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Questo è un argomento che nei corsi di fisica credo venga trattato in

modo a dir poco superficiale, di fatto impossibile a essere capito.


Intendo capita la fisica sottostante.
Personalmente dovetti a suo tempo fare un discreto lavoro per
ricostruire da solo quello che a mio parere serviva, quindi nn mi sento
certo di riprendere chi ha trascurato l'argomento (che tanto è
impossibile trattare in classe).
Però capire come funziona un trasformatore dovrebbe far parte del
bagaglio culturale di un insegnante di fisica, visto che da una parte è
un'applicazine significativa delle leggi dell'e.m., e dall'altra si
tratta di uno strumento estremamente diffuso.
Ricordo che in qualche passata occasione mi venne in mente di suggerire
a qualche insegnante: "prova a far fare ai tuoi ragazzi la seguente
ricerca: quali e quanti trasf. hai in casa o a portata di mano?"

Finito il pistolotto, cominciamo.


Ci sono molti tipi di trasformatori, per diverse applicazioni. sebbene
abbiano in comune i principi base, sono parecchio differenti anche nelle
leggi pratiche che si usano per studiarli.
Qui mi occuperò solo di un tipo assai comune in molti oggetti domestici,
nonché nelle centrali elettriche e nelle reti di distribuzione
dell'energia elettrica. Intendo quelli che vengono detti "trasf. di
alimentazione" o "di potenza", che possono spaziare su almeno 5 ordini
di grandezza quanto alla potenza trasferita: da pochi W a centinaia di
kW almeno.

La caratteristica costruttiva comune di tutti questi trasf. è di avere


un *nucleo* ferromagnetico su cui sono montati i due avvolgimenti
"primario" e "secondario" (a volte i secondari sono più d'uno, ma per i
nostri scopi questa è solo una complicazione).
Potrà essere utile far riferimento a una figura schematica che trovate in
http://www.sagredo.eu/temp/transformer1.png
E' il meglio che ho trovato in rete, anche se è di scarsa qualità. Ma
credo che sarà sufficiente.
(Curiosità: se uno entra in Google con "transformer" compare di tutto
tranne ciò che serve a un fisico. provate a guardare :-) Bisogna
scrivere "transformer electromagnetism". E' un buon esempio di che cosa
è diventato internet.)

Nella figura si vede il nucleo del tipo detto "a mantello" che consiste
di una barra centrale su cui si trovano gli avvolgimenti, con due
ritorni simmetrici. Ci sono dele linee punteggite che rppresentano linee
del campo (B e H praticamente coincidenti: questa è un'approssimazione
su cui dirò qualcosa di più tra poco). Ci sono anche delle frecce che
dovete intendere come definizione del verso positivo del campo.
S'intende che il trasf lavora in corrente alternata, quindi il verso del
campo cambia a ogni semiperiodo, ma serve una convenzione su quello che
chiamiamo positivo.

Abbiamo poi i due avvolgimenti, indicati con 1 e 2 per primario e


secondario. Son rapresentati assi schematicamente, con 4 e 5 spire
risp., mentre di solito i numeri di spire n1 e n2 sarnno assai superiori
(vedremo...), Non importa entrare in maggiori dettagli costruttivi.
Una figura più realistica, dovuta a M.Todorov, la trovate in
https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2216568

E' invece importante precisare le schematizzazioni e approssimazioni che


farò.
1. Trascurerò tutti gli effetti dissipativi. Non perché non siano
importanti: in un buon trasf. delle reti di distribuzione la potenza
dissipata e quindi non utilizzata può essere inferiore al 2% del totale.
Questo significa:
- trascurare le perdite ohmiche (effetto Joule) negli avvolgimenti,
dette "perdite nel rame"
- trascurare le perdite per isteresi e quelle per correnti di Foucault
nel nucleo ("perdite nel ferro").
Altre perdite minori non le nomino neppure.

2. Trascurerò il cosiddetto "flusso disperso". Questo significa assumere


che il flusso di B cncatenato è lo steso per ogni spira, del primario
come del secondario. A rigore non sarà vero, perché ci saranno linee del
campo generato dalla corrente in una spira che si chiude senza
attraversare un'altra spira.
L'alta permeabilità relativa del nucleo (tipicamente 4000) e la sua
forma geometrica, fanno sì che il flusso disperso sia piccolo, ma non so
dire a quanto può ammontare.
Lo trascuro soprattutto per semplificare le equazioni: non avrebbe
comunque effetto diretto sulla perdita di potenza.

3. Trascurerò effetti di non-linearità tra corrente e campo. In un mezzo


ferromagnetico la relazione tra H e B è lineare solo per campi deboli:
al crescere di H, B aumenta sempre meno, fiché si arriva alla
*saturazione*, condizione in cui la magnetizzazione M non cresce più e
quindi B cresce solo come mu0*H. Ricordo l'eq. generale:
B = mu0*H + M.
Nella pratica qui sorge un conflitto: è bene evitare la saturazione per
ragioni che rinuncio a spiegare, ma non conviene tenere i campi troppo
piccoli per questioni di potenza/dimensioni, quindi potenza/costo. Un
compromesso è necessario, ma questa è roba da ingagneri :-)
Solo per uso in qualche futuro esempio, dico che grosso modo per i
nuclei di ferro da trasf. un massimo accettabile per B è 1.5 T.

Debbo ancora definire i versi positivi per le correnti negli


avvolgimenti. Questo è semplice: dato che sono avvolti sulla barra
centrale, prendo le correnti positive quando sono antiorarie rispetto al
verso positivo del campo. Ne segue che una corrente positiva, sia nel
primario come nel secondario, genera un campo (e un flusso) positivo.
Come si vede dalla figura, correnti positive entrano dai terminali
superiori ed escono da quelli inferiori. Ma non è il superiore o
inferiore che conta: comta come le bobine sono avvolte!

Ora posso definire alcuni parametri. In generale il flusso di B,


costante in tutte le spire, come abbiamo detto, dipende dalle due
correnti I1, I2. Più precisamente indico con
- F11 (F sta per Phi) il flusso di B dovuto alla corrente I1 e
concatenato con l'intero primario;
- F12 il flusso dovuto al primario ma concatenato col secondario
- F21 il flusso di secondario su rimario
- F22 il flusso di secondario su secondario.
Tutti questi flussi sono proporz. alle rispettive correnti:
- F11 = L1 I1
- F12 = M I1
- F21 = M I2
- F22 = L2 I2.
L1, L2 sono le induttanze primaria e secondaria risp.; M è il coeff. di
mutua induzione, e non è banale che sia lo stesso nei due versi: di 1 su
2 come di 2 su 1. Si dimostra, ma debbo rinunciare.
E' invece importante osservare che L1 è prop. a n1^2, L2 a n2^2, M a
n1*n2, sempre con lo stesso fattore di proporzionalità.
Ne segue
M/L1 = L2/M = n2/n1.
Accenno solo alla dimostrazione: L1 va come n1^2 perché il flusso
generato da una spira ha un certo valore (prop. a I1) ma il flusso
totale è proporz. a n1. Questo però è il flusso concatenato con un'unica
spira. Siccome il primario ha n1 spire, si moltiplica ancora per n1, c.v.d.
Allo stesso modo si ragiona negli altri casi.
Ma quanto vale il fattore di proporzionalità?
Schematizzando: il campo H prodotto dalla corrente I1 in un spira vale
I1/l, dove l è la lunghezza media di una linea di campo.
Quindi B = mu*I1/l, e
F11 = (mu*S/l)*n1^2*I1
dove S è la sezione del nucleo.
Il fattore cercato è quindi mu*S/l, il cui inverso è detto "riluttanza"
del circuito magnetico, ma non ne faremo uso.
Ricordate che mu = mu0*mu_r, e che mu_r tipico è 4000.

E per stasera basta...

Spero che la precedente puntata non sia stata considerata inutile,


perché risaputa.
Come minimo a me serviva per mettere a punto alcune notazioni e convenzioni.
Ora si può entrare in argomento, e potrei farlo scrivendo subito la
seconda legge di Kirchhoff per le due maglie: primaria e secondaria.

Ma preferisco procedere per gradi.


In primo luogo occorre identificare le f.e.m. agenti.
Queste sono: per la maglia primaria
- la f.e.m. del generatore, che indicherò con Eg (userò in generale la
lettera E per le f.e.m.)
- le f.e.m. autoindotta E11
- la f.e.m. indotta dal secondario E21.
Nel secondario non c'è f.e.m. esterna, quindi abbiamo solo
- le f.e.m. autoindotta E22
- la f.e.m. indotta dal primario E12.

E11, E12, E21, E22 si esprimono a partire dalla correnti usando la legge
dell'induzione:
* E11 = -dF11/dt = -L1 dI1/dt
* E12 = -dF12/dt = -M dI1/dt
* E21 = -dF21/dt = -M dI2/dt
* E22 = -dF22/dt = -L2 dI2/dt.

Nel circuito secondario sarà poi presente un *carico* che assumerò si


riduca solo a una resistenza R.

Prima di procedere nei conti conviene passare alla rappresentazione


complessa. Non credo di doverla trattare da zero, ma qualche
precisazione è necessaria, come minimo per fissare le convenzioni.
La rappr. complessa consiste nel rimpiazzare una grandezza G che varia
nel tempo con legge sinusoidale con una "ampiezza complessa" Gc
moltiplicata per exp(iwt). Posto
Gc = |Gc| exp(ia), si ha
Re[Gc exp(iwt)] = |Gc| Re[expt(ia) expt(iwt)] = |Gc| cos(wt+a).
Quindi si possono fare i calcoli con Gc exp(iwt) (che risultano più
semplici) e alla fine prendere la parte reale.
Nota: dove ho scritto a si può leggere alfa (preferisco non usare le
lettere greche). Inoltre w sarebbe omega = 2pi*f.

Nota su fisici e ingegneri.


Ci sono due punti in cui l'argomento viene trattato in modo diverso
dalle due tribù:
- il modo di scrivere la dipendenza dal tempo
- il simbolo dell'unità immaginaria.
Quanto al primo, gli ingegneri scrivono exp(iwt) come ho fatto io,
mentre i fisici scrivono exp(-iwt).
Non c'è nessuna reale differenza tra le due convenzioni. Però occorre
essere coerenti e non pasticciare...
Il secondo punto è l'uso degli ingegneri di j al posto di i per l'unità
immaginaria. Qui ho deciso di non seguire questo uso, che è motivato
solo dalla necessità di avere libere sia I maiuscola sia i minuscola per
indicare varie correnti. Ma a noi la I maiuscola sarà sufficiente.

Nella rappr. complessa dGc/dt = iw Gc, e questo ne è il principale


vantaggio.

============
*Attenzione*: da qui in poi tutte le f.e.m., correnti, campi, flussi
sono da considerare complessi salvo diverso avviso.
============

Come ho già detto, prima di scrivere le eq. di Kirchhoff complete


preferisco esaminare due casi particolari (più esattamente due casi limite).

Primo caso limite: *secondario aperto*


--------------------------------------
Questo significa I2=0, ma per ragioni pratiche e didattiche trovo meglio
trattarlo assumendo R presente ma molto grande (rispetto a che cosa, lo
vedremo subito).
Una ragione pratica è che capita spesso di misuare la d.d.p. ai
terminali del secondario aperto. Ma questo in realtà significa chiudere
il circuito con una resistenza (quella interna del voltmetro) molto grande.

Scrivo quindi la seconda legge di K. per il secondario:


F12 + F22 = R I2
ossia
-M dI1/dt - L2 dI2/dt = R I2
o anche
-iw M I1 - iw L2 I2 = R I2. (1)
A questo punto posso chiarire che cosa intendo con "R molto grande".
Significa
R >> w L2 (2)
così da poter trascurare nela (1) il secondo termine a primo membro:
-iwM I1 = R I2
I2 = -(iwM/R) I1.

L'eq. di K. per il primario è

Eg - iw L1 I1 - iw M I2 = 0 (3)
Eg = iw L1 I1 + w^2 (M^2/R) I1

e ricordando M^2 = L1 L2:

Eg = w (i + w L2/R) L1 I1.

Nelle ipotesi fatte possiamo trascurare w L2/R rispetto a i e scrivere


Eg = iw L1 I1. (4)

Risultato: la corrente nel primario è sfasata di 90° in ritardo sulla


f.e.m. del generatore. Anzi, il trasf. a secondario aperto viene visto
dal generatore come un'induttanza L1.
Dalla (4) si vede che in questo caso limite la corrente I1 è
indipendente da R: sarà presente anche a secondario davvero aperto.

Notiamo ancora che

I2 = -(M/L1)(Eg/R) = -(n2/n1)(Eg/R) (5)

ossia la stessa corrente che si avrebbe se il generatore fosse chiuso su


una resistenza (n1/n2) R.
Può sembrare strano il segno meno, ma dipende dalle convenzioni fatte.
La (5) dice che quando Eg>0 riesce I2<0. Ciò significa che quando il
terminale superiore del primario è positivo rispetto a quello inferiore,
la corrente nel secondario *esce* dal terminale superiore, quindi scorre
in R dall'alto verso il basso.
Che è proprio ciò che succederebbe (intensità a parte) se il trasf. non
ci fosse e R fosse collegata direttamente al generatore.
Quindi tutto torna.

Secondo caso limite: trasformatore a *pieno carico*


---------------------------------------------------
Con questo intendo che vale la disuguaglianza opposta alla (2):
R << w L2. (6)
In tal caso nell'eq. di K. (1) per il secondario si può trascurare il
secondo membro:
M I1 + L2 I2 = 0 (7)
da cui
I2/I1 = -M/L2 = -n1/n2
(vale anche qui l'osservazione sul segno fatta sopra).

Quanto al primario, vale ancora la (3)

Eg - iw L1 I1 - iw M I2 = 0

e sostituendoci la (7) si avrebbe

Eg - iw [L1 - (M^2/L2)] I1 = 0

Ricordando l'identità M^2 = L1 L2 ricavata nella prima puntata si


ottiene un assurdo:

Eg = 0.

Ciò dimostra che questo caso limite va trattato con più attenzione.
Tanto vale allora risolvere le eq. di K. in generale.
Si tratta di semplice algebra sulle (1) e (3):

I1 = Eg/(iw L1) + (n2/n1)^2 (Eg/R) (8)


I2 = -(n2/n1)(Eg/R). (9)

Comentiamo le (8), (9).


La (9) dice che la corrente nel carico è quella che darebbe un
generatore di f.e.m. (n2/n1)Eg chiuso direttamente su R. In altre
parole, che il carico "vede" a valle del trasf. un generatore di f.e.m.
variata come il rapporto di trasformazione.
Più interessante la (8). Questa dice che la corrente primaria consiste
di due termini.
Il primo è lo stesso che a secondario aperto. La chiamerò "corrente di
magnetizzazione", in quanto è la corrente che è necessaria per produrre
il flusso nel ferro che a sua volta causa la f.e.m. indotta nel secondario.
Il secondo termine rappresenta una corrente pari a quella che si avrebbe
se Eg fosse chiusa su una resistenza
R' = (n1/n2)^2 R.
Questa è quindi la resistenza che il generatore "vede" a monte del
trasf.: R divisa per il quadrato del rapporto di trasformazione.
R' > R per un trasf. in discesa, R' < R per un trasf. in salita.
Si noti anche che le due correnti date dai due termini a secondo membro
nella (8) hanno fasi diverse: la corrente di magnetizzazione è sfasata
in ritardo di 90° rispetto a Eg; quindi la potenza media su un periodo
risulta nulla. A volte nel gergo ingegneristico si parla di "corrente
swattata".
Invece il secondo termine è in fase con Eg e dà luogo a un trasferimento
di potenza
P = (n2/n1)^2 |Eg|^2/R. (10)
Per essere precisi, la (10) è sbagliata per un fattore 2 in quanto |Eg|
è il *valore di picco* della f.e.m. La 810) diventa correntta usando il
valore efficace
Eg,eff = |Eg|/sqrt(2):

P = (n2/n1)^2 (Eg,eff)^2/R. (11)

A questo punto la seconda puntata è finita e potrebbe sembrare che non


ci sia altro da dire.
Invece non si può sfuggire a una domanda: in tutta la trattazione non è
apparso niente che spieghi perché un trasf. da 1kW è più grosso di uno
da 10 W.
Certo, è materia da ingegneri; ma le basi stanno pur sempre nella
fisica: dove?
Ne parleremo in una terza puntata, dove darò anche dei numeri, per
fornire un primissimo (insufficiente) approccio a quella che potrebbe
essere la progettazione di un trasf. di dati requisiti.
--

Come annunciato, in questa puntata cercherò di spiegare come si progetta


un trasformatore.
Compito più ingegneristico che fisico, ma proprio questo m'interessa:
voglio mostrare, con un esempio accessibile (e soprattutto di cui so
qualcosa) come interagiscono, in un problema squisitamente
ingegneristico, le questioni pratiche con quelle di base della fisica.
Lo faccio perché è cosa che mi ha sempre attratto, ma anche perché
trovo una carenza seria dell'insegnamento scientifico la difficoltà a
trasmettere ai ragazzi "a che serve" quello che s'insegna.
E non sto parlando, ovviamente, degli istituti tecnici, ma proprio delle
scuole di tipo liceale.

Per partire, ho scelto di basarmi su una scelta arbitraria: un tipo di


lamierino commerciale, di cui riporto ora le dimensioni.
(Uno non può scegliersi un lamierino fatto come pare a lui, perché si
tratta di prodotti industriali: si va nel catalogo di un venditore e si
sceglie ciò che meglio si avvicina alle proprie esigenze.)
Io cercavo lamierini adatti per trasf. di piccola potenza, come potrebbe
servire in una costruzione hobbystica o come si trova in numerosi
elettrodomestici. Sono andato un po' a fiuto, forte di un'esperienza
antica e modesta, ma non nulla.

Mi accorgo ora che non ho mai detto niente sulla questione "lamierini".
Di regola i trasf. hanno il nucleo "di ferro" costituito appunto di
sottili lamiere sagomate in modo opportuno. La struttura laminare ha uno
scopo preciso: ridurre fortemente le correnti indotte (correnti di
Foucault) che hanno effetti solo negativi, di dissipazione di energia.
Esiste un'altra soluzione, molto praticata nei trasf. di piccole
dimensioni per usi in apparecchi elettronici e per frequenze superiori a
quelle della rete elettrica: sto pensando ai nuclei di ferrite.
Non dico di più, se non che si trattta di materiali ceramici, che
uniscono una buona permeabilità magnetica a una scarsa conducibilità
elettrica, il che risolve il problema delle correnti parassite.
Le ferriti hanno però altri inconvenienti che le rendono non pratiche
per trasf. di alimentazione o peggio ancora per alte potenze. Pertanto
qui dominano i lamierini "di ferro", che sono in realtà di leghe
speciali, comunque ad alta permeabilità e bassa isteresi.
Fine della parentesi.

Il lamierino da me scelto, della forma a mantello come nelle figure,


misura 48x40 mm come lati esterni; ha una finestra per l'avvolgimento di
8x24 mm, una colonna (quella che in precedenza avevo chiamata "barra")
larga 16 mm, i ritorni laterali di 8 mmm.
Risulta una lunghezza media delle linee di campo
l = 100 mm
e un'area della finsetra avvolgimenti
A = 192 mm^2.

Trattandosi di una struttura a lamierini lo spessore complessivo è


libero (si possono accostare quanti lamierini si vuole: sono verniciati
in modo da isolarli elettricamente uno dall'altro). Qui procedo "a naso"
e scelgo uno spessore di 24 mm, che porta a una sezione della colonna
S = 384 mm^2
una lunghezza media delle spire
l' = 112 mm.

Per il generatore, che consiste della rete elettrica, abbiamo un valore


efficace di 230 V, quindi un valore di picco
|Eg| = 230 * sqrt(2) = 325 V.
Ricordo che avevo fissato
Bmax = 1.5 T.
Mi servirà poi la resistività del rame:
rho = 1.7x10^(-8) ohm m.

Per calcolare il n. di spire del primario si procede così:


Eg = iw F11 = iw n1 Bmax S
|Eg! = w n1 Bmax S
|Eg| = 2 pi f Bmax S = (100 pi) Hz * 1.5 T * n1 * 384 mm^2.
Risulta
n1 = 1800.

E' bene chiarire questo risultato.


Ho calcolato n1 in modo che col Bmax assunto si produca una f.e.m.
autoindotta pari a quella del generatore.
Che succederebbe se prendessimo n1 più piccolo, per es. 900 spire?
Dato che la f.e.m. del generatore è fissata, nel primario dovrebbe
scorrere comunque una corrente di magnetizzazione che produca un'uguale
f.e.m. autoindotta. Essendo ridotto a metà il n. di spire, per avere lo
stesso F11 occorrerà un flusso per spira doppio, quindi un B doppio di
quello massimo ammesso.
Conclusione: se riduciamo n1 andiamo a saturare il ferro, cosa
assolutamente da evitare.
Dunque n1 calcolato è un valore minimo ammissibile.

Potremmo scegliere un n1 maggiore? Per es. doppio?


Sì, e ci darebbe un B metà di quello accettabile.
Però un numero di spire poniamo doppio, essendo fissato lo spazio per
l'avvolgimento, obbligherà a dimezzare la sezione del filo, mentre la
lunghezza cresce come n1.
Avremmo quindi una resistenza dell'avvolgimento quadruplicata.
E' intuitivo che questo non può essere che dannoso (si veda più avanti
un calcolo) e quindi non conviene neppure aumentare n1.
Risultato: il valore trovato per n1 è vincolante, una volta scelte le
dimensioni del lamierino e le sue caratterstiche magnetiche (saturazione).

Il calcolo di n2 dipende dalla tensione che si vuole in uscita dal


secondario, ma vedremo che non ne abbiamo bisogno per capire l'essenziale.

Calcoliamo la resistenza del primario.


La sezione del filo si calcola come segue.
In primo luogo lo spazio disponibile va diviso tra primario e
secondario, e si può dimostrare che la scelta migliore è dividerlo in
due parti uguali.
In secondo luogo l'area A totale deve includere anche lo spazio occupato
dal rocchetto isolante e si deve tener conto che i fili (a sezione
circolare) lasciano necessariamente dei vuoti.
Assumerò con molto ottimismo un fattore di riempimento k = 0.8.
Allora
R1 = rho*n1*l'/s (seconda legge di Ohm)
n1*s = k*A/2
(calcolo dello spazio occupato, se s è la sezione del filo).
Elimino s:
R1 = rho*n1*l'*2*n1/(k*A) = (2/k)*rho*n1^2*l'/A
R1 = 80 ohm
s = kA/(2 n1) = 0.085 mm^2 (diam. = 0.33 mm)

Il calcolo di R2 procede allo stesso modo:


R2 = (2/k)*rho*n2^2*l'/A.
Ma a noi riesce più utile la resistenza riportata al primario, che è
R2*(n1/n2)^2 = R1.
Complessivamente quindi i due avvolgimenti introducono in serie col
primario una resistenza 2*R1 = 160 ohm.

Ora si comincia a capire perché ci sono dei limiti a ciò che si può
pretendere dal nostro trasf.: se si vuole un rendimento decente occorre
che la res. di carico riportata al primario, che nella precedente
puntata avevo chiamata
R' = (n1/n2)^2 R,
sia ben maggiore di 160 ohm.

Per un ragionamento più completo dobbiamo calcolare L1.


Ci arriviamo dall'ultima formula della prima puntata, che ricopio:
F11 = (mu*S/l)*n1^2*I1
e che dice
L1 = (mu*S/l)*n1^2 = 4000*4pi*10^(-7)*1800^2/0.1 = 63 H.
La corrispondente impedenza vale in modulo
w L1 =~ 20 kohm.
Dato che questa impedenza risulta in parallelo alle resistenze di cui
sopra, potremo trascurarla se esse (res. di carico inclusa) risulteranno
<< 20 kohm.
Teniamolo presente.

Preoccuparsi del rendimento non è solo una questione economica,


per lo spreco di energia: la potenza dissipata nella resistenza degli
avvolgimenti va a riscaldare il trasformatore, la cui temperatura
aumenta fino al punto in cui esso trasferisce all'esterno un'uguale
potenza come calore (conduzione di parte solide in contatto, convezione
dell'aria ambiente).
A voler essere sicuri occorrerebbe calcolare questi processi; cose per
la quale esistono delle formule empiriche in uso dagli ingegneri.

Ciò è necessario per trasf. di potenza molto maggiore, dove è importnte


avere un alto rendimento e al tempo stesso non si può rischiare di
compromettere il funzionamento, ad es. per surriscaldamento degli
isolanti, con conseguente corto circuito interno.
Per trasf. di dimensioni modeste, come il nostro, ci si regola di solito
assegnando un massimo alla densità di corrente negli avvolgimenti (se si
facesse il calcolo per entrambi si vedrebbe che questa è la stessa nel
primario e nel secondario).
Per potenze come quelle in ballo nel nostro caso possiamo ad es.
assumere j(eff) = 2 A/mm^2.

Da j(eff) si ricava I1(eff):


I1(eff) = j(eff)*s = 0.17 A
e poi Rtot:
Rtot = Eg(eff)/I1(eff) = Eg(eff) / (j(eff)*s) =
230 / (2 * 8.5x10^(-8)) = 1.35 kohm.
Sottraendo la resistenza degli avvolgimenti si ottiene R':
R' = 1350 - 160 = 1190 ohm.
(Come si vede, Rtot << 20 kohm; quindi non occorre tenere in conto la
corrente di magnetizzazione.)

La potenza erogata dal generatore sarà


Ptot = I1(eff)^2 * Rtot = 39.0 W
e quella ceduta al carico
Put = I1(eff)^2 * R' = 34.4 W.
Il rendimento è
R'/(R' + 2 R1) = 88%
e la potenza dissipata nel rame
P(rame) = 2*I1(eff)^2 * R1 = 4.6 W.

Avrete notato che in questa puntata ho violato una schematizazione che


avevo fatto all'inizio, quando avevo deciso di trascurare le resistenze.
Ma è chiaro perché: senza considerare perdite e rendimento non si può
capire perché ci siano dei vincoli nel dimensionamento del trasf.
Per la stessa ragione non posso evitare un cenno alle perdite nel ferro:
per quanto ne sappiamo fin qui, potrebbero anche essere più importanti
di quelle nel rame.
La questione si sbriga velocemente, in modo empirico. Nel catalogo del
lamierino si trova un grafico che dà la perdita in W/kg, per diversi
valori di B.
Entrando col nostro Bmax = 1,5 T, si legge 3 W/kg.
Resta solo da conoscere la massa dei lamierini, e questa è data per 10
mm di spessore: 114 grammi. Da qui, avendo uno spessore di 24 mm, arrivo
a una perdita
P(ferro)= 0.82 W,
minore di quella nel rame che ammonta a quasi 5 W.
Occorre anche ritoccare Ptot:
Ptot = Put + P(rame) + P(ferro) = 39.8 W
con rendimento
Put/Ptot = 86%.

Viene naturale chiedersi se non si potrebbero equilibrare le due specie


di perdite, riducendo quelle nel rame e aumentando quelle nel ferro.
Dato che le seconde dipendono - per un fissato pacco - solo dal valore
di Bmax, possiamo pensare di aumentare questo.
Si guadagnerebbe nel rame, perché (come abbiamo già visto) un aumento di
Bmax comporta una riduzione nel numero di spire, quindi un aumento della
sezione e una riduzione della lunghezza dei fili, quindi una riduzione
della resistenza R1.
L'aumento di s (sezione del filo) permette di aumentare I1, quindi la
potenza utile, ma anche la potenza dissipata per effetto Joule sembra
crescere.
A conti fatti si scopre che P(rame) non varia, P(ferro) aumenta, Put pure.
Per capire quale sia la scelta migliore occorrerebbe fare tutti i conti,
ma non è il caso d'insistere, anche perché parte dei dati che abbiamo
assunti sono poco attendibili: un esempio è il fattore di riempimento k.
Inoltre non ci siamo curati del possibile effetto del flusso disperso.
Conviene quindi accontentarsi del lavoro fatto fin qui, che ora riassumo.

Abbbiamo scelto arbitrariamente una certa misura di lamierini, un valore


di Bmax e uno di j(eff). Abbiamo anche assunto una f.e.m. del generatore
Eg(eff) = 230 V.
Abbiamo trascurato il flusso disperso.
Con questi dati, e usando informazioni diverse (riempimento della
finestra per l'avvolgimento, dati empirici sulle perdite nel ferro)
abbiamo ottenuto un potenza utile
Put = 39.8 W
rendimento = 36%.

Ancora un paio di commenti.


Il nostro calcolo ha proceduto all'inverso di come andrebbe in pratica.
Infatti si partirebbe coi dati della potenza utile e dal rendimento
minimo accettabile, per ricavarne i parametri costruttivi (misure del
lamierino, numeri di spire).
La ragione della mia scelta poco realistica è che il procedimento usato
in pratica è meno lineare, quindi meno didattico.
Aggiungo che ai tempi attuali è facile trovare in rete software per il
calcolo di trasformatori, e anche siti che consentono il calcolo
on-line. Con ovvi vantaggi e svantaggi. Quindi chi dovesse davvero
progettare un trasf. potrebbe fare a meno di sapere tutto ciò che ho
scritto.
Ma il mio scopo era chiaramente diverso...

Solo per completezza aggiungo che i trasf. di potenza medio-grande (dal


kW in su) quali si trovano nelle reti di distribuzione, hanno tutt'altra
struttura da quello descritto, prima di tutto perché sono *trifasi*.

Con questo crdo di aver scritto tutto ciò che mi sembra importante pr i
miei scopi. Forse anche troppo...
--

Massimo Sito scrive:


> Mi e´ oscura quest´ultima riga: ma il primario non e´ uno degli
> avvolgimenti? Come mai esce fuori la resistenza 2*R1 ?
Hai ragione, sono stato un po' troppo spicciativo.
Inoltre la mia affermazione è vera solo in una certa appross., che avevo
già fatta ma non ho ricordata.

Quindi vediamo un po' più in dettaglio.


Per cominciare, riscrivo le eq. (3) e (1), risp. del primario e del
secondario, aggiungendoci le resistenze degli avvolgimenti:

Eg - iw L1 I1 - iw M I2 = R I1 (3')
-iw M I1 - iw L2 I2 = (R + R2) I2. (1')

Se ricavi I2 dalla (1') e sostituisci nella (3'), con qualche passaggio


ottieni

Eg = {R1 + 1 / [1/(iw L1) + 1/(R' + R1)]} I1 (12)

che puoi leggere così: visto dal generatore, il trasf. con carico
equivale alla res. R1 in serie a un parallelo tra l'indutttanza L1 e le
due res. R' e R1 tra loro in serie.
(Spero che la descrizione sia chiara anche senza figura.)
Se posso trascurare L1, ossia se w L1 >> R' + R1, la (12) si semplifica in
Eg = (2 R1 + R') I1.

Approfitto dell'occasione per suggerire alcune misure che si possono


fare facilmente se si ha a disposizione un trasf. libero, ossia non
connesso a un circuito.
1) Misurare R1 e R2: basta un comune ohmmetro.
2) Misurare Eg e la tensione di uscita *a vuoto*: basta un voltmetro in c.a.
3) Misurare la tensione di uscita sotto carico. Basta connettere la
giusta R al secondario e misurare la tensione come sopra.
4) Misurare la corrente I1 a vuoto (dovrebbe ridursi alla corrente di
magnetizzazione).
Qui come in tutte le misure di corrente c'è la difficoltà pratica che
bisogna inserire un amperometro in c.a., interrompendo il circuito. Si
può fare con fili volanti e coccodrilli, ma è un po' rischioso. Si può
prendere una scossa s 230 V, che non è piacevole, oppure si possono fare
corti circuiti.
Molto dipende dalla manualità dell'operatore e da un minimo di
attrezzatura disponibile.
5) Misurare le correnti I1 e I2 sotto carico. Nota come sopra.
6) Osservare con oscilloscopio:
6a) la forma d'onda di Eg e della tnsione d'uscita (non è detto che
siano proprio sinusoidali)
6b) idem per I1 a vuoto e sotto carico
6c) osservare gli sfasamenti; tra Eg ed I1, tra Eg e la tensione
secondaria (a vuoto e sotto carico). Anche un modesto oscilloscopio di
40 anni fa consentiva questo, mettendo le due grandezze come asse x e
asse y oppure con le due tracce sovrapposte.
(Nota personale: sono quasi 25 anni che non ho più fatto cose del
genere, per cui è probabile che tra voi ci sia gente molto più
aggiornata di me. Mi scuso con loro.)

Da tutte queste misure si possono ricavare verifiche delle varie


equazioni che ho scritto.
Le cose più semplici potrebbero esere usate coi ragazzi, per far vedere
*dal vero* che cos'è un trasformatore.

Nota un tantinello polemica. Si è naturalmente discusso moltissimo dei


pro e contro della DaD. Ma non ho letto niente circa la cancellazione
del laboratorio.
Viceversa, sull'Espresso forse della settimana scorsa, c'era un articolo
che sottolineava come fosse saltata, in IT agrario, la pratica con le
piante, l'orto coltivato dai ragazzi.
L'autrice scriveva, più o meno testualmente: "questo non è mica un liceo".
Dando per scontato che l'insegnamento liceale sia tutto e solo verbale,
cartaceo.
Magari molte volte è vero, ma non dovrebbe esserlo *programmaticamente*.
Chi mi leegge lo sa benissimo, ma si può dire che questa sia una
conoscenza diffusa? Che lo sia ai livelli "alti" dell'organizzazione
scolastica?
Quanti invece sono convinti che tutto si possa supplire con adeguate
simulazioni a computer?
Cose vecchie, naturalmente, ma che il Covid-19 ha portato all'attualità
in forma drammatica.
--

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