INFLAZIONE (DEFLAZIONE)
E COME SI MISURA
L'inflazione (deflazione), che è stato un grande problema negli anni ’70 in Italia, e lo è adesso, è un
processo generalizzato di aumento (diminuzione) dei prezzi, che riguarda l’insieme dei beni e
servizi. Questo comporta al fatto che il potere d’acquisto dei redditi, salari e stipendi si riduce. In
assenza di meccanismi che compensano questo aumento, l’inflazione si traduce in una riduzione
dei livelli di vita della popolazione (un paese diventa meno affidabile). Lo status quo sarebbe un
livello fisiologico di aumento dei prezzi nel tempo, che è la situazione che assicura stabilità nel
tempo.
L’esigenza delle autorità di politica economica e monetaria e degli operatori è di disporre di un
indicatore:
Tempestivo
La prassi, consolidata a livello internazionale, è di utilizzare come indicatore della variazione
generalizzata dei prezzi l’Indice dei Prezzi al Consumo (IPC). Questo non esaurisce tutte le forme di
misura della variazione dei prezzi.
L’indice misura propriamente la dinamica dei prezzi dei consumi finali delle famiglie originati da
transazioni monetarie.
In realtà esistono diversi Indici di Prezzo, dei quali l’IPC è il più noto, diffuso ed utilizzato; ad
esempio:
- → Indice dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali;
P1Q1
- Indice di valore V1,V =
0 P0Q0
Il problema della misura dell’inflazione è capire quando si tratta non di un singolo bene, ma quando
si tratta di un aggregato di beni e servizi, il problema è come definire questi valori.
Accanto agli Indici di Prezzo, esistono gli Indici di Quantità (detti anche di “Volume”), ad esempio:
- → Indice della produzione industriale;
2
- → i prezzi al consumo sono quelli effettivi di listino, al lordo di eventuali sconti o promozioni.
Per capire come è fatto L’IPC, dobbiamo dire che fa parte della categoria dei Numeri Indice (NI), uno
strumento statistico utilizzato per lo studio delle variazioni; per la loro costruzione occorre
affrontare diversi problemi, raggruppabili in tre categorie:
- → metodologia di costruzione dei Numeri Indice;
INDICI SEMPLICI
Quando si calcolano gli indici, per non portare dietro molti decimali, il valore dell’indice è moltiplicato
P
per 100. L’indice di prezzo elementare tra il tempo 0 e il tempo 1 è dato da 1 * 100
P0
Esempio prof
Supponiamo di avere più periodi, e consideriamo l’andamento dei prezzi in tutti mesi dell’anno
0, 1, 2, …, T.
Per ogni periodo, vediamo quanto varia il prezzo del bene rispetto al momento iniziale
P1 P2 Pt
dell’osservazione. Andremo a calcolare , … . Ad ogni istante confrontiamo il valore del
P0 P0 P0
prezzo corrente con quello del periodo iniziale si chiamano indici a base fissa
Succede che al tempo t, si va a misurare l’aumento complessivo dei prezzi in tutti i periodi che
vanno da 0 a t
0 t T
Si chiamano invece indici a base mobile quelli dove ciò che interessa è la variazione di breve
periodo (o variazione congiunturale). Si vuole vedere in ogni periodo qual è stata la variazione dei
P1 P2 PT
prezzi rispetto al periodo immediatamente precedente , ,…, . In pratica, invece di
P0 P1 PT-1
considerare la variazione in tutto l’intervallo di tempo, si suddivide questo intervallo in tutti intervalli
piccoli, di pari ampiezza, e ogni volta si vede la variazione di questi piccoli intervalli.
Tra i due indici esiste una relazione: l’indice a base fissa è la variazione in tutto l’intervallo grande,
quindi è l’effetto cumulato delle variazioni presenti nei piccoli intervalli.
3
P3 P P P
La variazione complessiva tra il tempo 0 e il tempo 3 ( ) sarà uguale a 1 * 2 * 3
P0 P0 P1 P2
P3 P1 P2 P3
= * *
P0 P0 P1 P2
l’indice a base fissa è uguale prodotto degli indici a base mobile dal periodo successivo alla
base fino all’indice relativo al periodo corrente
Altro esempio
si definisce indice semplice di prezzo (base: tempo 0). Per convenzione, il risultato del rapportato
viene moltiplicato per 100. Ad esempio:
indica che tra il 2017 e il 2018, il prezzo del bene A è aumentato del 2,1% e quello del bene B è
diminuito del 3%.
D’ora in poi, per comodità ometteremo il riferimento a 100. Data una serie storica t (t = 0,...,T) dei
prezzi di A, si possono costruire due serie di numeri indice semplici:
- a base fissa, ottenuti rapportando il prezzo al tempo t al prezzo al tempo a base 0:
4
- a base mobile, ottenuti rapportando il prezzo al tempo t al prezzo al tempo t-1:
Un indice a base fissa misura la variazione complessiva del prezzo del bene A fra l’anno corrente t e
l’anno base 0. Un indice a base mobile misura la corrispondente variazione annua del prezzo di A. Si
può sempre passare da un Indice a base fissa al corrispondente Indice a base mobile. E’ sufficiente
fare il rapporto fra i due corrispondenti indici a base fissa:
Analogamente si può sempre passare da un Indice a base mobile al corrispondente Indice a base
fissa. Occorre in questo caso moltiplicare fra loro tutti i corrispondenti indici a base mobile tra
l’anno preso come base fissa e l’anno corrente:
5
Questo si fa quando dobbiamo calcolare un indice elementare (quanto è aumentato il prezzo della
benzina). In realtà quanto è aumentato un bene non ci interessa più di tanto, a noi interessa capire
per calcolare l’inflazione, quanto è aumentato in generale il livello di prezzi di tutti i beni e servizi che
entrano nel paniere, definiti come rilevanti per la spesa delle famiglie. Un aumento del prezzo delle
borsette, ad esempio, sul mio bilancio familiare pesa molto meno di quanto possa pesare l’aumento
del prezzo dell’energia elettrica.
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Se abbiamo n prodotti nel paniere (n beni e servizi) per ciascuno di questi abbiamo calcolato l’indice
P
elementare di prezzo tra i1 , dove i = prodotto che varia da 1 a n
Pi0
Pi0,qi0 Pi1,qi1
Per ciascun prodotto conosciamo il valore della spesa per quel prodotto sia al tempo iniziale sia al
tempo 1.
-Spesa totale al tempo 0: sarà la somma delle spese sostenute al tempo 0 per acquistare tutti gli n
prodotti, quindi la quota di spesa sarà la somma per i che va da 1 a n di tutte le spese sostenute
al tempo 0 per acquistare i prodotti. La quota di spesa che rappresenta l’importanza del prodotto i-
esimo sarà uguale alla spesa sostenuta al tempo 0 per acquistare il prodotto i-esimo diviso il totale
delle spese (sempre al tempo 0)
Pi0qi0
∑nPi0,qi0
∑i=1Pi0,qi0
La media aritmetica ponderata delle variazioni di prezzo, quindi l’indice sintetico calcolato come
media aritmetica ponderata degli indici elementari (quando si fa la media, invece di dare lo stesso
peso a tutti gli indici elementari, do il peso maggiore a quelli che sono più importanti per i consumi
P
degli italiani), sarà uguale alla somma degli indici elementari ( i1 ) moltiplicati per il peso Wi, con il
Pi0
vincolo che la somma dei pesi sia 1.
Pi1
∑Wi( )
Pi0
∑Wi = 1
7
n = 3 prodotti (A,B,C)
P0= prezzo al tempo 0 p1=prezzo al tempo 1
A B C spesa totale
P0 2 3 8
p1 3 4 5
P1
indici semplici * 100 150 133,33 62,5
p0
spesa tempo 0
pesi al tempo 0 0,123077 0,138462 0,738462 1
totale spesa
spesa al tempo 1P1 * q1 540 560 1750 2850
spesa tempo 1
pesi al tempo 1 0,189474 0,196491 0,614035 1
spesa totale
indice di prezzo: (media aritmetica ponderata degli indici elementari con pesi relativi all'anno 0)
o (media aritmetica ponderata degli indici elementari con pesi relativi all'anno 1)
Indici di prezzo al tempo 0 (150 * 0,123077) + (133,33 * 0,138462) + (62,5 * 0,738462) = 83.07
Indici di prezzo al tempo 1 (150*0,189474) + (133,33*0,196491) + (62,5*0,614035) = 92,99
Quando uso una struttura di pesi che dipende dalle quote di spesa all’anno base si parlerà di indici
di prezzo sulla base di Laspeyres
Se faccio riferimento all’anno corrente, uso una formula sulla base degli indici di Paasche
Lezione 09/11/2020
INDICI SINTETICI O COMPLESSI
8
Il problema è trovare un modo per rappresentare la variazione di prezzo riferita a tutto il paniere di
beni. Abbiamo tanti indici elementari di prezzo che variano nel tempo: quello che dobbiamo fare è
trovare una misura di sintesi di questa variazione. L’operazione in statistica con cui facciamo le
sintesi è la media. Il problema è che se facciamo la media aritmetica semplice non sarebbe giusto
attribuire la stessa importanza a tutti i prodotti. Il motivo per cui calcoliamo le misure dell’inflazione
è capire quanto si deteriora nel tempo il potere d’acquisto della moneta, e quindi la possibilità per le
famiglie di acquistare beni e servizi. Se aumenta il prezzo di un prodotto molto importante per le
famiglie, questo comporterà un peggioramento delle condizioni maggiore rispetto alla situazione in
cui varia il prezzo di un prodotto che comunque pesa poco. Se invece di un singolo bene si vuole
analizzare un aggregato di “n” beni (alimentari, bevande, trasporti, etc.), si può fare una media degli
indici elementari (di prezzo o di quantità). Dato il differente “peso economico” dei diversi beni (è
intuitivo considerare che il pane ha un’incidenza maggiore nel bilancio familiare rispetto ad esempio
alle nespole), per una rappresentazione corretta dei fenomeni occorre che la media non sia
semplice, ma ponderata: i pesi devono misurare l’incidenza economica dei vari beni sul totale. Tale
incidenza può essere ottenuta introducendo ad esempio come peso di ciascun bene il valore
relativo della spesa per lo stesso sul totale della spesa complessiva. Sono possibili sistemi di
ponderazione differenti, che portano a NI differenti. Quindi la cosa logica è calcolare una media
ponderata, che dà più peso ai prodotti più importanti.
Abbiamo la spesa complessiva delle famiglie, abbiamo la spesa per i vari prodotti: è abbastanza
intuitivo dire che l’importanza del prodotto è rappresentata dalla quota di spesa per quel prodotto.
L’importanza del prodotto è quanto la famiglia consuma per acquistare quel prodotto. Una volta
scelto che l’importanza di un bene si calcola come riferimento alla quota sulla spesa totale, si pone
un altro problema: noi misuriamo un indice elementare che mette a confronto il prezzo nel tempo
corrente (tempo 1) col tempo di riferimento (tempo 0)
Nel tempo la quota di spesa cambia: abbiamo 2 sistemi di pesi
1. Basato sulla spesa al tempo iniziale, di riferimento (tempo 0) (LASPEYRES)
2. Basato sulla spesa al tempo corrente (tempo 1) (PAASCHE)
Quindi sono state proposte 2 formule per il calcolo dell’indice generale di variazione dei prezzi.
LASPEYRES
Utilizza come peso il valore degli scambi al tempo 0:
ipotizziamo che nel paniere ci siano n prodotti, per ciascun prodotto i (che indica in modo generico il
prodotto 1, 2, 3… N), l’importanza che attribuiamo alla variazione di prezzo del prodotto i-esimo sarà
rappresentata dalla spesa per il prodotto i-esimo al tempo 0 sulla somma delle spese sostenute al
tempo 0.
“Peso” del bene i:
9
Un NI di prezzo di Laspeyres assume la seguente forma
Questa formula la possiamo leggere anche in modo diverso. Mette a confronto un aggregato
virtuale della spesa che si sarebbe sostenuta al tempo 1 se le quantità fossero rimaste quelle del
tempo 0. Questo lo si mette a confronto con un aggregato reale che è la spesa effettiva al tempo 0.
In qualche modo questo indice misura la variazione della spesa che si avrebbe se a parità di
quantità si muovessero solo i prezzi.
L’indice di Laspeyres ha il vantaggio di attribuire alle variazioni di prezzo di un prodotto un peso che
riflette l’importanza reale delle transazioni relative a quel prodotto rispetto al totale degli scambi nel
periodo di riferimento. Richiede però un aggiornamento periodico della base stessa, tanto più
frequente quanto più è variabile nel tempo la struttura dei consumi della collettività, altrimenti si
rischierebbe di attribuire dei pesi che non riflettono più la reale importanza del bene considerato.
PAASCHE
Invece di utilizzare un peso che sia quello effettivamente osservato nella realtà, considera un peso
virtuale che è rappresentato dal prodotto fra i prezzi al tempo 0 e le quantità al tempo 1. Utilizza
come pesi un valore “virtuale” degli scambi, ottenuto moltiplicando i prezzi al tempo 0 e le quantità
al tempo 1:
“peso” del bene i:
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che si semplifica in:
Anche qui possiamo leggere questa formula come rapporto tra due aggregati, ma qui quello reale è
quello relativo alla spesa al tempo 1, mentre al denominatore abbiamo l’aggregato virtuale della
spesa che avremmo al tempo 1 se i prezzi fossero rimasti quelli del tempo 0. Abbiamo quindi il
rapporto tra 2 aggregati in cui variano solo i prezzi, però le quantità di riferimento sono quelle del
tempo 1 e non del tempo 0.
L’indice di Paasche utilizza quindi un sistema di pesi aggiornato alle reali dinamiche di consumo, in
quanto basato sulle quantità correnti, ma che tuttavia non riflettono un valore effettivamente
osservato, ma un valore virtuale.
Questo fatto che l’indice di Laspeyres fa riferimento alle quantità al prezzo base e l’indice di
Paasche alle quantità al tempo corrente, in caso normale, fa sì che l’indice di Laspeyres dia valori
superiori all’indice di Paasche. Questo perché normalmente se aumenta il prezzo del bene,
diminuisce la quantità domandata. Se fra il tempo 0 e il tempo 1 il prezzo aumenta, la quantità
richiesta diminuisce. Se partiamo da questa relazione (Quantità al tempo 0>quantità al tempo 1), e
moltiplichiamo per P0 entrambi i termini di questa disuguaglianza, avremo che
p0q0(che è il peso che diamo all'indice elementare di prezzo nella formula di Laspeyres) > p0q1(peso
che attribuiamo con la formula di Paasche). Avviene il contrario se il prezzo diminuisce nel tempo, la
quantità che domanderemo al tempo 1 sarà maggiore della quantità al tempo 0.
Se il prezzo aumenta nell’indice di Laspeyres, la variazione di prezzo di quel prodotto riceve un peso
maggiore che non nell’indice di Paasche, se il prezzo diminuisce la variazione di prezzo nell’indice di
Laspeyres ha un peso minore rispetto a quella che avremo nell’indice di Paasche.
Quindi come risultato finale, un indice di Laspeyres produce un valore numerico, che in condizioni
normali (domanda è elastica, se aumenta il prezzo diminuisce la quantità) è superiore all’indice di
Paasche.
Applicati a dati di prezzo e quantità identici, i NI di prezzo di Laspeyres e di Paasche forniscono
valori sistematicamente differenti. Il risultato non è casuale, ma dipende dalle caratteristiche
economiche dei mercati, e in particolare dall’inclinazione negativa della curva di domanda:
11
Se il prezzo del bene “i” al tempo 0 è inferiore a quello al tempo 1 (cioè se il bene aumenta di
prezzo), a parità di altre condizioni normalmente questo si traduce in una diminuzione della quantità
scambiata:
p0 < p1 ==> q0 > q1
e ciò comporta:
p0q0 > p0q1
Il contrario accade se il prezzo del bene “i” al tempo 0 è superiore a quello al tempo 1 (cioè se il
bene diminuisce di prezzo); a parità di altre condizioni normalmente questo si traduce in un
aumento della quantità scambiata:
p0 > p1 q0 < q1
e ciò comporta:
p0q0 < p0q1
Di conseguenza, un bene il cui prezzo aumenta (p1 / p0 > 1) riceve in un NI di prezzo di Laspeyres
un peso maggiore che in uno di Paasche. E un bene il cui prezzo diminuisce (p1 / p0 < 1) riceve in
un NI di prezzo di Laspeyres un peso minore che in uno di Paasche. Come risultato finale, un NI di
prezzo di Laspeyres produce tendenzialmente un valore numerico superiore ad uno di Paasche:
Ciò si esprime dicendo che un NI di prezzo di Laspeyres presenta una tendenziosità positiva
rispetto ad uno di Paasche.
Questo fatto porta a dire che l’indice di Laspeyres introduce un errore perché tende a sovrastimare
l’inflazione, l’indice di Paasche invece sottostima l’inflazione.
indice di Laspyres: soffre di tendenziosità positiva
indice di Paasche: soffre di tendenziosità negativa
Se abbiamo un indice che sistematicamente dà valori più alti della realtà, e dall’altra parte abbiamo
un indice che dà valori sistematicamente più bassi della realtà, come la stimiamo effettivamente la
realtà? La cosa che ci viene in mente è trovare un modo per compensare questo errore in eccesso
12
con l’errore in difetto, ossia facciamo una media tra i due indici. Questa media viene chiamata
media geometrica.
Es. prof
q0sistema di Laspeyres prende come riferimento questo
pi1
ci serve per vedere la variazione di prezzo dal tempo 0 al tempo 1
Pi0
pi0qi0
spesa al tempo 0 per il bene i-esimo sul totale della spesa al tempo 0
∑pi0qio
pi0qi1
valore virtuale dove p q rappresenta la spesa che si sarebbe avuta al tempo 1 per il
∑pi0qi1 i0 i1
Laspeyres ∑ (
pi1 pi0qi0
)
p q
= i1 i0 numeratore=aggregato virtuale
pi0 ∑pi0qi0 ∑pi0qio
Denominatore= aggregato reale
Paasche ∑ (
pi1 pi0qi1
)
p q
= i1 i1 numeratore=aggregato reale
pi0 ∑pi0qi1 ∑pi0qi1
denominatore=aggregato virtuale
Con Laspeyres misuriamo l’inflazione come rapporto tra la spesa che si sarebbe sostenuta al
tempo 1 se le quantità fossero rimaste al tempo 0 e la spesa al tempo 0; con l’indice di Paasche
mettiamo a confronto la spesa effettiva al tempo 1 con la spesa virtuale che avremmo sostenuto se
i prezzi fossero rimasti quelli del tempo 0.
Abbiamo detto che normalmente se aumenta il prezzo, diminuisce la quantità, quindi se aumenta di
molto il prezzo diminuisce di molto la quantità
Supponiamo 2 prodotti:
pi
pv
pv1
105% qv1 < qv0 peso quasi irrilevante (con Laspeyres)
pv0
Mi aspetto che la quantità che acquisto al tempo 1 sia sensibilmente minore della quantità del
tempo 0 (per il prodotto i). Per l’altro prodotto, dove mi aspetto che siccome la variazione di prezzo
è sensibilmente più bassa, mi aspetto che la quantità al tempo 1 sia minore della quantità al tempo
0, ma non tanto. Succede che:
Se io uso il sistema dei pesi di Laspeyres, uso le quantità al tempo 0. In realtà al tempo 1 ho
adeguato i miei comportamenti di spesa, però se uso questo indice non ne tengo conto.
Significa che alla variazione di prezzo (del prodotto i) do un peso molto alto di quello che
avrebbe se avessi usato una struttura di pesi basata sull’indice di Paasche, ossia su una
struttura di pesi che tiene delle quantità al tempo 1.
Per l’altro bene (v), le variazioni di pesi (se le quantità al tempo 1 sono circa uguali alle
quantità al tempo 0) non incide.
Se si utilizzasse un indice di Paasche, la variazione di prezzo del bene 1 non avrebbe un
peso molto alto.
Si vuole misurare l’inflazione, che non è osservabile direttamente. So che in situazioni normali,
l’indice calcolato con la formula di Laspeyres tra il tempo 0 e il tempo 1 mi darà un valore superiore
dell’indice calcolato con la formula di Paasche. Per trovare il valore vero (che sarà un valore
intermedio tra i due indici) si fa la media geometrica tra due valori, che si fa facendo la radice
quadrata del prodotto dei due indici, che si chiama Indice di Fischer.
Quindi (slide), per superare tale problema, è stata proposta la costruzione di un NI di prezzo detto di
FISHER, ottenuto come media geometrica dei due NI di Laspeyres e di Paasche:
Siccome intermedio fra i due, se l’indice di Laspeyres è un’approssimazione per eccesso del valore
14
vero dell’aumento dei prezzi, e l’indice di Paasche è un’approssimazione per difetto dell’inflazione,
possiamo sperare che l’indice di Fischer sia un’approssimazione migliore del livello di inflazione.
La tipologia di NI di Laspeyres, di Paasche e di Fisher si estende agevolmente alla costruzione di NI
di quantità: se vogliamo vedere come variano nel tempo le quantità, facciamo una rappresentazione
simmetrica a quelli di prezzo: (la parte degli indici di quantità si fa per completezza ma non ci
interessa, non fa parte dell’esame. Secondo lei ci può servire nella vita…… ma porco ***).
qv1
V = 1,…,n
qv0
NI di quantità:
pv0qv0
NI di Laspeyres
∑pv0qv0
∑
[ ( )(
qv1 pv0qv0
qv0 ∑pv0qv0
=)]
∑qv1pv0
∑pv0qv0
slide
Le quantità scambiate al tempo 1 e al tempo 0 sono confrontate mediante una media ponderata
che usa come pesi i prezzi di scambio al tempo 0.
pv1qv0
NI di Paasche
∑pv1qv0
∑
[ ( )(
qv1 pv1qv0
qv0 ∑pv1qv0
=)]
∑qv1pv1
∑pv1qv0
slide
Le quantità scambiate al tempo 1 e al tempo 0 sono confrontate mediante una media ponderata
che usa come pesi i prezzi di scambio al tempo 1.
NI di Quantità di FISHER:
Il NI di quantità di Fisher è ottenuto come media geometrica dei due NI di quantità di Laspeyres e
Paasche:
NI di Valore:
Il NI di valore ha una sola espressione possibile perché si mette a confronto il valore della spesa al
tempo 1 col valore della spesa al tempo 0. Ci fa vedere in che percentuale sono variate la spesa per
consumi delle famiglie.
15
Esempio prof
Tutta una grossa letteratura sugli indici di prezzo si è basata sulla ricerca del cd. Indice ideale.
Abbiamo detto che l’inflazione non è una cosa che osserviamo direttamente, cerchiamo di misurarla,
facendo delle medie, delle variazioni degli indici elementari, però direttamente non la osserviamo.
Abbiamo degli indici a tendenziosità positiva e a tendenziosità positiva. Cerchiamo quindi un indice
intermedio che è quello di Fischer, però possiamo porre il problema in modo diverso. Però, quali
sono i requisiti che dovrebbe avere un numero indice per la misura dell’inflazione? Quali
caratteristiche deve avere la misura?
Si può definire tale un NI che soddisfa sette condizioni o
TESTS DI FISHER
1. CONDIZIONE DI IDENTITÀ
Un NI deve essere uguale a sé stesso (quando tempo corrente e tempo di riferimento coincidono),
ovvero un NI riferito al tempo 0 ed espresso in base 0 è uguale ad 1. Ciò è valido sia per i NI
semplici (p0 / p0 = 1) che complessi; ad esempio, per un NI di prezzo di Laspeyres si ha:
Esempio prof:
16
Consideriamo l’indice di Laspeyres tra il tempo 0 e il tempo 1:
∑pv1qv0
∑pv0qv0
Consideriamo un prezzo p* in centesimi
∑pv1qv0 100pv1qv0
Se la sostituiamo = ∑( )
∑pv0qv0 100pv0qv0
3. CONDIZIONE DI PROPORZIONALITÀ
Se tutti i prezzi variano nella stessa proporzione, il NI di prezzo deve variare secondo il coefficiente
di proporzionalità (lo stesso deve accadere in un NI di quantità se a variare sono le quantità). Ad
esempio, per un NI di prezzo di Laspeyres, se pi1 = c * pi0 (per ogni “i”), si ha:
pv1
= 101%
pv0
K = coefficiente costante
pv1
Per ogni prodotto v che sta dentro il paniere ho che l’indice elementare di prezzo, ossia è uguale
pv0
a un certo valore (1%). Possiamo dire che qualunque variazione elementare di prezzi è uguale a un
certo coefficiente K.
∑pv1qv0 p
Si fa l’indice di Laspeyres, , se vale che per ogni prodotto v1 = K, allora avremo che pv1, è
∑pv0qv0 pv0
uguale a Kpv0
pv1 = Kpv0
∑pv1qv0 ∑kpv0qv0
=
∑pv0qv0 ∑pv0qv0
K è costante, e può essere portato fuori dalla sommatoria
17
∑pv0qv0
K =K
∑pv0qv0
4. CONDIZIONE DI DETERMINATEZZA
Un NI complesso non deve annullarsi, né assumere un valore infinito o indeterminato se il prezzo o
la quantità di un bene è uguale a zero. Tale condizione non è soddisfatta dai NI semplici, ma lo è dai
NI complessi di prezzo e quantità di Laspeyres e Paasche (e quindi anche di Fisher). Ad esempio,
per un NI di prezzo di Laspeyres:
Se il prezzo o la quantità del bene “i” è uguale a zero, l’indice assume sempre un valore determinato,
poiché è ottenuto come rapporto di due sommatorie, nessuna delle quali si annulla. Tale proprietà è
particolarmente importante quando si opera la modifica del “paniere” degli indici, con l’introduzione
di un nuovo bene “i” (il che significa qi0 = 0 e qi1 ≠ 0) e l’eliminazione di un bene “j” considerato in
precedenza (il che significa q j0 ≠ 0 e q j1 = 0).
Supponiamo che i prodotti siano solo 3
N=3
p1 q1 +p2 q2 +p3 q3
1 0 1 0 1 0
p1 q1 +p2 q2 +p3 q3
0 0 0 0 0 0
Supponiamo che fra il tempo 0 e il tempo 1 il prodotto 2 non si usa più. Quindi abbiamo che il
prezzo del prodotto 2 al tempo 1 è 0. Succede che nella somma che sta al numeratore questo va a 0,
ma l’indice non va a 0 perché rimangono gli altri due addendi. Dei 3 prodotti che consideriamo, uno
dei 3 non c’era al tempo 0. Quindi abbiamo che il p1 q1 , p2 q2 , p1 q1 sono nulli. Succede che
1 0 1 0 0 0
18
Ma non viene soddisfatta dai NI di Laspeyres e di Paasche; ad esempio, per un NI di prezzo di
Laspeyres si ha:
Spiegazione prof.
La proprietà di reversibilità nel tempo dice che l’indice riferito al tempo 1 con base il tempo 0 deve
essere uguale al reciproco dell’indice riferito al tempo 0 con base il tempo 1.
Per gli indici elementari, abbiamo che l’indice al tempo 1 riferito al tempo 0
p p
è 1 , l’indice riferito al tempo 0 con base al tempo 1 è 0 . Quindi vediamo che
p0 p1
e quindi non c’è problema.
∑pv1qv0
∑pv0qv0
19
∑pv0qv1 pv0
= non c’è nessuna relazione tra questi due indici, entrano aggregati
∑pv1qv1 pv1
totalmente diversi: entra la spesa effettiva al tempo 0 e entra la spesa effettiva al tempo 1; entra la
spesa che avrei avuto al tempo 1 se le quantità fossero rimaste quelle del tempo 0, e ho la spesa
che avrei avuto al tempo 0 se le quantità fossero quelle del tempo 1. Quindi gli indici di Laspeyres e
di Paasche non soddisfano la condizione di reversibilità nel tempo.
Considerando l’indice di Fischer, sappiamo che:
Per la prof al posto della i si ha la v in questo caso. Considero comunque le i per non creare ulteriore
confusione, sennò spacco qualcosa.
Gli indici che si individuano facendo tutte le semplificazioni sono l’uno il reciproco dell’altro, perché
gli aggregati al numeratore dell’indice relativo al tempo 1 con base al tempo 0 (ossia ∑pi1qi0 e
∑pi1qi1)si trovano al denominatore dell’altro. Analogamente gli aggregati al denominatore dell’indice
di Fischer relativo al tempo 1 con base al tempo 0 (∑pi0qio e ∑pi0qi1) li ritroviamo al numeratore
dell’indice di Fischer con base il tempo 1 ma riferito al tempo 0.
Quindi l’indice di Fischer soddisfa la situazione di reversibilità nel tempo.
20
4 proprietà sono soddisfatte sia da Laspeyres, da Paasche e da Fischer, 2 sono soddisfatte solo da
Fischer, che però non soddisfa l’ultima proprietà.
Tale condizione non è soddisfatta da nessuno dei NI fin qui studiati – Laspeyres, Paasche e Fisher
– per cui nessuno di questi può a rigore essere definito “ideale”. Ad esempio, nel caso del NI di
prezzo di Fisher, si ha:
Per risolvere il
problema della
circolarità viene utilizzato il cosiddetto indice di Laspeyres concatenato. L’indice relativo al tempo 2
con base il tempo 0 viene cioè calcolato ‘concatenando’ le variazioni di prezzo registrate tra il tempo
0 e il tempo 1 a quelle registrate tra il tempo 1 e il tempo 2. In simboli:
21
L’indice concatenato preserva il vantaggio dell’indice di Laspeyres di utilizzare un sistema di
ponderazione che faccia riferimento a transazioni effettivamente osservate, senza presentare il
problema dell’invecchiamento della base, visto che ognuno degli indici che entra nella
moltiplicazione misura le variazioni di prezzo rispetto all’anno precedente.
prof.
0 1 2 3
p3 p1 p2 p3
=
p0 p0 p1 p2
p3
p3 p0
=
p2 p2
p0
Si individuano le variazioni tra i vari tempi (tra tempo 0 e tempo 1 ecc. spezzzata tra i vari intervalli).
Negli indici complessi non succede con nessun tipo di indice. Se abbiamo due soli intervalli, e
vogliamo la variazione che c’è tra il tempo 2 e tra il tempo 0, possiamo considerare la variazione
complessiva e considerare la variazione tra 2 e 3 (si può passare sia dagli indici a base mobile agli
indici a base fissa e viceversa). Se vogliamo isolare solo la variazione che c’è stata tra il tempo 3 e il
tempo 2, consideriamo la variazione complessiva che c’è stata tra il tempo 0 e il tempo 3 e la
dividiamo per la variazione che c’è stata tra il tempo 2 e il tempo 0. Questa condizione non è
soddisfatta da nessun indice. È un problema grande perché a noi interessa mettere a confronto
quello che succede nel tempo nei vari intervalli e arrivare a spiegare quello che succede a fine
periodo con quello che è successo nei periodi precedenti. Allora si calcola il cd. Indice di Laspeyres
concatenato
22
sono stati tra i 3 intervallini, quindi tra 1 e 0, tra 2 e 1 e fra 2 e 3.
Lezione 10/11/2020
Per misurare l’inflazione utilizziamo queste approssimazioni rappresentate dalle formule dei numeri
indici sintetici o complessi (Laspeyres: sovrastima; Paasche: sottostima; Fisher: più precisa). La
formula di Fisher soddisfa la proprietà di transitività. Con la formula di Fischer non riusciamo né a
scomporre la variazione che c’è stata in un intervallo più lungo nelle singole variazioni dei sotto-
intervalli che compongono l’intero periodo, né riusciamo a ricostruire partendo dai sotto-intervalli la
variazione complessiva tra gli intervalli. Per ovviare il problema, la statistica usa la formula di
Laspeyres concatenata (per vedere la variazione dei prezzi tra il 2016 e il 2020, mette insieme la
variazione 2015-2016, 2016-2017, 2017-2018, 2018-2019, 2019-2020).
L’obiettivo delle statistiche ufficiali delle misure è monitorare quali sono le condizioni di vita della
collettività. Ad esempio, se vogliamo misurare la perdita di potere d’acquisto nella disponibilità di
reddito delle famiglie, l’indice che ci interessa è l’indice dei prezzi al consumo. I Numeri Indice
normalmente costruiti ed utilizzati in Italia sono NI sintetici o complessi, in quanto derivano dalla
sintesi dei diversi indici elementari relativi ai singoli beni. Come si è già detto, si hanno numerosi NI,
i più diffusi dei quali sono i:
la rilevazione dei dati riguardanti i prezzi, svolta in prevalenza dagli Uffici Comunali di
Statistica (UCS) e per la restante parte dall’Istat; e 75 capoluoghi di provincia). Per alcuni
prezzi con un tariffario unico a livello nazionale (energia elettrica, gas ecc..) la rilevazione è
fatta dall’ISTAT;
la base temporale di riferimento, che attualmente è 2015 = 100. L’indice misura la variazione
percentuale rispetto al 2015.
I tre indici differiscono per due aspetti specifici:
● I sistemi di ponderazione. Qui quello a cui fanno riferimento i consumi finali delle famiglie sono i
consumi finali individuali (consumi finali effettivi), quindi vengono considerate nell’indice anche le
transazioni monetarie che si riferiscono a quei beni e servizi che soddisfano bisogni individuali ma
che vengono acquistati dalla PA (farmaci). I sistemi di ponderazione sono coerenti con l’aggregato
di riferimento. In particolare, NIC e FOI si basano sullo stesso paniere e si riferiscono ai consumi
finali individuali (NIC, delle famiglie residenti; FOI, delle famiglie facenti capo ad un lavoratore
dipendente extragricolo), indipendentemente se la spesa sia a totale carico delle famiglie o, in
misura parziale o totale, della Pubblica Amministrazione o delle istituzioni non aventi fini di lucro
(ISP). Il peso attribuito a ogni bene o servizio è diverso nei due indici, a seconda dell’importanza
che i diversi prodotti assumono nei consumi della rispettiva popolazione di riferimento (NIC: fanno
riferimento le spese della collettività; FOI: fanno riferimento solo le spese delle famiglie degli operai
e impiegati). L’IPCA ha in comune con il NIC la popolazione di riferimento, ma si differenzia dagli
24
altri due indici poiché si riferisce alla spesa monetaria per consumi finali sostenuta esclusivamente
dalle famiglie; esclude, inoltre, sulla base di regolamenti comunitari, alcuni prodotti come ad
esempio le lotterie, il lotto e i concorsi pronostici. Quindi, NIC e FOI considerano i consumi finali
effettivi, l’IPCA considera la spesa per consumi.
● Il concetto di prezzo considerato. Il NIC e il FOI considerano il prezzo pieno di vendita, l’IPCA il
prezzo effettivamente pagato dal consumatore. Per i medicinali, ad esempio, gli indici nazionali
considerano il prezzo pieno del prodotto, quello armonizzato la quota effettivamente a carico delle
famiglie. Inoltre, l’IPCA tiene conto anche delle riduzioni temporanee di prezzo (saldi, sconti e
promozioni).
● La diffusione. La diffusione dei dati definitivi dei tre indici NIC, IPCA e FOI avviene non oltre la
metà del mese successivo a quello di riferimento, ma per gli indici NIC (generale, per divisione di
spesa, per tipologia di prodotto e per frequenza d’acquisto) e IPCA (generale) viene diffusa anche
una stima provvisoria alla fine del mese di riferimento.
25
maggiormente consumate.
PROSPETTO 1
STRUTTURA DELLA CLASSIFICAZIONE ADOTTATA PER GLI
INDICI NIC e FOI
Prodotti elementari
L’impossibilità di misurare le variazioni dei prezzi di tutti i singoli beni e servizi consumati dalle
famiglie rende necessario selezionarne un campione specifico, di cui misurare mensilmente la
dinamica dei prezzi, rappresentativa di quella di un più esteso insieme di prodotti simili. Questo
insieme di beni e servizi può essere visto come un paniere della spesa che contiene i prodotti
prevalentemente acquistati dal complesso delle famiglie. La selezione campionaria di beni e servizi
che entrano nel paniere con riferimento ai singoli segmenti di consumo dà luogo ai prodotti
elementari. Per molti prodotti la cui importanza all’interno della spesa delle famiglie è
particolarmente rilevante (ad esempio la benzina o l’energia elettrica) la scelta dei prodotti non pone
particolari problemi di selezione. In altri casi invece, la selezione campionaria determina una scelta
più articolata. Ad esempio:
26
I prodotti elementari – che fanno riferimento a specifiche combinazioni Marca/Confezione/Canale
Distributivo (ad es. pasta corta alimentare della Ditta XXY, in confezione da ½ Kg., venduti in un
Supermercato) – sono selezionati tra le tipologie maggiormente consumate, e devono poter essere
agevolmente rilevati sul territorio. La scelta tiene anche conto del criterio dell’incidenza: maggiore è
il peso di un segmento di consumo sul totale dei consumi delle famiglie, maggiore deve essere il
numero di prodotti elementari considerati per misurare l’evoluzione dei prezzi.
27
Diffusione dei dati
Gli indici NIC vengono diffusi al livello di dettaglio dei segmenti di consumo; sono inoltre diffusi gli
indici per tipologia di prodotto, con il dettaglio delle diverse tipologie di Beni e Servizi, per Prodotti
regolamentati e non e per Prodotti a diversa frequenza di acquisto. per gli indici FOI il livello di
dettaglio della diffusione giunge alle 12 divisioni di spesa.
Struttura di ponderazione
Nel prospetto 1 è riportata la struttura dei pesi per divisione utilizzata per il calcolo dei tre indici dei
prezzi al consumo (Fonte: Istat). LEGGERE FINO A QUI
29
INTERPRETAZIONE - I
COSA CI DICE IL NIC DELL’INFLAZIONE
Abbiamo visto che il NIC (Indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività) misura il
livello medio dei prezzi rispetto ad un determinato periodo scelto come base. Ad esempio,
relativamente agli ultimi anni, abbiamo:
Nella tab. 1 e nella fig. 1 è riportato il valore mensile dell’indice a partire dal gennaio 2011 al
dicembre 2018, in base 2015=100. A gennaio 2017 ad es. il livello dell’indice era 101,5, e quindi il
livello medio dei prezzi in tale mese era dell’1,5% superiore alla media dell’intero anno 2015; ad
agosto 2013 il livello era 100,3, indicando quindi un livello medio dello 0,3% superiore alla media
2015.
Oltre a vedere il livello dell’inflazione con riferimento all’anno base, quello che interessa è vedere che
succede mese per mese, quindi quali sono le variazioni mensili dell’indice. Quindi la misura
dell’inflazione non è in realtà rappresentata dal livello medio dell’indice, ma dalle sue variazioni
30
mensili. A tale proposito osserviamo in tab.2 (ricavata dalla tab. 1, ed in cui ovviamente manca il
valore relativo al gennaio 2011) la variazione del NIC di ciascun mese rispetto al mese precedente:
31
Come si può osservare, la misura dell’inflazione tendenziale è più stabile, e mostra appunto delle
tendenze ben definite: fra gennaio e settembre 2012 la variazione a 12 mesi del NIC oscilla fra il
3,2% e il 3,3%, poi scende con regolarità fino ad assestarsi all’1,1-1,2% fra maggio ed agosto 2013, e
inizia poi una nuova discesa per collocarsi su valori che oscillano fra il +0,1% e il -0,5% dal luglio
2014 al novembre 2016. Si assiste ad una moderata ripresa a partire dal primo semestre 2017. Si
tratta sostanzialmente della misura utilizzata, nella versione IPCA, per i confronti dell’inflazione fra i
paesi dell’Unione Europea: si può ricordare ad es. che uno dei criteri del trattato di Maastricht relativi
all’Euro prevede una soglia del 2% del differenziale di inflazione annua, e cioè tendenziale, fra
ciascun paese e la media europea.
Una situazione di deflazione (che è presente in Italia), ovvero di tendenza generalizzata alla
diminuzione dei prezzi, è potenzialmente un fattore di recessione, attraverso i seguenti meccanismi:
La riduzione dei prezzi crea aspettative di ulteriori ribassi, quindi i consumatori tendono a
posticipare gli acquisti non necessari;
Diminuisce così il fatturato delle imprese, che reagiscono abbassando ulteriormente i prezzi,
riducendo gli investimenti e, nei casi più gravi, riducendo l’occupazione. Un’impresa che
diminuisce il fatturato cerca di liberarsi delle giacenze di prodotti finiti invenduti ad esempio.
Potrebbe anche pensare di chiudere determinati impianti;
La riduzione degli utili d’impresa e dei redditi delle famiglie si traduce in una riduzione
dell’imponibile e quindi delle entrate dello Stato;
Si riduce il PIL;
INTERPRETAZIONE - II
DIFFERENZIALI TRA INFLAZIONE MISURATA E INFLAZIONE PERCEPITA
È frequente riscontrare nell’opinione pubblica e nei mass-media commenti e rilievi critici circa la
capacità dei N.I. dei prezzi di misurare “correttamente” l’inflazione. L’inflazione misurata a livello
ufficiale può essere diversa dall’inflazione percepita. In sostanza, si riscontra una diffidenza diffusa,
dovuta ad una diversa “percezione” della variazione dei prezzi rispetto a quella misurata ad esempio
dal NIC. Occorre precisare a tale proposito che esistono cause specifiche che portano ad una
percezione del fenomeno economico differente da quanto è in realtà accaduto. Fra le ragioni
principali possiamo ricordare:
- l’utilizzo della media ponderata nei N.I., che attenua le variazioni estreme che si possono
avere per alcuni beni (ad es. un aumento del prezzo della benzina per ragioni fiscali, in un
quadro di stabilità generale dei prezzi);
- Le differenze tra il paniere individuale (che riflette specificità territoriali, sociali, ecc.) e il
paniere medio nazionale; ad es. la spesa per il riscaldamento dell’abitazione incide per
ragioni climatiche maggiormente al nord che al sud, quella per i trasporti maggiormente in
un’area metropolitana rispetto ad una città di medio-piccole dimensioni, ecc.;
32
- il divario tra la dinamica dei prezzi dei beni acquistati con maggior frequenza (ad es. i beni
alimentari) rispetto a quelli acquistati più raramente (come i beni durevoli, ad es. televisori,
cellulari, tablet, ecc., che, incorporando il progresso tecnico, tendono a diminuire di prezzo).
Questo divario nella dinamica dei prezzi (maggiore frequenza e minore frequenza) si traduce
nel fatto che l’inflazione percepita dalle famiglie, che si basa sull’acquisto di beni a maggior
frequenza, risente subito dell’amento del prezzo di questi beni, e passa quasi inosservato il
fatto che questi beni a bassa frequenza d’acquisto abbiano subito una riduzione o una
stabilità del loro prezzo. A tale proposito si può osservare nella Fig.2 relativa sempre agli
ultimi anni (gli indici sono stati riproporzionati in base gennaio 2011=100, per meglio
evidenziarne la dinamica), come i beni ad alta frequenza di acquisto mostrino uno scarto
positivo di quasi il 7% rispetto ai beni a bassa frequenza, e ciò si traduce in una maggior
dinamica dei primi di quasi 3% rispetto alla media generale del NIC.
33
- L’asimmetria delle percezioni: variazioni positive o di livello elevato vengono messe in
maggior risalto rispetto a quelle negative o di livello ridotto. Si può osservare in Fig. 4,
sempre per gli ultimi anni, che i beni energetici hanno sempre mostrato una variazione
positiva dei prezzi nettamente superiore all’indice generale; i beni alimentari non lavorati si
sono collocati sulla media generale; i servizi relativi alle comunicazioni sono sempre stati, ed
in misura notevole, inferiori all’indice generale. Ma è facile ricordare come i mass-media
diano più facilmente risalto ai beni energetici, come la benzina, rispetto ai servizi di
comunicazione, come le tariffe telefoniche, che sono costantemente diminuite.
34
AGGREGATI A PREZZI COSTANTI
Un altro utilizzo molto importante degli indici di variazione di prezzo lo troviamo quando siamo
interessati a fare delle analisi su quello che è successo in realtà ai fenomeni economici nel tempo,
in altri termini, quando siamo interessati ad analizzare l’andamento reale degli aggregati economici.
Un esempio importante dell’uso dei numeri indici è con riferimento agli aggregati a prezzi costanti.
Osserviamo i grafici del PIL nominale e del PIL reale:
35
Lavagna prof (l’incubo porco ***)
VARIAZIONE COMPLESSIVA DI UN SINGOLO BENE
Se andiamo a vedere l’aggregato dei consumi, vogliamo mettere a confronto i consumi del 2018 con
i consumi del 2019. La spesa per consumi è un aggregato di valore. Vogliamo mettere a confronto
la spesa complessiva per consumi, quindi la spesa per tutti i possibili beni
∑pi18qi18
V ∑pi19qi19
Quando si vede come varia la spesa nel caso di un singolo bene, quindi si fa l’indice di valore al
singolo bene, metto a confronto il valore del 2019 col valore della spesa per quel bene al 2018 e si
avrà quel rapporto. Vediamo che la variazione complessiva di valore si ottiene componendo la
variazione del prezzo con la variazione delle quantità. Nel caso di un singolo bene, è rispettato
quello che ci dice la logica.
Quando abbiamo un paniere di beni, la cosa è più complicata.
VARIAZIONE COMPLESSIVA DI UN PANIERE DI BENI
I NI di prezzo e di quantità sono utilizzati anche eliminare dagli aggregati economici gli effetti delle
variazioni del potere di acquisto della moneta, così da disporre di aggregati a prezzi costanti, o reali,
utilizzati per lo studio delle variazioni quantitative dell’economia.
Il valore dell’aggregato all’anno base sarà uguale alla somma dei prezzi per le quantità riferiti a
A
quell’anno base. Abbiamo il valore nominale, o a prezzi correnti, dell’aggregato all’anno t (ossia V ).
19
Lavagna Prof:
∑pi18qi18
V
∑pi19qi19 valore nominale
Il valore nominale è a prezzi correnti. Il nostro dubbio è:
nel 2019 abbiamo potuto comprare più o meno prodotti del 2018? Il valore della spesa al 2019
potrebbe essere più grande del valore della spesa del 2018 solo perché i prezzi del 2019 sono stati
più alti rispetto ai prezzi del 2018. Se voglio confrontare i consumi nei 2 anni, devo riuscire a
esprimere questo valore nominale in termini reali, ossia si deve riuscire a isolare la variazione dei
prezzi in modo da vedere quale è stata la variazione delle quantità. L’operazione che si fa è
calcolare il valore reale della spesa al 2019 (o il valore a prezzi costanti dell’anno di riferimento, in
questo caso il 2018). Come esprimiamo questo valore reale al 2019? Valutando le quantità del 2019
ai prezzi del 2018
VR19 = ∑pi18qi19
Sono dovute a un miglioramento o peggioramento della disposizione di beni e servizi. Dobbiamo
esprimere il valore nominale (in cui l’andamento del valore dei consumi dipende non solo dalle
quantità, ma anche dal prezzo che è variato) lo vogliamo convertire in un valore reale, in cui
effettivamente le variazioni che ci sono tra il valore reale al 2019 e il valore al 2018, siccome le
quantità sono misurate con lo stesso sistema dei prezzi, una variazione degli aggregati indica una
variazione delle quantità misurate.
37
Il modo più corretto per calcolare l’aggregato a prezzi costanti è prendere i dati che ho sui prezzi al
2018 e applicarli alle quantità del 2019.
2018 2019
p q V=p * q p q V=p * q V r e a le 2 0 1 9 = (p 2 0 1 8 * q 2 0 1 9 )
3 500 1500 4 400 1600 1200
1 800 800 2 500 1000 500
4 200 800 6 200 1200 800
5 1000 5000 6 1000 6000 5000
9 300 2700 10 300 3000 2700
10 500 5000 10 600 6000 6000
7 800 5600 8 700 5600 4900
20 100 2000 25 50 1250 1000
L’aumento è dato dai prezzi o dalle quantità? Il volume reale dei consumi è diminuito
Per alcuni aggregati non ho la serie completa di prezzi e quantità, ma ho l’aggregato calcolato
direttamente in termini monetari. Non posso usare la divisione tra prezzi e quantità.
Per vedere come si ottengono i valori a prezzi costanti, partiamo dalla considerazione che un
aggregato economico è dato dalla somma di valori elementari (il consumo delle famiglie è la
somma delle spese per pane, carne, frutta, ecc.) ognuno dei quali è il risultato di un prodotto di
quantità per prezzo. In un aggregato a prezzi correnti ogni variazione di valore è attribuibile ad una
variazione di prezzo, di quantità, o ad una combinazione delle due. In un aggregato a prezzi costanti
ogni variazione di valore è attribuibile solamente ad una variazione di quantità.
Consideriamo un aggregato composto da n beni e servizi elementari, di cui misuriamo prezzi (p) e
quantità (q) in due diversi periodi, un anno (0) scelto come base di riferimento, ed un anno corrente
(t). Possiamo definire 3 diversi valori: valore dell’aggregato all’anno base (0):
38
L’aggregato reale può essere ottenuto in tre diversi modi.
1. Come somma dei prodotti delle quantità delle componenti elementari all’anno t, espresse
ai prezzi dell’anno 0; è il metodo diretto, applicato correntemente dall’ISTAT per molti degli
aggregati dei settori market (ad es. parte dei consumi privati, ecc.); questo metodo richiede
naturalmente che si disponga dei dati delle quantità correnti per tutte le componenti
elementari, e questo non sempre è possibile (esempio della prof con il file excel sopra).
In alternativa sono utilizzabili due metodi indiretti, che fanno ricorso all’impiego di appropriati NI di
prezzo e/o di quantità (quando non si hanno a disposizione componenti elementari). A tale
proposito, esprimendo per comodità con:
p19
esprime la variazione complessiva dei prezzi tra il 2019 e il 2018 (ad esempio un NIC o un FOI)
p18
Per ottenere il valore reale, depuriamo il valore nominale per quello che è l’effetto variazione dei
prezzi. Dividiamo il valore nominale per l’indice di prezzo. Così facendo stimiamo il nostro valore
reale. Il Possiamo calcolare il valore reale dividendo il valore nominale per l’indice dei prezzi (attenti
39
ad applicare un indice dei prezzi che abbia rilevanza per quell’aggregato).
VN
VR =
IP
Esempio: supponiamo che analizziamo un reddito da lavoro dipendente e lo chiamiamo YLD e lo
abbiamo nel 2018 e nel 2019 direttamente in termini nominali.
YLD
19
P
I19
Quindi (slide), il valore reale dell’aggregato all’anno t può essere ottenuto:
2. Il primo metodo indiretto consiste nell’impiego di un NI di prezzo (Pt/P0), con il quale si
divide, e cioè si deflaziona, il valore corrente dell’aggregato per un appropriato indice di
prezzo:
40
V18=valore dell’anno di riferimento
VN19
è come se calcolassimo in qualche modo una spesa media per giornata di degenza del 2018 e
moltiplicassimo questa spesa media per le giornate di degenza del 2019.
VR19 = V18 ( )
q19
q18
Otteniamo quindi, con tutti i calcoli:
Nella pratica si ricorre generalmente ad una combinazione dei tre metodi per stimare anche un
singolo aggregato, in funzione della disponibilità, qualità e tempestività dei NI disponibili.
Il rapporto fra il valore nominale ed il valore reale dell’aggregato consente di ottenere l’Indice dei
Prezzi Impliciti dell’aggregato stesso, che è dato dal rapporto fra il valore nominale dell’aggregato
(misurato ai prezzi dell’anno corrente) diviso il valore reale (riferito al sistema dei prezzi di
riferimento):
che, come si può vedere, appartiene alla categoria degli indici di prezzo di Paasche.
Lezione 02/12/2020
41
Analisi della dinamica reale dei flussi economici
Aggregati a prezzi costanti
Quando analizziamo la situazione economica del paese, siam interessati a vedere l’evoluzione dei
principali aggregati nel tempo. Ad esempio, qualunque giornale o telegiornale in questi giorni non
parla di altro che non siano le percentuali di crescita e decrescita del PIL.
Lavagna
Dobbiamo considerare che gli aggregati economici (PIL; andamento dei consumi ecc.) sono
espressi in termini monetari, e sono tutti aggregati di valore, e sappiamo che Valore=Prezzi x
Quantità. Quando parliamo di un singolo bene (di investimento, consumo ecc.) o un singolo
prodotto, l’identificazione V=P x Q è immediata.
Quando parliamo di un aggregato composito (aggregato dei consumi, della produzione ecc.), non
abbiamo l’identificazione immediata delle quantità. In questo caso consideriamo il valore come
Valore=Prezzo x Volume (analogo delle quantità con fenomeni complessi). Quando parliamo del
complesso dei consumi, siccome quantità di grandezze diverse non sono sommabili, parliamo di
questi valori. Dobbiamo appuntare la nostra analisi sulle variazioni di volume. In altri termini, non
dobbiamo dare un giudizio dell’economia italiana, ma dobbiamo depurare il valore nominale
dall’effetto prezzo. Quindi dobbiamo eliminare questo effetto prezzo, così da eliminare le effettive
variazioni di volume.
Dobbiamo depurare dal prezzo per isolare l’effettiva crescita (o decrescita) del volume.
Dobbiamo passare da una misura di valore nominale a una misura di valore reale.
Per studiare la dinamica reale delle principali grandezze economiche è necessario, in primo luogo,
eliminare l’influenza dell’inflazione nella misura degli aggregati economici espressi in valore,
esprimendo le variabili studiate a prezzi costanti.
Questa procedura, detta deflazione, è necessaria per confrontare nel tempo aggregati che, essendo
espressi in moneta corrente quindi con diverso potere d’acquisto, non sono tra loro comparabili.
Abbiamo visto nelle slide sull’utilizzo degli indici come il metodo di deflazione dipenda dalla natura
degli aggregati e dalle informazioni disponibili, ovvero si utilizza:
• la deflazione diretta (utilizzabile solo per grandezze esprimibili come somma di prodotti di prezzi
unitari per quantità), che consiste nel ricalcolare anno per anno gli aggregati moltiplicando i prezzi
dell’anno considerato come base per le quantità dei singoli anni considerati
Lavagna
Se abbiamo, per ogni prodotto che entra nell’aggregato, la serie dei prezzi (prezzi al tempo base,
prezzo al tempo successivo), fino ad arrivare all’anno corrente
Pi0, Pi1,…,Pit
42
VNt = ∑P Q
i=1
it it
VRt = ∑P Q
i=1
i0 it
In questo modo abbiamo una misura di volume: a parità di unità di misura con cui diamo un valore
alle quantità che sono unità di misura rappresentate dal sistema dei prezzi dell’anno base, noi
abbiamo effettivamente le informazioni su prezzi e quantità. Dal punto divista metodologico, basta
sommare i prezzi al tempo 0 per le quantità al tempo t. Valutiamo quindi le quantità che
compongono l’aggregato al tempo t usando la stessa unità di misura rispetto all’anno base.
Una cosa da dire è che per l’anno assunto come riferimento (anno base), valore reale e valore
nominale coincidono perché sono uguali alla somma estesa a tutti i prodotti delle quantità al tempo
0 valutate ai prezzi dello stesso anno.
VR0 = VN0 = ∑P Q
i=1
i0 i0
Poi abbiamo un aggregato al tempo t di cui conosciamo il valore nominale, misurato secondo il
sistema dei prezzi dell’anno t.
VNt = PtQt
L’obiettivo è depurare dall’effetto prezzi per isolare la variazione di volume (che è il nostro obiettivo).
Vogliamo arrivare a definire un valore reale inteso come volume al tempo t ma espresso con i prezzi
all’anno base.
VR = P0Qt
Per fare questo passaggio quando non abbiamo gli elementi necessari, dobbiamo disporre o di un
indice di quantità (ci esprime come è variato il valore reale dell’aggregato)
Q Qt
I =
Q0
Oppure dobbiamo disporre di un indice che ci dia la variazione del sistema dei prezzi tra quelli in uso
nell’anno base e quelli in uso nell’anno corrente.
Pt
IP =
P0
43
Nel caso di un solo prodotto sarebbe banale.
Qui però dobbiamo considerare che prezzi e quantità fanno riferimento a un sistema di prezzi e a un
volume variegato di quantità. Sulla base di ciò, come passiamo dal valore nominale al valore reale?
Abbiamo 2 strade:
- O conosciamo l’indice di quantità
P0=indicatore sintetico che riassume in sé le caratteristiche del sistema dei prezzi al tempo 0
PtQt=volume complessivo delle quantità al tempo t valutate al sistema dei prezzi in uso al momento
t.
Supponiamo di avere un indice di quantità.
In questo caso, il valore reale si può calcolare partendo dal valore dell’aggregato al tempo base,
applicando la variazione che c’è stata nel volume delle quantità tra tempo 0 e tempo t
Qt P0Q0Qt
VRt = V0 * =
Qo Q0
Un caso diverso è quando ho indicazioni sull’andamento dei prezzi, che misura in forma sintetica
quale è stata la variazione complessiva del sistema dei prezzi fra quelli in vigore al momento 0 e
quelli in vigore al momento corrente t.
Pt
Quindi abbiamo
P0
Abbiamo direttamente la componente da depurare dal nostro valore nominale. Per trovare il valore
reale al tempo t, dividiamo il valore nominale al tempo t per l’indice che misura sinteticamente quale
è stata la variazione del sistema dei prezzi fra l’anno base 0 e l’anno corrente t:
VNt P
VRt = = Pt Q t * 0
Pt Pt
P0
(VNt = PtQt)
Ricordiamo che ho bisogno di passare a un sistema di prezzo perché le quantità non sono
sommabili, quindi se voglio esprimere quantità che si riferiscono a componenti dell’aggregato che
non sono omogenee ho bisogno di esprimerle in termini monetari. Il problema è che se voglio
valutare le variazioni reali dell’aggregato devo usare sempre la stessa unità di misura, ossia i prezzi
44
al tempo 0.
(SLIDE)
In particolare, la deflazione indiretta prevede:
• qualora si abbia a disposizione l’indice di quantità tra il tempo base (indichiamolo con 0) e il tempo
corrente (1), il valore reale dell’aggregato al tempo 1 si ottiene moltiplicando il valore dell’aggregato
al tempo 0 per l’indice di quantità:
Q1
VR1 = V0 *
Q0
• qualora si abbia a disposizione l’indice di prezzo tra il tempo base (indichiamolo con 0) e il tempo
corrente (1), il valore reale dell’aggregato al tempo 1 si ottiene dividendo il valore nominale
dell’aggregato al tempo 1 per l’indice di prezzo:
V1
VR1 =
P1
P0
Nota: Si osservi che per l’anno assunto come base valore reale e valore nominale coincidono:
VR0 = V0
Z1,2019,Z2,2019,…,Z2,2020,Z3,2020
1 2 6 7
Znostra variabile, che potrebbe essere consumo, investimenti, importazioni, calcolata in termini
reali (già depurato dell’effetto prezzo)
Sappiamo che dopo la fine delle misure più stringenti della pandemia, c’è stato il cd. rimbalzo
dell’economia: è aumentata la produzione, i consumi ecc.
Quando sentiamo parlare del rimbalzo dell’economia causato dall’allentamento dei vincoli, facciamo
il confronto tra quello che è successo all’economia italiana rispetto a quello che è successo il III
trimestre.
45
Confrontiamo il valore della variabile nel trimestre (III 2020, luglio, agosto, settembre) da quella
assunta nel trimestre immediatamente precedente (II 2020, aprile, maggio, giugno).
Zt - Zt-1
Come sempre, le variazioni assolute non ci danno informazioni (dire che la produzione italiana nel III
trimestre è aumentata di 1 mln di euro ha una valenza diversa se il livello di partenza della
produzione era magari 100 mln di euro o 2 euro). Come sempre, in statistica, invece di considerare
la variazione assoluta, consideriamo la variazione relativa:
Zt-Zt-1
* 100
Zt-1
Preferiamo esprimere questo rapporto come percentuale. Questo rapporto ci dice cosa succede
rispetto al trimestre immediatamente precedente. Quindi:
Z7-Z6
* 100
Z6
Valutiamo quanto è stata l’intensità relativa (dividiamo per Z6) della variazione che c’è stata nella
variabile rispetto al periodo immediatamente precedente. Quindi si parla di trimestri, non di anni in
questo caso. Di conseguenza si parla di variazione di breve periodo, ossia variazione congiunturale.
Ci dice cosa succede nel trimestre immediatamente precedente. C’è stato il miglioramento nei
trimestri e ok, ma dobbiamo dire che siamo messi peggio di quando la pandemia doveva scoppiare.
Oltre alle variazioni di breve periodo che sono importanti, siamo interessati anche a quello che
succede nel lungo periodo.
Quando siamo interessati alle variazioni di medio lungo periodo, facciamo riferimento alla
variazione tendenziale. In questa noi rapportiamo il valore ottenuto in un trimestre col valore della
variabile nello stesso trimestre dell’anno precedente. Siccome consideriamo i trimestri (sono 4), la
formula sarà:
Zt-Zt-4
* 100
Zt-4
Se ragioniamo in termini mensili, ovviamente invece di considerare Zt - Zt-4, lo stesso mese dell’anno
precedente sarà caratterizzato dal numero d’ordine Zt-12
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Zt-Zt-1
VCt = * 100
Zt-1
• una misura che esprime le variazioni di lungo periodo, detta variazione tendenziale, ovvero la
variazione rispetto allo stesso mese dell’anno precedente
Zt-Zt-12
VTt = * 100
Zt-12
Tassi di crescita
Quando consideriamo la variazione tra due periodi successivi, quindi consideriamo una serie di
valori che si riferiscono ad anni diversi, vogliamo vedere come si è modificata la variabile tra un
anno e l’altro.
La variazione relativa di un aggregato tra due periodi consecutivi (mesi, trimestri, anni, ecc.) viene
̅
anche definita tasso di crescita. Ad esempio, indicando con PILt il valore reale del PIL all’anno t, il
valore:
̅ ̅
PILt-PILt-1
gt = * 100
̅
PILt-1
Definisce il tasso di crescita reale del PIL tra l’anno t-1 e l’anno t. In caso di periodi pluriennali, oltre
ad analizzare la crescita nell’intero periodo, si può analizzare il tasso di crescita medio annuo. Ad
esempio, considerando il periodo 2015-2019, vogliamo trovare il tasso che, realizzato in ogni coppia
di anni consecutivi 2015-2016, 2016-2017, …, 2018-2019, restituisce la stessa crescita totale dal
periodo iniziale (2015) al periodo finale (2019).
Nell’esempio considerato, si ha:
Anno PIL reale (mld €)
2015 1.655
2016 1.677
2017 1.705
2018 1.721
2019 1.727
Il tasso di crescita nell’intero periodo di 5 anni è stato pari al 4,3%, che corrisponde ad un tasso
medio annuo di crescita dello 0,85%.
Esempio per capire l’esercizio
L’esercizio ci chiedeva il tasso di crescita reale, non quello medio annuo.
47
an n o PI L t a sso a n n u o
2015 1655
2016 1677 1,329305
2017 1705 1,669648
2018 1721 0,938416
2019 1727 0,348635
Supponiamo che abbiamo gli anni dal 2015 al 2019 e abbiamo i dati del PIL a prezzi costanti in
miliardi di euro. Possiamo valutare la crescita complessiva nel quinquennio (tra 2015 e 2019).
Applichiamo la formula, valore del PIL 2019 – valore del PIL 2015 diviso valore PIL 2015 *100
̅ ̅
PIL2019-PIL2015
gt = * 100
̅
PIL2015
Abbiamo che l’aggregato in 5 anni cresce di questo valore, ossia 4,35. Quale è il tasso di crescita
che se fosse costante nei 5 anni ci avrebbe dato il livello di crescita complessiva. Dobbiamo
separare il tasso vero annuo di crescita, che sarà dato da quei valori, ossia:
̅ ̅
PIL2016-PIL2015
g2016 = * 1001,329305
̅
PIL2015
̅ ̅
PIL2017-PIL2016
g2017 = * 1001,669648
̅
PIL2016
̅ ̅
PIL2018-PIL2016
g2018 = * 1000.938416
̅
PIL2016
̅ ̅
PIL2019-PIL2018
g2019 = * 1000,348635
̅
PIL2018
Questa crescita complessiva di 4,35% ha avuto un andamento non costante nei vari anni. Quindi la
crescita è frutto di una crescita differenziata negli anni, ma quale è la crescita media annua? Quale è
quel valore del tasso di crescita che se fosse rimasto uguale avrebbe portato allo stesso risultato di
4,35%. Quale è il valore che se avessimo quel valore di tasso di crescita sempre uguale tra questi
anni? Come lo otteniamo?
Per ottenerlo, abbiamo trovato che il tasso di crescita complessivo tra PIL del 2019 e PIL 2015
rapportato con il PIL del 2015 è g, ossia 4,35%
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Y19-Y15
* 100 = g
Y15
̂ T ZT
g 0-T = -1
Z0
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ESERCIZI
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51
ESERCIZIO DELLA PROVA, PRIMO ESERCIZIO DEL FOGLIO EXCELL
Trova il tasso di crescita reale dei consumi tra 2015 e 2019.
PRIMA COSA: dobbiamo esprimere i consumi del 2019 in consumi reali. Il calcolo dei valori reali lo
possiamo fare dividendo il valore nominale per gli indici di prezzo dati. Quindi:
VN
IP
Quindi abbiamo 3 possibilità di consumi a prezzi costanti per il 2019, o usando l’indice di Paasche, o
quello di Laspeyres o quello di Laspeyres concatenato. Non mi aspetto differenze abissali, ma si
può calcolare. Ricordiamo che siccome gli indici sono moltiplicati per 100, il risultato si deve
moltiplicare per 100 altrimenti lo dividerei artificialmente per 100. Se fosse stato l’esonero, ci
sarebbe stata bene una valutazione che dice: la valutazione del volume dei consumi a seconda
dell’indice considerato, perché sappiamo che in periodi normali, con l’aumento dei prezzi
diminuiscono le quantità, l‘indice di Laspeyres sovrastima l’inflazione. Se la sovrastima, quando
depuriamo l’effetto inflazione, il valore reale che rimane è più piccolo, perché il rapporto ha al
denominatore un valore più grande, quindi il valore reale è più piccolo, viceversa per l’indice di
Paasche, sottostimando l’inflazione darà un valore più alto nella variazione di volume e verrà un
valore reale più alto. L’indice di Laspeyres concatenato è una via di mezzo, perché ogni anno
aggiorna la base, quindi soffre meno della tendenziosità positiva di Laspeyres. Quindi, facendo un
minore errore di sovrastima dell’effetto prezzi, dà una minore sottostima del valore reale. Quindi
considero il valore che mi dà l’indice di Laspeyres concatenato.
Se consideriamo i consumi a prezzi costanti: abbiamo che i consumi del 2015 sono sempre uguali,
perché abbiamo detto che il valore al tempo base è espresso a prezzi correnti e a prezzi di
riferimento; per il 2019 prendiamo il valore reale calcolato applicando l’indice di Laspeyres
concatenato. Tasso di crescita significa che vediamo quanto sono variati i consumi tra il 2015 e il
2019, e invece di considerare la differenza assoluta tra i due anni (che è 41948), calcoliamo poi la
differenza relativa, ossia il tasso di crescita reale complessivo, calcolato come rapporto tra la
differenza trovata tra il valore del 2019 e il valore del 2015 diviso il valore del 2015, moltiplicato per
100, quindi avremo 4,21%.
1.038.948-997.000
* 100 = 4,21%
997.000
Nel corso dei 5 anni i consumi sono aumentati di 41.948 mln di euro. Però i valori assoluti non ci
dicono nulla. Per capire se una variazione è importante, dobbiamo passare dalla variazione assoluta
alla variazione relativa.
Ai fini dell’esame, bisogna specificare che si usa l’indice di Laspeyres concatenato perché è più
preciso. Scegliamo questo indice concatenato perché dovrebbe non soffrire del problema
dell’invecchiamento della base (dato che la aggiorna anno per anno) quindi non ha il problema del
fatto che ancorando le stime a una situazione di quantità quando i prezzi non erano variati dovrebbe
dare meno, o non dovrebbe proprio darlo, il problema della tendenziosità negativa. Nello
svolgimento dell’esercizio è molto importante scrivere anche perché si usano valori reali al posto di
quelli nominali, quindi perché è importante passare dagli aggregati a prezzi correnti agli aggregati a
prezzi costanti per l’evoluzione del sistema economico male non ci sta.
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Un esercizio (strano) potrebbe essere il legame tra i vari temi: potremmo avere l’aggregato dei
consumi, e per trasformarlo in termini reali ci potrebbe dare l’indice dei prezzi al consumo, dei prezzi
alla produzione e dei costi delle costruzioni. Ovviamente dobbiamo scegliere l’indice giusto che è
l’indice dei prezzi al consumo.
I esempio
Abbiamo il NIC totale e l’IPCA, relativi al periodo 2019 con base il 2015 (si può scrivere che entrambi
sono calcolati con la formula dell’indice di Laspeyres concatenato).
NIC=102,5
IPCA=102
Come calcoliamo il tasso di crescita dei consumi? Potremmo scrivere che l’IPCA serve per fare dei
confronti dell’andamento dell’inflazione a livello europeo, ma se studiamo l’evoluzione
dell’economia italiana, mi pare più sensato considerare come valore utile per depurare l’effetto
prezzo dal valore e isolare l’effetto di volume il NIC, perché riflette meglio la realtà italiana. A questo
punto possiamo fare lo stesso discorso consumi a prezzi costanti. Quindi calcoliamo i consumi al
2019 diviso l’indice NIC (siccome l’indice è moltiplicato per 100, il risultato lo moltiplichiamo per
100), a questo punto possiamo calcolare il tasso di crescita come valore del 2019 a prezzi costanti
– valore 2015 diviso il valore del 2015 e moltiplichiamo per 100, e viene 4,41
1.0490.976-997000
* 100 = 4,41%
997000
II esempio
Abbiamo i consumi a prezzi correnti distinti in beni alimentari e non alimentari, sempre per il 2019.
Diciamo che gli alimentari sono 350.000 mln di euro e in non alimentari sono 717.000 (1.067.000 –
350.000).
Supponiamo che abbiamo il valore anche dei consumi a prezzi costanti, sempre del 2019.
I consumi a prezzi costanti siano pari a 300.000, e i consumi non alimentari siano pari a 700.000
La domanda potrebbe essere: Commentate il risultato.
Inflazione percepita: nasce dal fatto che i prezzi delle cose che si comprano più frequentemente
aumentano più di quanto non aumentano complessivamente i prezzi di tutti i beni e servizi del
paniere dei consumi. Quindi inflazione percepita>inflazione misurata. I dati possono dare
informazioni, perché esiste una cosa chiamata deflatore implicito. Se io calcolo il rapporto tra il
valore nominale e il valore reale di un aggregato, ottengo un indice che misura la variazione del
prezzo, perché se ho il valore nominale al tempo t che è PtQt, e ho il valore reale al tempo t P0Qt
VNt = PtQt
VRt = P0Qt
VNt PQ P
Se io faccio , ottengo t t = t .
VRt P0Qt P0
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Quindi, se divido il valore nominale per il valore reale ottengo una misura di variazione dei prezzi che
si chiama deflatore implicito. Allora posso calcolare questa misura, questo indice implicito dei
prezzi separatamente per i prodotti alimentari e non alimentari, e calcolo l’indice implicito dei prezzi.
350.000
Quindi, per gli alimentari si dovrà fare * 100 = 116,667%. Quindi mi viene un aumento dei
300.000
prezzi del 17% approssimando in eccesso.
717.000
Per i beni non alimentari ci verrà * 100 = 102,43%. Qui il commento è: quando faccio l’indice
700.000
implicito di prezzi, dico che i prodotti non alimentari sono aumentati solo del 2,4%
Mi viene che mentre i prodotti non alimentari sono aumentati solo de 2,4%, i beni alimentari sono
aumentati del 16,6%, quindi effettivamente questo dato è coerente col dato dell’inflazione percepita
(e si mette quello che si ricorda sull’inflazione percepita).
III esempio
Abbiamo la quantità. Abbiamo la produzione a prezzi correnti nel 2015 e nel 2019.
2015: 3.000.000 di mld
2019: 4.000.000 di mld
Abbiamo poi l’indice della produzione tra il 2015 e il 2019, e supponiamo che sia 120. Se vogliamo
avere la produzione a prezzi costanti del 2019, abbiamo solo un indice di quantità, quindi applicare
l’altra formula. Dobbiamo ottenere il valore reale al tempo t come prodotto del valore al tempo 0
(ricordiamo: il valore reale e valore nominale per l’anno base coincidono) moltiplicato per l’indice di
quantità.
VRt = V0 * ( )
Qt
Q0
Q
= P0Q0 * ( t ) = P0Qt
Q0
Quindi nel nostro caso si fa 3.000.000 moltiplicato l’indice di quantità 120 (visto che è moltiplicato
per 100, dobbiamo dividere per 100).
3.000.000*120
= 3.600.000
100
Significa che la variazione reale dell’aggregato è da 3.000.000 a 3.600.000. Il valore nominale al
2019 – il valore reale è da attribuire solo all’effetto della variazione dei prezzi.
Commento: Come si ottiene 400.000 (ossia l’effetto di variazione dovuto ai prezzi)questo effetto
è dovuto alla differenza tra il valore nominale (4.000.000) e il valore reale (3.000.000). A livello di
commento abbiamo un valore a prezzi correnti e un valore a prezzi costanti, la differenza tra i due è
rappresentata dall’aumento dei prezzi.
Abbiamo una produzione che passa da 3.000.000 nel 2015 a 4.000.000 nel 2019. La differenza
complessiva è di 1.000.000. se calcoliamo la produzione 2019 a prezzi costanti, applicando il
metodo sull’indice di quantità, abbiamo 3.600.000. Questo significa che della variazione
complessiva tra valori nominali al 2019 e al 2015 è VN2019 - VN2015. Quindi abbiamo 1.000.000.
La variazione di volume tra 2019 e 2015 è la variazione che rappresenta l’effetto dovuto alla
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variazione delle quantità. Come la calcoliamo? Come VRt - V0differenza tra valore al tempo t e
valore al tempo 0. È dovuta al fatto che sono aumentate le quantità prodotte. Quindi la differenza fra
i due (3.600.000 – 3.000.000= 600.000) sarà la variazione dovuta al prezzo.
Questa variazione complessiva la scomponiamo in due componenti, una componente è VNt - VRt,
quindi è l’effetto che se siamo interessati alla crescita economica, perché è quello che dipende
semplicemente non dal fatto che si è prodotto di più, ma dipende semplicemente che i prezzi dei
prodotti sono aumentati di più, nell’altro caso, la variazione di volume tra 2019 e 2015.
Quindi 1.000.000 – 600.000= 400.000.
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