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100 INSEGNARE DOMANI NELLA SCUOLA SECONDARIA
La realtà quotidiana della nostra scuola, così come quella della nostra società, è
contraddistinta dal confronto costante con l’eterogeneità delle richieste e dei bisogni
dei nostri alunni e della comunità intera che gravita attorno al mondo della scuola.
Già quindici anni fa, Brahm Norwich, uno dei massimi studiosi internazionali delle
pratiche e politiche inclusive, aveva evidenziato come nella scuola coesistano quoti-
dianamente tre tipi fondamentali di bisogni educativi a cui è necessario rispondere
(Norwich, 2000, pp. 19-25):
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BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI E INCLUSIONE 101
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Alunni con disabilità Alunni con Disturbi Specifici Alunni con altri bisogni educativi
(certificata secondo dell’Apprendimento (DSA) speciali (DM 27/12/2012
la L. 104/92) (certificati secondo la L. 170/2010) e CM 8/2013)
Hanno Bisogni Educativi Speciali quindi tutti quegli alunni che evidenziano
una difficoltà nell’apprendimento e nella partecipazione sociale, rispetto alla quale
è richiesto un intervento didattico mirato, individualizzato e personalizzato, nel
momento in cui le normali misure e attenzioni didattiche non siano sufficienti a
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BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI E INCLUSIONE 103
garantire un percorso educativo efficace. Nella tabella 11.1 presentiamo una sintesi
dei principali aspetti normativi che riguardano l’individualizzazione e la personaliz-
zazione didattica riferita agli alunni con BES.
Nei paragrafi seguenti, forniamo invece un breve approfondimento dei due
strumenti programmatici principali per la gestione della didattica speciale a scuola,
ovvero il Piano Educativo Individualizzato, rivolto agli alunni con certificazione di
disabilità secondo la Legge 104 del 1992, e il Piano Didattico Personalizzato, neces-
sario per gli alunni con DSA o con altre tipologie di BES, secondo quanto previsto
dalla Legge 170 del 2010 e dalle Circolari ministeriali del 2012 e 2013.
TABELLA 11.1
ALUNNI CON BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI: cosa dice la Normativa
Alunni con altri bisogni
Alunni con disabilità Alunni con DSA educativi speciali (DM
27/12/2012)
Chi sono Alunni con disabilità intellettiva, Alunni con dislessia evoluti- Alunni che presentano condi-
fisica, psichica o sensoriale, va, disgrafia, disortografia e zioni di svantaggio socioeco-
stabilizzata o progressiva. discalculia. nomico e/o culturale.
Alunni per i quali l’iter di cer-
tificazione di DSA è in corso.
Alunni con altri disturbi,
non coperti dalla Legge
170/2010.
Valutazione, Certificazione ai sensi della Certificazione ai sensi della Valutazione e delibera del
certificazione Legge n. 104/92 art. 3, commi L. n. 170/2010 e alle relative Consiglio di classe, ai sensi
e diagnosi 1 o 3 e del DPCM n. 185/06. Linee Guida di attuazione della DM 27/12/2012 e CM
(Luglio 2011). 8/2013.
Programmazio- PEI (Piano Educativo Indivi- PDP (Piano Didattico Perso- Il PDP non è un obbligo per
ne educativa dualizzato) d’obbligo per tutti nalizzato), d’obbligo per tutti il Consiglio di classe, ma una
e strumenti gli alunni con certificazione. gli alunni con certificazione. scelta autonoma per la mi-
didattici Basato su: Basato su: gliore gestione dei processi
– Diagnosi funzionale (descri- – dati generali sull’alunno; inclusivi. Esso:
zione del funzionamento – descrizione del funziona- – definisce le misure didat-
dell’alunno); mento nelle abilità speci- tiche da adottare colle-
– Profilo dinamico-funziona- fiche e disturbi associati; gialmente per soddisfare
le: programmazione degli – misure e strumenti com- i bisogni, monitorare e
obiettivi didattici a lungo, pensativi e dispensativi valutare gli apprendimenti;
medio e breve termine; utili; – è indicato se è prevista
– descrizione di attività e ma- – forme di valutazione per- l’adozione di strumenti e
teriali didattici di intervento; sonalizzata. misure compensative e
– forme di valutazione e verifi- dispensative.
ca individualizzata.
Insegnante di sostegno e/o
assistente per l’autonomia e
la comunicazione.
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104 INSEGNARE DOMANI NELLA SCUOLA SECONDARIA
Valutazione Alla scuola primaria, la valuta- Forme personalizzate di va- Non è prevista la dispensa
zione è positiva se si riscon- lutazione che prevedono dalla forma scritta della lingua
trano miglioramenti rispetto la possibile dispensa dalla straniera.
al livello iniziale e agli obiettivi forma scritta nella seconda È prevista l’adozione degli
individualizzati previsti nel PEI. lingua (da integrare con prova strumenti compensativi e
Per la scuola secondaria, l’arti- analoga orale). l’estensione dei tempi per le
colo 15 dell’OM 90/01 prevede Tempi più estesi per le prove prove, se previsto nel PDP.
due percorsi di valutazione: di verifica e valutazione.
– PEI semplificato, basato sul
raggiungimento di obiettivi mi-
nimi disciplinari che ha come
effetto il conseguimento del
diploma valido a tutti gli effetti;
– PEI differenziato, non più
legato agli ambiti discipli-
nari, ma alle reali capacità
dell’alunno. In questo caso
alla fine del percorso viene
rilasciato un attestato con
la certificazione dei crediti
formativi, ma non il diploma.
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BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI E INCLUSIONE 105
Proprio per questo, essa deve risultare da un lavoro interdisciplinare, che veda la
collaborazione degli insegnanti, degli operatori dell’ASL e dei familiari. La sua stesura
non dovrebbe essere delegata allo psicologo, al neuropsichiatra e nemmeno all’unità
multidisciplinare: queste professionalità dovranno certo fornire i loro contributi di
conoscenze — preziosi in moltissimi ambiti, secondari in altri. Oggi, però, la Dia-
gnosi funzionale, così come viene descritta nell’art. 3 dell’Atto di indirizzo e coor-
dinamento alle Aziende Sanitarie del 1994 e come viene ancora largamente intesa e
utilizzata nel nostro Paese, risente di un’impostazione prevalentemente clinico-medica
e molto spesso fornisce ben pochi aiuti concreti agli insegnanti impegnati a definire
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una programmazione individualizzata. Per questo si potrebbe dire che è ben poco
«funzionale». Il ruolo della scuola deve invece essere centrale: gli insegnanti possono
ormai utilizzare una vasta gamma di strumenti di raccolta di dati e di conoscenze per
la comprensione profonda e utile dell’alunno in difficoltà, attivando direttamente
una regia e un coordinamento nel gruppo di lavoro a livello di scuola che integri i
vari contributi che provengono dagli ambiti sanitario, familiare e sociale.
Attualmente, a nostro avviso, il modello che meglio di tutti abbraccia questa vi-
sione è quello proposto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nella classificazione
ICF – Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute
(2002), ora disponibile anche nella versione ICF-CY per bambini e adolescenti (OMS,
2007), e quindi ancora più vicino ai bisogni e alle peculiarità che caratterizzano queste
fasi dello sviluppo umano. Il modello ICF risponde appieno all’esigenza di avere una
modalità conoscitiva della realtà globale dell’alunno che aiuti adeguatamente nella
progettazione individualizzata (si rimanda alle risorse on-line di approfondimento per
una conoscenza di base delle aree ICF-CY, rispetto alla Diagnosi funzionale).
La Diagnosi funzionale, legata alla definizione del Piano Educativo Individualiz-
zato, deve quindi avere carattere pragmatico, cioè «funzionale». I dati di conoscenza,
raccolti nella diagnosi, dovrebbero consentire di operare direttamente nel concreto
della prassi scolastica quotidiana. Questo vuol dire che una Diagnosi funzionale è
realmente «funzionale» solo se è di immediata utilità per l’insegnante, se riesce a gui-
darlo direttamente nella scelta di obiettivi appropriati e di metodi di lavoro efficaci
sulla base delle caratteristiche peculiari dell’alunno in difficoltà.
In questa seconda fase del Piano Educativo Individualizzato vanno effettuate al-
cune importanti operazioni rispetto ai dati emersi dalla Diagnosi funzionale. In primo
luogo, occorre identificare gli obiettivi che si potranno concretamente inserire in una
reale programmazione di attività scolastiche. Sulla base di questa selezione, gli obiettivi
a medio e breve termine verranno integrati nelle attività e nella programmazione della
classe, e verranno definite delle modalità concrete di insegnamento sulla base anche
della conoscenza di determinate tecniche educative/didattiche. Ciò significa organizzare
delle sequenze di obiettivi a breve termine, con incrementi molto graduali di difficoltà,
utilizzando le metodologie di adattamento, di analisi del compito e altre tecniche di
facilitazione. Nel Profilo dinamico funzionale si trovano dunque le linee concrete di
prospettiva, e cioè quello che si vorrà raggiungere a lungo, medio e breve termine. Il
Profilo dinamico funzionale funge quindi da strumento di raccordo tra la conoscenza
dell’alunno, prodotta dalla Diagnosi funzionale educativa, e la definizione di attività,
tecniche, mezzi e materiali per la prassi didattica di ogni giorno.
Nell’Atto di indirizzo e coordinamento alle Aziende Sanitarie Locali del febbraio
1994, la concezione di profilo che traspare ci lascia perplessi per diversi motivi. Vi
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BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI E INCLUSIONE 107
In questa terza fase del PEI si elaborano soluzioni operative nella dinamica
insegnamento-apprendimento per favorire il raggiungimento degli obiettivi definiti
nel Profilo dinamico funzionale (tabella 11.2).
TABELLA 11.2
Le fasi operative e le funzioni svolte dal Profilo dinamico funzionale
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Le verifiche e le valutazioni
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BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI E INCLUSIONE 109
Il Piano Didattico Personalizzato (PDP) per alunni con DSA e altre forme di BES
Flavio Fogarolo
Per tutti gli alunni con bisogni educativi speciali (BES) va redatto annualmente
un documento di programmazione che espliciti il percorso di personalizzazione in-
dividuato per ciascuno di essi. Come è noto, questo documento prende il nome di
PEI (Piano Educativo Individualizzato) per gli alunni con disabilità, di PDP (Piano
Didattico Personalizzato) per quelli con DSA (Disturbi Specifici di Apprendimento)
e altri BES.
Il PDP per gli alunni con DSA è previsto dalla legislazione introdotta tra gli anni
2010 (Legge 170) e 2011 (DM 5669 e Linee Guida).
Il principio fondamentale, chiaramente ribadito nel Decreto ministeriale, è che
non basta che la scuola attivi una serie di azioni didattiche ma è necessario che esse
vadano esplicitate in un documento di programmazione.
La scuola predispone, nelle forme ritenute idonee e in tempi che non supe-
rino il primo trimestre scolastico, un documento che dovrà contenere almeno le
seguenti voci, articolato per le discipline coinvolte dal disturbo:
– dati anagrafici dell’alunno
– tipologia di disturbo
– attività didattiche individualizzate
– attività didattiche personalizzate
– strumenti compensativi utilizzati
– misure dispensative adottate
– forme di verifica e valutazione personalizzate (MIUR, 2011, p. 8).
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BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI E INCLUSIONE 111
–– la scuola non è chiamata a identificare gli alunni con BES ma quelli che hanno
bisogno di una personalizzazione, definita in un PDP. Pertanto, il PDP non è
una conseguenza di questo riconoscimento, come avviene per la disabilità e i
DSA («Questo alunno ha BES quindi la scuola deve predisporre un PDP»), ma
parte integrante dell’identificazione della situazione di bisogno («Questo alunno
ha BES perché secondo la scuola ha bisogno di un PDP»);
–– la soglia di individuazione dell’alunno con BES non dipende dall’entità del
bisogno ma dalla valutazione dell’effettiva convenienza della strategia didattica
personalizzata che si intende attuare. La personalizzazione — dice infatti la
Circolare ministeriale — deve essere opportuna e necessaria e questo significa
che, almeno a grandi linee, la scuola deve aver chiaro fin dall’inizio il tipo di
intervento che intende avviare con quello specifico alunno a supporto delle sue
difficoltà, perché solo in questo modo è possibile una consapevole valutazione
di convenienza.
Paradossalmente, possiamo dire che gli alunni nei confronti dei quali ci sentia-
mo impotenti, perché non sappiamo cosa fare per loro, per quanto evidenti e gravi
siano i loro bisogni educativi, non possono rientrare nella categoria dei BES finché
non saremo in grado di dire come intendiamo effettivamente personalizzare il loro
percorso e valutare quindi se esso sia opportuno e conveniente.
Un PDP efficace
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112 INSEGNARE DOMANI NELLA SCUOLA SECONDARIA
Dalla complessità stessa dei bisogni normali e speciali presentati emerge l’esigenza
forte di far fronte a uno dei rischi maggiori legati alla visione dei bisogni educativi
speciali: il rischio di parcellizzare la didattica in tanti piani individuali, ovvero di
pensare che a un bisogno speciale si debba sempre rispondere con una misura indi-
viduale (non individualizzata).
Didattica inclusiva
Il termine «inclusione» si riferisce a tutti gli alunni, come garanzia diffusa e stabile di poter partecipare alla
vita scolastica e di raggiungere il massimo possibile in termini di apprendimento e partecipazione sociale.
La scuola inclusiva deve mettere in campo tutti i facilitatori possibili e rimuovere tutte le barriere all’appren-
dimento e alla partecipazione di tutti gli alunni.
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BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI E INCLUSIONE 113
classe: tutte le differenze, non solo quelle più visibili e marcate dell’alunno con un
deficit o con un disturbo specifico.
Le differenze sono alla base dell’azione didattica inclusiva e, come tali, non
riguardano soltanto le differenze degli alunni, ma anche quelle negli stili di insegna-
mento dei docenti. Come gli alunni non imparano tutti nello stesso modo, così gli
insegnanti non insegnano con lo stesso stile. Nella prospettiva inclusiva le differenze
quindi non vengono solo accolte, vengono stimolate, valorizzate, utilizzate nelle
attività quotidiane per lavorare insieme e crescere come singoli e come gruppo.
La dimensione di gruppo, cooperativa e collaborativa è imprescindibile nella
didattica inclusiva. Si valorizzano le differenze se si valorizza la dimensione di classe,
non se si parcellizza il lavoro in una mera differenziazione che porta ognuno a fare
cose diverse dagli altri, in una maniera diversa dagli altri. L’obiettivo della didattica
inclusiva è quindi quello di valorizzare le differenze nel e del gruppo, facendole
collaborare, dando modo a ciascuno di partecipare, esprimendo tutte le proprie
potenzialità nel confronto con gli altri e non isolandosi nel lavoro individuale.
Questo obiettivo tanto alto si può tuttavia realizzare se si è in grado di rendere
maggiormente equa la didattica, dando un’attenzione costante agli alunni nel processo
di apprendimento, e rendendo la didattica maggiormente flessibile.
Equità significa diventare consapevoli e competenti dei bisogni educativi speciali
degli alunni, essere innanzitutto in grado di osservare e identificare i segnali di rischio
e di attenzione che emergono nella quotidianità scolastica, per poi saper adattare le
proprie modalità di insegnamento sfruttando tutte le risorse presenti negli alunni.
Essere equi significa fornire gli aiuti necessari a chi ne ha realmente bisogno, aiuti
che non devono essere uguali per tutti, ma realmente efficaci, cioè realmente in grado
di fare apprendere meglio l’alunno e farlo partecipare in maniera più significativa al
contesto sociale di appartenenza.
Un concetto, questo, che è ormai presente da molti anni nella pedagogia speciale
italiana, riassunto dal motto di don Lorenzo Milani in Lettera a una professoressa:
«Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali».
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solo gli aspetti biostrutturali. Questo è il motivo per cui proprio su ICF si è fondato
il nostro concetto di bisogno educativo speciale (Ianes, 2005).
Questo allargamento, questa «estensione» e questo riconoscimento ufficiale,
anche attraverso la Direttiva ministeriale del dicembre 2012, sono ovviamente positivi
rispetto alla precedente visione più restrittiva in senso biostrutturale e si fondano sul
modello base di human functioning di ICF.
In Italia ICF si è diffuso con forza nel mondo dell’educazione e della scuola,
grazie anche al fatto che ha trovato una forte affinità con la cultura pedagogica
italiana e con la sua visione antropologica, molto sociale e legata ai contesti di vita.
L’Intesa Stato-Regioni, siglata il 20 marzo 2008 sulla presa in carico globale
dell’alunno con disabilità, prevede per la prima volta a chiare lettere l’uso di ICF come
modello antropologico su cui basare la diagnosi funzionale per gli alunni con disabilità:
«La Diagnosi Funzionale è redatta secondo i criteri del modello bio-psico-sociale alla
base dell’ICF dell’Organizzazione Mondiale della Sanità» (art. 2, comma 2).
Riteniamo dunque che stiano maturando almeno alcune delle condizioni neces-
sarie perché si possa lavorare appieno con il concetto di bisogno educativo speciale.
Sono sempre di più gli alunni che per una qualche difficoltà di «funzionamento»
preoccupano gli insegnanti e le famiglie. Occupiamoci più da vicino di queste varie
e diversissime difficoltà.
Nelle classi si trovano molti alunni con difficoltà nell’ambito dell’apprendimento
e dello sviluppo di competenze. In questa grande categoria possiamo includere varie
difficoltà: dai più tradizionali disturbi specifici dell’apprendimento (dislessia, disgra-
fia, discalculia) al disturbo da deficit attentivo con o senza iperattività, a disturbi
nella comprensione del testo, alle difficoltà visuo-spaziali, alle difficoltà motorie,
alla goffaggine, alla disprassia evolutiva, ecc. Troviamo anche gli alunni con ritardo
cognitivo e ritardi nello sviluppo, originati dalle cause più diverse. Hanno una dif-
ficoltà di apprendimento e di sviluppo anche alunni con difficoltà di linguaggio o
disturbi specifici nell’eloquio e nella fonazione. Ci sono poi quelli con disturbi dello
spettro autistico, dall’autismo più chiuso con disabilità intellettiva alla sindrome di
Asperger o all’autismo ad alto funzionamento. Accanto a questi alunni con aspetti
patologici nell’apprendimento e nello sviluppo ne troviamo altri che hanno «soltanto»
un apprendimento difficile, rallentato, uno scarso rendimento scolastico.
Nelle classi ci sono poi soggetti con varie difficoltà emozionali: timidezza, collera,
ansia, inibizione, depressione, ecc. Forme più complesse di difficoltà sono invece
quelle riferibili alla dimensione psichica e psicopatologica: disturbi della personalità,
psicosi, disturbi dell’attaccamento o altre condizioni psichiatriche.
Più frequenti però sono le difficoltà comportamentali e nelle relazioni: dal sem-
plice comportamento aggressivo fino ad atti autolesionistici, bullismo, disturbi del
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1. occuparsi in maniera efficace ed efficiente di tutti gli alunni che presentano qualsiasi
difficoltà di funzionamento educativo;
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autoriflessivo, ecc. Questi funziona bene dal punto di vista evolutivo se riesce a intrecciare
positivamente le spinte biologiche alla crescita con le varie forme di apprendimento date
dall’esperienza e dal contatto con le relazioni umane e gli ambienti fisici.
L’educazione media questo intreccio, nelle sue molteplici azioni quotidiane,
fornendo stimoli, guida, accompagnamento, feedback, significati, obiettivi e grati-
ficazioni, modelli, ecc., e il bambino funziona bene dal punto di vista educativo se
integra questi messaggi con la sua spontanea iniziativa e con le spinte biologiche.
Il funzionamento educativo è dunque intrecciato tra biologia, esperienze di
ambienti e relazioni e attività e iniziative del soggetto.
Per comprendere meglio questo intreccio e leggerlo nella mescolanza delle sue
componenti abbiamo bisogno di una cornice forte che orienti l’analisi, una cornice
concettuale e antropologica condivisa dalle varie ottiche e culture professionali. L’ICF
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (2002; 2007) è il modello concettuale
che serve a questa lettura e che proponiamo qui a questo scopo.
Rispetto al concetto di BES, crediamo sia molto appropriato proporre la struttura
concettuale dell’ICF, perché questo approccio parla di salute e di funzionamento glo-
bale, non di disabilità o di varie patologie. Secondo l’Organizzazione Mondiale della
Sanità, infatti, una situazione — e cioè il funzionamento di una persona — va letta e
compresa profondamente in modo globale, sistemico e complesso, e in modo inter-
connesso e reciprocamente causale (figura 11.3). Pensiamo dunque che questo modello
sia utile per una lettura globale dei bisogni educativi speciali in un’ottica di salute e di
funzionamento, come frutto di relazioni tra vari ambiti interni ed esterni al bambino.
Corpo
Capacità
Funzioni corporee
Partecipazione
Attività personali
Strutture corporee sociale
Performance
Ruoli sociali
Ambientali Personali
Fig. 11.3 La situazione globale di una persona (i vari fattori che, interagendo tra di loro, determinano il
suo «funzionamento»).
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BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI E INCLUSIONE 123
Come si vede dallo schema nella figura 11.3, la situazione di salute di una per-
sona, nel nostro caso il suo funzionamento educativo-apprenditivo, è la risultante
globale delle reciproche influenze tra i fattori rappresentati.
Condizioni fisiche e fattori contestuali stanno agli estremi superiori e inferiori del
modello: la dotazione biologica da un lato e, dall’altro, l’ambiente in cui il bambino
cresce, dove accanto ai fattori esterni, come le relazioni, le culture, gli ambienti fisici,
ecc. egli incontra anche fattori contestuali personali, e cioè le dimensioni psicologiche
che fanno da sfondo interno alle sue azioni, ad esempio autostima, identità, motiva-
zioni, ecc. Questi contesti potranno essere dei mediatori facilitanti o delle barriere.
Nella grande dialettica fra queste due enormi classi di forze, biologiche e con-
testuali, si trova il corpo del bambino, come concretamente si sta sviluppando dal
punto di vista strutturale e come si stanno sviluppando le sue varie funzioni, da
quelle mentali a quelle motorie e di altro genere.
Il corpo del bambino agisce poi nel mondo sviluppando reali capacità e attività
personali, e partecipa socialmente ai vari ruoli familiari, comunitari, scolastici, ecc.
Quando i diversi fattori interagiscono in modo positivo, il bambino crescerà sano
e funzionerà bene dal punto di vista educativo-apprenditivo, altrimenti il suo funzio-
namento sarà difficoltoso, ostacolato, disabilitato, ammalato, con bisogni educativi
speciali, ecc.
La comprensione il più possibile profonda e completa del funzionamento
educativo-apprenditivo di un bambino sarà possibile soltanto se riusciremo a co-
gliere le singole dimensioni ma soprattutto se riusciremo a integrarle in una visione
complessa e completa. Si tratta di vedere non le singole stelle (le singole capacità,
performance o fattori contestuali, ecc.), ma la costellazione che dà significato e senso
a una figura, a una serie di relazioni di interconnessione (Ianes e Biasioli, 2005).
Una buona comprensione di una situazione non può che derivare da una messa
in relazione di diversi aspetti dell’alunno in questione.
È evidente che il concetto globale di «funzionamento» è molto relativo, fluido; non
è ontologicamente non modificabile e si manifesta in modo molto diverso in relazione
ai fattori contestuali, interni ed esterni, e ai giochi di influenze reciproche e di forze
che tutti questi creano, in altrettante «costellazioni» che dovrebbero renderli visibili.
Il bambino potrà avere una difficoltà di funzionamento, e cioè un bisogno
educativo speciale, originata dalle infinite combinazioni possibili tra gli ambiti di
funzionamento illustrati nella figura 11.3.
Una difficoltà di funzionamento potrà originarsi da condizioni fisiche proble-
matiche: malattie varie, acute o croniche, fragilità, allergie o intolleranze alimentari,
patrimoni cromosomici particolari, lesioni, traumi, malformazioni, disturbi del
ciclo del sonno-veglia, disturbi del metabolismo, della crescita, ecc. In questi casi il
funzionamento globale è minacciato da un input biologicamente significativo, che
irrompe sulla scena e può condizionare in maniera drammatica l’apprendimento e
l’educazione. Spesso problemi in questo ambito portano a criticità anche nell’ambito
successivo, quello delle strutture corporee.
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124 INSEGNARE DOMANI NELLA SCUOLA SECONDARIA
L’ambito delle strutture corporee può originare a sua volta difficoltà di fun-
zionamento educativo e apprenditivo: pensiamo al ruolo delle malformazioni o
alla mancanza di arti, organi o parti di essi, come ad esempio strutture cerebrali o
necessarie per la fonazione o la locomozione. È evidente come l’iniziativa e l’attività
personale del bambino saranno più o meno profondamente danneggiate da deficit
strutturali nel corpo. Le strutture del corpo però devono funzionare a livelli sempre
più evoluti, e infatti il terzo elemento di funzionamento è definito dall’Organizza-
zione Mondiale della Sanità come «funzioni corporee»: il bambino può avere una
difficoltà di funzionamento educativo-apprenditivo originata da deficit funzionali,
come deficit visivi, motori, aprassie, afasie, deficit sensomotori, deficit nell’attenzio-
ne, nella memoria, nella regolazione dell’attivazione (arousal), ecc. È evidente che i
deficit funzionali più legati a un difficoltoso funzionamento educativo-apprenditivo
sono quelli delle funzioni cerebrali e mentali, sia globali che specifiche.
Con il suo corpo, in strutture e funzioni, il bambino apprende attività personali
e partecipa socialmente. Un’altra possibile fonte di difficile funzionamento educa-
tivo, e di conseguenza di bisogno educativo speciale, è infatti una ridotta dotazione
di attività personali. Il bambino può avere deficit di capacità e/o performance. Nel
caso delle «capacità», egli agisce in modo virtualmente «puro», senza cioè risentire
degli effetti facilitanti o barrieranti dei vari fattori contestuali ambientali e personali.
Nel caso delle «performance», egli agisce invece attraverso l’effetto facilitante/
barrierante dei vari fattori contestuali. Una comprensione approfondita del funziona-
mento del bambino dovrà quindi tener conto — e mettere in relazione — delle sue
capacità, delle sue performance e dei ruoli facilitanti/barrieranti dei fattori contestuali
in vari ambiti di attività: apprendimento, applicazione delle conoscenze, pianifica-
zione delle sue azioni, linguaggio e comunicazione, autoregolazione metacognitiva,
interazione, autonomia personale e sociale, cura del proprio luogo di vita. Questa è
una situazione molto nota all’insegnante: l’alunno non sa fare bene le cose che sarebbe
importante facesse per sviluppare patrimoni sempre più ampi di competenze. Un
bambino con scarse attività personali sa fare meno cose, o le fa in forme deficitarie,
anche se può essere perfettamente integro dal punto di vista strutturale e funzionale,
ovvero avere un corpo senza alcuna difficoltà. Può avere dei deficit di capacità e di
performance dovuti a scarse esperienze di apprendimento, di stimolazione oppure
all’influenza negativa (nel caso delle performance) dei fattori contestuali.
Un’ulteriore fonte di funzionamento educativo-apprenditivo difficoltoso è la
partecipazione sociale. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, una per-
sona funziona bene se partecipa socialmente, se riveste ruoli di vita sociale in modo
integrato e attivo; dunque non è sufficiente avere un corpo integro e funzionante,
presentare anche molte attività personali, bisogna anche partecipare socialmente. In
questo ambito possono generarsi (o co-generarsi) difficoltà specifiche che diventano
bisogno educativo speciale: difficoltà nello svolgere i ruoli previsti dall’essere alunno,
compagno di classe e utente di servizi rivolti all’infanzia, culturali, sportivi, sociali.
Il bambino che venisse ostacolato nella partecipazione, emarginato o allontanato,
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–– stili di attribuzione
–– autoefficacia
–– autostima
–– emotività
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–– motivazione
–– comportamenti problema.
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128 INSEGNARE DOMANI NELLA SCUOLA SECONDARIA
Con questi tre criteri potremo dunque decidere se la preoccupazione che vi-
viamo nei confronti dell’apprendimento e dello sviluppo dei nostri alunni o figli è
realmente fondata, ha realmente identificato un bisogno educativo speciale su cui
dobbiamo assolutamente intervenire in senso pedagogico, psicologico e didattico,
oltre che naturalmente fisico e biologico, se necessario. In questo caso, l’intervento
risponde a un preciso obbligo deontologico.
Risulta abbastanza chiaro che questa idea di bisogno educativo speciale fondata
sul funzionamento globale della persona, come definito dall’Organizzazione Mondiale
della Sanità nel modello ICF, porti a un evidente superamento delle categorie dia-
gnostiche tradizionali nella fase del riconoscimento di una situazione in cui l’alunno
ha diritto a un intervento individualizzato e inclusivo.
Ciò non significa ovviamente ignorare o rifiutare le diagnosi cliniche nosogra-
fiche ed eziologiche, che hanno un profondo significato per gli aspetti conoscitivi
legati alla terapia, alla prevenzione, ecc. Nel nostro caso, però, cerchiamo un approc-
cio globale, per così dire «a valle» della diagnosi, più esteso, più comprensivo e più
rispondente alla reale situazione di BES e di difficoltà. Il nostro modello di bisogno
educativo speciale include anche alunni che non potrebbero essere diagnosticati
con alcuna delle condizioni patologiche tradizionali, ma che hanno talvolta enormi
bisogni educativi speciali che vanno riconosciuti in tempo e con precisione, anche
se sfuggono ai sistemi tradizionali di classificazione.
Questo tipo di valutazione del bisogno educativo speciale non è riferito dunque
a una qualche classificazione nosografica o eziologica ma serve a cogliere globalmente
tutte le condizioni di funzionamento problematico, per potervi costruire una didattica
inclusiva ben individualizzata.
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BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI E INCLUSIONE 129
ne. Valutando infatti tutti i bisogni educativi speciali nasce l’esigenza di rispondere in
modo inclusivo, considerando e dando dignità a tutti i bisogni di tutti gli alunni. Una
risposta realmente inclusiva è un’offerta formativa individualizzata, quanto necessario.
Forse vale la pena a questo punto di ricordare ancora la differenza tra indivi-
dualizzare e personalizzare. Un’offerta didattica individualizzata cerca di adattarsi
ai bisogni di una singola persona, riconoscendoli e modificando le varie strategie di
insegnamento-apprendimento per riuscire a portare quell’alunno più vicino possibile
agli obiettivi comuni al gruppo di appartenenza, alla sua classe o al corso di studi.
In questo modo si cerca di far raggiungere un fine, un traguardo comune anche con
mezzi e percorsi molto diversi, molto individualizzati.
Nel caso invece della personalizzazione, a essere profondamente diversi sono
anche gli obiettivi dell’offerta formativa, che possono divergere anche nettamente
rispetto a quelli del gruppo di appartenenza, della classe e del corso di studi. L’o-
biettivo finale della personalizzazione non è tanto quello di raggiungere altrimenti
un fine comune, ma quello di costruire un proprio percorso rispetto a propri fini
anche del tutto diversi da quelli degli altri.
Nel caso dell’offerta formativa rivolta ad alunni in difficoltà risulta abbastanza
evidente il rischio insito nel concetto di personalizzazione. L’alunno con minori
risorse personali, e spesso con minori risorse familiari e sociali, rischia di compiere
un percorso più ridotto, meno ambizioso, più appiattito sulla percezione dei suoi
deficit, meno agganciato al curricolo dei compagni di classe. Dobbiamo tener conto
infatti anche di una frequente autorappresentazione negativa da parte dell’alunno,
di una probabile sottovalutazione delle sue risorse da parte degli insegnanti e della
famiglia. Può accadere allora che l’alunno in difficoltà venga in un certo senso mar-
ginalizzato dal percorso ordinario del curricolo e dal suo gruppo di appartenenza e
che venga costruito per lui un percorso speciale, diverso, in alcuni casi anche molto
lontano dalla normalità. Questo è un rischio reale.
D’altra parte però dobbiamo tener conto che molte situazioni di disabilità, soprat-
tutto se gravi o complesse come nel caso dell’autismo, richiedono un lavoro specifico
verso la padronanza di obiettivi anche molto lontani da quelli che ordinariamente
sono presenti nel curricolo, si pensi ad esempio al lavoro educativo sulle autonomie
personali, sul controllo degli sfinteri o su forme base di autonomia sociale. In questi
casi l’alunno in grave difficoltà ha bisogno di un’offerta individualizzata che rispon-
da anche ad alcuni dei suoi bisogni di base, che cerchi di formare delle competenze
nell’ambito delle attività personali, secondo il modello ICF, che gli altri alunni hanno
già ampiamente formato e che non possono essere affrontate in forme di adattamento
delle attività curricolari. In questi casi l’offerta formativa sarà una miscela tra obiettivi
e attività individualizzate, che connettono alle attività curricolari, e attività e obiettivi
personalizzati, che rispondono ad alcuni bisogni di sviluppo personale.
Queste due dimensioni ricevono senso e intreccio equilibrato dal modello
antropologico ICF, che prevede paritariamente le dimensioni attività personali e
partecipazione sociale come elementi fondamentali del funzionamento umano.
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130 INSEGNARE DOMANI NELLA SCUOLA SECONDARIA
Organizzare le risorse per una didattica inclusiva significa passare dalla conoscen-
za delle varie situazioni degli alunni a una chiara progettualità condivisa dell’azione
educativa e didattica. Per fare questo dobbiamo ricostruire una gestalt unitaria e ben
riconoscibile, che ci ricordi continuamente il significato e l’orientamento di quello
che stiamo facendo. Abbiamo bisogno di uno sfondo integratore delle nostre azioni:
«Come sfondo integratore vorrei indicare tutte le strutture connettive che riescono a
tenere insieme senza immobilizzare» (Canevaro e Chieregatti, 1999, p. 24). Nel caso
degli alunni con disabilità, la struttura connettiva che integra, che dà significato a
tutto, è certamente il Piano Educativo Individualizzato stesso, nella sua composizione
e costruzione intrecciata e interdipendente. Ma oltre a questo sfondo, o meglio in
questo sfondo, si collocano e prendono significato e una funzione di connessione
almeno altri tre sfondi che illustreremo qui di seguito.
Come anticipato, il primo sfondo integratore delle nostre varie prassi di in-
clusione è la conoscenza globale, complessa e interconnessa nelle capacità, deficit,
disabilità, funzionamento e salute dell’alunno, che assume un forte significato in-
tegrante anche grazie alla totalità sistemica insita nel modello antropologico ICF,
tramite il quale è stata costruita. Ne esce una conoscenza, anche se sempre parziale
e in divenire, integra, globale, a tutto tondo, che tiene insieme.
Il secondo sfondo integratore che dovrebbe dare senso e significato alla defini-
zione di obiettivi individualizzati e personalizzati è l’orientamento al progetto di vita,
che apre le dimensioni della progettazione al desiderio di adultità, alle aspettative,
a una prospettiva temporale più lunga (il «pensami adulto», la celebre espressione
coniata da Mario Tortello), e più ampia, coinvolgendo la famiglia, la comunità, i vari
ecosistemi di vita e di relazione, nella prospettiva dell’integrazione sociale e lavorativa.
Ne dovrebbe uscire una progettualità integrata, globale, sempre più orientata verso
la complessità e molteplicità delle dimensioni della vita adulta.
Il terzo sfondo integratore che illustreremo più nel dettaglio in questo capi-
tolo è quello della «speciale normalità», uno sfondo integratore prevalentemente
metodologico, che ci dovrebbe indicare le priorità nelle scelte organizzative e di
insegnamento. Nella progettazione inclusiva dovremo allora tener presente sia la
presenza di eventuali piani educativi individualizzati per alunni con disabilità sia le
varie azioni individualizzate rivolte ai vari alunni con altri bisogni educativi speciali.
Per tutte queste necessità però, come abbiamo visto, la base metodologica è data
dalla speciale normalità.
Dopo più di trent’anni di esperienza di integrazione scolastica di alunni con di-
sabilità di vari livelli di gravità possiamo essere ragionevolmente certi che una buona
qualità dell’integrazione, e più in generale di un’offerta formativa realmente inclusiva,
è data dalla speciale normalità, un modo cioè di gestire l’offerta formativa che ci con-
sente da un lato di lasciarci alle spalle senza alcun rimpianto le scuole e le classi speciali,
separate e segreganti, e dall’altro di renderci conto che la semplice normalità del fare
scuola, non arricchita di risorse tecniche specifiche, non è sufficiente per realizzare
una buona integrazione. Sappiamo bene che la normalità improvvisata, in cui si trova
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BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI E INCLUSIONE 131
gettato allo sbaraglio l’alunno disabile o con altri bisogni educativi speciali, non riesce
a creare miracolosamente una buona integrazione, né inclusione. Una normalità non
arricchita metodologicamente e di tutte le altre risorse speciali necessarie, non pro-
duce un’integrazione di qualità, e dunque tanto meno una buona inclusione. Siamo
dunque maturi per affrontare le sfide più avanzate dell’integrazione e dell’inclusione e
per tradurle non solo in una grande opportunità ma in concreti e tangibili vantaggi in
tanti campi per tutti i protagonisti della comunità scolastica, e non solo. L’approccio
metodologico che ci può aiutare è appunto quello della speciale normalità.
La speciale normalità è una condizione di sintesi, una condizione largamente
superiore alle due precedenti, prese da sole, e si potrebbe definire come «le aspettative,
gli obiettivi, le prassi, le attività rivolte a tutti gli alunni, nessuno escluso, nell’ordinaria
offerta formativa, che però si arricchiscono di una specificità tecnica non comune,
fondata sui dati scientifici e richiesta dalle nuove complessità dei bisogni educativi
speciali» (Ianes, 2001). Il concetto di speciale normalità ci porta a una condizione
mista e complessivamente intrecciata di normalità e di specialità, che coesistono, si
influenzano reciprocamente, in cui la specialità si trasforma nell’altra, la normalità, ne
viene assimilata e in questo la trasforma, arricchendola e qualificandola ulteriormente.
Si potrebbe dire che nella speciale normalità alcuni aspetti tecnici, quasi dei
principi attivi, sperimentati empiricamente nella loro capacità di rispondere ai biso-
gni educativi speciali, entrano a modificare le normali prassi educative e didattiche,
rendendole più speciali, più efficaci, più rispondenti alle qualità speciali di alcuni
bisogni educativi. In questo senso la specialità si dissolve, si mimetizza all’interno
delle normali prassi, rendendole però diverse; in questo senso si può parlare di una
normalizzazione delle varie tecniche di educazione speciale.
La speciale normalità riesce a rispondere a due fondamentali bisogni dell’alunno
in difficoltà: un bisogno di normalità, di fare le stesse cose degli altri, nelle normali
attività didattiche, un bisogno cioè di appartenenza, di identità, di conformità in
senso positivo, di accoglienza, accanto però a un bisogno di specialità, di poter fare
le cose che la sua specifica condizione, anche molto complessa, chiede per poter fun-
zionare al meglio delle sue possibilità in senso educativo-apprenditivo. Si pensi, ad
esempio, al caso dell’autismo e alle sue specificità: coesistono i bisogni di normalità
e di specialità, nessuno dei due può essere negato.
Dunque abbiamo bisogno di una condizione di sintesi, naturalmente più
complessa di quanto potrebbe essere una risposta solamente a uno dei due bisogni,
preso da solo, però se rispondessimo soltanto al bisogno di normalità, senza renderla
speciale, getteremmo l’alunno autistico in un mondo difficilmente comprensibile e
prevedibile, che potrebbe produrgli un livello d’ansia non gestibile; se rispondessi-
mo soltanto al bisogno di specialità costruiremmo dei percorsi molto tecnici, molto
specifici, forse anche molto efficaci rispetto a qualche obiettivo, ma separati e in
ultima analisi segreganti. Staremmo dunque negando il suo bisogno di normalità.
L’approccio della speciale normalità si fonda dunque sulla priorità data alle
risposte normali, a quello che normalmente e nelle normali prassi viene fatto per
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132 INSEGNARE DOMANI NELLA SCUOLA SECONDARIA
tutti gli alunni. Questa priorità data alla normalità ha ulteriori significati rispetto
al fondamentale bisogno di identità e di appartenenza al gruppo di riferimento. Un
significato forte è quello della corresponsabilizzazione di tutti e l’attivazione di tutte
le possibili risorse di una realtà educativa e formativa. Corresponsabilizzarsi vuol
dire attivarsi su un progetto, non delegando altri in nome della presunta specialità
o difficoltà del progetto stesso. Uno dei punti forti dell’approccio della speciale nor-
malità è proprio questo: la normalità nel suo complesso, le persone, le relazioni, le
occasioni, le attività normali vengono coinvolte per prime, resistendo alla tentazione
di cercare risposte e risorse speciali, a cui delegare la gestione dei percorsi di integra-
zione e inclusione. Questo allargamento è poi ovviamente necessario se il Consiglio
di classe o il team docenti ha riconosciuto l’ampiezza e la numerosità dei bisogni
educativi speciali. Se vi sono molti bisogni dovranno essere attivate molte risorse, le
risorse normali prima di tutto. E infatti le prime categorie di risorse che andremo ad
esaminare saranno risorse niente affatto speciali, anzi del tutto ordinarie. Ragionare
in termini di speciale normalità significa dunque guardare a un’ampia gamma di
risorse, includendo in esse anche risorse informali, come ad esempio la famiglia o
i collaboratori scolastici, che tipicamente non venivano inclusi come partner fon-
damentali in un progetto educativo didattico. Ragionare in termini allargati però
non vuol dire coinvolgere nell’impresa chiunque, senza alcuna specifica e speciale
formazione o attrezzature necessarie. Abbiamo detto che speciale normalità significa
normalità arricchita, resa più competente, più capace di rispondere adeguatamente
ai vari bisogni educativi speciali; e in questo il ruolo dell’insegnante specializzato per
il sostegno, nel suo rendere più competenti i colleghi, è sempre più fondamentale.
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BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI E INCLUSIONE 133
di quella classe. In particolare l’organizzazione dei tempi scuola, degli orari degli alunni:
«Alla ripresa dopo la pausa estiva, la bambina frequenta metà del tempo scolastico in
prima, per acquisire le strumentalità di base, e l’altra metà in quinta, per ricevere stimoli
adeguati alla sua età cronologica» (Borghetti et al., 2002). Questa flessibilità nell’orga-
nizzazione dell’orario degli alunni dovrebbe diventare flessibilità creativa anche nella
definizione dell’orario degli insegnanti, attivando compresenze, contemporaneità, uso
specifico degli straordinari, anche con forme di continuità verticale tra ordini di scuole
diverse e classi aperte: «La rotazione degli insegnanti sugli alunni è stata realizzata con
la collaborazione di un insegnante di sostegno della scuola media, grazie a un progetto
di continuità verticale, attuato dall’istituto per far fronte all’insufficiente numero di in-
segnanti specializzati in rapporto all’alto numero di alunni con disabilità» (Crupi et al.,
2004). In questa categoria organizzativa di risorse troviamo anche la formazione attenta
delle classi (eterogeneità ben studiata e numerosità compatibile con le risorse umane e
materiali), l’uso di classi aperte, oltre che l’utilizzo ampio e realmente improntato alla
contitolarità dell’insegnante specializzato per il sostegno: «Per evitare la presenza di un
numero eccessivo di figure educative all’interno della classe e per favorire ulteriormente
l’integrazione dell’alunno diversamente abile, il team docenti aveva stabilito di assegnare
agli insegnanti di sostegno alcuni ambiti disciplinari: ricerche, educazione al suono e
alla musica, educazione motoria, informatica» (Abatangelo et al., 2005).
Il Consiglio di classe, esaminando le possibilità offerte dall’organizzazione scolastica
generale, cerca di capire anche se l’azione dei collaboratori scolastici potrebbe essere
significativa per rispondere a qualche bisogno educativo speciale, se altre attività offerte
della scuola, come la mensa, il gruppo sportivo, la biblioteca, possono rappresentare
risorse organizzative generali utili per la programmazione di risposte inclusive. Come
si vedrà nell’appendice che illustra l’uso del software gestionale, il Consiglio di classe
o il team docenti nell’esaminare questa prima fondamentale categoria di risorse, e
poi ovviamente le successive, cercherà di definire se la ritiene utile per una risposta
inclusiva attraverso una serie di attività specifiche o di accorgimenti che devono essere
presi. Questo dovrà essere indicato nel campo attività specifiche, nel campo successi-
vo andranno indicate le risorse necessarie per quell’attività o per quell’accorgimento,
dividendole in risorse normali, quelle cioè normalmente presenti nel campo di risorse
in questione, e in risorse speciali, quelle cioè aggiuntive e specifiche che devono essere
attivate per rendere più efficaci e inclusive le risorse normali, ed eventualmente i materiali
richiesti. Il software gestionale chiede agli utilizzatori di specificare continuamente, in
ogni categoria di risorse, quali componenti normali e quali componenti speciali vanno
intrecciati nella specifica attività. Ciò consente poi di valutare il complesso di risorse
normali e speciali che dovranno essere attivate per la programmazione inclusiva.
2. Spazi e architettura
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3. Sensibilizzazione generale
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BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI E INCLUSIONE 137
essere inventate e realizzate per riflettere sulle diversità, sulle differenze individuali,
sui bisogni educativi, sull’individualizzazione e sull’equità e per esplorare e compren-
dere i singoli deficit, per farli diventare occasioni dirette di apprendimento, anche
scientifico biologico (genetico) oltre che psicologico e comportamentale (Missiroli
et al., 1999).
Ma vanno sensibilizzati e preparati anche i genitori, le famiglie di tutti gli alun-
ni. Vanno organizzati incontri specifici, dove sensibilizzare le famiglie, con molta
franchezza, realismo e non con toni trionfalistici, al fatto che le politiche inclusive
che verranno fatte in quella classe saranno senz’altro impegnative e a tratti difficol-
tose, ma produrranno una serie di benefici tangibili e concreti per tutti gli alunni,
anche per quelli più bravi, oltre che per gli insegnanti e la ricchezza complessiva
dell’offerta formativa.
Nella gestione di questa fondamentale e delicatissima risorsa per l’inclusione
è assolutamente centrale il ruolo del dirigente scolastico, che dev’essere il primo e
il più convinto sostenitore dei vantaggi di una politica profondamente inclusiva.
Se ne è convinto riuscirà certamente a trovare le tante occasioni per testimoniare
questa sua convinzione e per organizzare varie forme di sensibilizzazione efficaci in
varie direzioni.
4. Alleanze extrascolastiche
La quarta categoria di risorse riguarda ciò che può dare alle pratiche inclusive
l’alleanza strategica con varie risorse extrascolastiche educative e formative, formali
o informali, a cominciare dalla famiglia e dalle tante realtà culturali, economiche,
sociali, sportive e associative presenti in un dato territorio. Coinvolgendo queste
risorse possiamo ottenere un aiuto importante per tante attività inclusive: «La fami-
glia di Guglielmo, a cui è stata proposta la compilazione del questionario, conosce
bene la tradizione della torta salata calabrese, per cui si individua Guglielmo come
anello di collegamento tra il progetto relativo alle tradizioni dei dolci natalizi e la
realizzazione della manifestazione gastronomica che nel frattempo aveva coinvolto
anche la sua classe, la terza A cucina» (Cavallaro e Valentini, 2002). Il tema della
alleanza e del coinvolgimento con la famiglia è evidentemente ampio e complesso,
ma è assolutamente fondamentale e ineliminabile se vogliamo costruire una buona
politica inclusiva: alcune famiglie possono diventare partner importanti nei progetti di
educativi formativi: «Approfittano di ogni occasione per concordare interventi, fornire
materiale, scambiare informazioni sull’uso di strumenti comunicativi, computer, in
modo da rendere più efficace la continuità tra scuola e casa» (Bonetti et al., 2002).
Le famiglie possono diventare degli efficacissimi mediatori naturali per costruire
reti di relazioni di vicinanza e di aiuto informale tra gli alunni in difficoltà e i com-
pagni di classe: «In questo ultimo anno, nelle nostre classi quinte abbiamo pensato
di osare qualcosa di più, rilevato che la relazione di Michele con i compagni aveva
raggiunto un buon livello. Favorita anche dal percorso di conoscenza affrontato con
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138 INSEGNARE DOMANI NELLA SCUOLA SECONDARIA
l’assemblea, in accordo con la famiglia di Michele abbiamo invitato tutti gli altri
genitori ad accogliere nella loro casa Michele a turno per un pomeriggio alla setti-
mana, fino a dopo cena, senza la presenza della mamma o degli adulti della scuola.
Questo con l’obiettivo di dare a Michele l’opportunità di allargare l’ambito delle
relazioni in contesti diversi, per aiutarlo a sentirsi come gli altri che possono andare
a casa degli amici quando vogliono. E per offrire un’opportunità anche alle famiglie.
L’esperienza si è rivelata molto positiva sia per Michele sia per gli altri, e ha favorito
concrete condivisioni. Alcuni genitori hanno riferito che, vedendo i loro figli come
mediatori fra Michele e gli altri componenti della famiglia, hanno avuto la sorpresa
di conoscere aspetti di maturità, capacità e affettività mai riscontrati prima nei loro
figli. E, come dice il papà di Michele, forse questa esperienza è servita molto anche
agli altri» (Silini et al., 2002).
La scuola non è un’isola, e tanto meno lo può essere se vuole realizzare una forte
politica inclusiva. Le varie risorse del territorio vanno considerate nella loro possibile
valenza educativa e formativa, anche con modalità creative rispetto al tradizionale
uso didattico dell’ambiente e di varie figure tradizionalmente formative, come ar-
tigiani, artisti, tecnici. Vanno considerate nel loro valore formativo, anche rispetto
al Progetto di vita, le possibilità offerte da centri di aggregazione, gruppi giovanili,
attività culturali, attività sportive, e così via, in raccordo con le attività scolastiche.
5. Formazione e aggiornamento
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BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI E INCLUSIONE 139
Consiglio di classe o team docenti, che si aggiorna e si forma insieme, per elaborare
anche attraverso la formazione strategie comuni di inclusione. Dall’altro lato dob-
biamo pensare alla risorsa formazione come a una risorsa destinata anche a figure
professionali non tradizionalmente coinvolte nelle pratiche inclusive: si pensi al ruolo
sempre più importante attribuito, anche dalla contrattazione collettiva di lavoro,
ai collaboratori scolastici, che dovrebbero essere specificamente formati sulla prassi
di integrazione e inclusione, anche con materiali e percorsi specifici (Piazza, 2003).
6. Documentazione
7. Didattica comune
La settima categoria di risorse è forse quella più attesa e cioè le strategie inclusive
all’interno della didattica comune, delle attività cioè svolte da tutti i docenti nei vari
percorsi curricolari di insegnamento-apprendimento per tutti gli alunni. In questa
categoria di risorse dovremmo pensare e definire adattamenti, strategie e accorgimenti
per rispondere adeguatamente in maniera individualizzata ai vari bisogni educativi
speciali. Principalmente si dovrà pensare a quelle scelte metodologiche che si sono
dimostrate negli anni maggiormente inclusive. Esiste ormai una cospicua letteratura
sperimentale che indica come, rispetto alla tradizionale lezione frontale e al lavoro
individuale, i vari modelli di apprendimento cooperativo siano più efficaci non solo
per gli apprendimenti cognitivi e interpersonali ma anche per l’inclusione degli alunni
in difficoltà e per fornire a ognuno di loro adeguati ruoli e possibilità di partecipa-
zione e di apprendimento: «Gli insegnanti di lingua 1, lingua 2 e sostegno hanno
predisposto l’attività di apprendimento cooperativo, formando gruppi eterogenei,
stabilendo il compito, definendo gli obiettivi sia cognitivi che sociali, preparando i
materiali necessari, organizzando l’interdipendenza positiva. Di seguito si riporta un
esempio di unità didattica realizzata con l’approccio dell’apprendimento cooperativo»
(Cittadoni et al., 2001) (figura 11.4).
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140 INSEGNARE DOMANI NELLA SCUOLA SECONDARIA
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Fasi di lavoro: 1) lettura del testo 2) compilare scheda di analisi e comprensione del testo 3) impostazione del
cartellone 4) narrazione della storia e presentazione alla classe 5) scheda di autovalutazione 6) valutazione del
lavoro di gruppo 7) scheda di verifica e comprensione del testo.
Tempi previsti: 8 ore
Fig. 11.4 Esempio di unità didattica con una semplice modalità di apprendimento cooperativo.
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142 INSEGNARE DOMANI NELLA SCUOLA SECONDARIA
sivo che orienta e dà senso alle varie attività formative. Viene identificato un tema
forte, un’idea centrale che orienta e che connette molte attività specifiche: «Perché
allora non considerare la televisione come riferimento di partenza per impostare un
percorso didattico di confronto tra televisione e libro, due trasmettitori di contenuti
e di significati che devono essere decodificati dal telespettatore e dal lettore? Nacque
così l’idea di questo progetto che ha coinvolto anche bambini della classe quarta, e
si è sviluppato contemporaneamente sullo studio della televisione e del libro come
veicoli, particolarmente diversi, di trasmissione di contenuti, che rispondono a
principi, leggi e regole propri, che devono essere compresi e posti come premessa
alla corretta decodificazione dei contenuti stessi» (Nassutti et al., 2002).
La didattica diventa sempre più speciale e inclusiva anche se riesce a differenziarsi
in funzione dei diversi stili cognitivi e di apprendimento degli alunni e in funzione delle
diverse qualità dell’intelligenza di chi apprende (Gardner, 2005). Un altro approccio
didattico speciale particolarmente utile e interessante è quello che utilizza le mappe con-
cettuali e rappresentazioni visive schematiche delle relazioni e dei concetti implicati in un
argomento o in un’attività. Tale approccio risulta evidentemente di particolare importanza
nel caso delle minorazioni uditive oppure di deficit cognitivi di concettualizzazione e di
elaborazione delle informazioni. La didattica delle discipline troverà modo di arricchirsi
e di diventare più speciale se includerà al proprio interno principi tecnici, talvolta anche
molto sofisticati provenienti da specifiche modalità di lavoro psicoeducativo elaborate
dalla ricerca scientifica: «A livello didattico-educativo, anche quest’anno si predispone
un approccio basato sui punti chiave del metodo TEACCH con integrazione della
comunicazione aumentativa alternativa che struttura la sua giornata scolastica, a livello
sia spaziale che temporale, proponendo tutta una serie di attività semplici e prevedibili,
per arrivare via via ad attività più varie e complesse» (Crupi et al., 2004).
Nella tradizione sperimentale dell’analisi applicata del comportamento e
dell’approccio cognitivo comportamentale si sono definite negli anni varie tecniche
di insegnamento speciale, che in alcuni casi sono assolutamente utili per arricchire
la didattica ordinaria: «Si sono offerte costanti opportunità di lavoro in piccolo
gruppo, durante le quali, seppure con la supervisione del docente specializzato, il
comportamento fosse controllato dai bambini stessi. La metodologia si è basata
fondamentalmente su processi imitativi, con momenti di rielaborazione delle atti-
vità mediata da gioco simbolico, sulle tecniche comportamentali di aiuti e relativa
graduale attenuazione, rinforzamento simbolico, tutoring in piccolo gruppo di
apprendimento cooperativo» (Mattioli, 2005).
La didattica diventa speciale e inclusiva se lavora anche profondamente sugli
obiettivi curricolari, se definisce il più possibile punti di contatto, nei vari saperi
e ambiti disciplinari, tra le competenze, magari scarse, dell’alunno e le richieste
degli obiettivi della classe. La ricerca del punto di contatto è un processo continuo
di avvicinamento e collegamento di obiettivi, in modo che quelli individualizzati
per l’alunno in difficoltà rispondano il più possibile a due criteri: siano nell’ambito
disciplinare curricolare, siano cioè obiettivi normali, e siano anche compatibili con
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BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI E INCLUSIONE 143
i suoi livelli di performance, siano cioè anche obiettivi speciali. In questo modo
si ottiene una partecipazione sociale realmente significativa al ruolo di alunno: gli
altri compagni fanno geografia, ad esempio, e anche l’alunno in gravi difficoltà fa
geografia, naturalmente adattata nei modi necessari e sufficienti per i suoi bisogni
speciali. In questa ricerca continua del punto di contatto diventa assolutamente
necessaria la stretta collaborazione tra insegnanti curricolari, che conoscono meglio
un campo di sapere, la sua epistemologia e la sua didattica e docenti di sostegno,
che conoscono meglio l’alunno, le sue caratteristiche, i suoi bisogni e le dinamiche
di insegnamento-apprendimento.
Per rendere possibile e significativo l’apprendimento e attiva la partecipazione
a un compito per un alunno disabile, molto spesso dobbiamo «adattare» gli obiet-
tivi, modificare cioè qualcosa nella coppia di elementi che costituisce l’essenza di
qualunque obiettivo:
INPUT AZIONE
Condizioni di «stimolo», Quello che il soggetto farà, nella componente «comprensione» dell’input (decodi-
nei confronti delle quali fica e generazione di significato), «elaborazione» (lavoro a vari livelli sui significati
il soggetto agirà. per costruire ciò che l’azione richiede: memoria e collegamenti, valutazione,
decisione, problem solving, ecc.) «output» (programmazione e realizzazione del
prodotto agito: verbale, motorio, ecc.).
In ogni fase del lavoro di adattamento degli obiettivi dovremmo tener conto
di queste tre componenti dell’azione che chiediamo all’alunno. Potremmo lavorare
sull’input all’azione stessa: potremmo infatti modificare l’input per facilitare la fase
di comprensione (lessico più facile, lettere scritte più grandi, ecc.), ma anche per
facilitare la fase di elaborazione (forniamo qualche esempio in più delle strategie del
raggruppare per categoria, diamo una mappa concettuale per organizzare in anticipo
un argomento, ecc.) oppure per facilitare la fase di realizzazione di un output (gui-
diamo la mano, tracciamo con dei piccoli punti un percorso facilitato di scrittura,
facciamo scegliere tra varie opzioni di risposta invece di scriverle, ecc.).
In questa parte del capitolo ci limiteremo a discutere di varie possibilità di adat-
tamento della coppia «input → azione», ma gli insegnanti sono ben consapevoli che
le informazioni che l’input porta all’alunno che apprende non sono soltanto riferite
all’azione prevista: l’input comunica molto altro. Comunica, anche inconsapevol-
mente, e stimola processi di rappresentazione di sé e di interpretazione cognitivo-
motivazionali molto importanti: «Oddio, matematica!»; «Oh, no… movimenti
e mimo!»; «Non ce la farò mai!»; «Troppo difficile, non ne abbiamo mai parlato
prima!»; «Non ha senso! Non serve! Cosa mi importa di…!»; «Non funziona così…
è solo questione di fortuna… O, se fosse più semplice, forse ce la farei… ma così…».
Nell’affrontare le varie possibilità di adattamento degli obiettivi curricolari,
che abbiamo definito come coppia di input → azione, dobbiamo tener conto di
un principio di parsimonia (e di normalità): meno si adatta meglio è (a condizione
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144 INSEGNARE DOMANI NELLA SCUOLA SECONDARIA
però che l’azione dell’alunno sia facilitata e resa realmente possibile): si introdu-
cono meno cambiamenti possibile, oppure i cambiamenti più «naturali» possibile,
proprio per alterare al minimo la situazione in cui agisce l’alunno.
Dobbiamo però fare i conti con il principio di efficacia: l’adattamento che
facciamo deve realmente essere decisivo per la facilitazione dell’alunno, deve
cioè produrre un’azione efficace. Seguendo questo principio, spesso si dovrà fare
ricorso ad aiuti anche molto forti, espliciti, artificiosi talvolta: nessun proble-
ma, se gradualmente ridurremo la loro invasività, portando progressivamente
la situazione (il materiale, le consegne, gli aiuti, ecc.) il più vicino possibile a
quella naturale.
Un adattamento, per essere considerato un aiuto/mediazione didattica e non
essere una «protesi», dovrà dunque essere inizialmente molto efficace, molto naturale
e poi via via ridursi fino a sparire.
Vediamo nel diagramma di flusso che segue le varie possibilità di adattamento.
Come si è visto, la sequenza dei cinque livelli segue il principio di parsimonia:
non cambiare niente che non sia strettamente necessario, modificare il meno pos-
sibile, ma se serve per aiutare la risposta all’alunno dovremmo via via modificare
anche profondamente la situazione di apprendimento. Le operazioni della fase di
«sostituzione» sono necessarie prevalentemente nei casi di difficoltà sensoriali e/o
motorie. Le fasi della «facilitazione» sono particolarmente appropriate quando le
difficoltà non sono troppo forti e sono specifiche e settoriali. Quando però i deficit
di comprensione, elaborazione e output diventano più significativi, si dovrà ricorrere
alle varie procedure della fase di «semplificazione», e, nei casi di ancor maggiore
difficoltà, dell’alunno o della disciplina, alla «scomposizione in nuclei fondanti» di
quel sapere disciplinare o di quell’ambito di apprendimento.
Nei rarissimi casi di forte gravità, in cui, dopo aver tentato, in scienza e coscienza,
ognuna di queste forme di adattamento, ancora non si riesce a creare una serie signi-
ficativa di obiettivi di collegamento, si può ricorrere alla «partecipazione alla cultura
del compito» (Pavone, 2000; 2004; Cottini, 2004), cercando di non sottovalutare
comunque la situazione di sviluppo dell’alunno, perché il nostro obiettivo prima-
rio, nell’integrazione, è sempre quello del massimo livello di partecipazione attiva
dell’alunno alle attività curricolari, non tanto quello di avere un alunno «spettatore».
Accanto al lavoro di adattamento degli obiettivi curricolari dobbiamo ora di-
scutere di adattamento del materiale primario su cui tanto si lavora: il libro di testo
e le schede didattiche.
I libri di testo e le varie schede didattiche che vengono utilizzate possono essere adat-
tate per rispondere meglio ai vari tipi di bisogno educativo speciale; questo non significa
solamente semplificare o ridurre, in molti casi il testo è reso più efficace con arricchimenti e
modifiche negli aspetti percettivi e di elaborazione cognitiva e concettuale (Ianes e Crame-
rotti, 2009; Scataglini e Giustini, 1998). La didattica comune viene resa poi più efficace,
più speciale, se i tempi di apprendimento e di esercitazione vengono modulati e adattati
alle varie esigenze individuali, ma questa è una pratica largamente diffusa tra gli insegnanti.
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BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI E INCLUSIONE 145
Azione
Obiettivo curricolare
Input Comprensione standard destinato
Elaborazione a tutti gli alunni
Output
1° livello:
Sostituzione
È sufficiente qualche for- Questo primo livello di adattamento
ma di «sostituzione» dei si limita a una «traduzione» dell’input
vari componenti dell’in- in altro codice/linguaggio e/o all’uso
put e dell’azione? di altre modalità di output. Non si
semplifica da alcun punto di vista, si
cura soltanto l’accessibilità.
Ad esempio:
– sostituzione di input per la compren-
sione (lingua italiana segni, materiale
in Braille, registrazioni audio di testi,
ecc.)
– sostituzione di output per la risposta
(uso del computer in videoscrittura
invece della matita, scelta multipla
invece di domande aperte, ecc.).
Sì
No
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146 INSEGNARE DOMANI NELLA SCUOLA SECONDARIA
2° livello:
Facilitazione
Non è sufficiente o utile una – Si lavora sui tempi utilizzati per quell’obiet-
ricontestualizzazione, biso- tivo, con periodi più lunghi, più variazioni di
gna semplificare qualcosa contenuto, più pause, ecc.
nei tempi e negli spazi. – Si lavora sulla ristrutturazione degli spazi,
con collocazioni più facilitanti, eliminando le
distrazioni, controllando l’illuminazione, ecc.
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BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI E INCLUSIONE 147
Oltre alla modificazione dei Aggiungiamo indizi, stimoli estrinseci (extra cue) che
tempi e degli spazi dobbia- aiutino le varie fasi dell’azione:
mo arricchire la situazione – colori
con vari tipi di aiuto. – immagini
– mappe cognitive
– spiegazioni aggiuntive
– modelli competenti nel «far vedere» come si fa
– organizzatori anticipati/domande di riorganizzazione
del background di conoscenze pregresso
– aiuti vari per la memoria (immagazzinamento e
recupero), per la pianificazione delle azioni (esempi
di script per scrivere un testo), per la decodifica e la
comprensione, ecc.
In questa fase si aggiungono informazioni, non si facilita
riducendo qualcosa dell’obiettivo.
3° livello:
Semplificazione
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148 INSEGNARE DOMANI NELLA SCUOLA SECONDARIA
4° livello:
Scomposizione
nei nuclei Dobbiamo trovare Nell’epistemologia di quel sapere disciplinare si
fondanti nel percorso cur- identificano delle attività fondanti e accessibili,
ricolare dei nuclei al livello di difficoltà di cui abbiamo bisogno.
fondanti della di- Ad esempio: in Geografia, la distinzione tra
sciplina che siano cambiamenti naturali e cambiamenti operati
più agevolmente dall’uomo può essere affrontata in modo si-
traducibili in obiet- gnificativo ma accessibile realizzando una serie
tivi accessibili e di fotografie di ambienti naturali e manufatti e
significativi. classificandole in un cartellone.
In Storia, la consapevolezza della pluralità
sistemica delle cause può essere affrontata
realizzando un libro della propria storia perso-
nale, con i fatti più salienti circondati da molte
cause (il cambio di casa è causato dall’arrivo
di un fratello, dall’eredità del nonno, dalla voglia
di stare più vicini alla campagna, ecc.).
In questo modo ci si avvicina ai nuclei fondanti
di un sapere disciplinare, essendo più attenti
però ai processi cognitivi tipici di quel sapere
piuttosto che ai prodotti (nozioni).
5° livello:
Partecipazione Dobbiamo trovare le occasioni per far partecipare l’alunno a dei momenti
alla cultura significativi di elaborazione o utilizzo delle competenze curricolari, in modo
del compito che sperimenti, anche se soltanto (?) da spettatore, la «cultura del compito»
(il clima emotivo, la tensione cognitiva, i prodotti elaborati, ecc.).
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BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI E INCLUSIONE 149
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Il terreno Il terreno I semi e le loro Il frutteto La germinazione
contiene acqua? contiene aria? proprietà
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il suolo? Le proprietà Visita
del suolo Il seme dentro
alla Fattoria Didattica
di Ficarra (ME)
La permeabilità
IL TERRENO LA SEMINA
PRIMO MODULO SECONDO MODULO
4 Conclusioni
«Il comportamento Composizioni personali Il rispetto
del suolo»
1 Osservare 3 Piantare
Fiori nel nostro giardino
Tabelle e grafici
Schede di verifica
150 INSEGNARE DOMANI NELLA SCUOLA SECONDARIA
Il loro utilizzo
Le varie coltivazioni Le piante e i fiori Le nostre insalate Le norme igieniche
nell’alimentazione
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152 INSEGNARE DOMANI NELLA SCUOLA SECONDARIA
gestuale, col quale fosse possibile condividere consapevolmente alcuni messaggi che
significassero oggettivamente qualcosa. Si crearono così delle aree di integrazione
laddove lei aveva maggiori possibilità sia per la motivazione, sia per le abilità che
effettivamente possiede: in quel contesto specifico si poteva creare una condizione di
reale parità. Inoltre, l’obiettivo di questi giochi era anche rendere tutti consapevoli
del valore comunicativo di alcune espressioni dell’alunna con disabilità: rendere cioè
convenzionali alcuni segni che lei utilizza per determinate espressioni, attribuendo
a essi il giusto valore» (Parente, 2002). Il lavoro laboratoriale sulle emozioni è un
ambito dei più importanti: aiutare i bambini a sintonizzarsi meglio con le proprie
emozioni è un importante fattore psicologico di protezione con effetto positivo di-
retto sull’apprendimento e sulle competenze interpersonali. Sviluppare l’intelligenza
emotiva vuol dire allenare il bambino a un miglior rapporto con se stesso e con gli
altri. In attività laboratoriali di questo genere è molto facile integrare in maniera
significativa anche alunni con gravi disabilità. Accanto ai laboratori socioaffettivi
ed emotivo-relazionali troviamo spesso laboratori creativi, nell’ambito del teatro,
della fotografia, della costruzione di video: «Il laboratorio di espressione corporea e
animazione teatrale, infatti, ha come finalità specifica la conoscenza di sé, base per
un corretto sviluppo relazionale affettivo, ed è stato utilizzato come strumento per
aiutare, attraverso tecniche diverse, l’uso del linguaggio mimico e gestuale, la mani-
polazione di materiali ecc., la formazione dell’identità e lo sviluppo dell’autonomia
personale di ciascun alunno» (Cittadoni et al., 2001). Questi laboratori possono
anche avere come tema l’approfondimento scientifico della condizione di disabilità
dell’alunno: «Una mattina di maggio a ricreazione, Mirko prese dal sacchetto di un
compagno alcune patatine, come già accaduto in altre occasioni, ovviamente senza
chiederle. Questa volta però il compagno non era disposto ad accettare l’ennesima
ingiustizia e reagì afferrando Mirko per il collo. Protestò: non è giusto. L’insegnante
intervenne e cominciò una riflessione con il gruppo di bambini. Alcuni ritenevano
che Mirko avesse fatto questo proprio a causa delle sue difficoltà di comunicazione,
altri lo giustificavano perché era malato, qualcun altro lo difese con pietismo. Con
quell’occasione l’insegnante decise di rompere gli indugi circa la necessità di arrivare
a una spiegazione più consapevole sui motivi della diversità di Mirko, servendosi
dalla lettura del libro Colla: un incontro straordinario, a cura del Centro emiliano
problemi sociali per la trisomia 21 di Bologna. Dall’interesse, dall’attenzione e dalle
domande che da quel momento cominciarono a emergere l’insegnante intuì il biso-
gno latente dei bambini di conoscere e approfondire la conoscenza di Mirko, il loro
desiderio di parlare e di concretizzare con l’immagine del disegno le loro proiezioni e
le caratteristiche sconosciute e ignote del compagno. Il team, servendosi del materiale
prodotto dai bambini, decise, alla ripresa dell’anno scolastico, di proseguire questo
percorso con la diversità evidente, manifesta» (Missiroli et al., 1999).
In questa ottava risorsa si possono veramente inventare le cose più diverse
nell’ambito di percorsi educativi e relazionali per tutta la classe, citeremo soltanto due
altri esempi tra i tanti possibili: «Il laboratorio per la manutenzione delle biciclette
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BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI E INCLUSIONE 153
fu avviato concretamente all’inizio della classe quarta, coinvolgendo tutti gli alunni,
incluso Marco. Il laboratorio, sotto la guida di un volontario, trasformò un locale
in un’officina in cui venivano pulite le biciclette dei ragazzi, dei bidelli e di qualche
insegnante, si oliavano le catene, si registravano i freni, veniva controllato lo stato
delle luci. Tutto cercando di capire il funzionamento delle varie parti per giungere
al funzionamento di insieme» (Bentini et al., 2003). Dalla bicicletta alla barca a
vela: un’altra esperienza significativa di integrazione è stata svolta a Palermo in un
Istituto superiore attraverso un corso di navigazione a vela: «Le pratiche richieste, le
manovre e ogni altra operazione necessaria per il governo di una barca a vela d’altura
richiedono l’elevato senso di cooperazione, spirito di squadra e solidarietà, inoltre,
il vivere intensi momenti di collaborazione e sodalizio, di cooperazione progettuale
e materiale, di senso del dovere nello svolgimento di ruoli, favorisce l’attivazione di
dinamiche relazionali intense ed efficaci e l’incremento di competenze prosociali»
(Di Fresco e Caccamo, 2005).
9. Didattica individuale
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154 INSEGNARE DOMANI NELLA SCUOLA SECONDARIA
di Marco sono stati realizzati: un calendario annuale dov’erano cancellati via via i
mesi, un calendario mensile da completare ogni giorno, un cartellone con elencate
tutte le attività della settimana, un’agenda delle attività a scansione giornaliera dove
venivano precisati luoghi e le attività del giorno, un quaderno delle regole che Marco
e l’insegnante consultavano ogni mattina al momento dell’accoglienza, ascoltando
a basso volume alcuni brani di musica classica rilassante» (Munaro et al., 2004).
In questo caso gli accorgimenti didattici sono molto specifici e individuali,
studiati sulle caratteristiche di apprendimento di quell’alunno, che vengono utilizzati
soltanto da lui, non vengono come in altri casi spesi nel loro utilizzo direttamente
anche con tutto il resto della classe. In altri casi le attività individuali cercano di
colmare delle lacune particolarmente gravi in termini di competenza oppure di for-
mare alcune strumentalità specifiche rivolte agli apprendimenti da affrontare poi in
contesti più allargati, nella classe: «Per stimolare la sua attenzione, la concentrazione
e l’abilità manuale viene proposta come attività specifica l’uso di strumenti ritmici
e melodici, avendo così trovato una motivazione per poter affrontare in maniera
ricettiva le fasi del percorso prettamente scolastico della strumentalità di base, sul
piano sia della produzione scritta che della fruizione della lettura: dalla sillaba alla
parola, dalla parola alla frase. Il linguaggio musicale di lunghezze, durate, insieme,
quantità, unità di tempo, pulsazione, battuta, ha fornito la chiave per aprire una
porta della sfera logico-matematica. L’esercitazione su cellule ritmiche permette
di acquisire gradualmente l’autocontrollo della propria emotività e l’esercitazione
strumentale è abbinata alla lettura sillabica lenta e poi veloce fino alla lettura della
parola» (Bentini et al., 2003).
Un altro esempio di un’attività individuale rivolta a un bambino con deficit
uditivo: «Al bambino furono riservati dei momenti individuali di lavoro esclu-
sivamente per dare l’opportunità di rivedere e memorizzare i termini nuovi, nel
rispetto dei suoi tempi di apprendimento. La decisione di operare in tal modo fu
positiva non solo per gli apprendimenti, ma anche perché permise di acquisire
maggiore fiducia nelle sue capacità» (Cuignon et al., 2002). Le attività didattiche
individuali cercano comunque di mantenersi, a livello di obiettivi e di modalità, il
più possibile contigue, vicine e finalizzate a quelle svolte dai compagni: «Al termine
della classe quarta, durante le lezioni di matematica, si diede inizio a un’attività di
produzione di numeri in cartone, da colorare e ritagliare. Questo legame minimo
con le attività matematica della classe, rese visibili ai compagni e a Michele stesso
attraverso l’esposizione in classe delle produzioni, si configurò come sviluppo e
variazione delle attività di campismo svolte durante l’anno. Riconosciuta nel corso
degli anni la difficoltà di far partecipare Michele ai lavori svolti normalmente dai
compagni, il legame con le attività matematiche fu inizialmente ricercato in un
comune argomento che guidi e faccia da sfondo alla sua attività e a quella della
classe. Se nel corso della conversazione del mattino un bambino racconta di essere
stato il giorno prima a raccogliere castagne, la parola castagne compare tra quelle
che Michele leggerà nel corso della settimana: Michele disegna, colora, ritaglia,
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BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI E INCLUSIONE 155
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156 INSEGNARE DOMANI NELLA SCUOLA SECONDARIA
stato trascritto dal ragazzo al computer, lavoro molto significativo per lui perché man
mano che scriveva si rendeva conto dell’errore ortografico, grammaticale e sintattico,
segnalato dalla correzione automatica del computer che sottolinea in rosso le parole
errate. Contemporaneamente ha realizzato un valido esercizio di strutturazione della
frase, acquisendo maggiore scioltezza nell’uso della punteggiatura, dei connettivi e
di altri elementi della frase. La risposta positiva a questo tipo di attività ci ha fornito
indicazioni importanti relativamente alle strategie da adottare per facilitare i suoi
apprendimenti» (Cavallaro e Valentini, 2002).
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BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI E INCLUSIONE 157
individuali, come nell’esempio seguente: «In orario curricolare, nel secondo quadri-
mestre, per alcune ore settimanali, Valentina ha preso parte al percorso sul progetto
di vita, articolato su tre attività: cucina, giardinaggio e manualità. Nel laboratorio
di cucina, l’allieva ha apparecchiato, lavato le stoviglie, ha pesato gli ingredienti,
imparato a preparare semplici ricette che poi ha ripetuto a casa con la mamma e ha
trascritto al computer» (Capua e Caliendo, 2005).
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