Sei sulla pagina 1di 14

Storia

La Belle époque
FATTORI DELLO SVILUPPO ECONOMICO
Alle soglie del Novecento in Europa regnava una generale atmosfera di ottimismo, per vari motivi.
Innanzitutto, dalla fine del Congresso di Vienna del 1815, l’Europa non era più stata dilaniata da
conflitti come quelli dell’età napoleonica. Inoltre, si verificò un’eccezionale espansione economica,
che trasformò non solo l’Europa ma il mondo intero. La diffusione di un certo benessere nelle
società occidentali rafforzò ulteriormente il clima di fiducia nel futuro, che però si interruppe con lo
scoppio della prima guerra mondiale. Dopo il conflitto mondiale, per descrivere gli anni tra il tardo
Ottocento e il 1914 si diffuse l’espressione di “Belle époque”, soprattutto in Francia.

La ripresa economica che segnò la fine della Grande Depressione portò a un’impennata dei prezzi e
alla comparsa di nuovi beni di consumo. La ripresa coinvolse principalmente i paesi già
industrializzati, come la Gran Bretagna, la Germania, la Francia e gli Stati Uniti e si caratterizzò
innanzitutto per l’impiego di di nuove risorse energetiche e nuovi materiali. Si avviò una fase di
radicali trasformazioni nel sistema produttivo poiché iniziarono ad essere combinati l’acciaio,
l’elettricità, la chimica e la motoristica.
L’elettricità iniziò ad essere utilizzata su grande scala come forza motrice nelle fabbriche. Le prime
centrali elettriche già erano sorte all’inizio degli anni Ottanta, ma erano state utilizzate soprattutto
per l’illuminazione pubblica delle città. Tuttavia, dai primi anni del Novecento, l’energia elettrica
iniziò ad essere disponibile in grandi quantità e aveva costi più bassi del carbone e era in grado di
raggiungere facilmente qualsiasi località. L’utilizzo dell’elettricità modificò anche il sistema di
trasporti urbani, dove furono introdotti tram e metropolitane. Tuttavia, il carbone continuò ad essere
utilizzato per i treni e anche la rete delle linee ferroviarie crebbe notevolmente.
Inoltre, nello stesso periodo i progressi dell’industria chimica migliorarono i processi di
raffinazione del petrolio e così venne inventato il motore a scoppio, che segnò l’avvento
dell’industria automobilistica e di quella aeronautica. L’automobile si diffuse soprattutto negli Stati
Uniti mentre in Europa rimase per lungo tempo riservata a una ristretta élite. Un’altra applicazione
del motore a scoppio fu l’aeroplano e il primo volo fu quello dei fratelli Wright, nel 1903.

Tra la fine degli anni Ottanta e il 1914 il volume degli scambi internazionali crebbe notevolmente.
L’epicentro era ancora il mercato interno europeo, che rappresentava circa il 40% del totale
mondiale. L’incremento fu favorito anche dal consolidamento del sistema monetario aureo, il
cosiddetto Gold standard, che consentiva di regolare con precisione i pagamenti internazionali in
quanto era fondato sulla convertibilità di ogni moneta nazionale in oro secondo tassi di cambio
definiti. Il Gold standard, in questo periodo si diffuse in tutto il mondo e fu favorito anche dalla
scoperta di giacimenti in oro in Sudafrica e in Canada, che permisero al commercio mondiale una
più solida base finanziaria.
Il cuore pulsante di questo sistema finanziario era Londra, infatti la sterlina era considerata la
moneta cardine in tutto il mondo, tanto che veniva spesso usata al posto dell’oro. Tuttavia, il ruolo
internazionale della sterlina rimase saldo solo fino alla prima guerra mondiale, poiché nel frattempo
il dollaro americano stava diventando sempre più forte grazie alla ponderosa crescita produttiva
degli Stati Uniti.
Ad avere la meglio furono i paesi colonizzatori poiché disponevano di materie prime a prezzi molto
convenienti e di mercati di sbocco per i propri manufatti industriali. Essi erano principalmente la
Francia e l’Inghilterra, ma anche il Belgio e l’Olanda.
Tuttavia, i principali partner commerciali delle potenze industriali non erano le colonie ma altri
paesi industrializzati, dove gli investimenti potevano essere più remunerativi. Per questo i flussi di
capitali si dirigevano verso paesi formalmente indipendenti, come la Cina e l’Impero Ottomano. In

Storia

questo modo si sviluppò una sorta di imperialismo informale, che non mirava alla conquista di un
territorio, ma a un controllo indiretto della sua economia.

LA GRANDE IMPRESA E L’ORGANIZZAZIONE SCIENTIFICA DEL LAVORO


La nuova fase di espansione economica accelerò il processo di concentrazione capitalistica (piccole
aziende finiscono per essere assorbite da una più grande e forte) poiché i nuovi settori industriali,
come la chimica, l’elettricità o il petrolio, richiedevano investimenti iniziali molto ingenti. Così,
anche per fronteggiare l’agguerrita concorrenza, le imprese erano spinte a ridurre i costi di
produzione e si verificò un processo di ristrutturazione delle aziende che mirava ad ampliare le
dimensioni e le capacità operative dell’azienda. Nel frattempo si affermò anche una tendenza da
parte delle grandi imprese ad avviare una serie di accordi e fusioni, con l’obiettivo di assumere una
posizione dominante sul mercato. In questo modo si determinarono frequenti situazioni di
monopolio o oligopolio. Il coordinamento tra imprese poteva avvenire sia in senso orizzontale
(cartello), coinvolgendo aziende dello stesso ramo produttivo, sia in senso verticale (trust), ponendo
sotto un’unica direzione imprese addette a fasi diverse della trasformazione di un prodotto.
Gli Stati Uniti divennero la sede per eccellenza delle grandi imprese e dei monopoli. Uno di
principali esempi fu la Standard Oil Company of Ohio che giunse a controllare il 90% delle
raffinerie del paese. Tuttavia, il processo di concentrazione industriale assunse grandi dimensioni
anche in Germania, soprattutto nei settori della chimica e dell’elettrodomestica. In Inghilterra,
invece, il sistema basato su aziende di dimensioni contenute mutò più lentamente, contribuendo ad
aumentare il declino britannico.

Successivamente, si affermò anche l’idea che all’ampliamento delle imprese dovesse corrispondere
una nuova organizzazione del lavoro in fabbrica con l’obiettivo di pianificare in modo razionale e
sistematico tutte le fasi di produzione. Così venne ideata l’esecuzione in serie e standardizzata dei
diversi compiti produttivi. Il fautore di questa trasformazione organizzativa fu l’ingegnere
americano Frederick Taylor, che mise a punto un metodo di calcolo per definire i tempo ottimali in
cui un operaio doveva svolgere un determinato compito. Nel suo saggio Principi
dell’organizzazione scientifica del lavoro del 1911 elaborò la cosiddetta “cronotecnica”, con cui
elencò e descrisse una serie di criteri che avrebbero consentito di eliminare i tempi morti e ogni
separazione individuale nel lavoro in fabbrica.
La più efficace applicazione del metodo di Taylor si ebbe all’interno del sistema di produzione noto
con il nome di “fordismo”, poiché adottato nelle officine automobilistiche Ford, negli Stati Uniti.
Fu nelle officine Ford, che infatti fu introdotta l’organizzazione scientifica dei tempi di lavoro
insieme a un nuovo macchinario, la catena di montaggio, ovvero un nastro semovente che scorre
trasportando i vari pezzi da lavorare e assemblare di fronte ad ogni operaio, in modo che egli possa
eseguire una singola e semplice operazione a un ritmo scandito. Inoltre vennero introdotte delle
macchine monovalenti o specializzate, al posto di quelle polivalenti. Le macchine specializzate
effettuavano solo un numero limitato di operazioni, che permettevano però di produrre con
precisione le varie parti intercambiabili e risultavano di più facile utilizzo da parte di operai senza
particolari competenze professionali.
La strategia di Henry Ford mirava ad aumentare la produttività e faceva parte di una filosofia
aziendale basata sull’offerta di prodotti a basso costo, sull’applicazione di una maggiore assistenza
sociale per i dipendenti e su salari più alti (1914 gli stipendi vennero raddoppiati). Questo venne
fatto sia per far sì che ogni operaio potesse comprare un’automobile, in modo da allargare la cerchia
dei consumatori, sia per ottenere un largo consenso da parte delle maestranze.
I nuovi procedimenti introdotti da Ford resero possibile in pochi anni una riduzione drastica dei
tempi di lavorazione, e di conseguenza un abbassamento dei costi dei prodotti.

Storia

Tuttavia, l’organizzazione scientifica del lavoro incontrò l’opposizione degli operai e dei sindacati,
che negli Stati Uniti accusarono il nuovo sistema di privare l’operaio della sua autonomia e capacità
professionale e anche di rendere l’operaio subalterno alla macchina, con una serie di compiti
ripetitivi e sempre più standardizzati. Tuttavia, malgrado le resistenze il Taylorismo e il Fordismo si
diffusero ampiamente in America dopo la prima guerra mondiale; invece giunsero in Europa
solamente dopo la seconda guerra mondiale.

SOCIETA’ DI MASSA
Alla fine dell’Ottocento, accanto alla crescita della popolazione urbana e operaia, acquistarono
sempre maggiore consistenza anche i ceti medi e piccolo-borghesi, ovvero artigiani e negozianti,
piccoli coltivatori in proprio oppure impiegati pubblici e privati. La crescita del ceto medio fu
favorita, in primo luogo, dall’ampliamento delle competenze dello Stato e delle amministrazioni
locali in settori prima affidati all’iniziativa privata, come l’istruzione e la sanità. Si formò una
burocrazia più numerosa, composta di dipendenti pubblici. Anche nelle aziende più grandi si
affermarono nuove figure, con mansioni e competente diverse e stipendi più alti rispetto agli operai.
In particolare nelle fabbriche crebbe la presenza di ingegneri e tecnici, ma anche degli addetti agli
uffici amministrativi. Tutte queste figure, facenti parte del cosiddetto ceto impiegatizio, erano
definiti “colletti bianchi”, poiché per professione indossano una camicia chiara, in contrapposizione
con i cosiddetti “colletti blu” (classe operaia e contadina).

La popolazione stava aumentando principalmente grazie ai progressi medico-scientifici e della


ricerca applicata, infatti anche la lotta alle malattie epidemiche registrò continui successi. Inoltre, in
seguito allo sviluppo dell’industria chimica avevano iniziato a diffondersi i primi farmaci e notevole
importanza avevano avuto anche le nuove misure igieniche di profilassi attuate nelle grandi città,
come ad esempio il miglioramento dei sistemi idrici e fognari o il controllo sulla produzione agro-
alimentare. Per questi motivi si era registrato un calo dell’indice di mortalità e un innalzamento
dell’aspettativa media di vita.

Inoltre, la crescita degli stipendi permise a un numero sempre maggiore di lavoratori di destinare
una quota di essi ai consumi cosiddetti “secondari”, quindi non necessari al puro sostentamento.
Questo si verificò soprattutto negli Stati Uniti, ma anche particolarmente in Germania.
Inoltre, la diffusione dei grandi magazzini in tutte le principali città contribuì all’allargamento della
domanda, dato che lo smercio di grandi quantità di prodotti permetteva di mantenere bassi i prezzi.
Come conseguenza, nacque un moderno sistema pubblicitario che andava dalle inserzioni sui
giornali ai manifesti, spesso affidati ad artisti famosi.
Conobbe un autentico boom anche la stampa periodica, infatti il numero di giornali in Europa
raddoppiò e si raggiunse una diffusione di massa. Questo si verificò a causa dei più alti livelli di
alfabetizzazione, ma anche a causa della nascita dei giornali popolari a bassissimo prezzo. Venne
organizzata anche un “industria della notizia”, infatti nacquero le agenzie di stampa, che
commercializzavano note d’informazione raccolte in tutto il mondo. In America si diffuse il
modello di giornalismo fondato sullo scoop, con l’affermazione della figura del reporter, che dopo
un’indagine accurata e approfondita, rivelava al pubblico episodi scandalosi e eclatanti.

Si assistette, infine, alla diffusione di forme di svago un tempo riservate all’aristocrazia e all’alta
borghesia, ovvero i caffè, i balli, il teatro e una nuova forma di intrattenimento, il cinema. Nel 1894
i fratelli Lumière inventarono infatti il proiettore cinematografico. Queste nuove forme di svago e
intrattenimento, aperte ad una platea più ampia, rinnovarono le forme della socialità e della
comunicazione poiché crearono nuovi luoghi di aggregazione.

Storia

MUTAMENTI POLITICI E SOCIALI


Parallelamente alla crescita del numero degli operai, era cresciuta anche la capacità organizzativa e
la forza del proletariato urbano, infatti i sindacati e i partiti socialisti avevano visto crescere sia il
numero dei loro militanti sia quello dei propri rappresentanti parlamentari. In questo modo ci fu
l’ingresso delle masse nella vita politica, che indicava la necessità per la classe dirigente di
confrontarsi con le idee dei ceto popolari.
Già durante l’Ottocento, nei paesi più democratici, si era avvertita la necessità di coinvolgere un
maggior numero di persone nella scelta dei rappresentanti parlamentari e, a questo punto, la
questione del suffragio universale, ovvero l’ampliamento del diritto di voto senza distinzioni di
censo o alfabetizzazione, divenne un cavallo di battaglia dei partiti di sinistra, in particolare quelli
socialisti. Tuttavia, il suffragio universale che veniva considerato era prettamente maschile, mentre
le donne non venivano per nulla prese in considerazione. Furono le donne inglesi ad organizzarsi
per prime per rivendicare i loro diritti politici, grazie all’azione risoluta di Emmeline Pankhurst, con
l’obbiettivo principale di ottenere il diritto di voto alle elezioni politiche. Da qui il nome di
“suffragiste”. Molte donne ricorsero anche allo sciopero della fame, irruzioni in manifestazioni
pubbliche, cortei e comizi, fino anche a impedire il passaggio di tram e treni sdraiandosi sui binari.
In Inghilterra, il diritto di voto alle donne venne riconosciuto, tuttavia, solamente nel 1918 (in Italia
nel 1946).

In quegli anni, inoltre, all’interno del partito socialista, ferveva un intenso dibattito tra le diverse
componenti politiche. Infatti, dopo lo scioglimento della Prima Internazionale a causa dello scontro
tra marxisti e anarchici, nel 1889 si era costituita a Parigi la Seconda Internazionale, una
federazione dei partiti socialisti europei, nella quale aveva una posizione preminente il partito
Socialdemocratico tedesco. Nella Seconda Internazionale prevalse la versione del marxismo
elaborata da Engels, secondo la quale occorreva coinvolgere la classe operaia nella vita politica e
impegnare i partiti socialisti nelle competizioni elettorali per ottenere importanti riforme sociali.
Questa corrente, chiamata “minimalismo”, era comunque affiancata dal “massimalismo”, ovvero
quella che auspicava al raggiungimento di una società senza classi attraverso una rivoluzione,
secondo le idee di Karl Marx.
Secondo Eduard Bernstein, un esponente del socialismo tedesco e della Seconda Internazionale,
dovevano essere riviste le previsioni formulate da Marx, infatti la sua posizione fu definita
“revisionismo”. Egli affermava che, lungi dall’essere aggravate, le condizioni di vita e lavoro della
classe operaia erano migliorate, quindi si doveva considerare il conseguimento delle riforme come il
fine stesso dell’iniziativa politica socialista. Quindi, i partiti socialisti avrebbero dovuto collaborare
con l’ala progressista e democratica della borghesia. Tuttavia, il revisionismo rimase in minoranza
all’interno della Seconda Internazionale, che ribadì la sua ispirazione rivoluzionaria.
In Francia, invece, ebbe molta influenza il sindacalismo rivoluzionario di Georges Sorel, che
esaltava il principio dell’autonomia operaia, quindi sosteneva il primato dell’azione diretta per
raggiungere la coscienza di classe e ripudiava il ruolo guida dei partiti socialisti. Inoltre, esaltava lo
sciopero generale come unico mezzo per raggiungere la rivoluzione.

Inoltre, oltre al dilemma tra riforme e rivoluzione, al centro del dibattito dei partiti socialisti c’era
anche il problema dell’atteggiamento da assumere nei confronti della politica estera. Infatti, in
Europa si era formata una “politica di potenza”, ossia l’auto-affermazione dei singoli stati nazionali
a scapito della mediazione diplomatica. All’interno del partito socialista la dottrina dominante era
l’internazionalismo, secondo cui le guerre e l’espansione coloniale erano dovute ai calcoli della
borghesia capitalistica e delle caste militari, e inoltre non arrecavano vantaggi al proletariato, che ne
sopportava i maggiori costi sia economici che umani. Per questo, contrapponevano al nazionalismo,

Storia

il pacifismo e la lotta comune contro il capitalismo internazionale. Il loro slogan era “guerra alla
guerra”. Ad appoggiare la causa dei lavoratori erano anche alcuni movimenti d’ispirazione religiosa,
fra cui quelli democratico-cristiani.

Inoltre, da parte loro, i governi europei avevano iniziato ad adottare una serie di provvedimenti a
tutela dei ceti più deboli poiché uno degli obiettivi principali della classe politica era diventato il
perseguimento del benessere collettivo per evitare la conflittualità sociale e accrescere il consenso
intorno alle istituzioni. Così, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento si diffusero le prime
forme di assistenza sociale principalmente con l’approvazione di norme sulle condizioni di lavoro,
volte a ridurre l’orario e a tutelare l’impiego di manodopera femminile e minorile. Inoltre, venne
introdotto un sistema di previdenza in caso di malattia, infortunio, invalidità e vecchiaia, affidato
per lo più ai sindacati e finanziato in parte dai lavoratori e in parte dai datori di lavoro.
In questo modo iniziò a delinearsi il cosiddetto “Stato sociale”, anche noto come “Welfare state”,
quindi un insieme di norme attuate dalla pubbliche amministrazioni con l’obiettivo di garantire ai
cittadini un sufficiente tenore di vita per quanto riguarda il reddito, la salute, l’istruzione e
l’abitazione. Tuttavia, per finanziare i costi dello Stato sociale si ricorse ad un aumento delle
imposte dirette.

Al progresso civile contribuì la diffusione dell’istruzione elementare, che a partire dalla fine
dell’Ottocento divenne obbligatoria e gratuita in quasi tutta Europa. L’istruzione iniziò ad essere
considerata un diritto di tutti e gli Stati si assunsero l’onere di finanziare la scuola pubblica.
Dettato in primo luogo da esigenze di laicizzazione del sistema educativo, lo sviluppo di istituzioni
scolastiche pubbliche e aperte a tutti costituì il preludio di una maggiore mobilità sociale e del
superamento di una concezione politica conservatrice.

TENDENZE NELLA CULTURA E NELLA SCIENZA


Mentre da un lato, i movimenti progressisti sostenevano gli ideali di democrazia e giustizia,
dall’altro andavano diffondendosi passioni nazionalistiche e sentimenti reazionari alimentati dalla
politica di potenza degli Stati europei. Inoltre, iniziava a svilupparsi un atteggiamento critico nei
confronti del progresso tecnico e industriale, accusato di aver dato vita a un sistema di produzione
che portava alla spersonalizzazione e alla disumanizzazione degli operai.
In questo modo, alla cultura del XIX secolo fondata sul Positivismo (corrente filosofica e culturale
che esaltava la fiducia nella possibilità della scienza di garantire il progresso dell’umanità), iniziò a
sostituirsi una sostanziale perdita di fiducia nel progresso. Ci furono 3 personalità in particolare che
scossero le fondamenta del positivismo: Nietzsche, Freud e Einstein.

Nietzsche elaborò una critica radicale al Positivismo, poiché credeva che la vita fosse una totalità
irrazionale e inspiegabile dominata da un impulso originario che spinge all’affermazione di sé,
ovvero la “volontà di potenza”. Tuttavia, l’uomo occidentale aveva rifiutato questa dimensione
cullandosi in illusioni razionali come il falso mito del progresso tecnico e della verità scientifica.
Sulla base delle idee di Nietzsche si svilupparono correnti filosofiche fondate sulla centralità delle
facoltà immaginative, affettive e irrazionali. In questo senso, molti intellettuali interpretavano
l’industrializzazione, l’urbanizzazione e la massificazione segni della crisi della civiltà occidentale
poiché si sviluppò un giudizio critico sugli effetti provocati dal dominio della razionalità, della
tecnica e del denaro. Infatti, la produzione in serie rendeva tutti i prodotti pressoché identici e
livellava i gusti e gli orientamenti individuali. Per questo, le città non erano più considerate abitate
da persone ma da una folla anonima, indistinta e conformista.

Storia

Successivamente, nel 1899, Sigmund Freud pubblicò L’interpretazione dei sogni, che aprì la strada
ad un importante innovazione, ovvero la psicoanalisi. Egli studiò i problemi psichici ricercandone
l’origine nella storia del paziente, anziché curarli secondo le prescrizioni della medicina ufficiale.
Sosteneva che le nevrosi avevano radici in esperienze emotive intense che i pazienti avevano
nascosto nell’inconscio. Sul piano culturale, la scoperta di Freud fu una rivoluzione, in quanto
separò la vita psichica dall’attività cosciente, sferrando un duro colpo all’idea del dominio della
razionalità.

un’altra grande rivoluzione culturale fu compiuta dallo scienziato tedesco Albert Einstein, il quale
espose la teoria della relatività, che proponeva una nuova immagine dell’Universo. Essa produsse
un effetto di disorientamento rispetto alla rappresentazione dei fenomeni fisici elaborata dalla
scienza ufficiale e dal senso comune.

Relazioni internazionali e conflitti nel primo Novecento


L’EUROPA TRA NAZIONALISMI E DEMOCRAZIA
Dalla fine dell’Ottocento, i movimenti nazionalistici iniziarono a sostenere il primato politico della
propria nazione, spesso contrapponendosi ad un nemico identificato sulla base delle diversità o sulla
base di antichi o più recenti conflitti. In molti casi, l’imperialismo, in particolare i contrasti per
l’ingrandimento dei territori coloniali, contribuì all’affermazione dei movimenti nazionalisti.
Il nazionalismo assunse forme diverse in ciascun paese; ad esempio:
- In Germania il nazionalismo trovò facile terreno di diffusione sia nella tradizione militare
prussiana, sia nell’impronta autoritaria dell’apparato burocratico tedesco. Infatti, il nazionalismo
tedesco era particolarmente aggressivo, con una forte componente militarista e una concezione
della politica estera fondata sull’imposizione del diritto del più forte.
- In Francia il nazionalismo aveva una duplice origine poiché proveniva da una parte dal profondo
desiderio di riscatto nazionale dopo la sconfitta subita nella guerra franco-prussiana e dall’altra
aveva una radice storica. Questo perché la Francia riteneva di essere chiamata a esercitare una
missione civilizzatrice in Africa e in Asia in nome dei principi di razionalità scientifica e di
progresso derivanti dalla Rivoluzione del 1789.
- Anche in Gran Bretagna il fondamento del nazionalismo era storico poiché, oltre alle motivazioni
legate all’economia, Francesi e Inglesi ritenevano di avere il compito di emancipare dalle
condizioni di degrado e arretratezza le comunità indigene sottomesse, ritenendo il loro
imperialismo progressista. Il nazionalismo inglese era fondato sul senso di superiorità e di
diversità rispetto all’Europa continentale.
- In Italia, infine, la pulsione nazionalistica che aveva animato il Risorgimento si tradusse in una
missione civilizzatrice del popolo italiano.

La Francia si trovava divisa in due fronti: da una parte quello monarchico, clericale e nazionalista e
dall’altra quello repubblicano e laico. Le elezioni del 1899 videro prevalere la coalizione tra
repubblicani moderati e radicali (i radicali si dichiarano eredi della rivoluzione e sostenevano la
difesa della repubblica, il laicismo e il suffragio universale). Il Partito Socialista appoggiò le riforme
sociali promosse dai radicali, ovvero la riduzione dell’orario di lavoro, il riposo settimanale e le
pensioni di vecchiaia. Invece, la principale organizzazione sindacale, chiamata CGT, sosteneva i
principi del sindacalismo rivoluzionario di Georges Sorel, ovvero che l’emancipazione dei
lavoratori andasse perseguita attraverso l’azione diretta. Così, iniziò un’ondata di scioperi che il
governo radicale represse con forza, provocando l’acuirsi della tensione sociale.
A questo punto, all’interno del governo prevalse la componente moderata, che orientò l’azione di
governo in senso nazionalista, con interventi di rafforzamento dell’apparato militare, in vista di una

Storia

rivincita nei confronti della Germania.


Tuttavia, nelle elezioni del 1914 prevalse la sinistra e il nuovo governo socialista cercò di
scongiurare lo spettro della guerra, ma ormai l’odio nei confronti dei francesi stava divampando in
Europa e di li a poco sarebbe scoppiato il conflitto mondiale.

La Gran Bretagna dal 1906 fu governata dai liberali, che per attuare una serie di riforme volte a una
maggiore giustizia sociale trovarono l’appoggio del Partito laburista. I laborasti erano espressione
delle associazioni operaie, che a differenza dei partiti socialisti dell’Europa continentale non si
ispiravano all’ideologia marxista ma avevano scelto di esercitare un’azione politica diretta a tutela
delle fasce più deboli. Quindi, la legislazione sociale già esistente venne rafforzata con una serie di
riforme come:
- Introduzione di una previdenza sociale contro infortuni e malattie e di pensioni di vecchiaia e
malattia.
- Istituzione di uffici pubblici di collocamento per i disoccupati.
- Concessioni della giornata di otto ore per i minatori.
Inoltre, per finanziare questa forma di “Stato sociale” il governo presentò una proposta di riforma
tributaria in cui si adottava per la prima volta il criterio della tassazione progressiva sul reddito di
ogni cittadino. Tuttavia, la Camera del Lord (alla Camera dei Lord si accedeva per nascita o per
ruolo) organo non elettivo nelle mani dell’aristocrazia, respinge il progetto di riforma, così il
governo varò il Parliament act, ovvero una legge che aboliva il potere di veto assoluto della
Camera dei Lord. Quindi si potè approvare la riforma tributaria ma l’intero equilibrio istituzionale
conobbe una trasformazione profonda. La supremazia acquisita dalla Camera dei Comuni (eletti per
votazione popolare) segnò la definitiva vittoria del principio elettivo come fonte di legittimazione
del potere.

La Germania, diversamente da Francia e Gran Bretagna, negli ultimi anni dell’Ottocento non aveva
manifestato tendenze imperialistiche, infatti il governo di Bismarck aveva preferito anteporre
all’espansione coloniale il mantenimento dell’egemonia tedesca in Europa. La forza dell’economia
tedesca era fondata sul suo potenziale industriale e finanziario, infatti nei settori siderurgici, elettrici
e chimici la Germania vantava uno sviluppo superiore anche a quello inglese. Tuttavia, questo
sviluppo aveva degli elementi di debolezza:
- L’insufficienza delle risorse agricole, come conseguenza della forte crescita della popolazione.
- La dipendenza del settore industriale dall’importazione delle materie prime, di cui il paese era
privo.
Tuttavia, l’ambizione imperialistica iniziò a nascere con l’ascesa al trono di Guglielmo II che
inaugurò il cosiddetto “nuovo corso”, volto a inserire l’impero tedesco nella gara per l’acquisizione
di colonie per diventare una grande potenza anche internazionale.
A questo punto, la “politica mondiale” tedesca provocò lo sgretolamento del sistema di alleanze
precedente. Mentre la Triplice Alleanza stipulata nel 1882 tra Germania, Austria-Ungheria e Italia
non vennero messi in discussione, invece Guglielmo II non rinnovò il trattato segreto del 1887 con
la Russia che la Germania aveva stipulato per assicurarsi la neutralità russa in caso di guerra con la
Francia. Cosi, la Russia si avvicinò alla Francia, preoccupata dai progetti espansionistici tedeschi e
ansiosa di vendicare la sconfitta del 1870. Francia e Russia stipularono nel 1894 un accordo segreto,
noto con il nome di “Duplice Intesa”, con il quale esse si promettevano aiuto in caso di un attacco
della Germania.
Inoltre, la politica di Guglielmo II allarmò l’Inghilterra, leader sui mari, spaventata dal robusto
progetto di riarmo navale tedesco e anche dalla penetrazione economica che la Germania aveva
iniziato ad attuare nell’Impero Ottomano.

Storia

LA CRISI DEI GRANDI IMPERI


- Russia
Negli anni tra l’Ottocento e il Novecento la Russia aveva conosciuto un moderato incremento
demografico, una crescita dell’apparato industriale e un ampliamento del mercato interno. Inoltre,
nel 1904 era stata inaugurata anche la Transiberiana, ovvero la ferrovia che collegava Mosca e San
Pietroburgo alle città affacciate sul Pacifico. Tuttavia, la crescita economica era molto squilibrata in
quanto le fabbriche si concentravano solo in poche grandi città, mentre il paese continuava ad essere
in larghissima scala rurale, con ordinamenti semifeudali.
Alla parziale modernizzazione del sistema produttivo, però, corrispondeva ancora un assetto
politico fondato sul potere autocratico dello zar, sul predominio della Chiesa ortodossa e sulla
predominio della nobiltà terriera. Inoltre, il popolo versava in condizioni di estrema miseria, infatti
gli operai vivevano con salari da fame e non erano concessi scioperi ne associazioni sindacali.

In questo contesto le ideologie rivoluzionarie erano molte, infatti il Partito socialista rivoluzionario
si batteva in nome di una via russa al socialismo. Invece, all’interno delle fabbriche si era diffuso il
Partito operaio socialdemocratico russo, che si richiamava ai partiti della Seconda Internazionale, in
linea con l’ideologia marxista. All’interno del Partito socialdemocratico iniziò a farsi strada l’idea di
Lenin, il quale sostenne che anche senza le condizioni previste da Marx (società capitalista e
borghese) sarebbe stato possibile attuare la rivoluzione. Il protagonista della rivoluzione sarebbe
dovuto essere un “partito di tipo nuovo”, formato da pochi intellettuali rigidamente disciplinati che
diventasse l’avanguardia politica della classe operaia.
Così, il partito socialdemocratico si divise in 2 fazioni:
- I Bolscevichi (“la maggioranza”), che abbracciavano la tesi di Lenin.
- I Menscevichi (“la minoranza”), che rimasero fedeli al partito di massa propugnato dalla Seconda
Internazionale.

Così, nel 1905, una folla immensa si assediati fronte alla residenza dello zar di San Pietroburgo, il
Palazzo d’Inverno, portando una petizione per lo zar Nicola II Romanov, che chiedeva la giornata
lavorativa di 9 ore, un giorno di riposo infrasettimanale, l’abolizione delle imposte indirette e
soprattutto una Costituzione. Nicola II diede l’ordine di sparare sulla folla, provocando una
carneficina, infatti l’evento viene ricordato con il nome di “domenica di sangue”.
La strage provocò un’ondata di scioperi e la ribellione dei contadini nei confronti dei proprietari
terrieri. Inoltre alcuni reparti delle forze armate si ammutinarono.
Nelle fabbriche e nelle campagne vennero eletti dei Consigli dei lavoratori, i soviet, ovvero nuovi
organismi rivoluzionari che si proponevano di dar vita alla democrazia. Così, per recuperare il
controllo della situazione lo zar fu costretto a concedere le libertà civili e politiche nonché
l’elezione di un Parlamento.
Le elezioni videro la vittoria del Partito liberal-democratico, il quale cercò di ottenere dal governo
nuove riforme, tuttavia lo zar reagì sciogliendo per due volte la Duma, fino a promulgare una legge
elettorale che permise il formarsi di una maggioranza a lui favorevole. Il nuovo governo operò da
una parte una durissima repressione, con moltissimi rivoltosi condannati all’esilio (tra cui Lenin), e
dall’altra una riforma agraria.
Tuttavia, la Russia con masse di affamati, un Parlamento debole, una borghesia fragile e la
prospettiva di una rivoluzione proletaria era un paese segnato da una crisi profonda.

- Austria-Ungheria
L’impero asburgico era contrassegnato da una profonda frammentazione etnica e sociale che aveva
come conseguenza enormi squilibri sul piano economico, infatti la crescita industriale si era

Storia

concentrata solamente nelle provincie austriache e ceche, mentre le altre zone erano ancora afflitte
da arretratezza e povertà. In questa situazione, la più grave minaccia per l’unità dello Stato
Asburgico proveniva dai Balcani, che vedevano una grande varietà di etnie, lingue e religioni,
soggette in parte all’Impero Asburgico e in parte a quello Ottomano. Così, le aspirazioni
nazionalistiche e indipendentistiche dei vari stati trovarono terreno fertile nella sempre maggiore
fragilità dei due imperi. Un’intervento dell’Impero Asburgico nei Balcani avrebbe certamente
causato una risposta della Russia, che da sempre proteggeva queste popolazioni. In questo modo,
per l’Impero era necessario il sostegno della Germania.

- Impero Ottomano
Nel 1908 scoppiò una rivoluzione guidata dal partito dei Giovani Turchi, ispirati da un acceso
nazionalismo e anche da intenti riformatori, infatti volevano porre fine al carattere assolutista dello
Stato Turco. Riuscirono a destituire il sultano, sostituendolo con il fratello Maometto V, al quale fu
imposta una svolta politica in senso costituzionale.
Questa rivoluzione generò una situazione di estrema instabilità, di cui approfitto l’Austria-
Ungheria, che nel 1908 proclamò l’annessione della Bosnia e dell’Erzegovina. Questo rese ancora
più tesi i rapporti con la Serbia, che sembrarono sfociare in un conflitto tra la Germania e l’
Austria-Ungheria da una parte e la Russia e la Serbia dall’altra. Tuttavia, l’Impero Russo,
fortemente indebolito, accettò le annessioni e non reagì militarmente

FOCOLAI DI TENSIONE: AFRICA E BALCANI


- Africa
Alla Conferenza di Berlino del 1884, l’Africa era stata spartita tra le maggiori potenze europee.
Tuttavia, sorsero rivalità e tensioni in particolare tra Francia e Inghilterra, le quali, senza giungere
ad uno scontro armato, stipularono un accordo, l’Intesa cordiale, con cui la Francia vide
riconosciuta la propria sfera d’influenza sull’Africa Occidentale, lasciando all’Inghilterra la
possibilità di puntare sul resto del continente. L’Intesa cordiale stipulata tra Francia e Gran
Bretagna, inoltre si configurava anche come alleanza anti-tedesca, motivata sia dal desiderio di
rivincita francese sia dalla preoccupazione della Gran Bretagna in seguito al riarmo di Guglielmo II.
A questo punto, l’Inghilterra si concentrò sulla conquista del Sudafrica, dove erano stati scoperti
enormi giacimenti di diamanti e d’oro, e giunse ad una guerra aperta con le repubbliche boere. I
boeri resistettero a lungo, ma furono costretti alla resa nel 1902.
I britannici, a questo punto, crearono, nel 1910, l’Unione Sudafricana, che pur dipendendo dalla
Corona britannica, era dotata di una certa autonomia. Tra i dirigenti boeri e l’oligarchia britannica,
inoltre, fu stipulata un’alleanza politica che si tradusse nella prima legge segregazionista, ovvero il
sistema legale in cui una parte della popolazione veniva discriminato su base etnica o razziale, per
quanto riguarda il godimento dei diritti civili.

Un altro focolaio di tensione fu, a questo punto, il Marocco, che si trova nella parte Occidentale
dell’Africa, quindi sotto l’egemonia francese. La Germania provò ad opporsi al controllo francese
del Marocco perché aveva forti interessi economici su quella regione, ma si trovò isolato, con al suo
fianco solamente l’Impero Asburgico. Inoltre, l’accerchiamento tedesco si aggravò con il successivo
riavvicinamento tra Inghilterra e Russia, storicamente rivali per il predominio dell’Asia, ma ora
preoccupati per le mire espansionistiche tedesche.
In questo modo le principali potenze europee risultavano divise in due schieramenti:
- Triplice Intesa: Francia, Gran Bretagna e Russia, nata nel 1907 con l’annessione della Gran
Bretagna alla Duplice Intesa.
- Triplice Alleanza: Germania, Austria-Ungheria e Italia.


Storia

La Triplice Intesa era più solida grazie alla comune ostilità di Francia e Inghilterra nei confronti
della Germania e al contrasto tra la Russia e l’Impero Austro-ungarico nell’area balcanica. Invece,
nella Triplice Alleanza l’Italia aveva ancora questioni territoriali irrisolte con l’Austria e l’Impero
Austro-Ungarico era a sua volta molto debole.

- Balcani
L’Impero Ottomano, già indebolito dalla rivoluzione dei Giovani Turchi e dalla perdita della Bosnia
e dell’Erzegovina, nel 1912 fu sconfitto dall’Italia nella guerra in Libia. A sfruttare la debolezza
dell’Impero Ottomano furono la Serbia, la Grecia, la Bulgaria e il Montenegro, che formarono una
coalizione antiturca e intrapresero la prima guerra balcanica. Grazie alla loro vittoria ottennero la
Tracia, la Macedonia e Creta. Tuttavia, la spartizione non fu pacifica, infatti la Bulgaria attaccò la
Serbia e la Grecia dando luogo alla seconda guerra balcanica. Si inserì nella guerra anche la
Romania mentre la Turchia tentò di approfittare della situazione per riprendersi i suoi territori. Così,
la Bulgaria, circondata su tutti i fronti chiese la pace.
Con la pace di Bucarest il Kosovo passò alla Serbia, la Macedonia venne divisa tra Serbia e Grecia
e la Tracia fu restituita agli Ottomani. Inoltre, nacque lo Stato Albanese. Tuttavia, questo nuovo
assetto non stabilizzò la situazione, ma bensì l’Austria-Ungheria era uscita notevolmente indebolita
dal rafforzamento della Serbia e i dissidi con l’Italia si acuirono poiché entrambe puntavano le
proprie mire sul nuovo Stato Albanese.

L’Italia nell’età giolittiana


DALLA CRISI DI FINE SECOLO ALLA SVOLTA LIBERAL-DEMOCRATICA
Alla fine dell’Ottocento l’Italia era in preda a una profonda crisi politica e istituzionale e dopo la
caduta dell’ultimo governo della Sinistra storica guidato da Francesco Crispi, era salita al governo
la Destra storica. Così, nel 1898 un forte rincaro del prezzo del pane scatenò un’ondata di proteste
popolari che culminarono nella rivolta di Milano e che vennero represse nel sangue.
Le elezioni del 1900 segnarono un avanzata, in particolare, dei socialisti e portarono alle dimissioni
del governo reazionario. Umberto I assegnò il nuovo incarico ad un esponente della sinistra liberal-
democratica, ma tuttavia il re fu assassinato dall’anarchico Gaetano Bresci.
Così, salì al potere Vittorio Emanuele III e nel 1901 il governo passò a Giuseppe Zanardelli, leader
del partito liberal-progressista, mentre l’incarico di ministro degli Interni fu affidato all’altro leader
della Sinistra liberale, Giovanni Giolitti. La politica di Zanardelli segnò un cambio di rotta rispetto
ai governi precedenti poiché venne abbandonata la via dell’autoritarismo e con l’obbiettivo di
costruire il consenso attorno alle istituzioni liberali Giolitti puntò sull’integrazione dei ceti popolari
attraverso la concessione del diritto di sciopero e la libertà di associazione. Si ebbe un aumento dei
salari, con lo scopo di incrementare la domanda e ampliare il mercato interno. Le organizzazioni
sindacali conobbero una grande crescita e, in ambito della legislazione sociale, il governo emanò
alcuni provvedimenti volti a tutelare il lavoro femminile e minorile.
Inoltre, in nome del superiore interesse della nazione e dell’economia, scelse un ruolo di rigorosa
neutralità nei conflitti sociali e vennero municipalizzati determinati servizi pubblici come
l’elettricità, il gas e i trasporti.

GIOLITTI AL GOVERNO
Nel 1903 Zanardelli si dimise per motivi di salute e il re diede l’incarico di formare il nuovo
governo a Giovanni Giolitti, il quale rimase in carica fino al 1914. Giolitti invitò ad entrare nel
governo il leader del partito socialista Filippo Turati, che credeva nella volontà progressista della
borghesia. Al tempo i socialisti erano suddivisi in “minimalisti”, che ricercavano le riforme, e
“massimalisti”, che invece sostenevano la necessità di una rivoluzione. Il programma minimo,

Storia

sostenuto dallo stesso Turati, sconfisse quello massimalista e rivoluzionario, quindi accantonava
l’ipotesi di un’azione insurrezionale, puntando ad ottenere una profonda riforma del sistema
capitalistico-borghese attraverso misure come l’ampliamento del suffragio, una migliore
legislazione sociale, il decentramento amministrativo e la riforma tributaria. Alcuni di questi punti
si trovavano anche nel programma di Giolitti ma tuttavia, Turati declinò l’invito a entrare nel
governo, consapevole che una parte consistente del suo partito non l’avrebbe seguito.

A questo punto, Giolitti intraprese la pratica del trasformismo, con lo scopo di creare una
maggioranza variabile, non basata sulla fedeltà a un partito ma costruita di volta in volta in
Parlamento e tenuta insieme da legami personali con il capo del governo. Quindi, la pratica politica
attuata da Giolitti consisteva nel soddisfare le richieste politiche dei partiti per garantirsi la
maggioranza e rimanere in carica.
La politica di Giolitti aveva come scopo la modernizzazione dell’Italia, convinto che rafforzando il
processo di sviluppo in corso nella parte più dinamica e progredita del paese, il Nord, avrebbe finito
per trainare il Sud, ancora agricolo e arretrato, sulla via dell’evoluzione economica e sociale.
Quindi, la politica di Giolitti apparve caratterizzata da un duplice volto, poiché da una parte si
mostrò disposto ad assecondare le rivendicazioni degli operai e dei loro sindacati e dall’altra non
esitò a reprimere le proteste dei contadini del Mezzogiorno.

IL DECOLLO INDUSTRIALE E LA POLITICA ECONOMICA


Durante l’età giolittiana l’Italia riuscì a compiere grandi passi avanti nell’industrializzazione, non
rimanendo escluso dallo sviluppo industriale, come invece accadde per la Spagna, il Portogallo
oppure la Grecia. Il decollo dell’industria italiana dipese in modo rilevante dall’intervento dello
Stato che attuò una politica protezionistica grazie alla quale alcuni settori industriali operarono al
riparo dalla concorrenza straniera. Questo permise in particolare alla grande industria (metallurgica,
siderurgica e tessile) di subire una grande impennata:
- Riguardo all’industria siderurgica, i singoli governi commissionavano a imprese nazionali la
maggior parte delle forniture destinate alla realizzazione delle infrastrutture e al potenziamento
della marina e dell’esercito.
- Il settore della metallurgia vide un forte incremento della produzione di ghisa e acciaio.
- Il settore tessile vide uno sviluppo soprattutto nel comparto cotoniero, della seta e della lana.
- L’industria meccanica si sviluppò soprattutto nei cantieri navali e delle officine produttrici di
materiale ferroviario. Le ferrovie conobbero una rapida diffusione dopo la loro statalizzazione
voluta da Giolitti.
Un’importante novità, inoltre, fu l’emergere di un nuovo settore, quello automobilistico. Il mercato
interno era ancora molto ridotto, ma grazie alla vendita sui mercati esteri alcune imprese come la
Fiat, l’Alfa e la Lancia, riuscirono a crescere.

Allo sviluppo economico contribuirono anche la riorganizzazione del sistema bancario e i progressi
dell’agricoltura grazie ai lavori di bonifica, all’utilizzo di nuovi macchinari, nuovi fertilizzanti e
concimi chimici.
Tuttavia, nei primi anni del Novecento l’economia italiana non era progredita in modo uniforme ma
lo sviluppo si era concentrato soprattutto nel Nord-Ovest, dove era andato formandosi quello che
era definito “Triangolo Industriale”, composto dalle città di Torino, Genova e Milano. Il Sud invece
si trovava a scontare non soltanto il prezzo di un’insufficiente industrializzazione, ma anche le
conseguenze negative dovute alla sostanziale stazionarietà della produzione agricola. L’arretratezza
del Sud, inoltre, affondava le sue radici in particolare in motivi storici, poiché il Mezzogiorno aveva
sempre subito domini stranieri mentre il Nord aveva sempre visto la nascita di realtà indipendenti.

Storia

Tuttavia, il Sud non era stato del tutto abbandonato da Giolitti, il quale nel 1904 aveva varato una
legge per lo sviluppo industriale di Napoli e altre misure legislative furono prese negli anni subito
successivi. Questi provvedimenti rappresentarono la prima forma di intervento pubblico per lo
sviluppo del Sud, ma si rivelarono insufficienti ad affrancare il Mezzogiorno dalle condizioni di
profondo disagio in cui si trovava. La conseguenza fu una migrazione di massa, soprattutto
transoceanica, verso gli Stati Uniti, il Brasile e l’Argentina.

LE GRANDI RIFORME E L’AVVENTURA COLONIALE


Nel 1911 Giolitti annunciò di voler attuare una serie di riforme avanzate, traduci l’introduzione del
suffragio universale maschile, che avrebbe eliminato ogni limitazione di censo e grado d’istruzione
allargando il diritto di voto anche alle classi meno abbienti e agli analfabeti. Nel frattempo, il
movimento nazionalista si stava imponendo sempre di più sulla scena culturale, tant’è che nel 1910
era sorta l’Associazione nazionalista italiana. A questo punto Giolitti si convinse dell’idea dei
nazionalisti che sostenevano la necessità per l’Italia di imporsi sullo scenario internazionale e
quindi di riprendere la politica di espansione coloniale.
L’obbiettivo di Giolitti fu la Libia, soggetta all’Impero Ottomano, infatti nel 1911 l’Italia dichiarò
guerra alla Turchia. Con la pace di Losanna del 1912 la Libia divenne una colonia italiana, così
come le isole greche del Dodecaneso. In realtà però, l’iniziale entusiasmo si spense quando fu
evidente che la Libia era in realtà irrilevante poiché la regione ricca di terre fertili che si aspettavano
i nazionalisti si rivelò uno “scatolone di sabbia”.

La nuova legge elettorale promulgata da Giolitti estese il diritto di voto a tutti i cittadini maschi che
avessero compiuto 30 anni. A questo punto, le elezioni che si tennero nel 1913 videro la vittoria
dello schieramento liberale, alla quale contribuì decisamente il voto dei cattolici; infatti, il
presidente dell’Unione elettorale cattolica aveva offerto l’appoggio ai liberali che avessero
sottoscritto un patto, definito Patto Gentiloni, con cui si impegnavano in particolare ad opporsi ad
ogni tentativo di introdurre il divorzio e a difendere le scuole cattoliche e l’insegnamento religioso
nelle scuole pubbliche. L’alleanza tra librali e cattolici nel Patto Gentiloni non garantì più la
maggioranza a Giolitti e così in nuovo presidente del Consiglio fu Antonio Salandra, esponente dei
liberal-conservatori.
DESTRA SINISTRA
(CONSERVATORI) (PROGRESSISTI)

Cattolici Liberali
Monarchici Radicali
Nazionalisti Socialisti
Capitalisti Repubblicani

La prima guerra mondiale


IL 1914: DA CRISI LOCALE A CONFLITTO GENERALE
Nel giugno del 1914 l’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo, erede al trono d’Austria, fu
ucciso insieme alla moglie a Sarajevo da uno studente serbo. Dopo l’attentato l’Austria inoltrò
un’ultimatum alla Serbia con il quale esigeva una dichiarazione di condanna per l’accaduto e
l’impegno a punire i responsabili. Tuttavia, l’ultimatum fu respinto e così a luglio del 1914 l’Impero
austro-ungarico dichiarò guerra alla Serbia. L’assassinio di Francesco Ferdinando d’Asburgo fu il
casus belli, quindi la causa imminente della guerra, che tuttavia fu la conseguenza di crisi ben più
profonde che l’Europa si trovava ad affrontare. Le cause profonde della guerra erano di
connotazione sia economica che politica che culturale. Da un punto di vista economico lo sviluppo

Storia

industriale della Germania, un paese che stava emergendo sempre di più soprattutto dopo il riarmo
di Guglielmo II, spaventava in particolare l’Inghilterra e la Francia, le due maggiori potenze
economiche. In ambito politico la scintilla fu accesa in particolare dalla crisi dell’Impero austro-
ungarico che versava in condizioni difficili soprattutto nei rapporti con i paesi balcanici, ma in
generale dalla crisi di tutti gli Imperi centrali, come anche la Russia e l’Impero Ottomano. Riguardo
all’aspetto culturale, infine la guerra fu innescata a causa del crescente sentimento nazionalista,
figlio dell’Imperialismo, che stava investendo ogni Stato.

In ogni caso, dopo la dichiarazione di guerra dell’Austria alla Serbia scattarono immediatamente i
vari trattati di alleanza stipulati negli anni precedenti e uno dopo l’altro i paesi europei intrapresero
la via della guerra. La Russia, storica protettrice dei popoli slavi, mobilitò le proprie truppe a
sostegno della Serbia. A questo punto la Germania, alleata dell’Austria-Ungheria, non esitò ad
entrare nel conflitto e dichiarò guerra alla Russia e alla Francia, infatti le sue attenzioni erano rivolte
in particolare all’Alsazia e alla Lorena, ricche di materie prime.
Per giungere in Francia le truppe tedesche invasero il Belgio, il quale si era dichiarato neutrale,
infrangendo le regole internazionali. La mossa tedesca spinse la Gran Bretagna a schierarsi a fianco
della Francia dichiarando guerra alla Germania. Ad agosto dello stesso anno, inoltre, si unì
all’alleanza anti-germanica anche il Giappone, con lo scopo di allontanare i tedeschi dall’Estremo
Oriente.

Secondo l’Austria-Ungheria e la Germania la guerra sarebbe durata qualche settimana poiché il


piano tedesco era quello di una rapida guerra di movimento che prevedeva prima l’attacco alla
Francia attraverso il Belgio per coglierla di sorpresa e sconfiggerla rapidamente senza difficoltà e
successivamente l’attacco alla Russia, che avrebbe impiegato più tempo.
Tuttavia, l’avanzata tedesca attraverso il Belgio fu ostacolata da una inattesa resistenza, infatti
l’esercito anglo-francese riuscì a bloccare l’offensiva nella battaglia di Marna, nel settembre 1914.
Da questo momento la guerra, che sarebbe dovuta durare poco tempo, si trasformò da una guerra di
movimento ad una guerra di posizione. Infatti, il ristagno delle manovre offensive portò alla
costruzione di trincee scavate nel terreno, dove i soldati si proteggevano dagli attacchi nemici in
attesa di nuove battaglie sul capo. Le trincee divennero il simbolo stesso della guerra, nota anche
come “guerra di trincea”. Nelle trincee i soldati erano esposti al tiro delle artiglierie nemiche e
dovevano anche sopportare le intemperie, la malnutrizione e le pessime condizioni igieniche. Per
questo, la guerra di posizione non comportò un risparmio di vite umane.

L’ITALIA DALLA NEUTRALITA’ ALLA GUERRA


Di fronte alla possibilità di entrare in guerra, l’Italia si era dichiarata inizialmente neutrale
appellandosi al carattere difensivo della Triplice Alleanza, che obbligava le potenze alleate ad
intervenire solo nel caso in cui una di loro fosse stata attaccata. Le cause della neutralità dell’Italia
erano la consapevolezza di non poter contare su un forte apparato militare e la diffidenza che aveva
caratterizzato sin dall’inizio l’alleanza tra Italia e Austria.
Tuttavia, ci furono molti che iniziarono ad orientarsi verso l’ipotesi di un intervento armato, ma a
fianco della Triplice Intesa. Infatti si aprì un infuocato dibattito tra “interventisti” e “neutralisti”. Tra
i sostenitori della neutralità figuravano innanzitutto i Socialisti, fatta eccezione di Benito Mussolini,
che si schierò a favore della guerra e per questo venne espulso dal partito. Inoltre, era neutralista
anche lo schieramento cattolico e la maggioranza del Parlamento, che era ancora Giolittiana.
Invece, a favore dell’ingresso in guerra si schierarono i nazionalisti, che volevano per l’Italia un
futuro di grande potenza e anche coloro che ritenevano che solamente la guerra avrebbe consentito
di strappare all’Austria il Trentino e la Venezia Giulia per poter completare l’unificazione nazionale,

Storia

ovvero i partiti della sinistra democratica. Favorevoli alla guerra erano anche i sostenitori di
Antonio Salandra e del re Vittorio Emanuele III, e addirittura il re stesso vedeva di buon occhio una
guerra contro l’Austria. A favore dell’intervento ci furono, infine, i rappresentanti dell’industria
pesante, attratti dai profitti che avrebbero realizzato con la produzione dell’artiglieria.

NEUTRALISTI INTERVENTISTI

Socialisti Nazionalisti
Cattolici Industriali
Maggioranza del Sostenitori del Re e di
Parlamento (giolittiana) Antonio Salandra

Così, il 26 aprile del 1915 il governo italiano stipulò un patto segreto, chiamato Patto di Londra,
con le potenze dell’Intesa mediante il quale si impegnava ad entrare in guerra al loro fianco entro un
mese. Il patto venne firmato con il consenso del re ma all’insaputa del Parlamento e dell’opinione
pubblica. A questo punto fu necessario per il governo trascinare dalla parte della guerra il
Parlamento e così i nazionalisti iniziarono una forte esaltazione del sentimento nazionale durante il
mese noto come “maggio radioso”. Infine, il 24 maggio del 1915 l’Italia dichiarò guerra all’Austria-
Ungheria, entrando in guerra a sostegno della Triplice Intesa.

EDUCAZIONE CIVICA (dallo Statuto Albertino al Regno di Sardegna)


Lo Statuto Albertino, concesso da Carlo Alberto di Savoia al Regno di Sardegna, è stata la prima
forma di carta costituzionale che l’Italia ha ottenuto. Carlo Alberto di Savoia, nella sua stesura si
ispirò alle costituzioni del Belgio e della Francia, la quale era ispirata ai principi rivoluzionari.
Esso fu una conseguenza della pressione sociale poiché venne emanato il 4 marzo 1848 in seguito a
delle grandi proteste del ceto popolare e borghese. Lo Statuto Albertino venne esteso ai territori
fuori dal Regno di Sardegna con la nascita del Regno d’Italia, nel 1861.
Una differenza sostanziale con l’attuale Costituzione italiana è la sua flessibilità, quindi la sua
possibilità di essere modificata. Invece, la Costituzione è rigida, quindi non può essere modificata,
se non attraverso delle particolari procedure definite dalla Costituzione stessa. La flessibilità dello
Statuto Albertino permise al regime fascista di emanare leggi di natura totalitaria che lo stravolsero,
come ad esempio le leggi razziali. Dopo la seconda guerra mondiale, ci fu il superamento dello
Statuto Albertino, infatti l’Assemblea costituente, formata dalle forze della resistenza, si riunì per
stipulare l’attuale Costituzione, con l’obiettivo di eliminarne la flessibilità per evitare un nuovo
totalitarismo. L’attuale Costituzione italiana entrò in vigore il 1 gennaio del 1948.
Inoltre, lo Statuto Albertino era una Costituzione ottriata, ovvero concessa dal re e questo spiega la
sua flessibilità, poiché i sovrani cambiano. Esso fu emanato dal re per l’esigenza di sedare i
disordini rivoluzionari ed anche per costituire una base per lo sviluppo del sentimento nazionale,
che ancora non era sorto negli anni subito successivi all’unificazione.
Diversa è l’attuale Costituzione italiana, che invece è di natura democratica.

Potrebbero piacerti anche