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1935

CONCLUSIONE DELLE XL ORE


5 MARZO 1935 - S. ANTONIO (ISTANBUL)

Ego sum panis vitae

724. Il racconto dei missionari del Giappone: un uomo bianco il Papa; un


pane bianco, l'Eucaristia; una donna bianca: Maria.
I miracoli di Gesù provano la sua divinità: il miracolo dei miracoli è qui:
Gesù presente e vivo sotto le specie del pane.
Con quanta gravità e solennità, Gesù dice di sé: Ego sum panis vitae (Gv
6,35) a. Aveva pur detto: Ego sum ostium (Gv 10,9), lux, via, veritas (Gv
8,12), pastor bonus (Gv 10,11). Ma con quanta potenza maggiore ripete:
Ego sum panis vitae. E ciò scandisce, illustra: pane vero, che si mangia;
pane che vivifica in contrasto con la manna, che non arresta la morte. Il
discorso è incomprensibile: Gesù non si corregge, non si spiega di più.
Questo basta alla nostra fede: Ad quem ibimus? Verba vitae eternae habes
(Gv 6,68).

725. Nostri doveri in faccia alla verità del mistero Eucaristico: credere,
adorare, mangiare. Sviluppi dei singoli punti: specialmente la
partecipazione alla S. Messa: e poi la Comunione sacramentale e
spirituale.
I frutti del panis vitae secondo la dottrina di san Tommaso: sustentat,
auget, reparat, delectat .
Sviluppi di questi punti (episodio di Elia fuggente e del panis cinericius
[1Re 19,1-8] ). Applicazione alla S. Quaresima a cui va bene dare un tono
Eucaristico. Patto di comunione, preghiere fra padre e figli, fra pastore e
pecorelle, ecc.

ESERCIZI SPIRITUALI A ISTANBUL


15-22 DICEMBRE 1935 COI MIEI PRETI

726. Esercizi così per dire. Li ho fatti qui, alla Delegazione Apostolica, in
compagnia dei miei cari sacerdoti della cattedrale. Li ha predicati, bene al
solito, il p. Paolo Spigre, superiore dei gesuiti.
S'è fatto quanto si è potuto; ma così non mi sono riusciti di piena
soddisfazione. Bisogna uscire dall'ambiente e dagli affari. Curare questi,
restando in casa, e insieme attendere alla propria anima, non è possibile.
Ciò servirà per un altro anno. Per questo, non ho che a rinnovare i propositi
degli scorsi anni. Dalla fine di agosto dell 1934 ad ora, quante mutazioni
impreviste intorno a me! Sono in Turchia. Che cosa mi manca qui di oc-
casione e di grazia per farmii santo?
727. Il Santo Padre, mandandomi qui, ha voluto sottolineare davanti al
card. Sincero l'impressione avuta dal mio silenzio, tenuto per dieci anni,
circa il mio restare in Bulgaria, senza lamentarmi mai, od esprimere
desiderio di altro. Ciò rispose ad un proposito, e sono contento di esservi
rimasto fedele.
Qui, quanto lavoro! Benedico Iddio che mi riempie delle consolazioni del
sacro ministero. Debbo insistere però nel dare ancora più calma e più
ordine a tutte le cose mie.
Anche la prova dell'abito civile fu ben superata da tutto il mio clero. Io
però devo sempre precedere coll'esempio, diffondendo gravità ed
edificazione. Il Cuore di Gesù mi infiammi, e mi mantenga e accresca in
me il suo spirito. Amen.

1936
RANICA (BERGAMO)
VILLA DELLE FIGLIE DEL SACRO CUORE
13-16 OTTOBRE 1936

728. Breve ritiro, pieno di pace e di silenzio, in questa magnifica villa che
serve di noviziato al caro istituto di mgr Benaglio e della ven. Verzeri.
Ho potuto, con la grazia del Signore, rendermi conto della situazione del
mio spirito. Dalla perfezione corrispondente agli obblighi miei ed alle grazie
che il Signore continua a darmi, oh, quanto son lontano ancora! Ma il
desiderio l'ho sempre vivo e ardente.
In questi giorni mi guida nel ben meditare il p. Bellecio nel suo Triduum
sacrum. Riconosco di essermi ormai fatta l'abitudine dell'unione costante
con Dio, « cogitatione„ verbo et opere », e del tenermi innanzi il binomio:
« adveniat regnum tuum, fiat voluntas tua » (Mt 6,10), e di tutto vedere
in funzione di coordinamento verso questi due ideali. Ma le mie azioni
quotidiane, gli, esercizi di pietà, quanto sono difettosi! Ebbene, tutto voglio
rinnovare.
Del mio nuovo ministero in Turchia, pur fra molte difficoltà, sono contento.
Mi occorre sistemare meglio le mie giornate e anche le mie notti. Non
coricarmi mai prima di mezzanotte, non è buona cosa. Soprattutto
bisognoso di riforma è il tempo che segue alla cena. La radio fa perdere
troppo tempo e sconcerta ogni cosa.

729. Regola costante: alle diciannove rosario per tutti, in cappella. Poi,
cena e ricreazione: tre quarti d'ora bastano per le due cose. Seguirà la
recita del mattutino, poi il giornale radio, eventualmente qualche buona
audizione musicale, se c'è. Poi ognuno si ritira: il segretario in camera
sua, io ad un po' di lavoro. Alle undici devo coricarmi. Ogni mattina, un
pensiero che dia direzione e programma a tutta la giornata. Meditazione
non omessa mai: breve se non si può di più, ma vivace, agile e calma. Poi
devo evitare le lunghe udienze. Molta amabilità con tutti, come se non
avessi ad occuparmi che di ciascuno, ma parola sciolta e breve.
La mia salute mi impone un regime quanto ai cibi. Anche a mezzogiorno
mangerò meno, come già poco mangio la sera. Sarà bene che io esca tutti
i giorni al passeggio. Signore mio, ciò mi pesa e mi pare tempo perduto.
Ma è pur necessario, se tutti insistono perché lo faccia. Lo farò, offrendo
al Signore il sacrificio che mi porta.

730. Mi pare di essere distaccato da tutto, da ogni pensiero di


avanzamento o di altro. Io non merito nulla, e non soffro d'impazienza
alcuna. Il constatare però la distanza fra il mio modo di vedere le situazioni
sul posto, e certe forme di apprezzamento delle stesse cose a Roma, mi
fa tanto male: è la mia sola vera croce.
Voglio portarla con umiltà, con grande disposizione a compiacere i miei
superiori maggiori, perché questo e nient'altro che questo io desidero. Dirò
sempre la verità, ma con mitezza, tacendo su quanto mi paresse torto o
offesa ricevuta, pronto a sacrificare me stesso o ad essere sacrificato. Il
Signore tutto vede e mi farà giustizia. Soprattutto voglio continuare a
rispondere sempre bene per male, ed a sforzarmi di preferire, in tutto, il
Vangelo agli artifici della politica umana.
Voglio attendere con maggior cura e costanza allo studio della lingua turca.
Io sento di voler bene al popolo turco, presso il quale il Signore mi ha
mandato: è il mio dovere. So che la strada che ho preso nei rapporti coi
turchi è buona, soprattutto è cattolica ed apostolica. Debbo continuare in
essa con fede, con prudenza, con zelo sincero, a prezzo di ogni sacrificio.
Gesù, la santa Chiesa, le anime, anche le anime dei turchi, non meno che
quelle dei poveri fratelli ortodossi: « Salvum fac populum tuum, Domine,
et benedic hereditati tuae » (Sal 28,9).

1937
RITIRO SPIRITUALE
COL MIO CLERO SECOLARE
A ISTANBUL IN DELEGAZIONE
12-18 DICEMBRE 1937
731. 1. Caro ritrovo, come in famiglia, per i problemi più gravi e più sacri.
Avverto però ciò che notavo alla fine del 1935: questo restare nello stesso
ambiente ordinario di tutti i giorni, e per i preti questo uscire e rientrare,
toglie molto alla efficacia del ritiro.
Non si poteva però fare di meglio. La casa dei gesuiti è particolarmente
sorvegliata in questi giorni, dunque pericoloso il restar là dentro come
ospiti. Pazienza.
2. Nella revisione del mio organismo spirituale, tutta propria di questi
giorni, avverto che, per grazia del Signore, tutte le parti sono ancora in
regola: però, quanta polvere, quanto logorio dei singoli pezzi; ecco la
ruggine, qua e là; altrove, o le viti o le molle che non funzionano, o
funzionano male. Bisogna dunque rinnovare, ripulire e... vivificare.
La santa confessione di un anno, che ho fatto a p. Spigre che predica il
ritiro, mi lascia in pace. Ma il Signore è pure contento dei fatti miei? Tremo
a pensarci. Solo mi dà coraggio la fiducia, l'abbandono in lui.

732. 3. L'anno scorso in dicembre, ad Atene, ebbi un grave avvertimento


circa la mia salute fisica. Sono corso ai ripari; dopo un anno mi sento molto
bene, nonostante che io rechi, nello squallore della capigliatura, i segni
della vecchiaia. Insisterò sempre nel tenermi familiare il pensiero della
morte, non a tristezza, ma anzi a lume e ad elevazione lieta e tranquilla
della vita che ancora mi resta quaggiù.
Ciò che mi fece più impressione nella mia giovinezza, fu il morire del mio
vescovo, mgr Radini di venerata memoria a cinquantasette anni: giusto la
mia età attuale. Pensai sempre che forse io non sarei arrivato sin là. Vi
arrivo ora e ringrazio Iddio! Quale dovere per me di santificarmi
seriamente!
4. Mi sento tranquillo e contento del mio stato: solo malcontento di non
essere santo ed esemplare in tutto come dovrei, come vorrei. Gli onori o
gli avanzamenti della terra non mi turbano gran fatto; ed ho l'impressione
di tenerli in disciplina. Signore, aiutatemi, perché la tentazione può sorgere
facilmente, ed io sono miserabile. La Chiesa ha già fatto troppo per me. Io
sono « omnium novissimus » (Mc 9,34).

733. 5. « Vir eucharisticus ». Voglio veramente esser tale. Su questo


punto devo richiamare qualche cosa di già deciso. Anticiperò sempre il
mattutino la sera: ciò mi assicura di fare sempre la meditazione al mattino,
dopo la messa e le piccole ore. Poi, oltre alla visita quotidiana ordinaria più
o meno lunga, ma sentita e vibrante, al giovedì, dalle 22 alle 23, sarò
fedele all'ora di adorazione, come avevo già cominciato a fare, per i bisogni
miei e della santa Chiesa.
6. Le circostanze della mia vita ordinaria qui, a Istanbul, mi permettono
solo due ore di lavoro tranquillo, e sono quelle della notte, dalle 22 alle
24: conviene che mi vi adatti. Però a mezzanotte, dopo le ultime notizie,
mi debbo assolutamente ritirare per breve preghiera e per dormire. Vedo
che sei ore di riposo notturno ordinario mi bastano. Lungo la via si vedrà
se si può far meglio. Ciò che interessa è che tutto sia ordinato e calmo,
con ritmo alacre e senza smanie.

734. 7. A cena, in refettorio, leggemmo, don Giacomo Testa ed io, alcune


pagine di Faber sulla benevolenza. Mi è caro l'argomento, perché veggo
che tutto è là. Continuerò nello sforzo tranquillo di essere soprattutto
buono e benigno, senza debolezze, ma insieme con perseveranza e con
pazienza con tutti. L'esercizio della bontà pastorale e paterna - « pastor et
pater » - deve riassumere tutto l'ideale della mia vita episcopale. La bontà,
la carità: che grande grazia! « Omnia mihi dona pariter cum illa » (Sap
7,11).

1939
ESERCIZI SPIRITUALI 12-18
NOVEMBRE 1939, ISTANBUL, PRESSO I GESUITI
DI AYAS-PASA, « SACRO CUORE »

Pensieri e propositi
735. 1. Finalmente gli Esercizi che desideravo: chiusi, senza contatto col
mondo esterno, e fatti con metodo. Ho invitato a venir con me i miei
confratelli, vescovi e preti, non religiosi: ci sono tutti e di ogni rito.
Parecchi però la sera tornano a casa per la messa del domani. Ciò è meno
bene, ma è necessario. Io godo di restare solo per tutta la settimana. E
benedico il Signore.
2. Il p. Elia Chàd, superiore dei gesuiti, ci dà i punti secondo il metodo di sant'Ignazio, e fa bene. Però anche lui

deve dare più che i punti: invece di un quarto d'ora ne occupa una mezza. Poi si dovrebbe proseguire la meditazione

in camera. Io mi aiuto leggendo, nella traduzione latina annotata dal p. Roothaan, il testo ignaziano.

Constato però che, anche per noi preti e vescovi questo dare a spizzico,
per essere fedeli al metodo, e lasciare il resto allo spirito di ciascuno, non
è pratico. Siamo tutti un po' bambini bisognosi di essere guidati dalla voce
viva di chi ci presenta la dottrina bella e preparata. Dunque, metodo di
sant'Ignazio, ma adattato alle forme moderne di vita. Oh, i nostri bravi
preti bergamaschi che ci predicavano gli Esercizi in seminario! Ed erano
ben fedeli allo spirito e, secondo le circostanze, al metodo di sant'Ignazio!

736. 3. Fra pochi giorni - il 25 di questo mese - compirò i cinquantotto


anni. Avendo assistito alla morte di mgr Radini a cinquantasette anni, mi
pare che tutti gli anni, oltre questi, mi vengano concessi in soprappiù.
Signore, vi ringrazio. Mi sento ancora giovane di salute e di energia, ma
non pretendo nulla. Quando mi vogliate, eccomi pronto. Anche nel morire,
e soprattutto nel morire, « fiat voluntas tua » (Mt 6,10).
Non manca neppure intorno a me il sussurro: « ad majora, ad majora ». Non mi illudo così da prestarmi alle sue
carezze, che sono, sì, anche per me, una tentazione. E mi sforzo cordialmente di trascurare queste voci, sonanti
inganno e vigliaccheria. Le reputo uno scherzo; sorrido e passo oltre. Per quel poco, per quel niente che io sono
nella santa Chiesa, la mia porpora l'ho già, ed è il rossore di trovarmi a questo posto di onore e di responsabilità
valendo io così poco. Oh, che conforto per me sentirmi libero da queste aspirazioni di cambiar posto e di salire! La
reputo una grande grazia del Signore. Voglia il Signore conservarmela sempre.

737. 4. Quest'anno il Signore mi ha provato coi distacchi da persone care:


mia mamma, venerata e dolcissima; mgr Morlani, il mio primo
benefattore; don Pietro Forno, il mio intimo collaboratore negli Atti della
Visita Apostolica di S. Carlo ; don Ignazio Valsecchi che fu curato a Sotto
il Monte durante gli anni del mio chiericato, prima di partire per Roma,
1895-1900: tutti scomparsi. Non parlo di altre conoscenze e persone
carissime: prima fra queste il mio rettore, mgr Spolverini. Il mondo
cambia faccia per me. « Praeterit figura huius mundi » (1Cor 7,31). Ciò
deve accrescere la mia familiarità con l'al di là, pensando che forse presto
ci sarò anch'io. Cari morti, io vi ricordo e vi amo sempre. Pregate per me.

738. 5. Ho fatta la mia confessione annuale a p. Chàd, e sono contento.


Per prepararmi bene ho celebrato la santa messa espressamente, ho
assistito ad un'altra messa e poi mi misi in ginocchio, pentito e confuso. «
Commissa mea pavesco et ante te erubesco: noli me condemnare » .
Il confessore mi dice che il Signore è contento del mio servizio. Contento
davvero? Oh, lo fosse! Io non ne sono contento che in parte. La elezione
dello stato per me è fatta da tempo: anche quanto ai particolari della mia
vita e attività tutto è ben chiaro e fisso dall'« impendam et superimpendar
pro animabus » (2Cor 12,15): non dormo sui miei doveri episcopali, ma,
ahimè, quanti difetti nel compierli! Soprattutto mi tormenta la
sproporzione fra quello che faccio e quello che mi resta a fare e che vorrei
pur fare, ma non arrivo. La colpa deve essere in parte mia. Nelle mie lettere
sono troppo lungo, per il timore di riuscire secco e poco cordiale, dicendo
meno: nel desiderio di fare meglio gli interessi della carità e della santa
Chiesa, dicendo di più.
Converrà cercare la linea della discrezione, che sta nel mezzo; e, se resta
ancora un po' di tortura, recarmela in pace.

739. 6. Il giorno dei morti il mio caro segretario, mgr Giacomo Testa, mi
ha lasciato definitivamente « ad currendam viam suam » (Sal 19,6) . Era
un buon figliolo che stava con me da due anni e che amavo nel Signore. «
Fiat » (Lc 1,38).
Al suo posto eccone un altro, giovane, mgr Vittore Ugo Righi. I superiori
me lo hanno inviato perché io lo aiuti nella sua formazione al servizio della
Santa Sede. Mi pare docile e buono; farò del mio meglio. Insieme vorrei
alleggerire il mio peso della corrispondenza ufficiale, mettendolo in parte
sopra di lui. Ecco un mezzo per stabilire la proporzione fra il da fare e il
fatto. «Sic Deus me adiuvet ».

740. 7. Per la lettura in refettorio ho proposto, dopo la prima enciclica del


nuovo Papa, il Journal intime di mgr Dupanloup, che trovai fra i libri della
Delegazione e che io conosco bene. Vedo che quelle pagine fanno molta
ed edificante impressione.
A me soprattutto interessa il frequente ritorno di un prelato, tanto
dinamico, sulle pratiche di pietà e della vita interiore: messa, breviario,
meditazione, devozione al Sacramento, alla Madonna, che egli chiama «
Auxilium christianorum: Auxilium episcoporum », ecc. Conforto nel «
socios habere penantes », conforto per me ed insieme incitamento. Insisto
particolarmente nella recita del mattutino la sera. A mgr Righi piace la
recita insieme, e per me è quanto desidero ed ho già cominciato a fare. Il
mattutino detto la sera è tutto tempo prezioso preparato per la
meditazione del domani e per una elasticità più spedita in tutto il resto.
Egualmente terrò al rosario in famiglia che ho cominciato. Anche con mgr
Radini si usava così, anche col card. Ferrari, a Milano.

741. 8. Faccio proposito speciale, ad esercizio di mortificazione, lo studio


della lingua turca. Saperne ancora così poco, dopo cinque anni di soggiorno
a Istanbul, è una vergogna e mostrerebbe poca comprensione della portata
della mia missione, se non ci fossero motivi a scusare e a giustificare.
Ora riprenderò con lena; la mortificazione mi diverrà motivo di
compiacenza. lo amo i turchi, apprezzo le qualità naturali di questo popolo
che ha pure il suo posto preparato nel cammino della civilizzazione.
Riuscirò a poco? Ciò non conta nulla. Il mio dovere, l'onore della Santa
Sede, l'esempio che devo dare: e basta. Non riuscissi che a restar fedele
a questo fermo proposito, riterrei grande e benedetto il frutto dei miei
Esercizi.

742. 9. Altri propositi speciali? Non so trovarli, perché mi sento tutto


crocifisso alla mia vita di vicario e di delegato apostolico. Mantenere la mia
pace e, nella pace, un grande fervore: non recedere affatto dal sistema
che mi consiglia in tutto umiltà e mitezza, qualunque impulso o tentazione
io senta in contrario; mitezza che non è per nulla pusillanimità; parlar
poco, poco di politica; e conservarmi familiare il pensiero della morte.

743. 10. Dalla finestra della mia camera, qui presso i Padri Gesuiti,
osservo tutte le sere un assembrarsi di barche sul Bosforo; spuntano a
decine, a centinaia, dal Corno d'oro; si radunano a un posto convenuto,
e poi si accendono, alcune più vivacemente, altre meno, formando una
fantasmagoria di colori e di luci impressionante. Credevo che fosse una
festa sul mare per il Bairam che cade in questi giorni. Invece è là pesca
organizzata delle palamite, grossi pesci che si dice vengano da punti
lontani del Mar Nero. Queste luci durano tutta la notte, e si sentono le
voci gioiose dei pescatori.
Lo spettacolo mi commuove. L'altra notte verso l'una pioveva a dirotto,
ma i pescatori erano là, impavidi alla loro rude fatica. Oh, che confusione
per me, per noi preti, « piscatores hominum » (Mt 4,19), davanti a questo
esempio! Passando dalla figura al figurato, oh, quale visione di lavoro, di
zelo, di apostolato proposto alla nostra attività! Del regno del Signore
Gesù Cristo resta qui ben poca cosa. Reliquie e semi. Ma quante anime
da conquistare a Cristo, vaganti in questo mare dell'islamismo,
dell'ebraismo, della ortodossia! Imitare i pescatori del Bosforo, lavorare
giorno e notte colle fiaccole accese, ciascuno sulla sua piccola barca,
all'ordine dei capi spirituali: ecco il nostro grave e sacro dovere.

744. 11. Il mio lavoro in Turchia non è facile, ma mi viene bene, ed è


motivo di molta consolazione. Vedo che c'è la carità del Signore, e l'unione
degli ecclesiastici fra loro e col loro misero pastore. La situazione politica
non permette di fare molto, ma mi pare già meritorio il non peggiorarla
per colpa mia.
La mia missione in Grecia, invece, oh, come mi è fastidiosa! Appunto per
questo l'amo anche più e propongo di continuarla con
fervore, sforzandomi di vincere tutte le mie ripugnanze. Per me è
consegna: è, dunque, obbedienza. Confesso, non soffrirei se venisse
affidata ad altri, ma intanto che è mia, voglio farle onore ad ogni costo. «
Qui seminat in lacrymis, cum exultatione metet » (Sal 126,5). Poco
m'importa che altri raccolga.

745. 12. Quest'anno, vacanze poche e turbate dalla preoccupazione di


dover tornare presto. In compenso ho trovato accoglienze estremamente
benevoli ed incoraggianti a Roma, presso il Santo Padre, la Segreteria di
Stato e la Congregazione Orientale. Ringrazio il Signore. Ciò supera i miei
meriti. Però non lavoro per gli elogi degli uomini. « Dominus dedit ». Se
dovesse succedere, come è facile, il « Dominus abstulit », continuerei a
benedire il Signore (Gb 1,21).
13. Come a richiamo perenne di maggior fervore eucaristico ed a
ricordo di questi Esercizi, propongo d'ora in poi di premettere sempre,
alla mia messa privata, le preghiere che stanno sul canone. Chi mi assiste
aspetterà un poco, ma quelle preghiere devono essere dette. La sola «
opportunitas » che potrà dispensarmene, sarà la maggior comodità di
numerosi fedeli che aspettano e non devono trovarsi in condizioni di
impazientire. San Francesco di Sales mi è buon maestro in questo
esercizio di caritatevole discrezione.
1940
ESERCIZI SPIRITUALI
25 NOVEMBRE - 1 DICEMBRE
1940 TERAPIA VILLA DELLE RELIGIOSE DI N. S. DI SION

Sera di lunedì, 25 novembre

746. Ieri il Santo Padre Pio XII invitò tutto il mondo ad unirsi a lui per
cantare, gemendo, le litanie dei santi, e il Miserere. E tutti ci unimmo a lui
ed alla sua preghiera, dall'Occidente e dall'Oriente.
Ritiratomi qui tutto solo in Esercizi spirituali - come lo stesso Santo Padre
fa in questi giorni in Vaticano - ed iniziando così il sessantesimo anno della
mia povera vita (1881 - 25 novembre - 1940), nulla credo più utile per
me, anche come contributo al bene di tutti, che ritornare sul salmo della
penitenza (Sal 51,3-21), distribuendone i versetti - che sono venti -
quattro per ciascun giorno, e rendendoli oggetto di considerazione pia.
Seguo da lontano l'esposizione del Miserere del p. Segneri, ma con molta
libertà di ispirazione e di applicazioni. Sommamente utile ad intendere i
sensi profondi del salmo, è il tenermi viva l'immagine del reale Profeta e
le circostanze del suo pentimento e del suo dolore. È un re che è caduto:
è un re che si risolleva.

Primo giorno. Martedì 26 novembre

747. I VERSETTO: « Miserere mei, Deus, secundum magnam mi-


sericordiam tuam » (Sal 51,3).
1.Il pianto delle nazioni. Esso arriva al mio orecchio da tutti i punti di
Europa ed anche da fuori. La guerra micidiale che imperversa sulla terra,
sui mari, nei cieli, non è che una rivendicazione della giustizia divina, di
cui si sono offesi e violati i sacri ordinamenti imposti al consorzio umano.
Si è preteso, si pretende da qualcuno, che Iddio debba preservare tale o
tal altra nazione, o dare ad essa la invulnerabilità e la vittoria in vista dei
giusti che in essa vivono, o del bene che pur vi si compie. Si dimentica
che, se Dio ha fatto in qualche modo le nazioni, ha lasciato però la co-
stituzione degli stati alla libera disputazione degli uomini. A tutti egli ha
dettate le leggi della civile convivenza: il Vangelo ne è il codice. Ma non
ha dato garanzie di assistenza speciale e privilegiata che alla nazione dei
credenti, che è la santa Chiesa in quanto tale. Ed anche l'assistenza alla
sua Chiesa, se la preserva da ogni disfatta, non la garantisce né dalle
tribolazioni, né dalle persecuzioni.

748. La legge della vita per le anime e per i popoli determina la giustizia
e l'equilibrio universale, i limiti nell'uso delle ricchezze, dei godimenti, della
potenza mondana. A misura che questa legge è violata, si applicano
automaticamente le sanzioni che sono terribili ed inesorabili. Nessuno
stato vi sfugge. A ciascuno la sua ora. La guerra è una delle più tremende
sanzioni. Essa è voluta non da Dio, ma dagli uomini, dalle nazioni, dagli
stati per mezzo di chi li rappresenta. 1 terremoti, le inondazioni, le
carestie, le pestilenze sono applicazioni di cieche leggi della natura:
cieche, perché la natura materiale non ha intelligenza né libertà. La guerra
è voluta invece dagli uomini, ad occhi aperti, a dispetto di tutte le leggi
più sacre. Per questo è tanto più grave. Chi la determina, chi la fomenta
è sempre il « princeps huius mundi » (Gv 12,31) che nulla ha a vedere
con Cristo, il « principe della pace » (Is 5,6).
E mentre la guerra si disfrena, non resta per i popoli altro che il Miserere
e l'abbandono alla misericordia del Signore, affinché prenda il sopravvento
sulla giustizia, e con una grazia sovrabbondante faccia rinsavire i potenti
del secolo e li riconduca a propositi di pace.

749. 2. II pianto dell'anima mia. Ciò che avviene nel mondo in grande, si
riproduce in piccolo nell'anima di ciascuno, si riproduce in me. Fu grazia
del Signore il non essere stato consunto dalla 1940 malizia. Ci sono certi
peccati che si direbbero tipici: questo di Davide, quello di san Pietro, di
sant'Agostino. Ma dove sarei arrivato io stesso, se la mano del Signore
non mi avesse trattenuto? Per piccole mancanze, i santi più squisiti fecero
penitenze lunghe ed asprissime. Tanti, anche moderni, non vissero che di
penitenze; e vi sono anime la cui vita, anche oggi, è espiazione dei peccati
propri, dei peccati del mondo. Ed io, in ogni età, più o meno, sempre
peccatore, non dovrei piangere sempre? « Non vi chiedevo una lode che
mi fa tremare: quel poco che so di me stesso basta per confondermi ». La
famosa risposta del card. Federico è pur sempre eloquente e commovente.

750. Altro che cercare nei confronti un motivo quasi di sollievo! Il


Miserere per i peccati miei dovrebbe essere la mia preghiera più familiare.
Il pensiero poi che sono sacerdote e vescovo, e quindi particolarmente
consacrato alla conversione dei peccatori, alla remissione dei peccati,
tanto più dovrebbe conferire accentuazione al mio atteggiamento « ad
dolendum, ad tristandum, ad plangendum », come dice sant'Ignazio (ES
195). Che cosa è questo farsi flagellare, questo farsi mettere sulla terra
nuda, sulla cenere, per morire, se non un continuato Miserere dell'anima
sacerdotale, ansiosa di essere sempre ostia di espiazione per i peccati del
mondo e propri?

751. 3. La grande misericordia. Non basta una misericordia qualunque.


Il peso delle iniquità sociali e personali è così grave, che non basta un
gesto di carità ordinaria a perdonarle. Si invoca però la grande
misericordia. Questa è proporzionata alla grandezza stessa di Dio.
« Secundum magnitudinem ipsius, sic et misericordia illius » (Sir 2,23). È
detto bene che le nostre miserie sono il trono della divina misericordia. È
detto meglio ancora, che il nome e l'appellativo più bello di Dio sia questo:
misericordia. Ciò deve ispirare fra le lacrime una grande fiducia. «
Superexaltat misericordia judicium » (Gc 2,13). Questo pare troppo. Ma
non deve essere troppo, se sopra di questo è tutto imperniato il mistero
della redenzione; se per fornire un segno di predestinazione e di salute,
questo viene indicato nell'esercizio della misericordia. « Miserere mei,
Deus, secundum magnam misericordiam tuam » (Sal 51,3).

752. II VERSETTO: « Et secundum multitudinem miserationum tuarum,


dele iniquitatem meam» (Sal 51,3)6. Il Signore è detto «misericors et
miserator» (Sal 111,4)'. La sua misericordia non è semplicemente un
sentimento del cuore, ma è una profusione di benefici: « multitudo
miserationum ».
A riguardar bene quante grazie scendono all'anima peccatrice,
semplicemente col perdono di Dio, c'è da confondersi: 1) la remissione
amorevole dell'offesa; 2) l'infusione nuova della grazia santificante, come
ad amico, come ad un figlio; 3) il reintegramento dei doni, degli abiti, delle
virtù annessi alla grazia; 4) la restituzione del diritto alla eredità celestiale;
5) il ravvivamento degli antichi meriti di prima del peccato; 6) l'aumento
di grazia che si aggiunge per questo perdono alle grazie precedenti; 7)
l'aumento dei doni che va proporzionale all'aumento della grazia, come
all'avanzarsi del sole crescono i raggi, all'ingrossarsi della sorgente
crescono i rivi.

753. III VERSETTO: « Amplius lava me ab iniquitate mea et a peccato


meo munda me » (Sal 51,4). La santa confessione.
Tre verbi: « delere, lavare, mundare ». Una progressione: smacchiare
innanzitutto l'iniquità; poi lavarla bene, cioè rimuovere qualunque anche
minimo attacco; infine mondare, cioè concepire un odio implacabile alla
iniquità, compiendo atti ad essa contrari, di umiltà, di mansuetudine, di
mortificazione ecc., secondo la diversità dei peccati. Tre operazioni
successive. A Dio, esclusivamente, si appartiene la prima: « delere ». A
Dio, in cooperazione con l'anima, la seconda e la terza: « lavare, mundare
». Facciamo il nostro dovere, noi, poveri peccatori: pentirci e con l'aiuto
del Signore lavarci e mondarci. Siamo sicuri che il Signore farà la prima.
Questa è pronta ed immediata. E così bisogna crederla, senza dubbi o
esitazioni. « Credo remissionem peccatorum »'°. Le due operazioni
successive, che dipendono dalla nostra cooperazione, domandano tempo,
progressione, sforzo. Perciò diciamo: « amplius lava me et munda me ».

754. Questo mistero della purificazione nostra si compie perfettamente


nella santa confessione, per l'intervento del sangue di Cristo che lava e
monda. La virtù di questo sangue divino, applicato all'anima, agisce con
progresso, di confessione in confessione. « Amplius »: « amplius ». Di qui
la importanza della confessione in se stessa, con l'« ego te absolvo »; e
dell'uso della confessione frequente per chi fa professione di spiritualità,
per i sacerdoti, per i vescovi. Oh, come è facile che la routine prenda il
posto della vera devozione, nelle nostre confessioni ebdomadarie! Ecco un
buon metodo per cavar profitto da questa preziosa e divina pratica: per la
santa confessione si verifica la dottrina di san Paolo: « (Christus) factus
est nobis sapientia a Deo, et justitia et sanctificatio et redemptio » (1Cor
1,30) ".

755. Quando mi confesso, io debbo dunque pregare il mio Gesù perché


mi sia, innanzitutto, « sapientia », per il lume che mi darà nell'esame
calmo, minuto, dettagliato dei miei peccati, e della loro gravità, perché ne
concepisca dolore sincero. Poi mi sia « iustitia », nel presentarmi al
confessore come a mio giudice, e con accusa sincera e dolorosa. Poi «
sanctificatio » perfetta, quando mi inchino a ricevere dalla mano
sacerdotale l'assoluzione, al cui gesto mi viene restituita [o aumentata] la
grazia santificante. Infine « redemptio », nell'eseguire quel poco di
penitenza che mi viene data per la tanta pena che meriterei: poco
veramente, ma soddisfazione copiosissima unito, come è per il
sacramento, al sangue di Cristo che interpella e soddisfa e lava e monda,
per me e con me.
Questo « amplius lava me » deve rimanere il motto sacro delle mie
confessioni ordinarie. Queste sono il criterio più sicuro per la misura del
mio avanzamento spirituale.

756. IV VERSETTO: « Quoniam iniquitatem meam ego cognosco, et


peccatum meum contra me est semper » (Sal 51,5).
Il « nosce te ipsum » della scienza antica era già una buona base del vivere
onesto e degno. Serviva all'esercizio ordinario della umiltà, che è la prima
virtù degli uomini grandi. Per il cristiano, per l'ecclesiastico, il pensiero di
essere peccatore non è affatto depressione di spirito, ma abbandono
confidente ed abituale nel Signore Gesù che ci ha redenti e perdonati; è
senso vivo di rispetto per il prossimo e per le anime, è salvaguardia contro
il pericolo dell'invanirci dei nostri successi. Questo custodire sempre nel
segreto delle nostre intimità la cella del penitente, non solo è rifugio
dell'anima che ritrova veramente se stessa, e con sé la calma del decidere
e dell'operare; ma ancora è fornace dove si accende più vivo lo zelo per le
anime, con intenzione pura, con spirito disinteressato, quanto al cogliere
successi esteriori al nostro apostolato.

757. Per Davide ci volle la voce del Profeta: « Tu es ille vir » (2Sam 12,7)
l4, a scuotersi. Ma poi ecco la presenza del peccato, continua innanzi a lui,
continua ed ammonitrice. « Peccatum meum contra me est semper ».
Osserva bene il Segneri che non è il caso di tener presenti i contorni dei
singoli peccati, ciò non essendo né utile né edificante; ma sta bene il
tenerci presente il ricordo delle debolezze passate, ad ammonimento, a
santo timore, a zelo per le anime. Nella liturgia, come ricorre frequente il
pensiero dei peccati e dei peccatori! Nella liturgia orientale più ancora che
nella latina; ma in ambedue in forma ben espressiva. « Peccatum meum
contra me est semper ». « Contra », cioè « coram me ». Come i peccati
degli uomini stavano innanzi a Gesù agonizzante nel Getsemani; come
innanzi a Pietro, nel fastigio del suo magistero, a Paolo, nella gloria del
suo apostolato, ad Agostino, nel fulgore della scienza universale della
santità episcopale.
Guai agli infelici che invece di tenere il peccato innanzi agli occhi, lo
tengono dietro le spalle! Non potranno giammai ripararsi né dai mali
passati né dai futuri.

Secondo giorno. Mercoledì 27 novembre

758. V VERSETTO: « Tibi soli peccavi et malum coram te feci, ut justificeris


in sermonibus tuis et vincas cum judicaris » (Sal 51,6). Il peccato è offesa
di Dio, e solo per questo è un male grave. Le altre considerazioni sono tutte
secondarie in confronto di questa: una moglie violata, un marito ucciso, son
poca cosa in confronto di un Dio vilipeso. Così l'intese Davide: e così lo
dobbiamo intendere noi. Quanto è differente lo spirito del mondo! Ci si duo-
le, non per il Signore offeso, ma per qualche smacco capitato, per qualche
discapito o disavventura.
I santi non sentivano così: « Ego dixi: Domine, miserere mei; sana animam
meam quia peccavi tibi » (Sal 41,5).

759. Altro pensiero. « Malum coram te feci ». Il peccato, anche quel che
va contro il prossimo e contro se stesso, offende direttamente Iddio nella
sua legge santa. Ma acquista di gravità perché compiuto sotto gli occhi di
Dio. Iddio mi vede: questo motto che disegnavano le nostre povere nonne
di campagna, a rozzo esercizio di rustica arte di ricamo, si conserva ancora
sulle vecchie pareti delle nostre case; e contiene un grande ammonimento
che serve a dar tono di rispetto a tutti gli atti della nostra vita. Che profonda
dottrina è questa della omnipresenza di Dio, del suo occhio che ci persegue
anche nelle latebre più nascoste delle nostre intimità! Ci sarebbe da formare
tutto un trattato di ascetica. È qui che si fonda la bellezza più pura delle
anime sante, terse come il cristallo, sincere come l'acqua pura, senza
infingimenti né con gli altri né con sé - poiché questo accade, che talora si
manchi di sincerità anche con se stessi, il che è il colmo della incoscienza -
a costo di parere dappoco. « Deridetur justi simplicitas » ". Che pagina
questa di san Gregorio Magno!

760. VI VERSETTO: « Ecce enim in iniquitatibus conceptus sum, et in


peccatis concepit me mater mea » (Sal 51,7).
Può sembrare una scusa, invece è una dichiarazione più esplicita della
propria miseria. Davide parla sì della legge del peccato originale, di quella
stessa di cui parlerà san Paolo (Rom 7,23), e che i teologi chiamano «
languor naturae », la legge sentita nelle membra e contraddicente alla
legge dello spirito, ma non per cogliere un diversivo, un pretesto, una
giustificazione'. Bisogna riconoscere che la malizia è in noi, in quanto che,
se il fascino delle cose esteriori non manca, la grazia di resistere è tutta a
nostra disposizione, ed è più forte della tentazione. « Che diavoli! diceva il
prof. Tabarelli quando ci spiegava il trattato De gratia, a Sant'Apollinare. I
diavoli siamo noi. Noi i responsabili ». Nel caso di Davide diceva bene
sant'Agostino: « Mulier longe, libido prope. Alibi erat quod videret, in eo
unde caderet ».

761. La conoscenza che noi abbiamo della fralezza umana deve essere a
noi, medici delle anime, motivo a compatire, a sollevare, ad incoraggiare
altrui; ma non a scusare noi stessi.
Grande nostra responsabilità circa il conservare la grazia, che è sempre lì
ad infrenare la natura. Nella povera natura si annidano le inclinazioni
perverse di ambizione, di alterigia, di gola, di impazienza, di invidia, di
avarizia, di accidia, di impudicizia. Esse sono dentro di noi - la figura è del
Segneri - come in un vasto serraglio di fiere: orsi, lupi, tigri, leoni, pardi.
Non nuocciono finché la cataratta sta su e le trattiene. Direbbesi che
neppure esistono. La grazia le rinserra e tiene dome. Ma se questa cessa,
oh, come le fiere, seguendo il loro istinto innato, andranno a sfogarsi! «
Salvator ponetur in ea murus et antemurale » (Is 26,1). Se la grazia
esteriore e la grazia interiore, « murus et antemurale », cadono, oh, che
scempio per un povero cristiano, per un povero sacerdote!
« In iniquitatibus conceptus sum, in peccatis concepit me mater mea »:
non la nostra buona madre immediata secondo la natura, ma l'antica madre
peccatrice.

762. VII VERSETTO: « Ecce enim veritatem dilexisti, incerta et occulta


sapientiae tuae manifestasti mihi » (Sal 51,8).
Prima il Salmista volle giustificare le parole del Signore dettegli dal
profeta: « ut justificeris in sermonibus tuis », ed esaltare la vittoria dei
suoi giudizi: « et vincas cum judicaris ». Ora proclama nel suo Dio l'amore
della verità. La verità è infatti in Dio come nella sua sorgente, e Dio è tutto
verità; e Gesù, il verbo divino, l'ha ben detto: « ego sum veritas » (Gv
14,6). Una tale dichiarazione sarebbe degna di un pazzo, se non fosse
uscita dalle labbra di un Dio fatto uomo. Il preside romano si trovò ben
imbarazzato innanzi ad una simile dichiarazione fattagli da Cristo, e si
chiese: « Quid est veritas? » (Gv 18,38).
La verità - dice bene il p. Segneri - è una virtù trascendente che entra in
tutti gli affari ben regolati, e secondo la diversità di questi prende diversi
titoli. Nelle scuole ha nome di scienza; nel favellare, di veracità; nei
costumi, di schiettezza; nel conversare, di sincerità; nell'operare, di
rettitudine; nel contrattare, di lealtà; nel consigliare, di libertà;
nell'attenere le promesse, di fedeltà; nei tribunali ha l'inclito titolo di
giustizia. Questa è la verità del Signore, « quae manet in aeternum » (1Gv
2,17) 26.

763. L'amore della verità. La Chiesa, nel giorno della mia consacrazione
episcopale 27, me ne ha fatto un precetto particolare: « humilitatem ac
veritatem diligat, neque eam umquam deserat, aut laudibus aut timore
superatus. Non ponat lucem tenebras, nec tenebras lucem; non dicat
malum bonum, nec bonum malum. Sit sapientibus et insipientibus debitor,
ut fructum de profectu omnium consequatur » . Ringrazio il Signore che mi
abbia concessa una particolare disposizione a dir sempre la verità, in ogni
circostanza, innanzi a tutti, con buona maniera e con garbo, certamente,
ma
con calma e senza paura. Alcune piccole bugiole della mia infanzia mi
hanno lasciato nel cuore un orrore per la doppiezza e per la menzogna.
Ora specialmente che invecchio, voglio essere innanzitutto uomo serio per
questo: « veritatem diligere. Sic Deus me adiuvet ». L'ho ripetuto tante
volte, giurando sul Vangelo.
Le manifestazioni delle cose incerte ed occulte della sapienza divina
vengono da sé. L'amore della verità è una infanzia perenne, fresca,
deliziosa. Ed i misteri più alti il Signore li rivela ai fanciulli, e li tiene
nascosti agli intelligenti ed ai così detti sapienti del secolo (Mt 11,25-26).

764. VIII VERSETTO: « Asperges me hissopo et mundabor, lavabis me


et super nivem dealbabor » (Sal 51,9).
Ecco richiamato il rito mosaico della purificazione dei lebbrosi. Dovevano
farsi spruzzare dal sacerdote con un fascetto di issopo tinto di sangue, e
poi lavarsi tutti da capo a piedi con l'acqua pura (Lv 14). Qui sono
adombrati i peccati che insozzano il corpo, avvilendo l'anima. L'issopo è
un'erba vile d'aspetto, ma vigorosissima. Attecchisce e mette radici sulla
pietra. Oh, di che grande aspersione ha bisogno il genere umano! Non a
torto Gesù è veduto da Isaia come il grande aspergitore: « Iste asperget
gentes multas » (Is 52,15). E nella figura usata da Davide ci è lecito
scorgere l'annuncio non solo della grazia connessa al rito mosaico, ma
ancora, e più, la duplice aspersione riservata al genere umano per i due
sacramenti del battesimo e della penitenza. Chi asperge è lui stesso, il
nostro Redentore. Vile è l'altare del suo sacrificio, come vile è l'issopo: ma
potente è il suo sangue gettato con munificenza divina sopra i corpi e
sopra le anime dei credenti, a loro purificazione. Che grande grazia è
questa, profusa sul mondo, quotidianamente, dai due sacramenti della
riconciliazione e della salute! Per questi il povero mondo si purifica e
risorge in bianchezza superiore alla neve.

765. Un'altra volta io tornerò a questo versetto, in occasione della mia


confessione ebdomadaria. « Asperges me, Domine, et mundabor ».
Che mi mondi il Signore dal mio amor proprio che include, come dice il
Segneri, tre attacchi: alla mia volontà, vaga di operare a suo modo; alla
mia riputazione, intollerante di disprezzo; alle mie comodità, nemiche di
sofferenze, amiche di passatempo!
E penso anche alla aspersione domenicale in chiesa parrocchiale, prima
della messa, con l'acqua benedetta. « Assueta vilescunt ». Bisogna tornare
al significato mistico di questi riti, e farlo gustare al popolo cristiano. Come
non ricordare l'apparizione del « Christus assistens Pontifex futurorum »
che « per proprium sanguinem intravit semel in sancta, aeterna
redemptione inventa » (Eb 9,11-12) ed asperge così i fedeli?

Terzo giorno. Giovedì 28 novembre

766. IX VERSETTO: « Auditui meo dabis gaudium et laetitiam et


exultabunt ossa humiliata » (Sal 51,10).
L'annuncio del perdono - « Dominus transtulit peccatum tuum » (2Sam
12,13) - è motivo di gaudio e di letizia. Tante volte l'abbiamo provato,
allorché ci sollevammo dai piedi del confessore dopo l'assoluzione,
specialmente in occasione di Esercizi spirituali, o in qualche circostanza
più solenne della nostra vita. Il gaudio è dell'intelligenza, la letizia è del
cuore. A questo duplice sentimento risponde anche la elasticità speciale e
il sommovimento fisico del corpo: « exultabunt ossa humiliata ». Vi sono
espressioni bibliche di una vivacità toccante, su questo punto. Come
allorché Isaia ci dice del « mirabitur et dilatabitur cor tuum » (Is 60,5) e
nei Proverbi è detto che: « cor gaudens exhilarat faciem » (15,13).

767. Il mistero della letizia spirituale, che è una caratteristica delle anime
sante, si pone in tutta la sua bellezza e nel suo fascino. Il Signore ci lascia
nella incertezza circa la nostra eterna salute, ma ci fornisce dei
contrassegni che bastano alla nostra calma interiore, e che fanno fiorire la
letizia.
«Ipse Spiritus reddit testimonium spiritui nostro, quod sumus filii Dei »
(Rom 8,16). Scusate se è poco: sentirci figli di Dio! Questa sicurezza, che
spesso è nel cuore senza che noi sappiamo rendercene conto, è la sorgente
inesausta della nostra gioia, è la base più solida della vera devozione. La
vera devozione consiste nel volere tutto quello che è servizio pieno ed
amoroso del Signore. Volerlo con efficacia e con prontezza: questo è il
sostanziale. Volerlo con godimento, cioè con tenerezza d'affetto, con
dolcezza, con diletto, con allegrezza: questo è accidentale e secondario,
ma pure importante. Il sentimento della bontà del Signore per noi, e delle
nostre miserie, forma un intreccio di allegrezza e insieme di tristezza. Ma
la tristezza si raddolcisce anch'essa: diventa stimolo all'apostolato per
l'ideale, il più nobile, di far conoscere, amare, servire Gesù Cristo; e di
togliere i peccati del mondo (Gv 1,29).

768. Lo spettacolo della santità, sorridente fra le tribolazioni e le croci,


sta innanzi a me. La calma interiore, fondata sulle parole di Cristo e sulle
sue promesse, produce la serenità imperturbabile che fiorisce nel viso,
nelle parole, nel tratto, che è esercizio di carità conquistatrice. Avviene un
ricambio di energie in noi, fisiche e spirituali: « Dulcedo animae sanitas
ossium » (Prov 16,24). Il viver in pace col Signore; il sentirci perdonati ed
a nostra volta l'esercizio del perdono agli altri, stabilisce quell'adipe e
quella pinguedine di cui parla il salmista (Sal 63,6), e fa fiorire perenne il
Magnificat (Lc 1,46 ss) sulle nostre labbra.

769. X VERSETTO: « Averte faciem tuam a peccatis meis: et omnes


iniquitates meas dele » (Sal 51,11) 3s.
La supplica del re pentito torna insistente, e si allarga a comprendere «
omnes iniquitates » che egli ha commesse, oltre quella più grave che ha
determinato il salmo Miserere. Come è commovente questo richiamo della
faccia del Signore, che è quanto dire occhi, viso, tratto caratteristico,
esprimente sdegno e corruccio! Quella faccia tornerà ad apparire nel
giorno estremo, e sarà sgomento ed orrore sempiterno per i riprovati.

770. Io debbo rendermi familiare questo versetto, a titolo di compunzione


rinnovata. Non bisogna aver paura di proclamarci peccatori. Ogni
esagerazione nelle forme guasta, ed ognuno si esprime secondo il suo
temperamento; ma avendo sempre bisogno del perdono del Signore, sta
bene tenerci sempre in atto di supplicare e di confidare nella clemenza
divina. « Cor contritum et humiliatum Deus non despiciet ». Davide lo dirà
presto. Ma conviene non lasciar cadere nessuna delle forme che possono
esprimere questa umile contrizione.

771. XI VERSETTO : « Cor mundum crea in me, Deus et spiritum rectum


innova in visceribus meis » (Sal 51,12) 36.
Il cuore è la volontà, e lo spirito è l'intelletto. Volontà monda, adunque,
occorre, e intelletto rinnovato.
Ohimè, quanti attacchi, quante tentazioni assediano la volontà,
specialmente dalla parte del sentimento: oggetti, persone, circostanze! Il
fascino dell'ambiente, talora l'incontro fortuito, la mettono a dura prova.
Da sé il cuore non regge. Quando poi si è sciupato, lasciandosi infiacchire
dalle superfluità, è necessaria una creazione novella. Rattoppi valgono
poco. Presto si torna alla caduta. Il cuore di Paolo, il cuore di Agostino,
furono creazione nuova.

772. Gran Dio, che prodigio! Presa la nuova direzione, quelle volontà non
fecero una piega, né una grinza. Nell'ora estrema, risuonavano ancora
come aureo metallo.
Lo spirito retto, cioè la penetrazione della intelligenza su ciò che è più
importante a ritenersi e a farsi, questo basta a rinnovarlo. Si tratta di una
visione più giusta dei principii inspiratori della propria condotta, di una
conoscenza più adeguata di ciò che praticamente deve farsi da ciascuno.
Tale riforma deve essere innanzitutto interna e profonda - « in visceribus
» - perché possa poi esprimersi di fuori nelle varie manifestazioni della
vita: riforma nel parlare, nel vedere, nell'udire, nello scrivere; un'arte
nuova della vita che risponde ad una nuova concezione della medesima.

773. XII VERSETTO : « Ne proiicias me a facie tua, et spiritum sanctum


tuum ne auferas a me » (Sal 51,13).
Il castigo più grave che Davide potesse imporre al suo figlio Assalonne
che lo tradiva fu questo: « Non videbis amplius faciem meam » (2Sam
14,24) 39. Si comprende perché egli supplichi il Signore a non rigettarlo
dal suo cospetto. Altro è che Iddio torca lo sguardo dalle iniquità; altro che
rigetti dai suoi occhi il peccatore. Il mistero della faccia del Signore, come
si rivela qui impressionante e tremendo! E come si capisce, per converso,
la gioia suprema dell'anima nella visione della faccia del Signore! Che il
Signore mi dia la grazia di non essere un reietto. Mi sia così misericordioso
da ammettermi, anche se l'ultimo di tutti e il più indegno, a contemplarlo
senza fine.

774. Altro punto: la presenza dello Spirito Santo nell'anima fedele. Qui, a
corto di libri e di commentari, non posso controllare se, con questo Spirito
Santo del Signore, debba essere precisamente intesa la terza Persona
della Ss. Trinità. Mi pare ovvio però il ritenerlo. L'azione della grazia in
un'anima è nelle parole: « ad eum veniemus et mansionem apud eum
faciemus » (Gv 14,23) Si tratta delle tre divine Persone. Ciascuna prende
il suo posto con le proprietà personali caratteristiche. Lo Spirito Santo è
Signore e vivificante. A lui la santificazione dell'anima. Il cristiano non è
tempio vivo dello Spirito Santo (1Cor 6,19)? e quale ricchezza di frutti per
l'anima, da questo soggiorno dello Spirito del Signore in lei! San Paolo li
enumera. Sono ventiquattro. Cominciano con la pace e col gaudio (Gal
5,22).

Quarto giorno. Venerdì 29 novembre


775. XIII VERSETTO : « Redde mihi laetitiam salutaris tui, et spiritu
principali confirma me » (Sal 51,14).
Ridonami la lieta sicurezza che mi salverai: la lieta sicurezza del tuo
Salvatore. San Gerolamo felicemente traduce il « salutaris tui »
in « Jesu tui ». Questo il vero gaudio di una anima perdonata, il primo
frutto dello Spirito Santo inabitante in noi, il sentirci annumerati nello
stuolo degli eletti. E tutto ciò per i meriti di Gesù che sparse il suo sangue
per redimerla, questa anima nostra, per penetrarla della sua virtù e della
sua vita. Questa sicurezza non deve essere senza timore, perché portiamo
il tesoro della grazia in un vaso fragile (2Cor 4,7); un piccolo urto ci può
far barcollare: il vaso si spezza un'altra volta: oh, poveri noi! Ma una volta
che facciamo del nostro meglio, « facienti quod in se est » il Signore ci
continua la grazia: questa grazia deliziosa di sentirci suoi, per sempre,
questo pregustamento della dimestichezza eterna che ci viene riserbata
per il giorno che non avrà più tramonto. Il pensiero poi che il nostro
salvatore è Gesù - Davide mestamente cantò per l'Antico e per il Nuovo
Testamento - oh, di quanta gioia soffonde il mio spirito, dal mattino alla
sera! Gli antichi cristiani figuravano questa dottrina nell'Ichtus - il pesce -
« Jesus Christus Dei Filius Salvator », e lo ponevano come simbolo sulle
tombe, come annuncio di resurrezione, ed insieme come involucro del
mistero eucaristico, noto solamente agli iniziati. Che di più soave per me,
sacerdote e vescovo, quanto il contatto quotidiano col grande sacramento,
« pignus futurae gloriae »?

776. E lo « spiritus principalis »? Esso è la condizione sine qua non del


permanere in noi la sicurezza gioiosa del paradiso. È un soccorso abituale
di aiuti continui, che tengono sempre l'anima inclinata al bene, come
avviene dei santi in cielo, senza tentennamenti, una confermazione in
grazia, dono rarissimo che il Signore concede senza neppure darne
conoscenza alla creatura eletta, disponendo che la incertezza di possederlo
giovi all'esercizio di molte virtù, che da essa derivano: timore casto,
vigilanza, umiltà, perpetuo ricorso a Dio, ed altre ancora.

777. Davide chiedeva anche questo dono, e lo chiamava « spiritus


principalis », cioè non plebeo, ma degno di un principe elettissimo, spirito
alto, disinteressato, non infetto dall'amor proprio, non sollecito che di Dio,
della gloria sua. Anche san Paolo lo chiedeva, ma nell'atto di sottoporre il
suo corpo alla mortificazione ed alla disciplina, tremando, « ne cum aliis
praedicaverim, ipse reprobus efficiar » (1Cor 9,27) . Anch'io lo chiedo, o
Signore, con Davide e con Paolo; ma così meschino, accanto a loro.
Anch'io lo chiedo, in somma grazia, questo spirito che mi confermi nel
basso sentire di me stesso, nel mio niente, nel puro anelito verso di voi,
per cui solamente io debbo vivere, essendo voi morto per me (2Cor 5,15).
778. XIV VERSETTO: « Docebo iniquos vias tuas, et impii ad te
convertentur » (Sal 51,15).
Il mio sacerdozio è non solo sacrificio per i peccati del mondo e miei,
ma ancora è apostolato di verità e di carità. A questo mi induce la mia
vocazione. A maggior fervore mi deve indurre il pensiero del poco fatto sin
qui, e del perdono dato dal Signore alle mie miserie passate.
« Misericordia et veritas, universae viae Domini » (Sal 25,10) . Qui io
mi debbo distinguere. Non debbo essere maestro di politica, di strategia,
di scienza umana: ce n'è d'avanzo di maestri, in queste cose. Sono
maestro di misericordia e di verità. E riuscirò per tal modo anche
benemerito dell'ordine sociale. Poiché questo è pur detto nel salterio: «
misericordia et veritas obviaverunt sibi, justitia et pax osculatae sunt »
(Sal 85,11) 47. Il mio insegnamento deve essere condotto innanzi «
verbis et exemplis »; dunque principi ed ammonimenti dalle labbra,
incitamenti dal mio contegno in faccia a tutti, cattolici, ortodossi, turchi,
ebrei. « Verba movent, exempla trahunt ».

779. « Impii ad te convertentur ». Il problema della conversione del


mondo empio e prevaricatore chiude uno dei misteri più preoccupanti del
mio spirito. La sua soluzione però non spetta a me, ma è il segreto del
Signore. A me, a tutti i sacerdoti, a tutti i cattolici, incombe il gravissimo
dovere di cooperare alla conversione del
mondo infedele, al ritorno degli eretici e scismatici alla unità della Chiesa,
all'annunzio del Cristo anche agli Ebrei che l'hanno ucciso °s. Del risultato
non siamo responsabili. Solo conforto, che basta alla nostra tranquillità
interiore, il sapere che Gesù Salvatore è ben più sollecito di noi della salute
delle anime: che egli le vuole salve per la nostra cooperazione, ma chi le
salva intimamente è la sua grazia: e la sua grazia, non mancherà nell'ora
opportuna. Questa ora sarà una delle sorprese più piacevoli dello spirito,
glorificato in cielo.
780. XV VERSETTO: « Libera me de sanguinibus, Deus, Deus salutis
meae, et exultabit lingua mea justitiam tuam » (Sal 51,16).
A questo versetto il mio caro p. Segneri ha consacrato ben quindici
pagine di commento, in cui dice belle cose, ma che hanno l'aria di una
divagazione barocca. Per me l'interpretazione è più semplice e più pratica.
Chi sono questi « sanguinibus » da cui il reale salmista prega il Signore di
liberarlo? Non conosco l'interpretazione degli esegeti. Io amo vedervi,
riferendomi a me stesso:

781. 1. I moti interni della concupiscenza carnale, retaggio del


« languor naturae », del sangue inquinato che corre attraverso il genere
umano dalla prima sorgente di Eva prevaricatrice. Il progredire della età -
quando si è, come me, sui sessanta - prosciuga alquanto gli umori cattivi,
ed è sinceramente piacevole il constatare il silenzio e la quiete della carne,
divenuta ormai vecchia ed insensibile agli stimoli che la turbavano negli
anni del giovane e maturo vigore. Però, però conviene stare attenti. Nella
Bibbia si parla anche del « senex fatuus », che è una delle tre cose « quas
odit anima mea » (Sir 25,3-4).

782. 2. Gli attacchi soverchi alle persone di famiglia che, quando si


aggravano oltre i limiti della carità, diventano impaccio e catena. La legge
dell'apostolato e del sacerdozio è superiore alla legge « carnis et sanguinis
» (Gv 1,13). Amare dunque i miei parenti e congiunti, soccorrere alla loro
eventuale povertà, perché ciò è pure un dovere per chi fa tanta carità a
persone estranee, ma tutto con discrezione, con spirito squisitamente
sacerdotale, con ordine e con imparzialità. I miei parenti più stretti, fratelli,
sorelle, nipoti, tranne qualche rara eccezione, sono esemplarmente
cristiani, e formano la mia consolazione. Ma guai a lasciarmi turbare dagli
affari e cose loro, così da distrarmi dai miei compiti di servitore della Santa
Sede e di vescovo!

783. 3. Il sentimento d'amor patrio, che è legittimo e può essere santo,


ma può degenerare in nazionalismo, quanto mai pregiudicevole alla
dignità del ministero episcopale. Questo deve tenersi al di sopra delle
contestazioni nazionalistiche. Il mondo è intossicato di nazionalismo
malsano, sulla base di razza e di sangue, in contraddizione al Vangelo.
Soprattutto su questo punto, che è di bruciante attualità, « libera me de
sanguinibus, Deus ». E qui torna bene l'invocazione: « Deus salutis meae
»: il salvatore Gesù, che morì per tutte le nazioni, senza distinzione di
razza e di sangue, divenuto primo dei fratelli della nuova famiglia umana,
costituita sopra di lui e sopra il suo Vangelo.

784. Con quanto slancio, e con quanta libertà maggiore, la lingua del
prete e del vescovo, sciolto così da impacci terreni, potrà annunciare, a
tutti, i precetti del Signore, lodare esultando la sua giustizia, la sua
misericordia, la sua pace, in nome del Padre, che è « Deus virtutum », del
Figlio, che è « Deus salutis », dello Spirito Santo, che è « Deus pacis »!
Oh, come nel godimento di questa, santa libertà diviene più lieto il
ministero sacro delle anime! « Cantabiles mihi erunt justificationes tuae in
loco peregrinationis meae » (Sal 119,54). « Venite exultemus Domino,
jubilemus Deo salutari nostro » (Sal 95,1).

785. XVI VERSETTO: « Domine, labia mea aperies, et os meum


annuntiabit laudem tuam » (Sal 51,17) .
Questo è uno dei versetti più cari di tutto il Salmo. La preghiera mattutina
- « sacrificium laudis » - del sacerdote, si apre con queste parole. Esse
spirano all'anima tanta poesia e tanta tenerezza. Il sacerdote è altresì
maestro e le sue labbra debbono custodire la scienza. Come sarebbe bene
cominciare le prediche, i sermoni, tutte le forme di insegnamento così: «
Signore, apri le mie labbra ». Al seguito di questa invocazione si svolge
tutta l'ufficiatura, distribuita nelle varie ore della notte e del giorno.
Intonato così, ecco che si avanza tutto il ministero sacro della parola, che
è annuncio della buona novella, è esaltazione della verità religiosa, è inno
di gloria al Signore.

786. Il p. Segneri, arrivato a questo versetto, fa un vero salto di ottava ,


e passando sopra al primo sentimento dei sacri interpreti, trascina l'anima
contemplante a vedere in questo « annuntiabit laudem tuam »
l'esaltazione dell'opera più grande che il Signore abbia compiuta, e dove
impiegò la piena dei suoi attributi, cioè la fondazione della santa Chiesa,
avvenuta dieci secoli dopo Davide, ma da questi intravista come il
capolavoro di Dio, per mezzo del suo Cristo. Si dice infatti altrove (Sal
48,1): « Magnus Dominus et laudabilis nimis ». Ma dove? nella terra?
nell'acqua? nell'aria? nel fuoco? nel firmamento? nelle stelle? nel sole? No:
bensì « in civitate Dei nostri, in monte sancto eius » (Sal 48,2).

787. Questo apprezzamento è condiviso anche da san Roberto


Bellarmino, dove scrive: « Ex iis quae nobis revelata sunt, nihil fere majus
habemus, unde Domini magnitudinem melius cognoscere, et unde magis
eam laudare possimus, quam Ecclesiae aedificationem » . E posto ciò, il
Segneri trova motivo a inferire che, volendo Davide dare a Dio la maggior
lode che mai gli fosse possibile in contraccambio di tanti beni ricuperati
col perdono ottenuto, scegliesse questa come argomento principale
dell'arpa già pronta al suono. Questa sarebbe stata l'opera più insigne di
tutti i secoli, ed egli che l'ammirava con ispirito profetico, volle per sé
l'onore di annunciarla. « La mia bocca proclamerà la tua lode ».

788. Quando si pensa che queste parole sono ripetute ogni mattutino, in
nome della santa Chiesa, che prega per se stessa e per tutto il mondo,
dalle migliaia e centinaia di migliaia di bocche dischiuse al tocco della
grazia invocata, la visione si allarga, e, accendendosi, si completa. Ecco
che la Chiesa si annuncia, non come un monumento storico del passato,
ma come una istituzione vivente. Non è la santa Chiesa come un palazzo
che si fondi in capo ad un anno. È una città vastissima che ha da occupare
l'intero universo: « Fundatur exultatione universae terrae mons Sion,
latera Aquilonis civitas Regis magni » (Sal 48,3) 56. La fondazione è
cominciata da venti secoli, ma essa continua, e si allarga per tutte le terre
fino a che il nome di Cristo sia dappertutto adorato. A misura che continua,
ecco che le nuove genti, all'annunzio, esultano di gioia: « Audientes gentes
gavisae sunt » (At 13,48) . Ed è bello anche il pensiero conclusivo del pio
e audace commentatore, edificante per ogni sacerdote che recita il
breviario: conviene che ciascuno attenda a fondare questa Chiesa santa.

789. Chi si impiega in così bell'opera colla sacra predicazione, dica al


Signore, qual nunzio del suo Vangelo: « Domine, labia mea aperies et os
meum annuntiabit laudem tuam ». Chi non è missionario, brami di
cooperare anch'egli alla grande fatica dell'apostolato, e allorché
privatamente salmeggia da sé solo nella sua cella, dica anche lui il «
Domine, labia mea », perché anche là, per comunicazione di carità, deve
riputare lingua sua qualunque lingua stia in quell'ora nell'atto di
annunciare il Vangelo, il quale « è la somma lode divina che ha dato il
tema a questo versetto carico più di misteri, ben ascosi nel fondo, che di
parole » se.

Quinto giorno. Sabato 30 novembre, festa di sant'Andrea apostolo

790. XVII VERSETTO: « Quoniam si voluisses sacrificium, dedissem


utique: holocaustis non delectaberis » (Sal 51,18) .
Queste parole rivelano la prontezza di Davide al sacrificio, e ad ogni
sacrificio. È sempre l'impressione del peccato commesso che grava sul suo
cuore. Dacché egli ha conosciuto la profondità del suo duplice misfatto, la
violazione della donna altrui e l'uccisione di un innocente - e ci volle un
anno per comprenderla - sente che la espiazione conveniente sarebbe la
morte. Ciò avrebbe corrisposto anche alla legislazione mosaica. Ma poiché
il profeta Natan l'ha assicurato che « Dominus transtulit peccatum tuum,
non morieris » (2Sam 12,13), sa di dover dare al Signore tutto ciò che è
espressione di morte, cioè di annientamento di tutto, innanzi alla maestà
divina offesa: quindi il sacrificio secondo le prescrizioni legali, e, poiché
egli era ricco a dismisura, un sacrificio più copioso in olocausti, in vittime
della terra. Ma il Signore non voleva da lui queste forme di sacrificio
prescritte agli ebrei venienti dall'Egitto, abituati a maneggiare paglia, terra
e calcina. Per un progenitore del Cristo, per un uomo fatto secondo il cuore
di Dio, queste erano forme troppo volgari di adorazione e di espiazione.
Perciò il Signore non le volle da lui: « holocaustis non delectaberis ». Non
minore, però, fu il merito suo ad esibirle; in ogni caso, a tenersi pronto,
secondo la volontà divina.

791. Prontezza al sacrificio, quale il Signore lo vuole particolarmente da


ciascuno e nella misura in cui lo vuole, che deve essere grande
insegnamento ed ammonimento per me. Questa è la devozione leale e più
sicura. Non è solamente spargere dolci lacrime nel tempo della orazione,
ma avere una prontezza perfetta di volontà a qualunque divino servizio. «
Paratum cor meum, Deus, paratum cor meum » (Sal 57,8), al molto e al
poco, a ciò che Dio vuole e a ciò che Dio non vuole, e che, perciò, non
deve essere fatto. Quante illusioni su questo punto! Ci si foggia facilmente
delle forme di servizio del Signore che sono invece il nostro gusto, la no-
stra ambizione, il nostro ghiribizzo. « Superbia cordis tui extulit te,
habitantem in scissuris petrarum » (Abd 1,3): appena sai dare, per servizio
di Dio, un passo fuori dei buchi in cui stai, come una tarantola, a rifugiarti
dalle ingiurie dei tempi, e vuoi persuaderti che tu daresti persino voli di
aquila, se ti si chiamasse di là dai monti o dai mari. Nella tua devozione
tu seduci te stesso, e non te ne avvedi. Fa che la prontezza della volontà
si veda nelle opere intese alla esecuzione della volontà del Signore, quale
ti è nota giorno per giorno, e non si dimostri solo col fervore dei sospiri
63.

792. XVIII VERSETTO: « Sacrificium Deo spiritus contribulatus, cor


contritum et, humiliatum Deus non despiciet » (Sal 51,19). C'è il sacrificio
che piace sommamente al Signore, ed è lo spirito tribolato, anzi
contribolato, in quanto, spesso, a quella dello spirito si aggiunge la
sofferenza fisica del corpo, che ebbe tanta parte con l'anima nel fare il
male. Elevando questa dottrina al di sopra delle contingenze particolari di
Davide, peccatore pentito, essa ci pone innanzi al grande mistero della
croce e della sofferenza, che segna la via più sicura della perfezione
sacerdotale ed epi. scopale.

793. Nel mio ritiro di Roustchouk del maggio 1930, fui tutto occupato di
questa dottrina che, del resto, mi apparve con sorprendente evidenza
quando mi prostrai innanzi all'altare di san Carlo a Roma nel rito della mia
consacrazione episcopale, e mi sollevai da quella cerimonia portando più
viva l'impronta, almeno virtuale, della rassomiglianza con Cristo crocifisso.
« Fac me cruce inebriari ». Oh, io debbo ripetere spesso questa
invocazione! Finora, troppo poco soffersi. Una certa felicità di
temperamento, che è un grande dono del Signore, mi ha tenuto al di fuori
di certe afflizioni che accompagnano spiriti intrepidi e generosi, che si lan-
ciano come fiamme vive nelle opere dello zelo pastorale. Ma è ben naturale
che, avanti il terminare della mia povera vita, il Signore mi visiti con
tribolazioni particolarmente affliggenti. Ecco, sono pronto: purché il
Signore, che me le invia, mi conceda anche la forza di sostenerle con
calma, con dignità, con dolcezza. Leggo nella vita dell'ultima maestra delle
novizie di queste suore di Sion, di cui sono ospite felice - madre Maria
Alfonsa - che lo spirito di questo Istituto consiste in « abnégation souriante
» . Oh, questa è la parola che fa per me! Voglio essere sempre vigilante al
sacrificio interiore, sopportato con umiltà, con spirito di penitenza, con
cuore contrito - « cor contritum quasi cinis » 67 - come è detto di tutti i
personaggi più insigni del Testamento Antico, come si legge dei santi più
popolari del Testamento Nuovo.

794. Basti ricordare san Francesco d'Assisi, la cui preghiera era sempre
la stessa: « O Gesù, abbi pietà di me peccatore ». A formarmi a questo
spirito contribolato, contribuirà grandemente la celebrazione accurata e
fervorosa della santa messa che mi introduce nel Getsemani, nel santuario
più intimo dei dolori di Gesù, e la successione di tante punture quotidiane,
in cui debbo sforzarmi di trovare il perfetto accordo fra la condiscendenza,
la pazienza, la rassegnazione e la giustizia, la dignità, la pace.
795. XIX VERSETTO: « Benigne fac, Domine, in bona voluntate tua, Sion:
ut aedificentur muri Jerusalem » (Sal 51,20).
Qui l'esegesi biblica ha modo di esercitarsi magnificamente nella ricerca
dei tre sensi: letterale, allegorico o mistico, e anagogico. Il reale profeta,
sollevato dalla sua colpa, pronto al sacrificio, guarda al nuovo avvenire e
lo auspica di glorificazione per il suo Dio misericordioso. La benignità che
invoca per la sua casa, posta sul Sion, e che gli permetterà di ricostruire
le mura della città regia, adombra la venuta del Cristo Salvatore: «
Apparuit benignitas et humanitas Salvatoris nostri Dei » (Tt 3,4), come
dice san Paolo. Il Sion raccoglierà la successione dei re di Giuda, passata
a Costantino e, meglio, alla più sicura e indefettibile monarchia religiosa
pontificale. Gerusalemme è la Chiesa santa che estende i suoi padiglioni
in tutte le parti del mondo, ha mura salde e fortissime, talora battute in
breccia qua e là, ma ricostituite e munitissime più che mai. Dalla mistica
Gerusalemme, o Chiesa militante, lo sguardo si solleva alla Gerusalemme
celeste, o Chiesa trionfante, che ci attende nella consumazione finale. Le
ultime note del Miserere di Davide danno il tono all'Apocalisse di san
Giovanni che, dopo la descrizione della « beata pacis visio », termina col
« Veni, Domine Jesu » (Ap 22,20) .

796. Anche la mia povera anima resta rapita e intenerita fra questi fulgori,
e ne prende incoraggiamento a cooperare del suo meglio alla affermazione
dello spirito di Gesù dal Sion, ed alla estensione, alla ricostruzione delle
mura di Gerusalemme, nel servizio della santa Chiesa, così come la
Provvidenza l'ha disposto per me, ultimo dei vescovi e dei
rappresentanti della Santa Sede, e pur desioso di non far disonore alla
mia vocazione.
Questi che ora mi restano della mia vita, dovrebbero essere gli anni
migliori di cooperazione seria, efficace, degna, al grande lavoro che la
Chiesa cattolica persegue, dalle alture santificate di Sion agli spalti di
Gerusalemme. Gesù accolga almeno il buon proposito e lo benedica
benignamente, « in bona voluntate sua » (Sal 51,13).

797. XX VERSETTO: « Tunc acceptabis sacrificium justitiae, oblationes


et holocausta. Tunc imponent super altare tuum vitulos » (Sal 51,21).
Trattasi del grande e vero sacrificio che di se stesso offerse Gesù per
noi, quando « ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di
soave profumo » (Ef 5,2).
Davide lo contemplò da lungi e ne fu rapito, vero sacrificio di giustizia
e di espiazione universale, che, dall'alto del sacro colle che sta fra il Sion
ed il Moriah, doveva consumare tutti i sacrifici dell'universo, ed insieme
diffondere una virtù divina in tutti i sacrifici che si sarebbero poi compiuti
attraverso le membra dei mille e dei milioni di mille che, attraverso i
secoli, tratti dalla ebbrezza della croce, avrebbero offerto spettacolo di
penitenza e di sofferenza, nella partecipazione al corpo mistico di Cristo.
Intorno a questo della croce è bello contemplare « oblationes et
holocausta ». Ecco gli apostoli, ecco i confessori, ecco i martiri, ecco i
santi di tutti i secoli, ecco le vergini, la cui vita fu e continua ad essere
gloria della santa Chiesa, tutto ardore, tutto sacrificio, tutto sangue. «
Quasi holocausti hostiam accepit illos » (Sap 3,6). Cumulo di oblazioni
e di olocausti spesso ignorati e nascosti, e salienti verso l'Altissimo con
voce di propiziazione per tutto il mondo.

798. E il vitello o i vitelli posti sull'altare? I commentatori concordano


nel vedere qui l'immagine della santa Eucaristia, per cui
si perenna e si rinnova misticamente e non meno realmente il sacrificio
della croce. Che onore per un sacerdote e per un vescovo in questo
ministero affidatogli, di imporre ogni giorno sull'altare la vittima divina!
Ma quale responsabilità innanzi al cielo e alla terra!
Ah, signore Gesù! io mi sprofondo nel mio niente, io grido pietà e
perdono per le mie miserie, io rinnovo la consacrazione della mia vita al
vostro culto, al vostro amore, al vostro altare. « Miserere mei, Deus,
miserere mei » .

[Riflessioni generali dopo gli Esercizi]

799. 1. Le circostanze della guerra non hanno permesso, quest'anno,


gli Esercizi presso i Padri Gesuiti ad Ayas Pasa.
Son venuto qui in funzione di cappellano di queste buone suore, vecchie
e fuori di attività, rifugiatesi qui dalle case di Iassy [Iasi] e di Galatz in
Romania. Dopo di me verranno i miei preti di Santo Spirito, uno per
volta, per il loro ritiro. Solitudine veramente ideale e deliziosa. Gesù
mio, vi ringrazio e vi benedico.
2. Ho scelto questi giorni al mio ritiro spirituale, perché sono i primi del
mio sessantesimo anno di età. Entro dunque nel periodo in cui uno
comincia ad essere e a dirsi vecchio. Oh, che almeno la vecchiaia sia
tutta uno sforzo di quella perfezione di cui, come vescovo, dovrei essere
maestro, ma da cui sono ancora così lontano! Santificarne gli inizi con
la preghiera e con la meditazione, in ispirito di penitenza, è già qualche
cosa; certo è grata al Signore: è invocazione di misericordia.

800. 3. Come esercizio del mio spirito ho messo in disparte il solito


metodo ed ho reso oggetto della meditazione il salmo Miserere,
occupandomi di quattro versetti al giorno. Presi come guida - perché
una guida ci vuole in queste cose, anche per chi invecchia - l'esposizione
ampia e ragionata del p. Paolo Segneri, autore che io ammiro tanto .
Troppo ampio per le mie esigenze e troppo ragionato, e quindi un po'
sforzato e barocco. Ma un vero tesoro di pensieri e di applicazioni. Meditai
ed annotai, colla macchina da scrivere, quanto mi parve più interessante
e più pratico. Tornerò su quelle note, a mia edificazione.

801. 4. Risultato di questa concentrazione del mio spirito? Nulla di


singolare, o di eccitante. Ma, mi pare, un rafforzamento di principi e di
posizioni in faccia al Signore ed al problema della mia povera vita e del
mio ministero sacro, in servizio della santa Chiesa. Anche a non esagerare
questo ingresso nell'ultimo, forse rapido e breve, periodo della mia vita,
sento qualcosa di più grave e di più maturo in me, in rapporto a tutto ciò
che mi interessa e mi circonda: direi, un maggior distacco da quanto può
riguardare il mio avvenire, una più accentuata indifferenza « circa res
creatas omnes » (ES 23), uno scolorirsi lento e lieve dei contorni di cose,
di persone, di località, di imprese, che un tempo solleticavano di più il mio
gusto personale; una disposizione più notevole a capire e a compatire, ed
una più grande chiarezza e tranquillità di impressioni e di giudizi. Sarò
vigilante a conservare la bella semplicità della parola e del tratto, a non
caricare per nulla le pose; ma insieme tutti devono sentire la gravità e
l'amabile distinzione del prelato anziano, che diffonde intorno a sé aria di
dignità, di saggezza, di grazia.

802. 5. Ho meditato di nuovo i miei doveri episcopali. Soprattutto mi


soffermai sul: « humilitatem et patientiam in meipso custodire, et alios
similiter docere » . Qualche spina punge, e talora forte. Dovrei prendere,
a stretto rigore, decisioni rigide. Mi leverei la spina. Non ne meriterei altre,
più pungenti? E poi, la verità, la carità, la misericordia? E lo spirito del
Signore nel trattare le anime? nel trattare l'anima mia?

803. 6. Quest'anno la Provvidenza mi ha messo in mano somme notevoli


di denaro. Denaro di mia pertinenza personale. L'ho distribuito, parte ai
poveri, parte a bisogni miei e a soccorsi ai miei di famiglia, e parte, la
principale, nel restaurare la delegazione apostolica e alcune camere dei
miei sacerdoti a Santo Spirito. Secondo
il senso dei mondo che un poco soffia anche nei sacri penetrali del clero,
secondo i criteri della prudenza umana, sono stato un povero di spirito
(cfr. Mt 5,3).
Ora infatti mi trovo di nuovo in povertà. Benedetto sia il Signore. Parmi
di essermi condotto bene, con la grazia sua. Torno ad affidarmi alla sua
bontà anche per l'avvenire. « Date et dabitur » (Lc 6,38) .
7. Lo studio della lingua turca. Sicuro: a sessant'anni non debbo
retrocedere innanzi a questa fatica. Trattasi di buona ed energica volontà,
non di altro. Non servisse ad altro, questa fatica, che a dare buon esempio,
sarebbe grandemente meritoria.
1942
ESERCIZI SPIRITUALI
COL MIO CLERO ALLA DELEGAZIONE
DALLA FESTA DI CRISTO RE ALLA FESTA DI OGNISSANTI
ISTANBUL, 25-31 OTTOBRE 1942

804. 1. L'anno scorso non potei fare Esercizi, occupato come fui in Grecia,
nell'esercizio delle opere della misericordia, in nome del Santo Padre.
Quest'anno mi sarei ritirato volentieri ancora presso i Padri Gesuiti, come
nel 1939. Ma le ragioni che sconsigliano movimento di persone intorno a
quella casa perdurano, e rendono gli stessi padri incerti e timorosi. Perciò
decisi di accontentarmi degli Esercizi in casa come nel 1935 e nel '37.
A questi invitai anche gli ecc.mi Kiredjian, arciv. degli armeni, e Varuhas,
ordinario dei greci di rito bizantino. Questi vi condusse i suoi tre
ecclesiastici: padri Basilio e Policarpo e diac. Haralampos. Si aggiunsero i
capi dei tre riti: Chami dei melkiti, Fakir dei siriani, Nikoloff dei bulgari. I
vescovi e questi tre capi-rito si trattengono alla delegazione anche per il
pranzo. In tutto, esercitandi quindici: un bel numero. Predica con successo
e con sostanza viva di dottrina scritturale il p. Folet, gesuita francese s.
Silenzio in casa e prontezza agli orari; un complesso di buone disposizioni
da parte di ciascuno e di tutti, che dà piacere allo spirito e mutua
edificazione.

805. 2. Nella festa dei santi Simone e Giuda mi sono confessato da p. Folet,
dopo di aver celebrata la santa messa, e di avere assistito a quella del
padre, in preparazione al sacramento della purificazione. Estesi il mio
esame e l'accusa ai due anni intercorsi dal dicembre 1940 ad ora.
Penitenza: recita del Miserere e del Magnificat. Eh, ma io debbo abituarmi
a ben altre penitenze, se voglio entrare in cielo con agio e con onore! Che
il Signore me ne dia sempre più lo spirito. Si avvicina il tempo della più
grande penitenza per il mondo intero. È giusto che vescovi e sacerdoti
vadano innanzi. Come san Carlo Borromeo e il card. Federico, nei giorni di
calamità: andavano in processione, a piedi nudi, corda al collo, cilicio ai
fianchi, e portando la reliquia della santa croce.

806. 3. La mia pena persistente, che spesso è ansia segreta sempre la


stessa, l'antica: il non arrivare a tenermi in paro colle cose da fare, il
dovermi tenere in continua attenzione per vincere l'accidia del mio
carattere, portato alla tranquillità, all'andar piano, pur movendomi sempre.
Questa pena mi umilia e vorrebbe persino rendermi triste. Debbo cogliere
tutto ciò che è motivo di umiliazione e tenermelo caro; ma non perdere la
calma e la pace interiore. Questo è il mio supplizio. Il non arrivare più presto
può dipendere da varie cause, per esempio, il sopraccarico reale del lavoro,
le circostanze particolari della mia posizione qui ed in Grecia. Io debbo però
preferire di riconoscere in questo stato di cose la mia insufficienza, « et ad
minus sustinere patienter, si non possum gaudenter », come dice il Kempis
(lib. III, c. 57). C'è poi l'altra sentenza dello stesso libro della Imitazione,
che io non mi debbo ritenere veramente umile finché non riconosco che
sono veramente inferiore a tutti (IC 2,11).

807. 4. 1 punti massimi della vita spirituale sono saldi, grazie a Dio.
Distacco assoluto dal mio nulla: dirmi, come gli ambrosiani nella messa: «
minimus et peccator », è ciò che mi conviene; abbandono completo nella
volontà del Signore; desiderio di vivere non per altro che per fare un po' di
apostolato e di buon servizio della santa Chiesa, nessuna preoccupazione
per il mio avvenire, prontezza ad ogni sacrificio, anche della vita - se il
Signore mi reputa degno di tanto - per la gloria divina, per il compimento
del mio dovere; fervore grande di vita spirituale, nella direzione della santa
Chiesa e della tradizione migliore, senza esagerazione di forme esteriori o
di metodi; zelo vigilante e mite, con attenzione a tutto, ma sempre con
molta pazienza e dolcezza, ricordando quello che il card. Mercier cita da
Gratry: che la dolcezza è la pienezza della forza; e poi familiarità col
pensiero della morte, che serve tanto a dare scioltezza e letizia alla vita.

808. 5. Mi è un poco mortificante, il tornare sulle stesse cose; ma questo


è un bisogno del mio spirito. Dunque, rinnovo il proposito della mia fedeltà
all'uso di recitare il mattutino sempre alla sera, il che assicura il tempo per
la meditazione il mattino; lo studio della lingua turca e della greca. Da
qualche mese mi applico al greco e ne sono contento. Appena lo possa,
riprenderò col turco; non perché pensi di riuscire un letterato in queste
lingue, ma per compiere semplicemente il mio dovere e lasciare il buon
esempio ai miei successori.
6. Il mio ministero in Grecia è il più aspro per me. Perciò lo debbo amare
anche di più. In questi mesi, del resto, mi ha procurato le più grandi
consolazioni. Finché mi trattengo qui ad Istanbul, non vorrei mai partire per
quel paese oggi diventato « locus tormentorum » (Lc 16,28). Quando ci
sono, mi trovo come un pesce nella sua acqua. Il pensiero che ivi mgr
Giacomo Testa lavora e fa bene, mi è di grande conforto, ma poco toglie
alle mie responsabilità finché la Santa Sede intende lasciarmele.

809. 7. 1 due grandi malanni, che attossicano oggi il mondo, sono il


laicismo e il nazionalismo. Il primo è caratteristico degli uomini di governo
e dei laici. Al secondo rendono servizio anche gli ecclesiastici. Ho la
convinzione che gli italiani, specialmente i sacerdoti secolari, ne siano meno
contaminati. Ma io debbo essere molto vigilante, e come vescovo e come
rappresentante della Santa Sede. Una cosa è l'amore dell'Italia, che sento
fervoroso nel cuore, ed altra cosa è l'affermazione di esso in pubblico. La
santa Chiesa, che io rappresento, è la madre delle nazioni, di tutte le na-
zioni. Tutte le persone, con le quali io vengo a contatto, debbono ammirare
nel rappresentante pontificio quel senso di rispetto alla nazionalità di
ciascuno, abbellito da buona grazia e da mitezza di giudizio, che concilia la
fiducia universale. Molta prudenza, dunque, silenzio rispettoso, e garbo in
ogni circostanza. Sarà bene che insista perché questa linea di condotta
venga seguita da quanti mi circondano, in casa e fuori. Siam tutti ammalati,
più o meno, di nazionalismo. Il delegato apostolico deve essere e mostrarsi
indenne dal contagio.
« Sic Deus me adiuvet ».

810. 8. Attraversiamo tempi di grandi avvenimenti, e davanti a noi sta il


caos. Tanto più occorre richiamarci ai principi base dell'ordine sociale
cristiano, e giudicare di quanto avviene secondo l'insegnamento evangelico,
riconoscendo, nel terrore e nell'orrore che ci avvolgono, le terribili sanzioni
che la legge divina riceve anche sulla terra. Il vescovo deve essere distinto
nella visione e nella volgarizzazione, in debiti modi, di questa filosofia della
storia, anche della storia che ora aggiunge pagine di sangue a pagine di
disordini politici e sociali. Voglio rileggere il De civitate Dei di sant'Agostino,
e farmi, di quella dottrina, succo e sangue per giudicare tutto solo, e in
faccia a chi si accosta al mio ministero, con sapienza che illumina e che
conforta.

811. 9. Il buon padre Renato Folet, che predica gli Esercizi con senso attinto
alle Sacre Scritture, per una volta è uscito da quelle pagine per presentare
un quadro del vescovo perfetto, con parole di sant'Isidoro di Siviglia dette
in onore di san Fulgenzio (Liber II Officiorum, cap. 5). Le riproduco a mio
ammonimento ed a ricordo di questo felice ritrovo spirituale. Fosse la mia
vita la riproduzione di quella dottrina! « Qui in erudiendis atque
instituendis ad salutem populis praeerit, necesse est ut in omnibus sanctus
sit, et in nullo reprehensibilis habeatur...
Hujus sermo debet esse purus, simplex, apertus, plenus gravitatis et
honestatis, plenus suavitatis et gratiae, tractans de mysterio legis, de
doctrina fidei, de virtute continentiae, de disciplina justitiae;
unumquemque admonens, diversa exortatione, iuxta professionem
morumque qualitatem; scilicet ut praenoscat quid, cui, quando, vel
quomodo proferat. Cujus prae caeteris speciale officium est, Scripturas
legere, percurrere canones, exempla sanctorum imitari; vigiliis, jejuniis,
orationibus incumbere, cum fratribus pacem habere, nec quemquam de
membris suis discerpere; nullum dannare, nisi comprobatum; nullum
excommunicare, nisi discussum. Quisque ita humilitate pariter et
auctoritate praeesse debet, ut neque per nimiam humilitatem suam
subditorum vitia convalescere faciat, neque per immoderantiam
severitatis potestatem exerceat: sed tanto cautius erga commissos sibi
agat, quanto durius a Christo indagari formidat.
Tenebit quoque illam supereminentem donis omnibus charitatem, sine
qua omnis virtus nihil est. Custos enim sanctitatis charitas: locus autem
hujus custodis humilitas. Habebit etiam inter haec omnia et castitatis
eminentiam; ita ut mens Christi dedita, ab omni inquinamento carnis sit
munda et libera. Inter haec oportebit eam
sollicita dispensatione curam pauperum gerere, esurientes pascere,
vestire nudos, suscipere peregrinos, captivos redimere, viduas ac pupillos
tueri, pervigilem in cunctis exhibere curam, providentiam habere,
distributione discreta. In quo etiam hospitalitas ita erit praecipua, ut
omnes cum benignitate et charitate suscipiat. Si enim omnes fideles illud
evangelicum audire desiderant: hospes fui et suscepistis me, quanto
magis episcopus, cuius diversorium cunctorum debet esse receptaculum!
».

1943-1944
NOTA (DEL 1944)

812. L'anno 1943 fu pieno di incertezza quanto agli Esercizi. Questi furono
fissati e preparati per la fine del 1944.
Li doveva predicare il p. Levecque dei Lazzaristi. Proprio in quei giorni
precedenti il Natale, arrivò l'obbedienza per Parigi.

Il 6 dicembre 1944 ricevette comunicazione riservata della sua


nomina a nunzio apostolico in Francia. Il 20 arrivò l'agrément del
governo francese e il 23 si congedò da Istanbul. Trascorse il Natale
ad Ankara. Nella « notte fra S. Stefano e S. Giovanni Evangelista
», con carta intestata
« Angelus Joseph Roncalli, Praelatus domesticus Suae Sanctitatis,
Dei et Apostolicae Sedis gratia Archiepiscopus titularis
Mesembriae Administrator apostolicus Constantinopolitanus et in
Turcorum atque Graecorum Dicionibus Apostolicus Delegatus »,
compilò un rapporto di cinque pagine dattiloscritte per l'incaricato
d'affari mons. Paolo Pappalardo. Ne diamo un saggio:
« Mio caro mons. Pappalardo. Le circostanze hanno voluto che noi
non ci potessimo incontrare, giusto quando il nostro incontro era
più necessario. Ma l'obbedienza pura e semplice porta con sé
disappunto e disagi. Bisogna subirli con calma e pazienza.
Nell'attesa dell'aereo, che mi trasporterà verso la mia nuova
improvvisa destinazione, le scrivo alcune poche cose, alla
semplice, riservandomi di dirle di più, quando potrò meglio
respirare. Innanzitutto sia benedetta la sua venuta ad " Istanbul;
io l’ho annunciata e preparata. Non avrei potuto desiderare un
collaboratore, ed ora, in qualche modo, un successore nel mio
modesto lavoro, più gradito e più stimate di lei. Sia dunque
benedetto, caro monsignore, e porti benedizione.
Partendo ho lasciato le mie incombenze e facoltà di
Amministratore, come malamente si continua a dire, del Vicariato
apostolico di Istanbul, a mons. Collaro, coadiuvato dal cancelliere
mons. Guillois, due ottime persone degnissime di ogni fiducia. Di
ciò informerò la S. Congregazione Orientale. Sarà bene che ella
coadiuvi di consiglio queste due persone, ma senza lasciare
l'impressione di volersi loro sostituire. Questo quanto al Vicariato.
La Delegazione, invece, è tutta sulle spalle di lei; così come i
rapporti di questa col Vicariato e con mons. Varouhas e col buon
Don Nikoloff dei Bulgari. Queste spese fatte da me per i poveri e
per le due residenze [Istanbul e Prinkipo] in parte si possono
rilevare dai registri, in parte restano il segreto del mio spirito e
forse anche il segreto parziale di quel po' di buona . fama di
generosità creatasi a favore del mio povero nome. Certo è che
partendo,
dopo dieci anni, io mi sento lietamente così povero come quando
entrai [...]. I sacerdoti tutti, secolari e regolari, le suore di varia
nazionalità e istituzione sono la consolazione più cara del Pastore.
Con un po' di garbo si ottiene da loro tutto. Io seguii il criterio di
rispettarli molto, di non mettere troppo il naso nelle loro marrnitte,
di chiedere con grazia per riuscire a tutto [...]. Specialmente degni
di compassione i cattolici pochi e poveri di Mardin e di Diarbekir
[...]. Con affetto fraterno raccomando mons. Varouhas e l'opera
sua. Egli ha veramente un'anima di élite: non trovo parole per dire
tutta la lode e l'affezione che si merita. Egualmente raccomando
tanto il buon e martoriato Don Nikoloff dei Bulgari. Il suo è un
olocausto che brucia continuamente per il bene e la santificazione
sua e di tutta la chiesa di Istanbul. E poi tutti insieme raccomando
i poveri di Gesù Cristo. Sono spesso noiosi ed indiscreti: occorre
occhio aperto, ma anche cuore aperto. Il Signore credo benedica
l'azione del Vescovo e la arricchisca a misura che si dona ai poveri
[...]. Soprattutto non dimentichiamo, mio caro Pappalardo, che la
pazienza è quanto occorre ed è necessaria per riportare successi
in ogni tempo. Se sente dire di me qualche poco di bene, lodi con
me il Signore che ha fatto tutto. Se sente qualche critica, preghi
per me perché il Signore mi perdoni là dove la critica è giusta, e
perdoni chi la fa, se fosse ingiusta. Alla Delegazione apostolica di
Istanbul c'è modo di esercitare tutte le quattordici opere della
misericordia. Beati misericordes, mio caro don Paolo. Io la
incoraggio come fratello maggiore, l'abbraccio e la benedico. Le
sarò grato se vorrà farmi avere una copia a macchina di questa
lettera così affrettata e mandarmela a Parigi. E preghi sempre per
me che, grazie a Dio, non avendo cercato né immaginato quello
che mi è accaduto, godo grande pace nel cuore e serena fiducia nel
Signore [...].
Aff. Angelo Gius. Roncalli arcivescovo di Mesembria, per l'ultimo
istante Delegato e Vicario apostolico di Istanbul ».

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