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Disneyland e altri non luoghi

Introduzione Luoghi e famosi Cliches


Il libro Disneyland e altri non luoghi pone una certa riflessione per quanto riguarda il
tema delle vacanze, nella società moderna e globalizzata, come il concetto di vacanze
sia cambiato e assume un valore diverso, prima di tutto perché l’equazione : vacanze
= campagna non è più cosi evidente per una serie di ragioni.
Il viaggio impossibile è quello che non faremo mai più, ed è proprio quello che
avrebbe potuto farci scoprire paesaggi nuovi e altri uomini, quello che avrebbe potuto
aprirci lo spazio ad incontri e a conoscenze . La critica essenziale volge al fatto che
si, bisognerebbe viaggiare, ma non bisognerebbe far del turismo, le agenzie di
viaggio hanno diviso la Terra in percorsi, soggiorni, in club accuratamente preservati
da ogni possibilità sociale indesiderata, ed hanno trasformato la natura in un
prodotto come altri fanno della letteratura e dell’arte, questa ragione è alla base
della trasformazione del mondo in finzione e della sua derealizzazione.
I testi raccolti in questo libro hanno varia origine:
1. Una prima serie ( Reportages ) comprende tre articoli pubblicati nel 1992,
1995, 1996 di cui abbiamo:
- Tre giorni a Saint Marc sur-Mer
- Tre giorni a Center Parcs
- un solo giorno a Disneyland.
Sono considerabili come racconti di viaggio
2. La seconda serie ( Clichès ) riunisce tre testi concepiti sin dall’inizio per
accompagnare le immagini di alcuni cortometraggi :
- Mont-Saint-Michel
- L’affare Waterloo
- I castelli di Ludovico II
3. Una terza serie riunisce tre testi :
- Il viaggio ad Aulnay
- La città tra immaginario e finzione
- Una città di sogno – esercizio di immaginazione.
Reportaages
Un etnologo a Disneyland
In una giornata di mercoledi l’etnologo Marc Augè fu invitato a praticare l’etnologia
della modernità a Disneyland assieme ad una sua collega fotografa e cineasta
Catherina. Catherina aveva bisogno di filmare il lavoro dell’etnologo e quindi si son
presentati a Disneyland muniti di attrezzi idonei, inizialmente col timore che la
macchina da ripresa fosse troppo sovversiva e quindi non li avrebbero fatti entrare.
L’emozione illusoria di quando si arriva a disneyland nasce dal paesaggio: la visuale
del castello della Bella Addormentata che si staglia sul cielo con le sue torri e le sue
cupole.
Il primo dubbio : perché c’erano tante famiglie americane che visitavano il
parco, quando evidentemente ne avevano già visitato quelli simili di
Oltreatlantico? Essi vi ritrovavano quel che conoscevano già.
Il primo impatto in questo posto era la conformità dei luoghi e ben presto appena
arrivati il timore che i due ricercatori avevano diventò sollievo quando i mezzi di
ripresa non destarono alcun sospetto e non attrassero l’attenzione, bensi è la loro
assenza che sarebbe stata sospetta , poiché non si visita Disneyland senza un
apparecchio fotografico. Tutti i bambini di più di sei anni ne hanno uno.
Catherine per filmare tutto iniziò a riprendere le persone che filmavano, ciascuno di
coloro che filmava o fotografava era a sua volta filmato e fotografato mentre filmava
e fotografava. Si va a Disneyland per poter dire di essere andati e fornire una
prova .
Il secondo sollievo fu quello che i bambini non erano poi cosi numerosi come
l’etnologo immaginava ma nel complesso c’erano più adulti che bambini ,
l’etnologo ha avuto come l’impressione che famiglie intere si siano mobilitate per
accompagnare il piccolo, ma il bambino risultava anche un pretesto, come se
sapessero già che l’esperienza al parco è innanzitutto destinata agli adulti .
Tutto quello che c’è intorno è costruito a scala naturale ma i mondi che si scoprono
sono mondi miniatura. La città, il fiume, la ferrovia sono modelli ridotti, ma i cavalli
sono veri, le auto sono vere, le case sono vere e i manichini sono a grandezza umana.
In questo luogo sono tutti attori in un certo senso e si capisce che sia cosi importante
filmare per essere filmati. Il piacere degli adulti consiste proprio nell’introdursi in
ciascuno di questi scenari, Scenari ricchi di musica che cambia da un “padiglione”
all’altro una deambulazione perpetua che fa stancare anche gli adulti, eppure non
bisogna perdersi niente per approfittare del denaro speso, poiché si è comprato a
forfait il diritto di vedere tutto . Ma verso le 18, 19 di sera le persone non sono più
fresche, non solo i bambini che sono già nelle carrozzine o si fanno trascinare ma che
i genitori hanno l’occhio spento. Di sera Catherine filmava solo volti gravi e tristi .
Improvvisamente l’etnologo capi che quel che c’era di seducente nell’insieme di
quello spettacolo, il segreto del fascino che esercitava era: L’EFFETTO DI
REALTA’ CORRELATA’ ALLA SURREALTA’ che produceva il luogo di
tutte le finizioni . Noi viviamo in un epoca che mette in scena la storia, che ne fa
uno spettacolo e in questo senso derealizza la realtà. A DISNEYLAND E’ LO
SPETTACOLO STESSO CHE VIENE SPETTACOLARIZZATO e il viaggio a
Disneyland è la quintessenza del turismo QUEL CHE ANDIAMO A VISITARE
NON ESISTE .

Un etnologo a Le Baule
L’ultima domenica di giugno l’antropologo Marc Augè fu invitato a scrivere un
articolo sulle spiagge estive. Dopo aver girovagato per le vie della Loira giunse nei
dintorni di Saint Nazaire. L’antropologo risulta un po’ preoccupato e incerto su quel
che avrebbe dovuto cercare per una buona scrittura. Quella mattina il cielo era
azzurro, e giunse alla spiaggia di Saint Marc a mezzogiorno, fece una passeggiata e
notò prima di tutto qualche giovane che dormiva in spiaggia, qualche bambino che
giocava nell’acqua, finchè non arrivò al molo, cui vide una ragazza in topless.
La cosa che più lo sorprese fu la conformità del luogo all’immagine che ne aveva
dato un film, in cui l’antropologo ebbe la sensazione di vivere una cosa che non
aveva vissuto, sentiva di esser entrato nella finzione di quel luogo, andò via da quella
spiaggia per dirigersi a Le Baule, mentre si avviò l’ingorgo sul lungomare, gli fece
presagire ci sarebbe stata tanta gente. Arrivato nel luogo, si sistemò sulla terrazza di
un ristorante e iniziò ad osservare.
1. C’era più gente che a Saint Marc ma ancora l’occupazione dello spazio non
si poneva come problema.
2. Tra i gruppi disposti sulla spiaggia lo spazio che li separava era all’incirca di
12 metri , in cui i piccoli gruppi erano disposti a scacchiera
Ma arrivate le 15 del pomeriggio la spiaggia iniziò a popolarsi rapidamente . La
prima constatazione fatta dall’antropologo è quella che benché ci sia molta gente
a le Baule , la vita di spiaggia ha i suoi ritmi e le sue ore. E questa ne era una
dimostrazione. Passata meno di un’ora la distanza tra i gruppi in riga passò da 12 a a
6 e successivamente a 3 metri , ma si mantenne comunque la disposizione a
scacchiera. L’etnologia delle spiagge passava per questi tre punti :
- L’impiego del tempo
- L’occupazione dello spazio
- La gestione del corpo
La spiaggia al mattino risulta poco frequentata, a mezzogiorno si mangia, e nelle ore
di punta si torna o a casa o in albergo.
Un altro punto da considerare è l’inattività propria della vita di spiaggia cui è
l’occasione per molti di sentire il passare del tempo e sperimentare la lunghezza
dei minuti e la rapidità delle ore. Il miracolo del bel tempo da corpo al tempo. La
sensazione del tempo che scorre vi ritrova un certo spessore attraverso una
sensazione infantile.
Con il caldo che faceva marc augè notò che se tutti i bambini sguazzavano nell’acqua
erano pochi gli adulti che magari si bagnavano solo le braccia .
In tutto questo il mare in primo luogo era rumore e a volte anche movimento.
Il secondo giorno l’antropologo tornò a Saint Marc e provò a fare la stessa
constatazione: nel pomeriggio la spiaggia si era riempita, ma non obbediva allo
stesso ordine della spiaggia la Baule. In questa spiagia la disposizione
dell’affollamento era molto vicino all’acqua , inoltre a Saint Marc la frequentazione
della spiaggia era più giovane e più locale. E cosi bastava passare dalla spiaggia di
Saint marc a quella di le baule per cambiare ambiente. La spiaggia copre per chi la
occupa un diritto alla natura, e in questo singolare copre anche molte
ineguaglianze ma la spiaggia al singolare era anche in occidente il simbolo di
condiviso e senza dubbio INGANNATORE DELL’EVASIONE E FORSE
DELLA FELICITA’.
Ultimo lunedi di giugno, dopo che marc augè passò la giornata a saint marc, risalì
nella camera d’albergo alla fine del pomeriggio… dopo qualche minuto di relax si
sentì trasportato in un film.
Filmata o no la spiaggia resta luogo delle futilità essenziali. Sulla spiaggia si passa
il tempo e il tempo passato si ritrova dolo sulla spiaggia. L’immaginazione e la
memoria si confondono nel consumo innocente del tempo perduto e ritrovato. I
ricordi sono altrettanto fittizi e altrettanto veri che i sogni. Si perdono e si
ritrovano . Ciascuno recita la sua parte.

Un etnologo a Center Parcs


Ciò per cui Marc Augè fu attratto nel visitare Center Parcs era la cupola, ove una
temperatura costante di 29 gradi assicurava per tutto l’anno il calore tropicale ai
visitatori della Normandia. La cupola di Center Parcs offriva un luogo di riposo e
delizie, un’acqua sempre calda, una vegetazione lussuosa, i tropici a due passi da bar
e ristoranti e dall’aria normanna.
Prima di tutto l’antropologo notò con attenzione l’opuscolo d’invito a Center Parcs:
molto dettagliato, ben illustrato, attraente. L’idea propagandata dall’opuscolo era
quella di un Paradiso acquatico tropicale ove vi era:
- Una piccola laguna di ceramica poco profonda ove chiunque poteva
sguazzare tranquillamente;
- Qualche onda artificiale prodotta dai macchinari per rendere tutto più reale
- Una falsa cascata
- Bagni Jacuzzi.
Quell’opuscolo proponeva il reale fatto a finzione, IL REALE RIMODELLATO
DALL’INTELLIGENZA E DALL’IMMAGINAZIONE: L’IDEA.
E da quest’idea l’antropologo fu attratto. In cui l’ideale non erano solo le rive
tropicali, ma era Center Parcs. Cosi una bella sera di giugno decise di andare a
visitare questo posto, arrivato a destinazione e dopo il viaggio e dopo aver
parcheggiato notò subito grandi gruppi loquaci di ciclisti di tutte le età, tantissimi
bambini eccitati e anziani, una vegetazione ricca ma recente e una moltitudine di
Bungalow di diverse dimensioni o di Cottges come li si chiamava in quel posto,
collegati da vialetti o da strade asfaltate.
Prima di dormire l’antropologo passò tra vari ristoranti e boutique molto frequentati,
e appena si accorse che davanti a questi locali c’era un gran chiasso dovuto al
karaoke e agli applausi, scappò verso il paradiso acquatico tropicale per sbirciare la
cupola, andò a dormire e il giorno dopo alle 11 tornò. Marc Augè si sentì un po’
sconcertato poiché c’erano le palme, c’era la cascata, c’erano i bagni jacuzzi ma dopo
aver fatto il giro in questione e seguendo la fila di giovani rumorosi, iniziò a sentirsi
un po’ solo . Anche in questo posto lo spazio era come a le Baule ma in piccolo tanto
che non trovò neanche un centimetro quadro per distendere l’asciugamano e non
una sedia da poter occupare, anche se le sedie non erano tutte occupate portavano
segni di appropriazione, cosi un po’ malinconico andò via dal “Paradiso” ove li ebbe
due rivelazioni:
1. Osservò attentamente numerosi residenti uscire dalla panetteria con delle
baguette in mano e altri cercavano con lo sguardo dove potesse esser finita la
prole, e un po’ più tardi ai suoi occhi apparve una coppia giapponese , che
filmava con diligenza la fattoria dei bambini, il fatto notevole era l’assenza
totale delle telecamere o apparecchi fotografici , questo posto risultò agli
occhi dell’antropologo agli antipodi di Disneyland o luoghi famosi del turismo
internazionale. Infatti Center parc funziona proprio come una cittadina di vere
e proprie case, in cui tu dovresti sentirti a casa
2. La cupola centrale a quel punto assunse un altro significato diverso da quello
legato alla pretesa esotica tropicale : essa è al tempo stesso la spiaggia dove
si potano i bambini, il centro commerciale dove si vanno a fare le
commissioni e la piazza pubblica che bisogna attraversare per andare a
ballare, per andare al bar o al ristorante.
E’ l’idea del nido che è messa in risalto dai redattori dell’opuscolo: sette-
ottocento cottages riuniti in uno spazio relativamente limitato.
La gente in quel luogo sembrava felice, i villeggianti giocavano quando facevano
finta di prendere per vero lago l’acqua fangosa sul quale si trascinava qualche pedalò,
giocavano facendo suonare allegramente il campanello delle loro bici per richiamare
l’attenzione del pedoni, giocavano quando si innalzavano alle tecniche del golf.
Giocavano perché era tutto basato sul gioco e la finzione, l’opuscolo invitava alla
prudenza poiché il luogo era sito in piena campagna, ove c’erano degli insetti e
bisognava portare un equipaggiamento adeguato, ma i villeggianti sapevano di non
correre grandi rischi poiché loro davano modo di far sognare i propri figli, ma
l’entusiasmo dei bambini era a sua volta in funzione alle certezze dei genitori.
Il risultato più chiaro di questa totale assenza di esotismo era un’atmosfera
bonaria una certa simpatia, o per lo meno, una certa unità di tono tra
villeggianti e impiegati.
E del resto a Center Parcs regnava l’ordine ma non vi era alcuna polizia visibile ma
UN SISTEMA D’INTERVISTE E DI SORVEGLIANZA EFFICACE .
A questo punto l’antropologo sidomanda se tutto quello di cui è circondato è
veramente vero, , tutto ciò che lo circondava invitava a svolgere un gioco di ruolo :
il padre sportivo, l’adolescente sveglio il nonno indulgente , era tutta una
finzione.
C’era un tempo in cui il reale si distingueva chiaramente dalla finzione, in cui ci
si poteva far paura raccontandosi storie ma SAPENDO CHE ERANO
INVENTATE, si andava in luoghi specializzati in cui la finzione copiava il reale.
AI NOSTRI GIORNI SI PRODUCE L’INVERSO E’ IL REALE CHE COPIA
LA FINZIONE , IL MINIMO MONUMENTO DEL PIU PICCOLO
VILLAGGIO( LA CUPOLA) SI ILLUMINA PER ASSOMIGLIARE AD UNA
SCENOGRAFIA E SE NON ABBIAMO TEMPO PER ANDARLA A VEDERE
DAL VIVO LA SI RIPRODUCE SUI CARTELLONI POSTI AI MARGINI
DELL’AUTOSTRADA.
E’ LA SPETTACOLARIZZAZIONE,CHE FA SALTARE LA DISTINZIONE
TRA REALE E FINZIONE E VI SONO VARI FATTORI CHE INCORRONO
A QUESTO TRA CUI IL TURISMO E IL RUOLO CRESCENTE DELLE
IMMAGINI, LA DEMOGRAFIA E LA LOTTA TRA CLASSI.
Center parcs è un pezzetto della foresta normanna penetrato dell’onnipotente finzione
ed è il futuro delle nostre regioni.

Cliches
Un etnologo a Mont SaintMichel
Mont Saint Michel è un monte che per l’antropologo marc augè resuscitava dei
ricordi risalenti a quando era bambino, così quando la sua amica Catherine le aveva
annunciato il desiderio di voler filmare questo luogo hanno deciso di fare un giro,
appena arrivati Catherine decise di allontanarsi dall’antopologo e di seguir un po’ in
maniera solitaria il cammino, salendo per il monte la prima cosa che notò furono le
potenze seduttrici dei commercianti abili nelle loro trattative : menù a prezzo fisso,,
cartoline postali, spettacoli audiovisivi di ogni tipo, ricostruzioni storiche…) per
attirare i viaggiatori di passaggio.
Camminare ancora per salire significa trasformare l’attesa in speranza con la
sola virtù del movimento.
Tra la presenza di luoghi santi, siti storici e paesaggi grandiosi vi sono anche le
presenze di quegli abili commercianti che portano confusione alla bellezza di quel
luogo, e la bellezza del paesaggio viene ingrandita con l’omaggio ingenuo di un
piccolo prodotto d’artigianato industrializzato. Ma del resto abbiam bisogno tutti
delle immagini per credere nel reale e di accumulare le testimonianze per esser
sicuri di aver vissuto.
Tra turisti e pellegrini gli uni si mescolano con gli altri .
Quella mattina marc augè si accorse che dopo aver fatto quello strano percorso
popolato da musei , da negozi, ristoranti che il luogo aveva perso la sua sacralità.

L’affare Waterloo
Marc Augè si trova in belgio, affascinato dalle strade e dallo scenario surrealista, ma
in questo senso rimase affascinato di quanto Wateloo lo sia ancor di più con i suoi
strani monumenti che si caricano di un’incongruità significativa quando nel
chiarore della sera sono andati via gli ultimi visitatori , e bisogna aspettare
l’indomani mattina per rimettere in moto la macchina del souvenir con : manichini in
cera, film, ricostruzioni, vedute panoramiche della battaglia, oggetti diversi, cartoline
postali.
Marc Augè quel giorno aiutò Catherine per svolgere un sopraluogo a Waterloo giorno
in cui l’inghilterra e la francia avrebbero dovuto scontrarsi in una partita a rugby a 15.
Quel giorno era un doppio tradimento, nel corso della giornata l’antropologo notò la
particolare attenzione a come tutto richiamava il guerriero Napoleone: statuette, birre,
ristoranti, servizi da caffè, e cosi anche i turisti inglesi sono costretti a constatare che
gran uomo era. Forse la sua grandezza memorabile era dovuta al fatto di essere
sacrilegio ed eroico: di essersi sollevato contro il Destino che l’aveva condannato,
con l’ultimo rituale di ribellione e la spinta oltre l’estremo limite, ed ecco perche
la sua figura ritorna nella memoria collettiva come un richiamo all’allegoria e al
mito . La critica di Marc Augè è che la memoria si aggrappa più al mito che alla
storia , e la cosa più notevole qui era la memoria , ove i francesi erano i visitatori
meno numerosi mentre gli inglesi visitavano tutto . Quello che si trova in quel posto è
una buona memoria pronta a riscrivere la storia e un po’ ci riusciva perché uno su due
lascia Waterloo con la convinzione che abbia portato lui la vittoria.
La modesta consolazione la dice lunga sul bisogno che abbiamo di credere agli
eroi.

I castelli di Ludovico II
L’autore si ritrova a Herrenchiemsee a visitare il castello di Ludovico II, il primo
impatto che ha è una specie di reggia di Versailles ma su scala ridotta che strappava
l’ammirazione del pubblico visitatore. La prima riflessione è volta sull’aspetto del
pubblico, infatti esso sembra proprio un pubblico modello: modello di pazienza,
serietà, attenzione alla guida , ma anche nel senso di moda e dell’industria
automobilista, cosi Marc Augè inizia a pensare che quel pubblico facesse finta di
esser un pubblico, cosi come Ludovico II si era fatto dipingere con gli abiti e nella
stessa posa di Luigi XIV imitando quello che non era già altro che un’immagine .
E lo stesso castello risulta essere una finzione poiché incompiuto, Ludovico II non ha
vissuto 8 giorni poiché deceduto , il XIX secolo imita il XVII secolo . Il pubblico
visita un’idea, un intenzione, un progetto che è quasi solo un’oggetto, e per una
sorta di ironia della sorte tutti i Castelli di Ludovico II dopo la morte sono
diventati luoghi di visita come se il turismo fosse la loro ultima retrospettiva di
VERITA’ e la sola loro RAGION D’ESISTERE. E’ cosi che ludovico diventa il
fantasma delle caroline e dei souvenir. Ludovico II concepiva i suoi castelli come
delle maquette, è senza dubbio l’idea di castello, l’immaginazione di quel che in
esso avrebbe potuto fare se ci avesse abitato che interessava più della realtà. IL
GIOCO E’ IL MODELLO RIDOTTO DELL’AVVENTURA. La vita imita il
teatro e un luogo come questo castello diviene la scena costantemente allegorica dove
tutto rappresenta qualcosa: la sovranità, il potere, la solitudine, la natura . Ma la
rappresentazione nel senso teatrale del termine non inizia mai forse perché essa
dovrebbe rappresentare troppe cose a sua volta e i visitatori si chiedono cosa sono
venuti a fare finita l’attesa al termine del percorso in fondo alla grotta e il sipario
resta calato, come per sottrarre alla vista l’opera che non vedranno mai, eppure le luci
funzionano, la scena si illumina, e tutti sanno che il teatro come la natura ha terrore
del vuoto: che, sempre abitato dai rumori degli spettacoli passati e da quelli futuri .
Qui l’illusione della rappresentazione è ridotta alla sua più semplice espressione ,
alla pura evidenza : una scena deserta , al ricordo di solitudine e i visitatori dopo
il primo stupore e dopo aver scattato le prime foto scoprono confusamente di
esserne oggi solo attori. Ma l’essenziale dei visitatori sta nel movimento, nel
girare il mondo solo per avere l’impressione di avanzare .

Passeggiate in Citta’
Il viaggio ad Alunay
Gli architetti Pistre e Valode sono riusciti a creare una fabbrica, quella della L’Oreal
ad Alunay originale da molti aspetti: sia come fabbrica ma anche come spazio di
rappresentanza del gruppo l’Oreal, luogo Funzionale e simbolo di un nuovo
rapporto tra ambiente e lavoro. Gli osservatori della stampa specializzata o quella
nazionale si ritrovarono sedotti dalla fabbrica di Alunay, erano sensibili a come i due
architetti avevano adattato quello spazio (quasi aggressivamente ingrato) alla
creazione di un luogo di bellezza, avevano conciliato un terreno relativamente
piccolo dando anche come desiderato dagli operai e impiegati, degli spazi di libertà,
hanno saputo combinare tecnica ed estetica, la funzione del simbolo, la
produttività e la relazione sociale.
Incuriosito dalle recensioni della stampa, l’autore si avviò con interesse e curiosità
nel visitare la fabbrica. Marc Augè non andò ad Alunay per fare un’inchiesta
etnologica della fabbrica stessa, del rapporto con il lavoro, dei rapporti di lavoro, ma
per avere solo una visione globale del nonluogo, benchè antropologo non era andato
per interrogare uomini e donne ma uno spazio.
E’ la dimensione simbolica dello spazio della fabbrica che l’autore andò ad
esplorare .
Materie e metafore
Il viaggio non era privo di alcun interesse anche perché quello che l’autore andò a
visitare fa parte di un concetto che pochi anni prima porto alla nascita promotrice di
dell’idea caratteristica della surmodernità: i nonluoghi, il nonluogo è il contrario del
luogo , è uno spazio in cui colui che lo attraversa non può leggere nulla ne della sua
identità ne dei suoi rapporti con gli altri o dei rapporti tra gli uni e gli altri , al
contrario insomma del luogo, che può rispecchiarsi in un piccolo villaggio nascosto
nel verde il cui campanile proteso verso il cielo accompagna i nostri sogni e alcuni
dei nostri manifesti elettorali. Il nonluogo sono le componenti principali del
paesaggio della periferia urbana odierna(autostrade, centri commerciali,
supermercati..) che condannano l’individuo alla solitudine e all’anonimato
proprio in misura in cui questo paesaggio SI SQUALIFICA perduto tra un
passato senza traccia e un futuro senza forma.
Appena arrivato Marc Augè rimase sensibile poiché tutto quello che lo circondava
richiamava una metafora marina , che già certe fotografie che aveva visto lo
avevano particolarmente ispirato a questo, quest’impressione iniziale era piuttosto
una coincidenza la luce del cielo ombroso donava una lucentezza metallica al
tetto che risultava accentuato anche per quanto riguarda la forma che richiama
3 onde convergenti verso il centro. Quello che a Marc Augè sembrava metafora
marina, per Valonde e Pistre la metafora richiamava quella dei petali poiché il
giardino interno verso il quale il tetto converge ricordava più il pistillo di un
immenso fiore campestre che le sabbie di una spiaggia marina.
La metafora marina di Augè è dovuta più ad un incongruenza geografica in cui si
trova la fabbrica, poiché il luogo Alunay non assomiglia affatto ad un porto
commerciale . Cosi Augè dedusse che gli architetti, con grande intuizione avessero
mescolato anch’essi metafore quando parlavano nella loro rappresentazione di
tetti fluttuanti al di sopra degli spazi di lavoro che danno la sensazione di essere
realmente sotto una grande ala sottile.
Le allusioni marine del luogo rientrano nella metonimia della metafora: alcune
immagini parziali che richiamano quella marina(vele, onde, celo cupo, passerella,
una riva, scafo) che non si fondono mai in un quadro compiuto e ciascuna di loro apre
l’immaginazione ad altro, allo stesso modo la metafora del fiore esplode in varie
allusioni (i tetti a forma di petali e gli stessi tetti che poi visti all’interno sembrano
foglie d’albero) e poi vi è un’altra metafora che si scontra ovvero quella della pelle
cui alcuni osservatori ci hanno fatto caso, in quanto la materia delle grandi bele
bianche che si piegano come una lenta ondata al di sopra dei laboratori evoca una
pelle bianca, liscia, brillante, quest’ultima metafora ritrova argomenti tecnici: la
metafora della pelle è il punto di forza della fabbrica di alunay. Un’architettura
di pelle, che richiama anche il concetto di organico e vivente, è un’architettura
che si avvicina alla statuaria da una forma sensibile, è un’architettura che
scolpisce.
OGGI LA TENSIONE MAGGIORE DELL’ARCHITETTURA NON E’
TANTO TRA LA FORMA ESTERNA E LA SISTEMAZIONE INTERNA MA
QUANTO TRA LA FORMA E LA MATERIA . L’architetto deve inventare
Gesti ( slanci e movimenti) che trascendono l’opposizione tra forma e materia
per dar luogo a una DIMENSIONE SIMBOLICA.

Spazi e simboli
Realizzare un gesto non è facile, ma bisogna farlo se non si vuol realizzare una
replica di un’oggetto della natura, come la poesia anche l’architettura qui evoca ma
senza imporre. Essa permette alle immagini di rimbalzare in piani di memoria e
piacere. Se un simbolo è un simbolo di qualcosa ci si potrebbe chiedere se con la sua
forma la fabbrica di Alunay simboleggi qualcosa come l’impresa moderna e i nuovi
rapporti di lavoro nell’impresa, o ancora i nuovi rapporti tra i vincoli
dell’ambiente e il lavoro di fabbrica. Ma la lettura verticale di un simbolo è
sufficiente per delineare che un simbolo non è solamente un simbolo di qualcosa, ma
è tra le cose o tra gli esseri o gli esseri e le cose che sono collegati i simboli, ed è
questo ciò che gli unisce.
E’ un quadro doppio ove le due dimensioni stanno insieme e dipendono l’una
dall’altra. Rispetto al piano simbolico l’architetto è sottoposto a una sfida perché gli
si chiede di tanto in tanto di dar luogo ad un simbolo, di renderlo visibile, di farlo
esistere materialmente, questa è una sfida poiché va al di la delle ragioni
puramente legate alla tecnica architettonica se il simbolo attecchisce, il
monumento diventa un simbolo e la sua esistenza avrà preceduto la sua essenza.
L’architettura gode dello spazio, materia prima dell’architetto. E lo spazio come ben
sappiamo è anche materia prima del simbolismo, più esattamente lo spazio affrontato
dagli uomini è visto come rapporto sociale : residenza, spazi pubblici, spazi di
amministrazione … e quando questi spazi, questi simboli, seppur agli antipodi nei
loro significati, si riuniscono danno vita a quel concetto chiamato simbolismo
orizzontale dal quale discende il simbolismo verticale. Essi significano e
simboleggiano qualcosa solo se sono riusciti a collegare o a riunire qualcosa, ad
ordinare ed identificare coloro che li abitano o li frequentano.
La fabbrica di alunay è composta da due aspetti : in primo luogo è il carattere civile e
il senso di apertura che governa questo luogo, se non che visitatori e operai sono
legati ad oltrepassare le stesse vie e le stesse aree, gli stessi percorsi, questi spazi
hanno la caratteristica di essere frequentabili e i passaggi da una parte all’altra si
verificano senza attesa e alcuna rottura . Civile è proprio quello che identifica gli
spazi di questa fabbrica e il senso di apertura innovativo, non vi è alcuna disciplina
militare o religiosa a controllare il posto. L’apertura dello spazio, l’assenza di muri
e di corridoi ha un forte significato sociale . Il senso di apertura più noto lo si
guarda al piano terra con l’organizzazione del lavoro. La macrocatena di
montaggio ha sostituito quella classica , le macchine necessarie per la confezione
e fabbricazione dei prodotti sono riunite in uno stesso luogo sotto il controllo di
una o due persone. Ciascun operaio e ciascun visitatore qui è manifestamente
padrone dell’intero processo di elaborazione , almeno all’ultimo stadio del prodotto e
questa modernizzazione della pratica industriale trova il suo luogo nello spazio
aperto delle grandi ali bianche del tetto di alluminio e polietilene.
L’organizzazione dello spazio che produce un senso civico e una certa socialità e
legato ancora ad altre due osservazioni
1. Un passo fatto poiché si è sviluppata una concezione moderna e liberale del
lavoro in fabbrica lo spazio qui ha un gran valore simbolico poiché si può
supporre che i rapporti di lavoro e il rapporto con il lavoro siano più facili
2. La seconda osservazione riguarda il contesto, l’ambiente e la difficoltà del
gesto architettonico che rischia di rimanere isolato cosi come la stessa portata
simbolica del gesto rischia di risultare limitata
Il problema più generale : un monumento può essere il simbolo di una città se lo
spazio di quest’ultima non vi si presta ? può esserci simbolo senza urbanismo
centrato?
E’ possibile che la fabbrica di alunay simboleggi un nuovo modo di concepire il
lavoro ma anche la sua volontà di modernismo, ecologia e apertura al mondo ma non
è sicuro, perché non esiste una concezione degli spazi che permetta di passare
dall’uno all’altro nel corso di quella che potremmo chiamare una passeggiata.
Immagini e sguardi
Con la sua bellezza paradossale la fabbrica di alunay fa emergere un problema non
ancora risolto : chi farà il viaggio fino ad Alunay? Per prima cosa coloro che vanno a
lavorare che ogni giorno saranno costantemente incitati a divenire spettatori di se
stessi negli spazi di svago naturalmente come bar o nella mensa aziendale ma anche
in misura minore negli spazi di lavoro, poiché non esistono praticamente separazioni
all’interno dei tre laboratori. Questo risulta come un invito a non perdersi di vista a
tenere sott’occhio l’immagine di quel che si fa, di quel che si è, che rientra in quel
linguaggio che è la cultura d’impresa. I lavoratori assumono anche il ruolo di attori
e spettatori e questa esemplarità garantisce l’occupazione e la qualità delle condizioni
di lavoro anche perché sono consapevoli di contribuire a essere in qualche modo i
veri attori di quello che è lo spettacolo della fabbrica di aulnay.
Le metafore parziali campestri o marine che ci ispiravano alla forma della materia
dell’edificio assumono ancora un altro significato e queste qualità ne richiamano altre
e in particolare quella che le riassume tutte : è la metafora del pianeta (terra cielo e
mare insieme) . La fabbrica è concepita per dare un immagine di se stessa . Alla
fine del film all’inizio della visita le tende si aprono e gli spettatori scoprono : la
realtà dello spettacolo e lo spettacolo della realtà: un mondo che rimane
nell’immagine.
Infatti essa esiste solamente attraverso le immagini che altri danno di se o che loro
stessi si fanno di loro il miracolo dell’architettura qui consiste nel creare nello
stesso movimento le condizioni della produzione e quelle dello spettacolo, il
miracolo dell’architettura consiste nel rendere il luogo al tempo stesso reale e
virtuale.

La citta’ tra Immaginario e Finzione


La città per Marc Augè assume un ruolo romanzesco, poiché è l’ambiente in cui i
romanzi del XIX secolo sono ambientati, questa constatazione può far riflettere per
due movimenti complementari e inversi:
- L’autore attraverso la città che ha evocato
- Le città attraverso coloro che le hanno amate e descritte.
Per la capacità di trasmutazione, la città è anche poetica.
Il romanzo è più immediatamente plurale della poesia: l’idea d’incontro gli è
essenziale e, per quanto soggettivo, è sempre più o meno sociale nel senso che a
prescindere di quali siano la trama e lo stile, la società vi è sempre presente e attiva.
Il romanzo chiama l’attenzione dell’antropologo poiché egli vi scopre la traccia
dell’enigma che lo attrae al quale la città ne fornisce una scena esemplare :
L’EVIDENZA SIMULTANIA DELL’IMPENSABILE SOLITUDINE E
DELL’IMPOSSIBILE SOCIETA’ : La minaccia della solitudine e l’ideale che non
si riesce mai a concretizzare, la società.
Questa visione romanzesca è spesso espressa anche nel cinema, La città esiste in virtù
dell’immaginario che suscita e che vi fa ritorno, che essa alimenta e di cui si nutre, il
nostro rapporto con l’immagine cambia come cambiano le città o più in generale
le società per questo porsi il problema della città immaginaria, per marc Augè vuol
dire dunque porsi una doppia questione sull’esistenza dell’immaginario nel
momento in cui si estende il tessuto urbano e in cui l’organizzazione sociale si
modifica e in cui le stesse immagini si diffondono allo stesso modo su tutta la
terra.
Possiamo ancora, in senso proprio, immaginare la città in cui viviamo, farne supporto
dei nostri sogni e delle nostre attese?
Per rispondere a questa domanda l’antropologo cercherà di mettere a confronto la
forma della città con le forme dell’immaginario individuale e collettivo :
- la città memoria: città dove si inscrivono le tracce della storia collettiva ma
anche migliaia di storie individuali;
- la città incontro : città in cui uomini e donne possono incontrarsi o sperare
di incontrarsi ma anche una città che si incontra , che si scopre, e si impara
a conoscere come una persona
- la città finzione : quella che rischia di far scomparire le prime due città , la
città d’immagini, di schermi dove lo sguardo si perde nei giochi di specchi
delle ultime sequenze dei programmi televisivi, e dello spettacolo.
La città memoria
Memoria e storia in questa città si coniugano. Ciascuno degli abitanti ha il suo
rapporto personale con i monumenti che a loro volta sono testimoni di una storia più
profonda e collettiva. Il percorso urbano di ogni individuo a questo modo diventa
appropriarsi della storia attraverso la città. Questo riferimento alla storia, inoltre,
non è decentralizzato da ciascun di loro che effettuano il percorso, ma impiega tutti
gli spostamenti, in particolare quando si incrociano gli itinerari degli abitanti
della città e quelli dei suoi visitatori. Doppiamente esemplare è il metrò : ogni
giorno numerosi passeggeri prendono lo stesso metrò, questi tragitti regolari possono
creare una certa familiarità tra alcuni di coloro che hanno gli stessi orari , o tra il
viaggiatore e il come delle stazioni di cui si conosce a memoria la linea. Questi nomi
alludono spesso a riferimenti storici diretti o indiretti . Se il metrò è esemplare perché
è anche luogo di ricordi personali. Colui che prende ora ogni giorno la linea di metrò
aveva un tempo altri tragitti, altre coincidenze, perché aveva un’altra vita
professionale, familiare, sentimentale e anche altri spazi, testimoni di un tempo
passato e un tempo che passa . Lo spessore storico della città si apparenta spesso
con l’ideale di modernità e a questo punto, può darsi che oggi sia difficile non solo
raggiungere ma mantenere tale ideale, la modernità accumula e concilia.
Questo ideale di modernità si traduce in tutte le imprese che mirano a mescolare i
generi nella forma ricomposta della città, possiamo pensare ad alcune grandi opere
parigine: la piramide di Louvre ad esempio corrisponde a quest’ideale . Altri
contribuiscono alla creazione di nuove quartieri e attraverso essi si abbozzano un
aldilà e un aldiqua dell’ideale di modernità e un contributo al doppio movimento di
segregazione locale e di comunicazione globale caratteristico della nostra epoca. La
città memoria è soggetta alla storia e dalla memoria all’incontro c’è solo un
passo poiché i riferimenti storici o i ricordi si propongono come gli individui al
nostro riconoscimento . Quel che li avvicina ancora è l’esistenza materiale e
sensibile della città: essa è passaggio, cielo, ombre e luci, movimento, odori,
luoghi, attività.
La città incontro
Incontrare la città molto spesso è scoprire tutto un dispositivo sensoriale, è affrontare
un’aggressione o un invasione dei sensi. Il romanzo e il cinema hanno sfruttato
questo tema a loro modo montando un’operazione estetica che mirava a suggerire
considerazioni sociali e morali attraverso le immagini. E’ il tema del campagnolo
che scopre la città o del provinciale che va nella capitale e scopre un mondo
diverso da quello che gli è noto, il contrasto è sottolineato da subito , eppure lo
choc dell’incontro urbano non è sempre dovuto allo choc di ideologie o delle
abitudini, esso può avere il valore di una scoperta, di un invito a pensare. In questo
caso però la città non è più opposta a un altro mondo: non è tanto metaforica di
situazioni o di posizioni sociali quanto metonimica e personalizzata : è un aspetto
della città la sua configurazione architettonica , i suoi colori o uno dei suoi edifici
che da la sua personalità e il carattere di una persona agli occhi dell’artista, del
pittore o dello scrittore. La città la sua personalità o quel che essa esprime di
una personalità ancora più vasta ( quella del paese in cui si trova) tutto qyesto
passa per l’immagine : ad esempio quando pensiamo a N York ci vengono subito in
mente i grattaceli e la verticalità di essi. Ed è un grande spettacolo, ma tanto più
sorprendente quanto tutto è utile e il cinema è capace di rendere questo mondo
illimitato attraverso la sollecitazione dei sensi e dell’emozione estetica, il cinema
evoca la città come persona . Ma la città come persona è una città sociale quella dove
le persone possono incrociarsi e incontrarsi. La personificazione della città è
possibile solo perché essa a sua volta simboleggia la MOLTEPLICITA’ DEGLI
ESSERI CHE VI VIVONO E CHE LA FANNO VIVERE. In altre parole : se la
città può avere un’esistenza immaginaria è perché ha un esistenza doppiamente
simbolica : simboleggiando coloro che ci vivono che ci lavorano, che creano , chi
vive nella città costruisce una collettività simbolica.
Bisogna soffermarsi sulla dimensione immaginaria mantenuta o no dalla città : il
tema dell’incontro della città è dunque legato a quello dell’incontro in città.
- L’incontro in città si può osservare da vari punti di vista :
1. Quello di Micheal Certeau quando ci dice che bisogna discendere dal
Word Trade Center, dimenticare il piano geometrico che esprime i
vincoli della rete per ritrovare, al livello del suolo, la libertà di quelle che
lui chiama le retoriche pedonali.
Nelle città noi possiamo comporre le nostre passeggiate come si scrive
un libro.
2. E' quello del surrealismo e dell’attesa romanzesca ogni
deambulazione si assegna più o meno consapevolmente come oggetto
l’incontro di un altro . Questa aspirazione a una socialità minima,
l’incontro, si esprime più apertamente con più forza nei luoghi lavorati
dalla storia e dalla socità , e non in quelle solitudini rurali dove il
romanticismo ha situato più spesso il dialogo con dio o con l’essere
amato e sognato. E’ nei luoghi più frequentati ed eventualmente più
quotidiani che si fa luce l’attesa dello sconosciuto

La città finzione
Il nostro rapporto con le immagini si presenta sotto un doppio aspetto :
noi riceviamo delle immagini (fisse o in movimento ) e ne fabbrichiamo .
Fabbrichiamo delle immagini ( fotografie, video) questo gesto è al tempo stesso
identificabile come un appropriarsi dello spazio e trasformarlo in un certo modo,
consumarlo. Cosi la ripresa assegna come fine ultimo allo spazio e alla storia che vi
si svolge lo spettacolo di cui essi avranno fornito la sua materia prima : il
cambiamento della natura, luogo e di temporalità.
La storia contemporanea è un po’ la storia di questi giochi di immagini , nessuno di
loro è senza importanza ad esempio la guerriglia gioca sull’immagine che da di se
stessa ove il luogo di azione è l’ambasciata del giappone.
I turisti collezionano i ricordi personali, ma sono anche elemento dello spettacolo
quotidiano . La città finzione è fornitrice di immagini , immagini da consumare e
subito da portar via. In questa città cambia la forma del romanzo, e cambia cosi anche
la forma della città stessa. In essa vi si può notare una forte concentrazione di spazi
quelli che l’antropologo mar Augè ha definito come nonluoghi : incroci autostradali,
aereoporti, ipermercati, zone di stoccaggio e di vendita in particolare di prodotti che
accellerano la circolazione e la comunicazione: automobili, televisori, calcolatori.
Lo spazio urbano perde le sue frontiere e in una certa misura la sua forma. In
certi organismi urbani come ad esempio l’america si assiste alla creazione di nuove
linee di divisione e di nuove insularità proprio nel cuore della città : edifici
superprotetti da sistemi di sicurezza molto elaborati, quartieri privati, città private a
volte.. all’interno delle quali la vita si organizza in funzione dei problemi detti di
sicurezza, ossia in funzione di uno scontro virtual ( ma episodicamente messo in atto)
tra ricchi e poveri . D’ora in poi lo spazio di coabitazione tende a frammentarsi in
fortezze e ghetti collegati soltanto dalla rete televisiva e lo spazio urbano perde la
sua continuità. In questi spazi c’è una notevole onnipresenza delle immagini
televisive e dello spettacolo. E’ una città in cui ci si nutre di guardare sempre più alla
finzione piuttosto che al reale, e ci si occupa di produrre finzione, questo portato a
lungo termine potrebbe rischiare di uccidere l’immaginazione . Nello spazio urbano e
nello spazio sociale in genere la distinzione tra realtà e finzione diventa poco chiara.

Una citta da sogno


Parigi sarà sempre parigi tra venti o cinquant’anni? In questo teto Marc Augè mette
in luce alcune attrattive che ieri come oggi sono sempre legate alla vita del quartiere,
alcune sopravvivono, altre scompaiono o si evolvono, e i ricordi si mescono alla
finzione, all’immaginazione . Se parigi esisterà ancora sicuramente conterà il suo
tempo attraverso quesi sistemi ultra tecnologici-economici al quare rischiamo di
abbandonarci come se fosse una seconda natua. Augè cerca di richiamare la fiura
d’incubo che si disegna già da ora nelle città e che potrebbe un giorno prendere
forma. Si tratta di una triplice sostituzione: dei luoghi di lavoro ai luoghi di
abitazione; delle vie di circolazione agli spazi di deambulazione e della scena ai
luoghi di vita ( la città virtuale alla vita reale). In quest’ultimo capitolo l’autore prova
a scongiurare la minaccia che cerca di descrivere attraverso un breve esercizio di
immaginazione e di anticipazione cataputandosi nella parigi del 2040.

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