725. Nostri doveri in faccia alla verità del mistero Eucaristico: credere,
adorare, mangiare. Sviluppi dei singoli punti: specialmente la
partecipazione alla S. Messa: e poi la Comunione sacramentale e
spirituale.
I frutti del panis vitae secondo la dottrina di san Tommaso: sustentat,
auget, reparat, delectat .
Sviluppi di questi punti (episodio di Elia fuggente e del panis cinericius
[1Re 19,1-8] ). Applicazione alla S. Quaresima a cui va bene dare un tono
Eucaristico. Patto di comunione, preghiere fra padre e figli, fra pastore e
pecorelle, ecc.
726. Esercizi così per dire. Li ho fatti qui, alla Delegazione Apostolica, in
compagnia dei miei cari sacerdoti della cattedrale. Li ha predicati, bene al
solito, il p. Paolo Spigre, superiore dei gesuiti.
S'è fatto quanto si è potuto; ma così non mi sono riusciti di piena
soddisfazione. Bisogna uscire dall'ambiente e dagli affari. Curare questi,
restando in casa, e insieme attendere alla propria anima, non è possibile.
Ciò servirà per un altro anno. Per questo, non ho che a rinnovare i propositi
degli scorsi anni. Dalla fine di agosto dell 1934 ad ora, quante mutazioni
impreviste intorno a me! Sono in Turchia. Che cosa mi manca qui di oc-
casione e di grazia per farmii santo?
727. Il Santo Padre, mandandomi qui, ha voluto sottolineare davanti al
card. Sincero l'impressione avuta dal mio silenzio, tenuto per dieci anni,
circa il mio restare in Bulgaria, senza lamentarmi mai, od esprimere
desiderio di altro. Ciò rispose ad un proposito, e sono contento di esservi
rimasto fedele.
Qui, quanto lavoro! Benedico Iddio che mi riempie delle consolazioni del
sacro ministero. Debbo insistere però nel dare ancora più calma e più
ordine a tutte le cose mie.
Anche la prova dell'abito civile fu ben superata da tutto il mio clero. Io
però devo sempre precedere coll'esempio, diffondendo gravità ed
edificazione. Il Cuore di Gesù mi infiammi, e mi mantenga e accresca in
me il suo spirito. Amen.
1936
RANICA (BERGAMO)
VILLA DELLE FIGLIE DEL SACRO CUORE
13-16 OTTOBRE 1936
728. Breve ritiro, pieno di pace e di silenzio, in questa magnifica villa che
serve di noviziato al caro istituto di mgr Benaglio e della ven. Verzeri.
Ho potuto, con la grazia del Signore, rendermi conto della situazione del
mio spirito. Dalla perfezione corrispondente agli obblighi miei ed alle grazie
che il Signore continua a darmi, oh, quanto son lontano ancora! Ma il
desiderio l'ho sempre vivo e ardente.
In questi giorni mi guida nel ben meditare il p. Bellecio nel suo Triduum
sacrum. Riconosco di essermi ormai fatta l'abitudine dell'unione costante
con Dio, « cogitatione„ verbo et opere », e del tenermi innanzi il binomio:
« adveniat regnum tuum, fiat voluntas tua » (Mt 6,10), e di tutto vedere
in funzione di coordinamento verso questi due ideali. Ma le mie azioni
quotidiane, gli, esercizi di pietà, quanto sono difettosi! Ebbene, tutto voglio
rinnovare.
Del mio nuovo ministero in Turchia, pur fra molte difficoltà, sono contento.
Mi occorre sistemare meglio le mie giornate e anche le mie notti. Non
coricarmi mai prima di mezzanotte, non è buona cosa. Soprattutto
bisognoso di riforma è il tempo che segue alla cena. La radio fa perdere
troppo tempo e sconcerta ogni cosa.
729. Regola costante: alle diciannove rosario per tutti, in cappella. Poi,
cena e ricreazione: tre quarti d'ora bastano per le due cose. Seguirà la
recita del mattutino, poi il giornale radio, eventualmente qualche buona
audizione musicale, se c'è. Poi ognuno si ritira: il segretario in camera
sua, io ad un po' di lavoro. Alle undici devo coricarmi. Ogni mattina, un
pensiero che dia direzione e programma a tutta la giornata. Meditazione
non omessa mai: breve se non si può di più, ma vivace, agile e calma. Poi
devo evitare le lunghe udienze. Molta amabilità con tutti, come se non
avessi ad occuparmi che di ciascuno, ma parola sciolta e breve.
La mia salute mi impone un regime quanto ai cibi. Anche a mezzogiorno
mangerò meno, come già poco mangio la sera. Sarà bene che io esca tutti
i giorni al passeggio. Signore mio, ciò mi pesa e mi pare tempo perduto.
Ma è pur necessario, se tutti insistono perché lo faccia. Lo farò, offrendo
al Signore il sacrificio che mi porta.
1937
RITIRO SPIRITUALE
COL MIO CLERO SECOLARE
A ISTANBUL IN DELEGAZIONE
12-18 DICEMBRE 1937
731. 1. Caro ritrovo, come in famiglia, per i problemi più gravi e più sacri.
Avverto però ciò che notavo alla fine del 1935: questo restare nello stesso
ambiente ordinario di tutti i giorni, e per i preti questo uscire e rientrare,
toglie molto alla efficacia del ritiro.
Non si poteva però fare di meglio. La casa dei gesuiti è particolarmente
sorvegliata in questi giorni, dunque pericoloso il restar là dentro come
ospiti. Pazienza.
2. Nella revisione del mio organismo spirituale, tutta propria di questi
giorni, avverto che, per grazia del Signore, tutte le parti sono ancora in
regola: però, quanta polvere, quanto logorio dei singoli pezzi; ecco la
ruggine, qua e là; altrove, o le viti o le molle che non funzionano, o
funzionano male. Bisogna dunque rinnovare, ripulire e... vivificare.
La santa confessione di un anno, che ho fatto a p. Spigre che predica il
ritiro, mi lascia in pace. Ma il Signore è pure contento dei fatti miei? Tremo
a pensarci. Solo mi dà coraggio la fiducia, l'abbandono in lui.
1939
ESERCIZI SPIRITUALI 12-18
NOVEMBRE 1939, ISTANBUL, PRESSO I GESUITI
DI AYAS-PASA, « SACRO CUORE »
Pensieri e propositi
735. 1. Finalmente gli Esercizi che desideravo: chiusi, senza contatto col
mondo esterno, e fatti con metodo. Ho invitato a venir con me i miei
confratelli, vescovi e preti, non religiosi: ci sono tutti e di ogni rito.
Parecchi però la sera tornano a casa per la messa del domani. Ciò è meno
bene, ma è necessario. Io godo di restare solo per tutta la settimana. E
benedico il Signore.
2. Il p. Elia Chàd, superiore dei gesuiti, ci dà i punti secondo il metodo di sant'Ignazio, e fa bene. Però anche lui
deve dare più che i punti: invece di un quarto d'ora ne occupa una mezza. Poi si dovrebbe proseguire la meditazione
in camera. Io mi aiuto leggendo, nella traduzione latina annotata dal p. Roothaan, il testo ignaziano.
Constato però che, anche per noi preti e vescovi questo dare a spizzico,
per essere fedeli al metodo, e lasciare il resto allo spirito di ciascuno, non
è pratico. Siamo tutti un po' bambini bisognosi di essere guidati dalla voce
viva di chi ci presenta la dottrina bella e preparata. Dunque, metodo di
sant'Ignazio, ma adattato alle forme moderne di vita. Oh, i nostri bravi
preti bergamaschi che ci predicavano gli Esercizi in seminario! Ed erano
ben fedeli allo spirito e, secondo le circostanze, al metodo di sant'Ignazio!
739. 6. Il giorno dei morti il mio caro segretario, mgr Giacomo Testa, mi
ha lasciato definitivamente « ad currendam viam suam » (Sal 19,6) . Era
un buon figliolo che stava con me da due anni e che amavo nel Signore. «
Fiat » (Lc 1,38).
Al suo posto eccone un altro, giovane, mgr Vittore Ugo Righi. I superiori
me lo hanno inviato perché io lo aiuti nella sua formazione al servizio della
Santa Sede. Mi pare docile e buono; farò del mio meglio. Insieme vorrei
alleggerire il mio peso della corrispondenza ufficiale, mettendolo in parte
sopra di lui. Ecco un mezzo per stabilire la proporzione fra il da fare e il
fatto. «Sic Deus me adiuvet ».
743. 10. Dalla finestra della mia camera, qui presso i Padri Gesuiti,
osservo tutte le sere un assembrarsi di barche sul Bosforo; spuntano a
decine, a centinaia, dal Corno d'oro; si radunano a un posto convenuto,
e poi si accendono, alcune più vivacemente, altre meno, formando una
fantasmagoria di colori e di luci impressionante. Credevo che fosse una
festa sul mare per il Bairam che cade in questi giorni. Invece è là pesca
organizzata delle palamite, grossi pesci che si dice vengano da punti
lontani del Mar Nero. Queste luci durano tutta la notte, e si sentono le
voci gioiose dei pescatori.
Lo spettacolo mi commuove. L'altra notte verso l'una pioveva a dirotto,
ma i pescatori erano là, impavidi alla loro rude fatica. Oh, che confusione
per me, per noi preti, « piscatores hominum » (Mt 4,19), davanti a questo
esempio! Passando dalla figura al figurato, oh, quale visione di lavoro, di
zelo, di apostolato proposto alla nostra attività! Del regno del Signore
Gesù Cristo resta qui ben poca cosa. Reliquie e semi. Ma quante anime
da conquistare a Cristo, vaganti in questo mare dell'islamismo,
dell'ebraismo, della ortodossia! Imitare i pescatori del Bosforo, lavorare
giorno e notte colle fiaccole accese, ciascuno sulla sua piccola barca,
all'ordine dei capi spirituali: ecco il nostro grave e sacro dovere.
746. Ieri il Santo Padre Pio XII invitò tutto il mondo ad unirsi a lui per
cantare, gemendo, le litanie dei santi, e il Miserere. E tutti ci unimmo a lui
ed alla sua preghiera, dall'Occidente e dall'Oriente.
Ritiratomi qui tutto solo in Esercizi spirituali - come lo stesso Santo Padre
fa in questi giorni in Vaticano - ed iniziando così il sessantesimo anno della
mia povera vita (1881 - 25 novembre - 1940), nulla credo più utile per
me, anche come contributo al bene di tutti, che ritornare sul salmo della
penitenza (Sal 51,3-21), distribuendone i versetti - che sono venti -
quattro per ciascun giorno, e rendendoli oggetto di considerazione pia.
Seguo da lontano l'esposizione del Miserere del p. Segneri, ma con molta
libertà di ispirazione e di applicazioni. Sommamente utile ad intendere i
sensi profondi del salmo, è il tenermi viva l'immagine del reale Profeta e
le circostanze del suo pentimento e del suo dolore. È un re che è caduto:
è un re che si risolleva.
748. La legge della vita per le anime e per i popoli determina la giustizia
e l'equilibrio universale, i limiti nell'uso delle ricchezze, dei godimenti, della
potenza mondana. A misura che questa legge è violata, si applicano
automaticamente le sanzioni che sono terribili ed inesorabili. Nessuno
stato vi sfugge. A ciascuno la sua ora. La guerra è una delle più tremende
sanzioni. Essa è voluta non da Dio, ma dagli uomini, dalle nazioni, dagli
stati per mezzo di chi li rappresenta. 1 terremoti, le inondazioni, le
carestie, le pestilenze sono applicazioni di cieche leggi della natura:
cieche, perché la natura materiale non ha intelligenza né libertà. La guerra
è voluta invece dagli uomini, ad occhi aperti, a dispetto di tutte le leggi
più sacre. Per questo è tanto più grave. Chi la determina, chi la fomenta
è sempre il « princeps huius mundi » (Gv 12,31) che nulla ha a vedere
con Cristo, il « principe della pace » (Is 5,6).
E mentre la guerra si disfrena, non resta per i popoli altro che il Miserere
e l'abbandono alla misericordia del Signore, affinché prenda il sopravvento
sulla giustizia, e con una grazia sovrabbondante faccia rinsavire i potenti
del secolo e li riconduca a propositi di pace.
749. 2. II pianto dell'anima mia. Ciò che avviene nel mondo in grande, si
riproduce in piccolo nell'anima di ciascuno, si riproduce in me. Fu grazia
del Signore il non essere stato consunto dalla 1940 malizia. Ci sono certi
peccati che si direbbero tipici: questo di Davide, quello di san Pietro, di
sant'Agostino. Ma dove sarei arrivato io stesso, se la mano del Signore
non mi avesse trattenuto? Per piccole mancanze, i santi più squisiti fecero
penitenze lunghe ed asprissime. Tanti, anche moderni, non vissero che di
penitenze; e vi sono anime la cui vita, anche oggi, è espiazione dei peccati
propri, dei peccati del mondo. Ed io, in ogni età, più o meno, sempre
peccatore, non dovrei piangere sempre? « Non vi chiedevo una lode che
mi fa tremare: quel poco che so di me stesso basta per confondermi ». La
famosa risposta del card. Federico è pur sempre eloquente e commovente.
757. Per Davide ci volle la voce del Profeta: « Tu es ille vir » (2Sam 12,7)
l4, a scuotersi. Ma poi ecco la presenza del peccato, continua innanzi a lui,
continua ed ammonitrice. « Peccatum meum contra me est semper ».
Osserva bene il Segneri che non è il caso di tener presenti i contorni dei
singoli peccati, ciò non essendo né utile né edificante; ma sta bene il
tenerci presente il ricordo delle debolezze passate, ad ammonimento, a
santo timore, a zelo per le anime. Nella liturgia, come ricorre frequente il
pensiero dei peccati e dei peccatori! Nella liturgia orientale più ancora che
nella latina; ma in ambedue in forma ben espressiva. « Peccatum meum
contra me est semper ». « Contra », cioè « coram me ». Come i peccati
degli uomini stavano innanzi a Gesù agonizzante nel Getsemani; come
innanzi a Pietro, nel fastigio del suo magistero, a Paolo, nella gloria del
suo apostolato, ad Agostino, nel fulgore della scienza universale della
santità episcopale.
Guai agli infelici che invece di tenere il peccato innanzi agli occhi, lo
tengono dietro le spalle! Non potranno giammai ripararsi né dai mali
passati né dai futuri.
759. Altro pensiero. « Malum coram te feci ». Il peccato, anche quel che
va contro il prossimo e contro se stesso, offende direttamente Iddio nella
sua legge santa. Ma acquista di gravità perché compiuto sotto gli occhi di
Dio. Iddio mi vede: questo motto che disegnavano le nostre povere nonne
di campagna, a rozzo esercizio di rustica arte di ricamo, si conserva ancora
sulle vecchie pareti delle nostre case; e contiene un grande ammonimento
che serve a dar tono di rispetto a tutti gli atti della nostra vita. Che profonda
dottrina è questa della omnipresenza di Dio, del suo occhio che ci persegue
anche nelle latebre più nascoste delle nostre intimità! Ci sarebbe da formare
tutto un trattato di ascetica. È qui che si fonda la bellezza più pura delle
anime sante, terse come il cristallo, sincere come l'acqua pura, senza
infingimenti né con gli altri né con sé - poiché questo accade, che talora si
manchi di sincerità anche con se stessi, il che è il colmo della incoscienza -
a costo di parere dappoco. « Deridetur justi simplicitas » ". Che pagina
questa di san Gregorio Magno!
761. La conoscenza che noi abbiamo della fralezza umana deve essere a
noi, medici delle anime, motivo a compatire, a sollevare, ad incoraggiare
altrui; ma non a scusare noi stessi.
Grande nostra responsabilità circa il conservare la grazia, che è sempre lì
ad infrenare la natura. Nella povera natura si annidano le inclinazioni
perverse di ambizione, di alterigia, di gola, di impazienza, di invidia, di
avarizia, di accidia, di impudicizia. Esse sono dentro di noi - la figura è del
Segneri - come in un vasto serraglio di fiere: orsi, lupi, tigri, leoni, pardi.
Non nuocciono finché la cataratta sta su e le trattiene. Direbbesi che
neppure esistono. La grazia le rinserra e tiene dome. Ma se questa cessa,
oh, come le fiere, seguendo il loro istinto innato, andranno a sfogarsi! «
Salvator ponetur in ea murus et antemurale » (Is 26,1). Se la grazia
esteriore e la grazia interiore, « murus et antemurale », cadono, oh, che
scempio per un povero cristiano, per un povero sacerdote!
« In iniquitatibus conceptus sum, in peccatis concepit me mater mea »:
non la nostra buona madre immediata secondo la natura, ma l'antica madre
peccatrice.
763. L'amore della verità. La Chiesa, nel giorno della mia consacrazione
episcopale 27, me ne ha fatto un precetto particolare: « humilitatem ac
veritatem diligat, neque eam umquam deserat, aut laudibus aut timore
superatus. Non ponat lucem tenebras, nec tenebras lucem; non dicat
malum bonum, nec bonum malum. Sit sapientibus et insipientibus debitor,
ut fructum de profectu omnium consequatur » . Ringrazio il Signore che mi
abbia concessa una particolare disposizione a dir sempre la verità, in ogni
circostanza, innanzi a tutti, con buona maniera e con garbo, certamente,
ma
con calma e senza paura. Alcune piccole bugiole della mia infanzia mi
hanno lasciato nel cuore un orrore per la doppiezza e per la menzogna.
Ora specialmente che invecchio, voglio essere innanzitutto uomo serio per
questo: « veritatem diligere. Sic Deus me adiuvet ». L'ho ripetuto tante
volte, giurando sul Vangelo.
Le manifestazioni delle cose incerte ed occulte della sapienza divina
vengono da sé. L'amore della verità è una infanzia perenne, fresca,
deliziosa. Ed i misteri più alti il Signore li rivela ai fanciulli, e li tiene
nascosti agli intelligenti ed ai così detti sapienti del secolo (Mt 11,25-26).
767. Il mistero della letizia spirituale, che è una caratteristica delle anime
sante, si pone in tutta la sua bellezza e nel suo fascino. Il Signore ci lascia
nella incertezza circa la nostra eterna salute, ma ci fornisce dei
contrassegni che bastano alla nostra calma interiore, e che fanno fiorire la
letizia.
«Ipse Spiritus reddit testimonium spiritui nostro, quod sumus filii Dei »
(Rom 8,16). Scusate se è poco: sentirci figli di Dio! Questa sicurezza, che
spesso è nel cuore senza che noi sappiamo rendercene conto, è la sorgente
inesausta della nostra gioia, è la base più solida della vera devozione. La
vera devozione consiste nel volere tutto quello che è servizio pieno ed
amoroso del Signore. Volerlo con efficacia e con prontezza: questo è il
sostanziale. Volerlo con godimento, cioè con tenerezza d'affetto, con
dolcezza, con diletto, con allegrezza: questo è accidentale e secondario,
ma pure importante. Il sentimento della bontà del Signore per noi, e delle
nostre miserie, forma un intreccio di allegrezza e insieme di tristezza. Ma
la tristezza si raddolcisce anch'essa: diventa stimolo all'apostolato per
l'ideale, il più nobile, di far conoscere, amare, servire Gesù Cristo; e di
togliere i peccati del mondo (Gv 1,29).
772. Gran Dio, che prodigio! Presa la nuova direzione, quelle volontà non
fecero una piega, né una grinza. Nell'ora estrema, risuonavano ancora
come aureo metallo.
Lo spirito retto, cioè la penetrazione della intelligenza su ciò che è più
importante a ritenersi e a farsi, questo basta a rinnovarlo. Si tratta di una
visione più giusta dei principii inspiratori della propria condotta, di una
conoscenza più adeguata di ciò che praticamente deve farsi da ciascuno.
Tale riforma deve essere innanzitutto interna e profonda - « in visceribus
» - perché possa poi esprimersi di fuori nelle varie manifestazioni della
vita: riforma nel parlare, nel vedere, nell'udire, nello scrivere; un'arte
nuova della vita che risponde ad una nuova concezione della medesima.
774. Altro punto: la presenza dello Spirito Santo nell'anima fedele. Qui, a
corto di libri e di commentari, non posso controllare se, con questo Spirito
Santo del Signore, debba essere precisamente intesa la terza Persona
della Ss. Trinità. Mi pare ovvio però il ritenerlo. L'azione della grazia in
un'anima è nelle parole: « ad eum veniemus et mansionem apud eum
faciemus » (Gv 14,23) Si tratta delle tre divine Persone. Ciascuna prende
il suo posto con le proprietà personali caratteristiche. Lo Spirito Santo è
Signore e vivificante. A lui la santificazione dell'anima. Il cristiano non è
tempio vivo dello Spirito Santo (1Cor 6,19)? e quale ricchezza di frutti per
l'anima, da questo soggiorno dello Spirito del Signore in lei! San Paolo li
enumera. Sono ventiquattro. Cominciano con la pace e col gaudio (Gal
5,22).
784. Con quanto slancio, e con quanta libertà maggiore, la lingua del
prete e del vescovo, sciolto così da impacci terreni, potrà annunciare, a
tutti, i precetti del Signore, lodare esultando la sua giustizia, la sua
misericordia, la sua pace, in nome del Padre, che è « Deus virtutum », del
Figlio, che è « Deus salutis », dello Spirito Santo, che è « Deus pacis »!
Oh, come nel godimento di questa, santa libertà diviene più lieto il
ministero sacro delle anime! « Cantabiles mihi erunt justificationes tuae in
loco peregrinationis meae » (Sal 119,54). « Venite exultemus Domino,
jubilemus Deo salutari nostro » (Sal 95,1).
788. Quando si pensa che queste parole sono ripetute ogni mattutino, in
nome della santa Chiesa, che prega per se stessa e per tutto il mondo,
dalle migliaia e centinaia di migliaia di bocche dischiuse al tocco della
grazia invocata, la visione si allarga, e, accendendosi, si completa. Ecco
che la Chiesa si annuncia, non come un monumento storico del passato,
ma come una istituzione vivente. Non è la santa Chiesa come un palazzo
che si fondi in capo ad un anno. È una città vastissima che ha da occupare
l'intero universo: « Fundatur exultatione universae terrae mons Sion,
latera Aquilonis civitas Regis magni » (Sal 48,3) 56. La fondazione è
cominciata da venti secoli, ma essa continua, e si allarga per tutte le terre
fino a che il nome di Cristo sia dappertutto adorato. A misura che continua,
ecco che le nuove genti, all'annunzio, esultano di gioia: « Audientes gentes
gavisae sunt » (At 13,48) . Ed è bello anche il pensiero conclusivo del pio
e audace commentatore, edificante per ogni sacerdote che recita il
breviario: conviene che ciascuno attenda a fondare questa Chiesa santa.
793. Nel mio ritiro di Roustchouk del maggio 1930, fui tutto occupato di
questa dottrina che, del resto, mi apparve con sorprendente evidenza
quando mi prostrai innanzi all'altare di san Carlo a Roma nel rito della mia
consacrazione episcopale, e mi sollevai da quella cerimonia portando più
viva l'impronta, almeno virtuale, della rassomiglianza con Cristo crocifisso.
« Fac me cruce inebriari ». Oh, io debbo ripetere spesso questa
invocazione! Finora, troppo poco soffersi. Una certa felicità di
temperamento, che è un grande dono del Signore, mi ha tenuto al di fuori
di certe afflizioni che accompagnano spiriti intrepidi e generosi, che si lan-
ciano come fiamme vive nelle opere dello zelo pastorale. Ma è ben naturale
che, avanti il terminare della mia povera vita, il Signore mi visiti con
tribolazioni particolarmente affliggenti. Ecco, sono pronto: purché il
Signore, che me le invia, mi conceda anche la forza di sostenerle con
calma, con dignità, con dolcezza. Leggo nella vita dell'ultima maestra delle
novizie di queste suore di Sion, di cui sono ospite felice - madre Maria
Alfonsa - che lo spirito di questo Istituto consiste in « abnégation souriante
» . Oh, questa è la parola che fa per me! Voglio essere sempre vigilante al
sacrificio interiore, sopportato con umiltà, con spirito di penitenza, con
cuore contrito - « cor contritum quasi cinis » 67 - come è detto di tutti i
personaggi più insigni del Testamento Antico, come si legge dei santi più
popolari del Testamento Nuovo.
794. Basti ricordare san Francesco d'Assisi, la cui preghiera era sempre
la stessa: « O Gesù, abbi pietà di me peccatore ». A formarmi a questo
spirito contribolato, contribuirà grandemente la celebrazione accurata e
fervorosa della santa messa che mi introduce nel Getsemani, nel santuario
più intimo dei dolori di Gesù, e la successione di tante punture quotidiane,
in cui debbo sforzarmi di trovare il perfetto accordo fra la condiscendenza,
la pazienza, la rassegnazione e la giustizia, la dignità, la pace.
795. XIX VERSETTO: « Benigne fac, Domine, in bona voluntate tua, Sion:
ut aedificentur muri Jerusalem » (Sal 51,20).
Qui l'esegesi biblica ha modo di esercitarsi magnificamente nella ricerca
dei tre sensi: letterale, allegorico o mistico, e anagogico. Il reale profeta,
sollevato dalla sua colpa, pronto al sacrificio, guarda al nuovo avvenire e
lo auspica di glorificazione per il suo Dio misericordioso. La benignità che
invoca per la sua casa, posta sul Sion, e che gli permetterà di ricostruire
le mura della città regia, adombra la venuta del Cristo Salvatore: «
Apparuit benignitas et humanitas Salvatoris nostri Dei » (Tt 3,4), come
dice san Paolo. Il Sion raccoglierà la successione dei re di Giuda, passata
a Costantino e, meglio, alla più sicura e indefettibile monarchia religiosa
pontificale. Gerusalemme è la Chiesa santa che estende i suoi padiglioni
in tutte le parti del mondo, ha mura salde e fortissime, talora battute in
breccia qua e là, ma ricostituite e munitissime più che mai. Dalla mistica
Gerusalemme, o Chiesa militante, lo sguardo si solleva alla Gerusalemme
celeste, o Chiesa trionfante, che ci attende nella consumazione finale. Le
ultime note del Miserere di Davide danno il tono all'Apocalisse di san
Giovanni che, dopo la descrizione della « beata pacis visio », termina col
« Veni, Domine Jesu » (Ap 22,20) .
796. Anche la mia povera anima resta rapita e intenerita fra questi fulgori,
e ne prende incoraggiamento a cooperare del suo meglio alla affermazione
dello spirito di Gesù dal Sion, ed alla estensione, alla ricostruzione delle
mura di Gerusalemme, nel servizio della santa Chiesa, così come la
Provvidenza l'ha disposto per me, ultimo dei vescovi e dei
rappresentanti della Santa Sede, e pur desioso di non far disonore alla
mia vocazione.
Questi che ora mi restano della mia vita, dovrebbero essere gli anni
migliori di cooperazione seria, efficace, degna, al grande lavoro che la
Chiesa cattolica persegue, dalle alture santificate di Sion agli spalti di
Gerusalemme. Gesù accolga almeno il buon proposito e lo benedica
benignamente, « in bona voluntate sua » (Sal 51,13).
804. 1. L'anno scorso non potei fare Esercizi, occupato come fui in Grecia,
nell'esercizio delle opere della misericordia, in nome del Santo Padre.
Quest'anno mi sarei ritirato volentieri ancora presso i Padri Gesuiti, come
nel 1939. Ma le ragioni che sconsigliano movimento di persone intorno a
quella casa perdurano, e rendono gli stessi padri incerti e timorosi. Perciò
decisi di accontentarmi degli Esercizi in casa come nel 1935 e nel '37.
A questi invitai anche gli ecc.mi Kiredjian, arciv. degli armeni, e Varuhas,
ordinario dei greci di rito bizantino. Questi vi condusse i suoi tre
ecclesiastici: padri Basilio e Policarpo e diac. Haralampos. Si aggiunsero i
capi dei tre riti: Chami dei melkiti, Fakir dei siriani, Nikoloff dei bulgari. I
vescovi e questi tre capi-rito si trattengono alla delegazione anche per il
pranzo. In tutto, esercitandi quindici: un bel numero. Predica con successo
e con sostanza viva di dottrina scritturale il p. Folet, gesuita francese s.
Silenzio in casa e prontezza agli orari; un complesso di buone disposizioni
da parte di ciascuno e di tutti, che dà piacere allo spirito e mutua
edificazione.
805. 2. Nella festa dei santi Simone e Giuda mi sono confessato da p. Folet,
dopo di aver celebrata la santa messa, e di avere assistito a quella del
padre, in preparazione al sacramento della purificazione. Estesi il mio
esame e l'accusa ai due anni intercorsi dal dicembre 1940 ad ora.
Penitenza: recita del Miserere e del Magnificat. Eh, ma io debbo abituarmi
a ben altre penitenze, se voglio entrare in cielo con agio e con onore! Che
il Signore me ne dia sempre più lo spirito. Si avvicina il tempo della più
grande penitenza per il mondo intero. È giusto che vescovi e sacerdoti
vadano innanzi. Come san Carlo Borromeo e il card. Federico, nei giorni di
calamità: andavano in processione, a piedi nudi, corda al collo, cilicio ai
fianchi, e portando la reliquia della santa croce.
807. 4. 1 punti massimi della vita spirituale sono saldi, grazie a Dio.
Distacco assoluto dal mio nulla: dirmi, come gli ambrosiani nella messa: «
minimus et peccator », è ciò che mi conviene; abbandono completo nella
volontà del Signore; desiderio di vivere non per altro che per fare un po' di
apostolato e di buon servizio della santa Chiesa, nessuna preoccupazione
per il mio avvenire, prontezza ad ogni sacrificio, anche della vita - se il
Signore mi reputa degno di tanto - per la gloria divina, per il compimento
del mio dovere; fervore grande di vita spirituale, nella direzione della santa
Chiesa e della tradizione migliore, senza esagerazione di forme esteriori o
di metodi; zelo vigilante e mite, con attenzione a tutto, ma sempre con
molta pazienza e dolcezza, ricordando quello che il card. Mercier cita da
Gratry: che la dolcezza è la pienezza della forza; e poi familiarità col
pensiero della morte, che serve tanto a dare scioltezza e letizia alla vita.
811. 9. Il buon padre Renato Folet, che predica gli Esercizi con senso attinto
alle Sacre Scritture, per una volta è uscito da quelle pagine per presentare
un quadro del vescovo perfetto, con parole di sant'Isidoro di Siviglia dette
in onore di san Fulgenzio (Liber II Officiorum, cap. 5). Le riproduco a mio
ammonimento ed a ricordo di questo felice ritrovo spirituale. Fosse la mia
vita la riproduzione di quella dottrina! « Qui in erudiendis atque
instituendis ad salutem populis praeerit, necesse est ut in omnibus sanctus
sit, et in nullo reprehensibilis habeatur...
Hujus sermo debet esse purus, simplex, apertus, plenus gravitatis et
honestatis, plenus suavitatis et gratiae, tractans de mysterio legis, de
doctrina fidei, de virtute continentiae, de disciplina justitiae;
unumquemque admonens, diversa exortatione, iuxta professionem
morumque qualitatem; scilicet ut praenoscat quid, cui, quando, vel
quomodo proferat. Cujus prae caeteris speciale officium est, Scripturas
legere, percurrere canones, exempla sanctorum imitari; vigiliis, jejuniis,
orationibus incumbere, cum fratribus pacem habere, nec quemquam de
membris suis discerpere; nullum dannare, nisi comprobatum; nullum
excommunicare, nisi discussum. Quisque ita humilitate pariter et
auctoritate praeesse debet, ut neque per nimiam humilitatem suam
subditorum vitia convalescere faciat, neque per immoderantiam
severitatis potestatem exerceat: sed tanto cautius erga commissos sibi
agat, quanto durius a Christo indagari formidat.
Tenebit quoque illam supereminentem donis omnibus charitatem, sine
qua omnis virtus nihil est. Custos enim sanctitatis charitas: locus autem
hujus custodis humilitas. Habebit etiam inter haec omnia et castitatis
eminentiam; ita ut mens Christi dedita, ab omni inquinamento carnis sit
munda et libera. Inter haec oportebit eam
sollicita dispensatione curam pauperum gerere, esurientes pascere,
vestire nudos, suscipere peregrinos, captivos redimere, viduas ac pupillos
tueri, pervigilem in cunctis exhibere curam, providentiam habere,
distributione discreta. In quo etiam hospitalitas ita erit praecipua, ut
omnes cum benignitate et charitate suscipiat. Si enim omnes fideles illud
evangelicum audire desiderant: hospes fui et suscepistis me, quanto
magis episcopus, cuius diversorium cunctorum debet esse receptaculum!
».
1943-1944
NOTA (DEL 1944)
812. L'anno 1943 fu pieno di incertezza quanto agli Esercizi. Questi furono
fissati e preparati per la fine del 1944.
Li doveva predicare il p. Levecque dei Lazzaristi. Proprio in quei giorni
precedenti il Natale, arrivò l'obbedienza per Parigi.