventi lunghezza
b−a
λ= (3)
n

48
ottenendo i punti
◊ x0 = a
◊ x1 = a + λ
◊ x2 = a+ 2 λ
◊ ...........................
◊ x(n-1) = a + (n-1) λ
◊ xn = a + n λ = b
e in corrispondenza dei punti xi si vada a leggere le ordinate yi.
Per calcolare l’integrale (1) approssimiamo la curva data con una spezzata
passante per i punti di coordinate xi, yi (con i = 0, 1, 2, 3, ...n). E’ questa la funzione
g(x) che approssima la funzione f(x). Applicando la (2) si ottiene la grandezza I
come sommatoria delle aree degli n trapezi individuati; quello generico ha basi yi e
yi+1 ed altezza λ.
Si ha, quindi:
y 0 + y1
◊ per il 1° trapezio A 0 −1 = λ
2
y + y2
◊ per il 2° trapezio A 1− 2 = 1 λ
2
y + y3
◊ per il 3° trapezio A 2−3 = 2 λ
2
◊ .........................................................
y n −1 + y n
◊ per lo nmo trapezio A ( n−1)− n = λ
2
Si può allora scrivere:
 y + y 1 y1 + y 2 y 2 + y 3 y + yn 
I ≅λ 0 + + + ........ + n −1  ⇒
 2 2 2 2 
λ
⇒ I≅ ( y 0 + 2 y1 + 2 y 2 + 2 y 3 + ........ + 2 y n −1 + y n ) (4)
2
La (4) è la formula di quadratura approssimata di Bezout, detta anche
formula dei trapezi. E’ evidente che maggiore è il numero degli intervalli e
maggiore è l’approssimazione del valore calcolato a quello vero 6.
Si ricorda che l’uso della formula di Bezout - nella forma considerata - è
valida solo se gli intervalli sono uguali tra loro. Nel caso di domini delimitati da
curve rastremate ad una od entrambe le estremità, come quelle che delimitano le
sezioni trasversali e le figure di galleggiamento di una nave, non conviene assumere
un numero molto grande di intervalli, ma è più opportuno dividere il dominio in
parti aventi diverso valore dell’intervallo tra le sezioni. Così, ad esempio, nel caso di
una figura di galleggiamento che, di norma, presenta una più accentuata curvatura
alle estremità di poppa e di prua, si può dividere il dominio in tre zone assumendo la

6
Ad esempio, per una nave di forme consuete, il calcolo dell’area della figura di galleggiamento di pieno
carico ottenuto con il metodo di Bezout e suddividendo la lunghezza al galleggiamento in 20 parti uguali,
porta ad un risultato che differisce da quello vero di circa lo 0.8%.
49
distanza λ tra le sezioni (semilarghezze) per la parte centrale e λ/2 per quelle delle
due estremità.

metà della sezione maestra di una nave con tracce di galleggiamenti

metà della figura di galleggiamento di una nave con tracce delle sezioni trasversali

Nel caso in cui le due parti estreme hanno lunghezza λ divisa in due parti si
ha:
λ y 0 + y 1/2
◊ per il 1° trapezio A 0 −1/ 2 =
2 2
λ y 1/ 2 + y 1
◊ per il 2° trapezio A 1/ 2 −1 =
2 2
λ y1 + y 2
◊ per il 3° trapezio A 1 −2 =
2 2
λ y2 + y 3
◊ per il 4° trapezio A 2 −3 =
2 2
◊ ..........................................................................
λ y (n-1) + y (n-1) 1/ 2
◊ per il (n-1)° trapezio A (n-1)-(n-1) 1/ 2 =
2 2
+
λ (n-1) 1/ 2 y n
y
◊ per il n° trapezio A (n-1) 1/2 -n =
2 2

per cui si ha:


50
1 1 3 3 1 1 
A = λ  y 0 + y1/ 2 + y1 + y 2 + y 3 +.....+ y n − 2 + y n −1 + y ( n −1) 1/ 2 + y n  (4’)
4 2 4 4 2 4 

La formula del metodo di Bezout, quindi, cambia a seconda che - vedi tabella
1 - gli intervalli sono:
• caso 1 - intervalli tutti uguali a λ (formula 12),
• caso 2 - alle due estremità due intervalli uguali a λ/2, tutti gli altri intervalli
uguali a λ (formula 13),
• caso 3 - alle due estremità quattro intervalli uguali a λ/2, tutti gli altri
intervalli uguali a λ,
• caso 4 - alle due estremità quattro intervalli uguali a λ/4, tutti gli altri
intervalli uguali a λ,
• caso 5 - alle due estremità otto intervalli uguali a λ/4, tutti gli altri
intervalli uguali a λ,

λ Σ αj yi
Tabella 1 - Coefficienti delle formule dei trapezi o di Bezout A=λ
numero caso 1 caso 2 caso 3 caso 4 caso 5
semilar- valore fattore valore fattore valore fattore valore fattore valore fattore
ghezze semilar. semilar. semilar. semilar. semilar.
0 y0 1/2 y0 1/4 y0 1/4 y0 1/8 y0 1/8
1/4 - - - - - y1/4 1/4 y1/4 1/8
1/2 - y1/2 1/2 y1/2 1/2 y1/2 1/4 y1/2 1/4
3/4 - - - - - y3/4 1/4 y3/4 1/4
1 y1 1 y1 3/4 y1 1/2 y1 5/8 y1 1/4
1 1/4 - - - - -- - - y1 1/4 1/8
1 1/2 - - - y1 1/2 1/2 - - y1 1/2 1/4
1 3/4 - - - - -- - - y 1 3/4 1/4
2 y2 1 y2 1 y2 3/4 y2 1 y2 5/8
3 y3 - y3 1 y3 1 y3 1 y3 1
4 y4 - y4 1 y4 1 y4 1 y4 1
5 y5 - y5 1 y5 1 y5 1 y5 1
............ ......... ......... ......... ......... ......... ......... ......... ......... ......... 1
(n-3) yn-3 1 yn-3 1 yn-3 1 yn-3 1 yn-3 1
(n-2) yn-2 1 yn-2 1 yn-2 3/4 yn-2 1 yn-2 1
(n-2) 1/4 - - - - - - - y(n-2) 5/8
1/4
(n-2) 1/2 - - - y(n-2) 1/2 - - y(n-2) 1/4
1/2 1/2
(n-2) 3/4 - - - - - - - y(n-2) 1/4
3/4
(n-1) yn-1 1 yn-1 3/4 yn-1 1/2 yn-1 5/8 yn-1 1/4
(n-1) 1/4 - - - - - y(n-1) 1/4 y(n-1) 1/4
1/4 1/4
51
(n-1) 1/2 - y(n-1) 1/2 y(n-1) 1/2 y(n-1) 1/4 y(n-1) 1/4
1/2 1/2 1/2 1/2
(n-1) 3/4 - - - - - y(n-1) 1/4 y(n-1) 1/4
3/4 3/4
n yn 1/2 yn 1/4 yn 1/4 yn 1/8 yn 1/8

3 - Primo metodo di Simpson.

Si voglia calcolare l’integrale di una curva tra gli estremi A e B, cioè si voglia
calcolare:
b

I = ∫ f ( x) dx (1)
a

nella quale la funzione integranda y=f(x) non è nota analiticamente, ma


graficamente (figura 1).
Si divida l’intervallo b-a (figura 3) in un numero pari n di intervalli
uguali aventi lunghezza
b−a
λ= (3)
n

ottenendo i punti
◊ x0 = a
◊ x1 = a + λ
◊ x2 = a+ 2 λ
◊ x3 = a+ 3 λ
...................
◊ x(n-1) = a + (n-1) λ
◊ xn = a + n λ = b

52
e in corrispondenza dei punti xi si vada a leggere le ordinate yi.
Per calcolare l’integrale (1) approssimiamo la curva data con una serie di n/2
parabole ciascuna passante per tre punti consecutivi di coordinate xi,yi (con i = 0, 1,
2, 3, ...n). E’ questa la funzione g(x) che approssima la funzione f(x). Applicando la
(2) si ottiene la grandezza I come sommatoria delle aree sottostanti le n/2 parabole
individuate ciascuna interessante una lunghezza pari a due intervalli e, quindi, un
tratto pari a 2λ. Le equazioni delle singole parabole sono le seguenti
per la prima parabola y = a 0 + a 1 x + a 2 x2
per la seconda parabola y = a2 + a3 x + a4 x2
per la terza parabola y = a4 + a5 x + a6 x2
...................................................................................
per la ennesima parabola y = an-2 + an-1 x + an x2

I coefficienti ai si ottengono imponendo il passaggio della parabola per i tre


punti relativi.
Per semplificare la determinazione dei singoli coefficienti conviene
modificare il riferimento cartesiano imponendo per il primo tratto:
x0 = 0
x1 = λ
x2 = 2λ
Dalla prima equazione si ha:
per x=x0 =0 y0 = a 0
per x=x1 =λ y1 = a0 + a1 λ + a2 λ2
per x=x2 =2λ y2 = a0 + 2 a1 λ + 4 a2 λ2
sostituendo ad a0 il valore y0 si ha:
y0 = a0 

y 1 − y 0 = a 1 λ + a 2 λ2  (5)
2
y2 − y0 = 2 a1 λ + 4 a 2 λ 
ricavando dalla seconda a1 si ha:
y1 − y 0
a1 = − a2 λ (6)
λ
che sostituita nella terza delle (5) fornisce:
( )
y 2 − y 0 = 2 y 1 − y 0 − 2 a 2 λ2 + 4 a 2 λ2 ⇒
⇒ y2 − y0 = 2 (y 1 − y0 )+2a 2 λ2 ⇒
⇒ 2 a 2 λ2 = y 2 − y 0 − 2 y 1 + 2 y 0 ⇒
⇒ 2 a 2 λ = y 0 − 2 y1 + y 2
2

y − 2 y1 + y 2
⇒ a2 = 0
2 λ2
che sostituita nella (6) fornisce:
y 1 − y 0 y 0 − 2 y1 + y 2
a1 = − ⇒
λ 2λ
53
2 y1 − 2 y 0 − y 0 + 2 y1 − y 2
⇒ a1 = ⇒

−3 y 0 + 4 y 1 − y 2
⇒ a1 =

quindi i tre coefficienti sono:
a 0 = y0 
−3 y 0 + 4 y 1 − y 2 
a1 = 
2λ 
 (7)
y − 2 y1 + y 2 
a2 = 0
2 λ2 


Per il primo tratto di parabola si ha allora:
2λ 2λ 2λ 2λ

( )
I 1 = ∫ a 0 + a 1 x + a 2 x 2 dx = ∫ a 0 dx + ∫ a 1 x dx + ∫ a 2 x 2 dx ⇒
0 0 0 0

[ ] [ ]
a1 2 2λ a3 3 2λ
I 1 = a 0 [ x] 0 +

⇒ x + x ⇒
2 0 3 0

8
⇒ I 1 = 2 a 0 λ + 2 a 1 λ2 + a 2 λ3
3
che per le (7) diventa:
− 3 y 0 + 4 y 1 − y 2 8 3 y 0 − 2 y1 + y 2
I 1 = 2 λ y 0 + 2 λ2 + λ ⇒
2λ 3 2 λ2
4
⇒ I 1 = 2 λ y 0 + λ ( −3 y 0 + 4 y 1 − y 2 ) + λ ( y 0 − 2 y 1 + y 2 ) ⇒
3
  4  8  4 
⇒ I 1 = λ y 0  2 − 3 +  + y 1  4 −  + y 2  − 1  ⇒
  3  3  3 
λ
⇒ I1 = ( y 0 + 4 y1 + y 2 )
3

Procedendo analogamente per gli altri tratti di parabola e sommando si ha:


λ
I= ( y 0 + 4 y 1 + 2 y 2 + 4 y 3 + 2 y 4 + 4 y 5 + ....... + 2 y n − 2 + 4 y n−1 + y n ) (8)
3
che esprime la prima regola di Simpson.

E’ evidente che maggiore è il numero degli intervalli e maggiore è


l’approssimazione del valore calcolato a quello vero 7.
Spesso, in luogo della (8) si usa la seguente formula detta formula di Simpson
ridotta che si ottiene immediatamente da quella ora ricavata:

7
Ad esempio, per una nave di forme consuete, il calcolo dell’area della figura di galleggiamento di pieno
carico ottenuto con il primo metodo di Simpson e suddividendo la lunghezza al galleggiamento in 20 parti
uguali, porta ad un risultato che differisce da quello vero di circa lo 0.3%.
54

I= ( 0.5 y 0 + 2 y 1 + y 2 + 2 y 3 + y 4 + 2 y 5 + ....... + y n− 2 + 2 y n −1 + 0.5 y n ) (9)
3
Si ricorda che l’uso delle formule (8) e (9) è valido solo se gli intervalli sono
uguali tra loro ed in numero pari.

Nel caso di domini delimitati da curve rastremate ad una od entrambe le


estremità, come quelle che delimitano le figure di galleggiamento di una nave, non
conviene assumere un numero molto grande di intervalli, ma è più opportuno
dividere il dominio in parti aventi diverso valore dell’intervallo tra le sezioni. Così,
ad esempio, nel caso di una figura di galleggiamento che, di norma, presenta una più
accentuata curvatura alle estremità di poppa e di prua, si può dividere il dominio in
tre zone assumendo la distanza λ tra le sezioni (semilarghezze) per la parte centrale
e λ/2 per quelle delle due estremità. Pertanto, la formula del Simpson cambia nel
modo indicato nella tabella 2, a seconda che:
• caso 1 - intervalli tutti uguali a λ (formula 8),
• caso 2 - alle due estremità due intervalli uguali a λ/2, tutti gli altri intervalli
uguali a λ,
• caso 3 - alle due estremità quattro intervalli uguali a λ/2, tutti gli altri
intervalli uguali a λ.

λ/3) Σβ iyi
Tabella 2 - Coefficienti della prima formula del Simpson A=(λ
caso 1 caso 2 caso 3
n° delle valore fattore valore fattore valore fattore
sezioni semilarghezze semilarghezze semilarghezz
e
0 y0 1 y0 1 y0 1/2
1/2 - - y1/2 2 y1/2 2
1 y1 4 y1 3/2 y1 1
1 1/2 - - - - y1 1/2 2
2 y2 2 y2 4 y2 3/2
3 y3 4 y3 2 y3 4
4 y4 2 y4 4 y4 2
5 y5 4 y5 2 y5 4
.......... .......... .......... .......... .......... .......... .........
(n-5) y(n-5) 4 y(n-5) 2 y(n-5) 4
(n-4) y(n-4) 2 y(n-4) 4 y(n-4) 2
(n-3) y(n-3) 4 y(n-3) 2 y(n-3) 4
(n-2) y(n-2) 2 y(n-2) 4 y(n-2) 3/2
(n-2) 1/2 - - - - y(n-2) 1/2 2
(n-1) y(n-1) 4 y(n-1) 3/2 y(n-1) 1
(n-1) 1/2 - - y(n-1) 1/2 2 y(n-1) 1/2 2
n yn 1 yn 1 yn 1/2

55
La formula di Simpson è la più usata nel campo navale ed ad essa faremo
riferimento per risolvere i molti problemi che verranno esaminati nei capitoli
successivi.

4 - Secondo metodo di Simpson.

Si voglia calcolare l’integrale di una curva tra gli estremi A e B, cioè si voglia
calcolare:
b

I = ∫ f ( x) dx (1)
a

nella quale la funzione integranda y=f(x) non è nota analiticamente, ma


graficamente (figura 1).
Si divida l’intervallo b-a (figura 4) in n parti uguali in modo tale che n sia
un multiplo di 3, aventi lunghezza

b−a
λ= (3)
n
ottenendo i punti

◊ x0 = a
◊ x1 = a + λ
◊ x2 = a+ 2 λ........................
◊ x(n-1) = a + (n-1) λ
◊ xn = a + n λ = b
e in corrispondenza dei punti xi si vada a leggere le ordinate yi.

56
Per calcolare l’integrale (1) approssimiamo la curva data con una serie di n/3
parabole cubiche ciascuna passante per quatro punti consecutivi di coordinate xi,yi
(con i = 0, 1, 2, 3, ...n). E’ questa la funzione g(x) che approssima la funzione f(x).
Applicando la (2) si ottiene la grandezza I come sommatoria delle aree
sottostanti le n/3 parabole individuate ciascuna interessante una lunghezza pari a tre
intervalli e, quindi, un tratto pari a 3λ. Le equazioni delle singole parabole sono le
seguenti:

per la prima parabola y = a0 + a1 x + a2 x2 + a3 x3


per la seconda parabola y = a3 + a4 x + a5 x2 + a6 x3
per la terza parabola y = a6 + a7 x + a8 x2 + a9 x3
...................................................................................
per la ennesima parabola y = an-3 + an-2 x + an -1 x2 + an x3

I coefficienti ai si ottengono imponendo il passaggio della parabola per i


quattro punti relativi. Il procedimento da seguire è perfettamente analogo a quello
già visto per il 1° metodo di Simpson. Così per il primo tratto si ha:


I1 = ( y 0 + 3 y1 + 3 y 2 + y 3 ) (10)
8

ed analogamente per i successivi tratti di parabola per cui sommando le n/3


espressioni del tipo (10) si ha l’area sottostante gli n/3 tratti di parabola, cioè:

I= ( y 0 + 3 y1 + 3 y 2 + 2 y 3 + 3 y 4 + 3 y 5 + 2 y 6 + 3 y 7 + 3 y 8 +
8
+...... + 2 y n− 3 + 3 y n− 2 + 3 y n −1 + y n ) (11)

che è la seconda formula di Simpson.

E’ evidente che maggiore è il numero degli intervalli e maggiore è


l’approssimazione del valore calcolato a quello vero 8.

Si ricorda che l’uso della (11) è valido solo se gli intervalli sono uguali tra loro ed in
numero tale che n= 3 k con k numero intero.

8
Ad esempio, per una nave di forme consuete, il calcolo dell’area della figura di galleggiamento di pieno
carico ottenuto con il secondo metodo di Simpson e suddividendo la lunghezza al galleggiamento in 21 parti
uguali, porta ad un risultato che differisce da quello vero di circa lo 0.2%.
57
CAPITOLO IV
PARTI DI UNA NAVE, TERMINOLOGIA, DIMENSIONI
PRINCIPALI E RAPPORTI CARATTERISTICI

1 - Definizione di nave.

La nave 9 è un veicolo, cioè un mezzo di trasporto guidato, anzi la nave può


essere considerata il primo veicolo realizzato ed utilizzato dall'uomo. Questo
primato della nave tra i veicoli influenza spesso il nome che viene dato ad un nuovo
veicolo, accettando come sinonimi nave e veicolo 10. Si potrebbe, pertanto ed a
ragione, dire che la nave è il veicolo per antonomasia.
Occorre però trovare per la nave una definizione più propria e precisa che sia
in grado di comprendere il vastissimo insieme che tale nome evoca immediatamente.
Soddisfa tale esigenza la seguente definizione:
nave è un mezzo 11, dotato di propri organi di propulsione 12 e di governo 13,
atto allo svolgimento di un servizio 14 lungo una via d'acqua 15.
9
La parola nave deriva dal latino navis, vocabolo che aveva lo stesso significato, comune e
collettivo, che ha oggi. In tempi a noi meno lontani, la parola bastimento, derivata dal francese
batiment = costruzione, assunse il significato comune e collettivo mentre nave indicava un
particolare bastimento, adibito al trasporto di merci, caratterizzato da tre alberi verticali (portanti
vele quadre) e da un bompresso.
10
Fu chiamato, infatti, nave volante il veicolo ideato nel 1670 dal gesuita Francesco Lana da
Brescia; questo veicolo, nelle intenzioni dell'ideatore, doveva essere costituito essenzialmente da
quattro sfere di rame praticamente prive di aria e doveva essere in grado di sollevarsi dal suolo e
muoversi in aria grazie ad una vela. Nave aerostatica fu detto il veicolo volante sostenuto da un
pallone gonfiato con gas leggero.
Da decenni si parla e si scrive di navi siderali, di navi spaziali e di navi interplanetarie, con
riferimento ai veicoli di creature appartenenti ad altri pianeti del sistema solare o di altri sistemi
simili a questo. Quando l'uomo intraprese la sua avventura spaziale che lo portò sulla luna, i veicoli
usati furono detti astronavi.
11
Tale mezzo può essere realizzato in legno, acciaio, cemento armato, lega leggera, vetroresina,
ecc.; pertanto si hanno navi in legno, in ferro, in cemento armato, in lega leggera, in resina
rinforzata con fibre di vetro.
12
La propulsione può avvenire sfruttando l’energia eolica (navi a vela) o meccanica prodotta da
motori a combustione interna (motonavi) o da motrici a vapore (piroscafi) o da turbine (turbonavi) o
sfruttando energia nucleare (navi nucleari). In relazione all’ubicazione del motore si hanno navi con
motore entro-bordo, entro-fuori-bordo e fuori-bordo. Sempre in relazione alla propulsione, ma con
riferimento all’organo ultimo dell’apparato propulsivo, si hanno navi con propulsione ad elica, navi
con propulsione a ruota, navi con propulsione ad idrogetto.
59
2 – Parti della nave, terminologia e definizioni.

Si definisce scafo 16 l’insieme degli elementi che realizzano la struttura


principale esterna (fasciame del fondo, dei fianchi e del ponte principale con i
relativi rinforzi) ed interna (paratie trasversali, paratie longitudinali e ponti
strutturali con relativi rinforzi) resistenti alle sollecitazioni cui la nave è soggetta a
causa dei carichi (sia statici sia dinamici) interni ed esterni ad essa. Il rivestimento
esterno è detto fasciame, il quale è adeguatamente sostenuto ed irrigidito da un
complesso di rinforzi che costituiscono le ossature. La superficie fuori ossature,
detta anche superficie entro fasciame è la superficie esterna dello scafo privo del
fasciame. La superficie dello scafo fuori fasciame è la superficie esterna del
fasciame, cioè quella rivolta verso il mare o verso il cielo.

La nave (figura 1) ha una parte immersa detta carena o opera viva ed una
parte emersa detta opera morta (o opere morte). L’opera viva (o opere vive) è così

13
Il governo di una nave comprende la capacità di evoluire, di manovrare, di arrestare il moto e di
tenere la rotta.
14
Il servizio può essere di tipo molto diverso. In generale le navi si dividono in navi da carico e navi
per servizio speciale.
Le navi da carico si dividono in navi passeggeri e per merci. Quelle per passeggeri si dividono in
navi traghetto (solo passeggeri, passeggeri + auto, passeggeri + convogli ferroviari), navi da
crociera, navi da diporto e navi di linea per passeggeri. Le navi da carico si differenziano per tipo di
carico e/o per come il carico è trasportato: alla rinfusa (navi petroliere, bulk-carrier, cementiere,
trasporto acqua, trasporto vino, ecc.), in contenitori isolati (navi porta-contenitori), o su chiatte (navi
lash) o su veicoli (navi roll on - roll off), in contenitori speciali (navi trasporto gas liquefatti), non
confezionato in modo univoco (navi da carico generale), in stive refrigerate (navi frigorifere), in
stive refrigerate e ventilate (navi bananiere), per trasporto di automobili nuove (car-carrier), per
trasporto animali vivi, ecc.
Le navi per servizi speciali si dividono, a seconda delle categorie di servizi, in: navi militari, navi
faro, navi draga, navi posatubi, navi posacavi, navi rompighiaccio, navi trivella, navi
oceanografiche, navi per la ricerca scientifica, navi scuola, pescherecci (per la pesca a strascico,
baleniera, nave fattoria, ecc.) , navi per assistenza a piattaforme, rimorchiatori, spintori, navi
ospedale, ecc.
15
Lungo una via d’acqua può avere un duplice significato; il primo è con riferimento al tipo di
acqua: nave marittima, nave fluviale, nave lacustre; il secondo è con riferimento alla posizione della
nave rispetto all’acqua: nave sottomarina, nave di superficie (solca l’acqua), nave planante (scivola
sull’acqua), aliscafo, scafo a cuscino d’aria, nave ad effetto superficie (lo scafo è sopra l’acqua).
Tutte le navi che solcano l’acqua vengono dette navi convenzionali, quelle che non vengono
sostenute - a velocità di crociera - dalla spinta idrostatica, vengono dette navi non convenzionali. Da
fermo ed a velocità ridotte tutte le navi non convenzionali si comportano come navi convenzionali
nel senso che il loro sostentamento è di tipo idrostatico.
16
Dal greco σkάφος derivato da σκάπτω (scavare) con chiaro riferimento alle primitive
imbarcazione realizzate scavando un tronco.

60
detta in quanto è quella che consente alla nave di galleggiare. Quella parte dell’opera
morta che si trova al di sopra del ponte principale costituisce le sovrastrutture le
quali non concorrono alla robustezza strutturale della trave-nave.
La carena è in ogni caso simmetrica, la nave è praticamente simmetrica nella
stragrande maggioranza dei casi, non lo è in casi particolari (ad esempio nelle
portaerei) e limitatamente alle sovrastrutture. La simmetria è rispetto ad un piano
longitudinale che è detto piano diametrale. L’intersezione della carena con il piano
diametrale è detta figura di deriva ed il piano diametrale è detto anche piano di
deriva. Con riferimento ad un osservatore rivolto nel senso di avanzamento della
nave, il piano diametrale divide la nave in due parti, dette dritta o tribordo 17 e
sinistra o babordo 18.
La parte anteriore della nave è detta prua o prora 19 ed ha forma studiata, per
quanto riguarda la parte immersa, principalmente per ridurre la resistenza al moto; la
parte posteriore è detta poppa 20 ed ha forma studiata, per quanto riguarda la parte
immersa, principalmente per ridurre la scia e per meglio convogliare l’acqua al
propulsore; la parte centrale è detta corpo centrale o corpo maestro. La sezione
trasversale della nave alla quale corrisponde la massima area della sezione immersa
al galleggiamento di progetto è detta sezione maestra 21. I corpi prodieri e poppieri
hanno le parti estreme che si protendono verso il mare e sono dette slancio di prua e
slancio di poppa.
L’involucro esterno laterale della nave, realizzato dal fasciame, costituisce i
fianchi; la parte emersa di essi sono dette murate e, in particolare, la murata della
zona prodiera è detta mascone mentre quella della zona poppiera è detta
giardinetto. Se la parte estrema della poppa è costituita da una superficie piana o
quasi, questa è detta specchio di poppa. L’involucro inferiore della nave realizzato
dal fasciame costituisce il fondo. Il raccordo tra fondo e fianchi è detto ginocchio.

17
Francesismo di etimo ignoto, usato assai raramente tra i professionisti del mare e di tecnica
navale, molto diffuso tra i profani e molto usato in un certo tipo di letteratura pseudomarinaresca.
18
Francesismo, da babord, a sua volta derivato dall’olandese back-boord (= bordo della schiena) o
dal norvegese bakbord (in testi del XI e XII secolo); termine diffuso tra i profani da un certo tipo di
letteratura pseudomarinaresca. Ignorando l’origine della parola babord taluni avanzano per la stessa
etimi tanto fantasiosi quanto errati.
19
A seconda della forma si possono avere prua slanciata o a clipper, prua a rompighiaccio, prua a
piombo, prua dritta, prua slanciata con bulbo a goccia, prua con bulbo cilindrico, prua a cutter, prua
slanciata ed a gola dritta, ecc.
20
A seconda della forma si possono avere: poppa con volta a ventaglio, poppa a specchio, poppa a
baleniera o a cucchiaio, poppa ad incrociatore, poppa a torpediniera, ecc.
21
Non è detto che la sezione maestra coincida con la sezione a metà nave, in tal caso la sezione
maestra è, di solito, spostata a poppavia della sezione a metà nave. Di solito la sezione maestra è
quella che ha il maggior valore della larghezza in corrispondenza del galleggiamento di progetto.

61
Il piano di galleggiamento è quello al quale appartiene la superficie libera
del mare (o, comunque, dell’ambiente acqueo nel quale la nave si trova) ipotizzato
perfettamente in quiete. Considerando il piano di galleggiamento solidale alla nave,
restano individuate l’opera viva (carena) e quella morta.

62
Il piano di galleggiamento di progetto è il piano di galleggiamento secondo
il quale si vuole che la nave venga a trovarsi immersa nella condizione di massimo
carico estivo in acqua di mare perfettamente calma. Esso è detto anche piano di
galleggiamento di pieno carico normale e viene indicato con D.W.P. (Designed
Water Plane). Pertanto esso è quello consentito al massimo carico di progetto (cui
corrisponde la portata massima di progetto) in condizioni normali.
La linea di galleggiamento, detta anche linea d’acqua, è la curva
intersezione della superficie libera dell’acqua con la superficie dello scafo fuori
ossatura, qualunque sia lo stato del mare (naturalmente mosso o calmo, oppure con
formazione ondosa prodotta dalla stessa o da altre navi in moto); viene indicata con
W.L. (water line).
La linea di galleggiamento di progetto, detta anche linea di galleggiamento
di pieno carico normale o linea d’acqua di pieno carico normale, è la curva
intersezione del piano di galleggiamento di progetto con la superficie dello scafo
fuori ossatura; viene indicata con D.W.L. (designed water line).
La figura di galleggiamento è quella avente per contorno la linea d’acqua.
La detta figura ha area indicata con AW ed il suo centro è indicato con F (center of
flotation).
La superficie di carena è quella che delimita l’opera viva, cioè quella dello
scafo che è a contatto con l’acqua; in inglese è indicata con submerged body
surface). La superficie bagnata è la somma di quella della carena e di quelle delle
appendici di carena (alette di rollio, timone, ringrossi dei bracci portaelica, ecc.); in
inglese è indicata con vetted surface).

Il volume di carena, indicato con ∇, è quello racchiuso tra la superficie di


carena e la figura di galleggiamento. A seconda dei casi si considera il volume di
carena fuori ossatura (escluso, quindi, il fasciame), il volume di carena fuori
fasciame (compreso, quindi, il fasciame) ed il volume di carena fuori tutto
(compreso il fasciame e le appendici di carena) 22. Il centro di carena si indica con
B (center of buoyancy) ed è il centro del volume di carena. Il dislocamento è il peso
del volume d’acqua che la carena ha spostato, esso di indica con ∆, è misurato in
tonnellate ed è dato da ∆=γ∇, dove γ è il peso specifico dell’acqua (in t/mc) in cui la
nave galleggia 23.

22
La relazione che stima il volume di carena fuori fasciame ∇FF in funzione di quello fuori ossatura
∇FO è la seguente ∇FF = ∇FO (1+KF), nella quale è KF =0.005÷0.007 per scafi in acciaio e KF
=0.055÷0.090 per scafi in legno.
23
Per l’acqua dolce è γ=1.000 t/mc, mentre per l’acqua di mare standard si assume γ=1.025 t/mc.

63
FIG. 2

Per convenzione vengono individuate in una nave due perpendicolari,


giacenti sul piano diametrale (vedi figura 2). La perpendicolare avanti (indicata da
PF, Forward Perpendicular; a volte in Italia indicata anche con PPAV) è la retta
normale al piano di galleggiamento di progetto passante per l’intersezione tra la
traccia di tale piano sul piano diametrale con la superficie anteriore della nave che in
questa zona è detta ruota di prua. La perpendicolare addietro (indicata con PA,
After Perpendicular; a volte in Italia indicata anche con PPAD) è la retta normale al
piano di galleggiamento di progetto passante per l’asse di rotazione del timone, se
questo è di tipo sospeso; o passante per la faccia posteriore del dritto di poppa che
delimita posteriormente la gabbia dell’elica. Si definisce ancora perpendicolare al
mezzo (indicata con PM, Midship Perpendicular) quella che è parallela alle

64
perpendicolari già dette, giace sul piano diametrale e divide in due parti uguali la
distanza tra le due perpendicolari estreme.

Si definisce piede della perpendicolare al mezzo 24 il punto intersezione di


tale perpendicolare con il canto superiore (quello rivolto verso l’interno della nave)
del fasciame del fondo piatto, se la nave è a fondo piatto; con il canto superiore della
lamiera di chiglia, se la nave è con lamiera di chiglia sovrapposta ai corsi contigui di
lamiere del fondo; o con il canto superiore della chiglia massiccia, se la nave è
dotata di tale tipo di chiglia (essenzialmente le navi in legno). Il piede della
perpendicolare al mezzo viene indicato con K (vedi figura 3).

Si definisce linea di base [indicata con B.L. (vedi figura 3) la retta parallela
al galleggiamento di progetto, giacente nel piano diametrale, passante per il piede
della perpendicolare al mezzo.
Si definisce linea di costruzione [viene indicata con M.K.L. (Moulded Keel
Line) la retta intersezione tra il piano diametrale e la faccia superiore della lamiera
di chiglia (se la nave non è a differenza di immersione la linea di costruzione è
orizzontale).
Si definisce linea di sottochiglia [viene indicata con O.K.L. (Outer Keel
Line) la retta intersezione tra il piano diametrale e la faccia inferiore della lamiera di
chiglia; le linee di costruzione e di sottochiglia sono, quindi, parallele e la loro
distanza è pari allo spessore della lamiera di chiglia misurato a metà della lunghezza
della nave.

24
Il punto K, piede della perpendicolare al mezzo, viene assunto di solito come origine della terna
cartesiana alla quale la nave viene riferita, come verrà specificato nel prossimo capitolo.

65
Lamiere saldate del fondo piatto

Lamiere chiodate del fondo piatto

Chiglia massiccia con lamiere saldate

• • PF=perpendicolare avanti,
• • PA=perpendicolare addietro,
• • PM=perpendicolare al mezzo,
• • LPP=lunghezza tra le perpendicolari,
• • K=piede della perpendicolare al mezzo e
traccia dela linea di costruzione,
• • O=traccia della linea del sottochiglia,
• • DWL=linea di galleggiamento di progetto.

FIG. 3

3 – Dimensioni principali di una nave

Essendo la nave un corpo tridimensionale vengono definite alcune grandezze


lineari nel senso della lunghezza, della larghezza e dell’altezza. Poiché la parte più
importante di una nave - ai fini della galleggiabilità, della resistenza al moto, ecc. - è
la carena, alcune di tali grandezze si riferiscono ad essa (vedi figure 4 e 5). Le
dimensioni principali di una nave sono le seguenti:
• lunghezza fuori tutto della nave è la massima lunghezza di ingombro della
nave; non ha un simbolo internazionale, ma comunemente viene indicata con
Lmax;
• lunghezza fuori tutto (dello scafo) è la massima lunghezza di ingombro dello
scafo e, pertanto, non comprende eventuali parti non strutturali sporgenti come
pulpiti, pedana poppiera, ecc.; il suo simbolo internazionale 25 è LOA;

25
La simbologia internazionale alla quale qui e nel prosieguo si fa riferimento è quella
formulata dalla I.T.T.C. (International Towing Tank Conference) che impegna quanti
operano nel campo dell’idrodinamica navale sperimentale (gli impianti sperimentali
principali sono costituiti dalle vasche navali).

66
• lunghezza al galleggiamento di progetto è la lunghezza della figura di
galleggiamento di pieno carico normale e che individua, quindi, la lunghezza
massima della carena, senza bulbo, con la quale la nave può galleggiare in
condizioni normali (senza falle, senza sbandamenti, senza sovraccarichi
accidentali, ecc.); il suo simbolo internazionale è LWL
• lunghezza tra le perpendicolari è la distanza tra la perpendicolare avanti e
quella addietro; è una lunghezza convenzionale che caratterizza la nave; essa non
tiene conto degli slanci di prua e di poppa e per questo viene utilizzata nei
problemi di resistenza al moto e di robustezza strutturale; il suo simbolo
internazionale è LPP anche se, molto spesso, viene ancora usato il simbolo LBP e,
in Italia il simbolo Lft;

FIG. 4

• lunghezza della carena è la lunghezza massima della carena, viene indicata solo
nel caso di navi con bulbo; in assenza di bulbo la lunghezza della carena coincide
con la lunghezza al galleggiamento; il suo simbolo internazionale è LOS;
• larghezza massima è la larghezza massima di ingombro della nave; non esiste un
simbolo internazionale, ma comunemente viene indicata con Bmax;
• larghezza al galleggiamento è la larghezza massima, fuori ossatura, della figura
di galleggiamento di progetto; il suo simbolo internazionale è BX;
• larghezza a metà nave è la larghezza, fuori ossatura, della figura di
galleggiamento di progetto alla sezione a metà della lunghezza tra le
perpendicolari; il suo simbolo internazionale è BM;
• larghezza alla sezione maestra è la larghezza, fuori ossatura, della figura di
galleggiamento di progetto in corrispondenza della sezione maestra (sezione della
carena di area massima); essa, di solito, coincide BX; a volte viene indicata con il
simbolo BWL (non internazionale);

67
• altezza di costruzione è la distanza verticale, misurata a metà lunghezza LPP , tra
la linea di costruzione e l’intersezione dell’orlo del ponte a murata (faccia
inferiore della lamiera del ponte); il suo simbolo internazionale è D;
• immersione avanti è la distanza tra il piano di galleggiamento e la linea di
sottochiglia misurata sulla perpendicolare avanti (se non specificato è relativa alla
condizione di galleggiamento di progetto); il suo simbolo internazionale è TF;
• immersione addietro è la distanza tra il piano di galleggiamento e la linea di
sottochiglia misurata sulla perpendicolare addietro (se non specificato è relativa
alla condizione di galleggiamento di progetto); il suo simbolo internazionale è
TA;

FIG. 5

• immersione al mezzo è la distanza tra il piano di galleggiamento e la linea di


sottochiglia misurata sulla perpendicolare al mezzo (se non specificato è relativa
alla condizione di galleggiamento di progetto); il suo simbolo internazionale è
TM ;
• immersione è la distanza tra il piano di galleggiamento e la linea di sottochiglia
in una sezione generica; il suo simbolo internazionale è T;
• pescagione è detta la immersione massima che tiene conto anche delle appendici
di carena che possono sporgere dalla linea del sottochiglia (eliche con alberi
fortemente inclinati, cuffia ecoscandaglio, ecc.); la sua conoscenza è importante
per il passaggio su bassi fondali; per carene con differenza di immersione e non
aventi corpi sporgenti la pescagione coincide con l’immersione addietro; per
carene senza differenza di immersione e non aventi corpi sporgenti la pescagione
coincide con l’immersione al mezzo; non esiste un simbolo internazionale per la
pescagione che viene indicata in Italia con il simbolo p.

Conoscendo tutte o solo alcune delle grandezze lineari ora elencate e definite
è possibile avere un’idea della grandezza della nave, ma non è certamente definita la
geometria della nave o della carena. Alcune grandezze sono indicative dello scafo,
altre della carena, alcune sono utili nei calcoli di robustezza della trave-nave, altre
nei calcoli di resistenza al moto, ecc., altre ancora nell’esercizio della nave
(lunghezza di banchina impegnata nell’ormeggio, passaggio in canali, immissione in
bacino, ecc.).

68
4 - Rapporti caratteristici della carena

I rapporti adimensionali (tra lunghezze, aree o volumi) di alcune grandezze


relative alla nave, o più spesso alla carena, assumono valori poco diversi per navi
appartenenti alla stessa tipologia e di grandezza non troppo diversa. I valori di tali
rapporti influenzano le prestazioni di una nave sia in relazione alla capacità del
servizio cui la nave è destinata (capacità di stiva, superficie dei ponti, ecc.) sia in
relazione al suo comportamento in mare (resistenza al moto, stabilità, manovrabilità,
comportamento in mare mosso, ecc.).
I rapporti adimensionali tra lunghezze sono i seguenti:

L WL rapporto tra la lunghezza al galleggiamento di progetto e la larghezza massima


BX fuori ossatura al galleggiamento di progetto; questo rapporto rappresenta,
quindi, il rapporto di figura, lo allungamento della figura di galleggiamento. Le
navi con velocità relativa [ V / L WL ] più elevata hanno allungamento
maggiore;
L PP rapporto tra la lunghezza tra le perpendicolari e larghezza fuori ossatura della
BM figura di galleggiamento di progetto, alla sezione a metà della lunghezza tra le
perpendicolari; questo rapporto rappresenta, quindi, il rapporto di figura, lo
allungamento della figura di galleggiamento privata delle parti estreme di prua
e di poppa;

BX rapporto tra la larghezza massima fuori ossatura al galleggiamento di progetto e


TM l’immersione corrispondente, misurata sulla perpendicolare al mezzo; le navi
con più alti valori di questo rapporto hanno, in generale, una maggiore stabilità;

BM rapporto tra la larghezza della figura di galleggiamento fuori ossatura nella


TM sezione a metà della lunghezza tra le perpendicolari e l’immersione
corrispondente, misurata sulla perpendicolare al mezzo;

TM rapporto tra l’immersione di progetto e l’altezza di costruzione;


D
BM rapporto tra la larghezza massima fuori ossatura al galleggiamento di progetto e
D l’altezza di costruzione.

L PP rapporto tra la lunghezza tra le perpendicolari e l’altezza di costruzione.


D

Di solito LWL/BX≈LPP/BM, BX/TM≈BM/TM e inoltre, per navi non piccole,


LWL≈LPP e BX≈BM per cui spesso si semplifica e tali rapporti vengono indicati con
L/B, B/T, B/D, L/D, T/D. Nelle tabella da 1 a 8 si riportano i valori dei rapporti
adimensionali tra lunghezze per alcune tipologie di navi, nonché i valori di
V
Fn = (detto numero di Froude), dove:
gL
69
 V velocità di esercizio della nave in m/s,
 g accelerazione di gravità in m/s2,
 L lunghezza al galleggiamento di progetto in m,

Nella prima colonna delle tabelle compare la grandezza che meglio


caratterizza il servizio (trasporto) che la nave compie (portata lorda QL, numero di
trailers N, volume netto di stive refrigerate, numero di contenitori da 20 piedi).
Nella tabella 9 si riportano, per alcune navi, i valori delle dimensioni principali ed i
loro rapporti.

Tabella 1 - Rapporti adimensionali tra lunghezze per bulk carrier


QL/1000 L/B B/D B/T L/D T/D Fn
< 50 5.6÷6.8 1.7÷1.9 2.3÷2.8 10.8÷12.5 0.70÷0.76 0.17÷0.21
50 ÷ 100 5.7÷6.7 1.7÷1.9 2.3÷2.7 10.7÷12.0 0.71÷0.75 0.15÷0.17
100 ÷ 150 5.8÷6.4 1.7÷1.9 2.4÷2.6 10.5÷11.9 0.72÷0.75 0.14÷0.15
> 150 5.8÷6.2 1.8÷1.9 2.4÷2.6 10.5÷11.6 0.72÷0.74 0.13÷0.14

Tabella 2 - Rapporti adimensionali tra lunghezze per navi cisterne


QL/1000 L/B B/D B/T L/D T/D Fn
45 ÷ 100 5.5÷6.0 1.80÷2.1 2.6÷3.3 9.5÷12.5 0.73÷0.74 0.150÷0.170
100 ÷200 5.4÷6.0 1.85÷2.0 2.6÷3.0 10.0÷11.6 0.72÷0.73 0.145÷0.155
> 200 5.4÷6.8 1.80÷1.9 2.6÷2.7 10.0÷11.0 0.71÷0.72 0.133÷0.145

Tabella 3 - Rapporti adimensionali tra lunghezze per navi da carico generale e


polivalenti
QL/1000 L/B B/D B/T L/D T/D Fn
<5 5.25÷6.50 1.80÷2.10 2.3÷3.0 10.5÷13.0 0.68÷0.76 0.21÷0.26
5 ÷ 15 5.55÷6.55 1.75÷2.05 2.3÷2.9 10.5÷12.5 0.69÷0.76 0.21÷0.25
15 ÷ 25 5.75÷6.60 1.70÷1.95 2.3÷2.8 10.5÷12.5 0.70÷0.75 0.21÷0.23
> 25 6.00÷6.75 1.70÷1.95 2.3÷2.6 11.0÷12.5 0.71÷0.75 0.21÷0.22

Tabella 4 - Rapporti adimensionali tra lunghezze per navi ro-ro


QL/1000 L/B B/D B/T L/D T/D Fn
< 10 5.1÷6.5 1.2÷1.7 2.8÷4.0 8.0÷11.0 0.35÷0.47 0.21÷0.27
10 ÷ 20 5.6÷7.0 1.3÷1.7 3.0÷3.8 8.5÷11.5 0.37÷0.50 0.22÷0.27
> 20 6.1÷6.5 1.3÷1.7 3.0÷3.8 9.0÷11.5 0.40÷0.50 0.21÷0.25
70
Tabella 5 - Rapporti adimensionali tra lunghezze per navi ro-ro
N° TRAILERS L/B B/T L/D* B/D* Fn
< 500 5.1÷6.4 3.0÷4.0 10.0÷11.5 1.3÷1.7 0.19÷0.24
500 ÷ 1000 5.7÷7.3 3.3÷3.8 9.5÷12.5 1.3÷2.0 0.22÷0.28
1001 ÷ 2000 6.0÷6.7 2.8÷3.5 8.5÷12.0 1.2÷1.7 0.23÷0.28
> 2000 6.2÷7.5 3.0÷4.2 9.0÷11.0 1.3÷1.8 0.21÷0.25

Tabella 6 - Rapporti adimensionali tra lunghezze per navi frigorifere


3
V(ft )/100 L/B B/D B/T L/D T/D Fn
0
< 200 5.5÷6.0 1.65÷1.90 2.20÷2.40 9.5÷12.0 0.72÷0.47 0.29÷0.30
200 ÷ 400 5.7÷6.1 1.70÷1.85 2.25÷2.45 9.5÷12.0 0.71÷0.50 0.29÷0.30
400÷÷ 600 5.8÷6.3 1.60÷1.80 2.35÷2.55 9.5÷12.0 0.69÷0.72 0.29÷0.30
> 600 6.0÷6.5 1.55÷1.70 2.45÷2.65 9.5÷12.0 0.68÷0.70 0.29÷0.30

Tabella 7 - Rapporti adimensionali tra lunghezze per navi portacontenitori


(Panama)
N° TEU L/B B/D B/T L/D T/D Fn
< 1000 5.2÷6.5 1.7÷2.2 2.4÷3.2 10.5÷13.0 0.63÷0.79 0.23÷0.26
1000 ÷ 1500 5.7÷7.5 1.6÷1.9 2.4÷3.1 10.5÷12.7 0.57÷0.70 0.23÷0.26
1500 ÷ 2000 6.5÷8.5 1.5÷1.7 2.4÷2.9 11.0÷13.5 0.55÷0.65 0.23÷0.25

Tabella 8 - Rapporti adimensionali tra lunghezze per navi portacontenitori


(no Panama)
N° TEU L/B B/D B/T L/D T/D Fn
1500 ÷ 3000 6.4÷7.3 1.6÷1.75 2.8÷3.5 10.5÷12.2 0.5÷0.6 0.22÷0.25
> 3000 6.7÷7.5 1.6÷1.75 2.7÷3.3 11.2÷12.5 0.5÷0.6÷ 0.21÷0.24

Tabella 9 – Dimensioni principali e rapporti tra lunghezze di alcune navi


NOME SERVIZIO LPP BM TM L/B B/T
Circe Betta 41.17 9.10 3.00 4.52 3.03
Daniela I Betta 58.15 9.50 1.63 6.12 5.83
Maria Betta 47.02 8.00 2.55 5.88 3.14
Athesis bulk carrier 312.00 54.20 20.50 5.76 2.64
Bestore Due bulk carrier 216.00 32.20 13.20 6.71 2.44
Fenix bulk carrier 100.70 16.40 7.55 6.14 2.17
Bulk Genova bulk carrier 250.00 43.00 17.22 5.81 2.50
71
Cleopatra carico generale 77.57 13.60 5.40 5.70 2.56
Conte di Savoia carico generale 50.00 8.00 2.14 6.25 3.74
Delfino Blu carico generale 44.13 7.10 2.45 6.22 2.90
Pan Viet I carico refrigerato 60.49 12.00 4.37 5.04 2.75
Heracles Glory Cementiera 97.15 15.80 6.78 6.15 2.33
Cement One Cementiera 55.60 9.20 3.64 6.04 2.53
Mar Piccolo Cementiera 105.15 16.30 6.89 6.45 2.37
Regal Princess Crociera 204.00 32.25 8.10 6.33 3.98
Costa Allegra Crociera 170.64 25.75 8.21 6.63 3.14
Costa Classica Crociera 182.00 30.80 7.62 5.91 4.04
Costa Marina Crociera 157.20 25.75 8.00 6.10 3.22
Costa Riviera Crociera 188.70 28.60 8.65 6.60 3.31
Costa Romantica Crociera 182.00 30.80 7.62 5.91 4.04
ABC Diporto 24.30 7.34 2.62 3.31 2.80
Antares Diporto 31.65 8.32 2.00 3.80 4.16
Gino Cucco Draga 44.00 11.80 3.44 3.74 3.43
Giuseppe Di Vittorio Draga 50.09 9.80 3.81 5.11 2.57
Capo Argento Gasiera 91.73 14.00 6.22 5.95 3.43
Capo Cervo Gasiera 93.20 12.75 5.51 7.31 2.31
Coral Star Gasiera 70.40 12.70 6.16 5.54 2.06
Andrea Doria Militare 144.00 17.07 4.77 8.44 3.58
Vittorio Veneto Militare 170.06 19.23 5.72 8.84 3.36
Garibaldi Militare 162.80 23.51 6.30 7.04 3.73
Impavido Militare 126.60 13.54 4.48 9.37 3.02
Ardito Militare 131.66 14,57 4.67 9.07 3.12
Alpino Militare 106.40 13.04 3.78 8.18 3.45
Lupo Militare 106.00 11.94 3.75 8.91 3.19
Maestrale Militare 114.06 12.80 4.06 8.96 3.15
El Toro nave stalla 65.80 10.80 3.67 6.09 2.94
Farid F. nave stalla 140.62 18.04 7.10 7.79 2.54
Albamar peschereccio 18.36 6.30 3.29 2.91 1.91
Antares I peschereccio 32.50 8.80 3.24 3.69 2.72
Gabriella C. peschereccio 63.13 11.50 4.28 5.49 2.69
Guglielmo G. Pontone 43.30 14.00 3.05 3.09 4.59
sollevam.
S. Maria Pontone 53.35 11.98 2.57 4.45 4.66
sollevam.
Blue Dream portacontenitori 75.00 13.50 2.37 5.56 5.70
Calafuria portacontenitori 164.00 27.00 9.87 6.07 2.74
Nuova Trieste portacontenitori 219.68 32.25 11.52 6.81 2.80
Giulio Verne posacavi 118.58 30.48 5.36 3.89 5.69
Capo Miseno Prodotti chimici 85.01 14.00 5.45 6.06 2.57
Carezza Prodotti chimici 80.31 12.80 5.86 6.27 2.35
Caroline Wonsild Prodotti chimici 80.90 14.00 5.21 5.78 2.69
Chemical Exporter Prodotti chimici 104.00 16.50 7.16 6.30 2.30

72
Italica Ricerca 119.00 17.30 6.91 6.88 2.50
Mare Oceano Ricerca 75.00 13.25 4.17 5.66 3.18
A. H. Portofino rimorchiatore 59.40 14.50 4.99 4.10 2.91
Algerina Neri rimorchiatore 27.00 9.50 4.67 2.84 2.03
Beppe rimorchiatore 26.03 9.50 3.90 2.74 2.44
Antonello da Messina roll on - roll off 64.30 14.00 3.60 4.59 3.89
Archimede roll on - roll off 85.90 17.00 3.83 5.05 4.44
Baleno roll on - roll off 23.97 9.00 1.16 2.66 7.75
Capo Carbonara roll on - roll off 135.00 22.70 6.62 5.95 3.43
Egitto Espress roll on - roll off 110.00 18.50 5.22 5.95 3.54
Giorgio Cini nave scuola 46.51 10.00 2.92 4.65 3.42
Marinaretto nave scuola 18.00 5.20 1.84 3.46 2.83

I rapporti adimensionali tra superfici relativi alla carena sono anche detti
coefficienti di finezza di carena e sono i seguenti:
♦ coefficiente di finezza della sezione maestra,
♦ coefficiente di finezza della figura di galleggiamento,
♦ coefficiente di finezza del piano di deriva.

Il coefficiente di finezza della sezione maestra, figura 6, è indicato dal


simbolo CM ed è definito dal rapporto:

AM
CM =
B M TM

nella quale AM è l’area della sezione maestra immersa, BM è larghezza fuori ossatura
della figura di galleggiamento di progetto alla sezione a metà della lunghezza tra le
perpendicolari, mentre TM è la distanza tra il piano di galleggiamento e la linea di
sottochiglia misurata sulla perpendicolare al mezzo. Il coefficiente di finezza della
sezione maestra può assumere, a seconda del tipo di nave, valori molto diversi. Se si
tende a rendere massima la capacità delle stive il CM assumerà valori elevati (è il
caso delle navi che trasportano carichi alla rinfusa, quali cisterna e bulk carrier; la
figura 6a ne è un esempio), se è prioritaria la resistenza idrodinamica CM assumerà
valori molto bassi (è il caso delle imbarcazioni a vela; la figura 6b ne è un esempio).

73
a b
FIG. 6

Il coefficiente di finezza della figura di galleggiamento, figura 7, è indicato


dal simbolo CW ed è definito dal rapporto:
AW
CW =
L WL B X
nella quale AW è l’area della figura di galleggiamento di progetto, LWL è la
lunghezza al galleggiamento di progetto e BX è la larghezza al galleggiamento di
progetto. Navi con velocità relative (V/√LWL) elevate (ad esempio navi militari)
hanno valori di CW non grandi.

FIG. 7

Il coefficiente di finezza del piano di deriva, figura 8, è indicato dal


simbolo CL ed è definito dal rapporto:
AL
CL =
L WL TM
nella quale AL è l’area della figura del piano di deriva relativo al galleggiamento di
progetto, LWL è la lunghezza al galleggiamento di progetto e TM è l’immersione di
progetto (distanza tra il piano di galleggiamento e la linea di sottochiglia misurata
sulla perpendicolare al mezzo).
74
FIG. 8

I rapporti adimensionali tra volumi relativi alla carena sono anche detti
coefficienti di finezza di carena e sono i seguenti:
♦ coefficiente di finezza totale di carena,
♦ coefficiente di finezza prismatico longitudinale di carena,
♦ coefficiente di finezza prismatico verticale di carena,
♦ coefficiente di finezza prismatico trasversale di carena.

Il coefficiente di finezza totale di carena, figura 9, è indicato dal simbolo


CB ed è definito dal rapporto:

CB =
L WL B X TM
nella quale ∇ è il volume di carena relativo al galleggiamento di progetto, LWL è la
lunghezza al galleggiamento di progetto, BX è la larghezza al galleggiamento di
progetto e TM è l’immersione di progetto.
Il coefficiente di finezza totale di carena è molto importante; può variare in
un campo assai vasto [da 0.30 (carene molto veloci) ad 1.00 (pontoni)]. I valori
consueti di CB per diverse tipologie di navi sono i seguenti:
 petroliere CB =0.80÷0.88,
 cisterne per prodotti del petrolio CB =0.75÷0.80,
 bulk carrier CB =0.68÷0.85,
 da carico generale CB =0.55÷0.80,
 ro-ro CB =0.50÷0.70,
 rimorchiatori CB =0.50÷0.60,
 pescherecci CB =0.45÷0.60.
Una relazione che lega il coefficiente di finezza totale di carena al numero di Froude
(Fn=V/ g L WL ) è la seguente:
C B = −4.22 + 27.8 Fn − 39.1 Fn + 46.6 Fn3

75
FIG. 9

Il coefficiente di finezza prismatico longitudinale di carena, figura 10, è


indicato dal simbolo CP ed è definito dal rapporto:

CP =
A M L WL
nella quale ∇ è il volume di carena relativo al galleggiamento di progetto, AM è
l’area della sezione maestra immersa e LWL è la lunghezza al galleggiamento di
progetto. In pratica il coefficiente di finezza prismatico di carena esprime il rapporto
tra il volume di carena ed il volume del prisma ottenuto traslando per tutta la
lunghezza al galleggiamento la sezione maestra immersa di area AM.

FIG. 10

Il coefficiente di finezza prismatico verticale di carena, figura 11, è


indicato dal simbolo CPV ed è definito dal rapporto:

76

C PV =
A W TM
nella quale ∇ è il volume di carena relativo al galleggiamento di progetto, AW è
l’area della figura di galleggiamento di progetto e TM è l’immersione di progetto. In
pratica il coefficiente di finezza prismatico verticale di carena esprime il rapporto tra
il volume di carena ed il volume del prisma ottenuto traslando per tutta l’immersione
TM la figura di galleggiamento di area AW.

FIG. 11

Il coefficiente di finezza prismatico trasversale di carena figura 12, è


indicato dal simbolo CPT ed è definito dal rapporto:


C PT =
A L BX

nella quale ∇ è il volume di carena relativo al galleggiamento di progetto, AL è


l’area della figura di deriva e B X è la larghezza al galleggiamento di progetto. In
pratica il coefficiente di finezza prismatico trasversale di carena esprime il rapporto
tra il volume di carena ed il volume del prisma ottenuto traslando per tutta la
larghezza B X la figura di deriva di area AL. Questo coefficiente è raramente usato.

77
FIG. 12

Dalle definizioni date risultano le seguenti relazioni (per brevità si omettono i


pedici):

∇ ∇ AM
CB = = = CP CM
L B T AM L B T
∇ ∇ AW
CB = = = C PV C W
L B T AW T L B
∇ ∇ AL
CB = = = C PT C L
L BT A L B L T
per cui risulta anche:
CB CB CB
CP = C PV = C PT =
CM CW CL
C C C
CM = B CW = B CL = B
CP C PV C PT
Il coefficiente di finezza prismatico longitudinale CP (sarebbe più giusto
indicarlo con CPL) - che dei tre coefficienti prismatici è il più usato - indica la
distribuzione dei volumi lungo l’asse X. La distribuzione longitudinale del volume
di carena viene di solito evidenziata da un diagramma detto diagramma delle aree
delle sezioni immerse che ha per ascisse l’asse X e per ordinate i valori locali delle
aree delle sezioni trasversali immerse. Se due navi hanno uguale lunghezza al
galleggiamento ed uguale volume di carena, indicando con il pedice 1 gli elementi
relativi alla prima nave e con il pedice 2 quelli relativi alla seconda nave, si può
scrivere:

78
∇ k
C P1 = =
A M1 L WL A M1
∇ k
CP2 = =
A M 2 L WL A M 2

essendo k=
L WL
Si ricava, quindi, la relazione

A M2
C P1 = CP2
A M1

FIG. 13

Pertanto, a AM2/AM1<1 corrisponde CP1<CP2 quindi, in tal caso, la carena 1,


con valore più piccolo del coefficiente prismatico, presenta un’area immersa della
sezione maestra maggiore di quella della carena 2; il che vuol dire che la carena 1 ha
una maggiore concentrazione di volume nel corpo centrale mentre la carena 2 ha una
distribuzione meno disuniforme da prua a poppa, come la figura 13 chiarisce (in
questa KB e KC rappresentano, rispettivamente, le aree immerse della sezione
maestra della carena 1 e della carena 2).

Caratterizzano pure la carena (anche ai fini delle prestazioni idrodinamiche) e


sono detti costanti di forma, i seguenti rapporti adimensionali tra le dimensioni
principali (L, B e T) ed il volume ∇ della carena (tutti relativi al galleggiamento di
progetto):
L B T
M = 1
B = 1
T = 1
∇ 3
∇ 3
∇3

la prima costante di forma (leggi M cerchiata) è detta lunghezza relativa al volume,


79
la seconda (leggi B cerchiata) è detta larghezza relativa al volume, la terza (leggi T
cerchiata) è detta immersione relativa al volume. Tali costanti di forma assumono
valori abbastanza prossimi per navi con le medesime caratteristiche tipologiche e di
velocità. Il prospetto seguente fornisce i valori consueti di tali costanti per alcune
categorie di navi (ovviamente i campi risulterebbero più ristretti ove la suddivisione
fosse più specifica):

TIPO M B T
Crociera 5.7÷7.2 0.90÷1.08 0.27÷0.35
carico generale 5.3÷5.8 0.73÷0.85 0.29÷0.35
bulk carrier 4.0÷6.0 0.72÷0.90 0.30÷0.36
roll on - roll off 5.3÷7.1 0.97÷1.18 0.26÷0.34
Petroliera 5.0÷6.1 0.74÷0.90 0.28÷0.36
Militari 7.0÷8.4 0.80÷1.10 0.26÷0.30

La costante di forma più usata è la M cerchiata, mentre raramente vengono usate le


altre due costanti.
A volte, poco opportunamente, vengono usati per caratterizzare la carena dei
parametri non adimensionali e che, quindi, necessitano dell’indicazione delle unità
di misura delle grandezze adottate. Tra questi il più frequentemente usato nella
letteratura tecnica è il così detto dislocamento relativo espresso dalla relazione:
∆/(L/100)3
nella quale ∆ (dislocamento di progetto) è in tonnellate inglesi ed L (lunghezza al
galleggiamento di progetto) è in piedi.

5 – Definizioni relative al ponte con superficie non piana.


Insellatura e bolzonatura.
Molte navi hanno il ponte di coperta (di solito è quello più alto e coincide con
quello esposto alle intemperie) non piano.
Nella figura 14 è riportata una sezione trasversale, in corrispondenza di una
ossatura, di uno scafo in legno, con l’indicazione dei diversi elementi strutturali. La
situazione è diversa, ma analoga, negli scafi in acciaio. Nella figura 15 è riportato il
nodo (incastro) tra un baglio ed una costola in uno scafo in acciaio.

80
FIG. 14

FIG: 15
Il baglio è un elemento strutturale che assieme ad altri [costole (ai fianchi),
paramezzale (al fondo), ecc.] costituisce una ossatura (telaio). Le ossature e, quindi i
bagli, sono disposte ciascuna in un piano trasversale dello scafo ed in successione
ordinata secondo l’asse longitudinale della nave; la distanza tra le ossature è detta
anche distanza tra le ordinate. I bagli si estendono da una murata all’altra per
collegare le strutture di un fianco con quelle del fianco opposto, per sostenere il
fasciame del ponte, ecc. I bagli sono interrotti solo in corrispondenza di boccaporti e
di altre aperture dei ponti; in tale caso le due parti di baglio sono dette mezzobaglio.

Si definisce orlo del ponte a murata, o anche orlo a murata, la linea


intersezione della superficie del ponte entro fasciame con la superficie della murata
entro fasciame. Poiché il corso di fasciame a murata è detto trincarino e quello più
alto della murata è detto cinta, l’orlo del ponte a murata è la linea intersezione tra le
superfici, interne alla nave, del trincarico e della cinta, come la figura 16 chiarisce (il
punto M è la traccia dell’orlo a murata sul piano della sezione considerata). Si
81
definisce linea retta del baglio la retta orizzontale che congiunge due punti
omologhi (giacenti sulla stessa sezione trasversale della nave) dell’orlo del ponte a
murata. Le linee rette del baglio sono infinite (bagli ipotetici) e tra queste vi sono
anche quelle dei bagli reali.

FIG. 16

L’insellatura è la curvatura in senso longitudinale e con la concavità verso


l’alto. Un ponte con tale curvatura si dice insellato. L’insellatura del ponte fa sì che,
ove mai si imbarchi acqua sul ponte (la causa più frequente è un eccessivo
beccheggio), l’acqua defluisca rapidamente verso la parte centrale (in senso
longitudinale) del ponte. La bolzonatura è la curvatura in senso trasversale e con la
concavità verso il basso. Un ponte con tale curvatura si dice imbolzonato. La
bolzonatura del ponte fa sì che, ove mai si imbarchi acqua sul ponte, essa defluisca
rapidamente fuori bordo. Le navi con ponte piano – cioè senza insellatura e
bolzonatura devono avere un bordo libero maggiore proprio per sopperire la molto
ridotta capacità di far defluire l’acqua che eventualmente può essere imbarcata sul
ponte (a causa dei moti di beccheggio, rollio e sussulto, conseguenti a stati del mare
severi. Nelle navi non piccole, si preferisce realizzare il ponte piano in quanto si
riducono i tempi ed i costi di costruzione (i bagli non sono incurvati ed il fasciame
del ponte non ha doppia curvatura) e si ha una migliore agibilità ad operare sul
ponte. Per le navi piccole (ad esempio i pescherecci) si preferisce avere il ponte
insellato ed imbolzonato, in quanto l’aumento dell’altezza di costruzione sarebbe
tale da annullare le dette riduzioni di tempi e costi di costruzione, rendendo meno
agevole l’attività che la nave deve svolgere (nel caso dei pescherecci: calo, e
salpamento della rete).
Si definisce linea al centro la linea interezione del piano diametrale della
nave con la superficie entro fasciame del ponte.
La linea di insellatura, detta anche cavallino, è la curva ottenuta proiettando
perpendicolarmente sul piano diametrale l’orlo a murata. La linea di insellatura
presenta la concavità verso l’alto ed è costituita da due rami di parabola aventi
82
vertice comune sulla perpendicolare al mezzo. Le ordinate della linea di insellatura
regolamentare 26 rispetto alla retta orizzontale, dette quote dell’insellatura, hanno i
valori, in millimetri, riportati in tabella, come mostrato in figura 17.

Ascissa Quota z
sulla PPAD Z1=25 (10+LPP/3)
a 1/6LPP dalla PPAD Z2=11.10 (10+LPP/3)
a 1/3LPP dalla PPAD Z3=2.80 (10+LPP/3)
sulla al mezzo Z4=0
a 1/3LPP dalla PPAV Z5=5.60 (10+LPP/3)
a 1/6LPP dalla PPAV Z6=22.20 (10+LPP/3)
sulla PPAV Z7=50 (10+LPP/3)

FIG. 17
La curva del baglio o curva del bolzone è la curva intersezione tra un piano
trasversale verticale e la superficie del ponte entro fasciame. Tale curva, se
regolamentare, ha forma parabolica. La freccia del bolzone (cioè della parabola) –
segmento intercettato sulla traccia del piano diametrale dalla curva del baglio e dalla
retta del baglio- deve essere uguale ad 1/50 della larghezza massima B fuori ossatura
del ponte nella sezione trasversale considerata. Per tracciare la curva del baglio si
può procedere per inviluppo delle tangenti o per quarto di circonferenza.
La costruzione per inviluppo di tangenti è riportata in figura 18. La larghezza
locale B (segmento MN) viene divisa in due parti uguali; si riportano i segmenti OC
ed OF (sono sulla traccia del piano diametrale) pari alla freccia del bolzone ed al suo
doppio; si dividono i segmenti NE ed ME nello stesso numero di parti uguali
numerando i punti di divisione in ordine inverso; si congiungono i punti aventi lo
stesso numero; la curva del baglio è quella che ha per tangenti i segmenti tracciati.

26
Tali norme sono fissate dalla Convenzione Internazionale sulle Linee di Carico, detta anche
Convenzione sul Bordo Libero.

83
FIG. 18

La costruzione per quarto di circonferenza è riportata in figura 19. La


semilarghezza locale B/2 (segmento MO) viene divisa in parti uguali; con centro in
O si traccia il quarto di circonferenza di raggio pari alla freccia del bolzone; si
dividono l’arco di circonferenza CQ ed il raggio OQ nello stesso numero di parti
assunto per il segmento MO; si tracciano i segmenti ab, ed, ef …, detti segmenti
vengono riportati verticalmente rispettivamente a partire dai punti 1, 2, 3 ….; la
curva che congiunge i punti M, a, c, e …C è quella di metà bolzone.

FIG. 19
In ogni sezione verticale trasversale la curva del bolzone è la stessa anche se
ha estensione diversa, per cui tutte le dette curve sono sovrapponibili; la figura 20
mostra la curva del bolzone per la sezione maestra di una nave (curva MCN) e
quella (curva M’CN’) di una generica sezione trasversale la cui larghezza massima è
M’N’.

FIG. 20
La figura 21 mostra è ad ulteriore chiarimento di quanto detto per
l’insellatura e l’imbolzonatura di un ponte. Come può notarsi, la superficie del ponte
insellato ed imbolzonato è quella prodotta dalla curva del bolzone che trasla
longitudinalmente lungo la proiezione sul piano diametrale dell’orlo a murata del
ponte insellato.
84
FIG. 2
85
CAPITOLO V

DISLOCAMENTO E BARICENTRO DELLA NAVE,


PORTATA

1 – Il dislocamento.

Il peso si una nave è detto dislocamento perchè è uguale in valore al peso


della massa d’acqua dislocata dalla nave quando galleggia; è indicato con ∆ e si
misura in tonnellate. I dislocamenti più importanti sono due:
 il dislocamento a nave vacante ∆NV,
 il dislocamento di pieno carico normale o dislocamento di progetto ∆.

Il dislocamento a nave vacante ∆NV è il valore minimo che una nave ha ed è


composto da un dislocamento teorico (praticamente mai realizzabile) detto
dislocamento della nave scarica ed asciutta, dal peso di quei liquidi che sono sempre
presenti in apparati e tubazioni (liquidi in circolazione e/o impompabili), e dal peso
della eventuale zavorra fissa. La differenza tra dislocamento a nave vacante e
dislocamento della nave scarica ed asciutta è, di norma molto piccola, può variare
tra 1.0 e 1.6%, se è presente anche della zavorra fissa; per tale ragione, a volte, i due
dislocamenti vengono confusi.
Dislocamento (teorico) a nave Peso scafo e
scarica ed asciutta sovrastrutture nudi PS

Peso allestimento PALL


Dislocamento
a nave
vacante Peso apparato motore
asciutto PAM

• Peso liquidi in circolazione


non nell’apparato motore,
• Peso liquidi in circolazione
nell’apparato motore,
• peso liquidi impompabili,
• peso eventuale zavorra fissa.

87
Il dislocamento di pieno carico normale o dislocamento di progetto ∆ è il
valore massimo che una nave può avere e che è definito dal progettista anche nel
rispetto della normativa vigente; esso è composto dal dislocamento a nave vacante e
dalla portata lorda massima, indicata con DWT (dead weight tons).
In realtà una nave può trovarsi, nel corso della sua vita, ad avere un
dislocamento superiore a quello di pieno carico normale. Ciò può avvenire o per
caricazione oltre il lecito (ed è pertanto un reato) o per circostanze eccezionali quali,
ad esempio, formazione di ghiaccio sulle sovrastrutture, imbarco d’acqua per falla o
per severe condizioni meteomarine, imbarco di passeggeri da una nave in pericolo,
ecc.

Gli infiniti dislocamenti compresi tra quello a nave vacante e quello di pieno
carico normale differiscono solo per il valore della portata lorda che varia anche
durante la navigazione, via via che vengono utilizzati alcuni prodotti. Della portata
lorda si dirà nel prossimo paragrafo.

Peso scafo
Costituiscono lo scafo 27 l’insieme degli elementi che realizzano la struttura
principale esterna (fasciame del fondo, dei fianchi e del ponte con i relativi rinforzi)
ed interna (paratie traversali, paratie longitudinali e ponti con relativi rinforzi)
resistenti alle sollecitazioni cui la nave è soggetta a causa dei carichi interni ed
esterni ad essa. Anche se non preposte a realizzare la robustezza della trave-nave, le
sovrastrutture e le strutture secondarie interne ed esterne (es. basamento motori,
paratie divisorie, fumaiolo, alette di rollio, ecc.) entrano a costituire il peso scafo.
In generale lo scafo vero e proprio è realizzato tutto con uno stesso materiale
(acciaio 28, legno, vetroresina, ecc.) mentre le altre parti possono essere realizzate
con materiali diversi.
La distinta dei pesi costituenti il peso scafo viene fatta utilizzando i disegni
detti piani dei ferri se la nave è in acciaio (altrimenti piani dei legni, piani delle
strutture in PRFV, ecc.), il piano sviluppo fasciame e alcuni piani generali oltre che
utilizzando i cataloghi delle ferriere (se la nave è in acciaio).
Di solito si procede considerando lo scafo suddiviso in n trance [se la nave è a
struttura trasversale, n è uguale al numero dei telai (dette ossature)]. Per ogni trancia
si considerano solo gli elementi simmetrici rispetto al piano diametrale della nave

27
La parola scafo deriva dal latino scaphus a sua volta derivato dal greco σxαπτω con il significato di
scavato, con chiaro riferimento allo scafo primordiale costituito da un pezzo di tronco d’albero scavato.
28
Relativamente alle navi in acciaio, lo scafo è realizzato con lamiere e profilati ottenuti nelle ferriere con
laminazione a caldo. Per le lamiere (larghi piatti) le ferriere ed i Manuali d’Ingegneria forniscono le
dimensioni della sezione [larghezza (detta testa) e spessore (detta anche grossezza)], l’area della sezione ed il
peso per un metro di lunghezza. I profilati più comunemente usati sono angolari a lati uguali o diseguali,
angolari a bulbo, ferri a canale o a C, ferri a T, ferri a doppio T, piatti a bulbo simmetrici o non simmetrici.
Per i profilati, le ferriere ed i Manuali d’Ingegneria forniscono: dimensioni principali della sezione [altezza A,
larghezza a e spessore s] area della sezione, peso di un metro di lunghezza, distanza del baricentro dai due lati
più distanti, momenti d’inerzia rispetto ai due assi baricentrici e paralleli ai lati prima detti.

88
(in modo da limitare i calcoli a metà trancia), considerando gli eventuali o
comunque esigui elementi non simmetrici successivamente. Gli elementi presenti
sono diversi a seconda della tipologia della nave e della soluzione progettuale
adottata (a prevalente struttura trasversale o longitudinale, ecc.). In nota 29 si
riportano alcune voci che devono o possono, a seconda dei casi, essere presenti.
Nella prima parte (quella appunto relativa al peso scafo) del fascicolo
intitolato Esponente di Carico, si riportano gli elementi (peso e coordinate del
baricentro) non delle singole parti (ferri), ma dell’intera trancia o di più trance
contigue (indicando rispettivamente il numero che individua l’ossatura o i numeri
delle ossature estreme del blocco). Successivamente vengono riportate le altre parti
o complessi di parti che non sono state considerate nelle trance prima dette. In nota
30
si riportano alcune voci che devono o possono essere prese in considerazione.

Peso allestimento
Costituiscono l’allestimento l’insieme dei pesi che fanno parte del complesso
delle sistemazioni particolari della nave finalizzate alle diverse funzioni connesse
alla vita a bordo, alla movimentazione dei carichi, alla sicurezza, all’ormeggio, alla
manovra, alla navigazione, ecc.
La distinta di tali pesi viene fatta utilizzando numerosi disegni di carattere
generale (piani generali) o particolare (ad es. impianto acqua potabile, lavanda e
nere) ed informazioni assunte dai diversi fornitori e/o dal magazzino del cantiere.
Per contenere il numero delle voci della lista, più parti concorrenti allo stesso
fine vengono raggruppate. In nota 31 si riportano alcune possibili voci facenti parte
del peso allestimento.

29
Fasciame del fondo, fasciame dei fianchi, fasciame del ponte principale, paramezzale centrale, paramezzale
laterale, madiere, fasciame del cielo del doppio fondo, correnti del fondo, correnti del cielo del doppio fondo,
costole comuni, costole rinforzate, correnti dei fianchi, bagli semplici, bagli rinforzati, correnti del ponte,
anguilla centrale, anguilla laterale, mastre di boccaporta, squadre di collegamento, ecc. ecc.
30
Bulbo prodiero, paratie stagne trasversali, paratie stagne longitudinali, puntelli, timone, basamenti dei
motori principali, ponti sotto il ponte principale, strutture perimetrali delle sovrastrutture, paratie divisionali
dei diversi interponti, cielo delle sovrastrutture, impavesata, parapetti, alette di rollio, cofano motori, tunnel
dell’elica trasversale di manovra, pozzo catene, ecc. ecc.
31
Albero di prua completo di antenne e fanali, aste di posta prodiere, ventilazione naturale, scale in ferro,
porte in ferro, porte non metalliche interne ed esterne, boccaporte, portelli, osteriggi, scale di banda,
passerella, gru per imbarcazioni di salvataggio con relativi verricelli, gruetta per cambusa, gruetta per scala di
banda, ringhiere, candelieri per tende, tientibene, bitte, cubie, passacavi, gancio di rimorchio, finestrini, luci
fisse, salpancora, argano di tonneggio, macchina per il timone, impianto elettrico, impianto interfono,
impianto frigorifero per celle cambusa, impianto antincendio a CO2, pompe antincendio barellabili, impianto
antincendio a schiuma, estintori portatili, impianto scarico liquami, impianto ricetrasmittente, impianto radar,
girobussola, ecosonda, solcometro, orologi, radio, televisori, elica trasversale di manovra, impianto
condizionamento e ventilazione forzata, impianto per imbarco-sbarco-travaso liquidi, impianto per acqua di
zavorra e assetto, impianto di riscaldamento nafta, sonde e sfoghi d’aria e gas fuori apparato motore,
ombrinali e scarichi fuori bordo, tubazioni di sentina, tubazioni acqua potabile, tubazioni per acqua di
lavanda, tubazioni per acque nere, servizio aria compressa fuori apparato motore, tubazioni imbarco nafta,
coibentazione tubi, gruppo elettrogeno di emergenza (comprensivo di condotte per prese d’aria, condotte di
scarico, basamenti e casse per il combustibile), protezione catodica, ancore, catene, cavi, mezzi di salvataggio
collettivi, selle per imbarcazioni di salvataggio, mezzi di salvataggio individuali, salvagente anulari, atolli,
bussole, segnali, targhe, cappe, bandiere, strumenti nautici, pavimentazione alloggi e spazi comuni,
89
Peso apparato motore
Concorrono al peso dell’apparato motore l’insieme dei pesi che costituiscono
il complesso delle sistemazioni particolari della nave finalizzate alla produzione e
trasformazione di energia per la propulsione e per il funzionamento dei diversi
impianti di bordo.
La distinta di tali pesi viene fatta utilizzando numerosi disegni specifici
(piante e sezioni dei compartimenti destinati alla propulsione, al locale pompe, agli
elettrogeni, ecc., piano delle capacità, ecc.), informazioni assunte dai libretti tecnici
forniti dalle diverse ditte, informazioni ricevute dal magazzino del cantiere, ecc.
La distinta dei pesi viene eseguita, di solito, per blocchi, ad esempio: motori
di propulsione, produzione energia elettrica, circolazione olio lubrificante e di
raffreddamento, circolazione acqua raffreddamento, circolazione e trattamento nafta,
servizio sentina ed incendio, produzione vapore, ecc.
In nota 32 si riportano alcune voci costituenti il peso dell’apparato motore.

La distinta che espone tutti i pesi costituenti la nave vacante viene detta
esponente dei carichi fissi. Tale distinta viene stimata per grandi insiemi (peso
scafo, peso allestimento e peso apparato motore) fin dalle primissime fasi del
progetto; a mano a mano che il lavoro di progettazione procede la stima dei pesi è
meno grossolana e viene fatta per gruppi meno vasti appartenenti agli insiemi prima
detti; durante la costruzione della nave il peso di ogni elemento viene registrato e
l’esponente dei carichi fissi diventa sempre più completo e la somma di tutti i pesi
sempre più prossimo al valore che realmente avrà il dislocamento della nave

rivestimenti isolanti termici ed acustici, celle frigorifere di cambusa, carabottini, arredamento alloggi,
arredamento mense, arredamento locali igienici collettivi, arredamento cucina, arredamento mense,
arredamento infermeria, arredamento depositi e ripostigli, arredamento lavanderia, arredamento altri locali,
dotazioni per alloggi, dotazioni per mense, dotazioni per cucina, ecc. ecc.
32
Motori di propulsione: motori principali, giunti elastici, riduttori, alberi di trasmissione, eliche, boccole,
supporti, silenziatori, quadro manovra, strumenti di controllo, allarmi, ecc.; produzione energia elettrica:
gruppi elettrogeni, basamenti per gruppi elettrogeni, gruppi di avviamento, silenziatori, quadri di controllo,
ecc.; produzione aria compressa: compressori principali, compressori di primo avviamento, serbatoi per aria
compressa, bombole aria compressa per automatismi, ecc.; circolazione olio lubrificante e di
raffreddamento: elettropompe per olio lubrificante e di raffreddamento motori principali, elettropompe olio
riduttori, elettropompa per travaso, elettropompe di prelubrificazione gruppi di avviamento, refrigeratori olio
per motori principali, filtri autopulitori per olio motori principali, filtri per olio riduttori, depuratore olio,
riscaldatore olio, ecc.; circolazione acqua di raffreddamento: elettropompe raffreddamento acqua distillata
per motori principali, elettropompe di raffreddamento polverizzatori, refrigeratori acqua distillata
raffreddamento motori principali, refrigeratori acqua distillata per polverizzatori, refrigeratori acqua distillata
per gruppi di avviamento, ecc.; circolazione e trattamento nafta: elettropompe sbarco e travaso nafta,
elettropompe alimento nafta motori principali, elettrodepuratori nafta, ecc.; servizio sentina ed incendio:
elettropompe centrifughe per sentina ed incendio, elettropompe alternative per sentina ed incendio, depuratori
sentina, ecc.; servizio acque: evaporatori distillatori, serbatoi acque sporche, serbatoi acqua potabile, serbatoi
acqua lavanda, elettropompe per acque sporche, elettropompe per acqua potabile, elettropompe per acqua
lavanda calda, riscaldatore per acqua lavanda calda, serbatoio mineralizzazione acqua, ecc.; produzione
vapore: caldaia a nafta per produzione vapore, ecc.; servizio ventilazione: elettroventilatori di vario tipo,
ecc.; allestimento apparato motore: condotte generatori elettrici, condotte caldaia, paglioli, grigliati, scale e
sostegni, condotte di ventilazione, pezzi di rispetto, avviatori, officina meccanica, ecc.
90
vacante. Contemporaneamente vengono stimate, valutate, calcolate le coordinate dei
baricentri dei pesi riportati nell’esponente dei carichi fissi considerati rispetto ad una
terna ortogonale fissa 33, in modo da poter calcolare, in modo sempre più preciso, le
coordinate del baricentro della nave vacante.
Ovviamente il progetto della nave viene fatto anche considerando che il
baricentro della nave vacante dovrà trovarsi sul piano diametrale della nave, in
modo che la nave stia in posizione dritta, cioè con il piano diametrale normale alla
superficie del mare. La coordinata longitudinale del baricentro della nave vacante
dovrà trovarsi in prossimità della sezione contenente la perpendicolare al mezzo, tale
da contribuire a garantire, nella condizione di dislocamento al pieno carico normale,
assetto dritto. La coordinata verticale del baricentro della nave vacante dovrà essere
sufficientemente piccola, in modo da contribuire alla realizzazione di una buona
stabilità in tutte le condizioni di carico.

La coordinata verticale Z G della nave vacante viene verificata, a nave


galleggiante, attraverso una prova che è detta “prova di stabilità” e che verrà trattata
in altro capitolo.

Il valore del dislocamento a nave vacante e le coordinate del suo baricentro


non mutano (in pratica) durante la vita della nave a meno che non intervengano
trasformazioni che incidono sullo scafo e/o sull’allestimento e/o su quanto presente
l’apparato motore. Per tale ragione il valore del dislocamento a nave vacante e delle
coordinate del suo baricentro sono fondamentali perchè costituiscono la base di
partenza per qualunque calcolo che prende in esame una qualunque condizione di
carico nella quale la nave potrà trovarsi.

2 – La portata.

Tutti i pesi che possono essere imbarcati in una nave “vacante”, cioè tutti i
pesi mobili che sono in una nave, costituiscono la portata che viene genericamente
indicata con Q e si misura in tonnellate. Il valore massimo della portata, quello che
fa sì che dal dislocamento a nave vacante si passi al dislocamento di pieno carico
normale o dislocamento di progetto, è detta portata lorda massima ed è indicata da
DWT.

33
Questa può anche coincidere con la terna fondamentale della nave che è quella che ha origine in
K, piede della perpendicolare al mezzo; ha asse X orizzontale, giacente sul piano diametrale e
diretto verso prua, asse Y orizzontale e diretto verso la murata sinistra; asse Z verticale e diretto
verso l’alto.

91
Portata netta NWT Peso carichi paganti

Peso passeggeri e bagagli


Peso equipaggio
Portata lorda DWT ed effetti
personali Peso combustibili

Peso lubrificanti

Peso acqua potabile

Peso consumabili
Peso acqua lavanda

Peso viveri e bevande

Peso zavorra
liquida Peso dotazioni di
consumo della nave per
manutenzione

La portata lorda è data dalla somma della portata netta - detta anche carico
pagante – dei consumabili e dell’equipaggio con i propri effetti personali. La portata
netta massima viene indicata con NWT (net weight tons).

La distinta che espone tutti i pesi mobili che vengono imbarcati viene detta
esponente dei carichi mobili. Tale distinta viene stimata per grandi insiemi (portata
netta, peso combustibili, peso oli lubrificanti, peso acqua potabile, ecc.) fin dalle
primissime fasi del progetto; a mano a mano che il lavoro di progettazione procede
la stima dei pesi è meno grossolana e viene fatta per gruppi meno vasti appartenenti
agli insiemi prima detti. Viene anche elaborato il piano delle capacità che è
costituito da disegni e tabelle. In tale elaborato sono riportate la sezione
longitudinale della nave e le necessarie sezioni orizzontali dove sono segnati, e
numerati, tutti gli spazi (stive, depositi, casse, ecc.) destinati al carico pagante, ai
liquidi di consumo, all’acqua di zavorra, ecc. Con riferimento a tali disegni vengono
riportati in tabelle, per ogni spazio:
 il numero che individua la stiva o deposito o cassa e la sua posizione (lato
destro, centrale, lato sinistro),
 la destinazione d’uso (bene contenuto),

92
 le ordinate (ossature) della nave tra le quali lo spazio si estende
longitudinalmente,
 il volume netto in mc dello spazio (capacità massima),
 le coordinate del centro geometrico dello spazio rispetto ad una terna di
riferimento.

Il dislocamento della nave vacante e le coordinate del suo baricentro


dipendono unicamente dalle scelte fatte dal progettista. Il dislocamento di pieno
carico normale e le coordinate del suo baricentro dipendono non solo dalle scelte
fatte dal progettista (ubicazione di stive, depositi e casse), ma anche da come il
comandante 34 distribuirà a bordo i carichi paganti e non paganti (consumabili e
zavorra liquida). Il “piano delle capacità” serve appunto a fornire agli ufficiali di
coperta tutti gli elementi utili per poter gestire correttamente gli spazi destinati ai
carichi paganti e non paganti. Inoltre, durante il progetto della nave, viene elaborato
anche il quaderno (o fascicolo o libretto) di “Istruzioni al comandante” per la
caricazione della nave.

3 – Baricentro di un corpo.

Il baricentro G di un corpo è il punto nel quale può ritenersi applicata la sua


forza peso, esso gode delle seguenti proprietà:
◊ se il corpo è omogeneo, il baricentro coincide con il centro di figura del
corpo;
◊ se il sistema di corpi ha un piano di simmetria, il baricentro si troverà su
tale piano 35.
◊ se il punto di sospensione del corpo coincide con il baricentro dello stesso,
ogni posizione del corpo sarà di equilibrio;
◊ il baricentro risultante di due sistemi di corpi si troverà sulla retta
congiungente i baricentri dei due sistemi.

Consideriamo un corpo omogeneo, cilindrico, a sezione trasversale quadrata. Il


baricentro G si troverà sull’asse del cilindro a metà della lunghezza dello stesso. Il
peso ∆ del corpo può ritenersi applicato in G. Se il corpo viene posto sul vertice di
un appoggio in modo tale che la verticale passante per G passi anche per detto

34
Il comandante della nave è sempre e comunque responsabile anche della caricazione della nave; il
primo ufficiale di coperta è, spesso, addetto alla caricazione e, pertanto, corresponsabile.
35
Di conseguenza, se il sistema ha due piani di simmetria, il baricentro si troverà sulla retta
intersezione di tali piani; se il sistema ha tre piani di simmetria, il baricentro coinciderà con il punto
comune ai tre piani.

93
vertice, figura 1a, il corpo sarà in equilibrio. Aggiungiamo, figura 1b, un tronco di
cilindro, con le stesse caratteristiche del precedente, avente peso P; sia d la distanza
tra il baricentro G del primo tronco di cilindro e g quello del tronco aggiunto. Tale
operazione comporta che alla situazione di figura 1a si è aggiunto un momento dato
da (P d). Il corpo cilindrico omogeneo risultante, figura 1c, avrà peso ∆+P ed il suo
baricentro G1 sarà ancora sull’asse del cilindro. La situazione rappresentata in figura
1c vede il corpo soggetto ad un momento dato da [(∆+P) GG1]. Poiché le due
situazioni (fig. 1b ed 1c) sono identiche, sarà:
(∆+P) GG1 = P d

G a


d P
g b
G

∆+P

G1 c

FIG. 1

Pertanto la distanza del baricentro G1 del corpo avente peso (∆1=∆+P) dal punto G
(baricentro del corpo avente peso ∆) è data da:
Pd Pd
GG 1 = = (1)
∆ + P ∆1
ed è positiva se d è positiva. Si ha quindi che l’aggiunta di un peso sposta il
baricentro dalla stessa parte del peso aggiunto ed il baricentro del sistema di peso
∆1=∆+P si trova sulla retta congiungente i baricentri dei sistemi di peso ∆ e P.

Consideriamo ancora un corpo omogeneo, cilindrico, la cui sezione trasversale


è un quadrato. Il baricentro G del corpo si troverà sull’asse del cilindro ed a metà
della lunghezza dello stesso. Il peso del corpo ∆ può ritenersi applicato in G. Se il
corpo viene posto sul vertice di un appoggio in modo tale che la verticale passante
per G passa anche per detto vertice, figura 2a, il corpo sarà in equilibrio. Sottraiamo
ora, figura 2b, un tronco di cilindro, con le stesse caratteristiche del precedente,
avente peso P; sia d la distanza tra il baricentro G del primo tronco di cilindro e g
quello del tronco sottratto. Tale operazione comporta che alla situazione
rappresentata in figura 2a si è aggiunto un momento dato da (P d). Il corpo
94
cilindrico omogeneo risultante, figura 2c, avrà peso ∆-P ed il suo baricentro G1 sarà
ancora sull’asse del cilindro, ma in posizione diversa da G e g. La situazione
rappresentata in figura 2c vede il corpo soggetto ad un momento dato da [(∆-P)
GG1]. Poiché le due situazioni (fig. 2b ed 2c) sono identiche, deve essere
(∆-P) GG1 = P d

G a


P
g b
G

∆−P
d
G1 c

FIG. 2

Pertanto la distanza del baricentro G1 del corpo avente peso (∆1=∆-P) dal punto G
(baricentro del corpo avente peso ∆) è data da:

Pd Pd
GG 1 = = (2)
∆ − P ∆1

ed è negativa se d è positiva. Si ha quindi che la sottrazione di un peso sposta il


baricentro dalla parte opposta del peso sottratto ed il baricentro del sistema di peso
∆1=∆-P si trova sulla retta congiungente i baricentri dei sistemi di peso ∆ e P. Stante
la (1) e la (2), si ha che è

Pd
GG 1 = (3)
∆1
formula che fornisce lo spostamento del baricentro da G a G1 operato dalla aggiunta
(peso P positivo) o dalla sottrazione (peso P negativo) ad una distanza d dal
baricentro iniziale G. Quindi lo spostamento GG1 è concorde o discorde rispetto alla
distanza d, a seconda che si aggiunge (P positivo) o si sottrae (P negativo) un peso P.

95
4 – Imbarco e sbarco di un peso. Spostamento del baricentro, riferito
alla terna fondamentale.

Per l’imbarco e lo sbarco di un peso, si può svolgere un’unica trattazione


considerando il peso P positivo se si tratta di un imbarco, negativo se si tratta di uno
sbarco. Si indichi con
∆I il dislocamento iniziale,
GI il baricentro iniziale della nave,
∆F il dislocamento finale,
GF il baricentro finale della nave,
P il peso imbarcato (sbarcato)
g il baricentro del peso P.
Ovviamente si ha:
∆F = ∆I + P (4)

I casi più semplici sono i seguenti:


A. imbarco del peso P sull’asse parallelo a X e passante per GI,
B. imbarco del peso P sull’asse parallelo a Y e passante per GI,
C. imbarco del peso P sull’asse parallelo a Z e passante per GI,

A - Imbarco del peso P sull’asse parallelo a X e passante per GI.

L’equazione dei momenti è (figura 3):

∆F XGF= ∆I XGI + P Xg

per cui si ha:


∆ I X GI + P X g
X GF = (5a)
∆F

che fornisce la posizione finale (essendo ZGF = ZGI e YGF = YGI) del baricentro della
nave dopo l’imbarco del peso P.
Se si vuole conoscere dove imbarcare il peso P affinché il baricentro si sposti
da XGI a XGF, è:

∆ F X GF − ∆ I X GI ( ∆ I + P) X GF − ∆ I X GI
Xg = = (6a)
P P

Se si vuole sapere l’entità del peso P da imbarcare nel punto di coordinata Xg


affinché il baricentro della nave passi da XGI a XGF, l’equazione è:

96
(∆ I + P )X GF = ∆ I X GI + P X g

G1 G F g
/ / /
W L

FIG. 3

P (X GF − X g ) = ∆ I (X GI − X GF )

P = ∆I
(X GI − X GF ) (7a)
(X GF − Xg )

B - Imbarco del peso P sull’asse parallelo a Y e passante per GI.

Analogamente al caso precedente si ha (figura 4):

∆F YGF= ∆I YGI + P Yg
per cui è:
∆ I YGI + P Yg
YGF = (5b)
∆F

W L
GF g
G1

IG. 4

che fornisce la posizione finale (essendo ZGF = ZGI e XGF = XGI) del baricentro della
nave dopo l’imbarco del peso P. Parimenti si ha:
97
∆ F YGF − ∆ I YGI ( ∆ I + P) YGF − ∆ I YGI
Yg = = (6b)
P P
e
P = ∆I
(YGI − YGF ) (7b)
(Y GF − Yg )

C - Imbarco del peso P sull’asse parallelo a Z e passante per GI.

Analogamente ai casi precedenti si ha (figura 5):

∆F ZGF= ∆I ZGI + P Zg
per cui è:
∆ I Z GI + P Z g
Z GF = (5c)
∆F

che fornisce la posizione finale (essendo XGF = XGI e YGF = YGI) del baricentro della
nave dopo l’imbarco del peso P. Parimenti si ha:

∆ F Z GF − ∆ I Z GI ( ∆ I + P ) Z GF − ∆ I Z GI
Zg = = (6c)
P P
e
(Z GI − Z GF )
P = ∆I (7c)
(Z GF − Zg )

W L

GF
G1
FIG. 5

FIG. 5

D - Imbarco del peso P in un punto generico (caso generale).

Il caso generale è quello in cui il peso P, di baricentro g, viene effettuato in un


punto che non giace su nessuno dei tre assi passanti per GI (baricentro iniziale della
nave) e paralleli agli assi fondamentali. Il baricentro finale GF dovrà trovarsi sulla
98
retta congiungente i punti GI e g. Preso come polo un punto generico O su tale retta
si ha:
∆F OGF = ∆I OGI + P Og (8)
che proiettata sui tre assi della terna fondamentale dà luogo alle coordinate:

 ∆ I X GI + P X g
X GF = ∆F

 ∆ I YGI + P Yg
YGF = (9)
 ∆F
 ∆ I Z GI + P Z g
Z GF =
 ∆F
che non sono altro che le (5a), (5b) e (5c). Le (9) consentono di determinare le
coordinate del baricentro GF che la nave assume (baricentro finale) a seguito
dell’imbarco (sbarco) di un peso P, di coordinate Xg, Yg e Zg, se si conoscono le
coordinate XGI, YGI e ZGI del baricentro GI della nave prima dell’imbarco (sbarco)
del peso P che fa passare il dislocamento da ∆I (dislocamento iniziale) a ∆F.
Analogamente si può scrivere:

 ∆ F X GF − ∆ I X GI ( ∆ I + P) X GF − ∆ I X GI
X g = =
 P P
 ∆ F YGF − ∆ I YGI ( ∆ I + P) YGF − ∆ I YGI
Yg = = (10)
 P P
 ∆ F Z GF − ∆ I Z GI ( ∆ I + P) Z GF − ∆ I Z GI
Z g = =
 P P

che non sono altro che le (6a), (6b) e (6c), e

 (X GI − X GF )
P = ∆ I
 (X GF − Xg )
 (YGI − YGF )
P = ∆ I (11)
 (Y GF − Yg )
 (ZGI − ZGF )
P = ∆ I
 (Z GF − Zg )

che non sono altro che le (7a), (7b) e (7c).

99
5 - Imbarco e sbarco di un peso. Spostamento del baricentro riferito
alla terna avente per origine il baricentro iniziale G ed assi paralleli alla
terna fondamentale.

Anche in questo caso si può svolgere un’unica trattazione considerando il


peso P positivo se si tratta di un imbarco, negativo se si tratta di uno sbarco. La terna
che si assume ha origine nel baricentro G=GI ed assi x, y e z paralleli ed equiversi
agli assi X, Y e Z della terna fondamentale.
Consideriamo per prima il caso in cui il baricentro GI iniziale (associato al
dislocamento iniziale ∆I) si trovi sul piano diametrale della nave ed il peso P venga
imbarcato in un punto g (baricentro del peso) generico, figura 6. Il baricentro finale
GF (relativo al dislocamento ∆F) si troverà sulla congiungente GIg. L’equazione dei
momenti rispetto a G, porge:

g
x
W L

y * GF
G1

FIG. 6

∆F GIGF= P GIg

con
∆F = ∆I +P

per cui è:
P G Ig P G Ig
G IG F = = (12)
∆F ∆I + P

Il baricentro finale GF si troverà, sulla congiungente GI e g, in posizione


interna (tra GI e g), se il peso P è stato imbarcato; dalla parte opposta, rispetto a GI,
se il peso P è stato sbarcato.

Le componenti longitudinale (xGF), trasversale (yGF) e verticale (zGF) dello


spostamento GIGF, si otterranno proiettando la (12) sui tre assi coordinati x, y e z.

100
 P xg
x GF =
 ∆I + P
 P yg
y GF = (13)
 ∆I + P
 P zg
z GF =
 ∆I + P

Consideriamo tre casi particolari, cioè tre situazioni che producono uno
spostamento del baricentro da G a GF, secondo la direzione di uno dei tre assi
coordinati.

A - spostamento verticale del baricentro per imbarco o sbarco di un peso.

Si supponga (figura 7) che il baricentro iniziale G si trovi sul piano


diametrale (ciò non è strettamente necessario, ma semplifica la figura) e che il peso
P, avente baricentro g, venga imbarcato sulla verticale passante per G. Il baricentro
finale GV=GF si troverà sulla stessa verticale. L’equazione dei momenti delle forze
rispetto all’asse y, posto Gg=dv, fornisce:

GGV ∆F=P dv

e, quindi, l’espressione dello spostamento verticale del baricentro è:

P dv
GG V = z GV = (17)
∆I + P

g
W L

y GV
G

FIG. 7

Essendo:
dv =Gg = Kg - KG e GGV=KGV-KG

101
la (17) può anche scriversi:
P (Kg − KG)
KG V − KG =
∆I + P
e, quindi:
P(Kg − KG)
KG V = + KG (18)
∆I + P

B - spostamento trasversale del baricentro per imbarco o sbarco di un peso.

Si supponga (figura 8) che il baricentro iniziale G non si trovi sul piano


diametrale (ciò non è strettamente necessario) e che il peso P, avente baricentro g,
venga imbarcato sull’asse trasversale y (che, per come è stata assunta la terna, è
passante per G). Il baricentro finale GT=GF si troverà sull’asse y. L’equazione dei
momenti delle forze rispetto all’asse passante per G e parallelo a Z, posto Gg=dt,
fornisce:
GGT ∆F=P dt

FIG. 8

GGT ∆F=P
G dt T g
y G

FIG: 8

e, quindi, l’espressione dello spostamento trasversale del baricentro è:

P dt
GG T = (16)
∆I + P
Essendo 36:
dt = Gg = Yg- YG e GGT=YGT-YG

la (16) può anche scriversi:

36
Le grandezze vanno prese con il proprio segno con riferimento alla terna fondamentale.
102
P (Yg − YG )
YGT - YG =
∆I + P
e, quindi:
P (Yg − YG )
y GT = + YG (17)
∆I + P

C - spostamento longitudinale del baricentro per imbarco o sbarco di un peso.

Si supponga (figura 9) che il peso P, avente baricentro g, venga imbarcato


sull’asse longitudinale x (che, per come è stata assunta la terna, è passante per G). Il
baricentro finale GL=GF si troverà sull’asse x. L’equazione dei momenti delle forze
rispetto all’asse passante per G e parallelo a z, posto Gg=dl, fornisce:

GGL ∆F=P dl
z

G g
GL

FIG. 9

e, quindi, l’espressione dello spostamento trasversale del baricentro è:

P dl
GG L = (18)
∆I + P
Essendo:
dl = Gg = Xg- XG e GGL=XGT-XG

la (18) può anche scriversi:

P (X g − X G )
X GT - X G =
∆I + P
e, quindi:
P (X g − X G )
X GT = + XG (19)
∆I + P

L’effetto sul baricentro G di una nave avente dislocamento ∆ dell’imbarco o


dello sbarco di un peso P è quello riportato in tabella.
103
spostamento di G se si imbarca P se si sbarca P cosa accade
verticale sopra G - G si alza
verticale sotto G - G si abbassa
verticale - sopra G G si abbassa
verticale - sotto G G si alza
trasversale a destra di G - G si sposta verso destra
trasversale a sinistra di G - G si sposta verso sinistra
trasversale - a destra di G G si sposta verso sinistra
trasversale - a sinistra di G G si sposta verso destra
longitudinale a proravia di G - G si sposta verso prua
longitudinale a poppavia di G - G si sposta verso poppa
longitudinale - a proravia di G G si sposta verso poppa
longitudinale - a poppavia di G G si sposta verso prua

Se il peso imbarcato (sbarcato) è molto piccolo rispetto al dislocamento della


nave [per cui si può ritenere (∆I+P)≈∆I, le relazioni (14), (16) e (18) possono
scriversi come segue:

dP dv dP dv
GG V = z GV = ≈ (14)
∆ I + dP ∆I

d P dt d P dt
GG T = ≈ (16)
∆ I + dP ∆I

P dl P dl
GG L = ≈ (18)
∆I + P ∆I

6 - Spostamento di un peso a bordo; traslazione del baricentro,


riferito alla terna fondamentale.

Lo spostamento di un peso P da un punto g1 ad un altro g2 può essere


scomposto in tre spostamenti - longitudinale, trasversale e verticale - secondo la
direzione degli assi della terna fondamentale della nave KXYZ. Le coordinate del
baricentro G della nave di dislocamento ∆ sono indicate con XG, YG e ZG=KG,
quelle del punto di applicazione iniziale del peso P con Xg1, Yg1 e Zg1, mentre quelle
del punto di applicazione finale dello stesso peso P sono indicate con Xg2, Yg2 e Zg2.
Ovviamente il dislocamento della nave non varia a seguito dello spostamento del
peso P in quanto esso fa parte di ∆. In forza del teorema dei momenti, il baricentro G
104
della nave si sposterà parallelamente alla linea che unisce i due punti g1 e g2 e nello
stesso verso.

A – traslazione del baricentro nave per spostamento verticale del peso P.


Sia g1 la posizione iniziale del peso P presente a bordo della nave di
dislocamento ∆ e baricentro G. Il peso P viene traslato verticalmente, di una
lunghezza dv, per essere ubicato in g2. Il baricentro della nave si sposterà lungo una
retta parallela al segmento g1-g2 e nello stesso verso di dv. L’equazione dei momenti
porge:
P dv
GG V =

Il segmento di traslazione verticale di P vale:

dv = Kg2-Kg1
per cui
• se Kg2>Kg1 dv è positiva (spostamento secondo il verso di Z)
• se Kg2<Kg1 dv è negativa (spostamento contrario al verso di Z)

Ovviamente è
KGV = KG + GGV

Al medesimo risultato si perviene considerando lo sbarco del peso P dal


punto g1 e l’imbarco dello stesso peso P nel punto g2.

B - traslazione trasversale del baricentro nave per spostamento verso una


murata del peso P.
Sia g1 la posizione iniziale del peso P presente a bordo della nave di
dislocamento ∆ e baricentro G. Il peso P viene traslato normalmente al piano
diametrale della nave, di una lunghezza dt, per essere ubicato in g2. Il baricentro
della nave si sposterà lungo una retta parallela al segmento g1-g2 e nello stesso verso
di dt. L’equazione dei momenti porge:

P dt
GG T =

Il segmento di traslazione trasversale del peso P

dt = Yg2-Yg1

va valutato tenendo in conto i segni delle distanze finale ed iniziale del baricentro g
dello stesso peso P rispetto al piano diametrale.
se è dt positivo (spostamento secondo Y) il baricentro GT si troverà spostato verso
la murata sinistra,

105
se è dt negativo (spostamento contrario a Y) il baricentro GT si troverà spostato
verso la murata destra.

Ovviamente è
YGT = YG + GGT

Al medesimo risultato si perviene considerando lo sbarco del peso P dal


punto g1 e l’imbarco dello stesso peso P nel punto g2.

C – spostamento del baricentro nave per traslazione longitudinale di un peso


P.
Sia g1 la posizione iniziale del peso P presente a bordo della nave di
dislocamento ∆ e baricentro G. Il peso P viene traslato normalmente al piano della
sezione maestra della nave, di una lunghezza dl, per essere ubicato in g2. Il
baricentro della nave si sposterà lungo una retta parallela al segmento g1-g2 e nello
stesso verso di dl. L’equazione dei momenti porge:
P dl
GG L =

Il segmento di traslazione trasversale del peso P

dl = Xg2-Xg1

va valutato tenendo in conto i segni delle distanze finale ed iniziale del baricentro g
dello stesso peso P rispetto al piano della sezione maestra.
se è dl positivo (spostamento secondo X) il baricentro GT si troverà spostato verso
prua,
se è dl negativo (spostamento contrario a X) il baricentro GT si troverà spostato
verso poppa.
ovviamente è
XGL = XG + GGL

Al medesimo risultato si perviene considerando lo sbarco del peso P dal


punto g1 e l’imbarco dello stesso peso P nel punto g2.

7 - Carichi sospesi

Nella trattazione svolta per l’imbarco (sbarco) di un peso P ed in quella per lo


spostamento di un peso P, si è esaminata la situazione iniziale e finale, senza entrare
nel merito di come sia avvenuta l’operazione. Per l’imbarco (sbarco) di carichi a
106
bordo si fa molto spesso uso (in particolare per alcune tipologie di navi) di mezzi per
la movimentazione del carico in dotazione alla nave, quali picchi, gru o carroponte.

Finché un peso P grava, ad esempio sul fondo di una stiva, il baricentro del
corpo si trova in un punto g; ma appena il corpo, collegato al gancio di un mezzo di
movimentazione, non tocca più il fondo della stiva, a tutti gli effetti è come se il
baricentro della massa sospesa si trovasse nel punto di sospendita (asse della
puleggia sulla quale agisce il cavo) cioè in g1 (figura 10). Durante gli spostamenti
del mezzo di movimentazione, qualunque sia la posizione del peso P, è come se il
baricentro della massa sospesa rimanesse costantemente coincidente con il punto di
sospendita. Raggiunta la posizione sbracciata voluta ed iniziata la discesa del peso P
verso la banchina, il baricentro della massa sospesa P deve considerarsi applicato nel
punto di sospendita (g2) fino a che il corpo P non risulterà gravante sulla banchina.
Raggiunta tale posizione il baricentro del corpo sarà nel punto g3. Ne consegue che
lo sbarco del peso P, di baricentro g, avrà come risultato finale quello di spostare il
baricentro della nave da G a G3, con G3 appartenente alla retta passante per g e G e
spostato a destra di G, se il peso P sbarcato era alla sinistra di G.

FIG. 10

Durante le diverse fasi che portano a questo risultato finale, si verifica però
quanto segue:
• permanenza del baricentro della nave in G fintanto che il peso P grava su
una struttura della nave;
• spostamento verticale istantaneo del baricentro nave da G a G1, nel
momento in cui il peso P risulta sospeso ed il punto di sospendita è g1;
• permanenza del baricentro della nave in G1 fintanto che il peso P risulta
sospeso;
107
• spostamento del baricentro della nave da G1 a G2 secondo una linea che è
parallela al percorso g1g2 effettuato dal punto di sospendita;
• permanenza del baricentro della nave in G2 per tutto il tempo che il peso P
risulta sospeso (punto di sospendita g2);
• spostamento istantaneo del baricentro della nave da G2 a G3, posizione
finale corrispondente allo sbarco del peso P, nel momento in cui il peso P
grava sulla banchina e, quindi, non interessa più la nave. Il punto G3 si
deve trovare sulla congiungente i punti g2 e G2, dalla parte rispetto a G2
opposta a quella in cui si trova g2 (essendo una sbarco).

E’ evidente che quanto ora detto per lo sbarco di un peso, può essere ripetuto,
con le opportune differenze, per lo spostamento di un peso da una zona della nave ad
un’altra o per l’imbarco di un peso utilizzando un picco, una gru o un carroponte.

8 – Cenni sui carichi mobili

Quanto fino ad ora detto è relativo ai carichi fissi. A bordo delle navi sono
presenti carichi non fissi, come:
◊ persone; fintanto che le persone presenti a bordo sono quelle che
costituiscono l’equipaggio (o, comunque, il numero delle persone a
qualunque titolo presenti è esiguo), gli spostamenti del baricentro della
nave sono molto limitati stante l’esiguo peso in relazione al dislocamento
della nave; nel caso di navi per passeggeri, lo spostamento di una folla di
individui sui ponti più alti e verso un solo lato della nave (ad esempio, per
ammirare la costa) può produrre un notevole spostamento del baricentro
della nave;
◊ carichi scorrevoli; talune navi sono adibite al trasporto di carichi scorrevoli
(granaglie, semi, carbone, minerali, ecc.); se tali carichi non riempiono
completamente le stive e non sono bene assestati, ma hanno una superficie
libera, durante i moti della nave i carichi possono scorrere verso un lato
della nave producendo uno spostamento del baricentro che, causando una
inclinazione alla nave, favorisce un ulteriore scorrimento del carico verso
lo stesso lato e, quindi, un ulteriore spostamento del baricentro della nave;
◊ carichi rotolanti; talune navi sono adibite al trasporto di carichi rotolanti
(tronchi di albero, prodotti cilindrici di siderurgia, bobine di carta o di
prodotti della siderurgia, ecc.); se tali carichi non vengono ben fissati alle
strutture della nave e/o legati tra loro e/o zeppati, durante i moti della nave
i carichi possono rotolare verso un lato della nave producendo uno
spostamento del baricentro;
◊ carichi spostabili; talune navi sono adibite al trasporto di carichi spostabili
(veicoli gommati, prodotti siderurgici in lastre o barre, ecc.); se tali carichi
108
non vengono rizzati e/o zeppati e/o legati tra loro e/o ben fissati alle
strutture della nave, durante i moti della nave tali carichi possono spostarsi
verso un lato della nave producendo uno spostamento del baricentro;
◊ carichi liquidi; tutte le navi hanno a bordo depositi per carichi liquidi da
consumare (combustibile, olio lubrificante, acqua potabile, acqua di
lavanda); talune navi sono adibite al trasporto di carichi liquidi (navi
trasporto petrolio, vino, acqua, prodotti chimici l, ecc.); se i depositi e le
cisterne contenenti liquidi non sono riempite completamente, la superficie
libera del liquido si mantiene orizzontale (figura 11), mentre la nave muta
posizione a causa dei moti di rollio e beccheggio o a causa di inclinazioni
aventi altra origine (spostamento di carichi solidi, azione del vento e/o del
mare, ecc.). Per mantenere orizzontale la superficie libera, avverrà uno
spostamento di una parte del liquido che produce uno spostamento del
baricentro della nave.

FIG. 11

109
CAPITOLO VI

RAPPRESENTAZIONE DELLA FORMA DELLA CARENA;


IL PIANO DI COSTRUZIONE

1 - Rappresentazione della forma della carena; il piano di costruzione

E’ evidente che il comportamento e le prestazioni di una nave dipendono


soprattutto da quella parte della nave che è immersa, la carena. La geometria della
carena di una qualsiasi nave è, quindi, particolarmente importante. Oltre alle
dimensioni principali della carena, ai coefficienti di forma e di finezza della carena
assume importanza massima la forma della carena.
Tranne casi rarissimi ed eccezionali la superficie esterna di una carena non è
definibile analiticamente. Tale superficie è di norma avviata cioè priva di
discontinuità 37.
La forma fuori ossature di una nave viene rappresentata da un particolare
disegno che è detto piano di costruzione. Tale disegno è fuori ossature in quanto al
momento della sua elaborazione (prima fase del progetto) non è stato ancora
eseguito il dimensionamento strutturale e quindi non sono noti gli spessori del
fasciame. Il piano di costruzione è, tra i moltissimi, il disegno fondamentale della
nave sia per la sua importanza intrinseca sia perché da esso si ricavano informazioni
indispensabili per elaborare altri disegni oltre che per eseguire tutta una serie di
calcoli.
La nave viene riferita ad una terna cartesiana avente:
♦ origine 0 coincidente con il punto K detto piede della perpendicolare al mezzo e
definito nel capitolo precedente;
♦ asse X parallelo al piano di galleggiamento di progetto e diretto verso prua (giace
sul piano di simmetria), coincide con la linea di base (B.L.) definita nel capitolo
precedente;

37
Le navi a sostentamento idrodinamico (plananti) hanno attacco tra fondo e murata a spigolo.
Pertanto quando navigano in condizione di non planata la carena presenta una discontinuità
costituita dalla linea dello spigolo. In condizione di navigazione in planata non esiste una parte
immersa (carena), ma la nave scivola sull’acqua ed il solo fondo, costituito da una superficie
avviata, è a contatto con l’acqua. Recentemente alcune navi di tipo convenzionale (cioè a
sostentamento idrostatico) hanno carena costituita da pannelli piani di lamiera e, quindi, la carena
presenta numerose discontinuità. Una tale carena presenta una maggiore resistenza al moto, ma un
minor costo di realizzazione in quanto è ridotto il lavoro di curvatura delle lamiere.

111
♦ asse Y parallelo al piano di galleggiamento di progetto e diretto verso il fianco
sinistro,
♦ asse Z normale al piano di galleggiamento di progetto e diretto verso l’alto (giace
sul piano di simmetria).

Il piano di costruzione rappresenta la nave (carena ed opera morta), senza le


sovrastrutture; è un disegno convenzionale costituito essenzialmente dalle
intersezioni della superficie fuori ossature ottenute con tre famiglie di piani tra loro
ortogonali.

La prima famiglia è costituita da piani equidistanti e paralleli al piano


coordinato YZ. L’equidistanza si ottiene dividendo la lunghezza tra le
perpendicolari in un numero s di parti (ad esempio 20) in modo che tra i piani della
famiglia uno coincida con il piano coordinato YZ). I piani vengono numerati con
numeri arabi assegnando lo 0 a quello su cui giace la perpendicolare addietro, in tal
modo il numero s/2 viene attribuito al piano sul quale giace la perpendicolare al
mezzo (piano coordinato YZ) ed il numero s al piano su cui giace la perpendicolare
avanti. Di solito vengono considerati alcuni piani supplementari intermedi tra i piani
0 ed 1, 1 e 2, a volte anche tra 2 e 3 (interessanti il corpo poppiero) e tra i piani s-3
e s-2, s-2 e s-1, s-1 e s (interessanti il corpo prodiero); tali piani vengono
rispettivamente indicati con 1/2, 1 ½, 2 ½ e [(s-3) ½], [(s-2) ½] e [(s-1) ½]. Di solito
[specie se la poppa è molto slanciata (oltre la perpendicolare addietro)] vengono
considerati alcuni altri piani supplementari distanziati dal piano 0 di una frazione
della equidistanza prima detta; tali piani vengono indicati, ad esempio con i numeri
-1/4, -1/2, -3/4 e -1 (il segno meno indica appunto che tali piani sono oltre il piano
0. Di solito [specie se la prua è molto slanciata (oltre la perpendicolare avanti)]
vengono considerati alcuni altri piani supplementari distanziati dal piano s di una
frazione della equidistanza prima detta; tali piani vengono indicati, ad esempio, con i
numeri s+1/4, s+1/2, s+3/4 e s+1.

La seconda famiglia è costituita da piani equidistanti e paralleli al piano


coordinato XY. L’equidistanza si ottiene dividendo l’immersione al mezzo in un
numero n di parti (ad esempio 10) in modo che tra i piani della famiglia uno (il
decimo) coincida con il piano del galleggiamento di progetto.
I piani vengono numerati con numeri arabi assegnando lo 0 a quello coincidente
con il piano coordinato XY e sul quale giace la linea di base, in tal modo il numero n
viene attribuito al piano coincidente con quello di galleggiamento di progetto.
[spesso il numero n viene sostituito con le iniziali D.W.L. (designed water line) o
W.L.]. Se la nave ha forme molto stellate (ad esempio peschereccio, nave militare,
ecc.) vengono considerati alcuni piani supplementari intermedi tra i piani 0 ed 1, 1 e
2, a volte anche tra 2 e 3; le tracce corrispondenti a tali piani vengono
rispettivamente indicate con 1/2, 1 ½, 2 ½. Quasi sempre vengono considerati altri

112
piani (equidistanti come i primi) che non interessano la carena bensì l’opera morta,
in tal caso questi vengono numerati con n+1, n+2, n+3, ecc.

La terza famiglia è costituita da piani equidistanti e paralleli al piano


coordinato XZ. L’equidistanza si ottiene dividendo la larghezza al galleggiamento
(larghezza massima al galleggiamento fuori ossatura) in un numero m di parti (ad
esempio 6) in modo che tra i piani della famiglia uno coincide con il piano
diametrale (piano XZ). Tali piani vengono indicati con numeri romani: il piano 0
(si omette il numero) è il piano diametrale della nave, il piano I è quello più vicino al
piano diametrale, il piano II è il successivo e così via.

Le tre famiglie di piani ora dette costituiscono un reticolo spaziale i cui nodi
sono i punti di intersezione di tre piani, ciascuno appartenente ad una delle tre
famiglie. Il reticolo del piano di costruzione non è altro che la rappresentazione
piana del reticolo spaziale prima detto.
Il foglio da disegno viene idealmente diviso in quattro quadranti dei quali tre
hanno come base il reticolo (vedi figura 1).

FIG. 1

Il reticolo del primo quadrante (quello in alto a sinistra) è costituito dalle


tracce, dette linee d’acqua, dei piani appartenenti alla 2a famiglia (piani paralleli al
piano coordinato XY) e dalle tracce, dette longitudinali (sezioni), dei piani
appartenenti alla 3a famiglia (piani paralleli al piano coordinato XZ); tale quadrante
viene detto quadrante trasversale.
Il reticolo del secondo quadrante (quello in alto a destra) è costituito dalle
tracce, dette linee d’acqua, dei piani appartenenti alla 2a famiglia (piani paralleli al
piano coordinato XY) e dalle tracce, dette sezioni (trasversali), dei piani
appartenenti alla 1a famiglia (piani paralleli al piano coordinato YZ); tale quadrante
viene detto quadrante longitudinale.
Il reticolo del terzo quadrante (quello in basso a destra) è costituito dalle
tracce, dette sezioni (trasversali), dei piani appartenenti alla 1a famiglia (piani
paralleli al piano coordinato YZ) e dalle tracce, dette longitudinali, dei piani
113
appartenenti alla 3a famiglia (piani paralleli al piano coordinato XZ); tale quadrante
viene detto quadrante orizzontale.

I tre reticoli piani (corrispondenti al reticolo spaziale) vengono posizionati in


modo che le tracce dei piani omologhi si trovino sulle stesse rette (ad esempio la
traccia della linea d’acqua 1 nel primo quadrante si trova sulla stessa retta sulla
quale è la traccia della linea d’acqua 1 nel secondo quadrante; la traccia della
sezione 5 nel secondo quadrante si trova sulla stessa retta sulla quale è la traccia
della sezione 5 sul terzo quadrante).

FIG. 2

Le tre famiglie di piani sezionano la superficie fuori ossature della nave e le


intersezioni ottenute vengono proiettate su tre piani paralleli ai piani coordinati XY,
XZ e YZ che sono appunto i tre quadranti prima detti. La figura 2 mostra tale
operazione limitatamente alle intersezioni ottenute con i piani coordinati XY, XZ e
YZ (che sono tre piani particolari ciascuno appartenente ad una delle dette famiglie
114
di piani) e limitatamente alla sola carena. La figura 3 mostra tale operazione per
tutte le intersezioni ottenute con i detti tre piani coordinati.

FIG. 3

Le sezioni ottenute con i piani paralleli al piano YZ (ordinate o sezioni


trasversali della nave) vengono, ovviamente, disegnate nel primo quadrante che,
pertanto, viene detto quadrante trasversale o delle ordinate.
Le sezioni ottenute con i piani paralleli al piano XZ (sezioni longitudinali
della nave) vengono, ovviamente, disegnate nel secondo quadrante che, pertanto,
viene detto quadrante longitudinale o delle longitudinali.
Le sezioni ottenute con i piani paralleli al piano XY (sezioni orizzontali della
nave) vengono, ovviamente, disegnate nel terzo quadrante che viene pertanto detto
quadrante orizzontale o delle linee d’acqua.
Nella figura 4 (il reticolo è quello della figura 1) sono riportate le sezioni
relative ad una imbarcazione a vela la cui carena ha dimensioni principali fuori
ossature pari a metri 10.000x3.260x0.448 38.
38
Trattandosi di una nave piccola (la scelta è dovuta per presentare un disegno leggibile, la scala del
disegno presentato è circa 1:70, se si fosse scelta una nave di 200 metri di lunghezza la scala
sarebbe stata circa 1:1500 rendendo il disegno illeggibile) e di particolari forme le sezioni sono 20,
le linee d’acqua limitate ad 8 delle quali solo 3 riguardanti la carena e le longitudinali 8 [il ridotto
numero di linee d’acqua (di solito interessano la carena un numero di linee d’acqua compreso tra 6 e
115
FIG. 4

Poiché la nave è simmetrica rispetto al piano diametrale (piano coordinato


XZ) le sezioni trasversali o ordinate vengono disegnate a metà nel primo quadrante,
con la convenzione (vedi figura 4) che le semi-sezioni poppiere vengono poste a
sinistra e le semi-sezioni prodiere a destra.
Le sezioni orizzontali o linee d’acqua vengono disegnate per metà nel terzo
quadrante, relativamente al corpo sinistro (asse positivo delle Y).
Le sezioni longitudinali, relative al solo lato sinistro, vengono disegnate nel
secondo quadrante.
La nave è rappresentata nel piano di costruzione con la prua a destra.

Il piano di costruzione viene completato inserendo, nel quarto quadrante


(quello in basso a sinistra) alcune informazioni relative alla nave (dimensioni
principali, ecc.), al cantiere (società, sede, ecc.) ed al disegno (data, scala, nome del
disegnatore, ecc.).

In tale fase, il piano di costruzione è costituito solo da informazioni scritte e


da proiezioni normali e precisamente:
∗ primo quadrante: tracce dei piani orizzontali, tracce dei piani
longitudinali, sezioni trasversali o ordinate;
∗ secondo quadrante: tracce dei piani orizzontali, tracce dei piani
trasversali, sezioni longitudinali;
∗ terzo quadrante: tracce dei piani longitudinali, tracce dei piani trasversali,
sezioni orizzontali;
∗ quarto quadrante: informazioni relative alla nave, al cantiere, al disegno,
ecc.

10) è compensato dall’elevato numero di sezioni longitudinali (di solito queste sono comprese tra 3
e 5)].

116
Il piano di costruzione è, però, un disegno convenzionale che, tra l’altro, non
contiene solo proiezioni normali, ma anche viste, come appresso viene chiarito.
Primo quadrante - Le semi-sezioni presenti in questo quadrante non
comprendono la traccia del ponte di coperta. Le sezioni si limitano al fondo ed al
fianco fino al punto di intersezione di questo con il ponte (orlo del ponte a murata).
Tali punti estremi delle varie sezioni vengono uniti con una curva che costituisce,
quindi, la vista dell’orlo del ponte a murata. Volendo, le sezioni possono essere
estese fino ad altro ponte (ad esempio ponte cassero) ed in tal caso si determina
un’altra curva che è la vista dell’orlo (di questo altro ponte) a murata. A volte viene
anche disegnata la vista dell’impavesata 39 e della falchetta 40

Secondo quadrante - Le sezioni presenti in questo quadrante non


comprendono la traccia del ponte di coperta. Le sezioni si limitano al fondo ed al
fianco fino al punto di intersezione di questo con il ponte (orlo del ponte a murata).
Tali punti estremi delle varie sezioni vengono uniti con una curva che costituisce,
quindi, la vista dell’orlo del ponte a murata. Volendo le sezioni possono essere
estese fino ad altro ponte (ad esempio ponte cassero) ed in tal caso si determina
un’altra curva che è la vista dell’orlo (di questo altro ponte) a murata. A volte viene
anche disegnata la vista dell’impavesata e della falchetta.

Terzo quadrante - viene disegnata anche la proiezione dell’orlo del ponte di


coperta a murata ed, eventualmente, la proiezione dell’orlo di altri ponti a murata, la
proiezione dell’impavesata e della falchetta.

Il piano di costruzione viene spesso integrato (specie se la nave ha sezioni a


forte stellatura, come pescherecci, imbarcazioni a vela, ecc) dalle intersezioni della
superficie della nave fuori ossature con uno o più piani diagonali la cui traccia sul
piano coordinato XZ è una retta parallela all’asse X.
Tali piani diagonali (di solito in numero non superiore a tre) possono avere
quota z, sul piano XZ, diversa e possono formare angoli diversi con il piano XZ. La
scelta della quota e dell’angolo, per ciascun piano, viene fatta in modo da interessare
la zona della superficie della carena a più forte curvatura o con variazione di
curvatura. Le sezioni che tali piani diagonali operano sulla superficie fuori ossature
della nave vengono riportate nel terzo quadrante dalla parte opposta a quella delle
linee d’acqua. Tali sezioni vengono dette forme.

39
L’impavesata è il parapetto che si eleva in corrispondenza dell’orlo del ponte a murata in
prolungamento delle murate, ha anche la funzione di riparare il ponte scoperto contro i colpi di
mare.
40
La falchetta è la parte più alta della murata (nelle imbarcazioni a remi è quella parte dove sono
infissi gli scalmi).

117
Nella figura 5 è rappresentato un piano di costruzione completo di una nave
militare (tale disegno, però, non rispetta la suddivisione in quadranti prima detta).
Non rispetta la disposizione in quadranti anche il piano di costruzione riportato nella
figura 6 e relativo ad una imbarcazioni a vela.

FIG. 5

FIG. 6

E’ evidente che se la superficie della nave ha ovunque forme avviate,


qualunque sezione ottenuta intersecando con un piano detta superficie sarà una
curva avviata; pertanto nei tre quadranti vi saranno solo curve avviate ed anche le
forme saranno curve avviate.

118
Se in un quadrante una sezione passa proprio per un nodo del reticolo, allora
negli altri due quadranti ciò dovrà egualmente verificarsi e tale punto della
superficie fuori ossature è nel piano di costruzione un punto detto punto triplo 41.
Un piano di costruzione si dice bilanciato quando i disegni dei tre quadranti
sono tra loro congruenti, cioè quando ciascun punto della superficie esterna fuori
ossature è egualmente posizionato rispetto al reticolo qualunque sia il quadrante che
si considera 42.
A seconda delle dimensioni della nave, la scala del piano di costruzione è
diversa. La tabella seguente riporta le scale consigliate:

LUNGHEZZA FUORI TUTTO SCALA DISEGNO


fino a 10 m 1:5 o 1:10
da 10 a 30 m 1:10 o 1:20
da 30 a 60 m 1:20
da 60 a 150 m 1:20 o 1:50
da 150 a 250 m 1:50 o 1:100
oltre 250 m 1:100 o 1:200

Un piano di costruzione che non riporti la scala o le dimensioni principali della nave
rappresentata, può essere considerato come il disegno (convenzionale) della
superficie fuori ossature di infinite navi. Infatti basta fissare un valore per la scala o
il valore di una sola dimensione (ad esempio la lunghezza tra le perpendicolari) per
rendere quel piano di costruzione relativo ad una sola nave. Anzi, e più giustamente,
un piano di costruzione che non riporti la scala o le dimensioni principali della nave
rappresentata deve essere considerato come il disegno (convenzionale) della

41
Ad esempio, se nel primo quadrante la sezione (ordinata) n° 5 passa per l’incrocio delle tracce del
piano orizzontale (linea d’acqua) n° 3 e del piano longitudinale II, allora nel secondo quadrante la
sezione longitudinale II dovrà passare per l’incrocio delle tracce del piano orizzontale (linea
d’acqua) n° 3 e del piano trasversale (ordinata) n° 5, mentre nel terzo quadrante la linea d’acqua n°
5 dovrà passare per l’incrocio del piano longitudinale II e del piano trasversale (ordinata) n° 5.
42
E’ evidente quindi che il reticolo deve essere tracciato con la massima precisione, pena la
rappresentazione non fedele e non precisa della superficie fuori ossature; se il reticolo non è preciso
non vi sarà, per ogni punto di essa, la corrispondenza tra i tre quadranti ed impossibile sarà
l’operazione di bilanciamento.

119
superficie fuori ossature di una tripla infinità di navi 43. Infatti basta fissare una terna
di valori di scala o una terna di valori per le tre dimensioni principali (lunghezza tra
le perpendicolari, larghezza massima al galleggiamento di progetto fuori ossature ed
immersione di progetto) perché quel piano di costruzione diventi relativo ad una sola
nave.
Se i rapporti di scala: λ=L1/L2, µ=B1/B2 e τ=T1/T2 44 assumono valori tali che
λ=µ=τ, le infinite navi rappresentate da quell’unico piano di costruzione sono tra
loro in similitudine; se, invece, non c’è eguaglianza tra tutti o due rapporti di scala,
allora le infinite navi rappresentate da quell’unico piano di costruzione sono tra loro
in affinità.
Disegnato il piano di costruzione secondo le norme e le convenzioni dette, se
ne può trarre un altro più semplice - costituito dal solo trasversale (primo quadrante)
completo e dal longitudinale (secondo quadrante) e dalle linee d’acqua (terzo
quadrante) limitatamente alle sole zone di poppa e di prua - che, riprodotto in copie,
è destinato all’archivio dell’ufficio tecnico della società armatrice, alla raccolta di
documenti tecnici presente a bordo della nave, ecc.

Di solito dal trasversale del piano di costruzione viene ricavato un tabulato


nel quale vengono riportati i valori delle semilarghezze (relative alla nave al vero)
delle singole ordinate per le diverse linee d’acqua. In tal modo a rappresentare la
superficie fuori ossature della nave al vero è una matrice nella quale ogni colonna
rappresenta un’ordinata ed ogni riga rappresenta una linee d’acqua, o viceversa. Tale
matrice rappresenta una doppia infinità di navi. Per rappresentare una sola nave
occorre indicare il valore della lunghezza tra le perpendicolari (o l’intervallo tra le
sezioni trasversali) e quello dell’immersione di progetto (o l’intervallo tra le linee
d’acqua). A volte la matrice, in luogo dei valori delle singole semilarghezze,
contiene i valori dei rapporti di queste alla larghezza massima al galleggiamento di
progetto. In tal caso e se il valore di detta larghezza non è indicato, la matrice
rappresenta una tripla infinità di navi.

Il piano di costruzione è fondamentale per eseguire numerosi calcoli (in


particolare quelli detti idrostatici), ma non è utilizzabile direttamente per la
costruzione di una nave, stante la scala del disegno 45.
Prima dell’avvento e della diffusione dei calcolatori elettronici, veniva
elaborato - partendo dal piano di costruzione - un altro disegno 46 che veniva
43
Infatti nulla vieta di disegnare un piano di costruzione usando tre scale diverse, una per le
lunghezze, l’altra per le larghezze e l’altra ancora per le altezze.
44
Il pedice 1 caratterizza la nave ridotta nel disegno, il pedice 2 la nave in vera grandezza.
45
Ad esempio, se la scala è 1:50, un errore di lettura di 0.5 mm comporta un errore reale di 25 mm.
46
Questo disegno non era altro che un nuovo piano di costruzione, in scala reale (1:1) nel quale i tre
quadranti erano, per ragioni di spazio, sovrapposti.

120
eseguito nella sala a tracciare. Oggi la sala a tracciare è presente solo in pochissimi
cantieri che costruiscono imbarcazioni di lunghezza molto ridotta.
Il rilevato numerico dal piano di costruzione (la matrice prima detta) viene
fornito al centro di calcolo che ne fa una elaborazione che, di solito, si traduce nel
trovare espressioni matematiche per una estesa parte della superficie della nave ed
espressioni semi-analitiche per le altre zone. In altri termini con tali mezzi e
procedimenti si riesce ad avere una matrice grande a piacere (il che vuol dire un
reticolo spaziale molto più fitto) che meglio approssima la superficie della nave.
Grandi plotter sono in grado di disegnare parti del piano di costruzione in
scale opportune (ad es. 1:10). I dati elaborati (la nuova matrice) possono costituire
dati di ingresso per altri calcolatori per eseguire, ad esempio, lo sviluppo delle
lamiere costituenti il fasciame, lo sviluppo delle strutture, ecc. e per comandare
particolari macchine che eseguono il taglio delle lamiere o dei profilati, la
sagomatura (curvatura) degli stessi, ecc. Tutto ciò comporta grandi spese di
investimento per il cantiere, ma consente una notevole precisione operativa e
abbattimento drastico dei tempi di progettazione e costruzione di una nave.
E’ evidente che, in tal caso, l’archivio tecnico del cantiere conserverà tali dati
anche su idonei supporti (dischetti, nastri) da riutilizzare per la costruzione di navi
gemelle o, con opportuni interventi, similari.
Da tutto quanto fino ad ora esposto nel presente capitolo risulta chiaro che,
ove mai si abbia una nave e non il relativo piano di costruzione, si potrebbe
realizzarlo 47.
Il piano di costruzione è il disegno fondamentale per lo sviluppo del progetto
e per la successiva realizzazione di una nave, per cui occorre che sia disponibile già
nella prima fase del progetto e non certo quando la nave è realizzata o, addirittura, in
esercizio.
Non è lecito, in assoluto, escludere che qualcuno riesca mentalmente ad
elaborare una forma di carena ed ad intersecarla con un reticolo e, poi, a disegnare il
piano di costruzione relativo. Una tale capacità è veramente eccezionale e,
comunque, inutile in quanto concreta è la possibilità che tale nave non garantisca
prestazioni e comportamenti accettabili.
Nel progettare una nave, non si disegna mai ex novo il piano di costruzione,
ma se ne ha sempre uno o più di uno di riferimento. Il riferimento è una nave già
realizzata o una serie sistematica di carene.
Una delle prime operazioni da eseguire in un nuovo progetto è, quindi, la
“scelta” della carena.

47
Ciò in teoria o in casi molto rari, in realtà tale operazione sarebbe molto costosa e laboriosa,
richiederebbe la messa a secco della nave per un tempo molto lungo e darebbe un risultato non
preciso.

121
2 – Derivazione di una carena da un’altra o da una serie sistematica.

Se la nave da progettare ha caratteristiche (essenzialmente connesse al tipo di


servizio, portata e velocità) uguali o simili a quelle di una nave già realizzata la
quale ha fatto registrare buone prestazioni, allora il piano di costruzione di questa
nave può essere preso a riferimento per realizzare quello della nuova nave. In altre
parole, se la nave in progetto ha dimensioni principali (in particolare quelle di
carena) non molto diverse rispetto a quelle di una nave già realizzata, se i rapporti
caratteristici (LWL/BX, BX/T) ed i coefficienti di forma e di carena (in particolare la
M cerchiata, CB, CM e CW) sono quasi uguali per le due navi tanto che si possono,
per la nuova nave, assumere i valori relativi a quella di riferimento, allora si può
sfruttare il piano di costruzione della nave già realizzata per disegnare quello della
nave in progetto.
Indicando con il pedice 0 le grandezze relative alla nave di riferimento e con
il pedice 1 quelle relative alla nave in progetto, si definiscono i seguenti rapporti:
LWL1
λ= rapporto di affinità longitudinale,
LWL 0
B
µ = X1 rapporto di affinità trasversale,
BX0
T
τ= 1 rapporto di affinità verticale.
T0

Se λ =µ=τ le due carene sono in affinità semplice e si dicono simili ed il


rapporto di similitudine è indicato, di solito, con λ. In tal caso il piano di costruzione
della nave di riferimento (nave 0) può diventare della nave in progetto (nave 1)
correggendo solo il valore della scala, l’indicazione delle dimensioni principali, ecc.,
ma senza apportare alcuna modifica agli altri tre quadranti del disegno. In pratica,
però, il piano di costruzione della nave in progetto viene ridisegnato per averlo in
una scala opportuna, come più avanti sarà chiarito.

Se, come detto, le due carene hanno λ=µ=τ avranno gli stessi valori per i
coefficienti di forma e di finezza. Infatti, continuando ad usare il pedice 0 per la
carena di riferimento e il pedice 1 per quella in progetto 48, si ha:

A M1 µ τ A M 0 λ2 A M 0 A
C M1 = = = = M 0 = CM 0
B1 T1 µ B0 τ T0 λ B0 λ T0 B0 T0
A W1 λ µ A W0 λ2 A W 0 A W0
C W1 = = = = = C W0
L 1 B1 λ L 0 µ B 0 λ L 0 λ B 0 L 0 B 0

48
Per brevità si scrive L in luogo di LWL e B in luogo di BX.

122
∇1 λ µ τ ∇0 λ3 ∇ 0 ∇0
C B1 = = = 3 = = C B0
L 1 B1 T1 λ L 0 µ B 0 τ T0 λ L 0 B 0 T0 L 0 B 0 T0
∇1 λ µ τ ∇0 λ3∇ 0 ∇0
C P1 = = 2 = 3 = = CP 0
A M1 L1 λ A M 0 λ L0 λ A M 0 L 0 A M 0 L0
L1 λ L0 L0
M1 = = = = M0
3 ∇1 3
λ ∇0
3 3 ∇0
ed analogamente per gli altri coefficienti.

Se λ =µ≠ τ o λ≠µ=τ le due carene sono in affinità doppia mentre se λ≠µ≠ τ


le due carene sono in affinità tripla. In entrambi tali casi le due carene hanno gli
stessi valori per i coefficienti di finezza e valori diversi per i coefficienti di forma.
Infatti, ad esempio, se λ=µ≠τ:

A M1 µ τ A M0 A M0
C M1 = = = = C M0
B1 T1 µ B 0 τ T0 B 0 T0

∇1 λ µ τ ∇0 λ2 τ ∇ 0 ∇0
C B1 = = = 2 = = C B0
L 1 B1 T1 λ L 0 µ B 0 τ T0 λ τ L 0 B 0 T0 L 0 B 0 T0

ecc. ecc.

L1 λ L0 λ L0 L0
M1 = = = ≠ = M0
3 ∇1 3 λ µ τ ∇0 3
λ2 τ ∇ 0 3 ∇0

B1 µ B0 µ B0 B0
B1 = = = ≠ = B0
3 ∇1 3 λ µ τ ∇0 3
λ τ ∇0
2 3 ∇0

ecc. ecc.

Per disegnare il piano di costruzione di una nuova nave, partendo da quello di


una nave già realizzata, basta “alterare” in modo opportuno il reticolo del piano di
costruzione ed operare di conseguenza.

Il procedimento da seguire è il seguente:


♦ si disegna il rettangolo del “trasversale” (avente lati B1 e T1) e lo si estende
in altezza per considerare anche l’opera morta;
♦ si tracciano nel rettangolo del “trasversale” tante linee orizzontali (linee
d’acqua) equidistanti quante sono quelle presenti nel “trasversale” del
piano di costruzione di riferimento (rettangolo avente lati B0 e T0 più parte
relativa all’opera morta); si tracciano le eventuali linee d’acqua ausiliarie;
123
♦ si tracciano nel rettangolo del “trasversale” tante linee verticali (sezioni
longitudinali) equidistanti quante sono quelle presenti nel “trasversale” del
piano di costruzione di riferimento;
♦ si legge la semilarghezza generica y0 (relativa alla generica sezione
trasversale ed ad una generica linea d’acqua) del piano di costruzione di
riferimento, la si moltiplica per µ=B1/B0 (risulterà quindi y1=µ y0) e la si
riporta sul trasversale in elaborazione sulla omologa linea d’acqua (vedi
figura 7);

FIG. 7

♦ si legge l’altezza generica z0 (relativa alla generica sezione trasversale ed


ad una generica sezione longitudinale) del piano di costruzione di
riferimento, la si moltiplica per τ=T1/T0 (risulterà quindi z1=τ z0) e la si
riporta sul trasversale in elaborazione sulla omologa traccia della sezione
longitudinale.

Ripetendo il procedimento per tutti i punti intersezione delle sezioni


trasversali (di poppa e di prua) con le tracce delle linee d’acqua e delle sezioni
longitudinali si ottengono nel quadrante in elaborazione (quello delle sezioni
trasversali) le serie di punti per i quali è possibile tracciare le diverse semi-sezioni. Il
tracciamento di tali linee viene fatto con curvilinei e/o con listelli di legno flessibili
(di solito realizzati in ciliegio) allo scopo lavorati; i listelli vengono “invitati” a
passare per i relativi punti usando pesi (detti piombi, perché realizzati in tale
materiale) 49 dotati di unghia per concentrare il relativo peso in un punto (vedi figura
8). Se il listello richiede una “forzatura” per passare per i punti dovuti vuole dire o
che quel tipo di listello non è adatto 50 o che uno o più punti sono errati 51.

49
I “piombi” hanno forma come in figura 8 e peso compreso tra 1.5 e 2.0 kg.
50
I listelli si differenziano tra loro non solo per la lunghezza, ma anche per lo spessore; che è o
decrescente dal centro verso le estremità (listelli lunghi, adatti per disegnare linee d’acqua) o
decrescente dalle estremità verso il centro (listelli corti, adatti per le ordinate) o costante (di solito
per sezioni longitudinali.

124
Si noti che i punti (come K0 e H0 in figura 7) che si trovano su nodi delle
maglie del reticolo di riferimento devono dar luogo a punti che sono sui nodi delle
maglie omologhe del reticolo del piano di costruzione in elaborazione (punti K1 ed
H1); tali punti sono quelli che definimmo “punti tripli”.

FIG. 8

Disegnato il trasversale si può passare all’orizzontale del piano di


costruzione procedendo in modo analogo e cioè:
♦ si disegna il rettangolo dello “orizzontale” (avente lati L1 e B1/2) e lo si
estende eventualmente alle estremità per considerare gli slanci di prua e di
poppa;
♦ si tracciano nel rettangolo dello “orizzontale” tante linee orizzontali (tracce
delle sezioni longitudinali) equidistanti quante sono quelle presenti nello
“orizzontale” del piano di costruzione di riferimento (rettangolo avente lati
L0 e B0/2 più parte relativa agli slanci di prora e di poppa);

51
La forzatura spesso produce il liberarsi del listello dai piombi ed il conseguente stendersi
repentino del listello, in quanto la pressione esercitata dai piombi è insufficiente rispetto alla
anomala curvatura imposta al listello per passare per punti non tutti congruenti.

125
FIG. 9

♦ si tracciano nel rettangolo dello “orizzontale” tante linee verticali (tracce


delle sezioni trasversali) equidistanti quante sono quelle presenti nello
“orizzontale” del piano di costruzione di riferimento;
♦ si legge la semilarghezza generica y0 (relativa alla generica sezione
trasversale ed ad una generica linea d’acqua) del piano di costruzione di
riferimento, la si moltiplica per µ=B1/B0 (risulterà quindi y1=µ y0) e la si
riporta sullo orizzontale in elaborazione sulla omologa traccia della sezione
trasversale (vedi figura 9);
♦ si legge l’ascissa generica x0 (relativa alla generica sezione longi-tudinale
ed ad una generica linea d’acqua) del piano di costruzione di riferimento,
la si moltiplica per λ=L1/L0 (risulterà quindi x1=λ x0) e la si riporta sullo
orizzontale in elaborazione sulla omologa traccia della sezione
longitudinale.

Ripetendo il procedimento per tutti i punti intersezione delle sezioni


orizzontali con le tracce delle sezioni trasversali e delle sezioni longitudinali si
ottengono nel quadrante in elaborazione (quello delle sezioni orizzontali, dette linee
d’acqua) le serie di punti per i quali è possibile tracciare le diverse semi-sezioni
orizzontali. Il tracciamento di tali linee viene fatto utilizzando i flessibili ed i piombi
prima detti (vedi figura 8).
Si noti anche qui che i punti (come K0 e H0 in figura 9) che si trovano su nodi
delle maglie del reticolo di riferimento devono dar luogo a punti che sono sui nodi
delle maglie omologhe del reticolo del piano di costruzione in elaborazione (punti
K1 ed H1).